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CANTO 1

Proemio della Cantica (1-36)

Dante dichiara di essere stato nel Cielo del Paradiso (l'Empireo) che riceve maggiormente la luce divina che si
diffonde nell'Universo: lì ha visto cose difficili da riferire a parole, poiché l'intelletto umano non riesce a ricordare ciò
che vede quando penetra in Dio. Il poeta tenterà di descrivere il regno santo nella III Cantica e per questo invoca
l'assistenza di Apollo, in quanto l'aiuto delle Muse non gli è più sufficiente. Il dio pagano dovrà ispirarlo col suo canto,
come fece quando vinse il satiro Marsia, tanto da permettergli di affrontare l'alta materia del Paradiso e meritare
così l'alloro poetico. Apollo dovrebbe essere lieto che qualcuno desideri esserne incoronato, poiché ciò accade
raramente nei tempi moderni; Dante si augura che il suo esempio sia seguito da altri poeti dopo di lui.

Ascesa di Dante e Beatrice (37-63)

Il sole sorge sull'orizzonte da diversi punti, ma quello da cui sorge quando è l'equinozio di primavera si trova in
congiunzione con la costellazione dell'Ariete, quindi i raggi del sole allora sono più benefici per il mondo. Quel punto
dell'orizzonte divide l'emisfero nord, in cui è già notte, da quello sud, in cui è giorno pieno: in questo momento
Dante vede Beatrice rivolta a sinistra e intenta a fissare il sole come farebbe un'aquila. L'atto della donna induce
Dante a imitarla, proprio come un raggio di sole riflesso si leva con lo stesso angolo del primo raggio, per cui il poeta
fissa il sole più di quanto farebbe sulla Terra. Nell'Eden le facoltà umane sono accresciute e Dante può vedere la luce
aumentare tutt'intorno, come se fosse spuntato un secondo sole.

Trasumanazione di Dante (64-81)

Dante distoglie lo sguardo dal sole e osserva Beatrice, che a sua volta fissa il Cielo. Il poeta si perde a tal punto nel
suo aspetto che subisce una trasformazione simile a quella di Glauco quando divenne una creatura marina: è
impossibile descrivere a parole l'andare oltre alla natura umana, perciò il lettore dovrà accontentarsi dell'esempio
mitologico e sperare di averne esperienza diretta in Paradiso. Dante non sa dire se, in questo momento, sia ancora in
possesso del suo corpo mortale o sia soltanto anima, ma di certo fissa il suo sguardo nei Cieli che ruotano con una
melodia armoniosa e gli sembra che la luce del sole abbia acceso in modo straordinario tutto lo spazio circostante.

Primo dubbio di Dante e spiegazione di Beatrice (82-93)

Nel poeta si accende un fortissimo desiderio di conoscere l'origine del suono e della luce, per cui Beatrice, che legge
nella sua mente ogni pensiero, si rivolge subito a lui per placare il suo animo. La donna spiega che Dante immagina
cose errate, poiché non si trova più in Terra come ancora crede: egli sta salendo in Paradiso e nessuna folgore,
cadendo dalla sfera del fuoco in basso, fu tanto rapida quanto lui che torna al luogo che gli è proprio (il Paradiso).

Secondo dubbio di Dante: l'ordine dell'Universo (94-142)

Beatrice ha risolto il primo dubbio di Dante, ma ora il poeta è tormentato da un altro e chiede alla donna come sia
possibile che lui, dotato di un corpo mortale, stia salendo oltre l'aria e il fuoco. Beatrice trae un profondo sospiro,
quindi guarda Dante come farebbe una madre col figlio che dice cose insensate e spiega che tutte le cose
dell'Universo sono ordinate tra loro, così da formare un tutto armonico. In questo ordine le creature razionali
(uomini e angeli) scorgono l'impronta di Dio, che è il fine cui tendono tutte le cose. Tutte le creature, infatti, sono
inclini verso Dio in base alla loro natura e tendono a fini diversi per diverse strade, secondo l'impulso che è dato loro.
Questo fa sì che il fuoco salga verso l'alto, che si muova il cuore degli esseri irrazionali, che la Terra stia coesa in se
stessa; tale condizione è comune alle creature irrazionali e a quelle dotate di intelletto. Dio risiede nell'Empireo
come vuole la Provvidenza, e Dante e Beatrice si dirigono lì in quanto il loro istinto naturale li spinge verso il loro
principio, che è Dio. È pur vero, spiega Beatrice, che talvolta la creatura non asseconda questo impulso e devia dal
suo corso naturale in virtù del suo libero arbitrio; così l'uomo talvolta si piega verso i beni terreni e non verso il Cielo,
come una saetta tende verso il basso e non verso l'alto. Dante, se riflette bene, non deve più stupirsi della sua ascesa
proprio come di un fiume che scorre dalla montagna a valle; dovrebbe stupirsi del contrario, se cioè non salisse pur
privo di impedimenti, come un fuoco che sulla Terra restasse fermo. Alla fine delle sue parole, Beatrice torna a
fissare il Cielo.

Interpretazione complessiva
Il Canto si apre con il proemio alla III Cantica, che si distende per ben 36 versi e risulta così di ampiezza tripla rispetto
al proemio del Purgatorio (I, 1-12) e addirittura quadrupla rispetto a quello dell'Inferno (II, 1-9): la maggiore
ampiezza e solennità si spiega con l'accresciuta importanza della materia trattata, dal momento che il poeta si
accinge a descrivere il regno santo come mai nessuno prima di lui aveva fatto e dovrà misurarsi con la difficoltà di
riferire cose difficili anche solo da ricordare, anticipando il tema della visione inesprimibile che tanta parte avrà
nel Paradiso. Ciò spiega anche perché Dante debba invocare l'assistenza di Apollo oltre che delle Muse, chiedendo al
dio pagano (che naturalmente è personificazione dell'ispirazione divina) di aiutarlo nell'ardua impresa e consentirgli
di cingere l'agognato alloro poetico: Apollo dovrà ispirarlo con lo stesso canto con cui vinse il satiro Marsia che lo
aveva sfidato, in maniera analoga a Calliope che aveva sconfitto le Pieridi (Purg., I, 9-12) e sottolineando il fatto che
la poesia di Dante dovrà essere ispirata da Dio e non un folle tentativo di gareggiare con la divinità nella
rappresentazione di ciò che supera i limiti umani (ciò sarà ribadito anche nell'esordio del Canto seguente, vv. 7-9).
Dante ribadisce anche il fatto che pochi, ormai, desiderano l'alloro, per cui la sua ambizione dovrebbe rallegrare
Apollo ed essere di stimolo ad altri poeti dopo di lui perché seguano il suo esempio, nel che c'è forse una fin troppo
modesta excusatio propter infirmitatem, dal momento che più volte nella Cantica egli esprimerà l'orgoglio di essere il
primo a percorrere questa strada poetica.
Dopo l'ampia e complessa descrizione astronomica che indica la stagione primaverile e l'ora del mezzogiorno (è
questa l'interpretazione più ovvia, mentre è improbabile che il poeta intenda l'alba), Dante vede Beatrice fissare il
sole e imita il suo gesto, sperimentando l'accresciuto acume dei suoi sensi nell'Eden. I due hanno iniziato a salire
verso la sfera del fuoco che divide il mondo terreno dal Cielo della Luna, anche se Dante non se n'è ancora reso
conto e ha notato solo l'aumento straordinario della luce: il poeta si sente trasumanar, diventare qualcosa di più che
un essere umano e non può descrivere questa sensazione se non con l'esempio ovidiano del pastore Glauco, che si
tramutò in una creatura acquatica e si gettò in mare dicendo addio alla Terra (come vedremo, Dante ricorrerà spesso
nella Cantica a similitudini mitologiche per rappresentare situazioni prive di termini di paragone «terreni»).
L'aumento progressivo della luce e il dolce suono con cui ruotano le sfere celesti accendono in Dante il desiderio di
capirne la ragione e Beatrice è sollecita a spiegargli che i due stanno salendo verso il Cielo, come un fulmine che cade
dall'alto contro la sua natura; ciò naturalmente suscita un nuovo dubbio nel poeta che si chiede come sia possibile
per lui, dotato di un corpo in carne e ossa, salire contro la legge di gravità, dubbio che sarà sciolto da Beatrice con
una complessa spiegazione che occupa l'ultima parte del Canto. La donna assume fin dall'inizio l'atteggiamento che
avrà sempre nella Cantica, ovvero di maestra che sospira e sorride delle ingenue domande del discepolo e fornisce
spiegazioni di carattere dottrinale: anche qui, infatti, la sua spiegazione non chiarisce il dubbio di Dante di natura
fisica (come fa un corpo grave a trascendere i corpi lievi, l'aria e il fuoco) ma inquadra il problema nell'ambito
dell'ordinamento generale dell'Universo, collegandosi ai versi iniziali che descrivevano il riflettersi della luce divina di
Cielo in Cielo. Beatrice spiega infatti che tutte le creature, razionali e non, fanno parte di un tutto armonico che è
stato creato da Dio e ordinato in modo preciso, così che ogni cosa tende al suo fine attraverso strade diverse, come
navi che giungono in porto solcando il gran mar de l'essere. Ciò vale per le cose inanimate, come il fuoco che tende a
salire verso l'alto per sua natura e la terra che è attratta verso il centro dell'Universo, ma anche per gli esseri
intelligenti, la cui anima razionale tende naturalmente a muoversi verso Dio; ovviamente essi sono dotati di libero
arbitrio, per cui può avvenire che anziché volgersi in quella direzione siano attratti dai beni terreni, ma questo non è
il caso di Dante che ha ormai purificato la sua anima nel viaggio attraverso Inferno e Purgatorio. Egli tende dunque
verso Dio che risiede nell'Empireo e ciò è un atto del tutto naturale, come quello di un fiume che scorre dall'alto
verso il basso, mentre sarebbe innaturale per Dante restare a terra, come un fuoco la cui fiamma non tendesse verso
l'alto. Tale spiegazione di natura metafisica anticipa quella che sarà la cifra stilistica di gran parte della III Cantica, in
cui spesso i dubbi scientifici di Dante verranno risolti con argomenti dottrinali e verrà ribadito che la sola filosofia
umana è di per sé insufficiente a capire i misteri dell'Universo, proprio come lo stesso Virgilio aveva detto più volte
rimandando alle chiose di Beatrice-teologia: ciò sarà evidente anche nella spiegazione circa le macchie lunari al
centro del Canto seguente, in quanto laddove la ragione umana non può arrivare deve intervenire la fede e dunque
Dante deve credere che sta salendo con tutto il corpo in Paradiso, non essendo in grado di comprenderlo.
È interessante inoltre che Beatrice usi per tre volte l'immagine del fuoco per spiegare il movimento di Dante, prima
paragonandolo a un fulmine che corre verso la Terra (mentre lui corre verso il Cielo), poi spiegando che il fuoco
tende a salire verso il Cielo della Luna (cioè verso la sfera del fuoco, dove è diretto Dante) e infine paragonando il
fulmine che cade in basso contro la sua natura a un uomo che, altrettanto forzatamente, è attratto verso i beni
terreni. La luce come elemento visivo domina largamente l'episodio, segnando il passaggio di Dante dalla
dimensione terrena a quella celeste, anche attraverso l'immagine del sole che è evocato nella spiegazione
astronomica, poi indicato come oggetto dello sguardo di Beatrice, infine chiamato in causa con l'immagine di un
secondo sole che sembra illuminare col suo splendore il cielo: il viaggio di Dante verso la luce è ovviamente il suo
percorso verso Dio e tale immagine si ricollega a quella dei versi iniziali in cui la gloria divina si riverberava in tutto
l'Universo, e dove si diceva che Dante è giunto nel Cielo che più de la sua luce prende, ovvero quell'Empireo verso il
quale ha iniziato a salire in modo prodigioso.

Note e passi controversi

Il Parnaso citato al v. 16 è il monte della Grecia centrale che, secondo il mito, era sede di Apollo e aveva una doppia
cima; nel Medioevo si diffuse l'errata convinzione (attestata da Isidoro di Siviglia, Etym., XIV, 8) che le due cime
fossero il Citerone e l'Elicona, abitate rispettivamente da Apollo e dalle Muse, mentre in realtà l'Elicona è un monte
diverso. È possibile che qui Dante cada nella stessa confusione e indichi l'un giogo come il Citerone e l'altro con
l'Elicona.
Il satiro Marsia (vv. 20-21) è protagonista di un racconto di Ovidio (Met., VI, 382 ss.), in cui sfida Apollo in una gara
musicale e, vinto, viene scorticato vivo dal dio.
Apollo è detto delfica deità (v. 32) perché molto venerato anticamente a Delfi, mentre l'alloro è definito fronda /
peneia in riferimento al mito di Dafne, la figlia di Peneo trasformatasi in alloro per sfuggire ad Apollo (Met., I, 452
ss.).
Cirra (v. 36) era una città sul golfo di Corinto collegata con Delfi e indicata per designare Apollo stesso.
La complessa spiegazione astronomica dei vv. 37-42 è stata variamente interpretata dai commentatori, anche se
probabilmente indica che è l'equinozio di primavera e il sole è in congiunzione con l'Ariete. I quattro cerchi sono
forse l'Equatore, l'Eclittica, il Coluro equinoziale e l'orizzonte di Gerusalemme e Purgatorio, che si intersecano
formando tre croci (benché non perpendicolari). I vv. 43-45 indicano con ogni probabilità che è mezzogiorno, come
detto in Purg., XXXIII, 104, e non l'alba come alcuni hanno ipotizzato (nell'emisfero sud è giorno pieno, mentre in
quello opposto è notte).
Il pelegrin del v. 51 può essere il pellegrino che torna in patria, ma anche il falco pellegrino.
L'aumento della luce ai vv. 61-63 indica che Dante si avvicina alla sfera del fuoco, che divide il I Cielo dall'atmosfera.
La similitudine ai vv. 67-69 è tratta da Met., XIII, 898 ss. e si riferisce al pescatore della Beozia Glauco che, avendo
notato che i pesci pescati mangiavano un'erba che li faceva balzare di nuovo in acqua, fece lo stesso e si trasformò in
una creatura acquatica, gettandosi in mare.
Il sito da cui fugge la folgore (v. 92) è sicuramente la sfera del fuoco, verso cui invece Dante si avvicina.
Il ciel del v. 122 è l'Empireo, nel quale ruota velocissimo il Primo Mobile.

PARAFRASI

La potenza di Colui (Dio) che muove ogni cosa si diffonde in tutto l'Universo e splende più in alcune parti, meno in
altre. Io fui nel Cielo (Empireo) che è più illuminato dalla sua luce, e vidi cose che chi scende di lassù non sa né può
riferire;
infatti, avvicinandosi all'oggetto del suo desiderio (Dio), il nostro intelletto si addentra tanto in profondità che la
memoria non lo può seguire.
Tuttavia, l'argomento del mio canto sarà ciò che io riuscii a fissare nella mia mente del regno santo (Paradiso).
O buono Apollo, concedimi la tua ispirazione per l'ultima Cantica, tanto quanto tu richiedi per concedere l'agognato
alloro poetico. Finora mi è stata sufficiente una sola cima del monte Parnaso (l'ispirazione delle Muse); ma ora devo
accingermi al lavoro rimasto con l'aiuto di entrambe (anche di Apollo).
Entra nel mio petto e ispirami, proprio come quando tirasti fuori Marsia dall'involucro delle sue membra (lo
scorticasti vivo).
O virtù divina, se ti concedi a me quel tanto che basti a che io esprima una traccia del regno dei beati impressa nella
mia mente, mi vedrai venire ai piedi del tuo amato albero, e incoronarmi con le sue foglie di cui tu e l'alto argomento
del poema mi renderanno degno.
Capita così di rado, padre, che si colga l'alloro per il trionfo di un condottiero o di un poeta (per colpa e vergogna
della poca ambizione umana), che la fronda di Peneo (l'alloro) dovrebbe far nascere gioia nella gioiosa divinità di
Delfi (Apollo), quando è desiderata da qualcuno.
Una grande fiamma segue una debole scintilla: forse dopo di me altri, con voci migliori, pregheranno perché Cirra
(Apollo) risponda.
La lanterna del mondo (il sole) sorge ai mortali da diversi punti dell'orizzonte: ma da quel punto in cui quattro cerchi
si intersecano formando tre croci, esso nasce in congiunzione con una stagione più mite e con una stella propizia
(l'Ariete, all'equinozio primaverile) ed esercita un più benefico influsso sul mondo.
Quel punto aveva fatto pieno giorno in Purgatorio e notte sulla Terra, e un emisfero era tutto bianco e l'altro nero,
quando vidi Beatrice voltata a sinistra e intenta a fissare il sole: un'aquila non lo fissò mai in tal modo.
E come il raggio riflesso è solito allontanarsi da quello di incidenza e salire in alto con lo stesso angolo, come un
pellegrino che vuole tornare in patria, così dal suo atteggiamento infuso nella mia facoltà immaginativa nacque il
mio, e fissai il sole al di là delle normali capacità umane.
Là nell'Eden sono permesse molte cose che non lo sono sulla Terra, grazie a quel luogo creato come proprio della
specie umana.
Io non potei fissare il sole a lungo, ma neppure così poco da non vederlo sfavillare tutt'intorno, come un ferro
incandescente appena uscito dal fuoco;
e subito sembrò che al giorno ne fosse stato aggiunto un altro, come se Dio avesse adornato il cielo di un secondo
sole. Beatrice teneva lo sguardo fisso sulle ruote celesti; e io fissai a mia volta lo sguardo su di lei, distogliendolo dal
cielo. Nel guardarla divenni dentro tale quale diventò Glauco quando mangiò l'erba, che lo trasformò in una divinità
marina. Elevarsi al di là dei limiti umani non si potrebbe spiegare a parole: perciò basti l'esempio mitologico a coloro
ai quali la grazia divina riserva l'esperienza diretta.
Se io ero solo ciò che tu, amore che governi il Cielo, creasti per ultima (l'anima razionale), lo sai tu che mi sollevasti
con la tua luce. Quando il movimento rotatorio dei Cieli, che tu rendi eterno col desiderio delle ruote celesti di
avvicinarsi a te, attirò la mia attenzione con l'armonia che tu regoli e stabilisci, il cielo mi sembrò a tal punto acceso
dalla luce del sole che la pioggia o un fiume non crearono mai un lago tanto ampio.
La novità del suono e la luce intensa accesero in me il desiderio di conoscerne la causa, così acuto come non lo sentii
mai. Allora Beatrice, che leggeva nella mia mente come me stesso, prima che le chiedessi qualcosa aprì la bocca per
placare il mio animo turbato e disse: «Tu stesso ti rendi incapace di comprendere con una falsa immaginazione, così
che non vedi ciò che vedresti se te fossi liberato.
Tu non sei in Terra, come credi: ma un fulmine, lasciando la sua sede naturale (la sfera del fuoco), non corse così
velocemente come tu che torni al luogo che ti è proprio (l'Empireo)».
Se io fui liberato dal primo dubbio grazie a quelle brevi e sorridenti parole, fui colto da un altro dubbio, e dissi: «Ora
la mia grande meraviglia si è placata; ma adesso mi stupisco di come io possa salire oltre questi corpi leggeri (aria e
fuoco)». Allora lei, dopo un sospiro devoto, mi guardò con l'aspetto di una madre che si rivolge al figlio che dice
sciocchezze, e iniziò: «Tutte le cose create sono ordinate fra loro, e questa è la forma che rende l'Universo simile a
Dio. In questo ordine le creature razionali (uomini e angeli) vedono l'impronta della virtù divina, che è il fine ultimo
di tutto l'ordine medesimo.
In quest'ordine che dico tutte le nature ricevono la loro inclinazione, in modi diversi, più o meno vicine al loro
principio creatore (Dio);
per cui tendono a diversi obiettivi nell'ampiezza dell'Universo, e ciascuna è spinta da un istinto dato ad essa.
Questo istinto porta il fuoco verso l'alto; esso muove i cuori degli esseri irrazionali ed esso stringe e rende coesa la
terra; quest'istinto fa muovere non solo le creature prive di intelligenza, ma anche quelle dotate di anima razionale.
La Provvidenza, che stabilisce tutto questo, fa sempre quieto con la sua luce il Cielo (Empireo) nel quale ruota quello
più veloce (Primo Mobile; Dio risiede nell'Empireo);
e ci porta lì, come a un sito stabilito, la forza di quell'istinto naturale che indirizza a buon fine ogni essere che muove.
È pur vero che, come la forma molte volte non corrisponde all'intenzione dell'artista, perché la materia non risponde
come dovrebbe, così talvolta la creatura razionale si allontana da questo corso, avendo il potere (libero arbitrio) di
piegare in altra direzione, pur così ben indirizzata;
e come si può vedere un fulmine che cade da una nuvola, così l'istinto naturale può far tendere l'uomo verso il basso,
attirato dal falso piacere dei beni terreni.
Non devi più stupirti, se giudico correttamente, per il fatto che tu sali, se non come di un fiume che scorre dalla
montagna a valle.
Ci sarebbe da stupirsi se tu, privo di impedimenti, fossi rimasto a terra, proprio come un fuoco che rimanesse quieto e
non salisse verso l'alto». Dopo le sue parole, Beatrice rivolse lo sguardo al Cielo.

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