1543 rivoluzione scientifica e nascita della scienza moderna con la pubblicazione De revolutionibus
orbium coelestium di Niccolò Copernico con l’affermazione del sistema eliocentrico (meglio dire eliostatico
perché il Sole non è al centro dell’universo ma al centro dell’orbita terrestre). Tuttavia l’affermazione di
questa teoria non fu rapida, tantoché ancora a metà del Seicento veniva difficilmente accettata. Copernico
non si considerava un rivoluzionario, presentava infatti la sua tesi come una riscoperta delle antiche
dottrine , in particolare di Pitagora e Filolao. Essa venne esposta nella forma di un commento all’Almagesto
di Tolomeo sostenendo che l’ipotesi eliostatica permetteva di calcolare meglio i movimenti delle sfere
celesti. Il nuovo universo era finito e perfettamente sferico (sfere=orbi). Copernico vedeva il pregio di
questa ipotesi nella sua semplicità e armonia (cosmos pitagoreo). La rivoluzione copernicana quindi non
corrisponde a una scoperta di nuovi dati o al perfezionamento dei metodi di calcolo e osservazione ma alla
costruzione di un nuovo cosmo su dati già noti. All’insaputa di Copernico, nell’introduzione del De
rivolutionibus il teologo protestane Osiander scrisse che l’ipotesi copernicana era un semplice tentativo
matematico di salvare i fenomeni. Questa tesi fu fatta propria da molti. La verità del sistema copernicano
invece fu sostenuta da autori come Giordano Bruno, Thomas Digges e John Dee, rivendicazioni che si
intreccia a motivi magici e astrologici che rivendicavano Zoroastro e Ermete Trismegisto.
Sistema Ticonico accanto al sistema tolemaico e a quello copernicano veniva insegnato il sistema misto
del danese Tycho Brahe secondo cui la Terra è immobile (non va contro le Sacre Scritture) al centro di un
universo finito circoscritto dalla sfera rotante delle stelle fisse e intorno alla Terra ruotano la Luna e il Sole
e intorno al Sole gli altri cinque pianeti allora noti. Negli anni ’20 del Seicento si abbandona la realtà delle
sfere celesti dopo le osservazioni di Brahe sulla stella nova Cassiopea e sulle comete.
Keplero (1571-1630) non corrisponde alla classica immagine attuale dell’astronomo. Le sue leggi non
vengono pubblicate nei manuali scolastici ma sono frutto di diverse riflessioni metafisiche , dottrine
animistiche, credenze nell’armonia cosmica. Keplero è convinto che l’universo sia strutturato da rapporti e
proporzioni matematici. Senza la matematica Keplero dice che sarebbe cieco, essa è l’unica via della
chiarezza. Keplero annuncia un rapporto tra le orbite planetarie e i cinque corpi platonici (cubo, tetraedro,
dodecaedro, icosaedro e ottaedro). Sole, stelle fisse e spazio intermedio corrispondono alla Trinità. Per
Keplero il Sole è al centro dell’universo ed è la causa motrice che sospinge ogni corpo: esso è quindi il
centro sia dinamico sia architettonico del mondo è la sede dell’anima del mondo e l’immagine del Dio
Padre.
Nell’Astronomia Nova (1609) Keplero formula al sua seconda legge secondo cui in tempi uguali la
congiungente Sole-pianeta spazza aree uguali, basandosi sul presupposto errato che la velocità della Terra
sia inversamente proporzionale dalla sua distanza dal Sole.
In altri scritti espone le altre scoperte in modo sempre pitagorico-platonico e mistico:
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Nelle Harmonices Mundi si trova la terza legge secondo cui i quadrati dei tempi di rivoluzione di due
pianeti stanno fra loro come i cubi delle rispettive distanze medie dal sole. Il mondo per Keplero
paragonabile a un orologio, tutto avviene grazie a una forza magnetica molto semplice. Le leggi di Keplero
divennero scientifiche solo anni dopo che se ne fu servito Newton.
Galileo Galilei sempre nel 1609 Galileo puntava il cannocchiale verso il cielo e nel Sidereus Nuncius
(1610) dice di aver visto che la Luna è simile alla Terra; essa ha avvallamenti, pianure e mari e quindi non è
un corpo perfetto e incorruttibile. Scopre poi pianeti che ruotano intorno a Giove e afferma che le stelle
fisse non si trovano subito dopo la sfera di saturno, ma sono molto più lontane rispetto agli altri pianeti.
Osserverà poi la strana forma di Saturno, la fasi di Venere e le macchie solari.
Nel 1626 esce il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, copernicano e tolemaico (1632), esso non è
un trattato di astronomia ma è un’opera dialettica volta a dimostrare l’insostenibilità del cosmo e della
fisica aristotelici. Il sistema ticonico non viene considerato e quello copernicano viene notevolmente
semplificato. Galileo si preoccupa di confutare le obiezioni al moto della Terra, dimostrare che cielo e Terra
appartengano a un unico sistema fisico. Viene affermato il principio della relatività dei movimenti: non si
può decider a priori quali corpi si muovano e quali no. I corpi sono indifferenti al moto e quindi possono
partecipare contemporaneamente a più movimenti.
I moderni accolgono dal pensiero di fine Quattrocento e inizio del Seicento il fatto che il sapere non è solo
contemplazione della verità, ma anche potenza, sfruttamento delle forze della natura. Tuttavia la nuova
filosofia lotta duramente contro la tradizione sovvertendo il rapporto magico fra le cose e le parole. A
differenza del mago, il sapiente moderno rifiuta il carattere segreto e iniziatico del sapere e vuole
contribuire a una conoscenza che cresce nel tempo, grazie a uno sforzo continuo e collettivo, a beneficio di
tutti gli uomini. Il linguaggio deve essere chiaro e comprensibile, le osservazioni verificabili e le esperienze
replicabili (Cartesio nel Discorso sul metodo). A questo tipo di ideali si ispirano le prime società
scientifiche come l’Accademia dei Lincei, Royal Society, l’Academie royale des sciences, Societas Regia
Scientiarum.
Galileo afferma fin da subito che il filosofare deve tenere conto dell’opera dei meccanici. Galileo non solo
costruisce l’occhiale (termine telescopio viene introdotto da Federico Cesi) facendo così di un oggetto usato
solo per scopi militaria anche un oggetto scientifico (1609, osservazione della Luna).
Nel 1613 a don Benedetto Castelli Galileo risponde che le Scritture non possono errare ma possono essere
mal interpretate. Infatti la natura è inesorabile e immutabile e le Scritture non possono contraddirsi ma dal
momento che alcuni interpreti potrebbero non essere ispirati da Dio è opportuno non impegnare i testi per
sostenere come vere proposizioni circa la natura che un giorno potrebbero rivelarsi false.
Ma per il Concilio di Trento era lecito solo presentare la dottrina copernicana come ipotesi per salvare le
apparenze e come un modo per spiegare meglio i fenomeni rispetto che con il sistema tradizionale. Invece
secondo Galileo, come già per Bruno e Keplero il sistema copernicano è una descrizione della vera
costituzione delle parti del mondo. Galileo quindi reinterpreta l’esperienza sensibile e se necessaria la
ribalta sulla base di certe dimostrazioni matematiche (Simplicio invece insiste sull’aristotelica evidenza dei
sensi). Infatti secondo Galileo nelle scienze matematiche l’intelletto può conseguire certezze pari a quelle di
Dio; ciò non è possibile quantitativamente, essendo gli intellegibili infiniti e quindi l’intendere umano nullo,
ma intensivamente, nel senso che l’intelletto umano intende alcune proposizioni perfettamente e ne ha
certezza assoluta.
Nel Saggiatore Galileo espone una teoria della materia. La materia implica qualità oggettive (figura, quiete,
movimento, relazione spaziale e temporale con altri corpi) e qualità soggettive (colore, suono, sapore,
odore) che dipendono dai sensi del singolo individuo. Applicare la matematica all’uso della realtà implica
l’astrazione. L’esperimento invece viene introdotto solo dopo che la dimostrazione è stata compiuta
matematicamente, in astratto quindi la legge non è stata ricavata dall’esperienza.
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Galileo, contrariamente alla fisica aristotelica (nesso fra movimento e natura/essenza del corpo) separa
l’idea del movimento di un corpo dall’idea del mutamento di quel corpo. Per Galileo:
1. Dal greco mechanè (macchina), si riferisce all’immagine del mondo come una grande macchina.
Questo significato divenne il più comune nel Seicento e raggiunse la massima diffusione con
l’affermarsi del sistema newtoniano.
2. Usato dagli storici per designare la concezione generale secondo cui i fenomeni naturali possono
essere descritti e spiegati in termini di maniera e movimento, escludendo quindi i concetti non-
scientifici di forza vitale e causa finale. Il meccanicismo stabiliva regole da seguire nell’indagine
della natura definendo cosa è la scienza e come deve essere. Con Cartesio si arriverà
all’estremizzazione di questa posizione con la diade res cogitans e res extensa.
La filosofia meccanica corrisponde quindi a una nuova visione del mondo e non ha nulla anche fare con
quella che oggi viene definita meccanica, che assunse il suo significato attuale soltanto dopo Newton. La
filosofia meccanica, o corpuscolare, è fondata su alcuni presupposti fondamentali:
Gli esperimenti con la pompa pneumatica del meccanicista Boyle furono criticati dal meccanicista Hobbes.
Infatti Boyle lasciava un margine di incertezza nell’individuazione delle cause probabili dei fenomeni
osservati: Dio poteva produrre gli stessi effetti servendosi di cause diverse. Hobbes esigeva invece che la
spiegazione scientifica avesse una forma deduttiva, ovvero che gli effetti venissero dedotti da un sistema
razionale di cause. Un’altra polemica nell’ambito della filosofia meccanica è quella tra Robert Hooke e
Newton sulla natura della luce.
Infine alle spiegazioni meccaniche e alle dimostrazioni matematiche sembravano sottrarsi alcuni fenomeni
come quelli magnetici (resta utilizzo termini antropomorfici: attrazione, repulsione, simpatia). Il De
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Magnete di Gilbert viene considerato come un’opera di magia rinascimentale e di sperimentalismo. Gilbert
vuole indagare sulle segrete proprietà delle cose dal momento che crede che la materia non sia priva di vita
e percezione.
- De motu cordis (1629) di William Harvey scoperta circolazione del sangue rovesciamento del
sistema galeniano. Viene compiuta un’osservazione empirica sulla base di un modello teorico. La
teoria di Harvey venne accolta da Cartesio e Hobbes e divenne al base di una biologia
meccanicistica.
- Le osservazioni dei microscopisti rivelano un’infinità di esseri viventi. Francesco Redi nel 1688
dimostrò che gli insetti si generano da uova. Ai preformisti ovisti si oppone una minoranza di
animalisti o spermatisti, convinti che l’organismo si formasse nei vermicelli spermatici, che gli ovisti
consideravano invece come animaletti a sé. A entrami si oppongono gli epigenetisti, convinti che lo
sviluppo degli esseri viventi non sia solo un accrescimento quantitativo ma anche una progressiva
acquisizione di parti nuove.
Isaac Newton (1642-1727) nei Philosophiae naturalis principia mathematica (1687) metodo matematico
e metodo sperimentale si integrano dando forma a un’immagine dell’universo che farà da sfondo al
pensiero del Settecento. Fino alla crisi fra Otto e Novecento, la fisica newtoniana sarà la fisica. Mentre la
fisica di Cartesio era meccanicistica senza la matematica, in quella di Newton i principi della filosofia
naturale e le leggi della natura hanno carattere matematico. Se il mondo fisico di Cartesio constava di due
elementi, materia e movimento, quello di Newton ne ha tre: materia, movimento, spazio.
- Materia numero infinito di particelle impenetrabili e immodificabili, ma non identiche che si
spostano, senza subire modificazioni, nello spazio vuoto, infinito e omogeneo.
- Movimento gli stati di quiete e di moto rettilineo e uniforme possono essere determinati solo in
relazione ad altri corpi in movimento o in quiete.
- Spazio e tempo relativi se sono in relazione a cose sensibili ma per evitare il regressus ad
infinitum bisogna fare astrazione dei sensi e ammettere un tempo e uno spazio assoluti
Nel primo libro dei Principia vengono enunciati tre assiomi o regole del moto:
1. Ogni corpo permane nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, se non è costretto a
mutarlo da una forza impressa (attuale principio di inerzia)
2. Il cambiamento è proporzionale alla forza motrice impressa e avviene in linea retta nella direzione
secondo la quale la forza è impressa
3. A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria
Nel secondo libro con la trattazione dei corpi che si muovono in fluidi resistenti, Newton elimina la teoria
cartesiana dei vortici; un vortice non poteva dar vita a un sistema planetario compatibile con le leggi di
Keplero dal momento che un vortice può mantenersi sole se una forza esterna fa ruotare il suo corpo
centrale.
Nel terzo libro viene esposta la legge di gravitazione universale che spiegava la caduta dei corpi sulla terra,
i moti planetari e fenomeni come le maree.
Nella seconda edizione dei Principia vengono enunciate le tre regole del filosofare:
Nel commento generale alla fine dell’opera Newton affronta il tema dell’ordine e del significato del sistema
del mondo. La disposizione e regolarità dei moti planetari non può dipendere da principi meccanici e la
varietà non può dipendere dalla mera necessità. Tutto deve essere quindi essere attribuito al disegno
intenzionale di un unico essere intelligente e onnipotente. Dio è sempre e ovunque e lo spazio è come il suo
organo di senso, ma non tutto è Dio; il Dio newtoniano è trascendente e personale ma è anche parte della
sua fisica. L’uomo non può farsi un’idea di come egli concepisce tutte le cose ma può cogliere l’ordine il
mondo che è il segno della perfezione di Dio ( filosofia naturale parla di Dio). Ma si può conoscere la
sostanza delle cose? Si conosce quello che ci viene offerto dai sensi, non altro (fenomenismo radicale).
Newton ammette di aver usato la gravità per spiegare i fenomeni ma di non esser riuscito a risalire a una
causa. Questo portò a una disputa tra newtoniani e cartesiani che si concluse con la vittoria di Newton,
anche se tuttavia non furono messi a tacere tutti i dubbi di coloro che ritenevano necessario postulare una
qualche forma di attività nella materia. Successivamente contro il meccanicismo in età romantica comparirà
il concetto di Leibniz, anti-cartesiano e anti-newtoniano, di vis viva.
Scienza e Religione la filosofia meccanica rimetteva in circolo l’atomismo greco. I filosofi e scienziati
cristiani presero distanza dalle posizione ateistiche di tali dottrine e dalle conseguenze materialistiche di
pesatori come Hobbes e Spinoza. Le vie seguite furono sostanzialmente due:
1. Negare che il caso epicureo e lucreziano (il concorso fortuito degli atomi) volgesse un ruolo nel
funzionamento della grande macchina e soprattutto nella sua origine.
2. Attribuire la creazione della grande macchina del mondo all’artefice divino escludendo che la
materia fosse eterna e possedesse la capacità di costruire da sé le parti della grande macchina o
addirittura di organizzarsi da sé in un sistema.
Marin Mersenne vedeva più pericolosa della filosofia meccanica la magia rinascimentale; la conoscenza
scientifica, infatti, essendo fondata su modelli meccanici era congetturale, quindi non minacciava di
occupare lo spazio della verità cristiana.
Boyle in un suo saggio prendeva le distanze da epicurei e da cartesiani, separando come Newton il
problema dell’origine prima delle cose da quello del successivo corso della natura; Dio ha creato il mondo
stabilito le regole e ha impartito a tutte le parti del sistema la direzione giusta ( via alla difesa dall’ateismo
teologia naturle e fisicoteologia. Lo stesso Kant quando demolirà le prove dell’esistenza di Dio
riconoscerà che l’argomento fisico-teologico era il più nobile di tutti).
All’approccio metodologico e religioso di Newton e Boyle si affiancherà la scoperta del tempo profonda sia
nella natura che nella storia (abbandono cronologia biblica) simbolo della rivoluzione intellettuale di cui
saranno simbolo autori come Hooke, Leibniz, Vico, Newton e Buffon.
La svolta cartesiana nasce dal connubio tra la nuova scienza e la nuova filosofia e coinvolge la matematica,
la fisica e la metafisica.
L’abbandono del progetto delle Regole è dovuto a una crisi dell’autore avvenuta tra gli anni Venti e Trenta,
come si può vedere ad esempio nello scambio epistolare avvenuto con l’amico Mersenne. In queste lettere
compare più volte il tema dell’origine della verità matematica e per la prima volta Cartesio nega che queste
siano valide di per sé e che non dipendano da nulla di superiore. Le verità matematiche non sono qualcosa
di indipendente da Dio ma sono create da Dio stesso; non si tratta di verità eterne ma di verità che sono tali
perché Dio ha voluto che fosse così. Questa persa di posizione è decisiva:
Mette in crisi il dogma di origine platonica che faceva della matematica il luogo stesso della verità
Fa entrare in scena nel pensiero di Descartes la questione teologica: se c’è un Dio onnipotente da
lui devono dipendere tutte le cose di questo mondo, compresi gli enti matematici.
Sostenendo che le verità sono create, Cartesio si oppone a due millenni di filosofia occidentale. Inoltre
accusa di ateismo chi la pensava diversamente: dire che alcune verità sono indipendenti da Dio è come
limitare l’onnipotenza divina. Cartesio sostiene che l’esistenza di Dio sia la prima di tutte le verità, da cui le
altre discendono; si tratta della verità più evidente di tutte. Cartesio ormai è certo che il nuova sapere a cui
si ispira deve riabbracciare l’intero edificio del sapere scolastico.
Per tutta la prima metà degli anni ’30 Cartesio conduce prevalentemente ricerche di fisica. Nell’opera Il
Mondo. Trattato sulla luce (rimasto incompiuto), Cartesio è mosso dalla condizione fortissima che tutto la
natura possa essere compresa a partire dal movimento delle particelle della materia che compongono i
raggi luminosi (riduzione di tutti i movimenti fisici a semplice movimento della materia). Se per Galileo la
scienza deve limitarsi a prendere atto della realtà naturale, indagandone le leggi matematiche, senza voler
scoprire i perché ultimi del cosmo; invece per Cartesio lo scopo principale della filosofia resta giungere a
una piena chiarezza sulla struttura dell’universo e comprendere nella loro origine e nelle loro cause tutti i
fenomeni naturali. Nel Mondo Cartesio non si propone di indagare come si presenti attualmente l’universo
ma indaga il suo inizio nella notte dei tempi (prima cosmogonia filosofica moderna).
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Per motivi prudenziali Cartesio espone la teoria in “Il Mondo” sottoforma di favola per non entrare in
contrasto con il racconto biblico dei sei giorni della creazione; indipendentemente da ciò la sua posizione è
dirompente:
- La materia con le sue leggi, si è disposta spontaneamente nello stato attuale senza bisogno di un
progetto preesistente o del diretto intervento di un artefice intelligente
- Non viene negata l’esistenza di Dio (su cui si fonda la fisica) nega che Dio nella creazione abbia
fatto qualcosa di più che imprimere alla materia una certa quantità di movimento, mantenendola
poi costante nel tempo la materia si è organizzata da sola dando luogo a sistemi e a tutte le
specie di esseri viventi.
- la materia si identifica con lo spazio ed è quindi riducibile a semplice estensione geometrica. Per
Cartesio un corpo è una parte di questa estensione delimitata da altre parti ad essa tutte analoghe.
Ciò che differenza la materia quindi non è la costituzione delle sue parti ma il movimento. Ogni
evento dipende dal movimento che è l’effetto diretto della creazione divina. È Dio a muovere la
materia perché Dio in ogni istante ricrea le varie parti di materia in posizioni diverse, generando
quello che hai nostri occhi diventa movimento. Dio in quest’opera è il principio del movimento
materiale senza alcuno scopo o telos da perseguire con la sua energia creativa.
- Cartesio (eredità della rivoluzione scientifica) riduce le quattro cause aristoteliche alla sola causa
efficiente. Vengono spazzate via la fisica scolastica di impianto aristotelico e quella rinascimentale
nelle sue varie declinazioni (elementi occultistici e magici).
- La materia è identica in tutte le sue parti e in tutte le sue parti è sottoposta alle stesse leggi
fondamentali. In base a questa considerazione Cartesio enuncia quello che è il primo principio della
scienza del movimento (dinamica), ovvero il principio di inerzia. Esso postula la continuità indefinita
del movimento rettilineo e uniforme delle particelle materiali.
- Cartesio ridisegna completamente il sistema planetario molto vicino alle concezioni copernicane e
galileiane e di Bruno universo potenzialmente infinito (o indefinito per non ricadere nell’eresia di
Bruno e Galileo).
Nel 1637 Cartesio pubblica “Il Discorso sul Metodo”, breve scritto in francese (pubblico più vasto) in cui
racconta la sua esperienza personale, come introduzione a un volume di saggi scientifici in cui sviluppa
anche alcune parti del Mondo. Il Discorso sul Metodo è diviso in sei parti:
1. Ribellione contro il sapere scolastico. Dal collegio gesuitico di La Fleche, Cartesio esce privo di solide
basi. Cartesio compie la svolta sentendo l’esigenza di rimettere in discussione tutto il sapere
precedente e per fare ciò Cartesio ha bisogno di un metodo che è delineato da quattro regole:
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1. Regola dell’evidenza non accogliere ma come vera nessuna cosa che non conoscessi
evidentemente per tale, accettando solo ciò che si presenta alla mene in modo chiaro e
distinto da non offrire alcuna occasione di essere revocato in dubbio.
2. Regola della divisone o scomposizione dividere ciascuna delle difficoltà incontrate in
quante più parti possibile.
3. Regola dell’ordine imporre ai propri pensieri un ordine cominciando dagli oggetti più
semplici per risalire un po’ alla volta.
4. Regola dell’enumerazione in ogni occasione bisogna fare enumerazioni tanto
complete da essere sicuro di non dimenticare nulla.
3. Enunciazione di una morale provvisoria per evitare gli esiti più radicali del metodo sottrazione
della religione e della politica all’ambito di applicazione del metodo. Bisogna obbedire alle leggi e ai
costumi del paese, conservando fedelmente la religione, agire con quanta più risolutezza possibile
e cercare sempre di vincere se stessi piuttosto che la fortuna e mutare i desideri piuttosto che
l’ordine del giorno.
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Le ultime tre parti fanno trasparire un radicale progetto di riforma del sapere.
Le Meditazioni Nel 1639 Cartesio inizia a scrivere la sua opera filosofica più importante per la quale
ritornerà all’uso del latino filosofico, Le Meditazioni di Filosofia Prima (o di meditazioni metafisiche). Esse
inaugurano un genere nuovo, per Cartesio non sono importanti le opinioni (commenti a testo aristotelico o
le Disputationes Metaphysicae di Francesco Suarez), anzi cerca un sapere che non sia opinabile. La
metafisica parte necessariamente dal soggetto e da questo cerca di innalzarsi a tutte le verità ( nuova
accezione del termine), non significa più scienza generale dell’essere o scienza delle sostanze spirituali ma
analisi delle capacità conoscitive umane. Inoltre è rivoluzionario anche il modo di scrivere: è una metafisica
scritta in prima persona perché la ricerca della verità è l’impresa di un io pensante. La meditazione è un
percorso personale, è un’esperienza vissuta che nasce da una determinata situazione e ne tenta il
superamento. Lo scacco di Cartesio era il fallimento di una cultura, di un sapere ormai vecchio.
1. La Prima Meditazione si intitola “Su ciò che può essere messo in dubbio” rifiuto di ogni
conoscenza che non abbia i caratteri della perfetta evidenza. Ciò che è verosimile non ha
cittadinanza nella scienza, deve essere considerato falso e accantonato. Tuttavia la I Meditazione
sembra giungere alla desolante conclusione che nulla riesce a sfuggire a un dubbio filosofico. Le
conoscenze sensibili sono le prime a ricadere sotto la scure del dubbio, i sensi a volte ci ingannano
(es. illusioni ottiche) e quindi non sono affidabili. Il caso critico che fa crollare ogni fiducia nella
sensibilità è quello dei sogni: nei sogni infatti i nostri sensi sono attivissimi ci sembra di vedere,
udire e toccare ma ci sembra soltanto poiché nulla di tutto ciò esiste al di fuori di noi.
Tuttavia le verità matematiche sembrerebbero essere indubitabili e vere: anche in un sogno un
triangolo avrà tre lati e 2+2=4 perché la mente non è strutturalmente in grado di pensare
diversamente questi enti matematici (Regole, nature semplici = forme a priori). Se fossimo
creature di un Dio ingannatore le nostre presunte verità non sarebbero altro che perpetue
immaginazioni, la nostra mente sarebbe sempre distorta e il vero sempre precluso. L’ipotesi del Dio
ingannatore costituisce il dubbio iperbolico; essa pone in dubbio la verità matematica e allarga il
dubbio anche a Dio stesso e questa ipotesi non sarebbe una rovina solo per la scienza ma anche per
la fede, distruggendo la possibilità di una religione e di una credenza. Cartesio fa intervenire
un’ipotesi atea secondo cui l’uomo sarebbe prodotto del destino o del caso, ma se così fosse la
nostra origine sarebbe radicata in un principio imperfetto e cieco e quindi non potremmo mai
essere sicuri della certezza delle nostre presunte verità. Nell’ultima parte della I Meditazione
emerge anche il genio maligno chiamato in causa per rafforzare il dubbio sulle nostre presunte
conoscenze acquisite, tutto potrebbe essere illusione o inganno.
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2. La Seconda Meditazione “Della natura della mente umana” deve rispondere alla domanda posta
dal dubbio iperbolico. La risposta di Cartesio è contenuta nel suo “cogito ergo sum” che non si
ritrova testualmente nelle Meditazioni ma in altri testi. Il cogito ha al tempo stesso la caratteristica
di essere una verità indubitabile e un’esperienza vissuta in prima persona: è una verità
direttamente accessibile a qualsiasi individuo che rifletta su se stesso. Posso essere vittima di un Dio
ingannatore, di un’immaginazione ingannevole ma comunque mentre io penso, sono. Il pensiero
dunque è segno dell’essere, è la via d’accesso alla realtà. Quindi il cogito si pone come il primo
principio della metafisica. Prima del cogito non ci può essere nulla perché per conoscere qualcosa
devo esistere e pensarla. Dubitare del cogito è impossibile, lo stesso atto di dubitare, essendo un
atto di pensiero, conferma la verità del cogito stesso per dubitare devo pensare e dunque
esistere. Il cogito ha anche un limite intrinseco: non mi dice niente su tutto ciò che è al di fuori di
me. Se l’uomo potesse solo essere certo di esistere vivrebbe in una sorta di solitudine metafisica si
arriverebbe al solipsismo. Per Cartesio però non siamo soli e per dimostrarlo sarà necessario
innalzarsi dal cogito a un principio superiore che sia al contempo la fonte e la garanzia delle nostre
conoscenze.
3. La Terza Meditazione, “Di Dio e della sua esistenza”. Ha lo scopo di dimostrare:
o Che Dio esiste, lungi dall’ingannarci tappa obbligata della tradizione scolastica con
Anselmo d’Aosta che fornisce prove a priori e Tommaso d’Aquino che fornisce prove a
posteriori (cinque vie). Cartesio non si schiera né con gli uni né con gli altri. Infatti egli non
può sostenere l’esistenza di prove a priori, perché significherebbe ragionare su qualcosa di
precedente al cogito ma ancor meno di quelle a posteriori che dimostrano l’esistenza di Dio
muovendo da caratteristiche fisiche e mondane. Per Cartesio l’esistenza del mondo è
ancora sommersa dal dubbio della I Meditazione. Cartesio inizialmente si chiede quali siano
i contenuti di pensiero a cui può accedere una mente pensante. La mente umana è capace
di concepire idee, rappresentazioni mentali di oggetti ed è proprio questo elemento
rappresentativo a distinguere l’idea dagli altri atti di pensiero. Le idee si classificano in tre
generi, anche se tale tripartizione si rivela sterile e immatura:
Avventizie provenienti dagli oggetti fuori di noi
Fittizie prodotte dall’attività immaginativa della mente umana
Innate presenti in noi fin dalla nascita
Cartesio trova quindi un criterio che mi permetta di trovare come tra le idee ve ne siano alcune che
rappresentano necessariamente qualcosa che esista fuori di me, si tratta di una distinzione tra
realtà formale e oggettiva dell’idea:
Realtà formale idea considerata in quanto ente di questo mondo l’idea in
questo caso non è altro che un modo di essere della nostra mente e quindi da
questo punto di vista ogni idea è uguale alle altre
Realtà oggettiva è il contenuto rappresentativo dell’idea, ciò che in essa ha il
ruolo di descrivere l’oggetto a cui essa si riferisce
Tra le idee accessibili a ogni mente umana c’è anche quella di Dio e anche questa idea, come le
altre, rappresenta qualcosa. Però questo contenuto di pensiero non può essere prodotto
autonomamente della mente umana. Dio non è né un’idea avventizia né fittizia. Egli è infinito
(dotato di infinite perfezioni) mentre la mente umana è finita e limitata. L’idea di Dio non può che
essere innata, presente in me fin dalla nascita. Solo un Dio infinitamente perfetto può essere la
causa dell’idea di Dio che l’uomo può concepire.
o Che ci ha fornito una mente atta a concepire verità evidenti su sé stessa e sul mondo Dio
esiste ed oltre averci donato le facoltà conoscitive ci ha dato anche la capacità di
rappresentarci un ente infinitamente perfetto ovvero Dio stesso. La definizione di Dio come
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ente perfettissimo sarà incompatibile con quella di inganno umano; infatti se Dio è perfetto
non può ingannare l’uomo l’uomo non si inganna quando dà il suo assenso a proposizioni
evidenti come quelle della matematica.
4. La Quarta Meditazione, “Del vero e del falso” se siamo creature di un Dio che non ci inganna
perché a volte i nostri giudizi sono errati? Questa questione era già stata affrontata più volte dalla
teologia cristiana, ad esempio da Agostino d’Ippona secondo cui il male non è creato da Dio ma è
un difetto di realtà, è la mancanza di qualcosa che dovrebbe esserci. Questa mancanza non è in Dio
ma nell’uomo che attraverso la sua libertà sceglie il male (peccato originale). Cartesio riprende
quasi alla lettera le argomentazioni agostiniane: l’errore conoscitivo degli uomini è un nulla che
deriva dal cattivo uso della facoltà umana. Quando la mente umana dà il suo assenso a proposizioni
non evidenti incorre frequentemente nell’errore, assentendo all’evidenza invece l’uomo incontra
facilmente la verità. Per Cartesio l’esperienza conoscitiva umana si fonda sulla libertà infinita di
scegliere in autonomia se dare l’assenso o meno a una determinata proposizione, così come per
Agostino quella morale. Dio non ha quindi alcuna responsabilità rispetto agli errori in cui cadano gli
uomini e quando cadano in errore non significa che quindi Dio sia un ingannatore. Dio dandoci
l’unica libertà che si possa concepire ci ha elevato al suo stesso grado.
Con la IV Meditazione si conclude il lungo processo della ricostruzione delle basi del sapere umano.
Il dio di cui la metafisica l’esistenza è un Dio garante della scienza, non un dio misericordioso a cui
rivolgersi come un dio garante della fede. Compito della metafisica dunque quello di stabilire che
cosa siano i corpi e come sia possibile conoscerli.
5. La Quinta Meditazione, “Dell’essenza delle cose materiali e di Dio e della sua esistenza”. Vien
ripresa l’idea che la realtà fisica sia interpretabile in termini matematici e che i corpi stessi siano
riducibili a enti matematici privi di qualsiasi altra caratteristica essenziale. L’essenza della materia è
costituita dall’estensione, dallo spazio dei geometri. Queta tesi viene dimostrata nella prima parte
di questa meditazione e procede in un modo analogo a quello adoperato nella terza. Anche l’dea
dello spazio geometrica risulta essere un’idea innata (concezione innatistica della matematica di
stampo platonico) opponendosi al dogma della metafisica aristotelica secondo cui la materia non
può essere una sostanza a parte ma necessita di una forma. Secondo Cartesio la forma è del tutto
inutile. La natura è quindi interpretabile matematicamente perché i corpi sono enti matematici e
perché la mente umana possiede l’idea innata di estensione.
6. La Sesta Meditazione, “Dell’esistenza delle cose materiali e della distinzione reale tra l’anima e il
corpo dell’uomo”. Cartesio deve dimostrare che il mondo esiste. Cartesio inizia con il distinguere le
diverse facoltà conoscitive umane:
o Intelletto dà un’idea chiara e distinta della materia, identificandola con lo spazio
geometrico ma non può dire nulla sua esistenza reale.
o Immaginazione permette di formare rappresentazioni mentali delle cose in forma
figurata. Essa però non è illimitata e comporta sempre un qualche indizio, quindi oltre alla
mente che pensa esiste anche un corpo finito e limitato.
o Facoltà sensibili i sensi devono avere una funzione in quanto creati da Dio, ovvero
quella di orientarci nelle scelte quotidiane. Inoltre essi mettono in contatto il nostro corpo
con il mondo dei corpi. L’io quindi scopre non solo di essere una mente ma anche di essere
legato a qualcosa di materiale rispetto al quale può anche essere passivo.
La veracità di Dio è quindi anche il cardine della dimostrazione reale dei corpi.
Un’altra questione è quella del rapporto tra la mente e il corpo dell’uomo. Questa dimostrazione
costituisce il dualismo metafisico secondo la quale nell’universo esistono due generi di sostanze
create:
- I Obiezioni redatte da Jan de Kater (Caterus, latinizzato) per Caterus le idee non sono nulla di
reale e quindi non hanno bisogno di alcuna causa: l’idea è l’oggetto del nostro pensiero ma non
aggiunge nulla al pensiero stesso. Cartesio risponde dicendo che soltanto un essere infinito può
essere causa del fatto che l’uomo pensi l’infinità di Dio. Solo in questo modo si può dimostrare che
non esiste un generico dio ma un essere infinitamente perfetto
- II e VI Obiezioni, poste da Mersenne a Cartesio fingendosi altri teologi e scienziati il cogito per
Mersenne può aprire la strada alla conoscenza umana ma esso non dice che la mente sia solamente
pensiero e che la materia non sia capace di esprimere una mente pensante. Cartesio ribatte
dicendo che non è il cogito di per sé a dire che la mente è diversa dal corpo. Cartesio offre quindi
una sorta di riassunto delle Meditazioni simile a una dimostrazione geometrica ponendo un
distinguo tra:
o Pensiero coscienza delle proprie percezioni
o Idea contenuti delle nostre esperienze sensoriali
In base a questa definizione, Cartesio può confermare la sua dimostrazione della reale distinzione
tra mente e corpo: la mente è solo pensiero, il corpo estensione spaziale. Si tratta quindi di
sostanze diverse e incompatibili tra di loro.
- III Obiezioni di Thomas Hobbes Hobbes attacca la tesi del dualismo mente-corpo e la
dimostrazione dell’esistenza di Dio sulla base di un’idea innata. Il cogito per Hobbes non è altro che
una qualità, un modo di essere del corpo e non può costituire l’essenza della mente: il pensiero non
ha un’autonomia sostanziale e le stesse idee della mente sono nient’altro che le immagini materiali
delle cose. L’idea di Dio in quanto tale non è nulla di positivo perché di Dio non è possibile avere
alcuna immagine. Al massimo si potrà dire che cosa Dio non è. Cartesio ribatte dicendo che il cogito
è il principio primo da cui si conosce tutto il resto e attesta direttamente l’esistenza del soggetto in
quanto essere pensante: dal pensiero del soggetto si parte per conoscere il resto. Dell’esistenza
della materia invece si arriva ad esserne certi molto dopo. Invece per Hobbes la materia è il
sostrato di ogni oggetto dotato di esistenza.
- IV Obiezioni di Arnauld egli pone la questione della transustanziazione (discussione dell’ultimo
secolo tra cattolici e protestanti). Se la materia non è altro che estensione spaziale e se tutto ciò che
in essa crediamo di percepire oltre alle caratteristiche quantitative non è che illusione percettiva
allora il miracola della transustanziane sembrerebbe impossibile. Cartesio replica con un tentativo
di interpretazione meccanicistica dell’Eucarestia secondo cui il miracolo consisterebbe nel
tramutare l’estensione di cui sono costituiti il pane e il vino in quella di cui è costruito il corpo di
Cristo, lasciando però inalterato l’effetto che tale trasformazione suscita in un essere umano.
- V Obiezioni di Pierre Gassendi affine a Cartesio per certi versi, avverso per altri. La sua filosofia
si ispira largamente all’epicureismo antico. Secondo Gassendi, Cartesio non riesce a dimostrare a
pieno ce l’anima sia un ente spirituale e non una parte sottilissima della materia. Inoltre se la mente
e il corpo sono così diversi come potranno incontrarsi? La ghiandola pineale non risolve il
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problema. Cartesio risponde con difficoltà e poca convinzione a queste critiche e da qui emerge la
necessità di indagare più a fondo il rapporto mente-corpo.
Nel 1644 escono i Principi della filosofia in latino e nel 1647 in francese. I Principia si dividono in quattro
parti: la prima ripropone le principali tesi metafisiche cartesiane e le altre tre parti sono consacrate alla
fisica e riprendono le considerazioni dei principali temi del Mondo.
Nella lettera al traduttore dei Principi, l’amico Picot, scrive che la filosofia è come un albero le cui radici
sono costruire dalla metafisica, il tronco dalla fisica e i rami dalla medicina, dalla meccanica e dalla morale
(il senso ultimo del filosofare sta nel proporre dottrine di questo tipo). Medicina e meccanica si rivelano i
due scogli più ardui perché queste due soccombono davanti alla complessità del reale (medicina
insufficienza di conoscenze sul corpo umano, meccanica rozzezza dei materiali usati e incapacità degli
artigiani di affinare le tecniche costruttive). Nonostante ciò con Cartesio nasce la concezione moderna della
medicina e della meccanica.
La morale ha a vedere anche con qualcosa di difficile da definire l’uomo inteso come unione di un io
sensibile e di una materia organizzata. La passione ora a Cartesio sembra il momento fondamentale
dell’interazione tra la mente e il corpo. Le passioni diventano oggetto di scienza in quanto fenomeni
naturali. La passione è un tipico fatto psicofisico, o meglio, è costituita da fatti mentali e corporei tra loro
concatenati. All’inizio vi è un vento corporeo in cui un oggetto viene in contatto con gli organi sensoriali
determinando un movimento nei nervi che a loro volta comunicano un impulso al cervello e modificano la
ghiandola pineale. A questo punto sa la mente che il corpo reagiscono allo stimolo. La semplice percezione
dell’oggetto non è ancora passione perché l percezione a mero valore conoscitivo. A questa percezione
iniziale segue la meraviglia, prima passione. La meraviglia è uno stato della mente da cui dipendono altri
eventi, alcuni mentali e altri corporei. Si prova amore o odia a seconda che la mente voglia sentirsi
allontana o unita dall’oggetto che le si è presentato. La paura si ha quando la ghiandola pineale attraverso i
nervi determina un flusso di spiriti animali verso il cuore provocando un’accelerazione del battito.
Seguaci e continuatori tendono a sviluppare solo una parte delle idee del maestro perdendo l’unità stessa
del suo sistema di pensiero. Il cartesianismo si irradia velocemente dalle province unite olandesi alla
Francia, Svizzera e Stati tedeschi. L’Olanda resta comunque il terreno più fertile per lo sviluppo di questo
pensiero per la maggior libertà di espressione e insegnamento.
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Regius, medico e scienziato sarà uno dei primi seguaci del cartesianesimo ma anche uno dei primi apostata.
Egli è affascinato dagli scritti cartesiani sul corpo umano come macchina e sarà il primo a dare una
interpretazione tendenzialmente materialistica del cartesianesimo. Nel 1646 pubblica i Fondamenti di fisica
in cui qualifica Dio come un ente sovrannaturale e in quanto tale escluso dalla ricerca filosofico. Cartesio si
dissocia subito dalle posizione dell’allevo e nel 1648 pubblica Note su un certo programma dove condanna
punto per punto le dottrine di Regius.
Logica di Port-Royal per riempire il vuoto lasciato dal cartesiano tedesco Johannes Clauberg, autore nel
1654 di “Logica antica e moderna”, nasce il progetto della Logica di Port-Royal (1° ed. 1662) i cui autori sono
Antoine Arnauld e Pierre Nicole, teologi appartenenti al movimento giansenista. Questa logica, a differenza
di quelle antiche e medievale è il fatto di non voler essere solo una teoria formale delle proposizioni ma di
prenderne in considerazione anche l’aspetto mentale delle stesse. Per questo questa Logica è, fin dal titolo
originale , un’arte di pensare. L’opera è divisa in quattro parti dedicate al concepire, giudicare, ragionare e
ordinare (le principali funzioni conoscitive).
1. Come la mente umana è in grado di concepire gli oggetti, come questi diventano conoscibili e il tipo
di conoscenza che ne deriva. Arnauld e Nicole dimostrano la loro fedeltà al cartesianismo:
conoscere gli oggetti significa conoscerli attraverso le idee che a essi corrispondono. Le idee sono
entità mentali (=Cartesio), irriducibili a immagini materiali delle cose. Contro Cartesio, Arnauld e
Nicole propongono una teoria innatistica delle idee che postula la necessaria corrispondenza tra
percezioni della mente e oggetti che esse rappresentano.
2. Analisi delle proposizioni la logia asce con una percezione o un’idea ma il contenuto percettivo
per diventare comunicabile deve essere tradotto linguisticamente in parole e suoni. La logia diventa
necessariamente una teoria del linguaggio in cui le parole sono intese come segni dei pensieri. Le
proposizioni sono quindi i modi in cui le proposizioni possono essere collegate in modo articolate
3. Analisi dei ragionamenti il ragionamento nasce dalla combinazione delle proposizioni.
4. Viene proposto il metodo con cui si esprime quell’attività di ordinamento delle conoscenze. Arnauld
e Nicole recuperano l’assiomatica euclidea, coniugandola con la dottrina delle idee ereditata da
Cartesio. Un assioma, in questo caso, è un’idea chiara e distinta in grado di resistere a qualsiasi
forma di dubbio e di ottenere mediante l’assenso la verità. Gli assiomi fondamentali della Logica di
Port-Royal sono undici ma i principali sono i primi tre:
o Ciò che è chiaro e distinto è vero
o L’esistenza, almeno possibile, è racchiusa nell’idea di tutto ciò che concepiamo
chiaramente e distintamente
o Il niente non può essere causa d’alcunché
Rispetto alle Meditazioni cartesiane non compare alcun riferimento al dubbio e al cogito come
primo principio della conoscenza e viene affermato, senza alcuna fondazione superiore, il dogma
della verità delle idee chiare e distinte. Quello della logica di Port-Royal è un cartesianismo senza
dubbio iperbolico e senza Dio ingannatore.
Emerge inoltre il voler ampliare il raggio della logica anche ad ambiti di conoscenza che ne erano
stati in precedenza esclusi, come quello delle conoscenze storiche. Arnauld e Nicole dedicano
attenzione, in contrasto al disprezzo di Cartesio, verso il sapere storico. Esso secondo Arnauld e
Nicole ha una sua logica interna e può dar luogo a dimostrazioni dotate di certezza morale. Il
consenso dei testimoni può esser considerato un sapere moralmente certo e la fede religiosa viene
rivalutata nella sua razionalità interna come credenza nella parola di un essere superiore che non
può ingannare.
Arnauld e Nicole propongono una necessaria riorganizzazione delle scienze che permetta di
stabilirne il valore di verità e la posizione all’interno dell’intero corpus di conoscenze del genere
umano.
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La fede viene intesa come una credenza storicamente fondata sulla verità della rivelazione
cristiana.
Pascal (1623-1662) propone una via alternativa al cartesianesimo e all’orientamento proposto dalla
rivoluzione scientifica. In lui l’ispirazione cristiana viene vissuta come irriducibile a qualsiasi filosofia,
rifiutando sia la teologia scolastica e la nuova teologia razionalistica di Cartesio. Pascal rifiuta la visione
scientista in cui lo spirito di geometria, l’ideale di una piena razionalizzazione della conoscenza in ogni
aspetto della vita umana. In contrapposizione Pascal promuove lo spirito di finezza, che fa leva sulla
sensibilità dell’uomo, sulla sua capacità di provare emozioni non traducibile razionalmente. In questo modo
Pascal propone una religione fondata sugli affetti, di un Dio sensibile al cuore.
Per quanto riguarda la fisica studierà il fenomeno del vuoto e giunge a una dimostrazione sperimentale
della sua realtà, colpendo quindi la dottrina cartesiana dell’equivalenza tra materia ed estensione. Per
Pascal la scienza è un valido passatempo ma non ha l’importanza assoluta che le veniva conferita da
Cartesio per la ricerca della verità.
Pascal fa una polemica contro la morale dei gesuiti, ritenuta vacua e ipocrita (Lettere provinciali). Pascal,
giansenista, disprezza il tentativo dei gesuiti di cercare un compromesso tra le esigenze della fede e le
debolezze umane li colpisce con l’arma più efficace, quella del sarcasmo e dell’ironia.
Negli ultimi anni della sua vita Pascal si dedica a un’opera apologetica di grande spessore, una difesa del
cristianesimo contro i miscredenti e gli scettici. Quest’opera verrà pubblicata postuma e messa assieme dai
confratelli Arnauld e Nicole nel 1970 nel volume “Pensieri del sig. Pascal”. I Pensieri non hanno un
andamento sistematico e insistono su temi come l’infinità di Dio, incomprensibile per l’uomo, e quindi la
distanza tra l’uomo e il suo Cretaore.; la duplicità dell’uomo, sospeso tra grandezza e miseria; la presenza
dell’uomo del peccato originale e il potere imperscrutabile di Dio di concedere la Grazia soltanto agli eletti.
La scoperta astronomica copernicana è che l’uomo è solo nell’universo infinito. Nell’universo copernicano
non vi è più centro e la funzione dell’uomo appare periferica e privata di ogni privilegio. L’uomo nel
Seicento comprende la sua piccolezza infinita, fisica e morale e non trova più Dio nell’universo materiale
che lo circonda da ogni parte. La teologia di Pascal è di impianto negativo, si tende a limitare al massimo
l’ambizione dell’uomo di conoscere Dio: di Dio si può sapere solo che è infinito. Ma l’infinito è il mondo
dell’impossibilità e del paradosso, di Dio si può quindi conoscere l’esistenza ma non l’essenza reale (per
Cartesio invece Dio è la verità più evidente di tutti). Quello di Pascal è un Dio ascoso da cercare con tutto
l’impegno ma senza mai avere l’arroganza di averlo trovato. Sull’uomo agiscono i due principi di cuore e
ragione ma in generale l’uomo per Pascal è scisso in due tra anima e corpo, libertà e schiavitù, razionalità e
istinto. In qualche modo il dualismo cartesiano è sotteso in ogni riflessione antropologiche di Pascal.
Secondo Pascal l’uomo soffre di una fragilità fisica e metafisica di fondo, è una canna che pensa, un fuscello
in balia dei venti avversi. Grazie al pensiero egli è però in grado di comprendere tutto ciò che lo circonda:
grandezza e miseria sono quindi intrecciate nell’essere umano, l’uomo è il fondamento dell’una e dell’altra.
L’uomo di Pascal è un paradosso, una contraddizione vivente, une enigma irresolubile che può essere
risolto solo con la speranza in una sopravvivenza ultraterrena, perché su questa terra il genere umano sarà
sempre soggetto alle peggiori passioni. Uno dei momenti più noti dei frammenti di Pascal è quello della
scommessa (pari). Esso non vuole essere una dimostrazione all’esistenza di Dio a vuole persuadere il
peccatore che la strada imboccata lo porterà a un baratro morale e fisico. È conveniente al libertino credere
in Dio piuttosto che non crederci. Infatti se crede in Dio il libertino può sperare in un premio infinito
nell’aldilà, mentre se non crede sarà dannato per sempre, se Dio esiste, o condannato al nulla, nel caso Dio
non esistesse. Pascal quindi non sfida il libertino sul piano razionale ma su quello delle passioni. Dal
momento che sembra poco allettante scommettere su qualcosa di così incerto, Pascal ribatte dicendo che
ogni in scommessa si rischia qualcosa di certo per un premio estremamente incerto. Gli avversari
eterodossi diranno che nel caso della scommessa su Dio a essere incerta non è solo la vittoria ma anche e
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soprattutto la reale esistenza del premio. Pascal per ribattere recupera argomenti apologetici classici come
la rivelazione, le Sacre Scritture, le pratiche di fede.
Melebranche inoltre è affascinato dall’opera cartesiana L’Uomo e partirà proprio da questo testo che
conteneva la prima analisi scientifica della macchina del corpo umano, funzionante nella sua materialità
senza il bisogno di supporre un’anima spirituale. Melebranche vuole portare all’estremo questo dualismo,
ampliando il solco tra le due parti dell’uomo:
La ricerca della verità (1° ed. 1674-1675, ed. definitiva 1712) è un’opera divisa in sei libri e considera gli
errori in cui più facilmente gli uomini. L’itinerario verso la verità presuppone una critica delle facoltà
conoscitive umane. A differenza di Cartesio che partiva da un dubbio radicale sull’intera facoltà.
Melebranche troverà subito nella mente umana grazie alla vicinanza con Dio le tracce per una verità eterna.
L’itinerario si articola in questo modo:
- Disamina degli errori dei sensi (senza nessuna allusione a un Dio ingannatore) i sensi ci sono dati
dall’unico vero Dio non per conoscere le cose ma per rappresentarci oscuramente la realtà esterna
e quindi non si può che incombere nell’errore se li si segue ciecamente.
- essi producono puri stati coscienziali, privi di valore conoscitivo.
- il cogito viene declassato a semplice sensazione interna, incapace di dirmi alcunché sull’essenza
della mia anima.
- la ricerca della verità richiede quindi una preliminare rinuncia a tutte le facoltà sensibili, che non
ci fanno uscire da noi stessi e non danno accesso alle essenze delle cose. I sensi non sono cattivi in
sé, anzi sono necessari per la conservazione del corpo, essi sono potenzialmente dannosi portando
l’anima a illudersi di essere sufficiente a se stessa.
- Ancora più pericolosa della sensibilità è un’altra facoltà dell’anima umana: l’immaginazione.
Melebranche vede negli eccessi dell’immaginazione la corruzione umana.
- l’immaginazione combina la capacità dei sensi di riprodurre un’imitazione della realtà con il
potere di costruire immagini mentali delle cose dotate di un forte potere emotivo ed evocativo. Il
disordine dell’immaginazione ha la sua origine nel danneggiamento di alcune aree cerebrali che
determina un degrado psichico e morale, trasmesso per via ereditaria.
- Nel II libro dell’opera, Melebranche analizza cinque possibile ipotesi, a cui seguirà un rigoroso
processo di esclusione, per le quali la mente umana conosce i corpi:
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1. I corpi inviano direttamente alla mente le loro immagini, o idee questa ipotesi corrisponde
alla teoria aristotelica e scolastica delle specie impresse. Essa viene confutata perché se le
specie sono inviate tali e quali dai corpi come è possibile che una specie diventi più grande solo
perché la guardiamo attraverso una lente?
2. La mente ha essa stessa il potere di produrre le idee dei corpi se fosse vera, dato che le idee
sono comunque qualcosa di reale, si dovrebbe attribuire alla mente un potere che solo Dio
possiede, quello di creare da nulla nuove identità.
3. Le idee dei corpi sono prodotte da Dio nella mente , alla nascita o nel momento in cui pensiamo
ai corpi stessi la prima parte è un’ipotesi innatistica di origine cartesiana che Melebranche
però rifiuta, infatti al mente umana essendo finita non può esser vista come un magazzino
capace di contenere un numero infinito di idee. Inoltre le idee dei corpi, essendo
fondamentalmente enti matematici, dipendono da entità astratte che non possono esser
create nemmeno da Dio e quindi non possono essere poste nella nostra mente da lui.
4. La mente possiede di per sé tutte le perfezioni che sono rappresentate nelle idee dei corpi, e da
queste derivano le idee stesse viene rifiutata per motivi simili alla seconda; solo Dio contiene
in sé le perfezioni di tutte le cose e qui di se la mente avesse perfezioni da poter costruire le
idee di tutte le cose che si rappresentano essa sarebbe simile a Dio.
5. La mente è unita a Dio, essere perfettissimo che contiene in sé tutte le idee degli enti creati
dottrina della cosiddetta “visione di Dio”. La mente è strettamente unita a Dio nel senso che
vede direttamente in Dio le idee delle cose questo vale sia per le idee degli enti spirituali che
corporei, che sono anch’essi enti matematici. L’intelletto divino quindi è il luogo di tutte le idee
e di tutti i rapporti tra i corpi e la mente vi accede direttamente ogni volta che concepisce l’idea
di un ente materiale.
Il Dio di Melebranche, non è come quello cartesiano che crea dal niente le i dee e le verità
matematiche, ma è un Dio più vicino alla tradizione platonica e agostiniana, è un Dio che contiene
nel suo Verbo (logos) gli archetipi eterni delle cose. L’accesso dell’uomo alla verità quindi è
possibile con uno sguardo immediato nell’intelletto del Dio stesso.
Melebranche, come gli occasionalisti sostiene che solo in Dio vi è reale potere di efficacia causale.
Melebranche nega qualsivoglia potere causale alle sostanze create: corpi e menti sono inerti, prive
della forza di vivere che solo l’efficacia dell’azione di Dio può costituire in loro. Si tratta di
un’estremizzazione del principio dell’occasionalismo che fa di Dio la sola causa esistente
nell’universo.
Nel Trattato della natura e della grazia (1680) Melebranche offre una ricostruzione razionale del mood di
agire di Dio. Sorge così la prima teologia fondata su una rivoluzione scientifica. Per Melebranche il mondo
della grazia non è strutturalmente diverso dal mondo della natura: in entrambi Dio stabilisce soltanto
alcune leggi semplici e generali, attenendosi a un criterio di generalità, attenendosi a un criterio di
razionalità interna. Melebranche estende l’occasionalismo anche la mondo della grazia, sostenendo che gli
eventi particolari sono solo occasioni affinché la volontà divina si manifesti. Melebranche si attiene al
criterio del semplice e non a quello del migliore e da questo punto di vista il problema della grazia trova in
Cristo l’articolazione fondamentale: Dio opera per vie generali e semplici e Cristo è la sua causa
occasionale. Per quanto riguarda il problema del male Melebranche riconosce che tutto ciò è un
conseguenza della semplicità dell’azione divina e quindi non può essere ricondotto solo al male metafisico;
è impossibile negare che Dio sia in qualche mood coinvolto nell’esistenza del male. Dio sicuramente non
vuole il male direttamente ma questo è un prodotto secondario delle sue scelte determinate dalla saggezza
eterna. Il Dio di Melebranche, a differenza del Dieu cachè di Pascal è un Dio di luce intellettuale che illumina
direttamente gli uomini, un Dio scienziato che proporziona i mezzi al fine che si è proposto.
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Dai libertini a Bayle il termine libertini viene spesso associato a autori come La Mothe Le Vayer, Naudè,
Gassendi; questi sono accomunati da forme di pensiero fortemente critiche verso la religione cristiana,
soprattutto nei suoi tentativi di compromesso con la politica e la filosofia. Il libertino predilige il fideismo,
quell’atteggiamento Verso la religione che considera la religione stessa come un fenomeno non
riconducibile alle categorie filosofiche culturali umane. La religione è quindi un'esperienza irrazionale ed
emotiva i cui contenuti sono in contrasto con le elementari nozioni filosofiche. Al contrario del fideismo di
Pascal il fideismo libertino e sempre stato meno credibile. Uno dei principali riferimenti dei libertini è
l’aristotelico Pietro Pomponazzi (Trattato sull’immortalità dell’anima). Inoltre i libertini tendono a prendere
di mira gli usi, i riti e le credenze pagane mostrando con allusioni quanto esse siano vicine alla religione
cristiana. Tuttavia il libertinismo si sviluppa tra le élite senza venire mai propriamente alla luce del sole.
La svolta si avrà con Pierre Bayle (1647-1706), affascinato da Cartesio egli considererà però impossibile
quella filosofia con il dogma della transustanziane . Egli considera l’evidenza postulata da Cartesio
(=indubitabilità assoluta) come un imperativo filosofico da applicare in ogni campo. Nei Pensieri diversi
sulla cometa (1682) analizza l’influenza della superstizione e dell’irrazionalità sulla condotta degli uomini e
l’obbiettivo è quello di analizzare il fondamento della fede religiosa e indagare il suo legame con la morale e
la politica. Per Bayle la religione non si differenzia dalla superstizione per il suo impatto sulla vita morale e
politica degli uomini, infatti i rapporti sociali tra uomini non dipendono dalle loro credenze ma da vincoli
fondati su impulsi passionali. Da questo punto di vista la religione non è necessaria per la società umana,
una società di atei potrebbe sussistere e sarebbe anche più solida di una società fondata sulla
superstizione. L’ateismo permette una morale più pura, non contaminata da elementi irrazionali.
Nel 1686 Bayle pubblica il Commentario filosofico, dove Condanna le persecuzioni contro i protestanti in
Francia rivendicando la necessità di una tolleranza religiosa aperta tutte le confessioni. Quattro anni dopo
pubblica l'avviso ai rifugiati. Il risultato finale di queste riflessioni è la sezione di una sostanziale
incompatibilità tra cristianesimo e società civile. Nell’ultima parte della Bayle si dedica alla redazione del
Dizionario storico-critico, antenato dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alambert. In quest’opera riassume le
conoscenze sui più importanti personaggi storici del presente, del passato virgola in particolare
dell'antichità classica. I singoli articoli sono corredati da ampie riflessioni critiche nelle quali esercita l'abilità
di storico e di filosofo. Emerge inoltre il tema , impossibile da comprendere all'interno di una teologia
cristiana, la presenza del male del mondo. Questa questione compare già con Epicuro e verrà poi affrontata
da Agostino secondo cui:
1. Il male è un niente, non ha una vera e propria realtà perché consiste nell’assenza di ciò che ci
dovrebbe essere.
2. il male non può dipendere da Dio che causa soltanto di ciò che è buono, ma dipende dall’uomo che
pecca liberamente e quindi si attira la giusta punizione di Dio.
3. Dio comunque permette il male e non lo impedisce perché da esso sa trarre un bene eterno e anzi il
male contribuisce con la sua presenza a dare più risalto al bene.
1. È falso che il male sia un niente perché nulla è più reale delle sofferenze e delle miserie, fisiche
morali, degli uomini: il disordine della natura esiste e non può essere negato (Melebranche).
2. È falso che il male dipende dalla libertà dell'uomo perché ogni azione dell'uomo dipende comunque
da Dio, che essendo onnipotente, stabilisce anche la teoria occasionalistica di origine cartesiana e
causa direttamente tutti gli eventi nel mondo dei corpi e in quello delle menti.
3. E falso che Dio possa permettere il male o addirittura considerarlo un ornamento dell'universo,
perché è un Dio infinitamente buono non può tollerare la minima sofferenza della più infima delle
sue creature.
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Di contro a questa disfatta della teologia razionale, Bayle, propone una via d'uscita di tipo fideistico:
l'unico scampo per la fede è un’adesione irrazionale alla religione cristiana, che nasca sulle rovine
della ragione. Se invece si analizza cartesianamente la teologia si giungerà a distruggerla. La ragione
umana non potrà mai comprendere con evidenza dogmi come la Trinità, il peccato originale,
l'incarnazione, la transustanziazione. Con Bayle quindi fede e ragione, religione e filosofia si
divaricano ineluttabilmente; egli non scegli tra le due alternative, o meglio resta imprigionato in un
dualismo e risolto.
Hobbes elabora la propria riflessione a partire da una critica del dualismo cartesiano delle sostanze, a cui
contrappone una concezione materialistica. Nella III Obiezione alle Meditazioni egli critica il cogito
cartesiano dal momento che questo non consente di concludere che sia una sostanza pensante. Cartesio
confonderebbe il soggetto di un azione con l’azione stessa e ritiene erroneamente che, dal momento che il
soggetto pensa, esso debba essere un pensiero. Il soggetto del pensiero secondo Hobbes deve essere una
sostanza materiale, un corpo e le idee invece indicano solo le immagini derivate da qualsiasi sensazione
corporea. Non esistono quindi idee innate, come quella di Dio, ma tutte le idee e pensieri derivano
dall’esperienza.
Nel De Corpore Hobbes spiega in termini meccanicistici il processo della conoscenza sensibile. Le cose
esterne imprimendosi sui nostri sensi introducono nel nostro corpo in movimento virgola in maniera
immediata , attraverso il contatto diretto (es. tatto), o mediata, attraverso l'azione di un altro corpo (es. aria
per la vista). L’impressione generata dall' organo di senso viene quindi trasmessa attraverso i nervi fino al
cervello e al cuore dove incontra una resistenza dalla quale scaturisce un movimento impercettibile
(conatus) verso l'esterno che libera l'organo dalla pressione subita. Questo movimento produce
un'immagine, o fantasma, che noi intendiamo come l'oggetto della nostra sensazione, il quale in virtù della
direzione imposta dal movimento ci appare realmente esistente fuori di noi. La sensazione è quindi
l'immagine prodotta dalla reazione del soggetto alla pressione subita dall’esterno ed è quindi il risultato di
un atteggiamento non esclusivamente passivo ma anche attivo del soggetto. La sensazione quindi non è che
l'apparenza (fantasma) mediante la quale il soggetto coglie le interazioni meccaniche tra i vari corpi, in
particolare tra i corpi degli oggetti e il suo proprio corpo, come qualità degli oggetti. Un colore, un suono e
altre qualità sensibili quindi non sono altro che movimenti attraverso i quali i corpi agiscono sui nostri
organi di senso, producendo ulteriori movimenti che si manifestano in noi come immagini o sensazioni. Le
sensazioni ci forniscono quindi una conoscenza della qualità delle cose ma non la loro essenza. Ciò
conferisce un carattere fenomenistico alla teoria della conoscenza di Hobbes: le qualità che percepiamo
nelle cose non sono nulla di reale al di fuori di noi ma esprimono solo il modo in cui l'oggetto ci appare
soggettivamente. Le sensazioni sono i primi pensieri della nostra mente e quando l'oggetto che le ha
generate si è allontanato, il movimento viene sopraffatto da quello della sensazione successiva; esse si
indeboliscono diventando immagini della fantasia o, meglio, immaginazioni o idee. l'immaginazione si
affievolisce quanto maggiore è il tempo trascorso dalla sensazione da cui è scaturita e quanto è più
disturbata dalla presenza di altre sensazioni. L'immaginazione è la sensazione affievolita, la memoria è
l'insieme di queste immagini sedimentate e costituisce l'esperienza. L’immaginazione si distingue in
semplice, richiama immagini avute in precedenza nella sensazione, e composta nella quale si combinano
liberamente immagini appartenenti a sensazioni differenti.
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Sensazioni, idee e le connessioni che si stabiliscono tra di esse costituiscono la conoscenza originaria; un
tipo di conoscenza inferiore che consiste nel ricordare l’ordine in cui si sono succedute le sensazioni. Per
essere prudenti bisogna sostenere una conoscenza sensibile solo probabile, il cui grado di certezza aumenta
con aumentare della ripetizione delle esperienze, senza mai tuttavia conseguire la validità oggettiva della
scienza, unica conoscenza in grado di giungere a conclusioni universali. Ciò che consente il passaggio dalla
conoscenza particolare dei sensi, comune sia a uomini che a animali, alla conoscenza universale propria
solo degli uomini eidentificata da Hobbes con la filosofia, è il linguaggio grazie a cui si denotano i nostri
pensieri mediante l'imposizione di nomi. I nomi hanno una doppia funzione a seconda che il soggetto li usi:
- per sé nell'uso proprio fungono da note mnemoniche che servono per richiamare alla memoria
le connessioni stabilite tra le diverse idee
- per comunicare con altri nell'uso altrui i nomi fungono da segni comunicativi grazie quali si
suscitano nelle menti degli altri uomini le medesime immagini e le medesime connessione
concepite da chi pronuncia quel determinato nome
- mentre alcuni segni sono naturali (nuvola pioggia), i nomi sono segni convenzionali. Con i nomi
non si denotano le cose in quanto tali, ma le immagini che si formano nella nostra mente. I nomi
poi possono designare qualcosa di particolare, nel caso del nome singolare o proprio (es. Socrate) o
generale, nel caso del nome universale (es. uomo).
- Hobbes riprende una forma di nominalismo vicina a quella di Ockham secondo cui gli universali
non esistono nelle cose, né in una realtà separata e trascendente, ma sono segni con cui l’intelletto
predica più cose particolari con proprietà affini. Solo i nomi quindi possono essere universali,
venendo riferiti a più cose simili. Disponendo di questi termini universali l’uomo è in grado di
elaborare un pensiero verbale, generalizzando gli assunti particolari della conoscenza sensibile
perviene a conclusioni valide universalmente per la scienza.
Il ragionamento si configura quindi come un’operazione sui concetti o sui nomi, la cui correttezza o
scorrettezza dipende dal modo in cui essi si compongono e scompongono sulla base del significato che
viene loro attribuito. I concetti di composizione e scomposizione (o addizione e sottrazione), conferiscono al
ragionamento la natura di un calcolo che non si compie solo su numeri ma anche su grandezze, corpi, moti
e nomi. Ragionare significa dunque addizionare e sottrarre una cosa all’altra, fino a comporre un concetto
generale. Nella concezione del procedimento razionale Hobbes è debitore della logica e terministica e
calcolatoria di matrice aristotelica, contrapposta a quella ramista, questo tipo di logica concepiva il
ragionamento nella forma del sillogismo, ossia come la composizione di proposizioni a loro volta composte
di termini. La ragione quindi non viene più concepita, a differenza di Cartesio, come una sostanza, la res
cogitans ma come una facoltà mentale il cui esercizio è strettamente dipendente dal corpo e che nelle sue
manifestazioni inferiori è comune all’uomo e ad altri animali. Il procedimento della ragione non riguarda
direttamente la realtà esterna, ma sempre e solo le idee che se ne sono originariamente tratte mediante i
sensi. Questo tipo di retto ragionamento, che è acquisito e non innato e ha carattere discorsivo e non
intuitivo, è ciò su cui si fonda la filosofia.
La filosofia è la conoscenza acquisita attraverso il retto ragionamento degli effetti o fenomeni sulla base
della concezione delle loro cause e generazioni, e ancora delle generazioni che possono esserci, sulla base
della conoscenza degli effetti. La filosofia si configura quindi come la conoscenza che procede dagli effetti
alle loro cause e dalle cause ai loro possibili effetti. Essa ha quindi due possibili metodi:
A differenza di Cartesio, Hobbes ritiene che nel mondo esterno vi siano due realtà indubitabili:
- corpi entità estese, coincidono con una parte dello spazio, sussistono di per sé ed esistono fuori
di noi
- movimenti sono gli accidenti delle sostanze corporee , ossia il modo in cui esse causano le nostre
sensazioni e le nostre idee.
La realtà oggettiva del corpo e del movimento è ricavata per deduzione razionale dei concetti di spazio e di
tempo:
- lo spazio, che per Cartesio era una sostanza estesa corporea, per Hobbes non è una realtà
ontologicamente determinata, ma l'immagine con cui nella mente concepiamo un corpo
esclusivamente in quanto esterno a noi lo spazio è quindi il fantasma di una cosa che esiste in
quanto esiste fuori di noi.
- il tempo è anch'esso un entità mentale: è l’immagine con cui concepiamo la successione attraverso
movimenti progressivi di un corpo.
La filosofia della natura (fisica) è la scienza che si occupa del movimento dei corpi. Essa si differenza dalla
geometria, che studia il movimento dei corpi nella misura in cui esso dà origine a figure nello spazio, nello
studio degli effetti prodotti da questo movimento sugli altri corpi. questo comporta anche una differenza
radicale nel metodo utilizzato: la geometria deduce a priori mentre la fisica ha bisogno dell'apporto
dell’esperienza , dal momento che le cause generatrici dei fenomeni naturali non risiedono in noi e quindi si
serve di dimostrazione a posteriori. Di conseguenza la fisica non presenta lo stesso grado di necessità della
geometria, essa è una forma di sapere ipotetico che conduce alle cause possibili dei fenomeni indagati.
Nonostante questo la filosofia naturale non viene esclusa dal novero delle scienze.
La visione materialisti-meccanicistica viene estesa anche all’ambito antropologico. Come per la sensazione,
anche la passione nasce dall’impressione generata dall’incontro tra l’oggetto e l’organo di senso e giunta
fino al cuore da vita a un appetito a un’avversione, a seconda che l’oggetto ostacoli o faciliti il nostro
movimento vitale. I movimenti in cui consistono queste due passioni si manifestano come piacere (amore)
e dolore (odio). Essi vengono definiti da Hobbes come il bene e il male, senza però alcun riferimento a
valori assoluti, anzi essi sono rivolti a percezioni soggettive. Quindi si perviene a una sorta di relativismo
etico che mette in evidenza il carattere laico e antimetafisico della scienza morale. Con deliberazione si
intende l’alternanza meccanica delle passioni fondamentale al termine della quale una prevarrà sull’altra.
La passione predominante che mette fine al processo di liberazione è la volontà, la quale dunque non è
affatto libera, ma determinata causalmente dalla concatenazione meccanica che governa l'avvicendarsi
delle passioni. Dal momento che la volontà non è mai libera viene negata la possibilità di parlare di libero
arbitrio. L'unico spazio riservato alla libertà è la libertà d'azione, intesa come assenza degli impedimenti
all’agire esteriore.
Hobbes abbraccia l’ideale baconiano di scientia et potentia e quindi concepisce la filosofia come un sapere
preminentemente pratico che serve all’uomo per creare fondamenta sul passato e congetturare il futuro.
Questo è un inteso:
- in senso positivo, come nel caso della filosofia naturale che consente di sviluppare una serie di arti
utili al genere umano.
- in senso negativo, come nel caso della filosofia civile che consente agli uomini di evitare le grandi
calamità cui sarebbero esposti se non conoscessero i suoi principi. Questi principi formano le regole
del vivere dell’agire che ci permette di stabilire se le nostre azioni siano giuste o meno. Tuttavia la
concezione relativistica del bene del male non consente di fissare in maniera univoca i valori.
L'unica via per mettere fine al conflitto che ne consegue, superando il relativismo etico, è
individuata nell’istituzione di un potere sovrano che stabilisca un criterio generale dell’agire. La
politica rappresenta quindi la sfera entro la quale fondare un'etica condivisa in vista del
superamento della naturale conflittualità tra gli uomini.
L'analisi politica di Hobbes, sviluppata prima nel De Cive e poi nel Leviatano, è fortemente condizionata dai
principi del giusnaturalismo moderno secondo cui il diritto ha un fondamento naturale precedente e
indipendente rispetto al diritto positivo e statuario. Questa convinzione è già presente nello stoicismo
antico secondo cui la natura è permeata da una razionalità immanente che ne determina l'ordine
necessario. Quindi il diritto naturale viene a coincidere con l'ordine ontologico della natura stessa e il suo
fondamento metafisico e garanzia di universalità. La tradizione cristiana, agostiniane tomistica, recupera
questo concetto in una nuova prospettiva: quello che per gli stoici era il logos universale diviene l'ordine
che Dio impone alla natura durante l'atto creativo. La lex divina quindi rispecchia da un parte la lex
naturalis e dall’altro la lex rationalis. Durante il Seicento la natura a cui il diritto naturale fa riferimento non
è più solo quella esterna ma anche quella interna razionale.
Anello di unione tra la concezione metafisico teologica del giusnaturalismo antico e medievale e quello
moderno è la scolastica spagnola del Cinquecento, che accentua la lex rationalis.
Tuttavia il giusnaturalismo moderno si diffonde nel Seicento grazie al filosofo e giurista olandese Ugo
Grozio soprattutto con lo scritto De jure belli ac pacis. Grozio è convinto che le controversie religiose
abbiano indebolito la concezione di un fondamento teologico del diritto e quindi cerca di ricondurlo a
principi universali validi a prescindere da appartenenze confessionali dei singoli individui. Senza negarne
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l'origine divina fonda così il diritto sulla ragione umana: è giusto ciò che è a essa conforme, ingiusto ciò che
se ne discosta. Questa impostazione viene perfezionata da Samuel Pufendorf che tratta la scienza giuridica
come una scienza deduttiva che procede dalla ragione e inoltre afferma l’esigenza di emancipare il diritto
sia dalla morale che dalla religione. Infatti mentre nel diritto è essenziale l’elemento della coazione (multa
se non segui le norme), nella morale non si dà nessun tipo di coazione e il rispetto della norma è rimesso
alla coscienza. La teoria giusnaturalistica su cui convergono Grozio e Pufendorf si articola intorno a due
concetti:
1. stato di natura è la condizione che precede la costituzione della società civile o stato e può
essere considerato o come una condizione reale data storicamente, o come una condizione
soltanto ideale
2. contratto sociale e il momento in cui, con un patto, si registra il passaggio dallo stato di natura
alla società civile punto lo stato politico, contrapposto lo stato di natura, si configura pertanto come
una condizione artificiale sorta in seguito a una decisione umana. Il patto viene articolato
solitamente in due momenti distinti:
o pactum unionis gli individui si uniscono in una società
o pactum subjections gli individui si sottomettono a un’autorità sovrana
Il giusnaturalismo forniva ad Hobbes gli strumenti per fondare una scienza politica. Hobbes prende avvio
dallo stato di natura che però non ritiene una realtà storica ma un’ipotesi metodologica. Per Hobbes lo
stato di natura è:
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nei primi tre libri Locke esegue la propria opera di bonifica del terreno dell' indagine filosofica,
richiamando quelli che diverranno i tratti che colori della tradizione empiristica successiva
(esperienza, fenomenismo, nominalismo). Il quarto libro rappresenta la pars construens in cui
troverà espressione la profonda continuità di Locke con la tradizione del razionalismo seicentesco.
Nelle pagine introduttive del saggio invece compaiono osservazioni di carattere metodologico
come: l'esame dell'origine, della certezza e dell’estensione della conoscenza umana. Esso non deve
essere affrontato percorrendo la via della metafisica, che spiega l’anima a partire dalla sua essenza
di sostanza immateriale, e nemmeno percorrere la via della fisica, che riduce le manifestazioni dell'
anima a movimenti corporei determinati da interazioni meccaniche ma deve seguire un metodo
storico che oggi si potrebbe definire genetico, in cui si analizzano i diversi modi in cui l'intelligenza
acquisisce le nozioni di cui dispone, come opera su di esse e secondo quali procedimenti conferisce
il proprio assenso alle conoscenze che elabora.
Il primo passo del metodo storico prescritto da Locke consiste nell’individuare l’origine delle
conoscenze di cui la mente dispone. Anche Locke parla di idee per indicare i contenuti della
coscienza (=oggetti immediati del pensiero). Locke designa con il termine idea anche le varie
maniere in cui le scuole filosofiche avevano descritto le rappresentazioni della mente. Le filosofie
che a partire da Cartesio considerano l’idea come il medium tra soggetto e mondo entreranno a far
parte della categoria storiografica della way of ideas.
Locke ammette un’unica origine possibile delle idee: l’esperienza. Il primo libro del Saggio è
dedicato alla confutazione dell’innatismo, rivolgendo la critica soprattutto ai filosofi e teologi inglesi
del Seicento e soprattutto contro le correnti neoplatoniche di Cambridge (Cambridge vs Oxford) e a
personaggi come Edward Herbert di Cherbury e Henry More che sostenevano l'esistenza della
divinità suprema, la necessità di un rapporto di devozione dell'uomo nei confronti della divinità, le
esigenze di un culto in cui si esprimesse una condotta retta, la funzione riparatrice del pentimento e
l'attribuzione di sanzioni morali eterne. More sosteneva che ogni uomo possiede una nozione
innata di Dio e che la conoscenza delle verità eterne è uno dei caratteri essenziali dell’anima
umana. Locke non mette in discussione la validità di tali principi ma la loro origine all’interno
dell’anima umana.
Locke volge la critica dell’innatismo soprattutto verso il consenso universale, che sarebbe fallace
sotto due aspetti:
1. Viene smentito dall' esperienza se i principi speculativi e pratici fossero davvero innati allora
dovrebbero valere incondizionatamente per ogni essere umano. Invece l'esperienza mostra che
né i bambini né gli idioti ammettono come ovvi i principi della logica, oppure che molti popoli di
culture e tradizioni differenti sembrano non aver fatto norme morali universalmente condivise.
2. argomento di rilievo teologico innatismo secondo cui l'uomo dispone fin dalla nascita della
verità a cui potrebbe comunque giungere una volta entrati in possesso delle sue facoltà
conoscitive significherebbe rendere vana l'opera di Dio, che avrebbe dotato l'uomo di una serie
di facoltà superflue. Dio però non fa nulla che non risponda a un fine ben determinato quindi al
momento della nascita la mente non contiene in sé nessuna verità ma soltanto le facoltà
necessarie a conoscerla.
se non esistono idee innate, la mente deve essere concepita come un foglio bianco privo di
qualsiasi contenuto. Essa è ricettiva rispetto alla moltitudine di idee che deriva dall' esperienza.
L'uomo comincia ad avere idee e quindi a pensare non appena comincia a servirsi dei sensi. La
mente non pensa sempre, ma da quando inizia l'esperienza. Esperienza non è però limitata alle
sensazioni che provengono i cinque sensi esterni ma riguarda anche il senso interno mediante cui
riflette su se stessa e sulle proprie operazioni;
o Dai sensi esterni si ottengono le idee di sensazione
o Dal senso interno le idee di riflessione
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o provengono dal senso e pongono la mente in una condizione di passività. La mente è
uno specchio che non può non riflettere le immagini che le passano davanti.
o sensazione riflessione forniscono alla mente idee semplici. Le idee rappresentano le
varie qualità dell’oggetto che cade sotto i nostri sensi e quando le consideriamo
complessivamente abbiamo la rappresentazione dell’oggetto. Essi possono provenire da un
solo senso esterno o dalla combinazione di più sensi esterni, come per l’idea di spazio
estensione, della figura, del movimento che derivano da percezioni insieme tattili visive;
oppure possono provenire dalla sola riflessione, riguardando le due attività principali della
mente: il pensare e il volere, oppure ancora dalla combinazione di sensazione e riflessione.
- Qualità originali o primarie le qualità che i nostri sensi percepiscono in ogni parte della materia e
che sono inseparabili da essa, come la solidità, l'estensione, la figura, il moto e la quiete
- Qualità secondarie il potere che certi corpi hanno di produrre in noi diverse sensazioni per
mezzo delle loro qualità primarie come i colori, i suoni, i sapori, etc.
- A queste due specie di qualità Locke ne aggiunge una ulteriore che consiste nel potere dei corpi di
modificare le qualità primarie di altri corpi in virtù delle proprie qualità primarie, in maniera che
essi agiscano sui nostri sensi per via indiretta.
- se la qualità primarie sono reali, le altre due sono semplici poteri di agire direttamente sui sensi
o mediante altre cose che non hanno nessuna corrispondenza nei corpi.
Accanto alle idee semplici e passivi, Locke riconosce le idee complesse che vengono formate dalla mente in
tre modi possibili:
1. Modi idee di modo: rappresentano i modi di presentarsi delle sostanze. Vi sono idee di modi
semplici, combinazioni della medesima idea semplice, e idee di modi misti che sono combinazioni
di idee semplici di diversa specie. Tra le idee di modo Locke considera:
o Idea dell’eternità e dell’infinità idee di modo derivate dalla semplici idee di spazio e
tempo. In conformità con il metodo storico, Locke non vuole indagare l’intima natura dello
spazio e del tempo. La spazio è l’idea che otteniamo mediante la sensazione della distanza
che si percepisce tra gli estremi dei corpi (viene negata l’equivalenza spazio/estensione =
corpo).
o Pensiero una delle due principali facoltà della mente. Ogni impressione introdotta nella
mente attraverso i sensi è accompagnata dal pensiero. Questo pensiero si può manifestare
in vari modi a seconda di come opera sulle idee:
Ricordo percezione non è più attuale
Contemplazione
Memoria
Attenzione
Sogno seppur incoerente e lontano dai sensi in cui la mente opere sulle proprie
idee
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o Volontà uno dei modi in cui si esprime l’idea semplice del “potere”. Intesa come potere
la volontà esprime la possibilità in noi stessi di cominciare o non cominciare, continuare o
interrompere azioni della nostra mente o movimenti del corpo. Se la volontà è il potere di
preferire qualcosa, allora la libertà è il potere di dare seguito alla volontà o di astenersene,
sicché l’uomo è libero nella misura in cui è in grado di agire o meno seconda la
determinazione della propria volontà. Se si è liberi di fare, non lo si è però di volere: la
volontà in Locke è sempre determinata. Se inizialmente secondo Locke essa veniva
determinata da una sorta di intellettualismo etico, successivamente individua un disagio
provocato dal bene mancante, che prescinda da qualsiasi valutazione di tipo intellettuale
(es. ubriacone che continua a bere).
2. Sostanze idee di sostanza: combinazione di idee semplici che rappresentano cose sussistenti per
se stesse, sia che si tratti di sostanze singole che collettive. Locke parte dalla domanda circa l’origine
della nostra idea di sostanza. Senza negarne l’esistenza, come farà Hume, Locke arriva a negarne la
conoscibilità (limiti conoscenza umana).
3. Relazioni idee di relazione: nascono quando la mente confronta tra loro idee diverse e
anch’esse sono in ultima istanza costituite da idee semplici riconducibili alle due fonti
dell’esperienza. Tra le principali idee di relazione Locke analizza:
o Relazione di causa e effetto Si forma nella nostra mente a partire dall' osservazione
delle azioni che corpi esercitano gli uni sugli altri punto la mente può in relazione agli eventi
di cui fa esperienza individua come causa ciò che fa sì che qualcos'altro comincia ad essere
e come effetto ciò che inizi ad altro punto sebbene la relazione causale abbia qui ancora un
fondamento reale oggettivo Locke dice che essa può venire conosciuta solo in maniera
limitata perché il nostro intelletto non è in grado di coglierla natura ultima delle cose.
o Relazione di identità e diversità Il rapporto tra cose esistenti in determinati spazi e
tempi, e le medesime cose in altri tempi, sulla cui base affermiamo la loro identità e
diversità, è anch’esso frutto delle operazioni di composizione della mente che compie su
idee semplici ricavato dall' esperienza. Questo modo di concepire identità come une
relazione stabilita dalla mente tra due o più idee che si presentano in tempi e spazi diversi
trova applicazione anche nella questione dell'identità personale, ovvero l'identità dell'io
con se stesso nello scorrere del tempo. Locke definisce come persona l’essere pensante
fintanto che ha consapevolezza dei propri pensieri, questo elemento è l’unica coscienza in
grado di riunire esistenze fra loro lontane nel tempo e di fondare quindi l’identità
personale.
Tra le varie difficoltà che si incontrano nella filosofia molte si devono un abuso del linguaggio e un uso
oscuro e improprio delle parole. Tra idee e parole vi è una connessione stretta e costante. Le parole sono i
segni esterni delle nostre idee, segni sensibili di esse. Il linguaggio ha una funzione comunicativa fondata
sul suo carattere convenzionale. Le parole sono segni immediati delle idee ma non delle cose infatti non
dicono nulla della esistenza reale delle cose a cui mediante queste si riferiscono ( sono segni dei segni
delle cose).
L’ultimo libro del Saggio ha come oggetto la conoscenza e la probabilità. La conoscenza è la percezione del
legame e della concordanza o della discordanza e del contrasto, tra le nostre idee.
La concordanza o discordanza può articolarsi in quattro specie di rapporti tra le idee, che esauriscono ogni
possibile conoscenza:
- Identità
- Diversità
- Relazione
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- Connessione necessaria
- Esistenza reale
Questo rapporto tra idee può venire colto in due modi:
- Intuizione lo percepisce in modo immediato senza l’intervento di altre idee. Si ha il massimo
grado di chiarezza e di certezza
- Dimostrazione maniera mediata e discorsiva. Si opera per dimostrazione quando le idee che
vogliamo confrontare sono troppo lontane tra loro per percepirne la concordanza o la discordanza.
- Locke individua quindi tre ordini di realtà di cui si può conseguire una conoscenza certa:
1. Io esso viene conosciuto in maniera intuitiva, come in Cartesio. Nulla può essere più
evidente per noi della nostra stessa esistenza
2. Dio la certezza della sua esistenza si consegue per via dimostrativa, facendo ricorso
all’argomentum ex contingentia che prende mossa dalla considerazione che le cose del mondo,
non avendo in sé la ragione del loro essere, devono rimandare a un essere eterno, fonte
dell’essere e di ogni perfezione.
3. Cose sensibili la loro conoscenza non raggiunge mai la certezza dell’intuizione o del
ragionamento discorsivo, però la percezione sensibili attuale che si ha in presenza dell’oggetto
fornisce una conoscenza viva e certa della realtà percepita. Quando però la percezione perde il
suo carattere attuale E l'idea viene conservato nella memoria, dalla sfera della conoscenza
certa si passa a quella del giudizio, fondato sulla mera probabilità dell’opinione punto la
probabilità riposa su due fondamenti:
analogia con altri oggetti dell'esperienza
autorità, ossia la testimonianza altrui (es. conoscenza storica)
Locke riconosce che lambito della probabilità è sufficiente a garantire lo
svolgimento dell'azione quotidiana la quale presuppone la validità di una serie di
conoscenze di cui non si può avere certezza assoluta. Questo atteggiamento è
preferibile a quello di coloro che pretendono ostinatamente di conoscere ogni cosa
in maniera evidente.
Locke riconosce un terzo ambito del sapere, la fede. Pur fondandosi anch'essa su una forma di autorità, la
fede si discosta dall' opinione probabile perché la testimonianza su cui riposa arriva direttamente da Dio
attraverso la rivelazione e dal momento che Dio non può ingannare essere ingannato le verità della fede
hanno una certezza superiore ogni dubbio. La ragione deve però assicurarsi che la rivelazione a cui fornisce
il proprio senso sia una rivelazione divina l'accordo tra fede ragione e uno dei mezzi con cui Locke
combatte le derive fideistiche della religione e ogni stravaganza imputabile al fanatismo o entusiasmo.
(vicinanza a razionalismo cartesiano).
Per quanto riguarda la riflessione politica, i suoi due Trattati sul governo vennero composti verosimilmente
nel 1681.
1. Il primo ha natura polemica e mira alla confutazione delle tesi sostenute da Robert Filmer,
sostenuto da Carlo I. in Patriarca, o il potere naturale dei re, Filmer sosteneva una concezione
assolutistica del potere monarchico e del diritto divino dell’autorità sovrana: il potere detenuto dai
re era stato originariamente comunicato da Dio ad Adamo e poi trasmesso ereditariamente alle
varie generazioni di sovrani. Questa posizione che escludeva qualsiasi ruolo del popolo nella
legittimazione dell’autorità sovrana aveva destato forti reazioni negli ambienti progressisti a cui
apparteneva lo stesso Locke. Già Tyrrell nel 1681 pubblicava un’opera dal titolo polemico Patriarca
non monarca. Locke Confuta le tesi di Filmer attraverso un' accurata analisi dei passi biblici da cui
l'autore stesso aveva derivato l'autorità assoluta di Adamo sulla discendenza , mostrando come essi
parlano invece a favore di una libertà originaria degli uomini punto sulla base di questa libertà
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naturale Locke afferma che l'autorità politica non possa venire assimilata al’ autorità paterna la
quale avrebbe ormai una via irrintracciabile.
2. Nel secondo Trattato Locke espone in maniera compiuta la propria concezione del diretto e dello
Stato. Anche Locke si pone in una prospettiva giusnaturalistica. Anche Locke concepisce lo stato di
natura come uno stato di uguaglianza e libertà degli individui, ma non ritiene che questa situazione
contenga in quanto tale il presupposto della conflittualità. La libertà per Locke non equivale a
esercitare i propri diritti in maniera indiscriminata. Lo stato di natura è uno stato di pace e armonia,
in cui gli individui godono di tre diritti fondamentali:
o Vita
o Libertà
o Proprietà istituita mediante il lavoro
o obbediscono al disegno della legge naturale fondata sulla ragione, la quale stabilisce che
a ciascuno tocca il suo e che i diritti di ognuno terminano dove iniziano quelli degli altri.
Tuttavia anche in questo stato tendenzialmente pacifico, l'assenza di un' autorità superiore rende
possibile l'emergenza della violenza e della relativa contro violenza. In questo modo la guerra
diventa permanente una volta in sorta. Nasce quindi l'esigenza di uscire dallo stato di natura e di
costituire una società civile mediante un patto sociale, che si configura in maniera molto diversa da
quella di Hobbes. Mentre nel caso di Hobbes il patto alienava tutti i propri diritti naturali, per Locke i
diritti naturali sopracitati sono inalienabili. Entrando nel patto, l’individuo lockiano cede invece i
propri poteri naturali:
L’unico libro che pubblica con il suo vero nome sono i Principi della filosofia di Cartesio (1663), dove spone
secondo il metodo geometrico alcune parti dei Principi della filosofia di Cartesio, aggiungendovi in
appendice i propri Pensieri metafisici. L’amico di Spinoza, Meijer, avverte nella prefazione che Spinoza non
concorda con tutte le tesi di Cartesio, discostandosi da quelle riguardanti il libero arbitrio dell’uomo e
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l’esistenza di questioni superiori alla comprensione umana. Nei Pensieri metafisici viene criticata la
scolastica in particolare per avere rappresentato Dio come un ente finito.
- Breve trattato su Dio, l’uomo e il suo bene (1862) nella prima parte Spinoza parla di metafisica.
Spinoza dimostra l’esistenza di Dio con due prove a priori, contro Tommaso d’Aquino e di
preferenza cartesiana, e due a posteriori. La definizione spinoziana di Dio è che Dio è l’essere
infinito dotato di infiniti attributi e la tesi che ne viene dedotta è Dio è l’unica sostanza infinita.
Degli infiniti attributi divini la mente umana conosce solo il pensiero estensione appunto
l'estensione non è una sostanza separata da Dio ma è un suo attributo . Dio è causa di tutto ciò che
esiste in natura ma non è separato da essa, ne é dunque causa immanente e gli effetti seguono
necessariamente dalla sua stessa essenza. Le prime conseguenze degli attributi divini sono le
modificazioni infinite, il moto e la quiete nell’attributo dell’estensione e l’intelletto nell’attributo del
pensiero. Secondo una terminologia utilizzate nella scolastica, ma anche da Giordano Bruno, Dio è
chiamato natura naturante e ciò che segue da Dio natura naturata. Spinoza reinterpreta in base a
questi concetti le proprietà che il pensiero teologico ha attribuito a Dio:
o la provvidenza tendenza dell’intera natura all’autoconservazione
o la predestinazione necessità con la quale le cose esistono e operano
la seconda parte del trattato è dedicata alla mente umana. L’uomo non è una sostanza ma una
modificazione finita degli unici due attributi divini che ci sia dato conoscere, l’estensione e il
pensiero. Poiché pensiero ed estensione infiniti esprimono la stessa sostanza, tra di loro vi è una
corrispondenza, la stessa che c’è tra corpo e mente umani. Qui i generi di conoscenza si riducono a
tre, come avverrà anche nell’Etica; la conoscenza procede per:
o Opinione
o Convinzione Conoscenza razionale che procede per concetti e dimostrazioni, ora
dichiarato esente da errori
o Conoscenza chiara e distinta carattere immediato, che mette la mente in contatto con la
cosa stessa senza alcuna mediazione concettuale
Questa volta però Spinoza esclude che per accedere alla verità sia necessario un metodo. Per
riconoscere un’idea vera è necessario averla: la verità è norma di se stessa e del falso.
Caratteristica della conoscenza vera è la sua immutabilità.
I diversi generi di conoscenza si riflettono nelle diverse passioni. Le passioni che seguono da:
o l'opinione sono mutevoli e rivolte verso beni passeggeri. l'opinione ha poi le sue passioni
specifiche, quelle negative dell'odio della tristezza
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o la ragione , grazie alla sua capacità di formarsi dei universali, e in grado di forgiare un
modello ideale di uomo in base al quale giudicare buone o cattive lezioni virgola e si è in
grado quindi di valutare e orientare le passioni
o nel Breve trattato compare un abbozzo della teoria del’ eternità della mente. L'eternità
della mente dipende dal suo oggetto e solo l'unione con un oggetto eterno, Dio, mediante
la conoscenza vera, permette alla mente di essere eterna. Questa unione è possibile solo
grazie all’ultimo genere di conoscenza, l’intuizione intellettuale che non si serve di concetti.
L'unione con Dio rende gli uomini simili a Dio stesso e veramente liberi.
o all'unione con Dio Spinoza contrappone l'unione con il corpo, fonte di conoscenze
inadeguate di passioni tristi.
o Nel Breve Trattato è reso esplicito il rifiuto del libero arbitrio , per il fatto che non esiste
qualcosa come la facoltà del volere punto la volontà è solo un ente di ragione che non ha
alcuna realtà nelle cose.
L’Ethica ordine geometrico demonstrata (ultimata nel 1675) ma mai pubblicata da Spinoza per la paura di
reazioni ostili, segue un ordine espositivo secondo il modello di Euclide, già sperimentato prima in altre
opere. L’Ethica è divisa in cinque parti e ogni parte si apre con una serie di definizioni e assiomi dai quali
sono poi ricavate le proposizioni, ossia i teoremi. Alle dimostrazioni condotti su modello geometrico si
affiancano gli scoli (chiarimenti).
1. Ripresa dei temi metafisici già impostati nel Breve trattato. Spinoza dimostra l'esistenza di Dio a
partire dall' esistenza necessaria della sostanza, applicando adesso la prova priori che Cartesio
aveva perfezionato per Dio. dal momento che la sostanza non ha bisogno di altro per esistere per
essere intesa essa esiste necessariamente. L'essenza di una sostanza espressa dai suoi attributi e
per queste due sostanze che avessero lo stesso attributo coinciderebbero, dunque per ogni
attributo si dà una sola sostanza. Dio è una sostanza infinita e la sua infinita si esprime attraverso
un' infinità di attributi, ogni attributo che possa essere concepito individua una sola sostanza, quella
infinita. Qualsiasi cosa finita è una modificazione dell’unica sostanza infinita. Gli attributi divini di
cui parla Spinoza sono:
o Pensiero
o Estensione assenza in essa di qualunque limite, teorizzata da Cartesio, sarà la base su cui
Spinoza ne costituisce la divinizzazione. L’estensione è infinita e indivisibile, non essendo
composta da parti, pertanto può essere attribuita a Dio.
Il rapporto tra Dio e la natura è un rapporto di derivazione necessaria. Spinoza si appoggia sulla
concezione della causalità. Il rapporto di causa-effetto è lo stesso che c’è tra premessa-
conseguenza. Esiste un solo senso nel quale Dio può essere definito libero: al contrario degli enti
finiti, Dio non è determinato da altro ma solo dalla propria natura a esistere e a operare.
La creazione degli enti feti segue dall' estensione infetta attraverso le leggi del movimento,
chiamate modo immediato infinito punto è un modo perché, come accidenti, dipende dalla
sostanza, ma al contrario degli accidenti della scolastica, le leggi del movimento derivano
necessariamente dalla sostanza stessa. Si tratta quindi di un modo infinito perché leggi del
movimento hanno validità sempre e ovunque. Le leggi del movimento diversificano l'estensione
dando luogo all’insieme dei singoli corpi, ovvero l'insieme dell' universo, che viene chiamato modo
mediato infinito. Ora il modo e immediato perché deriva dall' attributo dell’estensione modificato
dal movimento. Ogni singolo corpo costituisce invece un modo finito. Il modo immediato infinito
nel pensiero e l'idea di Dio, mentre i modi finiti nel pensiero sono le idee dei singoli corpi. Il
movimento non viene imposto alla materia da Dio ma è una conseguenza della materia stessa.
Il Dio spinoziano non ha nulla in comune con la tradizione giudaico-cristiana:
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o Non c'è distinzione tra Dio e la natura
o Dio agisce necessariamente
o il mondo esistente è l'unico possibile
o Dio non ha attributi morali e di lui non si può dire che sia buono
o per giustificare la radicalità della sua proposta virgola che gli verrà l'accusa di ateismo,
Spinoza ricostruisce la genesi dell'errore di tutta la tradizione teologica precedenti. Vi
sarebbe un pregiudizio radicato nelle menti degli uomini secondo cui la natura agisce per
un fine e questo fine è il bene dell'uomo e da questo pregiudizio avrebbe avuto origine la
convinzione non solo che Dio sia libero e provvidente, ma anche la credenza nell’oggettività
dei valori. A causa del pregiudizio finalistico, infatti, la natura è stata divisa in eventi che
raggiungono il loro presunto fine, il bene dell'uomo, ed eventi che non lo raggiungono
punto i primi vengono giudicati belli e buoni mentre secondi brutti e cattivi. Proponendo
l'immagine di un Dio immanente viene meno la necessità di rispondere all’insolubile
domanda da dove abbia origine il male. Quindi a un Dio immanente, la cui azione
necessaria non competono attributi morali. Bene e male non esistono in natura e niente nel
mondo sarebbe dovuto essere diverso da quello che necessariamente. Secondo Spinoza la
liberazione dal pregiudizio finalistico è il frutto maturo della rivoluzione scientifica. Ogni
ente segue le leggi della propria natura e il giudizio di valore attributo è solo una proiezione
indebita dei desideri umani.
2. La mente è idea del corpo. L'unione tra mente corpo non consiste loro causalità reciproca ma nel
fatto che ogni modificazione variazione fisica corrisponde una percezione nella mente. Questa
corrispondenza si spiega considerando che mente e corpo sono modi finiti dei due tributi dell' unica
sostanza. L'identità di mente e corpo sfata il vecchio pregiudizio della superiorità della mente sul
corpo; una mente è invece superiore a un'altra causa della superiorità del corpo essa
corrispondente su quello dell'altra. L'uomo ha una mente superiore a quella di un animale una
pianta perché il suo corpo è più complesso e non perché solo l'uomo abbia una mente. Il corpo è il
punto di partenza obbligato per comprendere le prestazioni della mente punto ed è per questo che
la parte dell'etica dedicata alla teoria della conoscenza contiene un breve trattato di fisica sulla
struttura del corpo e le sue prestazioni. Il corpo non solo non è una sostanza ma è un aggregato di
altri corpi, più semplici, che nel loro insieme formano l'individuo il quale a sua volta si distingue dai
corpi circostanti solo per le proporzioni di movimento che corpi semplici mantengono al suo
interno. Questi stessi corpi semplici possono cambiare anche interamente l'importante è che quelli
che li sostituiscono mantengano tra di loro la stessa proporzione di quiete movimento. Il corpo
umano è composto da corpi di diversa consistenza (fluidi, molli, duri). I corpi molli sono facilmente
modificabili e conservano le tracce delle modificazioni del tempo e in questo modo il corpo umano
è in grado di divenire un deposito e queste modificazioni costituiscono la memoria materiale del
corpo, base necessaria per la reazione cognitiva e attiva all’ambiente esterno.
Spinoza divide le idee, piuttosto che in distinte e confuse come aveva fatto Cartesio, in:
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o La mente umana, al contrario di quella divina, non contiene solo idee adeguate. essa nel
tempo si riempie di percezioni di cui ignora le cause e che inducono necessariamente
l'errore. Chi si affida alle percezioni sensibili e dunque inevitabilmente immerso nella
conoscenza inadeguata e quindi nell’errore. Ogni percezione implica sempre un giudizio e
se la percezione adeguata anche il giudizio che la concerne è errato.
o Le percezioni di origine sensibile sono sempre errate per varie ragioni:
Mancano della conoscenza delle loro cause
Dipendono dalla natura del soggetto
Deformano l’oggetto percepito secondo le caratteristiche del corpo percipiente
Le percezioni non sono in grado di assicurare che esiste un oggetto esterno che le
ha provocate infatti la modificazione del cervello provocata da un oggetto
esterno può essere identica a quella provocata dal corso fortuito degli spiriti
animali del sistema nervoso e in entrambi i casi la mente umana giudicherà
necessariamente esistente l'oggetto esterno che ha provocato questa sensazione
anche quando esso non esiste.
o La ragione e l’intelletto sono le due facoltà qui è concesso di raggiungere la conoscenza
adeguata. Alla regione compete la conoscenza universale (secondo genere di
conoscenza), all’intelletto quella intuitiva delle cose singole (terzo genere di conoscenza).
Anche l’immaginazione può produrre idee universali, ma queste sono il risultato del
confuso assommarsi di percezioni singolari (universali della scolastica di origine
aristotelica).
o Attraverso la conoscenza di secondo genere, la ragione, la mente umana raggiunge una
conoscenza universale e adeguata in forza delle proprietà comuni al proprio corpo e ai
corpi esterni. Le proprietà comuni non sono conosciute per astrazione dalla molteplicità dei
dati percepiti: ogni percezione contiene le informazioni relative a queste proprietà e la
mente è in grado di riconoscerle purché vi presta attenzione. Questo spiega il fatto che io
stesso sia conosciuto grazie la conoscenza di secondo genere, anche Dio, infatti è una
proprietà comune a tutti i corpi dal momento che tutti i corpi sono in Dio e dipendono da
Dio. L'idea di Dio è nota a tutti, ma solo la mente che vi presta attenzione vi ha accesso.
o Inoltre Spinoza e convinto che la mente possa raggiungere una conoscenza adeguata di
livello superiore alla conoscenza universale della ragione che è il terzo genere di
conoscenza, ovvero la scienza intuitiva, dovuto all’intelletto. questo genere di conoscenza
presuppone la conoscenza adeguata di alcuni attributi divini e daje si ricava la conoscenza
dell'essenza delle cose singolari. Essa carattere immediato e un esempio è la conoscenza
che la mente umana ha di se stessa. Alla conoscenza intuitiva spetta il privilegio di
permettere alla mente l'accesso allo stato di beatitudine, lo stesso di cui gode Dio, e di
provare l'amore intellettuale ovvero l'emozione che si addice alla conoscenza adeguata.
o Inoltre Spinoza distingue tra:
essenza delle cose poste in Dio. Le essenze dei corpi sono tutte singolari
esistenze poste fuori da Dio
Le idee delle cose singolari sono la somma dell’idea dell’essenza eterna di un
corpo e dell'idea dell'esistenza di quel corpo nel tempo
così Spinoza Fa rivivere la teoria platonica, trasferita però nell’immanenza,
secondo cui la parte interna della mente trova in se stessa l’eternità necessaria per
accedere alla conoscenza adeguata
Spinoza concorda con le Passioni dell’anima cartesiane quando dice di volerle studiare da scienziato e non
moralmente. La ricostruzione della mappa delle emozioni ha come principio di base il fatto che ogni ente
tenda alla propria autoconservazione e la distruzione di un ente può essere dovuta solo a una causa
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esterna. Lo sforzo per restare nello stesso stato (conatus) è la stessa essenza dell’individuo. La malattia e la
morte, anche il suicidio, sono visti come il prevalere di forze esterne. Le emozioni sono idee di quelle
affezioni del corpo che ne aumentano o diminuiscono la potenza.
- Il desiderio che spinge a mantenersi in vita e la spinta fondamentale verso l'azione e la prima
emozione
- se questa spinta trova soddisfazione e la potenza dell individuo è aumentata,la mente prova gioia
- in caso contrario tristezza
- tutti gli effetti derivano dalla coppia di base della gioia e della tristezza e lo sforzo di
autoconservazione spiega l'intero arco passionale
- dal momento che la mente tende ad auto conservarsi, gli uomini privilegiano il pensiero di ciò che
loro favorevole e tendono a sovrastimare.se stessi e gli individui che aumentano la loro potenza,
provando verso di essi amore
- per lo stesso motivo gli uomini pensano ogni male dei propri nemici, rendendoli oggetti del loro
odio
- dal momento che le emozioni sono percezioni, esse seguono la logica delle percezioni stesse. Esse
si associano tra loro dando origine al fenomeno della simpatia e dell' antipatia.
- Particolare attenzione viene dedicata al fenomeno degli effetti riflessi , le emozioni suscitate dalle
emozioni di persone verso le quali già proviamo sentimenti di amore odio. Più la diminuzione di
potenza di colui che amiamo diminuisce anche la nostra potenza e per questo odiamo colui che
rattrista un nostro amico, mentre amiamo con lui era triste il nostro nemico.
- Per quanto riguarda le emozioni altruistiche, commiserazione, pietà e benevolenza, Spinoza le
spiega come modificazioni del corpo. quando un corpo è modificato dal contatto con un corpo
simile viene modificato anche dalle affezioni di quel corpo e la mente virgola in virtù della
somiglianza tra i due corpi, percepisce le modificazioni del corpo percepitocome.se fossero le
proprie punto la gioia altrui ci rallegra e il dolore altrui ci rattrista , provocando con passione.
- Limitazione degli effetti è un fenomeno centrale nella dinamica sociale dal momento che
l'approvazione altrui rafforza l'autostima, il consenso altrui aumenti il piacere che l'uomo ricava dal
contemplare se stesso e i propri meriti. Essa può anche avere però effetti negativi come quando il
desiderio di un nostro simile per un bene che può essere goduto solo individualmente eccita il
nostro desiderio per quello stesso oggetto provocando invidia e aggressività.
- La tristezza e i suoi derivati discendono da idee inadeguate perché indicano una diminuzione di
potenza.
- Anche dalla conoscenza adeguata discendono conseguenze emotive , esse però sono solo i derivati
di effetti positivi, del desiderio della gioia. Tuttavia non ogni gioia esprime il possesso di una
conoscenza adeguata. Ci sono infatti desiderio e gioia che conseguono conoscenze parziali
inadeguate. Gli effetti attivi che derivano dalle idee adeguate portano a desiderare quel che giova
l'insieme del corpo. Ogni parte del corpo ha una propria spinta all’autoconservazione che può
portare il decremento di potenza del corpo nella sua interezza.
I valori morali vengono visti da Spinoza come frutto del pregiudizio finalistico, l'uomo giudicherebbe le cose
buone o cattive perché la misura sul metro di un modello ideale delle cose a cui l'immaginazione ritiene di
poter paragonare gli enti per giudicarli perfetti e imperfetti. Tuttavia anche la ragione può elaborare un
modello da usare come termine di confronto che al contrario di quelle immaginativo e fondato su una
caratteristica realmente posseduta dalle cose, il loro grado di realtà, ed è quindi un idea de guata,
universale della ragione punto grazie a questo modello si potrà valutare il grado di realtà degli individui in
base al quale saranno giudicati. Ciò che incrementa il grado di realtà posseduto da un individuo, ovvero ciò
che è veramente utile a quell’individuo, è il vero bene. La tesi secondo cui il vero bene è dato da un modello
universale prodotto dalla ragione era già presente negli scritti precedenti. Se la determinazione di ciò che è
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buono fosse demandata alla sola ragione la conoscenza del bene e del male non avrebbe alcun potere sulle
passioni che sono indifferenti al vero e al falso: una passione può essere vinta solo da un'altra passione. Nel
Breve trattato Spinoza, con Aristotele, aveva ritenuto che il giudizio di valore precedesse il desiderio: si
desidera ciò che si giudica buono. Nell’Etica invece, probabilmente influenzato da Hobbes, egli inverte il
rapporto e sostiene che si giudica buono quel che si desidera. La morale poggia anch’essa sul fatto che ogni
ente tenda all’autoconservazione. Lo sforzo di autoconservazione di ogni individuo è la condizione
necessaria della virtù. Il suicida, colui che cede alla forza di cause esterne, è vizioso per eccellenza. Lo sforzo
all’autoconservazione non è condizione sufficiente per la virtù; quest’ultima è equiparata alla potenza che a
sua volta coincide con l’attività. La virtù dell'uomo , consistente nel fatto che egli agisce e non patisce,
implica che i suoi desideri sono la conseguenza di idee adeguate punto il desiderio di autoconservazione
dell'uomo virtuoso consegue quindi dalla ragione che trova la sua massima soddisfazione nella conoscenza
di Dio Enel accesso alla conoscenza intuitiva. Le azioni virtuose non sono compiute in vista di qualcosa e
non hanno di mira vantaggi o premi punto la virtù è premio a se stessa. Dal momento però che la mente
umana non è costituita dalla sola ragione ma anche dall’immaginazione e dalle idee inadeguate , emerge un
conflitto tra il desiderio della ragione e quello dell'immaginazione.
Speranza, paura e umiltà sono emozioni negative e non virtuose. Tuttavia, esse son utili nel mondo umano
che è regolato dalle idee inadeguate e dall’immaginazione. In assenza di idee adeguate il sentimento che
può fermare l’aggressività umana è la paura (Hobbes, capacità civilizzatrice della paura).
Spinoza nega il libero arbitrio (banditi termini come lode, merito, rimprovero e colpa). Merito e colpa
sono le nazioni che caratterizzano la morale immaginativa, quella che per ignoranza ritiene la volontà libera
punto invece la morale della ragione si fonda su valori come il sommo bene e la virtù la cui operatività è
garantita proprio dal determinismo. Per l'uomo i cui desideri dipendono dalla conoscenza adeguata l'azione
virtuosa è un comportamento naturale e non è frutto di scelta: quindi l’agire virtuoso è per lui un valore ma
non merito. L'uomo che vuole privilegiare il comportamento guidato dalla ragione dovrei usare strategie
per dominare le passioni. Il controllo delle passioni si può ottenere con vari mezzi:
L’uomo virtuoso è libero poiché padrone e causa delle proprie azioni. La libertà dell’uomo resta però solo
un ideale della ragione, un focus imaginarius che privilegia la ragione sull’immaginazione. Qaundo l’uomo
raggiunge un’idea adeguata partecipa alla stessa dimensione eterna a cui appartiene Dio. Il vero utile è
sempre difficile, se non impossibile da trovare ed è per questo che la morale è sempre immersa
nell’inadeguatezza. La conoscenza adeguata è possibile però nelle materie speculative, matematica e fisica,
e infine nella conoscenza di Dio. Nella misura in cui raggiunge questa dimensione, essa esce dal tempo per
accedere all’eternità. La virtù suprema conduce la mente umana fuori dal mondo della morale per
raggiungere la dimensione della pura contemplazione del vero e dell’unione con Dio. La mente umana si
colloca così nello stato di beatitudine che indica lo stabile possesso di una condizione di benessere (non è
un passaggio da minor a maggior perfezione). L’uomo accedendo a una conoscenza adeguata prova
l’esperienza di eternità della mente, la mente con conoscenze adeguate quindi non teme la morte perché
non ne è toccata.
La scrittura dell’Etica viene interrotta per iniziare la stesura del Trattato teologico-politico sperando di
convincere i governanti nel concedere ai sudditi la libertà di pensiero. Questa questione implica un aspetto:
- Politico l’appoggio prestato dal potere politico alla persecuzione ecclesiastica
- Teologico legittimità della Chiesa di esercitare un potere sulle conoscenza
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- Spinoza propone quindi di interpretare la Scrittura attraverso la Scrittura stessa. Si scopre che
ess afferma di non proporsi la sapienza ma l’obbedienza al comando divino. La Scrittura è univoca
solo nell’obbedienza a un comando morale. Di conseguenza il testo scaro lascia gli uomini liberi
nelle loro credenze speculative, anche in quelle che concernono Dio e i suoi attributi. Spinoza
attribuendo alla Scrittura il solo senso pratico dell’obbedienza alla legge morale. Così può sostenere
la compatibilità della propria filosofia con la Scrittura. filosofia e rivelazione non hanno nulla in
comune.
Caso delicato è quello dei miracoli, Spinoza propone di intrepretarli in modo da renderli compatibili
con le leggi di natura e se non fosse possibili di respingerli.
Inoltre per eliminare ogni auspicazione della Chiesa in maniera di ortodossia, Spinoza propone la
subordinazione del potere ecclesiastico a quello politico. Tuttavia lo stesso stato potrebbe
sostituirsi alla Chiesa in una politica di persecuzione e intolleranza.
Un primo accenno alla teoria politica è contenuto nell’Etica ed è conseguenza della dottrina morale (
come sono buone le cose che giovano al corpo così è l’unione dell’uomo con i propri simili. “L’uomo è un
dio per l’uomo”). Quanto più gli uomini sono simili tanto più la loro potenza incrementa la potenza di ogni
singolo individuo, ma l’inadeguatezza delle idee divide gli uomini. Dal momento che gli uomini possiedono
sempre idee inadeguate lo Stato serve per assicurare la concordia con lo strumento coercitivo delle leggi.
Lo Stato illuminato farà si che la concordia non sia frutto della paura ma del comportamento spontaneo dei
sudditi. Il sommo bene, la conoscenza di Dio, è comune a tutti e tutti ne possono godere senza niente
togliere agli altri.
La teoria politica viene però sviluppata completamene nel Trattato teologico-politico e nel Trattato politico.
Anche qui la riflessione poggia sulla metafisica. L’uomo è parte della natura e nulla di quanto avviene in
natura è difettoso o malvagio e quindi nulla è illegittimo. Quindi gli uomini che agiscono seguendo le
passioni sono nel loro pieno diritto ma deriva lo stato descritto da Hobbes di guerra perenne. Ne deriva
quindi un comune riconoscimento alla delegazione dei diritti, che deve essere totale, e quindi a una
sovranità assoluta. La forma di governo che meglio tutela la libertà è al democrazia. Anche per Spinoza la
condizione prepolitica è violenta, e il passaggio allo Stato avviene attraverso un contratto dove i diritti
vengono ceduti al sovrano. Tuttavia Spinoza si discosta da Hobbes nell’interpretazione del patto. Infatti se
secondo Hobbes dopo la stipulazione del patto, i diritti a cui si è rinunciato diventano illegittimi, per Spinoza
il diritto di natura vale ancora nello Stato associato. Il timore e il consenso sono gli strumenti attraverso cui
il sovrano vincola i sudditi e ne ottiene l’obbedienza.
Il Trattato politico è caratterizzato da un forte pessimismo sul fatto che gli uomini possano condursi
mediante ragione. Il potere del singolo è sempre subordinato a quello di tutti gli altri individui. Lo Stato,
espressione del potere dei singoli riuniti, non è sottomesso ad alcuna norma ma è la fonte del diritto e della
giustizia. Le leggi che esso promulga sono garantite dal tentativo di mantenersi in vita. Quanto più
garantirà il benessere dei cittadini tanto più sarà in grado di mantenersi in vita. Ogni forma di Stato può
garantire questo scopo, ma non allo stesso modo. Quanto più maggiore è il numero di coloro che
detengono la sovranità, tanto più il potere è assoluto e quindi tanto più è maggiore la partecipazione al
potere e quindi la garanza di libertà del popolo. Il regime democratico, preferito da Spinoza, è quello che
meglio tutela la libertà dei cittadini. Questo governo però non viene trattato perché il testo si interrompe.
Si forma leggendo scritti di correnti ormai periferiche come la Scolastica medievale e moderna, la varie
scuole logico-metodologiche e la trattatistica pan-sofica. Leibniz perseguì finalità sincretistiche con una
filosofia ispirata alla logica e alla matematica.
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Soltanto l’adozione generalizzata del metodo e del linguaggio della matematica può promuovere la
ricomposizione enciclopedica del sapere. Il metodo della matematica impone di definire tutti i termini
impiegati partendo da un insieme di termini semplicissimi e di dimostrare tutti gli enunciati a partire dalle
definizioni adottate. L’analisi deve riportare i definiti alla definizione o gli enunciata alla dimostrazione. La
sintesi invece deve combinare termini o enunciati per costruire oggetti possibili o enunciati dimostrabili.
Queste attività devono essere svolte però attraverso un linguaggio di simboli stabiliti che possano
commutarsi l’uno nell’altro secondo regole. Il pensiero simbolico è quel pensiero che riesce a far calcoli
esatti su oggetti che sfuggono alla nostra capacità di rappresentazione. Leibniz formula quindi il progetto di
una lingua caratteristica o caratteristica universale secondo cui a ogni oggetto viene attribuito un simbolo
che renda noti gli ingredienti concettuali (razionale e animale uomo). Questo ragionamento si basa sulla
sostituibilità di definiti e definizioni, in accordo con la legge di Leibniz: due termini identici possono essere
sempre sostenuti l’uno con l’altro senza cambiare significato. La lingua caratteristica si sarebbe dovuta
sviluppare da un alfabeto dei pensieri umani. Subito praticabile si dimostra invece la costruzione di modelli
formalizzati di calcolo logico.
Leibniz per spiegare che le nozioni che l’uomo si forma danno origine a nozioni veri sui loro oggetti, Leibniz
introduce la dottrina della verità come espressione. Leibniz condivide con Hobbes il fatto che il
ragionamento è reso possibile solo dal linguaggio. Leibniz però contesta la conclusione di Hobbes, secondo
la quale gli enunciati ottenuti attraverso il ragionamento sono veri solo in relazione al sistema adottato,
dicendo che essa è più che nominalistica. I nostri sistemi simbolici sono in grado di raffigurare, attraverso le
relazioni interne tra i loro elementi, le relazioni strutturali proprie delle cose designate. Ciò che egli chiama
“cosa” non è l’oggetto empirico ma un complesso di relazioni strutturali (no empirismo) il cui primo
esemplare è l’idea presente nell’intelletto divino. Quindi tra due rappresentazioni di diverse di un oggetto la
migliore non è quella più vicina ai sensi ma quella più astratta (vicinanza a teoria platonica). Questo
sistema in Leibniz non si manifesta integralmente e resta sostituibile virtualmente da altri migliori. Leibniz
sviluppa una teoria delle idee chiamata “innatismo virtuale”; le idee non sono presenti in noi nella forma di
pensieri attuali o di stati di coscienza (Cartesio) ma come facoltà o disposizioni prossime che convergono
nel concepire un determinato oggetto come dotato di determinate caratteristiche. Si ha quindi una
conoscenza introspettiva delle idee innate ma le possiamo riconoscere in presenza solo attraverso il
confronto di linguaggi e teoria. L’uomo inizia a pensare attraverso i dati sensibili ma i sensi risvegliano delle
disposizioni latenti (nulla esiste nell’intelletto prima dei sensi se non l’intelletto stesso).
Secondo Leibniz l’approccio meccanicistico era l’unico plausibile. Tuttavia compare il timore che spiegazioni
dell'universo basate sulle sue cause efficienti e materiali portino gli uomini a dubitare delle cause
incorporee, l'esistenza di Dio e dell'anima. Per evitare ciò egli elaborò una complessa cosmologia filosofica
che sarà progressivamente perfezionata fino ai Saggi di teodicea (1710). Leibniz era determinista; concepiva
l’universo come una serie di eventi concatenati sulla base di leggi. Tuttavia secondo lui il determinismo non
comporta la necessità degli eventi.
Le verità di ragione, il cui contrario è impossibile, sono quelle ad essere strettamente necessarie. Esse sono
fondate sul principio di identità (dire 4 è uguale a dire 2+2) e il loro opposto è una contraddizione.
Sono invece verità di fatto quelle il cui contrario è teoricamente possibile e che sono perciò contingenti.
Per Leibniz è possibile tutto ciò che è pensabile senza contraddizione. Le verità di un enunciato di fatto si
fondano sul principio di ragion sufficiente secondo cui nulla potrebbe verificarsi o esistere, quindi essere
vero, senza ce vi sia una ragione sufficiente a spiegare perché sia così e non altrimenti. Quindi per stabilire
che un fatto non è illusorio bisogna mostrare che l'enunciato corrispondente è deducibile da premesse vere
e sufficienti a escludere alternative. Questo enunciato sembrerebbe annullare la distinzione tra necessità e
contingenza ma vi sono in realtà due limitazioni:
1. Le premesse dalle quali dipende la verità che vogliamo provare sono anch’esse contingenti in
questi casi la verità di fatto si dice necessaria per ipotesi, ma essa resta contingente in se stessa.
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Anche la necessità fisica rientra nel campo della necessità ipotetica poiché le leggi di natura non
sono sempre necessarie per se stesse (es. mondi possibili in cui non valgono stessi principi).
2. Riguarda la domanda perché esiste proprio questo mondo? Leibniz sostiene che l’esistenza di ogni
ente contingente dipenda da unente necessario, che esiste in virtù della sua stessa essenza, ovvero
Dio. Tali ragioni ci sono ma non dimostrano l’impossibilità di alternative; Dio ha scelto tali ragioni
seguendo una necessità che però non abolisce la contingenza, ovvero la necessità morale di
scegliere la soluzione migliore.
La conoscenza del mondo naturale e l’analisi delle scelte sono i due casi in cui l’applicazione del principio di
ragion sufficiente non abolisce la contingenza. Questi due casi metafisicamente sono riducibili all’ultimo
perché le leggi fisiche contingenti sono stabilite da Dio in base a fini. Si ha una riabilitazione del finalismo
dei filosofi antichi. Il finalismo leibniziano si basa sul fatto che la razionalità architettonica (morale) che
presiede le scelte sia diversa dalla razionalità geometrica (necessaria).
- razionalità architettonica simmetria, equilibrio, semplicità delle vie, gradualità del mutamento.
Un esempio sono il principio di continuità e quello di equipollenza tra causa piena ed effetto intero.
Dunque Dio ha realizzato il migliore dei mondi possibili, quello che è al tempo stesso il più semplice
nelle ipotesi e il più ricco nei fenomeni.
Il finalismo architettonico nasce da motivazioni teologiche il cui obbiettivo più importante è quello
di dimostrare che Dio può essere detto saggio e giusto, senza cadere nell’antropomorfismo.
Secondo Leibniz non solo le verità matematiche ma anche i parametri dell’armonia generano verità
increate. Dio le trova già date nel suo intelletto e deve adeguarvisi alle sue scelte.
Leibniz offre un’immagine della creazione come esito di una lotta tra i possibili per esistere:
1. Tutti i possibili semplici si presentano all’intelletto divino come già dotati di una tendenza a
esistere (il possibile è una realtà metafisica e non una finzione dello spirito)
2. i possibili si combinano generando insieme ancora più propensi a esistere
3. le combinazioni risultano però incompossibili tra loro per ragioni che non vengono chiarite ma
presumibilmente dovute all’esigenza di semplicità e coerenza
4. si formano diversi sistemi completi di possibilità, ovvero infiniti mondi possibili ( distinzione
tra possibile e compossibile sottolinea il fatto che le leggi del nostro mondo non determinano il
possibile ma selezionano le possibilità migliori)
5. il sistema più ricco è meglio ordinato prevale sugli altri (i mondi sono sistemi coerenti di
possibilità rese compossibili da un insieme di leggi)
Nella Nuova ipotesi fisica (1671) viene stabilito che i corpi che conosciamo sono fatti di corpuscoli tra loro
interagenti, i quali a loro volta sono fatti di corpuscoli e così via. Leibniz identificava gli elementi semplici
attraverso le caratteristiche dell’indivisibilità e della puntualità (atomismi antichi). Successivamente gli
elementi semplici divennero le sostanze individuali o monadi.
La forza è la quantità dell’effetto che un corpo in moto può produrre, ad esempio in caso di impatto con un
altro corpo. La forza deve esserci già prima di operare e nelle interazioni deve rimanere costante e
semplicemente redistribuirsi. Secondo Leibniz la quantità che si conserva nelle interazioni fisiche era quella
proposta da Huygens sulle leggi dell’urto, mv2 (mentre per i cartesiani mv, massa x velocità). Leibniz dovese
questa scelta con la Breve dimostrazione di un memorabile errore di Cartesio, ripresa poi nel Discorso di
metafisica (entrambi 1686). Si ipotizzano due corpi di cui uno pesa quattro volte più dell'altro e cade di
caduta libera da un’altezza di 1, l'altro pesa la quarta parte del precedente ma cade da un'altezza di quattro
volte superiore. il secondo arriva terra con una forza adeguata a far risalire il primo all'altezza da cui è
caduto. però la cinematica di galilea mostra che il secondo arriva terra con una velocità di sole due volte
superiore rispetto a quella del primo. poiché sappiamo che la loro forza è uguale bisogna calcolare la forza
di entrambi con mv2 e in questo caso i conti tornano poiché 4x1=4 e 1x2 2=4. Quello che Leibniz sta cercando
di definire non è la forza ma quanto noi chiamiamo energia cinetica (1/2 mv 2) e più la quantità dell'effetto
l’antecedente storico di ciò che chiamiamo lavoro. Leibniz è stato il primo a capire che la conservazione
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dell’energia è una delle leggi fondamentali della natura. Inoltre ha stabilito che alla forza viva, ovvero
l'energia cinetica, deve corrispondere una forza morta, l'energia potenziale, nei corpi inquiete e spiegò la
dispersione dell'energia attraverso il moto delle particelle. A differenza della forza newtoniana (causa della
variazione del moto di un corpo rispetto allo stato inerziale (f=ma) che si applica a un corpo, la forza
newtoniana si applica a un corpo. Tuttavia prevalse il sistema newtoniano.
Leibniz definiva la dinamica come l’anticamera della metafisica: la forza spiega ciò che vi è di reale nei corpi
ma essa non può essere la realtà ultima dal momento che questo posto aspetta alle monadi. Inoltre le forze
fisiche sono derivate. Anche la dinamica va quindi vista come una scienza dei fenomeni, poiché considera
forze che si manifestano attraverso il moto, che è un fenomeno.
Dottrina delle monadi (1696) il sistema delle monadi iniziò a costituirsi solo quando egli comprese che
perché ne risulti derivabile senza residui l’intera realtà naturale, le cosiddette entità semplici dovevano
essere dei sistemi organizzati infinitamente complessi al loro interno. Con questa scoperta Leibniz da vita a
un nuovo tipo di individualismo ontologico costituito da:
1. la dottrina dei concetti completi e il principio degli indiscernibili con sostanza Leibniz intende,
avvicinandosi ad Aristotele, che ogni ente concreto (pure Dio) deve essere pensato attraverso una
molteplicità di predicati che solo congiuntamente esprimono la sua essenza. Però una sostanza
deve sempre risultare pensabile a partire da se stessa. Dai predicati che costituiscono l’essenza
deve essere derivabile un concetto completo logicamente unitario. Una sostanza quindi deve
essere:
o causalmente autonoma
o costituire un sistema chiuso
Dal criterio dei concetti completi, Leibniz deriva il principio degli indiscernibili: se due sostanze sono
diverse esse debbono presentare qualche differenza intrinseca o qualitativa, cioè già scritta nel
concetto completo. Per ogni concetto completo vi è una sola sostanza e le sostanze sono
individuate dal loro concetto completo. Quindi non si possono dare due oggetti che abbiano le
stesse proprietà e che differiscano solo per la posizione occupata nello spazio. Lo spazio è solo una
relazione tra le sostanze. Vengono così date le premesse dell’individualismo ontologico leibniziano:
a. nell’universo esistono soltanto le sostanze e i loro accidenti
b. tutti gli accidenti delle sostanze vengono dall’interno della sostanza e non da cause
esterne
c. tutte le relazioni sono ideali, sono modi con cui le menti considerano le cose, ma non
sono cose a loro volta
2. la percezione gli oggetti che vediamo sono fenomeni. Le percezioni sensibili nascono da una
infinita serie di piccole percezioni avvertite confusamente (es. la risacca viene percepita come un
suono unitario ma è in realtà composta da innumerevoli stimoli sonori). Nulla quindi vieta di
pensare così come la risacca non esiste di fatto, nemmeno i corpi esistano. Per evitare di approdare
a questa conclusione scettica Leibniz ricorre alla teoria dell’espressione secondo la quale ogni atto
percettivo esprime l’insieme degli stati di cose dell’universo in modi coerenti con il punto di vista
del soggetto percipiente. Quindi la percezione può essere vista come l’attività che un determinato
soggetto svolge per unificare il molteplice dal proprio punto di vista. Il soggetto patisce quando ha
percezioni confuse. Le sostanze sono quindi quei soggetti che avendo percezione sono specchi
dell’universo. La percezione è lo stato primario delle sostanze individuali/monadi e quindi essa è
irriducibile ad altro, non si può spiegare attraverso cause meccaniche. La percezione è un atto
rappresentativo mentre l’espressione è un processo semiotico. Leibniz evita che le sostanze
individuali divengano dei mondi isolati l’uno dall’altro. Un’altra teoria è quella del panpsichismo
secondo cui se la percezione è un’attività espressiva, possono essercene diversissimi gradi. Quindi
tutto l’universo è animato anche se la maggior parte delle infinite anime che lo compongono sono
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brutte o nude monadi, prive di autocoscienza. Dal momento che ogni sostanza è indistruttibile,
anche le anime partecipano all’immortalità e quindi nel miglior dei mondi possibili, la morte è
bandita.
3. l’appetizione se la percezione corrisponde all’aspetto statico, a quello dinamico corrisponde
l’appetizione, ovvero il secondo genere di attività della monade. L’appetizione è la transizione a una
nuova percezione, anche se non sempre realizza tutta la percezione a cui tende. La monade ha
quindi una stabilità dinamica, ovvero un cambiamento conforme a regole. Vi è un principio attivo
detto entelechia, forma sostanziale o forza primitiva che porta la monade a cercare una crescente
perfezione. Il principio passivo è la materia prima che obbliga la monade a esprimere
confusamente a tutto ciò che fanno le altre. Alla dinamizzazione della sostanza individuale
corrisponde la polemica con Melebranche secondo cui solo Dio può collegare gli stati dell’anima a
quelli del corpo. Per Leibnitz questo intervento diretto di Dio non è necessario. Infatti la monade
dominane che dirige un certo corpo è già accordata con le altre (armonia prestabilita). Gli
obiettivi di questa dottrina sono il:
o labirinto del continuo le monadi dominati dei corpi umani sono spiriti, fanno parte di
quelle monadi che oltre avere la percezione hanno anche l’appercezione. L’appercezione è
un atto riflessivo, è percezione di stare percependo e da tale capacità nasce il potere di
riferirsi a se stessi. Essa inoltre permette di formare concetti astratti e quindi di fare uso
della ragione. Essa inoltre discrimina qualitativamente gli spiriti dalle altre monadi.
o labirinto della libertà la libertà presuppone una dote comune a tutte le monadi, la
spontaneità, ovvero la capacità di modificarsi sulla base della propria organizzazione
interna, propria di tutte le monadi. Alla spontaneità gli spiriti aggiungono l’intelligenza,
ovvero la capacità di scegliere consapevolmente in base a ragioni. Tale dote perfezione
l’autonomia rendendo l’uomo in grado di intervenire sui propri comportamenti e
modificarli. La libertà inoltre costituisce in un certo grado di autodeterminazione
consapevole, tanto più alto quanto più ci è divenuto abituale l’uso della ragione.
Per Leibniz il corpo organico è una macchina della natura, un sistema di macchine incapsulate l’una
nell’altra all’infinito. Leibniz aderì alla corrente preformista che riteneva erroneamente che il seme
maschile contenesse già tutto il necessario per formare l’embrione. Ciò consentiva di ipotizzare che ogni
corpo umano fosse già tutto preformato fin dai tempi di Adamo. L’animale spermatico che ha tutte le
istruzioni per generare il nostro corpo è immortale. Inoltre questa impostazione porta Leibniz a ipotizzare
che il corpo possa costituire un altro tipo di sostanza rispetto alla monade, una sostanza corporea o
composta, nata dalla subordinazione delle monadi del corpo a quella dominante dell’anima. Per quanto
riguarda la transustanziazione Leibniz Esamina l'ipotesi di un vincolo sostanziale tra la mente di Cristo e le
monadi che compongono il pane e il vino eucaristici.
Ogni corpo è un sistema di flussi: l'organizzazione resta la stessa ma le monadi che la compongono
cambiano continuamente.
Una delle sue opere più importanti è i Saggi di teodicea sulla bontà di Dio, la libertà dell’uomo e l’origine
del male (1710). Quest’opera è dedicata a una difesa razionale della bontà di Dio contro Pierre Bayle.
La dottrina leibniziana del male di ispirazione platonica e agostiniana e prevede una distinzione del male in
tre classi:
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destinato a essere compensato da un numero maggiore di beni. in questo atteggiamento si può
ritrovare l'ottimismo metafisico che verrà poi ridicolizzato da Voltaire. Tuttavia l'ottimismo
leibniziano è più complessa di quanto appaia, vi sono due immagini di Dio nelle sue opere:
1. Dio architetto domina la sua metafisica
2. Dio come fondatore della comunità degli spiriti basata sulla legge del reciproco amore
definito da Leibniz come “Mondo Morale” o “Regno della Grazia”
Dio ha dovuto accordare la bontà con la saggezza architettonica e porre in armonia i regni
della natura e della grazia, facendo in modo che le cose conducono la grazia per le stesse
della natura. quindi Dio fa il minor numero possibile di miracoli e conduce l'uomo alla
felicità utilizzando soprattutto quei meccanismi che premiano i comportamenti virtuosi e
puniscono quelli viziosi.
le opere apologetiche di Leibnitz non si limitano quindi difendere la fede attraverso la
ragione ma mirano a costruire un sentimento religioso privo di attese miracolistiche ,
fiducioso nella provvidenza ma impegnato operare per il miglioramento della condizione
umana.
La filosofia morale di Leibniz parte infatti dal presupposto che uno spirito gode dell’armonia. Gioia significa
sentire l’armonia e da questo piacere per l’armonia nasce la disposizione morale a creare quell’armonia
morale tra gli uomini detta giustizia. Il giusto è colui che ama tutti, colui che prova gioia della felicità altrui
(carità del saggio). L'amore o carità non è solo la massima virtù morale ma anche il principio ordinatore
della teoria del diritto, che prevede tre obblighi fondamentali, esposti con i precetti del giurista romano
Ulpiano:
Leibniz contesta inoltre l’assolutismo di Hobbes, dicendo che i sovrani non sono i proprietari dello Stato ma
semplicemente i funzionari di un istituzione finalizzata al bene pubblico. La ragione è l’unica base legittima
della legge scritta. Inoltre secondo Leibniz, quando è possibile, i sovrani hanno l'obbligo di associarsi in
comunità sovra-statali. egli vagheggiava un Consiglio Europeo che rendesse possibile una pace duratura In
Europa scoraggiando gli espansionismi degli stati sovrani.
inoltre e convinto che le verità morali espresse dal cristianesimo siano in qualche modo presenti in tutte le
culture e dunque ammette che si possa essere giusti senza essere cristiani. nel caso della Cina, il suo
entusiasmo per la filosofia morale confuciana arriva al punto da fargli auspicare che i cinesi in vino in
Europa dei missionari per spiegare agli europei la base della loro morale e in cambio gli europei avrebbe
inviato in Cina dei missionari per illustrare le verità di fede. questo spirito irenico è alla base della
pacificazione tra le chiese e di una certa tolleranza del dissenso religioso all'interno di esse. L’etica di Leibniz
e dunque sorta su basi cristiane ma tende a privilegiare la teologia naturale, ovvero la fede in un Dio buono
e giusto, avvicinandosi a un universalismo privo di specifiche connotazioni confessionali. Questa posizione
venne velocemente superata quando nel 1726 il suo seguace Christian Wolff fu attaccato dai teologi pietisti
e cacciato dal territorio sassone sotto minaccia dopo aver difeso la razionalità della filosofia pratica dei
cinesi sostenuta da Leibniz.
- Rifiuto del razionalismo cartesiano e delle principali correnti filosofiche della sua epoca
- Punti cardinali del suo percorso formativo sono:
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1. Platone uomo quale deve essere
2. Tacito uomo quale è
Coniugare la ricerca filosofica della verità dell’idea con l'indagine storico-filologica sulla realtà
fattuale
- I due autori moderni ai quali egli riconosce, sempre nella sua autobiografia, un ruolo determinante
nella maturazione del proprio pensiero sono:
1. Grozio il fattore che stimola Vico non è l'intento di continuare la strada battuta dal
giusnaturalismo moderno, ma l'esigenza apposta di costruire un sistema di diritto delle genti
alternativo.
2. Bacone anche qui la apprezzamento nei confronti di Bacone è unito a forti riserve, le stesse
che hanno portato al rifiuto del razionalismo cartesiano. In De nostri temporis studiorum
ratione, Vico rifiuta due capisaldi del pensiero di Bacone:
Tesi della superiorità dei moderni
Celebrazione della scienza moderna come strumento di dominio dell’uomo sul
mondo
Altro obiettivo polemico dell'orazione e il metodo cartesiano, il qui razionalismo e assunto come
paradigma dominante del metodo degli studi presso moderni. Per questo motivo, nonostante le
riserve nei confronti di Bacone, Vico sostiene lo sperimentalismo baconiano e il metodo
dell'induzione contro il deduttivismo della fisica cartesiana.
- Nella polemica al cartesianesimo è implicitamente insita quella che sarebbe poi diventata la teoria
del verum factum. Vico rigetta la convinzione di poter raggiungere sulle cose di fisica, attraverso
l'applicazione del metodo geometrico allo studio della natura, la stessa verità che in geometria si
consegue attraverso le dimostrazioni. infatti Vico critica la mancata considerazione della differenza
tra proposizioni geometriche e fenomeni fisici: le prime le dimostriamo perché lo facciamo, i
secondi non possono essere dimostrati e sono destinati a essere un oggetto di una conoscenza che
non potrà mai essere vera ma solo verosimile. Vico critica il metodo cartesiano Secondo cui il punto
di partenza verso la scienza e costituito dal processo di purificazione della mente; Vico dice che
questo precoce apprendimento rischia di rendere i giovani inadatti alla vita in società, minando la
capacità di agire in una realtà fatta non solo di cose vere ma anche di cose verosimili e false e non
rispetta la natura dei fanciulli caratterizzato dalla predominanza della fantasia della memoria. La
critica diviene un tentativo di confutazione del cogito. quest'ultimo per Vico non è adatto a
superare il dubbio scettico e affondare la scienza, intesa come consapevolezza della modalità con
cui un fenomeno si produce delle cause per cui avviene. infatti lo scettico non dubita , nega che la
coscienza sia scienza. nella prospettiva vichiana questa negazione poggia su solide ragioni, dal
momento che avere coscienza del pensare non equivale a sapere come e per quali cause il pensiero
si produca.
- al cogito ergo sum Vico contrappone la dottrina della conversione del vero con il falso,
presentata come un nucleo di sapienza filosofica presente sin dalle origini della storia umana.
Questa immagine etimologica si basa sul interscambiabilità dei termini verum e factum, che Vico
individua come consuetudine linguistica diffusa nei popoli italici; la coincidenza di vero e fatto, la
assunto secondo il quale il criterio della verità di una cosa consiste esclusivamente nel produrla.
questo assunto permette di tracciare in modo netto i confini tra sapere di vino e sapere umano: la
conoscenza integrale della realtà aspetta soltanto a Dio, dove pienezza dell'essere, potenza del fare
e conoscenza perfetta coincidono. il sapere umano invece non può andare oltre la cogitatio, una
conoscenza necessariamente imperfetta: l'uomo non può accedere alla conoscenza delle regole che
hanno presieduto alla costruzione dei fenomeni naturali e al loro ordinamento interno. Nel De
antiquissima Vico dice che l’unico campo in cui l’uomo può giungere a una conoscenza certa è
quello del sapere geometrico, poiché gli enti sono costruiti artificialmente dall’uomo.
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- Partendo dal presupposto che si può conoscere soltanto ciò che si produce, Vico colloca al gradino
più basso della scala del sapere umano la morale, in quanto disciplina che ha per oggetto i moti
dell'animo umano, ancora più interni di quelli dei corpi.
- Vico, in polemica con la fisica cartesiana, rivendica una fisica fondata sulla metafisica, che riconduce
discutibilmente al Timeo platonico. All’identificazione cartesiana di materia ed estensione e il
meccanicismo, egli contrappone la concezione del mondo fisico come insieme di punti metafisici,
ovvero centri di forza immateriali, messi in moto da un conato provocato da Dio.
Dopo la dissertazione De antiquissima, Vico, influenzato dal De iure belli ac pacis di Grozio e dal confronto
di alcuni giusnaturalisti del Seicento, Accoglie la concezione del diritto naturale come fondamento del
diritto positivo ma si distanzia dal razionalismo giusnaturalista, poiché secondo lui non è possibile elaborare
un insieme di regole valide solo per il carattere razionale indipendentemente da ogni presupposto teologico
e inoltre accusa il giusnaturalismo moderno di proiettare anacronisticamente all'indietro una razionalità
assente nei tre epoche della storia umana, caratterizzate dal dominio della fantasia. Per questo nel Diritto
universale (1720) stabilisce un nesso tra diritto naturale, ragione e provvidenza divina. Vico vuole quindi
storicizzare il diritto naturale e così prende avvio il progetto di una scienza nuova, Intesa come non curativo
programmatico di spingere davanti lo studio della filologia, da riportarla ai principi della filosofia. con
filologia Vico intende lo studio dello sviluppo del discorso ma innanzitutto la storia delle cose, rispetto alla
quale la storia delle parole ha un carattere derivato, dal momento che le cose procedono i loro
contrassegni. la filologia coincide quindi con l'intero sapere storico dell'uomo.
Il progetto di fondare la storia come nuova scienza rappresenta una cesura rispetto la tradizione filosofica
ma anche rispetto al semi-scetticismo che Vico aveva sostenuto nel De antiquissima. Questo cambiamento
di posizione corrisponde a un allargamento dell'applicazione del criterio del verum factum alla realtà
storica, in quanto mondo costruito dagli uomini stessi. L'estensione del principio del verum factum al
mondo civile non esprime però la convinzione che la arbitrio umano sia il Dio della storia. La scienza nuova
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è anche infatti una teologia civile ragionata della provvidenza divina, ovvero una dimostrazione della
provvidenza divina fondata sulla ricostruzione della storia degli ordinamenti universali ed eterni che Dio ha
dato al genere umano senza il contributo consapevole degli uomini e spesso contro il loro proponimento.
Egli insiste sulla corruzione della natura umana dopo il peccato originale, che rende il arbitrio umano
incapace da solo di convertire le passioni in virtù. La teologia civile ragionata ha quindi un ruolo fondativo
rispetto alle altre dimensioni della nuova scienza del mondo civile; è il disegno della provvidenza a fondare
la presenza, in popoli reciprocamente sconosciuti e lontani, delle idee uniformi la cui individuazione
consente di rinvenire i principi universali del divenire storico.
Dio non interviene solo attraverso la provvidenza ma anche attraverso gli aiuti straordinari della grazia,
interventi sovrannaturali come miracoli o la rivelazione. questa distinzione fa da spartiacque tra la storia del
popolo ebraico e la storia dell'umanità gentilesca. Secondo il quadro della storia universale delineato nella
Scienza Nova, l'unico destinatario degli aiuti straordinari di Dio è il popolo ebraico, che è privo di ogni
rapporto con le altre civiltà, è il solo ad aver conservato la religione autentica. dopo il diluvio universale le
popolazioni pagane hanno invece abbandonato la vera religione e sono precipitate in uno stato di semi-
ferinità: condizione in cui uomini giganteschi vagano dispersi per le selve della terra e privi di linguaggio e
pudore si accoppiano brutalmente. Da tale stato ferino i primi uomini-bestioni sono usciti da un percorso,
seppur retto da un disegno provvidenziale, non ha nulla a che fare con la rivelazione di Dio. Vico fa così una
netta distinzione tra storia sacra e profana riaffermando il valore unico delle Sacre Scritture. Vico presenta
gli ebrei come il primo popolo e come l’unica nazione che ha ininterrottamente conservato la civiltà. Vico
contrappone così alla storia sacra narrata nell'Antico Testamento il carattere puramente favoloso delle
storie delle popolazioni pagane. Vico parla di boria delle nazioni, indicando il topos secondo cui ogni popolo
tende ad attribuirsi origini remote, per gloriarsi di avere fondato e propagato nel mondo le istituzioni civili.
La boria delle nazioni è congiunta alla boria dei dotti, ovvero l’attitudine delle élite colte di ogni nazione
civilizzata a nobilitare il proprio sapere, presentandolo come antico quanto il mondo. La boria delle Nazioni
e alla radice dell' erronea credenza nelle sterminate antichità, che ciascun popolo attribuisce a se stesso, e
la boria dei dotti spiega la nascita e la persistenza di un ulteriore errore che afferma l'esistenza di una
sapienza filosofica originaria.
Vico rifiuta sia la rappresentazione dello stato ferino primitivo prospettato da Hobbes come guerra di tutti
contro tutti, sia la posizione di Pufendorf secondo la quale i primitivi sono uomini abbandonati da Dio. Vico
contrappone l’idea che Dio abbia Orientato in modo provvidenziale anche la storia delle Nazioni gentili,
inculcando nella natura umana la socievolezza e servendosi delle stesse religioni pagane per dare avvio a
processo di incivilimento. In polemica con Bayle, Vico nega la possibilità di una società di atei e difende la
concezione della religione come base imprescindibile di ogni forma di coesistenza sociale. viene respinta
anche la rappresentazione di Grozio dei primitivi come innocenti semplicioni, presentando la ferinità come
punizione inflitta da Dio allora empie dei figli di Noè.
Per mostrare la continuità tra storia sacra e profana, Vico tralascia la preistoria biblica e dedica pochi passi
agli eventi posteriori della narrazione mosaica e si concentra invece in modo quasi esclusivo sul percorso
delle popolazioni pagane nel tempo compreso tra il loro investimento e la nascita di una storia profana
nuovamente attendibile simultanea alla fondazione del mondo civile delle nazioni.
Nella Scienza nuova seconda Viene esposto lo schema esecutivo della mente umana che si articola in tre
momenti, corrispondenti al prevalere di tre facoltà conoscitive:
1. infanzia tre dominazione del senso, implica una coscienza oscura del proprio oggetto
2. giovinezza si impone la fantasia all'origine di rappresentazioni accompagnate da un forte stato
emotivo
3. maturità prevale la ragione, permette una riflessione libera dall’oscurità del senso e del
condizionamento emotivo della fantasia
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Sulla base di questo schema Vico distingue tre fasi ideali nel percorso di incivilimento delle nazioni:
1. Età degli dei tutta la realtà è sentita come divina. la sensibilità che caratterizza gli uomini
primitivi li porta a identificare con divinità antropomorfe tutte le forze naturali. È il tempo delle
famiglie patriarcali e dei governi divini, sono assenti vere e proprie istituzioni e l'esercizio del potere
politico si congiunge con il sacerdozio. Il sistema di segno corrispondente a questa epoca è la lingua
gestuale e geroglifica, essa in quanto muta e confacente a un'età dominata dalla religione, il cui
tratto distintivo e la meditazione.
2. Età degli eroi dominata da grandi uomini ancora poveri di intendimento ma mossi da intense
passioni alimentate dalla fantasia. essa segna il passaggio dalle famiglie ai primi stati aristocratici.
Gli eroi fondatori degli stati sono per natura superiori agli altri esseri umani in virtù di una pretesa
discendenza divina. Il diritto naturale che caratterizza questa fase è il diritto eroico, concepito come
il diritto della forza temperata dalla religione. A questo sistema corrisponde la lingua poetica,
fondata su immagini metafore, presentata come anteriore rispetto alla lingua in prosa.
3. Età degli uomini età della ragione, essa è caratterizzata dal riconoscimento dell’uguaglianza
naturale tra tutti gli uomini in quanto esseri dotati di ragione. Questo riconoscimento segna il
passaggio ai governi umani, che possono essere sia repubbliche che monarchie, se fondate sul
identica sottomissione di tutti i sudditi al monarca. A quest'epoca corrisponde il linguaggio verbale
articolato e convenzionale e la nascita dei caratteri alfabetici. Vico definisce tale linguaggio e tali
caratteri come volgari, per enfatizzare che e si rappresentano una conquista del volgo: infatti le
leggi una volta scritte sono strappate all’interpretazione discrezionale dei re-padri sacerdoti. Nasce
così una giurisprudenza che guarda alla verità dei fatti e si differenzia quindi da quella divina e da
quella eroica che si fermano al certo. Questo passaggio dalla sfera del certo a quella del vero
coincide con l'inizio della filosofia, reso possibile attraverso il processo di astrazione.
Questo schema triadico rappresenta per Vico una successione di fasi necessaria ma non irreversibile; la
possibilità della decadenza appare in un certo senso radicata per Vico nello stesso progresso delle
conoscenze e delle istituzioni giuridico-politiche. A raggiungimento di livelli elevati di scelta può seguire lo
smarrimento di ogni legame etico e politico provocando una ricaduta nella barbarie. Un esempio di ricaduta
nelle barbarie è il Medioevo, che viene presentato da Vico come una barbarie seconda. La barbarie
medievale viene presentata come lo strumento di cui la stessa provvidenza divina si è servita per difendere
la verità della religione cristiana contro le nazioni a essa ostili. A lungo si è pensato alla teoria vichiana del
ricorso come espressione di una concezione ciclica del tempo. In realtà Vico non è interessato
all’elaborazione di una filosofia generale della storia ma piuttosto a un indagine delle costanti fondamentali
dell'esperienza umana, attraverso una ricerca comparata delle analogie strutturali fra culture di tempi e
luoghi diversi. Il ricorso non è quindi una necessità ma una possibilità, predisposta dalla provvidenza come
rimedio per garantire la sopravvivenza del genere umano.
L’età degli uomini segna una netta cesura dalle due età precedenti; essa è una forma di sapienza fondata
sul ragionamento e sulla astrazione e viene definita come sapienza poetica (poieo, creo). A essa dedica il
libro più voluminoso della Scienza nuova, ovvero il secondo. Vico in questo tentativo attinge da materiale
costituito prevalentemente dai miti delle popolazioni antiche, in particolare quella greca con i poemi
omerici. Questo utilizzo della mitologia antica alla sua radice una concezione del mito che rappresenta una
cesura sia rispetto all’interpretazione allegorica dei miti come travestimenti di verità filosofiche sia rispetto
alla considerazione della mitologia come invenzione arbitrario di poeti sacerdoti. Vico respinge entrambi
queste tradizioni e concepisce la mitopoiesi arcaica come un’espressione immediata, sensibile e spontanea
della sapienza dell'umanità fanciulla. I primi popoli primitivi immagino le cause dei fenomeni come divinità
e proiettano sia sulla divinità sia sul mondo il loro proprio modo di essere, in questo caso non è che un
essere sensibile. il risultato è un'esperienza dell'intera natura come un vasto corpo animato e una teogonia
poetica collettiva. L'applicazione del principio del verum ipsum factum al mondo della storia trova in questo
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campo il suo principale terreno: all'inizio i poeti teologi creano i propri dei dalla loro idea producendo per la
prima volta un orizzonte di significato. Se però Dio crea il mondo nell'atto stesso in cui lo conosce, i poeti
teologi producono invece il proprio mondo grazie a una fantasia collegata all’ignoranza della vera natura
delle cose. Nel mondo arcaico persino la logica è una logica poetica, non vi è quindi alcuna opposizione tra
logos e mythos. Vico definisce questo pensare per immagini con “universale fantastico”. Gli universali sono
generi intelligibili mentre la fantasia crea solo immagini individuali e concrete. Queste figure concrete e
particolari possono però pretendere, allo stadio del pensiero primitivo, la validità universale dei concetti
generali. Mito di ercoli ad esempio esprime nel modo più vero possibile la sottomissione delle forze
distruttive della natura attraverso il lavoro, da cui ha origine ogni società. La nozione di universale
fantastico rappresenta per Vico le indicazioni per trovare il vero Omero, ossia affrontare la questione
omerica alla quale è dedicato il terzo libro della Scienza nova. Per Vico Omero non è che un universale
fantastico, ovvero un mito creato dei popoli greci, che personifica la loro poeticità collettiva; nei poemi
omerici i greci primitivi si sarebbero raccontato le loro esperienze storiche tramandando inizialmente per
via orale e solo dopo le avrebbero messe per iscritto attribuendo il testo a una figura mitica di nome
Omero. questa soluzione permette a Vico di venire a capo delle controversie filologiche provocate dalla
scarsa uniformità dei poemi omerici e di superare lo stupore suscitato dal livello di perfezione che questi
presentino, pur essendo la prima manifestazione di poesia.
Locke e Newton vengono visti come gli iniziatori del nuovo modo di pensare. Con la pubblicazione
dell’Ottica e dei Principia mathematica di Newton e del Saggio sull’intelligenza umana di Locke si segna una
rottura con il cartesianesimo e l’affermazione di un nuovo modello di ragione concepita come strumento di
indagine induttivo e sperimentale.
Dibattito religioso la Possibilità di indagare razionalmente alcuni aspetti della religione rappresenta un
punto di convergenza tra queste diverse espressioni di protestantesimo. Nella Ragionevolezza del
Cristianesimo di Locke e nella teologia sperimentale di Newton vi è una confluenza tra ricerca sperimentale
e ortodossia religiosa. In questo contesto un ruolo importante è svolto da Robert Boyle che ha raccolto i
vari tentativi di dimostrare empiricamente l’esistenza di Dio e nelle Boyle’s Lectures dove avviene un
confronto sul rapporto tra religione cristiana e una nuova scienza newtoniana. Samuel Clarke interviene nel
dibattito con due sermoni in cui affronta la dimostrazione razionale dell’esistenza di Dio e dei suoi attributi.
Clarke fonda la religione sull’ordine razionale che governa la natura pur riconoscendo che la ragione è da se
sola insufficiente a conoscere l’essenza di Dio, accessibile solo attraverso la Rivelazione. Questa
dimostrazione razionale non implica la riduzione della fede alla ragione, anzi la religione naturale è una
premessa per quella rivelata. Clarke si distanzia quindi dal deismo, corrente critica della religione che
ammette l'esistenza di un principio razionale divino, rifiutando però ogni forma di rivelazione. I deisti
ritengono che a fondamento di tutte le religioni positive vi sia un unico nucleo di precetti morali accessibili
con la ragione e l'istinto naturale che costituiscono la condizione di ogni moralità e ordine sociale. Viene
negata la realtà dei miracoli e di ogni intervento sovrannaturale.
John Toland nel 1696 pubblica il Cristianesimo senza misteri, dove rincorre ai principi di Locke per
espugnare dalla religione cristiana gli elementi misteriosi. Toland dice che ciò che si pone al di là della
ragione deve essere respinto come pregiudizio (estensione a ambito religioso l’insegnamento
metodologico di Locke), inoltre i dogmi religiosi devono essere ricondotti al loro significato pratico in vista
della condotta degli uomini. Appena pubblicato il libro viene mandato al rogo e Toland lascia l’Irlanda per
dirigersi in Inghilterra. In Lettere a Serena egli radicalizzerà la critica alla religione rivelata sostenendo
posizioni materialistiche con ascendenze panteistiche e ateistiche. Toland riconosce un valore informativo e
storico alle Sacre Scritture.
Matthew Tindal in Cristianesimo antico come la creazione equipara il Vangelo a una ripubblicazione della
religione naturale, ovvero una sua copia distorta che apre la via alla diffusione di superstizioni e errori.
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Thomas Chubb sostiene che l’esame razionale della Scrittura serve a negare il dogma del peccato originale.
Anthony Collins sostiene la verifica con l’intelletto della validità delle conoscenze e il libero uso
dell’intelletto anche in ambito teologico e religioso. Collins sottoponeva le tradizioni storiche a una critica
filologica per mostrarne l’inconsistenza e l’illegittimità.
Il deismo inglese suscita reazioni su fronti diversi:
- Berkeley e Hume avversi all’idea di riconoscere un fondamento razionale della religione
- Clarke vuole difendere l’autonomia della Rivelazione dalla ragione. Su questa linea si muove il
vescovo Butler secondo cui natura e rivelazione provengono entrambe da Dio e presentano una
noce strutturare, quindi nell’una e nell’altra sì incontrano aspetti non accessibili alla ragione umana;
in questo modo i limiti della comprensione razionale della scrittura devono essere accettati nello
stesso modo in cui si riconoscono quelli che la comprensione scientifica della realtà. Non bisogna
quindi appoggiarsi alla ragione per chiarire i misteri della rivelazione, al contrario bisogna
appoggiarsi alla rivelazione per compensare la inadeguatezza della ragione.
Anche nel campo della morale viene proiettato l’atteggiamento empirico e sperimentale. La riflessione
morale si muove in direzione del ridimensionamento della centralità della ragione, già attuato da Locke.
Ora viene lasciata emergere la dimensione emotiva, considerando passioni, appetiti negativi e i sentimenti
moralmente positivi. In questo modo viene preparata la strada dell’anatomia della natura umana che verrà
a breve praticata da Hume nel suo trattato.
Anthony Ashley Cooper, terzo conte di Shaftesbury e allievo di Locke, contrappone alla visione pessimistica
hobbesiana una visione armonica e ottimista secondo cui come fondamento della morale vi sarebbe un
originario sentimento di benevolenza comune a tutti gli uomini. Questo senso morale si esprime in due
livelli:
1. Vita morale del singolo Sopperisce alla debolezza della ragione nelle questioni etiche, cogliendo
immediatamente la differenza tra bene e male. L’uomo prova naturalmente un sentimento di
piacere davanti le azioni buone e un sentimento di avversione disgusto di fronte a quelle cattive. il
sentimento di piacere e suscitato dalla percezione di una bellezza intrinseca alle azioni morali e di
conseguenza il senso morale è strettamente connesso al gusto estetico. Bene e giusto hanno
carattere oggettivo e assoluto riconosciuto tale sia dagli uomini che da Dio, il quale non è più la
fonte delle leggi dei valori morali.
2. Partecipazione del singolo alla vita associata Il senso morale ispira un sentimento di benevolenza
alla base della socievolezza naturale degli uomini. in questa egli riconosce una delle manifestazioni
dell’istinto di conservazione dal momento che l'associazione in gruppo rappresenta un esigenza
vitale dell'essere umano.
Joseph Butler in Quindici Sermoni, tenta una mediazione tra le posizioni dei razionalisti e dei
sentimentalisti: Il principio di coscienza presenta infatti, da una parte, l'autorità conoscitiva riconosciuta alla
ragione e, dall'altra, la naturalità della sfera del senso e del sentimento. A differenza di Shaftesbury però,
Butler resta legato all’esigenza di far dipendere la moralità dalla volontà divina: l’accordo armonico tra le
azioni umane è quindi fondato sull’intervento provvidenziale di Dio.
Bernard de Mandeville, prendendo le distanze dalla linea anti-hobbesiana, torna a sostenere la natura
egoistica dell’uomo e sul fondamento edonistico della moralità. In Favola delle api, ovvero vizi privati e
pubblici benefici viene narrata la storia di una società d’api che si mantiene fiorente finché governata dai
soli principi egoistici dei suoi membri, cade in rovina appena adottano principi morali virtuosi. Per
Mandeville quindi l’egoismo è la molla del progresso, così come i vizi privati che incrementano la
produttività e l’efficienza. Si ha quindi una rivalutazione del vizio, visto come una passione positiva, e una
svalutazione della virtù. L’origine della morale non risiede nel sentimento di socievolezza comune agli
uomini ma piuttosto nell’astuzia dei politici, che con le loro tecniche di adulazione spingono gli uomini ad
agire in vista del bene comune. La virtù invece opponendosi al vizio (impulso naturale verso il proprio
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benessere) ostacola il progresso della società che si consegue attraverso la competizione, l’invettiva e la
lotta. Quindi la conflittualità naturale tra uomini individuata da Hobbes perde la sua pericolosità,
diventando condizione necessaria per il progresso sociale.
Francis Hutcheson, uno dei massimi sostenitori di Shaftesbury, introduce in Scozia una complessa
commistione di idee lockiane, newtoniane e della tradizione dei moralisti inglesi del Settecento. In accordo
con Shaftesbury, Hutcheson insiste sulla naturale socievolezza degli uomini. Esse si fondano su un senso o
sentimento morale originario che prende la forma di una benevolenza generale da cui derivano le azioni
virtuose. L’azione virtuosa, procedendo in modo disinteressato, tende al benessere generale, condizione
essenziale della felicità del singolo. Per bilanciare l’equilibrio tra felicità del singolo e felicità collettiva,
ricorre al metodo sperimentale abbozzando in La ricerca sull’origine delle nostre idee di bellezza e virtù
(1725) la formula “massima felicità per il maggior numero di persone” che diventerà con Bentham e John
Stuart Mill la regola aurea della nuova etica utilitaristica. A differenza delle altre etiche utilitaristiche quelle
di Hume e Hutcheson mantengono una peculiare radice sentimentalistica.
Adam Smith, allievo di Hutcheson, si oppone alle concezioni etiche utilitaristiche e pubblica Teoria dei
sentimenti morali (1759).
- Da Hume Smith riprende la nozione di simpatia, che porta gli uomini a promuovere le azioni che
favoriscono la socievolezza e rifiutare quelle che la ostacolano. Tuttavia Smith concepisce la
simpatia come una vera e propria facoltà che consente di immaginare le emozioni degli altri
individui, spingendo ad agire conformemente ad esse. La valutazione morale delle azioni non è
soggettiva ma spetta a uno spettatore imparziale che ognuno trova dentro di sé (acquisizione
punto di vista superiore nelle valutazioni etiche). In questo modo il giudizio sulla moralità delle
azioni viene fatto dipendere dalle opinioni accolte e diffuse nella società.
- In accordo con Hutcheson, Smith riconosce che il sentimento della simpatia agisce come principio
di armonizzazione degli impulsi egoistici e collettivi; la felicità del singolo si può realizzare solo nella
misura in cui promuove il compimento della felicità altrui.
Queste idee ritornano in Smith in modo originale e vengono estesi all’analisi dei processi socioeconomici
inspirando la Ricerca della natura e delle cause della ricchezza delle nazioni (1776) che segnerà la nascita
della economia politica come scienza autonoma.
David Hartley in Osservazioni sull’uomo fornisce un’analisi fisiologica dell’origine delle idee e dei processi
conoscitivi che ne conseguono. Le origini delle idee semplici ( ridotte da H. a idee sensibili) avviene
meccanicisticamente: l’oggetto esterno trasmette attraverso l’etere una vibrazione agli organi di senso ,
condotta a sua volta attraverso gli organi del cervello, e si deposita imprimendovi una traccia fisica. Viene
quindi ripreso il modello meccanicistico che già Hobbes e Cartesio avevano posto a fondamento delle
sensazioni. Le idee appaiono più o meno nitide a seconda della forza e della frequenza dell’impressione; la
memoria, nel ricordare le idee passate, non fa che ricondurre l’attenzione su quelle tracce. Per le idee
complesse invece Hartley ricorre a una forma di associazionismo psicologico, concepito sempre su base
fisiologica. La connessione tra idee semplici e complesse è determinata dalla connessione di tracce
cerebrali che produce associazioni elementari di piacere e dolore da cui scaturiscono altre idee in virtù della
crescente complessità delle connessioni: da egoismo e simpatia fino a moralità e religione. Hartley sacrifica
nella sua indagine fisiologica i concetti di coscienza, soggetto e io, conservati invece da Locke. Il carattere di
universalità, disinteresse e impersonalità dei principi morali è solo apparente, esso in realtà è dovuto a una
trasposizione del piacere o dell’avversione a oggetti lontani che sembrano non riguardare direttamente il
soggetto.
Joseph Priestley porta alle conseguenze più radicali le riflessioni di Hartley. La sua formazione scientifica
influisce sull’ambito filosofico; pubblicherà un’esposizione delle tesi associazionistiche di Hartley
fondandole però su presupposti materialistici . la convinzione che l’anima avesse una natura materiale e
corruttibile ritorno due anni dopo in uno scritto di Hartley sulle differenze tra materia e spirito, dove la
materia, sostrato dotato di proprietà sensibili e principi attivi, viene visto come espressione della volontà
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onnipotente di Dio (avversione verso posizione ateistiche del materialismo continentale, soprattutto
francese).
George Berkeley (1685-1753), vescovo anglicano e sostenitore di Guglielmo III d’Orange in un’Irlanda
cattolica e sostenitrice degli Stuart. Berkeley risente della questione religiosa e diviene l’interessa principale
della sua riflessione; essa muove dall’esigenza di tutelare il cristianesimo contro le critiche dei deisti e dei
liberi pensatori che mettevano in discussione la rivelazione e il fondamento religioso della morale.
La riflessione berkeleiana prende il nome di illuminismo cristiano. Berkeley impronta la propria apologia
del cristianesimo ai principi empiristici e anti-dogmatici dell’empirismo. Nel Trattato sui principi della
conoscenza umana dice di volere far questa indagine per far affiorare la luce della ragione che Dio ha posto
nelle anime degli uomini e che essi hanno oscurato facendo un uso sconsiderato delle loro facoltà. In
questo modo però Berkeley perviene a una radicalizzazione degli assunti empiristici. Egli afferma una forma
di idealismo soggettivistico che riduce la realtà alla percezione del soggetto, negandone il carattere
oggettivo (contro newton e galileo) e inoltre risolve l’intera realtà nei contenuti della mente divina
(teorie rinascimentali e neoplatoniche).
Berkeley prende le distanze da:
- Locke attraverso una critica alle idee astratte. Gli uomini, a differenza degli animali, sono in grado
di formare idee generali a partire da quelle particolari, attraverso l’astrazione. L'astrazione
consentirebbe quindi a di uomini di formarsi dei generali mediante cui rappresentare tutte le
qualità della stessa specie. Locke aveva formulato la teoria delle idee astratte per risolvere il
problema della corrispondenza tra parole e idee. La critica di Berkeley verte proprio su questa
capacità di operare sulle idee, che contravviene al principio secondo cui l’esperienza è la sola fonte
di ogni conoscenza. Berkeley ritiene che le idee di cui dispone la mente sono sempre idee
particolari, perché dall’esperienza non si possono trarre che sensazioni o riflessioni particolari.
Berkeley nega entrambi i livelli di astrazione ammessi da Locke (concepire separatamente qualità e
formare una definizione generale astraendo dai particolari).
Berkeley ammette però la possibilità di fare un uso generale delle idee particolari, usarle come
segni per rappresentare più idee particolari con qualità in comune. Non esistono quindi idee
generali o astratte ma solo idee particolari utilizzati in maniera generale. Questa radicalizzazione
dell'istanza empiristica porta Berkeley a sostenere una forma di nominalismo più rigoroso di quello
di Locke. La falsa supposizione della capacità astrattiva è responsabile di altri due errori della
filosofia:
1. La distinzione tra qualità primarie e secondarie degli oggetti
2. la convinzione che esiste una sostanza materiale indipendente dalla sostanza pensante
- Galileo, Boyle e Locke in merito alla distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie.
o qualità primarie risiedono nelle cose
o qualità secondarie risiedono nel soggetto
Berkeley nel Saggio per una nuova teoria della visione (1709) nega che le qualità primarie siano
percepibili di per sè e immediatamente. Dal momento che queste qualità non sono percettibili di
per se stesse, per introdurre nella mente occorre servirsi di altre idee immediatamente percepibili;
esse non possono essere però gli elementi geometrici introdotti dagli scienziati per spiegare le leggi
della visione, dal momento che sono solo ipotesi esplicative che non hanno esistenza in natura.
Bisogna quindi rifarsi direttamente a una percezione dell’atto visivo. Dal momento che l’esperienza
ci ha abituato a connettere queste sensazioni con un’idea particolare della distanza, grandezza e
posizione di un oggetto noi siamo in grado di formulare un giudizio in base a tali qualità. È quindi un
giudizio di esperienza che si basa sull’abitudine a constatare connessioni costanti tra determinate
idee. Quindi le idee delle qualità primarie, piuttosto che fornire una conoscenza oggettiva delle
proprietà delle cose, si limitano a suggerirle secondo le esperienze che si sono accumulate. Le idee
delle qualità comunemente ritenute primarie pertanto non dicono nulla di oggettivo sui corpi a cui
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si riferiscono e non hanno alcun valore conoscitivo; esse hanno piuttosto funzione pratica poiché
costituiscono un linguaggio universale dell’Autore della natura che orienta le azioni degli uomini al
conseguimento di ciò che è necessario alla loro conservazione allora benessere. Riducendo le
qualità primarie alle percezioni soggettive Berkeley introduce una concezione fortemente orientata
il senso anti-oggettivistico. Affermando il carattere relativo delle qualità primarie egli attacca uno
dei fondamenti della metafisica razionalistica cartesiana e della fisica newtoniana: l'estensione,
ovvero lo spazio, non è altro che la connessione soggettiva della percezione del nostro corpo e di
quella di altri corpi, e il movimento e la percezione soggettiva della successione delle idee nella
mente. Ciò comporta quindi la rivalutazione di una fisica di tipo qualitativo, contrapposta a quella
quantitativa galileiana e newtoniana. In Siris, dove celebra l’acqua di catrame come cura contro il
vaiolo e la dissenteria, Berkeley Riconduce il potere curativo di questa sostanza alla presenza di un
anima vegetale che è espressione dello Spirito dell’Universo che agisce in ogni cosa. Anche in
questo caso l’intento apologetico prevale sulle preoccupazioni scientifiche.
- Ai filosofi minuti, irreligiosi e mediocri, Berkeley contrappone gli uomini di fede, menti i cui pensieri
sono illuminati ed estesi dalla religione. La religione cristiana nobilita la mente ponendola di fronte
alla grandezza di Dio e pone lo sguardo dell’uomo al di sopra dello spazio angusto dei sensi.
In Tre dialoghi tra Hylas e Philonus viene esposta una confutazione della tesi della sostanzialità
della materia già esposta nel Trattato. Philonus difende la tesi dell’immaterialismo propugnata dallo
stesso Berkeley, invece Hylas personifica la schiera dei materialisti, ovvero tutti coloro che
concedono che la materia esista anche quando ammettono l’esistenza di sostanza spirituali (come
nel cartesianesimo). Dal momento che le percezioni non forniscono la conoscenza di nessuna
qualità che sussista al di fuori del soggetto e illusorio ipotizzare l'esistenza di una sostanza materiale
quale loro sostrato comune. Il problema della sostanza che Locke aveva riscontrato viene risolto in
un dichiarato immaterialismo: la realtà degli oggetti esterni si riduce al loro essere percepiti da un
soggetto, “esse est percipi”, non è possibile che le cose esistano fuori dalle menti o dalle cose
pensanti che lo percepiscono. Berkeley a favore di questa tesi riporta prove:
1. A priori L'idea dell'esistenza di una materia extra mentale risulta da un processo di
astrazione fallace. A differenza di Locke Che si era limitato a negare la conoscibilità della
sostanza in generale, Berkeley ne afferma risolutamente la non esistenza al di fuori
della mente. Le cose materiali esistono in quanto sono percepite e la loro esistenza si
esaurisce nella percezione del soggetto.
2. A posteriori L'idea fallace di materia ha introdotto una serie di errori sia nella
filosofia che nella scienza, sia nella morale che nella religione. Berkeley formula una
nuova metafisica di stampo spiritualistico; l’esistenza delle idee nelle menti degli
uomini prova l’esistenza di sostanze capaci di produrre tali idee; queste sostanze sono
gli spiriti che a differenza delle idee sono sostanze attive, che in quanto tali non
possono essere rappresentate da idee ma soltanto da nozioni, conoscenze intellettive
che prescindono dalla componente sensibile. Berkeley distingue tra
Spirito infinito divino esclusivamente attivo
Spiriti umani finiti insieme attivi e passivi, Nel senso che ricevono passivamente
le idee prodotte volontariamente da Dio, ma sono anche in grado di produrre da sé
nuove idee, componendo e scomponendo quelle di cui già dispongono. Dio che a
causa delle idee però anche l'artefice delle loro connessioni: le leggi della natura
che l'uomo scopre con l'aiuto della scienza sono infatti stabilito dalla volontà divina
e la conoscenza umana diviene oggettiva nella misura in cui cogli tra le cose i
medesimi onesti necessari che Dio ha imposto alle idee.
così facendo Berkeley rifiuta il modello meccanicistico della fisica galileiana e
cartesiana poiché considerano le idee come entità passive, quindi non in grado di
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produrre altre idee e né le loro modificazioni, non è possibile concepire le
connessioni tra le cose del mondo in termini di interazioni causali.
quindi le relazioni tra i fenomeni fisici non sono fondate su un autentica relazione
causale ma sulla connessione necessaria presente nella mente divina. la
conoscenza ha quindi carattere eminentemente pratico e viene inoltre segnato un
discrimine tra sfera della realtà oggettiva e quella della fantasia del sogno. In
questo modo è possibile distinguere tra:
- cose reali: causate dalla volontà di Dio, godono di un' esistenza stabile e
sono percepite dal soggetto in maniera passiva e involontaria.
- chimere e rappresentazione dei sogni: sono produzioni volontarie dello
spirito è finito degli uomini e dipendono dall' arbitrio umano sia per i loro
contenuti sia rispetto alle loro connessioni.
Dio non è concepito come l’ordinatore del mondo ma come un Creatore
provvidente in costante comunicazione con le sue creature (concezione molto
distante dal razionalismo seicentesco). La via verso la virtù e la felicità è quella
indicata da Dio attraverso il linguaggio del mondo e così l’etica torna al suo
fondamento teologico. Per Berkeley Bisogna evitare qualsiasi forma di
giusnaturalismo contrattualistico a favore di un atteggiamento conservatore. Gli
uomini devono sottomettersi passivamente all'autorità, poiché le leggi che essa
promulga riflettono quello che Dio ha volontariamente imposto alla natura.
L'avvenimento biografico che fece germogliare in russo interesse per la filosofia va individuato nel
soggiorno a Lione del 1740-1741, causato dal dissolversi dell’idillio con madame de Warens. Egli conobbe
così l'elite intellettuale lionese e grazie alla sua amicizia con Condillac, che si fece sempre più salda fino al
trasferimento a Parigi dove conobbe Diderot nel 1746. Diderot introdusse russo nella società letteraria e
nell’ambiente dei philosophes affidandogli la stesura di numerosi articoli musicali per l’Enciclopedia, nonché
della voce “economia politica”. mantenne una sostanziale unità di vedute con Condillac ed eroe e iniziò a
maturare alcune convinzioni che lasciano già intravedere la futura articolazione del suo pensiero. inizia a
sviluppare abbozzi di riflessione pedagogica già nel Memoire presentato a Malby riguarda l'educazione del
figlio. il suo trattatello pedagogico rivela un impianto filosofico di chiara ascendenza in pista che trova
conferma nel ruolo privilegiato assegnato alle scienze naturali rispetto alle conoscenze astratte, il rafforzarsi
di tali premesse è anche dovuto al assidua frequentazione dei due empiristi Condillac e Diderot. A partire
dagli anni ‘50 pubblica Discorso sulle scienze e sulle arti e successivamente il Discorso sull'origine
fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini (1755). questi discorsi fecero molto scandalo e il costarono
diverse querele personali e la rottura con gli enciclopedisti, dettata soprattutto dall’impossibilità di
conciliare i principi filosofici, in particolar modo quelli sull’immortalità dell'anima e l'esistenza di una
giustizia divina. Nel 1756 Rousseau indirizza la Lettera sulla provvidenza a Voltaire. I suoi rapporti con
Voltaire, prima da lui stimato, si inaspriranno.
Se Rousseau fu indubbiamente illuminista sia per formazione personale sia perché la sua opera si oppone al
versante della tradizione del dogmatismo, egli fu tuttavia in radicale controtendenza rispetto alla corrente
di pensiero materialista dominante nel suo secolo e sulla base di tali considerazioni alcuni suoi
contemporanei lo definirono un anti illuminista. Al di là di questa disputa piuttosto sterile il pensiero di
Rousseau giocò un ruolo fondamentale nel determinare alcuni aspetti dell' ideologia egualitaria e anti
assolutistica che fu alla base della Rivoluzione Francese (1789) e anticipò inoltre molti elementi che
avrebbero caratterizzato il Romanticismo.
Nel Discorso sulle arti e sulle scienze Rousseau sostiene che Le nostre anime si sono corrotte via via che le
nostre scienze le nostre arti progredivano verso la perfezione, per argomentare la validità di questa
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affermazione, contrapposta alla dottrina di un progresso cumulativo e lineare, Rousseau si serve di un
procedimento retorico tipico dell'epoca in cui:
- nella prima parte del Discorso espone i suoi nunciato attraverso una serie di esempi tratti dalla
storia antica che mostrano come l'origine di Scienze degli arti sia da ricercarsi nei vizi piuttosto che
nelle virtù
- nella seconda parte, considerabile come una sorta di controprova della prima, vengono esposte le
ipotesi filosofiche coniugate a esempi storici, per delineare una sorta di filosofia della decadenza
volta denunciare le negative conseguenze del progresso. le scienze le arti poiché frutto di curiosità
orgoglio conducono inevitabilmente alla corruzione, fisica e morale, dell'essere umano facendolo
uscire dallo stato primitivo di felice ignoranza in cui si trovava.
- Rousseau a seguito delle numerose critiche, in particolare a quelle dell’ex-re di Polonia, in
Osservazioni e nella Prefazione al Narciso, sottolinea la necessità di inserire la critica delle scienze e
delle arti in una più generale genealogia del male.
L’origine del male non è imputabile al singolo individuo ma all’umanità in generale. La fonte prima del
male è la disuguaglianza, è stato infatti il passaggio storico, causale e non necessario, dallo stato di natura
alla società civile a condurre alla degenerazione umana: i vizi quindi non appartengono tanto l'uomo
quanto all'uomo mal governato.
In Discorso sulla disuguaglianza, Rousseau Per ricostruire il processo di questa radicale alterazione
dell'anima umana, paragonata riprendendo immagini platonica alla statua di glauco sfiorata dal tempo e
dalle intemperie, si serve della nozione di stato di natura di cui, sin dalla prefazione, ne sottolinea il
carattere ipotetico e ideale, ammettendo che si tratta di uno stato che non esiste più, forse mai esistito e
che probabilmente non esisterà mai. Rousseau rimarca la sua distanza dal giusnaturalismo, poiché questo
aveva erroneamente trasferito allo stato di natura elementi appartenenti alla società civile come la
diseguaglianza, le passioni e l’orgoglio. Secondo Rousseau invece nello stato di natura non esiste
disuguaglianza politica e morale ma solo una forma di diseguaglianza fisica/naturale legata alla costituzione,
all’età e alla salute. L’uomo naturale vive infatti in una condizione solitaria e autosufficiente, paragonabile a
quella degli animali. L’uomo naturale avverte pochi bisogni primari (nutrizione, impulso sessuale) che
vengono soddisfatti dalla natura stessa. Questa descrizione originaria ribalta quella aristotelica di uomo
come zoon politikon e quella della guerra di tutti contro tutti di Hobbes, a cui Rousseau rimprovera di aver
disegnato l’uomo come mosso da impulsi egoistici e competitivi.
Nell’animo umano si bilanciano invece due principi anteriori alla ragione ovvero:
1. Amor di sé spinge l'individuo a evitare la sofferenza e il pericolo e lo porta naturalmente a
preferire se stesso agli altri
2. Pietà genera un altruistica compassione nel vedere soffrire qualsiasi essere sensibile
la differenza tra uomo e bestia quindi non va ricercata nella facoltà razionale ma nella sua qualità di
agente libero, che gli consente di contrastare istinto, e soprattutto nella sua perfettibilità. Con
questo neologismo viene indicata la facoltà tipicamente umana di cambiare se stesso in meglio o in
peggio. Se l'istinto e naturalmente indirizzato verso un fine, la perfettibilità è invece priva di
qualsiasi orientamento. Questa facoltà ha dato avvio al processo di socializzazione, che si è
articolato in tappe.
I bisogni naturali, a causa del progressivo sviluppo delle passioni e della ragione, diventano sempre
più complessi e difficili da realizzare autonomamente. la loro realizzazione richiede l'introduzione di
una forma di interdipendenza tra gli uomini che trova il suo apice nell’invenzione di attività
artificiali come l'agricoltura e la metallurgia, arti che presuppongono separazione del lavoro e una
conseguente attività economica. la società e la dipendenza reciproca tra gli uomini introducono una
prima forma di disuguaglianza morale che va di pari passo con la degenerazione del amor di sé in
amor proprio.
Amor di sé sentimento buono e naturale che esprime il diritto alla vita del singolo
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Amor proprio sentimento artificiale e relativo che induce gli uomini a confrontarsi tra di loro e a
dare sempre più peso alla pubblica stima, al punto da far prevalere l’apparire sull'essere.
Dopo aver mostrato nella prima parte dell'opera come la nascita della disuguaglianza morale sia
legata al passaggio dallo stato di natura alla società civile, viene ricostruito il procedere della
disuguaglianza nella seconda parte attraverso un metodo genetico che gli consente di fissare le tre
tappe fondamentali:
1. invenzione della proprietà privata momento inaugurale della storia della disuguaglianza che
coincide con la nascita della società civile. La proprietà introduce e legittima la distinzione tra
ricchi e poveri che fa accelerare il processo di disuguaglianza
2. istituzione della magistratura nasce dalla necessità di tutelare la proprietà e segna la
nascita della disuguaglianza tra potenti e deboli
3. degenerazione del potere legittimo in potere arbitrario segna la distinzione tra padroni e
schiavi
Non bisogna credere che Rousseau sostenga il ritorno a uno stato di natura, il passaggio da condizione
originaria a società civile è infatti irreversibile, è altrettanto vero però che si è trattato di un processo
causale e non necessario. Allo stesso tempo Rousseau è consapevole di come l’individuo possa realizzare la
sua umanità in un contesto sociale e morale. Il bene morale deve essere liberamente e incessantemente
scelto e tale scelta è inseparabile da quella del male.
La riflessione filosofico di Rousseau verte intorno a una dialettica che si sviluppa intorno ai poli di
naturalezza e artificio, tra cui esiste un rapporto al contempo conflittuale e solidale: il passaggio dallo stato
di natura a società civile ha inaugurato in un solo momento la libertà morale dell’individuo e l’artificio
culturale che ha corrotto tale moralità. Rousseau quindi non mira all’impossibile ritorno della condizione
originaria ma al tentativo di mettere l’artificio al servizio della naturalezza.
Se i due Discorsi vengono considerati la pars destruens (origine del male) del pensiero rousseauiano, la
pars costruens prende forma nell’Emilio e nel Contratto sociale (1762). Una tappa intermedia tra queste
partes è simboleggiata dal romanzo filosofico Julie o la Nuova Eloisa (1761). La storia ruota attorno alle
vicende di Julie d’Etange, innamorata del suo precettore Saint-Preux, (Eloisa era l’amante del filosofo
Abelardo) giovane sensibile e nobile d’animo ma povero socialmente. La devozione di Julie per il padre la
spinge ad accettare il matrimonio con il barone di Wolmar. Quando Saint-Preux viene fatto richiamare dal
barone per l’educazione dei figli i due amanti si accorgono che i sentimenti non sono svaniti e così
intraprendono una dolorosa battaglia interiore tra inclinazioni naturali e doveri morali. L’opera si conclude
con il sacrificio di Julie per salvare il figlio. Un importante sviluppo della dialettica naturalezza-artificio è
costituito dalla descrizione di Clarens, piccola comunità agreste fondata da Wolmar e Julie. Questa società a
misura d’uomo porta i suoi membri a condurre una vita autarchica e felice, caratterizzata da moderazione e
uguaglianza. In questo mondo utopico si ha la creazione dell’Eliso, il versiere di Julie; un giardino all’inglese
(natura è educata per essere selvatica) dove la fanciulla ha saputo quindi naturalizzare l’artificio riuscendo
a far sparire qualsiasi forma di mediazione.
Già nella Nuova Eloisa emerge un nesso fondamentale tra morale e politica, nell’ Emilio viene data una
risoluzione circolare del nesso tra etica e politica: bisogna studiare gli uomini attraverso la società e la
società attraverso gli uomini.
Rousseau vuole contrappore un nuovo contratto sociale al patto convenzionale dei giusnaturalisti. Se nel
Discorso sulla disuguaglianza era stato presentato un patto iniquo, nel Contratto sociale la garanzia dei
diritti politici e civili verte su un contratto tra uguali stipulato in perfetta reciprocità e definito patto equo.
Rousseau provò per due volte ad applicare questi principi a concrete esigenze politiche, Rousseau si fa
apertamente legislatore, prendendo in esame le situazioni politiche e costituzionali di due realtà
estremamente distanti tra loro:
- Progetto di costituzione per la Corsica (1764) nel caso della Corsica l’insularismo geografico deve
riflettere si nelle disposizioni morali degli abitanti che sono naturalmente inclini a ricevere una
costituzione capace di rafforzare un identità nazionale già presente
- Considerazioni sul governo di Polonia (1772) enorme territorio abitato da numerose minoranze
prive di identità unitaria e costretto a vivere sotto un anacronistico sistema feudale. Per venire a
capo di questa situazione paradossale viene messa in atto una strategia estrema, incentrando
l'intero scritto sulla possibilità di istituire una politica dei cuori in grado di garantire, attraverso
l'organizzazione di feste e giochi pubblici, la solidità del progetto costituzionale sulla base di un
sentimento civico condiviso: l'amor di patria
- In entrambi i casi viene avvertito il passaggio dal piano ideale a quello concreto e viene
manifestato un innegabile impegno nel tentativo di adeguarsi a tale concretezza.
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Il Contratto sociale viene completato dall’Emilio o Dall’educazione e ha l’obbiettivo di instaurare una prassi
educativa capace di emancipare la natura originariamente buona dell’uomo dalla generazione storica e
sociale. Tutte le cose create da Dio sono buone, tutte degenerano tra le mani dell'uomo. Nell’Emilio
confluiscono vari temi della filosofia rousseauiana: la dialettica tra naturale e artificio, la riflessione
antropologica, la politica e la religione. La Figure dell’Emilio, l’allievo ideale, e un'ipotesi di lavoro
paragonabile per molti aspetti a quella dello Stato di natura; essa infatti si propone di educare fuori dalla
società un individuo capace di vivere in essa. L’opera racconta il percorso educativo di Emilio dai primi
giorni di vita fino all'età adulta e al matrimonio: per preservare la sua bontà contro la corruzione a cui la
società lo farebbe andare incontro, il precettore (Rousseau stesso) lo alleva in un isolamento quasi totale,
reprimendo fino alla adolescenza qualsiasi processo di socializzazione. Si ha quindi l’applicazione
dell’educazione negativa o metodo inattivo, Che consiste nell’assecondare la maturazione graduale delle
capacità prima conoscitive e poi pratiche che sono state predisposte all’essere umano della natura. Per
chiarire meglio tale metodo viene introdotta una distinzione tra:
- educazione della natura inerisce lo sviluppo interno degli organi e delle facoltà
- educazione degli uomini si identifica con la convenzionale educazione che pretende di plasmare
attivamente il fanciullo
- educazione delle cose riguarda l'acquisizione dell'esperienza personale attraverso gli oggetti da
cui riceviamo le impressioni
- Rousseau accetta incondizionatamente educazione della natura, sulla quale però non si può
incidere in alcun modo, e rifiuta l'educazione degli uomini che tende a vedere nel fanciullo adulto
snaturandone quindi lo sviluppo fisico e morale.
il pedagogo si servirà quindi dell'educazione delle cose: egli interviene solo in maniera indiretta
predisponendo gli oggetti circostanti in modo da rappresentare le situazioni che meglio rispondono
ai bisogni di attività dell'allievo (schema empiristico e sensistico inspirato a Locke e Condillac).
La prima stesura dell’Emilio, che non venne pubblicata ed è conosciuta con il nome di Manoscritto Favre,
prevedeva una precisa scansione cronologica:
1. età della natura dalla nascita ai 12 anni
2. età della ragione dai 12 ai 15 anni
3. età della forza dai 15 ai 20 anni
4. età della saggezza dai 20 ai 25 anni
5. età della felicità vi si perviene solo nel caso di un corretto compimento del percorso educativo e
in tal caso dura fino alla morte
Nella prima parte dell’Emilio Viene narrata la vita di Emilio dalla nascita al momento in cui inizi a parlare e
vengono descritte le cure di cui il bambino ha bisogno da parte della madre o della nutrice, con una
particolare attenzione a quelle sull'alimentazione e sull’accudimento. Si si tratta di un educazione
esclusivamente fisica quel che il fanciullo è un essere premorale e conduce un' esistenza istintiva e
meccanica.
Nel secondo libro, dai 3 ai 12 anni, vengono descritte le prime relazioni instaurate con il mondo basate
esclusivamente sull’uso dei cinque sensi (a cui vengono ricondotte persino le prime manifestazioni della
facoltà razionale).
Nel terzo libro, fase pre-adolescenziale, viene descritto il passaggio dalla semplice sensazione alle facoltà
raziocinanti superiori, come l’astrazione, reso possibile dalla memoria e dall’immaginazione, facoltà tratte
dall’esperienza ma che possiedono un elemento di spontaneità che proietta l’uomo in una dimensione
spirituale. Rousseau distingue inoltre in una sensibilità:
- sensibilità fisica e organica (o sensazione) ha come fine la semplice autoconservazione e come
criterio direttivo il piacere e il dolore.
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- sensibilità attiva e morale (o sentimento) e la capacità di legare i nostri affetti ad essere che ci
sono estranei. Essa può essere positiva se indirizzata verso il bene, negativa se indirizzata verso il
male.
Nel quarto libro dell’Emilio vi è la seconda nascita dell’uomo come essere morale; noi nasceremmo due
volte:
1. per esistere
2. per vivere in tal modo vengono maturati i sentimenti morali e sociali, oh sentimenti relativi. Essi
a differenza dei sentimenti assoluti, riferiti al solo soggetto, si caratterizzano per uno slancio
consapevole verso l'alterità. il primo e più importante dei sentimenti relativi, che scaturiscono in
maniera genealogica gli uni dagli altri, è la pietà. Essa non viene considerata come nel Discorso sulla
diseguaglianza, un principio pre-morale istintuale ma il primo sentimento di relazione che tocca il
cuore umano secondo l'ordine della natura.
dopo essere passato da l'amor di sé alla pietà, l’allievo potrà giungere all'amore dell'umanità e della
giustizia e si leverà attraverso i sentimenti più maturi e nobili alle nazioni di ordine che faranno
nascere in lui il sentimento religioso, apice del processo educativo.
L’educazione morale e sociale del giovane viene completata con un viaggio a Parigi, che segna il suo
ingresso in società. questo viaggio viene fatto quando il ragazzo deve trovarsi una compagna; Emilio grazie
alla corretta educazione è in grado di resistere alla corruzione della civiltà urbana e abbandona presto la
capitale per spostarsi in campagna alla ricerca dell'amata. Sceglierà Sofia, ragazzo semplice, virtuosa e
modesta, educata con buon senso e onestà.
Nel quinto libro si parla dell'educazione della donna e delle sue differenze rispetto a quella dell'uomo, vi è
la convinzione che vi sia una naturale complementarietà tra i sessi, la quale trova il suo coronamento nel
matrimonio tra Emilio e Sofia.
Nel quarto libro dell’Emilio, con la Professione di fede del vicario savoiardo, si ha una delle esposizioni più
compiute della visione religiosa di Rousseau. Egli condivide l'idea illuminista di religione naturale, in
opposizione alle religioni storiche, ma inserisce tale idea in un contesto sentimentale anziché razionalista. Il
sentimento diviene la base delle convinzioni religiose, attraverso il sentimento l'uomo scopre Dio
nell'ordine della creazione e lo percepisce nelle sue opere ( il cuore contiene le verità religiose). I
capisaldi di questo deismo sentimentale sono esposti dal vicario in un discorso che vuole confutare il
pensiero materialistico. Il Vicario espone una dimostrazione sull’esistenza di Dio sui generis che si
sviluppa con l’enunciazione di tre articoli di fede:
1. Si basa sul presupposto che la materia sia incapace di movimento autonomo, si ha quindi il
riconoscimento di una volontà che muove l'universo e anima la natura.
2. Dal momento che la materia non si muove casualmente ma rispetta determinate leggi, la volontà
che anima la materia deve essere una volontà intelligente.
3. Perché questa volontà, che si identifica con un Dio buono e provvidente, possa realizzare il proprio
disegno è necessario postulare la libertà dell'uomo, fondamentale per la pensabilità dei valori
morali, e l'immortalità della sua anima, una possibile soluzione al problema della teodicea poiché
fa emergere la necessità che in un'altra vita si ristabiliscono l'ordine l'armonia
Ma quale facoltà può garantire all’essere umano un uso retto di questa libertà? Il Vicario dice che
questa facoltà sta nella coscienza, facoltà più propria dell’anima, che simile a un istinto divino, la
conduce naturalmente verso l'amore del bene. Questa soluzione non entra in contrasto con
l'impianto empirista dell’Emilio poiché non è innata l'idea del bene o la sua conoscenza ma solo il
sentimento che porta ad amarlo una volta che è stato conosciuto attraverso l'esperienza.
L’ultima parte della Professione di fede è dedicata alla condanna della credenza nei miracoli e alla critica dei
dogmi. Viene rifiutato il dogma del peccato originale poiché incompatibile con l'idea della bontà naturale
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dell'uomo e viene messa in discussione l'esistenza dell'inferno (per questo motivo l’Emilio verrà
condannato dall’arcivescovo di Parigi Cristophe de Beaumont).
Rousseau inoltre fa una triplice distinzione all’interno della religione:
1. Religione dell'uomo forma di culto interiore che si celebra nell intimo della coscienza e che si
identifica chiaramente con il deismo sentimentale del Vicario
2. religione del cittadino si oppone a quella dell'uomo, in quanto legata a culti, riti e ai dogmi che
caratterizzano ogni singolo paese.
3. religione del prete religione condannata con più decisione da Rousseau, è assimilabile in buona
sostanza al cattolicesimo. Essa rendendo l'uomo soggetto al potere temporale e quello spirituale
finisce con lo spezzare l'unità sociale
Da questa analisi Rousseau trae la necessità di una religione civile: dal momento che lo stato non
può intervenire nelle opinioni private dei cittadini, esso dovrà prendere in considerazione tali
opinioni solo se avranno conseguenze sulla comunità e sul utilità pubblica. spetterà così al potere
legislativo stabilire gli articoli della religione civile, i quali non devono essere intesi come dogmi ma
come sentimenti di socievolezza. La religione civile riveste quindi una funzione pratica di grande
importanza nel garantire la coesione della collettività. Non si può essere obbligati ad aderirvi ma si
verrà banditi dal corpo sociale.
Il riconoscimento della necessità di una religione civile va di pari passo con la condanna di qualsiasi
forma di intolleranza teologica, che minaccia la sicurezza il benessere dello Stato introducendo
divisioni e lotte.
Rousseau dedica gli ultimi anni della sua vita alla redazione di opere autobiografiche:
- Confessioni opera in 12 libri. Rousseau Si propone di intraprendere un'opera in prospettiva
facendo trionfare la più assoluta sincerità e riprendendo e sviluppando numerosi temi del suo
pensiero: il contrasto tra l'essere apparire, la condanna della condizione urbana e l'esaltazione della
vita di campagna, la critica dei sistemi politici esistenti. L’autore si propone di ricercare in se stesso
la natura originariamente buona dell'essere umano, fino a riscoprire lo stato di natura
nell’interiorità.
- Dialoghi di Rousseau giudice di Jean-Jacques strutturato come una discussione in tre tempi.
Rousseau, Inteso come uomo pubblico e filosofo, deve giustificare Jean-Jacques agli occhi di un
interlocutore incredulo, il Francese, convinto delle verità delle più atroci accuse nei confronti
dell'autore. Il primo dialogo è incentrato sulla posizione tra mondo ideale e l'oscuro complotto di
cui Jean-Jacques è vittima. Il secondo dialogo riporta le osservazioni fatte da Rousseau in seguito al
suo incontro con Jean-Jacques, soffermandosi sulla descrizione del singolare carattere di
quest'ultimo, sarà proprio grazie a queste che il Francese cambierà opinione e cesserà di credere
nelle menzogne dei persecutori. La critica più recente ha evidenziato come in quest'opera si abbia
un importante integrazione dell'antropologia rousseauiana, riprendendo alcuni aspetti già trattati
nell’Emilio come l'immaginazione e la memoria.
I Dialoghi mettono in luce un terzo livello della facoltà immaginativa, l'immaginazione creatrice, che
ha il potere di sottrarsi alla dimensione del sensibile; essa è libera perché dispone liberamente degli
elementi che la realtà fornisce, essa quindi costruisce un altro universo, distinto e indipendente,
definito “paese delle chimere”.
- Le Fantasticherie del viandante solitario raccontano nella forma del diario intimo le vicissitudini
di un soggetto perseguitato e respinto al di fuori di qualunque ordine, che proprio per questo può
diventare il modello su cui costruire un ordine umano legittimo. La felicità irraggiungibile nella
dimensione sociale deve essere ricercata in ripiegamento in se stessi che consente uno slancio
espansivo verso l'intero universo e verso il suo creatore. La perfetta integrazione tra l'io e il mondo
rende possibile sperimentare il sentimento dell’esistenza allo stato puro, descritto nella quinta
57
passeggiata dove il movimento ritmato dell'acqua del lago di Bienne finisce con il coincidere con il
movimento della vita interiore. (nascita del soggetto moderno).
David Hume ispira la sua riflessione al progetto di una scienza della natura umana che tenga conto delle
potenzialità e dei limiti della razionalità ( polemica contro razionalismo cartesiano). Questo interesse
emerge già in una lettera del 1734 indirizzata al medico Arbuthnot, in cui Hume dice che all’età di 18 anni
gli si era dischiusa una nuova scena del pensiero entro la quale sviluppare la scienza dell’uomo. Hume sente
la esigenza di rifondare una filosofia morale, intesa come riflessione sull’uomo in generale, poiché quelle
precedenti non si affidavano nel modo dovuto all’esperienza. Nella visione di Hume l’uomo è sia soggetto
che oggetto di ogni riflessione, no siamo solo esseri che ragionano ma anche ciò su cui ragioniamo. Hume
vuole conferire alla scienza dell’uomo un carattere sistematico che ne spieghi i principi. La sua ricerca si
inserisce nella cornice teorica della scienza newtoniana: Hume affronta lo studio dell’uomo come Newton
affronta quello della natura. Hume vuole disegnare una geografia della mente umana che descriva le facoltà
e le operazioni del pensiero allo stesso modo in cui il geografo descrive la distribuzione e la configurazione
delle terre nel globo. Il compito del filosofo è descrittivo: non deve procedere come un pittore ma come un
anatomista che analizza e descrive ogni aspetto del proprio oggetto di studio in maniera oggettiva e
imparziale.
Nella Ricerca sull’intelletto umano, Hume Dice che il proprio metodo di indagine corrisponde a una sintesi
tra due differenti specie di filosofia:
1. filosofia pratica, facile e ovvia concepisce l'uomo come un essere attivo, mosso dal sentimento e
dal gusto anziché dalla ragione. Questa filosofia ha un carattere concreto ed esortativo e si serve
dell eloquenza per promuovere la virtù e la felicità (Cicerone, moralisti francesi seicenteschi,
Mandeville, Shaftesbury).
2. tipica del razionalismo considera l'uomo come un essere razionale, privilegiando nella
dimensione teoretico-intellettuale in un'immagine eccessivamente astratta e talvolta anche oscura
e fallace poiché lontana dalla realtà concreta.
Il metodo di Hume è una sintesi: dalla prima eredita la dimensione pratica e istintiva dell'uomo,
mentre attraverso la seconda approda a risultati scientificamente più rigorosi. Il progetto humiano
è improntato quindi su un'analisi empirica e sul metodo sperimentale, in grado di coniugare queste
due filosofie.
viene fatta inoltre una critica alla metafisica, elaborata dalle premesse lockiane, dove vengono
evidenziati i principali caratteri illuministici della sua riflessione. Egli distingue in:
o falsa metafisica frutto di una ragione che procede in maniera astratta e aspira
vanamente a conoscere l'essenza reale delle cose ed è responsabile degli errori e delle
incomprensioni che regnano tra i filosofi.
o vera metafisica conoscenza fondata dell'uomo, procede secondo i dettami del metodo
empirico e sperimentale. La metafisica così intesa perde il significato tradizionale di
conoscenza delle cose che si pongono al di là dell’ambito fisico e diviene sinonimo di
sapere fondante a ogni tipo di conoscenza.
Assumendo anche Hume il presupposto empiristico secondo cui ogni riflessione deve muovere dall'
esperienza, egli nega l'esistenza di idee innate e individua nella percezione l'origine di ogni conoscenza. Le
percezioni, materiali della conoscenza, possono essere:
- impressioni percezioni che si presentano con un maggior grado di vivacità
- idee immagini meno vivaci delle percezioni, trattenute dalla mente una volta che le impressioni
di cui sono copia non è più presente
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- impressione è sempre antecedente all’idea
La teoria delle idee di Locke, distinguendo tra idee di sensazione e idee di riflessione, si fondava sul
postulato dell'esistenza degli oggetti esterni e la mente che facevano da cause esterne delle idee. Questo
postulato è assai problematico perché implicava un criterio per stabilire quali idee provengono
effettivamente dagli oggetti esterni e quali no. Risolvendo ogni contenuto della coscienza nella percezione,
Hume, abbandona il presupposto dell esistenza di una realtà esterna indipendente dal soggetto, e sposta il
problema della corrispondenza sul piano della relazione tra le impressioni e le idee. La validità dell idea
quindi non va più cercata nella corrispondenza all oggetto che rappresenta ma nell impressione da cui è
scaturita.
- impressioni di sensazione derivano direttamente dai sensi. Sono antecedenti rispetto alle
impressioni di riflessione
- impressioni di riflessione sono frutto di un'esperienza interna suscitata da una precedente
impressione di sensazione e sono quindi assimilate alle passioni.
La stretta corrispondenza tra impressioni e idee è anche alla base della critica all’esistenza delle idee
astratte, affermata da Locke: come le impressioni, anche le idee sono sempre percezioni particolari; quelle
che si indicano comunemente come id e astratte non sono altro che nomi sotto cui si raccolgono più idee
particolari legati da un rapporto di somiglianza reciproca.
Hume descrive inoltre la struttura dell’animo umano e le diverse specie di percezioni che vi hanno luogo,
sviluppando così una dinamica della mente. Egli individua nella memoria e nell’immaginazione le due
facoltà attraverso cui le idee possono ripresentarsi nella mente dopo essere state generate da un
impressione.
- memoria ripropone le idee alla mente cercando di conferire loro un grado di vivacità vicino a
quello delle impressioni
- immaginazione pur avendo una maggiore libertà rispetto alla memoria, non opera in maniera
arbitraria, ma secondo principi universali che conferiscono un ordine all'attività della mente
- L'associazione delle idee avviene attraverso i principi della rassomiglianza, contiguità spazio-
temporale e della causalità, attraverso cui la mente forma le idee complesse che possono essere di
relazione, di modo e di sostanza
- il carattere naturale delle associazioni risponde all’esigenza di procedere nella stessa maniera
della scienza fisica. A questo procedimento Hume riconosce i limiti di ogni ricerca sperimentale
secondo cui la risposta al problema può aggiungere solo dall’applicazione dell’osservazione
empirica.
In Ricerca sull’intelletto umano Hume Distingue due specie di oggetti della ragione che stanno a capo di due
differenti specie di conoscenza:
Per Hume quando stabiliamo una relazione causale tra due fatti supponiamo che tra di essi vi sia una
connessione che ci porta a inferire l'uno dell'altro; Hume riporta l'esempio delle palle da biliardo già usato
da Melebranche. L’esperienza ci fornisce però solo tre impressioni:
- la contiguità spaziale tra le due palle, secondo la quale quando A arriva a B, B si muove
- la successione temporale tra il movimento della palla A e quello della palla B
- connessione costante tra i fatti secondo la quale fino a questo momento, ogni volta che la palla A
ha urtato la palla B, la palla B e entrata in movimento
- sembrerebbe quindi che il movimento di A e causa del movimento di B
- Hume ci fa notare però come nulla ci garantisca la connessione dei due fatti; l'esperienza non
fornisce nessuno strumento in grado di affermare che tra i due eventi sussiste una connessione
causale necessaria. Per affermare tale necessità dovremmo poter dedurre la loro correlazione
causale attraverso una semplice relazione tra idee a priori. Ma la relazione di causa viene stabilita
sempre a posteriori e quindi non gode della validità necessaria delle relazioni tra idee
- avendo quindi escluso un fondamento razionale nelle nostre inferenze causali, Hume n'è
rintraccia l'origine nel principio psicologico dell’abitudine: osservando ripetutamente una
determinata connessione tra gli eventi, noi sviluppiamo l'abitudine a concepirli connessi e quindi a
ritenere che uno debba seguire all'altro come un effetto alla sua causa.
inferenza causale e quindi una credenza, espressione di un istinto ovvero un sentimento naturale. Il
motivo per cui siamo portati ad attribuire un carattere necessario alla causalità risiede in un
inclinazione dell’animo umano, propenso ad accordare fiducia al cosiddetto principio di uniformità
del corso della natura, secondo cui si pensa che la natura sia governata da leggi costanti.
Anche la ragione viene vista come una facoltà istintuale che esprime la tendenza dell'uomo a
sottoporre a critica ogni sua conoscenza
Se per Locke la sostanza, attraverso l’esperienza, presenta solo le sue qualità. Hume va oltre dicendo che la
sostanza, sottraendosi a ogni esperienza, non solo è inconoscibile, ma nemmeno reale, dal momento che si
riduce a una credenza del soggetto. Anche per la sostanza spirituale, nemmeno il nostro io attraverso
l'esperienza ci permette di giungere a un soggetto unitario che soggiace alle nostre diverse percezioni di noi
stessi. La nozione di io di cui disporrebbero gli altri filosofi e solo frutto di un illusione. La mente viene vista
come un teatro dove le percezioni fanno la loro apparizione, passano e ripassano, scivolano e si mescolano
con un'infinita varietà di atteggiamenti e situazioni. Hume spiega la concezione dell'io come un fascio di
percezioni (bundle theory), riconoscendo il carattere illusorio alla rappresentazione dell'io e fondando
l'identità personale su un principio in grado di ordinare in base a determinate relazioni gli Stati mentali del
soggetto. L’io e la sua identità sono definibili sulla base della funzione che essi hanno all'interno
dell’economia psichica del soggetto, come perno della molteplicità degli stati mentali che occorrono nella
mente. L’anima viene paragonata a uno stato in cui diversi membri sono Uniti da un vincolo reciproco di
governo e subordinazione.
L’atteggiamento di Hume porta a inevitabili conseguenze scettiche. Tuttavia la sua deriva scettica trova
argine nel fatto che la sua impostazione sperimentale recupera sul piano pratico le conoscenze che va
privato di fondamento oggettivo sul piano teorico. Più la credenza che sta alla base delle nostre inferenze
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causali e della nostra affermazione della realtà sostanziale degli oggetti e del nostro io, essendo
connaturata all'uomo, costituisce un dato fattuale ed empirico che si pone al di là di ogni giustificazione
razionale. In questo modo circoscrivendo la sfera di validità della ragione argomentativa viene elaborata
una scienza della natura umana con un fondamento di tipo psicologico, che impedisce la sospensione del
giudizio sul mondo e di approdare a una forma di scetticismo totale.
Hume nel Trattato sulla natura umana, espone la teoria delle passioni parlandone come di una geometria
delle passioni ( cartesio, Spinoza, Hobbes). L’analisi delle passioni prende avvio dall' osservazione dei
moti dell'animo che determinano l'azione. Le passioni sono impressioni di riflessione, ovvero che
provengono da alcune impressioni originarie di sensazione, direttamente o mediante le loro idee. Le
passioni possono essere:
- passione calme bello e brutto. Suscitano in noi un sentimento estetico di piacere e dolore
- passioni violente amore e odio
assimilando le passioni alle impressioni viene data all etica una connotazione anti razionalistica. Di
conseguenza nel caso delle passioni la ragione non ha alcuna applicazione poiché hanno sfere di
competenze e funzioni differenti:
- ragione opera nell’ambito delle idee e dei giudizi conoscitivi. Essa quindi non può agire
direttamente sulle passioni, inducendole o reprimendole, ma deve obbedire a queste impressioni in
uno stato di completa schiavitù.
- passioni opera nell'ambito delle impressioni e dei movimenti dell’agire
- nella prospettiva naturalistica di Hume la mente umana rientra nella sfera degli oggetti naturali
secondo cui i suoi contenuti e le sue operazioni devono poter essere spiegati secondo le stesse
leggi a cui è soggetta la natura nel suo complesso
- Hume nega inoltre il libero arbitrio dal momento che sono le passioni a determinare la volontà e lo
fanno in maniera causale attraverso il meccanismo deterministico che vige tra i fenomeni della
natura. Gli uomini si credono però liberi a causa di una serie di equivoci:
1. scambiano la libertà con l'assenza di una costrizione esteriore
2. credono che la volontà sia libera perché ignorano gli Stati mentali che la determinano
causalmente
3. gli uomini hanno bisogno di pensarsi liberi per poter soddisfare le richieste della morale e della
religione
una volta riconosciuta l'assenza del libero arbitrio, Hume riconosce nell’assenza di costruzioni
esteriori l'unica forma di libertà di cui gode l'uomo.
tuttavia salva il principio di responsabilità morale sulla base del determinismo psicologico, che
agisce anche in caso della volontà: le volizioni elezioni devono per forza essere causate dai motivi e
dal carattere dell'individuo che data la sua specificità non può volere o agire diversamente da come
fa. In questo modo Hume riconosce la responsabilità della gente.
Hume individua il fondamento dei giudizi morali in un sentimento che ognuno trova in se stesso e
grazie a cui provo un senso di piacere e di appagamento di fronte alle azioni virtuose, di disprezzo e
dispiacere di fronte a quelle malvagie. Come dice nel Trattato, virtù e vizio sono oggetti del
sentimento e solo attraverso questo è possibile conoscerli. Essi quindi non costituiscono un dato di
fatto reale che il soggetto trova fuori di sé, ma risiedono nella sua interiorità sentimentale.
a differenza del piacere fisico, il piacere morale è disinteressato. Non scaturisce da una visione
egoistica del soggetto ma dalla considerazione della conformità di una determinata azione con
l'utilità generale. Il sentimento morale riposa sul principio di simpatia che verrà poi definito
benevolenza. Esso è una struttura psicologica dell'uomo attraverso la quale è in grado di
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condividere i sentimenti dei suoi simili e di partecipare alle loro passioni in modo disinteressato con
il solo scopo di promuovere l'utilità del maggior numero possibile di individui.
L'uomo dispone di una generosità limitata, un insieme di sentimenti benevoli che nel complesso
superano l'insieme delle passioni egoistiche e che costituiscono la sua tendenza originaria alla
socialità.
Legge di Hume: Non vi è nessuna possibilità logica che consente di passare dall’essere al dover
essere, ovvero dal piano descrittivo al piano normativo, dal momento che le proposizioni che si
riferiscono ai fatti (essere) e quelle che si riferiscono ai valori (dover essere) stanno su due livelli
logici differenti.
Hume nega una Fondazione razionale della religione, affermando un’incompatibilità assoluta tra ragione e
fede. Ogni tentativo di dimostrare l'armonia tra fede e ragione fallisce rispetto al problema del male, che la
ragione non riesce a conciliare con la rappresentazione di un Dio sommamente buono e onnipotente.
Inoltre e impossibile rintracciare un nucleo razionale alla base delle religioni storiche o rivelate poiché
nemmeno le verità della religione naturale sono accessibili per via razionale. La ragione non riesce a
dimostrare l'esistenza di Dio né attraverso le dimostrazioni a priori né attraverso quelle posteriori:
- dimostrazione a priori Hume mette in discussione la stessa evidenza dell'idea di Dio. Hume non
ritiene che la formazione dell’idea secondo criteri empiristi ci sia sufficiente a garantirne la
chiarezza e l'evidenza. L’idea di Dio è frutto di un' analogia imperfetta e per questo è priva di valore
razionale. Le dimostrazioni a priori dell'esistenza di Dio di cui si erano serviti anche Clarke e Locke,
partivano dal principio logico per cui tutto ciò che esiste deve avere una causa ma dal momento che
vi sono solo enti contingenti nel mondo, bisogna affermare l'esistenza di un essere che esiste
necessariamente, ovvero che contenga in sé la ragione della sua stessa esistenza ponendo fine al
regresso all'infinito.
Secondo Hume il giudizio per cui tutto ciò che esiste deve avere una causa non esprime affatto una
verità logica poiché la sua negazione non conduce a una contraddizione e quindi non è evidente. La
rappresentazione di un universo privo di una causa, per quanto possa essere contro intuitiva, non è
logicamente inconcepibile. Questo giudizio esprime una materia di fatto che in quanto tale non può
venir dimostrata razionalmente.
- dimostrazioni a posteriori Hume colloca la proprietà dell’esistenza tra le materi di fatto,
constatabili a posteriori. Hume esamina l’argument from design. Secondo questo argomento,
l'esistenza di un creatore intelligente poteva venir dimostrata a partire dalla complessità e
dall’ordine che si riscontrano nell’universo naturale, esattamente come dalla perfezione di un
artefatto, ad esempio una macchina si risale all’esistenza di un artigiano intelligente che ha
predisposto la sua opera secondo un progetto. Hume denuncia l'imperfezione del analogia che
pretende di assimilare entità così lontane tra loro, come sono il creatore dell'universo e l'artefice di
qualsiasi produzione umana. Hume riconosce che questo argomento si fonda su una serie di
inferenze causali che non hanno nessun fondamento razionale, come già dimostrato nel Trattato:
l'esistenza di Dio come artefice dell’universo non può essere quindi dimostrata razionalmente e di
conseguenza non può godere della certezza della verità razionali. Inoltre ogni inferenza causale è
una credenza che nasce dall’abitudine e ciò non può valere nel caso della creazione dell'universo,
fatto unico e irripetibile.
Con il rifiuto di questa tesi Hume sferrava un grosso attacco al deismo, La fondazione “naturalistica”
del fenomeno religioso attirò su di lui ripetute accuse di ateismo.
Per quanto riguarda la genesi del fenomeno religioso, Hume spiega che questo ha fatto sorgere dapprima
concezioni religiose di tipo politeistico, dove gli uomini attribuivano i caratteri che riscontravano in loro
stessi alle molteplici divinità di cui si servivano per spiegare i vari fenomeni naturali. In seguito,
Rispondendo all’esigenza di onorare in maniera più pura la divinità, purificando degli aspetti negativi della
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natura umana, gli uomini passarono alle religioni monoteiste che. Il culto di una sola divinità portò con sé il
vantaggio di liberare la religione dalle molteplici forme di idolatria e superstizione nate dalla falsa credenza
di poter condizionare con le proprie offerte le decisioni degli dei.
Hume riconosce un’autonomia della morale sulla fede, Hume condanna l'influenza non sempre positiva
della religione su comportamenti morali, che spesso vengono tolti da essa. La simpatia e un meccanismo
psicologico radicato nella natura umana e agisce prima e indipendentemente dal fatto che gli uomini
possono essere atei o credenti.
Illuminismo scozzese
Verso la metà del Settecento La cultura scozzese conosce un periodo di grande fioritura attraverso il
rinnovamento di grande università, che diventano centri di diffusione delle idee illuministiche. Si sviluppa in
questo periodo l'illuminismo scozzese, di cui Hume e considerato l’iniziatore.
Adam Ferguson: Sostiene che il passaggio da una condizione iniziale di barbarie a forme via via più perfetti
di civilizzazione costituisca una condizione naturale dell'uomo; la storia ha quindi il compito di ricostruire le
tappe successive di questo progresso inesorabile verso forme di civiltà sempre più alte.
John Millar: si concentra sul processo di incivilimento continuo e progressivo dell'uomo, individuandone il
motore della sempre maggiore diffusione della ricchezza tra i cittadini che aveva condotto, sul piano
politico all’affermazione di principi democratici alla trasformazione delle dinamiche tra i vari ceti sociali.
Inoltre vengono fatte diverse critiche accademiche scozzesi al Trattato di Hume, di spicco sono quelle di
Lord Kames, Reid e Beattie.
Lord Kames: In ambito esco e nosologico argina le derive scettiche della riflessione di Hume. Egli individua
nel senso comune l'origine dei principi costitutivi che stanno a fondamento delle certezze degli uomini, sia
per quel che concerne l'esistenza del mondo esterno delle relazioni causali tra gli oggetti sia riguardo alle
norme morali alle verità religiose. Kames ammette con Hume che la ragione e i suoi procedimenti deduttivi
non sono in grado di conoscere con certezza nel nesso causale tra fenomeni nell’esistenza degli oggetti
dell'identità personale ma Kames riconosce che l'uomo la presenza di un senso comune in grado di supplire
al inadeguatezza della ragione nella conoscenza di quelle verità fondamentali. La validità dei principi
promosso dal senso comune è garantita mediante il ricorso a un Dio benevolo e provvidente da cui essi
provengono.
Thomas Reid: esponente principale della scuola del senso comune. Reid ravvisa nel senso comune l’unico
rimedio della riflessione di Hume. Reid condanna le teorie che a partire da Cartesio avevano fatto ricorso
alla nozione di idea (ideal system). Reid Ritiene che l'idea sia un'inutile duplicazione del mondo nello spazio
mentale; oltre che superfluo la mediazione dell'idea si rivelano ci va nella misura in cui sostituisce il vero
oggetto della conoscenza precludendo l'accesso del soggetto al mondo. L’ideal system di Locke e di Hume
in prigione il soggetto all'interno del suo teatro rappresentativo: per questi autori la conoscenza non
concerne la realtà in quanto tale ma esclusivamente le idee risolvendosi quindi in una forma più o meno
radicale di fenomenismo (atti mentali = percezioni di oggetti mentali, ovvero le idee delle cose, e non delle
cose in quanto tali). Il passo dal fenomenismo allo scetticismo è breve e questo si può vedere nel pensiero
di Hume. Secondo Reid il modello gnoseologico della way of ideas, contrasta con i principi del senso
comune, In base a cui nessuno è disposto ad ammettere che la conoscenza degli oggetti non concerne
direttamente la realtà ma un'idea mentale. A questo modello Reid oppone una concezione della mente
incentrata sulle sue attività:
- sensazione conseguenza causale immediata di un impressione dei sensi, ai quali è sempre
connessa
- concezione facoltà mentale principale, e la coscienza di un oggetto come latore di proprietà
particolari
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- percezione è una specie di concezione, nella misura in cui percepire un oggetto significa
concepirlo (prendere coscienza come portatore di qualità) in una maniera particolare come
portatore di qualità particolare.
in questo modo Reid propone la difesa del realismo diretto: il senso comune, superiore alla
ragione, garantisce la validità della conoscenza umana e il suo riferimento immediato alla realtà
delle cose alle loro azioni.
Con Reid la teoria del senso comune non viene applicata solo in ambito gnoseologico ma anche
etico e religioso. Nonostante la riflessione morale sia influenzata dalla religione non si risolve
nell’obbedire ai comandamenti divini.
Per Reid ogni uomo ha una facoltà morale, la coscienza, attraverso cui si distingue il bene dal male.
Su questo senso morale originario vengono individuati principi morali evidenti:
o Principio per cui ognuno riconosce da sé quel che è da approvare o da disapprovare nelle
azioni
o Soltanto ciò che segue da una determinazione volontaria è suscettibile di valutazione
morale
o Ognuno ha il compito di perseguire il proprio dovere con tenacia, resistendo alle tentazioni
che allontanano da esso.
o Occorre preferire un bene maggiore ance se lontano rispetto a uno minore
o Chiunque creda in Dio deve venerarlo e sottomettersi alla sua volontà.
Strettamente connessa alla riflessione morale è la libertà umana. Reid è considerato il fondatore
della agent causation (causazione da parte dell’agente), un tentativo di conciliazione tra il
determinismo e l’indeterminismo etico. Sulla scorta della critica humiana alla causazione, Reid
distingue due specie di causazione:
1. Causazione di tipo fisico occorre tra gli eventi, si verifica quando il cambiamento di uno
produce il cambiamento di un altro.
2. Causa efficiente si verifica quando è un agente, e non un evento, a determinare il
cambiamento. Solo le entità dotate di intelletto e volontà (active power) possono
intraprendere una causa agente. Riconoscendo all’agente la possibilità di determinare una
causa efficiente senza essere a sua volta determinato, Reid riesce a preservare la libertà
dell’azione umana.
Le riflessioni di Reid sono state integrate nelle opere dei suoi epigoni:
James Oswald: estende il senso comune alle verità del Cristianesimo e della moralità
James Beattie: oppositore dello scetticismo humiano
Dugald Stewart: in Elementi di filosofia della mente umana espone la complessiva teoria rediana del senso
comune. Traccia una storia del pensiero moderno individuando un punto di svolta nei principi
dell’empirismo baconiano e lockiano.
Thomas Brown: in Ricerca sulla relazione tra causa e effetto muove una polemica alla riflessione di Hume.
In Lezioni di filosofia dello spirito umano corregge il fenomenismo di stampo lockiano, all’uomo è precluso
ogi conoscenza relativa all’essenza delle cose, con gli assunti della teoria del senso comune, trovando un
nucleo di verità indubitabili a fondamento dei ragionamenti umani.
- Importante relazione con la sua epoca la filosofia critica nasce in un periodo di acuta
autoconsapevolezza storica. Il progetto filosofico kantiano incarna quindi un compito storico che
egli ritiene essere quello che la sua epoca propone e al quale ha l’ambizione di dare la risposta più
compiuta.
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- Critica autoanalisi della ragione rispetto alle sue possibilità e limiti, è la condizione per cui la
religione possa presentarsi e legittimarsi come autentica guida (Prefazione, Critica alla ragion pura,
1781). Si ha quindi la figura del tribunale della ragione, all’epoca identificato con l’illuminismo,
ovvero la condizione attraverso cui la ragione possa essere istanza di legittimazione sottoponendosi
essa stessa alla critica. Il compito della critica è quindi allo stesso tempo distruttivo e costruttivo:
o Conduce alla distruzione di fondamenti apparenti attraverso la ricerca di fondamenti solidi
o Svolta teorica kantiana è simboleggiata dalla pubblicazione della Critica alla ragion pura,
proponendo una rifondazione filosofica e in particolare un esame critico della filosofia.
o Kant prova una forte inquietudine mentre affronta il tema della metafisica concepita come
un abisso senza fondo (metafora del mare, oceano tenebroso). Kant delinea una filosofia
come progressiva chiarificazione di concetti già posseduti in modo oscuro. Nel 1766
pubblica I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica, Secondo cui una
conoscenza filosofica convincente di entità metafisiche come la natura spirituale dell'anima
fuori velarsi impossibile ma anche non necessaria. Nonostante questa inquietudine di
fondo, Kant sembra ancora convinto della possibilità di sviluppare una notifica in senso
tradizionale, come conoscenza di enti sovrasensibili, con opportune correzioni accontenti.
L’ultima correzione parziale alla metafisica è proposta nella dissertazione del 1770 Sulla
forma e i principi del mondo sensibile di quello intellegibile. Essa si presenta come una
scienza propedeutica che insegna il discrimine tra conoscenza sensibile e intellettuale.
conoscenza sensibile oggetto è conosciuto come appare, fenomeno (=ciò che si
manifesta, da phainomai), sulla base di forme di coordinazione rappresentato dallo
spazio e dal tempo.
conoscenza razionale pura il intelletto a un uso reale, consente di conoscere
l'oggetto come esso è, ovvero come noumeno (=ciò che è pensato, da noein).
Kant vorrebbe sviluppare un metodo conveniente alla natura propria della
filosofia ma si limita solo a qualche dichiarazione, dichiarando di non avere né
l’intenzione né i mezzi per discutere a fondo un argomento tanto elevato ed
esteso. Si offre un metodo per prevenire errori nella ricerca metafisica.
Dopo la Dissertazione del 1770 Kant non pubblica quasi nulla. Nel 1781 esce la prima edizione della Critica
alla ragion pura e con essa la nuova sistematizzazione della filosofia e del sapere originale. Nella parte
conclusiva alla prima Critica, Kant dice che la filosofia non un’impresa solo conoscitiva e distingue due
concetti di filosofia:
1. Concetto scolastico sistema di conoscenza vista solo come scienza, che non ha altro fine oltre
che l’unità sistematica di tale sapere, e quindi la completezza della logica della conoscenza
2. Concetto cosmico concetto che per Kant sta alla base del termine sesso di filosofia. È la scienza
dei fini essenziali della ragione umana e il filosofo non è un tecnico della ragione ma è il legislatore
della ragione umana. Il concetto cosmico o cosmopolitico considera qualsiasi conoscenza in
relazione agli interessi essenziali dell’uomo come cittadino del mondo. Ogni fine settoriale
dell’agire e del conoscere vien collegato a un fine ultimo, con quella che Kant chiama destinazione
dell’uomo. In questa prospettiva qualunque sapere può essere inteso come una tecnica e ha quindi
un valore condizionato. Invece la filosofia riferendo ogni sapere agli interessi dell’uomo acquisisce
un valore incondizionato. Il concetto cosmico di filosofia è quindi riferito al filosofo come figura
ideale personificata, non alla filosofia come scienza.
Kant per lo stesso motivo sostiene che la filosofia propriamente culmina nella saggezza.
La scienza, conoscenza controllata, è però la premessa indispensabile per una ragione. Essa a sua
volta presuppone un esame preliminare delle sue possibilità e dei suoi limiti.
1. Le scienze empiriche sono autonome nel loro ambito
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2. ma il loro senso per gli interessi dell’umanità è compreso dalla filosofia
3. che presuppone la critica come autoesame della ragione
queste tre dimensioni, riassumibili con “scienza”, rimandano a
4. saggezza, una conoscenza che è più di una conoscenza accertata, di riferire il sapere alla ricerca
di fini ultimi.
e nella preliminare critica della ragione. La filosofia però riferisce tutto alla saggezza attraverso la via della
scienza, unica che una volta aperta non permette mai più di smarrirsi.
La metafisica non è più un edificio di conoscenze riguardanti enti soprasensibili, ma una teoria
della possibilità e dell’uso delle diverse forme di esperienza umana, che ne indica le condizioni e il
senso, senza pretendere di costituire un particolare sapere di oggetti non accessibili
empiricamente.
Il principio di identità serve a chiarire una conoscenza già posseduta e non ad acquisirla o a estenderla. La
conoscenza analitica ha senso solo dove presuppone una conoscenza sintetica. A questi due modi di
conoscere viene intrecciata con due fonti possibili della conoscenza:
1. A posteriori deriva dall’esperienza
2. A priori indipendente all’esperienza
La metafisica per essere vera acquisizione di conoscenza dovrà contenere giudizi sintetici ed essi dovranno
essere a priori (metafisica = scienza di ciò che oltrepassa l’esperienza)
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Come sono possibili giudizi sintetici a priori? se si comprende come sono possibili giudizi sintetici
indipendenti dall’esperienza si può poi vedere come le stesse condizioni sono rispettate nella
metafisica.
Kant dirà che la metafisica come ontologia è possibile con una limitazione dell’oggetto
all’esperienza, la metafisica specialis di enti determinati come Dio, anima e mondo non è possibile
come conoscenza ma può esistere con un carattere del tutto diverso
Emergerà una metafisica in forme nuove: trasformazione dell’ontologia e riformulazione della
metafisica speciale.
Oltre al concetto, per Kant, vi è un’altra rappresentazione, l’intuizione, che a differenza del concetto non è
generale ma singolare: l’intuizione si riferisce alla singola cosa, il concetto a una classe di oggetti con
caratteristiche comuni (es. albero).
A intuizione e concetto corrispondono due fonti diverse della conoscenza umana:
- Intuizione sensibilità, che è passiva
- Concetto intelletto, che è attivo
- le due funzioni restano sempre distinte: l’intelletto non può intuire nulla, e nulla possono
pensare i sensi. Solo dalla loro unione può scaturire la conoscenza. Conoscenza = intelletto + sensi
( vi è quindi una discontinuità tra le due forme rappresentative).
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Fenomeni enti rispetto a cui è possibile una conoscenza sintetica a priori si
trasformano così metodo e campo della metafisica generalis (come ontologia), essa
non si rivolge più agli enti in quanto tali, ma soltanto ai fenomeni/enti del mondo
fisico
- elementi a priori dell'intelletto logica trascendentale, che si suddividerà a sua volta in:
o analitica trascendentale: analisi degli elementi della conoscenza pura
o dialettica trascendentale: esame della conoscenza solo apparente e delle ragioni di tale
parvenza
l’intelletto non potrà fare altro a priori che anticipare la forma di una possibile esperienza in
generale e dal momento che il fenomeno è un oggetto fisico, l’intelletto non potrà
sorpassare i limiti della sensibilità
Kant spiega questo cambiamento di metodo dell’ontologia attraverso un’analogia con la rivoluzione
copernicana: come Copernico ha fatto ruotare la Terra intorno al Sole, così la filosofia trascendentale deve
cambiare radicalmente il punto di vista: il punto metodologico di partenza non è l’oggetto ma il soggetto, la
sua rappresentazione.
Come il pensiero può essere condizione dei fenomeni?
Al giudizio come Unione dei concetti corrisponde un' unificazione della molteplicità di dati che la
percezione sensibile ci presenta, e un' unificazione diversa a seconda della forma di unificazione
pensata nel giudizio. Di conseguenza a tipologie di giudizio diverse corrisponderanno operazioni
diverse dell'intelletto il rapporto alla sensibilità. Kant ritiene di poter identificare le funzioni logiche
di unificazione dei concetti in una tavola completa dei giudizi e di poter ricavare da questa una
tavola di concetti puri dell'intelletto o categorie. Queste regole sono a priori, ma non sono idee
innate: sono forme per leggere l'esperienza, che non ricaviamo da essa, ma senza di essa non sono
nulla e non sussistono.
I concetti puri non sono innati, ma originariamente acquisiti: non nascono dall’esperienza, ma con
l'esperienza.
Kant identifica dodici forme di giudizio e quindi altrettante categorie, suddivise in quattro gruppi:
1. quantità
2. qualità
tutte le intuizioni sono quantità estensive e in tutti i fenomeni il reale che oggetto
della sensazione a una quantità intensiva, cioè un grado
3. relazione L'esperienza è possibile soltanto mediante la rappresentazione di una connessione
necessaria delle rappresentazioni, Rachel si articola in tre aspetti perché a differenza delle
prime due categorie la loro applicazione non si esclude reciprocamente. Si hanno quindi tre
principi legati alle categorie di relazione che prendono il nome di analogie dell'esperienza:
a. permanenza della sostanza in ogni cambiamento dei fenomeni la sostanza permane e il
quantum di essa nella natura non viene né accresciuto nei diminuito
b. causalità tutti i mutamenti accadono secondo la legge della connessione di causa effetto
c. azione reciproca tutte le sostanze, poiché percepibili nello spazio come simultanee, si
trovano tra loro in azione reciproca universale
4. modalità queste categorie non contribuiscono alla prefigurazione di un oggetto in generale,
ma vi indicano solo diverse forme di rapporto con il soggetto conoscente e finiscono per
caratterizzare l'oggetto di esperienza come:
a. possibile
b. reale
c. necessario
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Kant perviene a questa divisione attraverso a una deduzione trascendentale delle categorie e in questa
argomentazione emerge in primo piano il ruolo dell’io. I fenomeni sono insiemi di relazioni regolate, la loro
unità può essere garantita solo dalle regole dell’atto di composizione. Le relazione ci sono solo grazie a un
soggetto che le riconosce. La sensibilità offre un molteplice senza unità e quindi qualunque unità sorge da
un processo attivo. Il soggetto delle operazioni intellettuali viene chiamato io penso, o appercezione
trascendentale, oppure autocoscienza trascendentale. L’io viene quindi visto come una funzione di
unificazione. Per dimostrare la validità oggettiva delle categorie, qualunque rappresentazione deve
sottostare alle condizioni che le permettono di esistere insieme alle altre in un'unica autocoscienza: tutte
devono poter coesistere in un’auto coscienza universale. Se da una parte le rappresentazioni non possono
costituire una conoscenza se non unificate in un identico io che faccia da strato, dall'altra li ho deve la sua
identità alla sintesi delle rappresentazioni, regolata dalle categorie. La validità delle categorie come
condizioni a cui deve sottostare ogni intuizione per essere conosciuta alla stessa solidità dell' autocoscienza;
essa non può essere a messa senza ammettere la validità delle forme a priori di unificazione.
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è sempre un giudizio sintetico, esso è possibile solo sul piano dell'esperienza. Il passaggio dal
pensiero all'essere rappresenta un salto ingiustificato
La dialettica trascendentale diventa l'analisi dei procedimenti concettuali che producono le idee
come concetti illusori e la dissoluzione delle aporie che ne conseguono attraverso la nuova
prospettiva offerta dalla distinzione tra fenomeni e noumeni; realtà e concetto sono due piani
irriducibili tra cui non vi è coincidenza.
Le idee nel loro senso regolativo (uso indiretto), producono unità nelle conoscenze dell’intelletto.
Le linee direttive delle regole dell’intelletto convergono verso un unico punto, un focus imaginarius
che resta irraggiungibile ma che funge da regola euristica. La ragione può procedere come se:
o La ragione può unificare i fenomeni psicologici come se vi fosse una sostanza
o la ragione può proseguire nel regresso in piedi con alla ricerca delle cause come se si
potesse arrivare a una causa prima
o la ragione può ricercare qualcosa di necessario per tutto ciò che è esistente come se fosse
possibile raggiungerla
Questa ricerca di unità rubate sulle idee produce un presupposto trascendentale: quello
dell’unità sistematica della natura. La legittimità e necessità di cercare tale unità si
traducono in delle massime:
i principi non vanno moltiplicati senza necessità (omogeneità dell’esperienza ).
intelletto deve prestare attenzione alle specie, deve proseguire l'analisi delle
differenze alla ricerca dell’eterogeneità.
devi venire presupposta le affinità tra fenomeni, ovvero la possibilità di poterle
collegare attraverso una crescita graduale delle diversità.
Kant nella Fondazione della Metafisica dei Costumi (1785) e la Critica alla Ragion Pratica (1788), parla del
concetto di noumeno, la cosa in sé, che assume il senso di un concetto limite che circoscrive la pretesa della
sensibilità e a cui corrisponde un diverso ambito discorsivo, quello del pensabile. Kant dice di aver dovuto
mettere da parte il sapere per aver lasciato posto alla fede, intesa come una modalità della ritenere vero,
che si distingue dalla conoscenza vera e propria, ma alla quale va riconosciuta la sua legittimità. Se lo spazio
indicato dalla cosa in sé, che la ragione speculativa ha dovuto lasciare vuoto, può essere riempito dal
discorso che segue la logica del dover essere, e quindi della ragione pratica, che regola la giri dell'uomo. La
logica propria della domanda su cosa devo fare introduce una dimensione diversa da quella conoscitiva,
quella centro del volere che è lontano dall’essere necessario, anzi è sempre condizionato. La ragione in
ambito pratico ricerca un fondamento assoluto. Il problema della ragione pratica diventa:
Come è possibile che la ragione eserciti una causalità distinta da quella empirica? Come può la
ragione autodeterminarsi e determinare l'azione?
Kant identifica gli elementi primi del discorso pratico: le proposizioni non conoscitive, ma
normative, definite come regole pratiche, che possono essere di vario tipo:
o Principi tecnico-pratici/prescrizioni regole che dicono come devo agire in rapporto a
uno scopo arbitrario, riguardano la scelta di mezzi appropriati per un determinato fine. Si
trattano di regole per l’azione che però prevedono una valutazione tecnica di condizioni per
produrre un certo effetto. All’interno di questi principi si possono distinguere:
a. Regole dell’abilità
b. Consigli della prudenza
o Principi pratico-morali riguardano anche la scelta dei fini e non solo la valutazione dei
mezzi. Si suddividono in:
a. Massime: principi che hanno valore soggettivo
b. Leggi: principi che hanno valore oggettivo. Individuare la legge che orienta la
libera azione umana sarà il problema principale della morale.
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Per una volontà santa (es. quella divina), dove dovere e volere coincidono, la regola non ha
carattere di costrizione. Tuttavia per gli uomini, che non sono guidati solo dalla ragione,
alcune regole partiche assumono il senso di un comando.
Kant chiama la formula di comando, imperativo. L’imperativo è dunque una proposizione
che contiene l’espressione di dovere che indica un compito da compiere. Kant ne individua
due tipi:
1. imperativo ipotetico quello in cui il dovere è condizionato da un ipotesi, ovvero uno
scopo di per sé non necessario. L'azione è vista come buona relativamente a uno
scopo, come mezzo per un fine. È una valutazione tecnica
2. imperativo categorico quello in cui il dovere non è sottoposto a condizioni, ma
l'azione viene rappresentata come di per sé necessaria. Per Kant ne esiste
propriamente soltanto uno, anche se esprimibile in diverse formulazioni. L’azione è
vista come buona in sé, incondizionatamente. Apre l’orizzonte propriamente morale.
la valutazione scaturisce dunque dalla forza prescrittiva delle regolazione
Non basta che l'azione come tale corrisponda al dovere, Kant distingue in:
azione conforme al dovere
azione compiuta per dovere ha titolo per una valutazione morale. Per Kant solo
alla volontà può essere attribuito in senso morale attributo della bontà. Anche le
virtù non sono tali incondizionatamente, ma solo se orientate verso la volontà
buona. Anche la stessa felicità sembra non avere valore incondizionato.
Perché la volontà è buona?
o Kant esclude che una volontà sia buona per ciò che attua ottiene, poiché il risultato non è
interamente nel potere della volontà e inoltre da un'azione malvagia può conseguire un
risultato buono o viceversa
o esclude che lo sia per la capacità di attuare quello che si propone
o nemmeno l’intenzione, ovvero lo scopo che si prefigge consapevolmente chi agisce è ciò
che conta : infatti, l'animo umano non è interamente trasparente a se stesso ed è sempre
possibile che il nostro autoesame ci inganni e che l'amore di sè sia la vera causa dell’agire
o ciò che viene giudicato e un motivo non psicologico, l'intero principio dell’agire: la
massima del volere. Ci si chiede alla luce di quale principio essa sia stata prodotta e se
questo principio sia valido. Il criterio con cui la massima viene valutata va cercato in una
filosofia pura o a priori, la metafisica dei costumi.
Kant dedica due opere nella delineazione di una metafisica dei costumi:
- fondazione della metafisica dei costumi
- critica della ragion pratica
- entrambe vogliono individuare il principio assoluto del volere. Ma le procedure sono diverse:
a. fondazione della metafisica dei costumi muove dalla conoscenza morale comune, per
trovarvi il principio da chiarire filosoficamente in una metafisica dei costumi
b. critica della ragion partica parte dai principi scaturiti da un’analisi concettuale per
dimostrare capacità di determinare la volontà di tali principi.
Per trovare una legge che valga incondizionatamente è necessario considerare che essa non può riferirsi a
nessuno eccetto particolare da considerare come desiderabile. Se la rappresentazione certo stato
determina la volontà di attuare quello stato, relazione che si crea tra soggetto e oggetto è quella del piacere
eh dipende dalla natura particolare del soggetto che quindi non può andare una legge necessaria ma solo
una massima soggettiva: la massima di raggiungere la felicità, che è quella che guidano l'azione degli
uomini. Essa non dà luogo a una legge poiché il contenuto della felicità è sempre soggettivo. Dal momento
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che nessun oggetto del volere può essere fonte di un volere necessario, il principio deve essere di tipo
formale: devi dirci non che cosa desiderare, ma come desiderarlo. La forma di una legge consiste nella sua
universalità; viene così individuato il criterio di valutazione delle massime: sarà buona quella massima chi è
sarà adatta a qualificarsi come legge universale. Kant parla di un fatto della ragione, di qualcosa che ci si
impone di per se stesso. Un essere razionale non riesce a riflettere sui fini della propria azione se non
sentendosi obbligato a seguire fino in fondo la propria razionalità. La ragione pratica trova il suo principio in
se stessa: essa è legislatrice e il modello del filosofo come legislatore della mente umana trova qui la sua
piena espressione. Il discorso razionale culmina nella possibilità di auto-legislazione, legata all’agire umano,
che implica quindi il concetto di libertà. La volontà razionale (o ragion pratica) deve essere libera:
- indipendente dagli impulsi sensibili (libertà negativa)
- libera di determinare la propria legge (libertà positiva)
- la libertà non è conoscibile, ma deve essere ammessa come idea (piano metafisico), un
presupposto dell’agire razionale. Essere razionale che riconosce la legge morale non può agire.se
non sotto l'idea della libertà: dunque la coscienza della legge morale, inevitabile per ogni essere
razionale, ci costringe a pensarci come se fossimo liberi. Se la libertà è la condizione della legge
morale, la coscienza della legge morale è la condizione per la coscienza di essere liberi:
o Libertà = ratio essendi della legge morale
o Legge morale = ratio cognoscendi della libertà
- In questo modo intellegibile non è più un regno di cose sopra sensibili, ma è un punto di vista.
L’agente razionale deve assumersi come membro di esso perché a ciò lo costringe l'idea di libertà: il
mondo intelligibile viene a coincidere con la necessità di una prospettiva imparziale, proposta dalla
regione stessa.
È possibile pensare un sommo bene, unione di virtù e felicità? L’azione conforme al dovere spesso è in
contrasto con la felicità personale. Kant cerca di ricomporre questo dissidio con la dottrina dei postulati
della ragion pratica.
- Postulati = posizioni teoretiche ammesse soltanto da un punto di vista pratico ma non affermate
come conoscenze teoretiche; non sono dogmi, ma solo supposizioni che servono a dare contenuto
a concetti che se no resterebbero vuoti (come se). Questi postulati autorizzano concetti come
quelli di anima e Dio, che non diventano strumenti di conoscenza ma possibilità
- primato della ragion pratica su quella teoretica. La possibilità del sommo bene da asserzione
diventa condizione per la promozione di esso. La ragion pratica può ammettere ciò che la ragione
teoretica aveva indicato come inconoscibile. Qui la riformulazione kantiana della metafisica trova il
suo compimento:
o l'immortalità dell'anima consente di pensare in una vita futura la coincidenza tra l'essere
compiutamente degni della felicità e la felicità effettiva
o l'esistenza di Dio consente di pensare la natura come compatibile con la moralità. Intese
come postulati pratici queste idee sono liberate dall' antropomorfismo e dalla
superstizione, così come dal fanatismo: per fare dalla commistione con pretese
conoscenze, empiriche che è sopra sensibili
liberato dalla conoscenza, il discorso morale rende possibile una religione puramente razionale. I
contenuti della religione vengono fatti dipendere dalla moralità. La fede è però una massima del
ritener vero, è una libera determinazione del nostro giudizio.
Kant nel 1790 pubblica la Critica alla Facoltà di Giudizio. Con la risposta al “cosa devo fare?” si era definito
lo scopo ultimo della ragione e ciò che interessa all’uomo come cittadino del mondo. Il primato della ragion
pratica permetteva di pensare insieme, seppur con una precisa distinzione, natura e libertà. Restava però il
problema della mediazione tra natura e libertà, che la sola possibilità del sommo bene, non garantiva in
modo adeguato.
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Tra i due domini vi è un enorme abisso, eppure la libertà deve realizzare nella natura, nel mondo
sensibile, gli scopi che si pone. I postulati della ragion pratica non fondavano un accordo tra la
legalità naturale e la libertà, tra i differenti modi di pensare costituiti da una parte dal
riconoscimento di cause meccaniche, dall'altra dalla libera posizione di fine.
Al problema del rapporto tra meccanicismo e finalismo, si aggiungono quelli della omogeneità,
affinità ed eterogeneità nella natura come massime regolative della ragione.
Problema del bello nella natura e nell’opera d’arte. Kant finisce per ritenere che il rapporto del
giudizio di gusto con i fini sia meno diretto e più complesso; il giudizio sul bello sfugge alla
dimensioni dei concetti, manifestandosi invece in un sentimento di piacere, ma conserva un
carattere proprio di tali dimensioni in quanto pretende di valere universalmente, per ogni
giudicante in generale. Kant articola quindi la filosofia non più in due, ma in tre parti:
1. Filosofia teoretica
2. Teleologia
3. Filosofia pratica
Analizzando il problema del gusto vengono individuate tre facoltà dell’animo distinte a cui
corrispondono altrettante dimensioni:
1. Facoltà conoscitiva dimensione superiore dell'intelletto, dotata di principi a priori
2. facoltà di desiderare dimensione della ragione
3. sentimento di piacere e dispiacere: di nesso il sentimento di piacere e la terza delle facoltà
superiori di conoscere, quella di giudicare, o di applicare le regole a concreti dati, c’è la facoltà
di giudizio:
Facoltà determinante di giudizio quando si parte dall’universale
Facoltà riflettente giudizio si parte dal particolare per trovare l'universale. La
ricerca ti universale non dato ho bisogno di principi indichino in anticipo come
cercarlo, principi di orientamento, non date dall' esperienza al momento che
devono renderlo possibile. Questa facoltà sarà al centro della Critica
Nell’Introduzione alla Terza Critica, dove il principio generale alla facoltà di Giudizio viene identificato e
legittimato come principio trascendentale, esso viene ricondotto alla problematica della molteplicità delle
leggi empiriche.
Se ogni soddisfazione di un bisogno è legata al sentimento di piacere, in esperienze come quelle del bello
nella natura e nell’arte, dove questo sentimento è avvertito come universale, questo legame assume una
forma particolare. Il giudizio di gusto si realizza quando la rappresentazione dell’oggetto si riferisce al
sentimento di piacere e in questo caso può essere detto giudizio estetico e il suo principio di
determinazione è soggettivo e trascendentale. Dall’analisi del giudizio di gusto emergono quattro aspetti a
cui corrispondono quattro prospettive dei giudizi logici (qualità, quantità, relazione, modalità):
1. Il compiacimento che lo determina è senza alcun interesse: non è legato un piacere per l'esistenza
dell’oggetto e dunque per l’uso che potrei farne, per un godimento di esso, ma a un piacere
soltanto per la sua rappresentazione
2. Il bello è rappresentato senza concetti come oggetto di un compiacimento universale
3. Il giudizio di gusto si basa sulla conformità a scopi di un oggetto. Lo scopo che viene percepito
nell’oggetto è indeterminato , la sua conformità a scopi è rappresentata senza alcuno scopo:
l’oggetto si presenta come se avesse uno scopo che però non è né noto né dato, distinguendosi così
dalla perfezione. È sola la forma dell’oggetto a essere tema del giudizio di gusto.
4. Il bello è rappresentato, senza concetto, come oggetto di un compiacimento necessario. La
necessità qui evocata è però soggettiva, non è passibile di dimostrazione
Il bello è quindi ciò che piace senza interesse, senza concetti, senza scopi, senza necessità oggettiva,
eppure in modo universale. L’esperienza del bello è autonoma, indipendente sia dalla conoscenza
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quanto dalla morale. Il singolo oggetto della natura si presenta attraverso il sentimento estetico
come in accordo finale con la nostra facoltà di giudizio. Questo sentimento rivela un accordo tra
facoltà dei concetti, l’intelletto, e facoltà delle intuizioni, l’immaginazione. È un processo non
finalizzato alla conoscenza e quindi per Kant è un gioco: il piacere per il bello è coscienza del libero
gioco armonico tra immaginazione e intelletto e questo lo rende un piacere universalmente
comunicabile. Il giudizio sul bello è un giudizio estetico di riflessione: un movimento tra singolarità
e universalità che si manifesta solo in sentimento.
Il bello nei prodotti dell’uomo esprime il medesimo accordo tra immaginazione e intelletto ma
attraverso l’intervento del genio, la capacità creativa umana. il genio si manifesta come espressione
di idee estetiche, rappresentazioni dell’immaginazione alle quali nessun concetto risulta adeguato,
che veicolano nella sensibilità le idee propriamente dette, le rappresentazioni della ragione che si
riferiscono a una dimensione sovrasensibile. Nell’arte si crea un processo che oltrepassa ogni
significato determinato e così la ragione stessa pensa in una dimensione sovra sensibile.
L’arte senza perdere la sua autonomia svolge un ruolo di vivificazione dei processi di pensiero.
Nel Settecento aveva assunto rilevo il concetto di sublime (Del sublime, I sec. d.C., Pseudo-Longino),
usato per indicare esperienze in cui all’attrattiva e alla piacevolezza sono connessi aspetti come il
terribile, l’orrido e la sofferenza. Termine di confronto importante per Kant sarà Ricerca filosofica
sull’origine delle idee del sublime e del bello di Edmund Burke.
o Sublime legato a un lato oscuro e a un particolare pathos ed entusiasmo (es. spettacoli
della natura, fruizione dell’opera d’arte) in Burke è legato a ciò che è smisurato, terribile
e infinito. Il sentimento del sublime nell’opera kantiana è prodotto da un giudizio estetico
di riflessione. Include in sé dispiacere ma anche ammirazione e rispetto. Funziona
attraverso un gioco di rimandi che coinvolge l’immaginazione non in rapporto all’intelletto
ma alla ragione. Il fallimento provoca un sentimento negativo ma rivela allo stesso tempo
nell’animo la dimensione della totalità. Il sublime si divide in:
a. Sublime matematico messo in moto dall’illimitatezza
b. Sublime dinamico messo in moto dalla potenza sovrastante dell’oggetto
naturale, dove viene schiacciata la facoltà desiderativa. Esso rivela una capacità
di resistenza di tutt’altra specie
Esso infine mostra un nesso intrinseco con la moralità, perché il sentimento in cui consiste è
strutturalmente analogo al sentimento del rispetto per la legge morale.
o Bello riguarda la forma degli oggetti, il limitato. Produce semplicemente piacere. Anche
il bello conserva un legame con la moralità; esso può essere il simbolo della moralità,
Poiché il suo piacere senza interesse sensibile, l’universalità che manifesta fanno sì che
alluda ma la disposizione d'animo propria della moralità.
Il concetto di conformità a scopi può essere applicato in sensi diversi a oggetti naturali, si ha:
- Una conformità a scopi relativa o esterna quando alcuni oggetti della natura vengono
considerati l'un l'altro come mezzi a scopi
- Una conformità a scopi interna quando buon determinato oggetto della natura, scopo naturale,
non è risultapensabile.se non in base a un rapporto finale tra le sue parti e il tutto, dunque il
concetto del tutto come loro causa finale
inoltre in un organismo ogni parte è causa efficiente della produzione delle altre: lo scopo naturale si auto
organizza, cosa che non avviene in un meccanismo, anche se progettato secondo fine per fare. Gli esseri
organizzati sono gli unici in natura che non possono essere pensati.se non come scopi ed hanno realtà
oggettiva al concetto di uno scopo che non sia pratico, ma scopo della natura stessa. L’attribuzione di scopi
a it naturali viene interpretato come un semplice filo conduttore della ricerca: la natura viene
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configuratacome.se la conformità a scopi fosse intenzionale ma non si attribuisce alla materia Nintendo nel
significato proprio della parola. Si ha così una regola secondo la quale certi prodotti della natura possono
essere indagati e la possibilità di ammettere la massima secondo cui tutto ha una funzione (niente è
gratuito) in una creatura organica. Questa ammissione non introduce alcuna contraddizione tra principio
meccanicistico e principio teleologico, non un principio oggettivo per le facoltà determinati giudizio ma per
la facoltà riflettente di giudizio.
L’analisi della ragione nel suo uso teleologico svolta nella terza Critica, la scoperta di un principio a priori
specifico per la facoltà di giudizio, consente di ripensare il quadro generale della teologia della ragione
umana che costituisce l'orizzonte della filosofia. L'analisi della facoltà riflettente di giudizio rende possibile
un discorso finalistico che non riguarda solo le azioni umane ma anche il mondo naturale in quanto tale,
instaurando un nuovo rapporto col mondo soprasensibile: ora questo spazio e pensabile come contenente
una causa dell'organizzazione finalistica della natura, anche.se questa causa resta inconoscibile ogni nesso
finale determinato conserva il senso di una ipotesi. Se si deve cercare uno scopo ultimo, l'uomo è un
ragionevole candidato, non perché verso di lui convergono i fini della natura, ma perché è l'unico essere
che può concepire scopi. La produzione della cultura, capacità di porsi scopi, può essere vista in questo
senso come scopo ultimo della natura. La natura viene sottratta così a una concezione ingenuamente
finalistica e disgrazie naturali e i mali che l’uomo escogita da sé mostrano come la natura sia lontana dal
favorire la felicità dell’uomo. non per un favore della natura nei suoi confronti può essere pensato come
scopo, ma in quanto dotato delle capacità di porre fine consapevoli. Il Suo ruolo privilegiato all'interno della
natura e dato dalla possibilità di una posizione di scopi che oltrepassa la natura: l'uomo è uno scopo ultimo
soltanto in modo condizionato alla sua capacità di conferire un senso complessivo arresto, gli stabilire uno
scopo finale.
Insocievole socievolezza dell'uomo e la sua tendenza a unirsi in società ma sviluppare al contempo conflitti,
essa è stata fatta mezzo per la promozione dello sviluppo della cultura: però da un semplice incremento
quantitativo della cultura è necessario il passaggio a un organizzazione politica conforme ai fini dell’uomo e
anzitutto alla libertà. Kant buono quindi delle condizioni formali perché la natura possa giungere a quel
fine. il diritto si configura come un organizzazione delle libertà, che riguarda la sola relazione esterna tra gli
uomini ma che deve però realizzarsi per consentire libere posizioni di fini che possono promuovere la
destinazione finale dell'uomo; esso richiede una convivenza pacifica degli individui nello Stato e tra gli Stati
in una organizzazione sovranazionale. Viene quindi riconosciuta la necessità del diritto come condizione
per il perseguimento degli scopi ultimi che la ragione indica in modo universale. In Per la pace perpetua
(1795) Kant Propone indica le tappe necessarie per la costituzione di un organismo sovranazionale, una
Federazione degli stati che debba garantire la pace tra le nazioni, sotto l'idea di un’unità tra morale e
diritto. più la filosofia pensato nel suo significato cosmico prende una direzione cosmopolitica. la filosofia
kantiana del diritto cerca di legittimare come idea necessaria una costituzione improntata sulla massima
libertà umana secondo leggi in base al quale la libertà di ciascuno possa coesistere con quella degli altri;
cerca quindi di offrire una Fondazione razionale pura che legittima il diritto non come arbitrio ma come
qualcosa di riconoscibile e giustificabile dalla ragione degli uomini. Lo scopo dello Stato non è la felicità ma
quello di garantire il diritto del cittadino e la libertà esterna (agire indipendentemente da costrizioni altrui).
La legittimazione del diritto sta in un principio di universalità-reciprocità, simile a quello dell’imperativo
etico; il diritto è l'insieme delle condizioni che garantiscono l'accordo dell' arbitrio dell'uno con quello
dell'altro secondo una legge universale della libertà. La possibilità di coercizione ne deriva solo in quanto
consente di rimuovere ciò che si presenta come ostacolo alla libertà esterna di qualcuno. Compiti e ambiti
del diritto sono nettamente distinti da quelli della morale ma il diritto a una Fondazione morale.
Kant concepisce il superamento dello stato di natura, come idea, attraverso lo sviluppo di dottrine
contrattualistiche. Il contratto originario non è un fatto ma un idea della ragione che ha però la forza di
obbligare ogni legislatore a fare le leggicome.se fossero scaturite dalla volontà unita di un intero popolo.
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Questa fondazione razionale del diritto si traduce in una critica verso le istituzioni di diritto positivo:
legittimata e giusta può essere solo quella istituzione giuridica che sia consenta più la convivenza regolata
delle libertà. I diritti umani, che per Kant si riassumono in un solo diritto innato, ovvero la libertà,
compatibile con quella di ogni altro, indipendente dall' arbitrio costruttivo di ogni altro e comporta anche
che nessuno mi può costringere a essere felice a modo suo. Kant Mira alla Fondazione di un diritto dei
popoli: in modo analogo a quanto avviene per gli individui, Gli Stati dovrebbero dare vita a una Federazione
di popoli. Kant delinea però il suo progetto di pace perpetua non senza realismo: se da una parte e il
principio del diritto obbligare gli uomini ad assumere pur nelle loro controversie che uno stato universale
dei popoli sia possibile e a procedere in modo da costituirlo, dall’altra gli stessi conflitti possono rendere
irrealizzabile un progetto di convivenza pacifica. La Pace perpetua è quindi non un’idea vuota ma un
compito che piano piano si fa sempre più vicino alla sua meta.
La Filosofia dell’Ottocento
E gel elabora una riflessione metodologica sulla natura della filosofia e sulla storia della filosofia, si
confronta poi con il soggettivismo metafisico (tratto fondamentale della filosofia tedesca più recente) e con
il suo risvolto etico-politico che domina la tradizione del diritto naturale; lavora poi intensamente al
progetto di un sistema della filosofia. Hegel ammette che qualsiasi sistema filosofico può venire inteso e
trattato storicamente ma sostiene che l'interpretazione delle filosofie del passato come una sorta di
preparazione alla filosofia definitiva non è mai peculiare ma piuttosto in quanto filosofia è un valore
universale: infatti, sei qualcosa di particolare costituisse la effettiva assenza di una filosofia non vi sarebbe
alcuna filosofia. La filosofia è una perché la ragione è una.
Negli anni jenensi si ha la polemica verso il soggettivismo di Kant e Fichte, contrapposto alla prospettiva di
Schelling con cui Hegel si sente in sintonia. Entrambi hanno colto in modi diversi il principio corretto:
- Kant attraverso la deduzione delle forme dell’intelletto
- Fichte sviluppando il principio kantiano, con l'identità del soggetto e dell'oggetto contenuta nella
proposizione io=io
entrambi hanno però mostrato la loro incapacità di superare l'opposizione tra razionalità e natura
in Fede e sapere la critica del soggettivismo diventa una chiave interpretativa del recente passato e
al tempo stesso elemento centrale per la costruzione di una filosofia alternativa. La filosofia della
soggettività vede il sapere come limitato e confinato nella finitezza e quindi vede la possibilità di
accedere alla verità solo nella fede; i sostenitori di questo sapere non sono quindi in grado di
andare al di là dell’illuminismo e del suo caratteristico eudemonismo.
In Differenza, Hegel si concentra sui problemi della filosofia pratica, soprattutto sull’etica e sul diritto. In
Costituzione della Germania e nel Sistema dell'eticità, muove una critica al diritto naturale sia nella versione
empirica (Hobbes) sia in quella formale (Kant e Fichte); sullo sfondo sta il risvolto etico-politico del
soggettivismo moderno, individualismo, il cui costante rischio e lo spirito privatistico dell'intera tradizione
contrattualistica che ha introdotto un rapporto subordinato come il contratto nell’assoluta maestà della
totalità etica. In questo contesto e gel sottolinea anche il carattere vuoto, formale e tautologico
dell'imperativo kantiano e il paradosso della filosofia fichtiana che dichiara di fondarsi sulla libertà e finisce
per produrre il più duro dispotismo con il suo sistema di controllo di ogni azione dei cittadini. Hegel a
questo individualismo del diritto naturale contrappone un modello ispirato alla Politica di Aristotele e
all'opera di Montesquieu. Il modello decisivo è quello della grecità per cui assoluta totalità etica nient'altro
è che un popolo (primato dell’intero). Nello scritto sul diritto naturale Hegel propone il distinguo
concettuale tra due termini che rimandano entrambi al significato di costume:
- moralità (mos, latino) morale individualistica
- eticità (ethos, greco) connotazione positiva. Elettricità come universale e ciò che nell’impianto di
Hegel precede logicamente e sovrasta l'individuo, la cui eticità è vista come un riflesso.
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Con l'emergere del mondo capitalistico e dell'importanza del lavoro nelle sue nuove forme e
differenziazioni sociali che provoca, Hegel compie una separazione tra società e Stato, che verrà esplicitata
solo nella fase più matura del suo pensiero.
Nella Fenomenologia dello Spirito Hegel sviluppa il tema della relazione tra la coscienza e il suo oggetto: si
tratta di un percorso (o storia) nella quale la coscienza viene condotta verso il sapere assoluto. il termine
fenomenologia era già stato utilizzato dal filosofo dell'illuminismo tedesco Lambert nel Nuovo Organo. La
parte intitolata Fenomenologia è dedicata da Lambert alla teoria dell'apparenza come parvenza e alla sua
influenza sulla correttezza o scorrettezza delle conoscenze umane. Lo stesso termine viene utilizzato anche
da Novalis, Fichte e Herder ma forse le occorrenze più significativa per Hegel si trova nella lettera di Kent
Lambert del 2 settembre 1770. Kant dichiara l’intenzione di scrivere una fenomenologia generalis come
propedeutica, come introduzione alla metafisica, dicendo allo stesso tempo che si tratterebbe di una
scienza negativa. Un ruolo fondamentale è giocato dallo scetticismo, unico atteggiamento in grado di aprire
la strada alla verità mostrando il carattere apparente delle forme finite del sapere alla conoscenza che vi
rimane attaccata. L’importanza dello scetticismo si era già manifestata nel pensiero hegeliano nel 1802 con
il Rapporto dello scetticismo con la filosofia; esso viene disegnato come la via del dubbio e della
disperazione. Il procedere della coscienza non è costituito da una progressiva accumulazione delle
conoscenze ma dalla tensione tra ciò che viene pensato dalla coscienza, la sua certezza, e la verità. Quella
proposta da Hegel non è che una storia della coscienza, un percorso fatto a tappe successive e l'espressione
storia indica lo sviluppo delle facoltà del conoscere ed è un termine che compare già nell’illuminismo
tedesco (termine usato anche da Fichte). La storia del mondo e della sua cultura scientifica, letteraria e
filosofica entra nel percorso della coscienza anche a esemplificare, come proprie specifiche figure, i
momenti teorici della coscienza, dell' autocoscienza e della ragione. Successivamente vengono affrontate
figure che non sono più figure soltanto della coscienza, ma figure di un mondo, che sembrano iniziare un
nuovo percorso: quello dello spirito. Da una parte si ha il percorso della coscienza, dall'altra il percorso
dello spirito attraverso le diverse configurazioni della coscienza nelle quali proprio lo spirito si realizza infine
nel sapere di sé, il sapere assoluto. Le figure di un mondo descritte a partire dallo spirito non sono astratte
ma configurazioni storiche reali: dal mondo greco al mondo romano fino alla Rivoluzione francese.
Termini come spirito e assoluto non vanno intesi in una forma teologizzante:
- spirito = mondo dell'esperienza e della cultura umane
- assoluto = carattere non relativo di un sapere che consiste nello stesso processo della sua
acquisizione il vero è l'intero
Prefazione e introduzione della Fenomenologia rispondono a esigenze e funzioni diverse:
- prefazione si concentra sul carattere scientifico e sull’idea di sistema del sapere filosofico,
contrapponendosi ha tendenze errate come quella del sapere immediato ed il richiamo al
sentimento. Viene rivendicata l'importanza della fatica del concetto, ovvero la centralità del sapere
discorsivo. Si può notare inoltre una rottura dei rapporti con Schelling ( La notte nella quale tutte
le vacche sono nere).
- introduzione corrisponde al progetto di una scienza dell'esperienza della coscienza e al percorso
fenomenologico governato, nel suo lato negativo ma produttivo, dalla negazione determinata. Il
carattere produttivo, dinamico della negazione si ha solo se la negazione non è indeterminata e
assoluta ma negazione determinata; deve essere sempre negazione di qualcosa per cui il risultato
non è il puro nulla ( concezione ripresa nella Scienza della logica). Il negativo e insieme anche il
positivo e la contraddizione non si risolve nello zero ma nella negazione di un contenuto
particolare, da qui la determinazione.
Inizialmente l’indice dell’opera era distinto in otto sezioni che fanno riferimento a otto figure:
1. certezza sensibile il questo e l'opinione
2. percezione la cosa e l'illusione
3. forza e intelletto fenomeno e mondo ultrasensibile
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4. verità della certezza di se stesso
5. certezza e verità della ragione
6. spirito
7. religione
8. sapere assoluto
A questa suddivisione Hegel ne sovrappone un'altra, composta da gruppi di figure raccolte in momenti
distinti, caratterizzati da un determinato rapporto tra coscienza e oggetto:
a. Coscienza Carattere conoscitivo, gnoseologico, e si dà la massima separazione tra la coscienza e
il suo oggetto. Compito del processo fenomenologico sarà superare questa separazione.
i. certezza sensibile o il questo e l'opinione la coscienza cerca del proprio sapere come di
un sapere immediato dell'oggetto, questa pretesa di poter esprimere un sapere immediato
del singolo oggetto si rivela però avana dal momento che il linguaggio esprime sempre un
contenuto universale
ii. percezione o la cosa e l'illusione si passa all'ora alla percezione, indicazioni di ciò che è
reale è vero. Ma sì percepire e attribuire una cosa le sue proprietà, si riscontrerà la
difficoltà di tenere insieme l'unità della cosa e la molteplicità delle proprietà
iii. forza e intelletto, fenomeno e mondo ultrasensibile Intelletto corrisponde un certo tipo
di filosofia ma anche a una certa scienza della natura, ovvero all'idea che dietro alla
manifestazione di una cosa ci sia una forza e una o più leggi che la spiegano. Però questo
regno di leggi che dovrebbe spiegare una necessità in realtà dipende da ciò che dovrebbe
spiegare e quindi anch'esso soltanto contingente, la sua necessità si rivela come una parola
vuota; la coscienza vede incrinarsi tutte le forme di relazione che cerca di instaurare con
l'oggetto e si rende conto di non avere avuto per oggetto altro che se stessa. Non si dà più
una certezza dell'oggetto, ma una certezza di se stessa da parte della coscienza, ovvero
l'auto coscienza come nuovo momento della coscienza
b. Autocoscienza l'oggetto della coscienza non è più esteriore, ma è la coscienza stessa. Il cammino
della coscienza sarà ancora lungo per giungere alla verità, ma nei fatti si è avuto il movimento
fondamentale verso il superamento dell' esteriorità dell'oggetto. L’autocoscienza inoltre è
importante perché siamo esclusivamente sul terreno gnoseologico, della conoscenza, ma anche su
quello pratico, dell'agire; inoltre con l'autocoscienza iniziano a comparire i rimandi e le
esemplificazioni mediante figure storiche reali.
Il momento dell' autocoscienza muove dalla vita e dal livello più elementare della coscienza di sé,
l'impulso, lo sforzo nei quali l'autocoscienza va alla ricerca di un riconoscimento da parte di
un'altra autocoscienza. Hegel qui si ispira al Fondamento del diritto naturale di Fichte, teso verso la
costruzione di un rapporto intersoggettivo che è condizione dell’autocoscienza e pone le basi per la
costituzione del rapporto giuridico. Viene ripresa anche la dottrina giusnaturalistica canta secondo
cui la lotta per il riconoscimento non è una situazione pacifica ma conflittuale, una lotta per la vita e
per la morte e si esemplifica in un rapporto di dominio da parte di chi è disposto a rischiare la vita,
e diventa il padrone, e chi invece non lo è, per questo diviene servo.
Il servo è una figura ambivalente perché essendo il soggetto del lavoro crea a sua volta una
dipendenza del padrone il suo lavoro. Ne deriva una forma superiore di autocoscienza posseduta
non consapevolmente dal servo, lo stoicismo, figura storica che ha una libertà soltanto pensata e
quindi rimane chiusa nell’interiorità ed è caratteristica della paura e della servitù. La negatività
dello stoicismo si realizza nello scetticismo che è la negazione consapevole di ogni determinazione
e contenuto, per passare poi all’immagine dell' autocoscienza lacerata che va alla ricerca di se
stessa: la cosiddetta coscienza infelice. Essa proietta oltre ciò che è assoluto: riproduce una
separazione radicale tra uomo, autocoscienza e Dio, come avviene nella religione ebraica e nel
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cristianesimo medievale. Da questa scissione nasce la necessità di cercare l'assoluto non in un aldilà
ma entro se stessa, nella ragione (nuovo momento) come certezza di essere ogni verità.
iv. verità della certezza di se stesso
c. (senza titolo, si suddivide a sua volta in)
aa. ragione Momento della celebrazione e allo stesso tempo della critica della ragione moderna.
Si ha una nuova posizione nei confronti del mondo, la ragione ora guardo il mondo come a qualcosa
di suo e che vuole verificare come tale. La ragione e la certezza della conoscenza di essere ogni
realtà: Kant e Fichte avevano individua il giusto percorso ma nessuno è riuscito a mantenere la
posizione idealistica originando un’interpretazione soggettivistica.
Da una parte la ragione cerca se stessa dal punto di vista teoretico, ragione osservativa, che trova
espressione in discipline come la frenologia, la fisiognomica.
Per trovare se stessa nella realtà e realizzarsi la ragione si volge alla dimensione pratica, che si
articola in una serie di figure:
Faust goethiano ricerca frammentata del piacere
Karl Moor legge del cuore
Velleitarismo virtù che si oppone al corso del mondo
La parte finale della ragione si prepara per il passaggio successivo dello spirito: l’individualità agente
è una realtà che si contrappone al velleitarismo e al carattere astratto delle figure precedenti.
L’agire reale individuale si intreccia con l’agire di altri, pur pretendendo di essere l’esclusivo autore
del risultato. La rete delle azioni di tutti costituisce un mondo che Hegel chiama la cosa.
L’individualità arriva al punto estremo, che troverà soluzione sul piano dello spirito.
v. certezza e verità della ragione
bb. spirito lo spirito è l’assoluta, reale essenza che sostiene se stessa. Tutte le figure fino ad ora
incontrate sono astrazioni dello spiro medesimo. Con lo spirito si ha la realtà effettiva della vita
etica, per arrivare però al sapere di sé come spirito, al sapere come sapere assoluto, lo spirito deve
passare attraverso varie figure:
Tragedia sofoclea mondo greco rappresentato da tensioni e conflitti. Da una
parte Antigone e la legge divina, dall’altro Creonte e la legge umana. la grecità non
è solo armonia ma anche tensioni. La polis da compatta, con la crisi si frammenta e
si ha la frammentazione individualistica della società, dove però gli individui con il
mondo e il diritto romano non sono veri soggetti dotati di profondità ma meri
soggetti formali e giuridici; sono soggetti privati che mancano di un significato
pubblico
Impero romano sviluppo della Bildung, della cultura e della civiltà. Nella cultura
dall’immediatezza si va verso l’universale in forme opposte: da una parte la
coscienza si sottomette alla potenza di un universale rappresentato volta per volta
dal feudalesimo, dal monarca e dalla fede in un Dio trascendente; dall’altro essa fa
coincidere la volontà propria con l’universale provocando la dissoluzione sia dello
Stato sia del divino. In entrambi i casi uno dei due termini viene a mancare, perché
assorbito dall’altro come ad esempio nel Terrore giacobino, la volontà si fa
particolare per poi eliminare la particolarità, ovvero l’individuo stesso.
Questo processo culmina con il passaggio in un’altra regione dello spirito autocosciente (significato
geografico): da una trattazione dominata dalla cultura francese si passa alla cultura tedesca
(filosofia partica kantiana e romantica) con lo spirito morale. Hegel critica la dottrina dei postulati
(Dio e immortalità dell'anima) e la pretesa kantiana di pervenire attraverso essi alla conciliazione tra
moralità e felicità, ovvero tra moralità e natura. Hegel inoltre critica il moralismo e la religiosità
romantica, in particolare l'anima bella (personaggi di Schiller e Goethe) che occorre costantemente
al rischio di scadere nell’ipocrisia e nel velleitarismo. La figura dello spirito si chiude infine con il
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problema del male e del suo riconoscimento che può essere superato solo attraverso il perdono e la
riconciliazione che sono visti da Hegel in una prospettiva religiosa e aprono la strada alle figure
conclusive della religione del sapere assoluto.
cc. religione Non si tratta più della coscienza ma dello spirito medesimo che si rivela all'uomo,
ovvero se stesso. Religione E sapere assoluto non sono in un rapporto fatto solo di armonia. La
religione si articola in forme diverse:
religione naturale il divino assume forme naturali che esprimono la potenza
della natura (religioni orientali e Egitto)
religione artistica tipica della Grecia, il suo tramonto coincide con il tramonto
dell’eticità che ne costituisce il sostegno
religione rivelata forma Suprema di religione, il cristianesimo, il cui tratto
essenziale è proprio l'incarnazione, il farsi uomo da parte di Dio.
Tutte le forme della religione dipendono però dalla forma della rappresentazione, questo è l'elemento
decisivo che segna la differenza dal sapere.
dd. sapere assoluto Non si tratta di esporre nuovi contenuti ma di mostrare come si sia superata
ogni opposizione tra coscienza e oggetto, ovvero tra soggettività del pensiero e oggettività del mondo.
Questo superamento non può che consistere nell’interiorizzare, che è anche un ricordare e un
sedimentare l'intero processo nella sua necessità e nella necessità di tutte le figure. Hegel utilizza il
termine Er-innerung (memoria) che contiene anche il riferimento a ciò che è inner, interiore, da parte
del sapere stesso. È il sapere concettuale discorsivo difeso nella prefazione e che costituisce un
processo e una totalità solo in quanto può essere davvero assoluto. Il percorso è così completato e si
danno due diverse accezioni della conoscenza della verità:
o nella Fenomenologia tema del vero da parte di un soggetto
o nella Logica tema del vero sull’essere, sulla realtà
Negli anni jenensi viene meno lo statuto di una logica vista come introduzione al sistema, in favore di una
logica pensata come metafisica: la logica finisce per costituire una parte del sistema, la prima, e la struttura
generale. Negli stessi anni matura anche il disegno di un enciclopedia filosofica come esposizione
complessiva del sistema, progetto che si realizza nelle diverse edizioni della Enciclopedia del 1817 , 1827 e
1830. In tutte queste tre edizioni il sistema è articolato in tre parti, anche.se la prima parte trova una
trattazione autonoma e più ampia nell’opera Scienza della logica (1812-1816):
1. Logica
o Logica = Parte del sistema, ovvero quella parte della filosofia che affronta le forme del
pensiero nella loro purezza. Si occupa dell’elemento logico che viene colto nella sua
purezza e non come contenente un aspetto diverso dalla logica
o Logicità = costituisce invece lo scheletro, la nervatura del sistema, non è limitato una parte
di esso. L'elemento logico e la razionalità stessa che permea di sé il pensiero e la realtà
tutta, Hegel dichiara che esso ha tre lati che costituiscono lo scheletro della metodologia
hegeliana:
i. lato astratto o intellettuale
ii. lato dialettico o negativo-razionale è la negazione del primo
iii. lato speculativo o positivo-razionale
La forma generale della metodologia di Hegel consiste nella posizione di un concetto nella
sua astrazione, nella negazione determinata di esso e nella ricomposizione di un concetto
arricchito dalle determinazioni precedenti ottenuto dal cosiddetto “togliere conservando”
come superamento indicato con il termine Aufhebung.
Inoltre la logica, al contrario di quanto teorizzato da Aristotele, non è una disciplina formale che si
occupa solo di definizioni e inferenze indipendentemente dai contenuti. Sulla base secondo cui la
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logica e metafisica, e le strutture della logica sono le strutture della realtà, una concezione
puramente formale della logica non può essere accettata da Hegel. Il contenuto della logica e infatti
il pensiero oggettivo, che esprime la verità e la razionalità delle cose per come esse sono in se
stesse. Hegel in questa nuova concezione della logica si considera un continuatore dell'opera di
Kant che aveva tentato di rinnovare la logica e di dare essa un contenuto con l'idea di una logica
trascendentale (categorie). Hegel dice che il contenuto della logica è l’esposizione di Dio, come egli
è nella sua eterna essenza prima della creazione di una natura e di uno spirito finito.
La scienza della logica si divide in:
o Logica oggettiva:
Dottrina dell’essere: la logica come pensiero puro non può partire da un
presupposto e vieni qui di implicata anche l’assenza di determinazioni. Si parte
quindi con l’assoluta indeterminatezza del puro essere. La dottrina dell’essere si
apre con la qualità, essere e nulla sono opposti, ma condividono la vuotezza e
l’indeterminatezza e possono essere pensati assieme al divenire: l’essere si
determina e diventa un esserci, finito e mutevole. Qui Hegel spiega il rapporto tra
finito e infinito dove il primo è parte del secondo e non a esso opposto. L’infinito
non viene inteso come indefinito ma come totalità delle parti finite, che fa
superare l’opposizione uno-molti. Dopo la qualità, Hegel analizza la quantità nella
matematica e nella fisica, per poi passare all’unione di quantità e qualità nella
misura.
Dottrina dell’essenza: si apre con l’essenza come riflessione in se stessa attraverso
nozioni che rappresentano le tappe di un processo:
- Identità
- Differenza non contraddizione
- Fondamento ragion sufficiente
Nella sezione dedicata al fenomeno e all’apparenza vengono ripresi temi affrontati
nella Fenomenologia, in particolare per la relazione tra fenomeno e legge e la critica
alla distinzione kantiana tra fenomeno e noumeno. Queste astratte opposizioni
vengono trattate nella terza sezione dedicata alla realtà dove viene discussa anche
la concezione spinoziana di sostanza, apprezzata da Hegel poiché viene compreso
ce ogni determinazione è negazione. Vengono poi analizzate le categorie di
modalità e relazione.
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ma il sapere stesso. La prima sezione della dottrina del concetto è la soggettività
dove vengono discusse le nozioni di concetto, giudizio e sillogismo, intesi come
forme della realtà.
La sezione seguente è sull’oggettività la cui struttura di realtà è identica al pensiero
e quindi non contrapposta ad esso. Vengono analizzate una serie di determinazioni
concettuali come di modi di pensare le forme naturali: meccanismo, chimismo,
teleologia. Quest’ultima viene ripresa anche nell’ultima sezione, quella dell’idea: il
vero oggettivo, il vero come tale. Essa non viene intesa come un opposto alla realtà
oggettiva ma come ciò che ne esprime l’interna e compiuta razionalità. Essa si
articola in:
- Vita individualità immediata il cui fine è riferirsi al suo esistere oggettivo
come a se stessa
- Conoscere riconosce la realtà come l’ideale e nella realtà trova quindi sé
come oggetto. Si distingue in idea del vero e idea del bene
- Idea assoluta ultimo grado del processo logico e primo di quello
metafisico. È l’unico oggetto e contenuto della filosofia. La verità, di nuovo,
consiste nell’intero. La scienza costituisce un circolo dei circoli. La scienza
come scienza filosofica è quindi un’idea circolare, in cui a partire da un
elemento universale astratto questo elemento diviene un universale
concreto, che è il contenuto di se stesso. La struttura circolare della scienza
rimanderebbe a una spirale che non è una circolarità statica, ma un
processo vivente in cui consiste la verità.
2. Filosofia della natura
Al contrario di quanto si credeva, scienza e natura non sono contrapposti ma correlati, poiché la
scienza della natura costituisce il presupposto affinché se ne possa dare una filosofia. La filosofia
della natura esamina l’alienarsi dell’idea in sé, il suo esteriorizzarsi, la negazione dell’idea in sé
come pensiero puro. Se l’idea è unità necessaria e razionale, la natura mostra dispersione e
accidentalità, in cui l’unità del concetto si nasconde: la razionalità è nascosta e deve essere
ricostituita nella riflessione.
Dal punto di vista del sistema la filosofia della natura riguarda quindi le esteriorità. La natura è e
deve essere razionalmente giustificata nella sua esistenza, ma resta il momento della
esteriorizzazione e quindi della rottura di un unità. Inoltre la natura non mostra nella sua esistenza,
al contrario dello spirito, libertà, ma solo necessità e accidentalità. È costituita da forme che non
hanno sviluppo e quindi non hanno un progresso. Le modificazioni si ripetono e non accade nulla di
nuovo, essa porta con sé “una certa noia”. Ciò non toglie che anche nella natura ci siano
modificazioni secondo il modello della grande catena dell'essere dove la natura viene vista come
una sistema di gradi, ciascuno dei quali scaturisce dall’altro. Hegel si oppone alla concezione
secondo cui la filosofia della natura possa essere considerata come una sorta di appendice della
considerazione scientifica e inoltre si oppone alla concezione romantica della natura e alla sua
tendenza a divinizzarla, rischiando di considerarla come una realtà superiore allo spirito.
Hegel offre un’analisi dei modi di considerare la natura:
o Sfera pratica l'uomo tende ad annientare la natura servendosene in modo strumentale
o Sfera teoretica viene messa in luce l'indipendenza della natura e attraverso questa
considerazione filosofica se ne può cogliere il concetto
La filosofia della natura è divisa in tre parti:
i. Meccanica dura polemica nei confronti di Newton in difesa di Keplero: mentre
Newton tratta le forze naturali nei loro assoluto isolamento e nella loro
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separazione, Keplero coglie l'unità dell'intero (come fa la ragione) attraverso la sua
idea dell’armonia complessiva dell'universo
ii. Fisica polemica nei confronti di Newton in difesa della teoria dei colori di
Goethe
iii. Fisica organica Si passa dalla natura geologica alla natura vegetale, fino a quella
animale che possiede il sentimento della vita e l'autonomia rispetto agli enti
esterni. L’inadeguatezza tra vita animale individuale, destinata alla morte, e genere
costituisce una contraddizione insuperabile a livello animale e ciò provoca il
passaggio al momento dello spirito, la realtà umana.
3. Filosofia dello spirito
La conoscenza dello spirito e la conoscenza più concreta e di maggiore rilevanza, si tratta del
comando assoluto dei greci conosci te stesso che per Hegel non rimanda alla conoscenza di tipo
introspettivo individuale ma significa la conoscenza di ciò che è la verità dell'uomo, della verità in
sé e per sé, dell'essenza stessa in quanto spirito. La filosofia dello spirito e quindi autocoscienza
dello spirito e di conseguenza ha per oggetto il mondo degli uomini, inteso nella sua specificità
razionale (quindi sociale, storica e culturale), in ciò che va al di là della dimensione prettamente
naturale dell'uomo. L’essenza dello spirito e la libertà, Hegel vuole mostrare la libertà attraverso i
processi della sua realizzazione nelle diverse forme di vita dell'uomo, inoltre essa è qualcosa che va
al di là della sfera del volere dell’agire per diventare carattere strutturale del mondo umano e ha
l’apice nella stessa attività del filosofare. Il mondo dello spirito è il mondo nel quale la libertà si
realizza, essa si realizza in modo compiuto nel pensiero dell'uomo (infinito). La filosofia dello spirito
si articola in:
o Spirito soggettivo costruzione dell’intelligenza e della volontà libera
i. antropologia: Hegel dichiara come propria fonte di ispirazione il De anima
aristotelico; ciò che per Hegel conta non è l’anima in senso religioso ma l’unità
psicofisica dell’anima. Si tratta del livello più elementare della vita dello spirito,
dell’anima come spirito naturale, uno spirito non ancora consapevole di sé che
passa attraverso:
- l’anima naturale
- l’anima senziente
- l’anima reale
ii. fenomenologia dello spirito: vengono ripresi i contenuti di:
- coscienza relazione immediata con l'oggetto, con l'oggetto come
oggetto
- autocoscienza fa dell’io stesso il proprio oggetto
- ragione ricompone in unità i due momenti precedenti. È certezza di se
stessi che ha per esito l'oggetto della psicologia, lo spirito in senso proprio.
iii. psicologia: ha come oggetto lo spirito. Esso è un soggetto cosciente del proprio
pensiero e della propria azione.
- Spirito teoretico: primo momento della psicologia e ha per oggetto la
libera intelligenza; e articolato in:
o intuizione
o rappresentazione
o pensiero
- Spirito pratico: muove verso il sistema della filosofia pratica che costituirà
lo spirito oggettivo attraverso l'organizzazione razionale dei contenuti
della coscienza e la possibilità di scegliere tramite il arbitrio. Si ha come
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esito una forma di universalità razionale limitata che è costituita dalla
felicità.
- Spirito libero: unità dello spirito teoretico e del pratico. Nel passaggio allo
spirito oggettivo mostra il carattere storico della realizzazione della libertà
che non si può dare né come semplice arbitrio né come libertà
individualistica. La libertà vera non ha per i suoi scopi un contenuto
egoistico ma un contenuto universale.
o Spirito oggettivo: sezione intitolata alla filosofia del diritto, intendo con esso la sfera dello
spirito oggettivo nel suo complesso, le singole forme del diritto e un significato metaforico
di diritto della libertà soggettiva, intervenuto con il cristianesimo, e del diritto assoluto dello
spirito del mondo. Nel Processo di realizzazione della libertà il cristianesimo costituisce per
Hegel il momento di svolta decisivo, inaugurando un mondo che ha perso la chiesa
compattezza etica del mondo greco ma che ha così acquisito il fondamentale principio della
libertà soggettiva; questo principio è al tempo stesso un importante conquista e una
patologia, come lo è la mentalità individualistica del mondo moderno. Sin dalla
Fenomenologia, Hegel non guarda più all’eticità antica, in cui non si dà una genuina
soggettività. La figura di Socrate annuncia la crisi della polis e l'emergere della soggettività
che si realizza nel cristianesimo e che viene approfondito dalla riforma protestante, lo
stesso principio si esprime anche nel diritto romano che regola i rapporti privati od al
costituirsi di una società distinta dallo stato politico (relazioni economiche e sociali fondate
sul particolarismo). Lo stato non deve porsi un contratto sostenendo così il fine della
conservazione della vita e della proprietà degli individui. Hegel rimane uno dei critici più
radicali del contrattualismo come dimostrano le considerazioni sulla guerra; quest'ultima
rivela quanto sia sbagliato il pensiero di coloro che ritengono che lo scopo finale dello Stato
sia l'assicurazione della vita e della proprietà degli individui e non lo stato stesso. La critica
al contrattualismo e analoga alla critica a Beccaria. L’argomento principale di Beccaria
dell'origine dello Stato si fondava su un origine contrattuale.
Qui compare l’immagine della filosofia come nottola di Minerva che spicca il volo sul far del
crepuscolo. L'errore e pensare che la filosofia debba occuparsi del dover essere; la
comprensione filosofica interviene alla maturità di una civiltà, quando essa comincia a fare
il suo declino, non si tratta di un passivo adeguarsi alla realtà ma di una concezione della
filosofia come comprensione della razionalità della realtà: ciò che è razionale è reale e ciò
che è reale è razionale. Questo atteggiamento vale sul piano del confronto della filosofia
con la realtà etica e politica: il fatto che di un singolo contesto storico-politico sì mostrino le
ingiustizie non inficia la razionalità dello Stato moderno e delle sue strutture istituzionali; lo
stato hegeliano non corrisponde allo stato prussiano del tempo.
La filosofia dello spirito oggettivo si suddivide in tre parti:
i. Diritto astratto (ovvero privato): muove dal concetto di personalità e
proprietà come sfera esterna della libertà. Questo permette l'ingresso
del contratto come accordo tra persone private sulla loro proprietà. Il
mancato accordo include la possibile esposizione alla violenza e quindi
la comparsa dell’illecito e della necessità della costrizione. La pena
viene vista come retribuzione, ricompensazione di un equilibrio. Essa
non può essere concepita sul piano del diritto privato ma deve avere
un valore universale.
ii. Moralità: dimensione universale dove la semplice persona astratta
diventa soggetto; essa tiene conto dell’interiorità dell’individuo. Essa si
articola in:
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Proponimento e responsabilità Hegel affronta la
questione dell' imputazione delle azioni e la necessità che
esse siano azioni volontarie di un soggetto che le riconosca
come sue affinché ne possa essere responsabile; sia il
proposito che le conseguenze dell'azione sono rilevanti
nell’imputazione e nella valutazione di essa.
Intenzione e benessere Il fatto che un azione contenga
un proposito implica che sia volontaria. La nozione di
felicità viene vista come un fine universale che raccoglie i
fini particolari dell'individuo. La soddisfazione dei bisogni
del singolo si fonda su processi come il lavoro, la sua
divisione e la sua organizzazione.
Bene e coscienza morale Hegel analizza anche un caso
di virtù dell’eccezione, ovvero la possibilità, come nel caso
di Socrate, che la volontà dell'individuo sia più buona del
tessuto etico nel quale si trova a vivere. Il punto di vista
della moralità e individuale e la stessa nozione di dovere
non può essere affrontata adeguatamente all'interno del
punto di vista morale ma soltanto da quello etico dove
l'individuo viene visto e inserito all'interno di un tessuto
sociale e istituzionale. Solo qui si potrà parlare
concretamente di doveri e diritti.
iii. Eticità tutto è inserito in contesti sociali e istituzionali.
- Famiglia: punto di partenza dell’eticità. Istituzione riconosciuta
nelle sue varie dimensioni. Kant inserisce la famiglia nello
sviluppo del diritto privato. Hegel la riconosce come istituzione
vera e propria con diversi aspetti come quello naturale,
affettivo, economico e giuridico. Essa rappresenta un’eticità
immediata. Con la crescita dei figli essa è destinata a
moltiplicarsi in una pluralità di famiglie e quindi perdere la
propria compattezza.
- Società civile: con il moltiplicarsi delle famiglie si passa alla
società civile, designata come perdita dell’eticità. È una società
separata e distinta dallo Stato politico. La prima parte è
dedicata al sistema dei bisogni che corrisponde al momento di
massima frammentazione. Hegel muove ad una
riorganizzazione della frammentazione attraverso istituzioni
che devono rimediare al disordine economico e sociale. Da qui
nascono le figure dell’amministratore della giustizia e gli aspetti
amministrativi della polizia e della corporazione. Il sistema dei
bisogni appare come una rete di relazioni apparentemente
disordinata ma che ha le sue proprie leggi e quindi possiede
anch'essa una sua universalità come mostra l’economia
politica. Il processo di moltiplicazione dei bisogni e dei mezzi
per soddisfarli attraverso il lavoro costituisce la differenza tra
l'uomo e l'animale. Hegel per contrastare l'uso astratto e
indefinito del termine “uomo” sottolinea il carattere dell’uomo
come membro della società civile ripercorrendo le specifiche
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determinazioni alle quali questo va incontro nello sviluppo
dello spirito oggettivo. L'uomo nel diritto astratto diventa il
soggetto nel punto di vista morale e nella società ma soltanto
come bourgeois, non ancora come cittadino dello Stato,
citoyen. Il processo di realizzazione della libertà è ancora
soltanto formale. Nel sistema dei bisogni, fondato
sull’interdipendenza, vari fattori contribuiscono allo svilupparsi
di differenze come quella tra i patrimoni e tra stati o ceti, le
diverse classi sociali che si differenziano nello stato sostanziale:
agricoltura, industria e stato universale, che è rappresentato
dai funzionari dello Stato. Caratterizzanti gli individui del
sistema dei bisogni e il loro perseguire il proprio interesse
egoistico che trova riconoscimento nei diritti della particolarità
soggettiva. Il sistema dei bisogni e il luogo della realizzazione
degli interessi privati dei cittadini come bourgeois. Con
l'amministrazione della giustizia compaiono nella società civile i
primi elementi di ordine attraverso i processi ai tribunali: si
tratta dell’esercizio concreto del diritto all'interno della vita
sociale che tutela gli interessi dei bourgeois. Una stessa
funzione di riorganizzazione della vita sociale ce l'hanno la
polizia, intesa come amministrazione pubblica che si occupa di
problemi come la povertà, e la corporazione, che limita il modo
egoistico del libero scambio e costituisce, insieme alla famiglia,
la seconda radice etica dello Stato. Attraverso questa radice
etica è possibile il passaggio da società civile a Stato.
- Stato: è la realtà dell’idea etica. Il fine dello Stato è la propria
conversazione e i cittadini che vivono in esso ottengono la
propria universalità. I cittadini nello Stato raggiungono, dal loro
punto di vista soggettivo, la propria soddisfazione e il proprio
interesse particolare. Anche diritto e moralità soggettiva,
famiglia e società civile, hanno nello Stato il loro stesso
fondamento, altrimenti non sarebbero che astrazioni. Si tratta
ancora una volta dell'applicazione del metodo circolare. La
vita dello Stato si articola in tre diversi momenti:
o Diritto statuale interno ordinamento costituzionale,
dove viene ripresa la teoria della separazione dei
poteri, vedendoli però come elementi che fanno parte
di un’unità. I poteri presi in esame sono: il potere del
principe, il potere governativo e il potere legislativo. La
forma del governo hegeliano è in sostanza una
monarchia costituzionale. Per quanto riguarda il
rapporto tra individuo e stato, Hegel ritiene che lo
stesso patriottismo vada visto come una disposizione
d'animo politica sorretta dalla fiducia nello Stato e
che quindi non debba essere intesa, come d abitudine,
come disponibilità ad azioni straordinarie.
o Diritto statuale esterna rapporto tra Stati. Il
rapporto tra gli Stati e un rapporto sempre
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potenzialmente conflittuale, per l'insussistenza di un'
autorità superiore che possa appianare i contrasti. Il
rapporto tra stati ha per esito la storia del mondo,
definita da Hegel come un tribunale.
o Storia del mondo (o universale) viene definita da
Hegel come un tribunale, L'unico effettivo giudizio che
possa essere dato sui conflitti e al tempo stesso sulla
storia stessa; in questo modo la storia del mondo
ottiene un diritto assoluto poiché ciò con cui ci
dobbiamo confrontare e ciò che è realmente avvenuto
e non ciò che sarebbe dovuto avvenire. Tutto ciò può e
deve essere riconosciuto nel suo valore e ricevere un'
adeguata collocazione anche se il piano della storia
universale e qualitativamente diverso, dal momento
che la storia universale cade fuori da questi punti di
vista che rientrano nella contingenza di cui si può
soltanto compiangere la universale transitorietà.
La storia È un processo razionale e la sua realizzazione
ha anche una dimensione cronologica che consiste
proprio nella storia del mondo. Questo segna la
differenza tra natura e spirito: della natura non c'è
storia perché in essa non vi è spirito, non vi è sviluppo
e non vi è progresso. Invece nella storia degli uomini
sia un generale sviluppo culturale dell'umanità dove
opera l'astuzia della ragione, che va bene al di là dell
intenzione degli uomini che agiscono in essa e che non
ha mai perfino la felicità degli individui: i periodi di
felicità nella storia sono “pagine vuote”, sia che si
considerino gli uomini comuni, sia quei rari individui
come Alessandro Magno, Cesare o Napoleone, che
hanno promosso il corso della storia, ovvero gli
individui cosmico-storici. Questi uomini anno si
ottenuto la loro soddisfazione la quale però non
consiste in un fine individuale come la felicità, ma in un
fine di carattere universale che ha rappresentato un
avanzamento reale dello spirito. Una volta raggiunto il
fine che si erano posti la loro sorte individuale a una
dimensione tragica dal momento che anche la loro
individualità è sottoposta alla transitorietà
dell'esistenza personale.
La storia del mondo procede da Oriente verso
Occidente, attraverso quattro tappe:
Regno orientale regno della teocrazia, del
dispotismo teocratico di tipo patriarcale
regno greco regno della bella libertà,
dell'arte e della sostanza etica dei Greci, presso
i quali però vige ancora la schiavitù
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regno romano l'individuo diventa persona
giuridica ma perde la propria libertà poiché gli
individui decadono a persone private tenute
insieme soltanto da un arbitrio astratto
regno germanico la mancata realizzazione
della libertà conduce alla scoperta dell'
interiorità promossa dal cristianesimo, è
l’Europa cristiana dove un ruolo centrale viene
assegnato alla Riforma luterana che ha fatto sì
che in Germania non sia stata necessaria una
rivoluzione così come è avvenuto in Francia,
per l'affermazione delle libertà come
riconciliazione tra razionalità e Stato.
o Spirito assoluto: anche questo viene tripartito a seconda della forma in cui comprende se
stesso.
Arte intuizione. Per Hegel si tratta di una filosofia dell’arte, più che un’estetica.
L'arte ha adempiuto al proprio compito di auto conoscenza dello spirito nelle sue
forme universali.
- simbolica architettura. Prima forma d’arte e preparatoria alla nozione
della bellezza che si realizza soltanto nell'arte classica. Prende le mosse da
fenomeni naturali e figure animali e si conclude con la figura egiziana della
sfinge, nella sua ambiguità tra figura animale e umana e nell’enigmaticità
che indica l’indeterminatezza e la problematicità dello spirito rispetto a se
stesso.
- classica scultura. È l'arte greca che raffigura al meglio la bellezza
sensibile nella figura umana e che matura sul terreno dell’eticità
spontanea: nell’ammirazione verso questa forma d'arte e che esprime la
sua affinità con l'ideale neoclassico proposto da Winckelmann. Unico tipo
di arte in grado di esprimere in modo armonico il rapporto tra forma
sensibile e spirito.
- romantica pittura, musica e poesia. Non va identificata con il
movimento romantico tedesco contemporaneo a Hegel, ma con l'intera
civiltà postclassica e cristiana. Con la scoperta dell' interiorità il materiale
sensibile si rivela sempre più inadeguato per esprimere l'assoluto. In
questa arte il rapporto tra contenuto e forma sensibile è inverso rispetto
alla prima forma d’arte; nell’arte simbolica la forma sensibile risulta
dominante rispetto al contenuto, mentre nell’arte romantica la forma
sensibile non è più in grado di dare espressione al contenuto dello spirito.
L’unica arte in grado di rendere questo rapporto armonicamente è l'arte
classica. In questo senso si parla di morte dell’arte.
Religione rivelata rappresentazione. La religione cristiana è un punto d'arrivo
delle diverse forme di religione. Le religioni determinate che l'hanno preceduta
sono:
- religione immediata o della natura religioni orientali
- religione dell'individualità spirituale religione del sublime (= religione
ebraica) e religione della bellezza (=religione greca)
- religione della finalità o del fato religione romana
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Tutte le religioni sono espressioni dello spirito, anche la storia delle religioni è
storia dello spirito. Il cristianesimo è la rivelazione della verità che permette il
passaggio all'ultima forma dello spirito assoluto: la filosofia, unità dell’arte e della
religione. Essa presenta un rapporto problematico con la religione.
Filosofia pensiero consapevole di sé. È la conoscenza dell'assoluto da parte di
sé stesso, è l'assoluta razionalità che a se stessa per oggetto anche nel suo
svolgimento storico. Il problema, come già si diceva in Differenza, e come non
ridurre la storia della filosofia a una serie di opinioni che si succedono nel tempo,
quindi come sia possibile rendere compatibili le molteplicità delle filosofie e
l'unicità della verità. Sembra di trovarsi davanti a una contraddizione quando si
parla di filosofia e del fatto che essa abbia una storia. Il filosofo propone la
soluzione che la storia della filosofia sia come l’insieme delle figure logiche del
sistema: un processo dialettico. Le figure che si succedono, una volta che si sono
consumate, non scompaiono, ma vengono conservate nel movimento complessivo,
tutte tappe del percorso dello spirito.
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