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Il Canto 1 del Paradiso ha, naturalmente, carattere di introduzione e proemio a tutta la cantica. Si apre con
l’enunciazione di Dante del suo viaggio attraverso i dieci cieli che compongono il Paradiso fino all’Empireo. Nel suo
viaggio ha visto cose che la ragione, e quindi la parola razionale, non possono rendere, o possono descrivere solo con
estrema difficoltà (vv. 1 - 12), motivo per cui il poeta richiede tutta l’assistenza di Apollo, il dio delle arti e della
poesia.
Invocazione ad Apollo
La lunga invocazione alla divinità greca (vv. 13 - 36) apre la porta ad un complesso artificio retorico in cui Dante da una
parte ostenta umiltà dichiarando la necessità del massimo aiuto divino per descrivere l’ultima parte del suo viaggio,
mentre dall’altra fa trasparire (vv. 22-33) una piena consapevolezza della grandiosità dell’opera che si avvia a portare a
compimento, e per cui meriterebbe d’essere incoronato con l’alloro, pianta simbolo di Apollo, usata per celebrare poeti
e generali vittoriosi.
Incoronazione poetica
Quella dell’Incoronazione poetica era una cerimonia simbolica che ricalcava cerimonie simili che avvenivano nel mondo
romano, in particolare il collegamento, poi rivelatosi filologicamente scorretto, era rivolto all’incoronazione del poeta
latino Papinio Stazio. La prima cerimonia di questo tipo avvenne a Roma nel 1341, quando il re Roberto d’Angiò pose
una corona d’alloro sul capo di Petrarca in un contesto carico di richiami all’antico e significati simbolici e politici;
tutte caratteristiche che mancavano alla cerimonia d’incoronazione di Albertino Mussato, incoronato a Padova nel
1315. Anche per Dante venne proposto un simile onore, ma non morì prima di poter essere incoronato.
Ascesa di Dante e Beatrice
il sorgere del sole con una serie di complessi riferimenti astronomici che risultano di difficile lettura ma che indicano di
certo che il suo viaggio procede sotto i migliori auspici astronomici (vv. 37-42), mentre ai vv. 43-45 indica che l’azione
si svolge a mezzogiorno. Inizia a questo punto l’ascesa di Dante e Beatrice (vv. 45-63): il poeta vede la donna fissare il
sole e la imita, meravigliandosi di come i suoi occhi riescano a reggere la luce del sole diretta così a lungo.
Trasumanazione di Dante
Inizia così la trasumanazione di Dante (vv. 64-81). Il poeta osserva e Beatrice perdendosi nel suo aspetto al punto da
subire una trasformazione che paragona a quella subita da Glauco (v.68), personaggio della mitologia greca la cui storia
viene narrata da Ovidio nelle sue Metamorfosi: secondo il poeta latino, questo giovane pescatore divenne una divinità
marina dopo aver mangiato delle erbe miracolose. Il verbo “trasumanar” (v.70) esprime un’esperienza che non è
possibile descrivere a parole, cioè attraverso un discorso logico e raziocinante: Dante non sa più se sia ancora corpo o
solo puro spirito, e rimane rapito dalla luce dei cieli e dalla loro rotazione, che produce una musica meravigliosa.
Questa nuova situazione disorienta il poeta e Beatrice, quasi leggendogli dentro (v. 85), inizia a parlargli, iniziando così
la sua funzione, non solo di guida del Regno dei Cieli ma anche di maestra di cose divine (sul piano simbolico, infatti,
essa rappresenta la Teologia). Il suo disorientamento, spiega Beatrice al poeta, è dovuto al fatto che sta entrando in un
luogo dove le leggi terrestri non valgono, ed il ragionare ancora come se si trovasse sulla Terra lo fa cadere in errore:
L’ultima parte del Canto (vv. 94-142) è quella più importante e complessa. Dante ha un altro dubbio: si chiede come
possa, un essere mortale come lui, ascendere ai luoghi più alti del cielo. Beatrice lo guarda come una madre guarda un
bambino che dice cose insensate (vv. 100-102) e comincia quella che, per il lettore, è una vera e propria lezione
di metafisica, in cui la concezione tomistica del mondo e dell’universo, diffusa nel medioevo e propria di Dante, viene
10, Veramente…: latinismo per “tuttavia”.
49 – 54, E sì come … oltre nostr’uso: complessa similitudine in cui l’istinto di Dante di imitare il gesto di Beatrice
viene paragonato alla somiglianza con cui il riflesso di un raggio di sole somiglia al raggio stesso; mentre la rapidità
con cui compie il gesto viene paragonata a quella del falco pellegrino.
116, cor mortali: perifrasi per indicare le anime degli animali, che non sono immortali.
Canto III del Paradiso: trama e struttura
Canto 3: dialogo con Piccarda
Il canto è dominato dal dialogo con Piccarda Donati, una nobildonna fiorentina che Dante ebbe modo di conoscere
quando era ancora in vita come si evince dalla terzina 61-63, in cui il poeta fiorentino ammette di aver, finalmente,
riconosciuto la donna.
Il suo ingresso nel canto viene annunciato da una lunga introduzione (vv. 10-18) in cui Dante descrive il suo
smarrimento di fronte a delle figure evanescenti che sono, così come gli appaiono, quelle degli spiriti difettivi assegnati al
cielo della Luna. La vaghezza di questi spiriti viene descritta con una lunga serie di similitudini in cui il poeta definisce
la loro indefinitezza simile a quella di un’immagine riflessa in un vetro o in uno specchio d’acqua (vv. 10-13) o, con un
riferimento decisamente più raffinata, a quella della pallida luminosità di una perla sulla bianca fronte di una dama:
similitudine che fa riferimento all’uso delle giovani nobili dell’epoca, quale era Piccarda Donati, di portare una perla
sulla fronte; Dante, credendo appunto di trovarsi davanti a delle figure riflesse, si gira credendo di avere quelle reali alle
sue spalle (vv. 17-18) e commettendo in tal modo l’errore opposto di colui che “accese amor tra l’omo e ‘l fonte”, un
riferimento al mito greco di Narciso, un cacciatore di divina bellezza che, vedendo la propria immagine riflessa in un
lago, muore affogato nel tentativo di afferrarla e baciarla. Il poeta, in preda alla confusione, si rivolge a Beatrice, che gli
Inizia così il dialogo con lo spirito che si presenta come Piccarda (v. 49): il lungo confronto con Dante, che come detto
occupa praticamente tutto il Canto, può essere suddiviso in due parti, la prima delle quali (vv. 34-57) ci presenta la
protagonista del dialogo, che dice di essere stata una monaca quand’era in vita (v. 46) e di essere stata assegnata al
Cielo più basso poiché non rispettò i suoi voti: ma né lei, né gli spiriti come il suo, soffrono questa condizione perché
La seconda parte del dialogo (vv. 58-90) è quello che, dal punto di vista contenutistico e teologico, appare più denso di
tematiche. Dante, infatti, chiede a Piccarda perché non desideri assurgere ad un cielo più alto e quindi essere
maggiormente partecipe della Grazia divina. Piccarda gli spiega che, essendo pervase dalla carità, non desiderano altro
rispetto a quello che già hanno, anzi lo stato di beatitudine necessita l’uniformità dei propri desideri con quelli divini.
Inadempienza del voto di Piccarda e di D’Altavilla
A questo punto, però, Dante chiede a Piccarda quali siano i voti cui non ha tenuto fede (vv. 91-120), e lo spirito gli
spiega di aver deciso in gioventù di seguire i voti dell’ordine fondato da santa Chiara, la quale si trova in un cielo più
elevato, ma che uomini più abituati a far male che a far del bene la rapirono e l’allontanarono definitivamente dalla vita
che aveva scelto. Stessa triste sorte, dice Piccarda indicandola, era toccata all’anima che le stava affianco che era quella
Finita quest’ultima spiegazione l’anima di Piccarda compare come un sasso inghiottito dall’acqua (v.123) intonando
l’Ave Maria, ed il Canto si avvia alla fine (vv. 121-130). Dante, stupito e ancora desideroso di fare altre domande, si gira
Vv. 10 – 16, Quali per … parlar pronte – Lunga similitudine in cui Dante paragona le figure delle anime alle
V. 26, püeril coto – “Coto” è latinismo che deriva dal verbo latino cogitare, cioè pensare, per cui il “coto” è da
V. 57, li nostri voti, e vòti … - Gioco ci parole tra “voti” e “vòti” per indicare il venire meno ai voti monastici.
Vv. 95 – 96, per apprender… la spuola – Metafora in cui il voto non osservato viene paragonato ad una tela la cui