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GENESI 1 -1 1

C h r i s t o p h U e h l i n g e r

Come la maggior parte dei monumenti letterari, la Bibbia raggiunge il


maggior numero dei suoi lettori nelle prime pagine, dette «storia delle ori-
gini». Quanti non hanno intrapreso un giorno la lettura della Bibbia volen-
do cominciare proprio dall’inizio, cioè dalla Genesi, per poi abbandonare
l’impresa dopo due-tre libri o semplicemente dopo alcuni capitoli? T primi
capitoli della Genesi hanno quindi un indiscutibile vantaggio rispetto a
tutti gli altri proprio per il fatto di essere inevitabili. Sono testi che tutti
hanno letto e credono di aver più o meno compreso... In queste pagine il
lettore contemporaneo può farsi facilmente intrappolare in letture banali,
troppo disinvolte (la creazione in sette giorni, la costola o la mela - non ci
credi?!), in sterili discussioni fra creazionisti ed evoluzionisti (il big bang è
frutto del caso o della volontà del creatore? Duomo è stato creato da Dio o
discende dalla scimmia?), in schemi illusori proposti dagli ingegneri dello
strutturalismo e negli allegri giochetti di quei nuovi maghi che sono gli
psicanalisti trasformati in esegeti (Gen 3 o la scoperta della sessualità che
apre alla conoscenza e all’«essere come dèi»...). Tutto questo bel mondo e
molti altri credono di dover procedere ai loro commenti per proporre la
loro chiave - e perché no?, l’unica, già che ci sono - che permetterebbe di
comprendere meglio la B ibbia (scusate se è poco) a partire dai suoi primi
capitoli.
Gli esegeti storico-critici e i loro studenti sono in parte responsabili di que-
sto baccano e della confusione delle idee. Come spiegare altrimenti il fatto
che ogni nuova generazione di studenti, e molti lettori laici, sembrano cade-
re dalle nuvole quando scoprono che la storia delle origini è composta da
fonti diverse che si incrociano e compenetrano, come aveva mostrato già
nel 1753 Jean Astruc nelle sue famose Conjectures sur les m ém oires origi-
n ala: dont il paroit que M oyse s’est servi pour com poser le livre de la Genèse?
Bisogna riconoscere che, per oltre un secolo e in una sorta di grande scar-
to acrobatico fra la critica letteraria e la teologia dogmatica, la maggior parte
degli esegeti moderni si è dedicata alla dissezione delle fonti precanoniche,
attribuendo loro anche ampi programmi soteriologici (Dio e l’uomo, il pec-
cato e la grazia...), invece di interpretare la storia biblica delle origini a par-
tire dal suo contesto socioculturale e storico, cioè dalla storia letteraria del
Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale del I millennio a.C.
1. PIANO E CONTENUTO

1.1. N om e e u n ità
«Storia delle origini» (Urgeschichte, prim evai history): è così che gli esegeti
designano abitualmente i primi 11 capitoli della Genesi, basandosi sulle
prime parole del libro (berèsit, «in principio»). In realtà, in questi capitoli si
tratta dell’origine del mondo e dell’umanità, di fatti di civiltà (allevamento,
agricoltura, viticoltura, urbanizzazione...) e di cultura (divisione dei popo-
li secondo i continenti, le nazioni e le lingue...). Quasi tutto ciò di cui trat-
tano questi capitoli avviene necessariamente per la prima volta: il giorno e
la notte, passando per la prima nascita o il primo omicidio, fino alla prima
«sbornia»; Dio introduce le leggi fondamentali che reggono il mondo (il
tempo, lo spazio, la vita e la morte, la benedizione e la punizione); si com-
piono atti essenziali come il sacrificio o la preghiera; si provano emozioni,
come la gioia o la vergogna. In queste pagine vi sono molte «prime volte»
PIANO E CONTENUTO

e riguardano cose talmente fondamentali che quasi si dimentica che si nat-


ta di una «messa in scena» letteraria abilmente orchestrata da antichi auto-
ri e quindi di un formidabile sforzo di eziologia speculativa.
Il termine «storia» non si addice molto a questi capitoli, perlomeno nel
senso in cui lo intendiamo normalmente, anche se un ricco sistema di rife-
rimenti cronologici, a partire da Gen 5,3ss, permetterebbe di datare la crea-
zione del mondo al 2G66 (P, 2320) prima dell’esodo (Es 12,40-41), il che
corrisponde al 3146 (P, 2800) prima della dedicazione del tempio di Geru-
salemme da parte di Salomone (IR e 6,1), o anche, così sembra, al 4000
prima della dedicazione dell’altare purificato da Giuda Maccabeo, il che
102 offrirebbe un indizio piuttosto preciso - 164 a.C. - per situare gli invento-
ri del sistema (notare che questo computo non corrisponde al calendario
ebraico attualmente in vigore, che risale a una riforma introdotta da Hillel
II nel 344 [2000 d.C. = 5760 anno mundi]). Questo sistema sembra fare
della creazione del mondo l’avvenimento che inaugura il tempo in termi-
ni fisici e storici. Ma la rete dei riferimenti cronologici è chiaramente tes-
suta alla superficie della Torah e dei Profeti anteriori e non ha alcuna
importanza per la comprensione della maggior parte dei racconti delle ori-
gini. Essi appartengono piuttosto al mito (perlomeno fino al diluvio) e alla
leggenda, due realtà che trascendono per loro natura il tempo e la storia.
Perciò dovremmo considerare questi capitoli non una «storia» propriamen-
te detta, ma un «ciclo delle origini», una relazione sulle «opere» primordia-
li o anche un prologo che intende comunicare al lettore della storia un
sapere essenziale sui dati fondamentali dell’esistenza umana, la cui epopea
svilupperà in seguito un aspetto particolare.
Non è facile tracciare il confine fra il tempo delle «origini» e quello della sto-
ria, fra ciò che è fondamentale e ciò che è particolare, fra i miti che riguarda-
no la creazione (cf Ne 9,6) e l’epopea che ha in Abramo il primo protagoni-
sta (Ne 9,7); perciò gli esegeti esitano a indicare esattamente la fine del
nostro prologo. Molti considerano un unico blocco i capitoli 1-11 della
Genesi; questa delimitazione, puramente convenzionale, vede nella chiama-
ta di Abramo in Gen 12,3 l’inizio della storia particolare di Israele. Ma chi si
lascia chiamare in 12,1-3 viene da altrove: le sue origini e prime migrazioni
familiari (da Ur dei Caldei a Cairan nel nord della Mesopotamia) sono rife-
rite in 11,27-32. Alcuni commentatori ne deducono che la storia delle origi-
ni termina in 11,26. Ma quest’ultimo versetto (che chiude la cronologia dei
semiti, in concorrenza con 10,21-31] non costituisce, come del resto 11,32,
una cesura determinante. Per una fine più convincente del nostr o prologo,
si dovrebbe scegliere piuttosto 11,9 (dove il fallimento del progetto di Babe-
le sfocia sulla moltiplicazione delle lingue e sulla dispersione dei popoli) o
anche 9,29 (poiché la fine del diluvio separa il tempo mitico da quello della
storia, la morte di Noè chiude veramente un’epoca: cf. la menzione ’ahar ha-
inabbùl, «dopo il diluvio», in 10,1.32; 11,10). Bisogna riconoscere che, pur
potendo abbastanza facilmente fissare la fine, in 8,21(22), di una versione
indipendente dei racconti delle origini che non sfociava ancora su un’opera
più ampia (fine il cui equivalente a livello della composizione «sacerdotale»
si troverebbe in 9,17), la rielaborazione di questi capitoli fondatori come pro-
logo di un’epopea «nazionale» (la cui fine sfugge ugualmente a una definizio-
ne semplice: Gs 24 o 2Re 25?) ha prodotto un incastro con la storia del

GENESI 1-11
primo patriarca, che non permette più una facile e chiara delimitazione
(12,1-7 echeggia incontestabilmente 11,1-9).

1.2 . P ia n o g e n e ra le
Il blocco di Gen 1-11 è costituito essenzialmente da racconti e tabelle genea-
logiche, introdotte a volte da interritoli contenenti il termine tecnico tòbdót,
«discendenze» (2,4; 5,1; 6,9; 10,1; 11,10.27; 25,12.19; ecc.), che indicano impor-
tanti cesure nel racconto. In base a indizi formali e contenutistici questo
blocco può essere strutturato piuttosto facilmente in quattro grandi parti:

I. Fondazione in sei giorni dell'universo e di tutto ciò che contie-


ne da parte della parola creatrice di Dio, che sfocia nella cele-
brazione, da parte di Dio stesso, di un riposo sabbatico al set-
timo giorno: ciò dimostra che il creato può, grazie alla benedi-
zione, funzionare da solo (Gen 1).
II. Secondo sguardo sulla creazione degli esseri viventi, special-
mente dell'uomo (hà’adàm , «il terrestre»), incaricato di pren-
dersi cura di un magnifico giardino; gli animali sono creati anzi-
tutto e soprattutto per comunicare con l'uomo, ma solo la
donna sarà in grado di farlo veramente (Gen 2). Su istigazione
del serpente, animale dal sapere eccezionale, la coppia trasgre-
disce un divieto di Dio e viene cacciata dal giardino (Gen 3);
fuori dal giardino, la differenziazione dei modi di vita e l'ine-
guaglianza delle relazioni con Dio conduce gli esseri umani a
relazioni sempre più violente fra loro, violenza di cui Caino e i
suoi discendenti sono figure emblematiche (Gen 4).
III. Questa violenza è solo insufficientemente controbilanciata da
una discendenza di uomini più pii (fra cui ’ènòs, «umano»,
primo adoratore di YHW H) che giunge a Noè (Gen 5). A causa
di un'altra trasgressione, commessa questa volta da esseri cele-
sti (6,1-4), e alla constatazione della corruzione dell'uomo, e
addirittura della violenza che riempie la terra, Dio decide di
distruggere, mediante un diluvio, tutti gli esseri viventi, tranne i
discendenti di Noè, il giusto, e gli animali che egli introdurrà
nell'arca (Gen 6 -8). Seguirà un nuovo inizio della creazione,
impostata su nuove basi per gli esseri viventi, con i quali Dio
conclude un'alleanza, impegnandosi formalmente a non ricor-
rere mai più al diluvio (Gen 9).
IV. Diffusione dei popoli (figli di Noè, padre dell'umanità) e introdu-
zione dell'ordine delle nazioni su tutta la terra, secondo le loro lin-
gue e i loro territori (Gen 10), nonostante il progetto di Babele
che voleva opporvisi con una nuova trasgressione (11,1-9).
PIANO E CONTENUTO

Evidentemente questo programma mira a inserire la storia particolare di


Israele in un quadro cosmico, antropologico e geopolitico, fondamentale.
Mentre la prima e la terza parte servono a definire questo quadro (in ter-
mini di creazione «ideale» iniziale, seguita da una disposizione modificata,
maggiormente corrispondente alla realtà che si sperimenta nel tempo sto-
rico), la seconda e la quarta parte operano le transizioni: la seconda, spie-
gando perché Dio (che aveva dichiarato le opere della sua creazione buone,
l’insieme addirittura molto buono, cf 1,31) ha finito per constatare un fal-
limento tale da giustificare il diluvio; la quarta, preparando la scena delle
nazioni viventi ciascuna su una propria terra, scena che servirà a lanciare
l’epopea storica, che avrà come motore essenziale la promessa ai patriar-
chi di una discendenza e di una terra. Ciò significa che queste parti non
hanno lo stesso peso: i racconti della creazione e del diluvio formano per
così dire i pilastri mitici sui quali vengono iscritte le garanzie divine che
sottendono l’universo (non a caso i paralleli extrabiblici abbondano pro-
prio per queste parti). Fra i due, i racconti della seconda parte mostrano un
interesse anzitutto antropologico e stabiliscono un collegamento fra un
progetto divino che poteva essere solo ideale e la percezione vissuta di una
realtà piena di ambiguità, tensioni e violenza. Anche se una lettura attenta
individua molti temi latenti che saranno chiariti solo dal grande racconto
(ad esempio, con l’istituzione del santuario, del sabato e della legge sacrifi-
cale in Es-Lv, ma anche con l’espulsione del popolo di Israele dalla sua
terra in 2Re 2 4 -2 5 ...), queste tre prime parti potrebbero essere lette come
una composizione a parte. Perciò sono loro a costituire il vero «racconto
delle origini», mentre la quarta parte ha senso solo come cerniera che col-
lega queste origini con la storia dei patriarchi.
I. Fondazioni (Gen 1 1 _2,3)

1,1-2,3 Primo racconto della creazione

II. Transizioni e trasgressioni: «discendenze


del cielo e della terra» (2 ,4 - 4 ,26)

2,4a Titolo (spostato da 1,1 ?)


A. 2,4 b-3 ,24 YHW H/Dio, l'Uomo, la Donna e il serpente («racconto
del paradiso»)
2,4b-7 Secondo racconto della creazione
2,8-17 II giardino e il divieto
2,18-25 L'Uomo e la Donna
3,1-6 Trasgressione del divieto
3,7-13 Messa a nudo
3,14-19 Maledizioni
3,20 Èva, madre di tutti i viventi
3,21-24 Esclusione dal giardino
8. 4,1-26 L'Uomo fra civiltà e barbarie
a 4,1-2 Nascita di Caino e Abele
b 4,3-16 Caino e Abele: il fratricidio

GENESI 1-11
b ' 4,17-24 Da Caino a Lamech I
a 4,25-26 Altri discendenti di Adamo (fino a ! ènós, «umano»)

III. Rifondazioni:
«discendenze di Adamo» (5,1-9,29)

A. 5,1 -32 Dalla discendenza di Adamo a Noè (compreso Lamech II)


105
B. 6,1-4 I figli di Dio, le figlie degli uomini e i «giganti»
(trasgressione dall'alto)
C. 6,5-9,17 II diluvio
a 6,5-22 Prologo: YHW H decide di mandare un diluvio
6,5-8 YHW H vuole sterminare gli esseri viventi
6,9-10 Intertitolo: genealogie di Noè
6,11-12 La violenza riempie la terra
6,13-22 Dio istruisce Noè
b 7,1-16 Entrata nell'arca prima delle acque
c 7,17-8,14 II diluvio
7,17-24 Piena delle acque
8,1-14 Abbassamento delle acque
b ' 8,15-19 Uscita dall'arca
a' 8,20-9,17 Epilogo: mai più il diluvio
8,20-22 Sacrificio e promessa
9,1-7 Benedizione di Noè e dei suoi figli
(cf. 1,26-29)
9,8-11 Alleanza con gli esseri viventi
9,12-17 II segno dell'alleanza
B'. 9,18-27 La vigna di Noè e la maledizione di Canaan
A'. 9,28-29 Conclusione della genealogia, morte di Noè
IV. Transizione/trasgressione:
«discendenze dei figli di Noè»
(10,1-11,9)

10,1 Titolo
A. 10,2-32 I figli di Noè (o «Tavola delle nazioni»)
B. 11,1-9 Babele: diffusione delle lingue e dispersione delle nazioni
A'. 11,10-26 Da Sem a Terach
11,27-32 Da Terach a Abram (... continuazione nel ciclo di Abramo)
ORIGINE E FORMAZIONE

2 . O R IG IN E E FO R M A Z IO N E

In Gen 1-11 si trovano materiali letterari di diversa natura: racconti mito-


logici di tipo cosmogonico e/o antropogonico, ai quali risponde Tantitema
del diluvio; frammenti di tradizioni evemeristiche, meglio note dall’epopea
greca e dagli storici ellenistici, che collegano mitologia e storiografia inse-
rendo, fra la teogonia e la storia degli uomini, fasi dominate da dèi mino-
ri, titani, giganti e altri eroi; racconti eziologici, alcuni dei quali definisco-
no il quadro essenziale della condizione umana e altri riferiscono più
modestamente questa o quella invenzione o fondazione («x fu il primo a
fare y...»); racconti che sfociano su benedizioni o maledizioni esemplari, la
cui portata poteva essere verificata già nel tempo del narratore, e anche di
là di esso; dichiarazioni programmatiche inserite in lunghi discorsi divini;
molte liste genealogiche e tabelle cosmografiche... Evidentemente questi
materiali non sono usciti dalla mente di un unico autore.

2 .1 . Le grand i ta p p e re d a z io n a li
Molto prima di potersi interessare - per mancanza di documenti - alle
ricerche sulla mitologia e sulla storiografia, la critica moderna di Gen
1-11 ha cercato di chiarire le tensioni interne al solo racconto biblico. J.
Astruc, G.E Eichhorn e altri hanno riconosciuto fin dal XV III secolo che
certi elementi del racconto di Gen 1-11 erano doppi (in particolare, due
racconti della creazione o due cronologie e descrizioni divergenti del
diluvio) e che Dio vi veniva indicato in due diversi modi (YHIVH e
’èlohitn «divinità» o YH W H ’èlohim insieme). Eanalisi dei doppioni, delle
contraddizioni e delle tensioni diede luogo a una «critica delle fonti», il
cui risultato principale resta oggi la distinzione fra due trame narrative
originariamente indipendenti: una detta «sacerdotale» (sigla P, testi in
’èloh im per quanto riguarda Gen 1-11), che la maggior parte dei com-
mentatori considei'a una fonte autonoma; un’altra, presacerdotale o non-
sacerdotale (sigla J, testi in YHWH, salvo eccezioni), che conserva ancora
GENESI 1-11
Un dio tiene le sorgenti di quattro fiumi (cf. Gen 2).

le tracce o di una fonte anteriore («laica», secondo O. Eissfeldt; «nomade»,


secondo G. Fohrer) o di una redazione posteriore («yahvista»), o anche di
entrambe. Le fonti P e J sarebbero state combinate in un’unica trama nar-
rativa dall’intervento di un «redattore» (sigla R), intervento di ampiezza e
natura ancora controverse.
La «nuova ipotesi documentaria» riconosceva quindi in Gen 1-11 le stes-
se fonti che individuava poi in tutto il Tetrateuco o l’Esateuco. È ancora
in genere la posizione di autori favorevoli a una datazione tarda (in
epoca persiana] dei materiali yahvisti (Van Seters; Levin), alcuni dei
quali si spingono fino a capovolgere l’ordine J(E)-P stabilito da Wellhau-
sen e a considerare J(E) posteriore (Blenkinsopp). Ma il collegamento
fra le «origini» e il ciclo di Abramo sembra estremamente fragile nei
materiali non-P. Oggi, seguendo un suggerimento di E Crusemann
(sulla scia di R. Rendtorff e di R. Kessler), molti autori riconoscono ai
racconti presacerdotali o non-sacerdotali delle origini una genesi lette-
raria indipendente dalla fonte J. Lo stato della questione è stato recente-
mente formulato da M. Witte, il quale distingue quattro profili maggio-
ri nella crescita di Gen 1-11. Nella sintesi che segue le attribuzioni di
versetti o anche di episodi possono discostarsi in dettaglio dalle propo-
ste di Witte.
1. Un racconto presacerdotale (= il vecchio «yahvìsta»), eventualmente di ori-
gine preesilica, avrebbe contenuto questi elementi:
I. Creazione (degli esseri viventi, anzitutto dell'uomo): 2,5-
7aoc.( 18?).19-20a.(20b?).21 -22; 3,20
II. Civilizzazione, violenza, gruppi migranti (da Caino ai figli di
Lamech): 4,1-5*.8.17a.18-22*
III. Diluvio (pioggia di quaranta giorni) e promessa: 6,7-8*;
7,1 a.2.4-5.10a.12.23*; 8,2b(?).6-7.13b.20-21 a*.22*
ORIGINE E FORMAZIONE

Contrariamente a Witte, per il quale questa composizione primitiva non


sarebbe ancora sfociata su un racconto del diluvio, noi pensiamo già a
un complesso tripartito nel quale il diluvio risponde alla creazione (mito
e antimito) senza tuttavia annientarla: YHWH si impegna a osservare un
ordine ritmato, nel quale la pioggia sarà solo un elemento stagionale,
quindi benefico; conferma la sua preferenza per il sacrifìcio cruento (cf.
4,4; 8,20-21), che sembra offrire all’uomo un mezzo per canalizzare la sua
violenza. Bisogna comunque ammettere l’impossibilità di ricostruire
interamente parola per parola questo racconto primitivo.
2.Una prima rile ttu ra di questo racconto, che lo avrebbe notevolmente
ampliato nello spirito della sa p ie n za scettica , se non addirittura pessi-
108 mistica, del V-IV secolo (= vecchio «yahvista»; aggiunte indicate in cor-
sivo):

I. Racconto del giardino (in sette scene: creazione dell'uomo;


comando riguardo all'albero «della conoscenza del bene e del
male»; creazione della donna; trasgressione; inchiesta; maledi-
zione; espulsione): 2,4b.5-7a/5b.8-9a.16.17\]8-20.2]-22.23-25 ;
3, 1-13.14*. 15- 18a.19.20.21-23
II. Crescita esponenziale della violenza a causa del peccato, nuova
espulsione (Caino cacciato dalla terra coltivabile); inefficacia
della vendetta come mezzo preventivo (Lamech; in tutto sette
scene): 4,1-5.6-7.8.9-/6.17a.18-22.23-24
III. Diluvio a causa della perversità del cuore dell'uomo; dispiacere
di YHW H di sacrificare la sua creazione a causa dell'imperfezio-
ne dell'uomo; promessa (in tutto sette scene): 6,5-6 7-8 *,
7,1a.2.4-5.10a.12.23*; 8,2b.6-7.8.9*./0-/2.13b.20-21a.27ó.22
Come si può vedere, la riflessione teologica arricchisce il racconto: c’è
uno scarto fra l’ordine originario voluto da YHWH, idealizzato nella figu-
ra del giardino (mito), e la realtà dell’esistenza umana, segnata dalla fati-
ca e dalla sofferenza, realtà profondamente ambigua perché scaturita da
trasgressioni fondamentali (contro YHWH, contro la vita), trasgressioni
la cui responsabilità ricade interamente sull’uomo, sulla donna e sul ser-
pente (antimito). Se l’umanità continua a esistere e la terra a produrre il
suo frutto, è unicamente grazie alla benevolenza di YHWH, i cui castighi
sono sempre al di sotto della minaccia iniziale e contengono misure
provvisionali (invece di essere condannata a morte, la coppia viene solo
espulsa dal giardino, ma vestita; Caino, l’assassino, riceve un segno desti-
nato a proteggerlo; il diluvio non viene effettuato in toro). Dal punto di
vista di questo racconto ampliato, l’umanità discendente da Noè può
considerarsi una comunità di sopravvissuti che deve la propria esistenza
alla simpatia di YHWH. Witte ha evidenziato molti indici di parentela
con i testi sapienziali, nonché con le tradizioni della redazione dtr di
Geremia e, in minor misura, della storia dtr, il che conferma la datazio-
ne proposta sopra.
3.11 cosiddetto racconto «sacerdotale» (P) offre una presentazione molto più

GENESI 1-11
solenne e formale rispetto al racconto precedente:

I. «Discendenze» del cielo e della terra (creazione in sei giorni; ripo-


so al settimo giorno santificato): 1,1-2 ,3 (riletture in 1,26ss) (2,4a?)
II. Transizione: «discendenze» di Adamo (fino a Noè): 5,1-29a.30-32
III. «Discendenze» di Noè, il giusto (fino alla sua morte)
a. Diluvio (irruzione delle acque che circondano il mondo:
durata totale: un anno): 6,9-19a.20-22; 7,6-711.13-14*.15.
17.18-21.22*.24; 8,1-2a.3-5.13a.14-19
b. Alleanza (ma non di sacrificio!): 9,1-17 (redatto in più tappe)
c. Discendenza e morte di Noè: 9,18a.19.28-29
IV. Transizione: discendenze (genealogie)
a. Figli di Noè: 10,1-4a.5.7.20.22-23.31-32
b. Figli di Sem: 11,10a.11-26
c. Figli di Terach (fino ad Abramo): 11,27-32 (... seguito nel
ciclo di Abramo)

Diversamente da J, questa trama si apre su un vero poema cosmogoni-


co, che presenta la creazione come un’opera complessa derivante dalla
volontà divina. Basta che Dio parli, sull’esempio di un sovrano invisibile,
perché le cose si realizzino all’istante e alla perfezione, senza che venga-
no precisate istanze di messa in opera. L’umanità, ultima creazione «a
immagine di Dio», riceve il potere di coltivare la terra e dominare il
mondo animale. Il tutto è coronato dal riposo divino del settimo giorno,
prefigurazione del sabato.
Il diluvio è motivato con la corruzione della terra a causa della violenza
di «ogni carne», eccetto Noè, unico giusto fra i suoi contemporanei. A
Noè viene ordinato di costruire l’arca secondo un piano preciso, che fa
pensare a un vero santuario a tre piani. In seguito al diluvio, Dio modi-
ficherà leggermente il mandato di dominazione affidato all’umanità, per-
mettendole ormai di nutrirsi di carne, non senza proteggere allo stesso
tempo la vita umana. Del resto, concluderà un’alleanza con «ogni carne».
In seguito, questa prima alleanza sarà seguita da alleanze particolari con
Abramo e Israele: le «origini» di P non sono quindi un’opera autonoma,
ma preparano, includono e prefigurano la storia di Israele che avrà il suo
apogeo al Sinai.
Le liste genealogiche (II, IV] servono a ritmare la storia, operando la tran-
sizione fra le generazioni essenziali; il racconto ne sviluppa fatti e gesti
più in dettaglio. Notare che la genealogia da Kenan a Lamech (5,12-27]
contiene pressappoco gli stessi nomi di quella da Caino a Lamech in Gen
ORIGINE E FORMAZIONE

4,17-18 (J); si tratta di lezioni varianti, che in seguito il redattore trasfor-


ma in due diverse discendenze. (N.B. I testi P non sono del tutto omoge-
nei, ma mostrano le tracce di riletture successive più o meno puntuali,
sia in Gen 1 che in Gen 6-9).
4.La redazione (R, sigla che raggruppa l’insieme degli interventi operati
al mom ento della «redazione finale» del Pentateuco) ha riunito le due
grandi trame, inserendo il racconto J ampliato dove P offriva opportu-
ni agganci; pur potendo scoprire qua e là delle connessioni miranti a
ridurre la transizione, indubbiamente l’intervento dei redattori non ha
sempre lasciato tracce visibili. Bisogna comunque distinguere a priori
i passi in cui R cerca di armonizzare le fonti preesistenti (così, in par-
ticolare, 2,1.7b; 4,25-26 [Set e Enos]; 5,29b; 6,7*; 7,lb.3.8.9.10b.l6.22-23;
8,21; 9,5b.l8b; 10,4b.8-10*.12b.l4*.18b-19.21.24-25‘ .29b-30) da altri passi,
più sviluppati, che aggiungono nuovi racconti, tratti per lo più da fonti
terze, sparse e generalmente sconosciute, per completare quello che
costituirà ormai il vero «prologo» della grande storia nazionale che va
da Genesi a Re.

Luso del doppio nome YH W H ’èlohim , «Dio Divinità», nei capitoli 2 -3 (for-
mula composita che ha dei paralleli in iscrizioni tarde di Paimira) è emble-
matico per il comportamento dei redattori che hanno cercato di armoniz-
zare le fonti preesistenti. La creatività del loro lavoro appare, ad esempio,
nel trattamento delle due versioni genealogiche, che essi comprendono
come due discendenze alternative: luna che passa per Caino, l’assassino, e
giunge fino al brutale Lamech I; l’altra che, partendo da Set, sostituto di
Abele, e da suo figlio Enos ( ’ènós, l’«umano» di fronte a Dio), generazione
dei primi adoratori di YHWH (4,26), giunge a Lamech II, padre di Noè. Il
loro lavoro deve essere stato particolarmente arduo nel racconto del dilu-
vio, che non si poteva ragionevolmente raccontare due volte di seguito...
R assumerebbe la paternità redazionale (se non d’autore) di materiali che,
nella vecchia ipotesi documentaria, erano difficilmente compatibili con i
«Bene proprio» (S ondergut) di R:

2,9b-15; 3,22.24 (due alberi, quattro fiumi)


6.1- 4 (figli di Dio e figlie degli uomini)
9,20-27 (la vigna di Noè e la maledizione di Canaan)
11.1- 9 (racconto di Babele)

testi J(E), afor tio r i quando si attribuì loro un’origine preesilica. Del resto,
nessuno di questi racconti ha dei paralleli nella mitografìa del Vicino
Oriente antico. Questi nuovi passi (nei quali si potrebbe ancora distingue-
re il sostrato originale dalla vernice aggiunta da R) permettono di situare

GENESI 1-11
abbastanza bene gli interventi che noi riuniamo sotto la sigla R nel IV e
forse ancora nei primi anni del III secolo a.C. Il motivo dell’albero della
vita introduce il tema dell’immortalità (per quanto ipotetica possa essere),
forse alle prese con teorie grecofenicie sull’immortalità dell’anima umana.
Il frammento (di origine enochica?; cf. il c. 6 del libro di Enoch) sugli ange-
li sedotti deriva da questa stessa preoccupazione e vi aggiunge la nozione
delle generazioni intermedie dei giganti e degli eroi, nota fin dalla Teogo-
nia e dal Catalogo delle donne attribuiti a Esiodo (VII sec.) e poi ripresa
ripetutamente dagli autori greci ed ellenistici. Dopo l’apparente contraddi-
zione di un racconto che descrive il comportamento impudico di Cam (l’A-
fricano!), la maledizione di Canaan (la cui discendenza da Cam è artificia-
le) si risolve considerando i due come protagonisti sfortunati di versioni
divergenti (una nella prospettiva della storia nazionale, costruita sull’oppo-
sizione fondamentale fra Canaan e Israele; l’altra nella prospettiva di un
racconto protostorico comprendente la sorte dell’intera umanità, fra cui
l’espansione di Iafet [rappresentante del mondo greco] in terra semitica,
con il congiungimento delle due dimensioni nella sconfitta di Tiro da parte
di Alessandro Magno nel 332-331 a.C.). Il celebre racconto della costruzio-
ne incompiuta di Babele, una sorta di seconda caduta, collettiva, dopo quel-
la della prima coppia (cf. 3,3.22 e 11,6) utilizza motivi che risalgono proba-
bilmente all’epoca degli splendori assiri sotto Sargon II e Sennacherib
(Uehlinger) e trovano una nuova risonanza nel momento in cui Alessan-
dro intraprende senza riuscirvi la ricostruzione di Babilonia e della sua zig-
gurat Etemenanki (Witte).
Eapproccio diacronico qui proposto sulla scia di Witte si ricollega in gran
parte a J. Wellhausen e ai suoi successori, ma senza negare la pertinenza
delle critiche recenti: il primo racconto (o J primitivo) ingloba gli elemen-
ti che un tempo erano attribuiti a una fonte pre-J; la redazione teologica (=
J «ampliato») riprende molti materiali che erano assegnati in precedenza a
JE; conformemente all’attuale tendenza, la successione J-P è, se non rove-
sciata, perlomeno precisata: J primitivo ha certamente preceduto P, men-
tre J ampliato è probabilmente posteriore ad esso. Ma il modello di Witte
è molto interessante soprattutto a livello di R. Si può facilmente compren-
dere l’interesse di R di arricchire la concezione teocentrica di P mediante
la teologia quasi-sapienziale di «J ampliato». Colpisce soprattutto la grande
diversità dei materiali introdotti da R, che appare un collezionista di tradi-
zioni, colto e abile, più che un erudito che cerca di imporre la propria sin-
tesi. Nulla ci obbliga ad attribuire tutti gli interventi redazionali a un’unica
mano, ma essi non mancano certamente di coerenza, per cui la sigla col-
lettiva (e anche l'intuizione di Franz Rosenzweig, che propose di tradurle
R con rabbènù, «nostro maestro») è giustificata. Ma non dobbiamo dimen-
ticare che questi scribi svolgevano il loro lavoro di raccolta delle tradizioni
ORIGINE E FORMAZIONE

sulla montagna della Palestina, all’ombra del tempio di Gerusalemme,


dove non si avevano né i mezzi nc la pretesa di rivaleggiare con le ultime
opere, storie o enciclopedie, degli autori ellenisti di Alessandria o di Gaza,
e che al centro del loro interesse c’erano piuttosto i libri successivi (special-
mente Es-Dt).
Ovviamente gli autori dei due principali «racconti-fonte» («J primitivo» e P)
non hanno inventato di sana pianta i loro testi. Eincongruenza fra le dieci
opere della creazione e i sette, o sei, giorni della loro realizzazione induce
a pensare che il narratore di Gen 1 (P) abbia sottomesso alla sua partico-
lare nozione di un ritmo temporale ideale (la settimana che sfocia nel ripo-
so sabbatico) un quadro cosmologico che di per sé non vi si prestava. Nel
racconto della creazione separata della donna (Gen 2,21-22...; 3,20) una
terminologia idiosincratica mostra chiaramente che il narratore dipende,
in ultima analisi, da una fonte (ancora non identificata) scritta in lingua
accadica, quindi di origine assiro-babilonese. Il titolo della parte III fa rife-
rimento a un «rotolo delle genealogie di Adamo» (5,1) che l’autore (P) sem-
bra aver usato come un’opera a parte (cf lC r 1-9; Le 3,23-28). Gen 6,1-4
(R) contiene una reminiscenza mitologica di tipo enochico (cf. 4Q201 III;
4Q202 II) e/o di ispirazione esiodea, oggi perduta. La tradizione del dilu-
vio (J, P, R) affonda le radici nella memoria millenaria della letteratura
sumero-accadica.

2 .2 . Gen 1 - 1 1 e la m ito lo g ia a n tica


I collegamenti fra Gen 1-11 e le tradizioni mitologiche, epiche e storiogra-
fiche dell’Egitto, del Vicino Oriente, dell’Asia Minore e della Grecia antica
sono stati molto studiati a partire dalla seconda metà del XIX secolo, in
seguito alla decifrazione delle scritture cuneiforme e geroglifica. Allora si
concentrava l’attenzione sull’epopea di Gilgamesh nella sua versione delle
12 tavolette, scoperte negli archivi di Ninive, e sul poema cosmogonico
Enutna elis («Quando in alto...»). Questi documenti quasi intatti e molto
antichi relegavano immediatamente al terzo livello autori di epoca elleni-
stica conosciuti in precedenza, come il sacerdote babilonese Beroso (nato
verso il 330), gli storici ebrei citati da Alessandro Poliistore (I sec. a.C.) e lo
storico fenicio Filone di Byblos (64-141 d.C., che si basa su un autore più
antico di nome Sanchuniathon). Non solo l’accesso a questi ultimi era dif-
ficile, in quanto conservati unicamente in forma frammentaria in citazioni
sparse in altri autori, come Giuseppe Flavio o Eusebio di Cesarea, ma essi
apparivano d’un tratto come epigoni decadenti, dal m omento che il loro
incontro con l’ellenismo aveva certamente inficiato quel Volksgeist che
idealizzavano allora i nazionalismi europei. In ogni caso, l’ispirazione del
racconto biblico, già maltrattata dalle scoperte e dalle teorie degli scienzia-
ti, si trovò doppiamente rimessa in discussione dalla scoperta della «Gene-
si babilonese», alimentando l’aspra e appassionata controversia intellettua-
le nota con il titolo-pamphlet di «Bibbia e Babele» [Bibel und B abel). Pur-
troppo le cosiddette interpretazioni «panbabilonesi» gettarono un certo
discredito sull’impresa. Allora per quasi mezzo secolo si misero fra paren-
tesi gli studi comparativi, con grande soddisfazione dei principali autori
della teologia dialettica, che riuscirono a dissociare quasi completamente,
fra il 1930 e il 1960, le religioni e la mitologia «pagane» dalla fede in un Dio
della storia di Israele.

GENESI 1-11
Solo a partire dalla fine degli anni ’60 la comparazione fra i racconti bibli-
ci delle origini e i loro cugini del Vicino Oriente ha riacquistato tutta la sua
importanza (comparare, al riguardo, i commentari di von Rad e di Wester-
mann), ampiamente scollegata, indubbiamente, dagli ellenizzanti. Rispetto
al XIX secolo, il corpus si è notevolmente arricchito di testi sumeri e acca-
dici, fra cui soprattutto l’epopea del «supersaggio» (A trahasìs), unico testo
cuneiforme finora conosciuto che collega, come il racconto biblico, crea-
zione e diluvio, l’epopea di Gilgamesh, la cui dodicesima tavoletta contie-
ne un racconto del diluvio molto vicino a quello del nostro «J primitivo», e
una versione sumera del diluvio che deve essere all’origine della tradizio-
ne conosciuta da Beroso (come testimonia il nome del protagonista, Ziu-
sudra, che diventa XioouGpoe). Si è trovato un frammento dell’epopea di
Gilgamesh, datato al XIV-XIII secolo a.C., anche a Meghiddo, purtroppo
fuori contesto (è tuttavia inverosimile che la tradizione biblica risalga a una
tradizione scribale «cananea» dell’età del bronzo). Una generazione di ricer-
catori ha confrontato i racconti biblici e i loro cugini sumero-accadici, con
molti risultati interessanti grazie alla sinossi ormai possibile. I testimoni
cuneiformi più importanti si estendono su un lungo periodo che va dagli
inizi del II millennio all’epoca di Assurbanipal, a metà del VII secolo. È dif-
ficile precisare l’esatta forma letteraria che avevano queste tradizioni nelle
scuole e archivi mesopotamici e semiti occidentali, nel VI-III secolo a.C.,
cioè nelle epoche (neobabilonese, achemenide ed ellenistica) in cui furono
redatti e successivamente riuniti i testi di Gen 1-11. Solo alcuni studi recen-
ti cercano di includere la Grecia nell’impresa. Ma sarebbe opportuno
riprendere non solo gli pseudoepigrafi - ormai meglio conosciuti grazie a
Qumran, dove la figura di Gilgamesh è ancora attestata in 4Q 530 II 2 e in
4Q531 fr. 17,12 - ma anche gli autori ellenistici, per determinare più esat-
tamente il posto che occupano le «origini» bibliche nella letteratura litogra-
fica, cosmogonica e storiografica del Vicino Oriente e del Mediterraneo
antichi.
Non è questa la sede per esaminare in dettaglio la grande varietà delle ria-
dizioni del Vicino Qriente e del Mediterraneo antichi relative alla cosmo-
gonia, aH’antropogonia e al diluvio (cf., in francese, le collezioni facilmen-
te accessibili dei Suppléments au x Cahiers évangile). Segnaliamo solo alcu-
ne piste di lettura sinottica che sembrano particolarmente interessanti per
chiarire i testi biblici. Come abbiamo detto, il racconto «J primitivo» è molto
vicino all’epopea di A trahasis, di Gilgamesh X II e di una versione sumera
del diluvio; ma mentre la prima presenta la creazione simultanea di sette
paia (!) di uomini e di donne, Gen 2* parla della creazione di un’unica cop-
pia originaria, concezione attestata anche nel mito sumero «Enki e Nin-
mah», dove la coppia originaria nasce dalla dea-madre Nammu. Nel rac-
conto biblico, la donna appare come l’apogeo della creazione degli esseri
viventi, perché solo essa è in grado di liberare l’uomo dalla sua solitudine;
come abbiamo detto, questa creazione in due tempi dipende probabilmen-
te da una fonte accadica, che potrebbe aver ispirato a sua volta un raccon-
to neoassiro che parla, con un evidente intento politico, della creazione
anzitutto dell’uomo, poi del re (cf. l’identificazione dell’uomo originario
con il re di Tiro in Ez 28!). Benché motivi isolati, come l’episodio degli
uccelli (il corvo, poi la colomba, Gen 8,6-12), nonché la riama generale che
sfocia sul sacrificio (Gen 8,20-21), si ispirino chiaramente alla tradizione
cuneiforme, il riasferimento del mito in un quadro monoteistico poneva
dei problemi ai redattori: nelle versioni antiche, il mito presenta una serie
di divinità (Enlil, che decide il diluvio; Enki/Ea, che avverte chi sopravvivrà
ad esso; la dea-madre Marni/Ishtar che si ribella alla distruzione delle sue
creature...); nelle versioni bibliche, YEIWH svolge tutti questi compiti:
decide in merito al diluvio e anche alla sua fine; ciò che può dare l’impres-
sione di una certa contraddizione (cf 6,5 e 8,21) permette agli autori bibli-
ci di sottolineare la simpatia di YHWH verso la sua creazione e la differen-
za fra l’onnipotenza divina e un dispotismo tutto sommato arbitrario. Il
racconto sacerdotale della creazione in Gen 1, che riassume la molteplicità
del divino nell’appellativo ’è lohim , «divinità» (sing. e plur.), è stato parago-
nato a un documento di Menfi, ricopiato alla fine dell’VIII secolo a.C., nel
quale si afferma che Ptah ha creato il cuore, la bocca e la parola prima degli
altri organi divini, questo per contrastare modelli biologici e sessuali più
tradizionali; è stata evidenziata anche una certa parentela fra la descrizio-
ne del caos primordiale in Gen 1,1-2 e concezioni cosmogoniche egiziane.
Ma il seguito di Gen 1 sembra avvicinarsi maggiormente alle concezioni
babilonesi di una creazione mediante divisioni e ordine di funzionamento,
da collocare a metà strada fra Enùm a elis e il racconto berosiano abbrevia-
to della creazione del mondo da parte di Marduk di Babilonia. Diversa-
mente da questi modelli mitologici, il racconto sacerdotale non ammette
1’esistenza di alcuna forza malvagia o mostruosa in grado di contrastare l’a-
zione creatrice di Dio.
L'albero della vita circondato da due cherubini (cf. Gen 2-3).

Per ora è impossibile specificare la fonte dei racconti sulle trasgressioni


fondamentali, sui giganti (nepilim') e gli eroi (gibbórim ), sugli inventori e

GENESI 1-11
sui fondatori. Accontentiamoci di segnalare che la tradizione ha certamen-
te una doppia o anche una tripla origine: accanto alle tradizioni più locali
(i figli di Caino) si trovano tracce di liste sumero-accadiche di antichi re
(note anche a Beroso e a molti altri storici ellenistici) e l’influenza della
cosiddetta storiografìa evemeristica, che ha trasposto certi miti (orientali o
greci) in racconti relativi a eroi della più remota antichità. Così, ad esem-
pio, il dio assiro-babilonese Ninurta, guerriero e patrono delle steppe,
divenne il re Nimrod, grande cacciatore davanti a YHWH e fondatore delle
maggiori metropoli mesopotamiche (Gen 10 ,8-12 )!

2 .3 . A m b ien ti di p ro d u zio n e
È possibile individuare gli ambienti che hanno prodotto testi che a prima
vista sembrano fare parte dell’eredità spirituale dell’umanità? Non bisogna
accontentarsi di riconoscere che in queste pagine noi leggiamo versioni un
po’ provinciali di racconti i cui modelli più elaborati, più sofisticati, si tro-
vavano in quei centri della cultura antica che erano un tempo Menfi, Nini-
ve, Babilonia, poi Atene e Alessandria? Questa stessa constatazione può
fornire qualche idea sul radicamento delle «origini» nell’ambiente dei lette-
rati giudei, alti consiglieri e sacerdoti, alcuni dei quali si trovavano certa-
mente in esilio, se non in missione, all’estero... A partire dall’epoca neoba-
bilonese, spettò sempre più ai templi il compito di erigersi a custodi della
tradizione sia religiosa e scientifica che storica. Dal libro di Ezechiele al Tal-
mud babilonese, non mancano indizi per dimosùare l’esistenza di uno
scambio, a partire dal VI secolo a.C., fra sacerdoti colti babilonesi (mitogra-
fì, indovini e medici) e letterati ebrei della Golah, alcuni dei quali potero-
no probabilmente accedere a una formazione intellettuale in ambiente
cuneiforme. Questi intellettuali, ai quali si devono gli elementi più tradi-
zionali di Gen 1-11, dovevano essere in gran parte sacerdoti colti, preposti
agli studi piuttosto che ai compiti concreti del culto quotidiano, che, in
ogni caso, non poteva svilupparsi in terra d’esilio.
A partire dal V secolo, la biblioteca del tempio di Gerusalemme dovette
raccogliere queste informazioni e conoscenze e trasformarsi in una sorta
di accademia-conservatorio; fu lì che i sacerdoti più brillanti si accinsero a
comporre il cosiddetto racconto «sacerdotale»; e fu ancora lì che, in segui-
to, la mitologia dovette incrociare la corrente sapienziale. Del resto, le «ori-
gini» sono più disposte a tener conto di un’antropologia pessimistica che
ad accogliere le ultime teorie cosmogoniche degli scienziati (greci o egizia-
ni: cf. Gb 38, che sembra più esperto in materia di cosmografìa di Gen 1 ,
che si limita all’essenziale). Al contrario, la letteratura sapienziale (Sai, Gb,
Ct, Sir) fa eco a Gen 1-11 più della storiografìa, del diritto o del profetismo
(ma c f Ez 14,14; Is 54,9; ecc.), anche se queste pagine sono diventate inevi-
tabili per gli storiografi a causa del loro statuto di prologo alla storia nazio-
nale (cf. Ne, Cr; Gs 24,2 ignora ancora le «origini»).
Del resto, la collocazione delle «origini» in testa al grande racconto della
storia nazionale offre un importante contributo alla sua comprensione: dal
punto di vista di P, la scelta di Abramo, poi dei figli di Israele, servirà a
costituire, attorno al sabato, poi al culto, una comunità-modello, la più vici-
na possibile al creatore del mondo e al suo progetto di vita per tutta la
terra. Dal punto di vista di J (o JE, o KD, cf. l’introduzione al Pentateuco),
l’apparente fallimento del progetto di YHWH con Israele troverà in defini-
tiva una parziale spiegazione eziologica attraverso l’antropologia fonda-
mentale, cioè l’appartenenza di questo popolo a un’umanità che pensa a
torto di poter costruire il proprio avvenire contro Dio: la disobbedienza dei
primi uomini, cacciati dal giardino, come, in seguito, Israele dalla sua terra,
predispone in qualche modo la sorte nazionale di Israele (ma, mentre l’in-
gresso dell’Eden resta sbarrato, la fede di Israele si costruirà a partire da un
ritorno...). La redazione finale, che rilegge il prologo in una prospettiva
storiografica che mescola mitografia e antropologia, insisterà sulla neces-
saria separazione fra la sfera divina e il mondo umano. Allora gli uomini
devono scegliere fra Caino/Lamech I o Set/Enos/Noè, fra la violenza o il
rispetto di YHWH; in definitiva, sopravivranno solo i giusti, fra i quali verrà
preparata una via speciale per la discendenza chiamata ad ascoltare e pra-
ticare la Torah, poiché quest’ultima appare ormai come un vero strumen-
to di umanizzazione.

3. T E M I E P O S T E IN GIOCO

Come abbiamo visto, Gen 1 - 1 1 tratta di cose essenziali e fondamentali, per


cui si esita a voler riassumere la ricchezza di queste pagine in poche espres-
sioni che rischiano di essere banali. Si possono, anzi si devono, leggere le
«origini» anzitutto come un complesso piuttosto denso di eziologie di ogni
sorta, nelle quali si intrecciano sapere empirico e speculazione, conoscen-
za, tradizione e informazione di terza mano per spiegare l’ordine e l’orga-
nizzazione fondamentale del mondo, a livello cosmico, geografico e geopo-
litico (i continenti e i paesi), etnico e culturale (le lingue, gli stili di vita...).
Il fatto che queste eziologie mostrino i limiti delle conoscenze dei loro anti-
chi autori non ha nulla di sorprendente. Leggendo la Bibbia a partire dagli
interrogativi fondamentali di un’epoca diversa, bisogna certamente porre
l’accento non tanto sulle modalità particolari, tutto sommato aneddotiche,
in cui questi racconti immaginano la cosmogonia e l’antropogonia (se non
per sottolineare che Dio stesso, secondo la Bibbia, non fa parte della crea-
zione), quanto piuttosto sulle domande fondamentali che pongono sia
sulle relazioni degli uomini con le donne e fra di loro (sessualità e violen-
za), sia della specie umana con il resto della creazione (ecologia; natura,
cultura e civiltà) e con Dio.
Per quanto riguarda l’uomo nell'insieme del creato, Gen 1 gli riconosce
indiscutibilmente un potere sulla terra e sugli animali (dom inium terraé),
che deve essere compreso a partire dalle condizioni di un’epoca in cui l’u-
manità era ben lungi dal poter distruggere le specie e i biotipi. Notare che
questo potere viene trasmesso all’uomo nella sua qualità di essere creato
«a immagine di Dio» (1,26), quindi dotato non solo di intelligenza ma
anche di responsabilità, come un rappresentante o un visir autorizzato da
un re. Se non si chiede all’uomo di sostituirsi a Dio, unico padrone della
vita, e neppure di prendere il posto di un «co-creatore» (secondo una for-
mula teologica oggi di moda) è certamente perché l’uomo del tempo spe-
rimentava il suo ambiente naturale (popolato da animali selvatici) sia
come una minaccia che come un’estroversione. Del resto, il passaggio dal
«vegetarianismo» antidiluviano all’autorizzazione a mangiare la carne ani-
male (ma non il sangue, c f 1,28-30 e 9,2-7) prepara la macellazione ritua-
le, nonché la comunione sacrificale instaurata al Sinai. Riguardo a Gen
2 -3 , si tratta di conservare l’equilibrio fra i due capitoli, che si corrispon-
dono come un mito e un antimito: l’ideale è formulato dal racconto antro-
pogonico, che stabilisce la parentela fondamentale fra l’uomo (h à ’a d à m , il
«terrestre»), gli animali e la terra coltivabile (h à ’ad àm àh); l’antimito sotto-
linea la realtà dolorosa, che vede nel lavoro agricolo una continua lotta
contro la terra, il cui aspetto di giardino paradisiaco è ormai solo un ricor-
do del tempo antecedente la trasgressione: al contrario dei fantasmi bor-
ghesi e urbani, l’immagine non ha nulla di bucolico. Ma il racconto del
diluvio, nel quale l’uomo si prende cura della sopravvivenza delle specie
che vivono sulla terra e nel cielo, ricorda ancora la comunione vitale fra gli
uomini e gli animali, costruendo con l’immagine dell’arca un potente sim-
bolo non privo di una certa ingenuità. Ma si ricorderà che Gen 1 o 9 non
sono né la sola né l’ultima parola della Bibbia sulla creazione (cf. Sai 8; 104;
Gb 38ss; Pr 8,23ss; Ct; ecc).
Riguardo alla dimensione antropologica di questi testi, si sottolineerà l’u-
nità e l’uguaglianza fondamentale dell’umanità, uomini e donne, in quan-
to «immagine e somiglianza (!) di divinità» (Gen 1,27; cf. 5,1-3), fondamen-
to di una dignità indivisibile (attraverso la mediazione della riflessione
sapienziale biblica [cf. Pr 14,31; 17,5; 22,2; 29,13] e della filosofia, sarà la
fonte ultima dei diritti dell’uomo!). Anche riguardo alla relazione uomo-
donna, si cercherà di rispettare l’equilibrio fra Gen 2 e 3 per non anneri-
re troppo con idee anacronistiche (peccato originale, necessità di giustifi-
cazione mediante la fede, ecc.) un quadro già sufficientemente scuro in sé.
Ricordiamo che l’Uomo originario (h a ’a d à m ) diventa realmente se stesso
solo dopo la comparsa della donna ( ’iS£d) e che, subito, la differenziazio-
ne sessuale farà di lui un maschio ( ’is). La donna non è creata come un
«aiuto» inferiore all’uomo, ma come un «sostegno» Cézer) indispensabile
che gli sta di fronte (fc'negdó); solo grazie alla donna l’uomo diventerà un
essere in dialogo: il proprio dell’essere umano è la sua capacità di comu-
nicazione, la cui figura più intensa è il reciproco riconoscimento nella cop-
pia (fino alla relazione sessuale; di qui l’eco di Gen 2 -3 nel Cantico dei
cantici).
Ci si interrogherà, infine, sulla capacità creatrice, ideatrice e distruttrice al
TEMI E POSTE IN GIOCO

tempo stesso dell’uomo, che sembra essere il necessario rovescio della


medaglia di una creatura intelligente, quindi curiosa per natura (fino a
conoscere «il bene e il male») ed esposta al rischio di un’eterna frustrazio-
ne. È grazie alla sua capacità di immaginare qualcos’altro, e sempre miglio-
re, che l’uomo può giungere a diffidare di Dio, persino a voler prendere un
posto che spetta solo al creatore. Come nella più semplice tradizione mito-
logica, Dio vi si oppone con forza, fino a pentirsi di aver creato l’uomo (6,6:
punto culminante delle «origini»). Ma la simpatia vincerà sul dispiacere.
Perciò il Dio di Gen 1-11 appare non solo il creatore, al quale ogni realtà
deve la sua esistenza primordiale, ma anche l’unico garante della perennità
del cosmo e della sopravvivenza del mondo e dell’umanità.
118
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