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COMMENTO AL TERZO CANTO DEL PARADISO: IL PRIMO INCONTRO CON LA PRIMA SCHIERA DI ANIME BEATE (NEL

CIELO DELLA LUNA) E LA STORIA DI PICCARDA DONATI

L’incontro con Piccarda Donati


1.vv. 34-41 1) Sintetizza il contenuto della sequenza. 2) Questo è il primo incontro di Dante
Dante si con un’anima beata. Che differenza c’è rispetto allo stile e allo schema
rivolge a comunicativo tenuto dal poeta all’Inferno e in Purgatorio nel parlare con i
Piccarda dannati e i penitenti?
1) Incoraggiato da Beatrice, Dante si rivolge a quella delle anime che sembra più
desiderosa (vaga di ragionar) con lui e chiede, in nome di quella felicità eterna
che soltanto chi la prova può intendere (la dolcezza della beatitudine non può
essere compresa se non da chi la prova, perché va al di là di qualsiasi esperienza
umana), di fargli la grazia del suo nome e della sorte sua e delle sue compagne
(cioè di rivelargli il nome e la condizione che le è assegnata in questo cielo).
2) E’ la prima volta che Dante parla con un’anima beata. Qual è la differenza
rispetto a Inferno e Purgatorio? Il dialogo con i dannati e con le anime purganti
aveva sempre un carattere di accidentalità: Dante interveniva nella tortura dei
mal nati (pensa all’incontro con Paolo e Francesca travolti dal turbine o con
Ciacco immerso nella melma putrida) e nella penitenza dei purganti (pensa
all’incontro con Sordello che se ne sta in disparte, come se non volesse essere
interpellato da nessuno) cercando di catturare la loro attenzione, distraendoli
dalla loro sorte ultraterrena. Qui in Paradiso, invece, tutto è previsto e
programmato: gli spiriti beati appaiono nelle sfere proprio per parlare con Dante
(sotto questo aspetto il Paradiso – come ritengono alcuni critici – è una sorta di
spettacolo che Dio “mette in scena” per il pellegrino Dante per avvicinarlo
gradualmente al suo mistero); il poeta chiede e dialoga, ma, come sarà detto
esplicitamente più avanti, ciò che egli dice è già letto dai beati nella mente di Dio.
Le conversazioni del Paradiso si risolvono così nell’esecuzione di uno spartito
senza scosse e senza sorprese: esse servono a scendere sempre più in profondità
nella luce del vero, e ogni domanda/risposta è una rivelazione progressiva del
divino.
2.vv. 43-57 1) Sintetizza il contenuto della sequenza (vv. 43-57). 2) Nella sua risposta
Piccarda risponde anche a domande che Dante non ha ancora posto e che
vorrebbe porre. Quali? Perché si comporta in questo modo?

1) Alla richiesta di Dante (conoscere la sorte sua e delle anime del cielo della
Luna) l’anima beata risponde che l’amore (la nostra carità), comune a tutti i beati,
non consente di rifiutare una giusta richiesta (giusta voglia, v. 44). La carità, cioè
l’amore per il prossimo, spinge ogni anima a rendere compartecipi della sua gioia
le altre, purché esse abbiano desideri giusti; in questo esse si comportano come
Dio. Come Dante l’aveva pregata in nome della sua eterna beatitudine, così
l’anima di Piccarda risponde collegando la prontezza e la disponibilità delle sue
parole con la carità che pervade tutta la corte (metafora con cui il poeta designa
l’intero gruppo dei beati) dei beati.
A causa della trasfigurazione ultraterrena, Dante non riconosce lo spirito della
donna che pure aveva incontrato nel mondo. Si tratta di Piccarda Donati, sorella
dell’amico Forese, amico di Dante e poeta anch’egli. L’anima sa perché Dante non
l’ha riconosciuta subito: per il suo essere più bella, perché la sua beatitudine
trascende le sue antiche fattezze. Eppure, non esita a precisare che la sorte
toccata a lei e alla sua schiera può sembrare piuttosto bassa (giù cotanto), e che la
sfera lunare che le pertiene è quella più lenta, e quindi più lontana da Dio, motore
immobile dell’universo. Né nasconde la ragione di questo “confino” ai margini del
Paradiso: sia Piccarda sia gli altri spiriti lunari non hanno soddisfatto i loro voti; si
erano assunti, in altre parole, degli impegni di perfezione cristiana (nel caso di
Piccarda i voti di castità, povertà e umiltà) che poi non erano stati in grado di
assolvere. Gli spiriti di questa sfera sono lieti di essere posti nel grado di
beatitudine stabilito da Dio, sono cioè felici (letizian) di obbedire alla sua volontà.
2) Questo primo scambio di battute con Piccarda, attesta come la modalità di
dialogo e di incontro con le anime sia molto diversa rispetto a quanto avveniva
nelle cantiche precedenti:
a) in primo luogo la straordinaria disponibilità al dialogo e la prontezza
nell’esaudire le richieste del poeta, in nome di quella carità, o amore divino che
ispira ogni azione e ogni parola dei beati;
b) in secondo luogo la trasfigurazione che impedisce a Dante di riconoscere le
fattezze umane degli spiriti; ciò era accaduto anche nell’Inferno (si pensi
all’incontro con Ciacco), ma qui la situazione è ben diversa: se nel primo regno era
il peccato ad aver deturpato le fattezza umane dei dannati rendendoli
irriconoscibili agli occhi di Dante, qui è l’esatto contrario, perché è lo straordinario
amore di Dio che muove tutto l’universo a conferire una nuova fisionomia,
“celeste”, alle anime, una fisionomia che spesso si discosta da quella terrena;
c) in terzo luogo le anime dei beati leggono nella mente di Dio e anticipano tutte
le richieste di Dante: qui Piccarda sa perché il poeta non la riconosce (anche se
Dante non ha manifestato espressamente tale difficoltà) e soprattutto anticipa
una domanda ovvia, che il pellegrino non le ha ancora posto: non vi sentite un po’
mortificati, qui nell’ultimo gradino di Paradiso? Sembra quasi che Piccarda abbia
indovinato le curiosità di Dante e che, giocando d’anticipo, gli abbia fornito una
risposta preventiva. Tuttavia Dante non rinuncerà a porre una domanda di cui in
realtà ha già avuto la risposta;
d) infine la spontanea e assoluta uniformità delle anime beate alla volontà di
Dio. La letizia e la pace che le contraddistinguono consistono proprio in questa
sincera e piena sintonia con la volontà divina: le anime sono cioè felici di obbedire
a tale volontà, anche se relegate nell’ultimo gradino del Paradiso.
3.vv. 58-66 Nella prima parte del suo intervento Dante giustifica la ragione del mancato
La seconda riconoscimento dell’anima beata: egli è in grado di percepire nell’aspetto
domanda di straordinario dei beati una nuova e indefinibile dimensione divina, che li
Dante trasforma interiormente, rendendoli differenti dalle immagini che in vita avevano
suscitato; per questo motivo non è stato rapido a riconoscere e a ricordare
Piccarda. Nella seconda parte D. rivolge una domanda allo spirito della donna: se
è vero che le anime di questo cielo sono così felici (v. 66), ma esse non desiderano
tuttavia giungere a sfere più elevate, a cieli più vicini a Dio, per amare e conoscere
in misura maggiore?
La domanda non è oziosa, cioè inutile: Dante ha preso atto della felicità delle
anime che gli stanno di fronte, ma chiede se non vorrebbero essere più felici. Ciò
non toglie che Piccarda abbia già risposto, quando ha detto che la sua letizia stava
nell’accordo con l’amore di Dio, sagacemente accostando questa dichiarazione al
riconoscimento che lei e la sua schiera stanno “giù cotanto”. In realtà, Dante,
ragionando con mentalità umana, non può sottrarsi all’idea che, se c’è un grado
maggiore o minore, è inevitabile desiderare un miglioramento. Il sorriso di
Piccarda al v. 67 sottolinea questa diversità di sentire.
4. vv. 67-87 1) Perché Piccarda sorride alla domanda di Dante e perché si rivolge a lui,
La risposta di chiamandolo «frate»? 2) Sintetizza la risposta di Piccarda.
Piccarda 1) Piccarda, con un sorriso condiviso con le altre anime, coglie il senso della
ingenua domanda del poeta che ancora ragiona con la misura dei valori terreni,
per i quali chiunque tende sempre a desiderare una condizione più alta e migliore
di quella in cui si trova. Si rivolge al poeta chiamandolo “frate” perché il legame
che tiene insieme le anime del Paradiso (e anche quelle del Purgatorio: pensa
all’abbraccio fraterno con Sordello nel VI canto del Purgatorio) è quello della
fratellanza e della corale appartenenza alla “corte” di Dio.
2) La risposta di Piccarda ha una chiara impostazione teologico-dottrinale,
poiché è funzionale a delineare la “struttura” del terzo regno, in particolare la
natura dei gradi di beatitudine (cioè di vicinanza a Dio), che non risponde a un
criterio gerarchico umano e terreno (come avveniva per la distribuzione dei
dannati e delle anime purganti negli altri due regni).
I desideri dei beati – afferma Piccarda – sono regolati e soddisfatti dal principio
dalla carità, dall’amore di Dio che appaga ogni desiderio (fa in modo che i beati
non vogliano se non quello che già possiedono e non sentano bisogno d’altro).
Proprio la carità fa sì che essi non possano desiderare una sfera più alta, perché
ciò vorrebbe dire essere in disaccordo con il volere divino, che ha assegnato loro
un determinato grado di beatitudine. E il disaccordo non può trovar posto in
Paradiso. La natura della carità, infatti, è proprio quella di conformarsi alla volontà
di Dio. Pertanto, la condizione formale della beatitudine delle anime come
Piccarda è attenersi ai voleri divini. La gerarchia delle sfere piace a tutti, così come
piace a Dio, il quale fa sì che i voleri delle anime si conformino al suo. Nella
volontà di Dio esse trovano pace.
Il senso della risposta di Piccarda è in sostanza questo: ogni anima e ogni storia
mantiene la sua unicità e la sua individuale identità (per es. Piccarda si trova nel
cielo della Luna, perché non ha potuto mantenere fede ai voti di perfezione
cristiana, non per sua volontà, ma perché costretta), e gioisce tanto quanto si è
meritata di gioire. Allo stesso tempo, la carità fa sì che tutto l’ordine paradisiaco
stesso, considerato nel suo insieme, sia fonte di beatitudine; è il sentirsi parte di
una cosmica armonia che costituisce la pace di queste anime.
5. vv. 88- 96 1) La sequenza dei vv. 88-96 si può dividere in due parti: individuale e
Il dubbio è sintetizzale. 2) Individua e spiega le due similitudini
stato chiarito 1) Nella prima terzina Dante non fa altro che ripetere in forma sintetica e con
parole sue il concetto che gli è stato appena spiegato, come se volesse
interiorizzarlo: il Paradiso è ovunque, anche se la grazia divina vi è distribuita
diversamente. È questo un altro tratto che diventerà caratteristico dei dialoghi di
Dante con gli spiriti beati: dopo la sequenza domanda/spiegazione, non è raro che
faccia seguito “l’interiorizzazione” della verità da parte del pellegrino, che se la
ripete con parole sue.
Nelle due terzine seguenti, Dante, chiariti i dubbi teologici, lascia spazio a una
richiesta più mondana, o almeno più legata alla storia personale di queste anime:
quale fu la tela lasciata non finita delle loro esistenze? Quale fu il voto lasciato
incompiuto?
2) Le due similitudini: con la prima, ai vv. 91-93, Dante vuole indicare il suo stato
d’animo che, soddisfatto della risposta, per cui ringrazia, desidera ora sapere
quale sia stato il voto che Piccarda non portò a compimento. Con la seconda, ai.
Vv. 95-96, il voto inadempiuto è paragonato a una tela non finita di tessere.
L’immagine ci riporta alla vita fiorentina di una città dove l’arte della tessitura e il
commercio dei tessuti erano le fonti principali della prosperità economica della
città.
6.97-108 1) Piccarda racconta la sua storia. Giovinetta, si era fatta suora francescana,
La storia di seguendo l’esempio sublime di santa Chiara. Si era così consacrata allo sposo
Piccarda celeste (Cristo), intenzionata a vegliare e a dormire con lui per il resto della sua
esistenza, lontano dal mondo, chiusa nell’abito di clarissa, seguendo la regola del
suo ordine. Ma non doveva andare così. Uomini, abituati più al male che al bene,
la strapparono a forza alla dolce pace del chiostro; solo Dio sa quale fu in seguito
la sua vita.
2) E’ un racconto stringato, denso di omissioni, lontano anni luce, se vogliamo, dal
resoconto abbastanza dettagliato della passione d’amore di Paolo e Francesca del
V canto. Perché? Innanzitutto, quello che Piccarda non dice esplicitamente è che
era stato difficile, per lei fanciulla, chiamarsi Piccarda Donati, cioè appartenere a
una famiglia potente, faziosa, violenta, protagonista delle lotte di partito
fiorentine (essere la sorella e la figlia dei capi della parte nera del partito guelfo).
In secondo luogo, quegli uomini che la rapiscono dal convento per costringerla a
sposarsi, erano i suoi fratelli e soprattutto Corso Donati, i cui criminosi
comportamenti Piccarda non può denunciare se non con pacato distacco.
Piccarda, infine, non dice quello che accadde in seguito: un matrimonio forzato,
l’inevitabile rottura dei voti, una vita coniugale infelice perché contraria al suo
animo e al suo iniziale progetto di vita. Il suo voto rotto e incompiuto ci parla non
soltanto di un itinerario spirituale di perfezione interrotto, ma della violenza di
un’epoca, e, più ancora dell’impotente e frustrata protesta delle donne contro
tale violenza.

I temi fondamentali
a) il primo incontro con i beati e la diversa modalità di interazione con Dante rispetto a quanto
accade nell’Inferno e nel Purgatorio (vedi commento ai vv. 34-41 e 43-57);
b) la “carità” di Dio e i gradi della beatitudine (la questione dottrinale discussa nella risposta di
Piccarda, vedi commento ai vv. 58-96);
c) la storia di Piccarda Donati: benché trasfigurata dalla luce dell’amore di Dio con cui è in perfetta
consonanza e benché sia in grado, con grande sapienza dottrinale, di chiarire i dubbi di Dante sulla
gerarchia della beatitudine, mostrando notevole sicurezza e solidità di convinzioni, Piccarda, in
virtù della sua storia è un’anima fragile e imperfetta. Proprio la fragilità è il fulcro della
rappresentazione di Piccarda, fragilità di cui la donna stessa è consapevole nel tentativo di
sottrarsi alla violenza della potente famiglia rifugiandosi nel dolce chiostro. Proprio per questo
Dante fa sì che Dio perdoni Piccarda (e così pure Costanza d’Altavilla, protagonista di una storia
molto simile), non negando a queste fragili donne la beatitudine, sia pure nel grado più basso.

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