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04/02/23, 17:52 Purgatorio Canto IX - La Divina Commedia

La Divina Commedia

Il poema L'autore Personaggi Luoghi Cronologia Fonti Forum

Purgatorio, Canto IX
...in sogno mi parea veder sospesa
un'aguglia nel ciel con penne d'oro,
con l'ali aperte e a calare intesa...

"...Tu se' omai al purgatorio giunto:


vedi là il balzo che 'l chiude dintorno;
vedi l'entrata là 've par digiunto..."

Sette P ne la fronte mi descrisse


col punto de la spada e "Fa che lavi,
quando se' dentro, queste piaghe" disse...
W. Blake, La porta del Purgatorio

Argomento del Canto

Dante si addormenta nella valletta. Sogno dell'aquila (santa Lucia porta dante alla porta del Purgatorio). Incontro con l'angelo
guardiano, che incide sette P sulla fronte di Dante. Ingresso in Purgatorio.
È la notte tra domenica 10 aprile (o 27 marzo) e lunedì 11 aprile (o 28 marzo) del 1300.

Dante si addormenta e sogna (1-33)

L'aurora sta ormai imbiancando il cielo a oriente, nell'emisfero boreale, con la costellazione
dello Scorpione di fronte ad essa, mentre nel Purgatorio sono già trascorse circa tre ore
dall'inizio della notte. Dante, affaticato per il viaggio e per il fatto di avere un corpo in carne e
ossa, si sdraia sull'erba nella valletta e si addormenta. Verso l'alba, quando la rondine emette
i suoi stridi e la mente umana fa dei sogni rivelatori della realtà, il poeta sogna di vedere sopra
di sé un'aquila dalle penne d'oro, che volteggia e sembra sul punto di scendere a terra. Dante
nel sogno pensa di essere sul monte Ida, là dove Ganimede fu rapito da Giove tramutatosi in
aquila, e pensa fra sé che forse il rapace è solito colpire in quel luogo le sue prede. Poi sogna
che l'aquila piombi su di lui e lo ghermisca, portandolo in alto sino alla sfera del fuoco dove gli
sembra di bruciare: nel sogno prova dolore, il che lo induce a svegliarsi improvvisamente.

Risveglio di Dante e spiegazione di Virgilio (34-69)


Dante si scuote non diversamente da Achille, quando si risvegliò a Sciro non sapendo dove si
G. Doré, L'aquila ghermisce Dante
trovasse poiché la madre Teti lo aveva rapito a Chirone mentre dormiva. Dante si sveglia
d'improvviso e impallidisce, raggelando: accanto c'è solo Virgilio, mentre il sole è già alto nel cielo e lo sguardo del poeta è rivolto al
mare. Virgilio si affretta a spiegargli che non ha nulla da temere e deve anzi confortarsi, poiché il viaggio procede bene ed egli è
giunto alla porta del Purgatorio, scavata nella parete rocciosa del monte là dove il maestro gli indica. Virgilio spiega inoltre che poco
prima, sul fare dell'alba quando Dante dormiva, una donna era giunta nella valletta dicendo di essere santa Lucia e prendendo il
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poeta addormentato, per condurlo in alto. Sordello e gli altri principi della valletta erano rimasti lì e Dante era stato trasportato alla

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porta del Purgatorio quando fu giorno fatto, seguito dallo stesso Virgilio. Lucia aveva deposto Dante in quel punto, ma prima i suoi
occhi avevano indicato al maestro l'accesso al monte, quindi la santa se ne era andata proprio nel momento del risveglio di Dante. Il
poeta è riconfortato dalle parole di Virgilio e appena il maestro lo vede privo di dubbi e di paure procede verso la porta, seguito da
Dante stesso.

La porta del Purgatorio. L'angelo guardiano (70-93)

Dante avverte il lettore che la materia del suo poema si innalza, perciò il suo stile diventerà d'ora in
avanti più elevato. I due poeti si avvicinano al punto in cui la parete rocciosa del monte è spaccata e
dove c'è una porta alla quale si sale lungo tre gradini, di colore diverso, e sulla soglia c'è un angelo
che fa la guardia e non dice nulla. Dante fissa lo sguardo e vede che l'angelo siede sul gradino più
alto e il suo volto è così luminoso che non riesce a vederlo; egli tiene in mano una spada, che riflette i
raggi del sole e impedisce a Dante di vederla bene. L'angelo chiede ai due che cosa vogliono e chi li
ha condotti lì, avvertendoli che l'accesso alla porta potrebbe recare danno. Virgilio risponde che santa
Lucia poco prima ha loro indicato la porta, quindi l'angelo dà ai due il permesso di salire i gradini.

G. Doré, L'angelo guardiano

Le sette P sulla fronte di Dante. Accesso al Purgatorio (94-145)

Dante inizia salire i tre gradini: il primo è di marmo bianco e candido, talmente
chiaro che il poeta ci si può specchiare; il secondo è molto scuro, formato da
una pietra ruvida che presenta una spaccatura nella lunghezza e nella
larghezza; il terzo sembra di porfido, rosso come il sangue che sgorga da una
vena. L'angelo tiene i piedi su quest'ultimo e siede sulla soglia, simile al
diamante. Virgilio conduce Dante lungo i tre gradini e lo invita a chiedere
umilmente di aprire la porta. Il poeta si getta devotamente ai piedi dell'angelo,
chiedendo misericordia dopo essersi battuto per tre volte il petto. L'angelo
La porta del Purgatorio (min. XIV sec.) incide sette P sulla fronte di Dante con la punta della spada, raccomandandogli
di lavare queste piaghe una volta avuto accesso alle Cornici. L'angelo estrae
dalla sua veste, del colore grigio della cenere, due chiavi, una d'oro e l'altra d'argento, con le quali apre la porta usando prima quella
argentea. L'angelo avverte che se una delle due chiavi non funziona la porta non può aprirsi, aggiungendo che quella d'oro è più
preziosa, ma quella d'argento richiede molta scienza e acutezza in quanto è quella che permette al penitente di entrare. Spiega
inoltre che le chiavi gli sono state date da san Pietro, il quale gli ha raccomandato di sbagliare nell'aprire piuttosto che nel tenere
chiusa la porta, purché i penitenti mostrino una sincera contrizione. Poi l'angelo spinge la porta per aprirla, dicendo di entrare e
avvertendo i due poeti che chi guarda indietro torna fuori. Gli spigoli della porta, fatti di metallo massiccio, ruotano intorno ai cardini
ed emettono un forte stridore, mostrando che la porta è restia ad aprirsi più di quanto lo fu la rupe Tarpea dopo la rimozione di
Metello. Dante ascolta con attenzione e gli pare di udire una voce che canta l'inno Te Deum laudamus, in modo simile ai canti
alternati al suono dell'organo, per cui le parole ora si sentono e ora no.

Interpretazione complessiva

Il Canto funge da passaggio tra la prima parte della Cantica, dedicata per lo più all'Antipurgatorio, e la seconda dedicata alle Cornici
e al luogo del secondo regno dove le anime si purificano dai peccati, il che corrisponde a un innalzamento della materia e di
conseguenza a un affinamento dello stile poetico nei Canti successivi (è Dante ad avvertire i lettori con l'appello ai vv. 70-72, che
anticipa quelli simili che saranno assai frequenti nel Paradiso). Questa sorta di piccolo proemio cade a metà circa del Canto, dopo
che Dante si è addormentato nella valletta all'inizio della notte e ha sognato un'aquila che lo ha ghermito sul monte Ida e trasportato
in alto, che come poi Virgilio spiegherà non era altri che santa Lucia che portava il poeta alla porta del Purgatorio. L'episodio si apre
con la famosa descrizione dell'aurora, assai problematica e variamente interpretata, anche se probabilmente Dante allude al sorgere
dell'aurora solare nell'emisfero boreale cui corrisponde, nel Purgatorio, l'inizio della notte; il poeta si addormenta vinto dalla
stanchezza e verso l'alba, quando si credeva che i sogni fossero veritieri, fa il sogno dell'aquila, anch'esso variamente interpretato e
che forse è solo la traduzione in termini visivi dell'aiuto di Lucia che agevola Dante per la sua via. Del resto l'aquila era l'uccello sacro
a Giove e simbolo dell'autorità imperiale, il che ha poco a che fare con il significato allegorico di Lucia (che qui, come già nel Canto II
dell'Inferno, è la grazia illuminante che assiste l'uomo per consentirgli di salvarsi). Il risveglio di Dante è traumatico in quanto non sa
dove si trova, per cui Virgilio deve rassicurarlo e indicargli la porta del Purgatorio dicendogli che ormai il viaggio è a buon punto;
Dante si scuote anche perché nel sogno gli sembrava di attraversare la sfera del fuoco e il calore lo ha svegliato, e secondo alcuni
commentatori è probabile che egli abbia in realtà sentito il calore del sole che è già alto sull'orizzonte e lo colpisce una volta che
Lucia lo ha deposto di fronte alla porta. Il sogno di Dante anticipa gli altri due che farà negli altri pernottamenti in Purgatorio (nei Canti
XIX e XXVII), anch'essi allegorici e analogamente interpretati.
La seconda parte del Canto è ovviamente dedicata alla descrizione della porta custodita dall'angelo, nonché del complesso rituale cui
Dante deve
POWERED BY sottoporsi prima di essere ammesso alle Cornici dall'angelo stesso. La simbologia è connessa ovviamente al

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riconoscimento dei propri peccati e all'assoluzione da parte dell'angelo, che riguarda Dante come tutti i penitenti che di lì devono
passare: i tre gradini che conducono alla porta corrispondono quasi certamente ai tre momenti del sacramento della confessione,
ovvero la contritio cordis (la consapevolezza dei peccati: è il primo gradino, di marmo bianco in cui Dante può specchiarsi), la
confessio oris (la confessione vera e propria: è il secondo gradino, di pietra scura e screpolata, che rappresenta lo spezzarsi della
durezza dell'animo) e la satisfactio operis (la soddisfazione per mezzo di opere: è il terzo gradino, rosso come l'ardore di carità
necessario a rimediare ai peccati commessi). Variamente interpretata anche la spada di cui l'angelo guardiano è armato, che forse è
simbolo della giustizia o dell'ufficio del sacerdote confessore: con essa l'angelo incide sulla fronte di Dante le sette P che
rappresentano ovviamente i sette peccati capitali, che il poeta dovrà purificare moralmente durante l'ascesa del monte (esse saranno
cancellate all'uscita da ogni Cornice). L'angelo ammette Dante in Purgatorio e ne apre la porta con le due chiavi (una d'oro e l'altra
d'argento) che tiene sotto la veste color cenere, simbolo quest'ultima della mortificazione della penitenza o forse dell'umiltà del
confessore: la chiave d'oro rappresenta certo l'autorità di dare l'assoluzione che al confessore deriva da Dio e dalla Chiesa, quella
argentea (che secondo l'angelo vuol troppa / d'arte e d'ingegno) è invece la scienza e la sapienza che il confessore stesso deve
avere per valutare i peccati commessi. Dante sottolinea che entrambe sono state date all'angelo da san Pietro e che se una delle due
non funziona l'apertura della porta, ovvero l'ammissione del peccatore al Purgatorio, è impossibile: è una velata polemica contro le
facili indulgenze di cui la Chiesa faceva mercato nel Trecento, come lo è il fatto che la porta si apre a fatica e producendo un
tremendo stridore, nel senso che il perdono di Dio è concesso solo a chi sinceramente si è pentito delle proprie colpe e ciò avviene
assai di rado.
Una volta varcata la soglia del Purgatorio, per Dante e la sua guida inizia un nuovo cammino che li porterà alla tappa successiva,
ovvero l'ingresso nell'Eden sulla cima del monte: anche allora ci sarà un innalzamento dello stile, mentre qui Dante è colpito dal
suono melodioso di alcune voci che intonano il Te Deum laudamus, in modo tale che egli non ne sente tutte le parole (come quando
in chiesa si canta in alternanza al suono dell'organo). Siamo ormai entrati in una dimensione diversa da quella dell'Antipurgatorio,
dominata dalla serena rassegnazione delle anime che espiano attivamente le loro pene, come farà anche Dante unendosi
moralmente a loro: il passaggio in ogni Cornice avverrà secondo un cerimoniale fisso, in cui il canto di Salmi o inni avrà una parte
importante (ed è stato osservato come ciò renda il Purgatorio simile a un enorme monastero, in cui ogni momento è scandito da uffici
liturgici precisi: a ciò, forse, rimanda la similitudine degli organi, peraltro molto discussa, che chiude questo Canto).

Note e passi controversi

I vv. 1-6 descrivono con ogni probabilità il sorgere dell'aurora solare a oriente nell'emisfero boreale, che corrisponde alle nove di sera
circa nel Purgatorio. L'aurora è definita concubina di Titone antico perché nel mito classico essa si innamora di Titone e lo rapisce,
per sposarlo, quindi ottiene da Giove l'immortalità; non la chiede però per lo sposo, che quindi invecchia (di qui l'agg. antico). Le
gemme che le rilucono in fronte sono la costellazione dello Scorpione, il freddo animale / che con la coda percuote la gente, che si
trova nella parte opposta del cielo (quindi fronte indica non la fronte dell'aurora, bensì il cielo a lei opposto). C'è chi ha pensato alla
costellazione dei Pesci che sorge a oriente nell'emisfero boreale, ma essa è assai poco luminosa al contrario dello Scorpione; poco
probabile l'interpretazione dell'aurora come quella lunare.
I vv. 7-9 indicano che sono le nove di sera circa, perché i passi con cui la notte sale sono le ore e Dante dice che essa ne ha fatti
quasi tre, quindi sono passate circa tre ore dal tramonto.
I vv. 13-15 indicano che è quasi l'alba, l'ora in cui la rondine emette i suoi stridi: Dante fa riferimento al mito di Progne mutata in
rondine per aver ucciso il marito Tereo con l'aiuto della cognata FIlomela.
Il v. 18 allude alla credenza, assai diffusa nel Medioevo, che i sogni fatti all'alba fossero veritieri.
I vv. 22-24 vogliono indicare il monte Ida nella Troade, dove Ganimede fu rapito da Giove tramutatosi in aquila e portato sull'Olimpo a
far da coppiere agli dei.
Infino al foco (v. 30) vuol dire «sino alla sfera del fuoco», che secondo la scienza del tempo separava la Terra dal I Cielo della Luna.
I vv. 34-39 alludono al mito secondo il quale Teti, madre di Achille, rapì il figlio al centauro Chirone che gli faceva da precettore per
nasconderlo a Sciro, sottraendolo così alla guerra di Troia; Ulisse e Diomede lo scoprirono con l'inganno e lo portarono via di lì.
Il balzo citato al v. 50 è probabilmente la parete rocciosa che circonda il monte, che è digiunto (spaccato) in corrispondenza della
porta.
I raggi che si riflettono nella spada dell'angelo (v. 83) possono essere quelli del sole, oppure lo splendore del suo volto, oppure la
luminosità della spada che potrebbe essere fiammeggiante come quelle degli angeli che hanno scacciato il serpente, anche se nulla
nel testo lo conferma.
L'espressione tinto più che perso (v. 97) indica un colore più scuro del «perso», ovvero un colore misto di purpureo e nero (cfr. Inf., V,
89).
La parola regge (v. 134) indica la porta e deriva dal lat. med. regia (porta principale di un edificio, spec. sacro).
I vv. 126-128 alludono al racconto di Lucano (Phars., III, 153 ss.), secondo il quale Cesare giunse a Roma deciso a impadronirsi del
tesoro pubblico, custodito nella rupe Tarpea e affidato al tribuno L. Cecilio Metello. Questi tentò di opporsi, ma Cesare lo rimosse con
la forza e aprì la porta che conduceva al tesoro.
Al primo tuono (v. 139) ha probabilmente valore di compl. di tempo, quindi indica il momento in cui la porta emette il suo stridore.
I vv. 142-145 sono stati oggetto di un vivace dibattito interpretativo, ma il senso più probabile è questo: «Quello che udivo aveva lo
stesso suono che si sente, di solito, quando si canta in chiesa alternando la voce all'organo, per cui le parole si sentono ora sì, ora
no». Dante farebbe riferimento non al canto polifonico, bensì all'uso di alternare le voci alla musica dell'organo nelle funzioni
liturgiche, ampiamente attestato già nel XII sec., e vorrebbe indicare che le voci intonano l'inno tacendone alcuni versi (non occorre
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pensare a un vero e proprio accompagnamento con organo, anche se sarebbe ipotesi suggestiva).

Testo Parafrasi

La concubina di Titone antico  La sposa del vecchio Titone si affacciava già col volto pallido al
già s’imbiancava al balco d’oriente, balcone d'oriente, fuori dall'abbraccio del suo dolce amante;
fuor de le braccia del suo dolce amico;                          3

di gemme la sua fronte era lucente,  la sua fronte riluceva di gemme, poste a formare la figura del
poste in figura del freddo animale  freddo animale (lo Scorpione) che colpisce la gente con la
che con la coda percuote la gente;                                  6 coda;

e la notte, de’ passi con che sale, 


fatti avea due nel loco ov’eravamo,  e la notte aveva fatto due dei passi con cui sale, nel luogo dove
e ‘l terzo già chinava in giuso l’ale;                                  9 noi eravamo, e il terzo era quasi compiuto;

quand’io, che meco avea di quel d’Adamo, 


vinto dal sonno, in su l’erba inchinai  quando io, che avevo un corpo in carne e ossa, vinto dal sonno,
là ‘ve già tutti e cinque sedavamo.                                 12 mi sdraiai sull'erba dove già sedevamo tutti e cinque.

Ne l’ora che comincia i tristi lai 


la rondinella presso a la mattina,  Nell'ora in cui la rondinella, vicino all'alba, comincia il suo triste
forse a memoria de’ suo’ primi guai,                             15 stridio, forse ricordando i suoi primi dolori, e in cui la nostra
mente, distaccata dal corpo e meno presa dai pensieri, fa dei
e che la mente nostra, peregrina  sogni rivelatori,
più da la carne e men da’ pensier presa, 
a le sue vision quasi è divina,                                         18

in sogno mi parea veder sospesa 


un’aguglia nel ciel con penne d’oro,  mi sembrava di vedere in sogno un'aquila dalle penne d'oro,
con l’ali aperte e a calare intesa;                                    21 che volteggiava in cielo con le ali spiegate e prossima a
scendere;
ed esser mi parea là dove fuoro 
abbandonati i suoi da Ganimede, 
quando fu ratto al sommo consistoro.                           24 e mi sembrava di essere là (sul monte Ida) dove Ganimede
abbandonò i suoi compagni, quando fu rapito al supremo
Fra me pensava: ‘Forse questa fiede  concilio degli dei.
pur qui per uso, e forse d’altro loco 
disdegna di portarne suso in piede’.                             27 Fra me pensavo: 'Forse quest'aquila colpisce abitualmente qui,
e forse disdegna di ghermire le sue prede in altro luogo'.
Poi mi parea che, poi rotata un poco, 
terribil come folgor discendesse, 
e me rapisse suso infino al foco.                                   30 Poi mi sembrava che essa, dopo aver volteggiato un poco,
scendesse fulminea come la folgore e mi rapisse fino alla sfera
Ivi parea che ella e io ardesse;  del fuoco.
e sì lo ‘ncendio imaginato cosse, 
che convenne che ‘l sonno si rompesse.                     33 Là mi sembrava di bruciare insieme a lei; e quell'incendio
sognato mi arse a tal punto, che fu inevitabile che il sogno
Non altrimenti Achille si riscosse,  finisse.
li occhi svegliati rivolgendo in giro 
e non sappiendo là dove si fosse,                                 36
Achille non si destò diversamente, volgendo gli occhi in giro e
quando la madre da Chirón a Schiro  non sapendo dove fosse, quando la madre (Teti) lo sottrasse da
trafuggò lui dormendo in le sue braccia,  Chirone portandolo a Sciro fra le sue braccia, là da dove poi i
là onde poi li Greci il dipartiro;                                         39 Greci lo portarono via;

che mi scoss’io, sì come da la faccia 


mi fuggì ‘l sonno, e diventa’ ismorto, 
come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia.                42
così mi riscossi io, non appena il sonno fuggì via dalla mia
Dallato m’era solo il mio conforto,  faccia, e impallidii, come l'uomo spaventato che raggela.
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e ‘l sole BY
er’alto già più che due ore, 

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e ‘l viso m’era a la marina torto.                                      45
Accanto a me c'era solo Virgilio e il sole era già alto da più di
«Non aver tema», disse il mio segnore;  due ore, e il mio sguardo era rivolto al mare.
«fatti sicur, ché noi semo a buon punto; 
non stringer, ma rallarga ogne vigore.                           48
Il mio maestro disse: «Non aver paura, rassicurati, infatti siamo
Tu se’ omai al purgatorio giunto:  a buon punto; non frenare, ma anzi rafforza ogni tua energia.
vedi là il balzo che ‘l chiude dintorno; 
vedi l’entrata là ‘ve par digiunto.                                      51
Sei giunto ormai al Purgatorio: vedi là la parete rocciosa che lo
Dianzi, ne l’alba che procede al giorno,  cinge tutt'attorno; vedi l'ingresso, nel punto in cui essa sembra
quando l’anima tua dentro dormia,  spaccata.
sovra li fiori ond’è là giù addorno                                    54
Poco fa, sul far dell'alba che precede il giorno, quando eri
venne una donna, e disse: "I’ son Lucia;  profondamente addormentato, una donna venne in quel luogo
lasciatemi pigliar costui che dorme;  laggiù adornato di fiori e disse: "Io sono Lucia; lasciate che io
sì l’agevolerò per la sua via".                                           57 prenda costui che dorme; lo aiuterò a compiere il suo
cammino".
Sordel rimase e l’altre genti forme; 
ella ti tolse, e come ‘l dì fu chiaro, 
sen venne suso; e io per le sue orme.                          60

Qui ti posò, ma pria mi dimostraro  Sordello e le altre nobili anime rimasero là; ella ti prese e, non
li occhi suoi belli quella intrata aperta;  appena fu giorno, venne quassù; e io la seguii.
poi ella e ‘l sonno ad una se n’andaro».                       63

A guisa d’uom che ‘n dubbio si raccerta  Ti depose qui, ma prima i suoi begli occhi mi mostrarono
e che muta in conforto sua paura,  quell'ingresso; poi se ne andò insieme al tuo sonno».
poi che la verità li è discoperta,                                       66

mi cambia’ io; e come sanza cura  Come un uomo che, nel dubbio, si rassicura e muta la sua
vide me ‘l duca mio, su per lo balzo  paura in conforto, dopo che gli è stata svelata la verità, così
si mosse, e io di rietro inver’ l’altura.                             69 divenni io; e non appena il maestro mi vide senza
preoccupazioni, si avviò verso la parete rocciosa e io lo seguii
Lettor, tu vedi ben com’io innalzo  in alto.
la mia matera, e però con più arte 
non ti maravigliar s’io la rincalzo.                                    72

Noi ci appressammo, ed eravamo in parte, 


che là dove pareami prima rotto,  O lettore, tu vedi bene come io innalzo la materia del mio canto,
pur come un fesso che muro diparte,                            75 perciò non stupirti se io la rafforzo con un'arte più raffinata.

vidi una porta, e tre gradi di sotto 


per gire ad essa, di color diversi,  Noi ci avvicinammo ed eravamo al punto in cui là dove prima mi
e un portier ch’ancor non facea motto.                          78 sembrava che la parete fosse rotta, proprio come un muro
attraversato da una crepa, vidi una porta, e sotto di essa tre
E come l’occhio più e più v’apersi,  gradini per salire ad essa, di diversi colori, e un angelo
vidil seder sovra ‘l grado sovrano,  guardiano che non diceva nulla.
tal ne la faccia ch’io non lo soffersi;                                81

e una spada nuda avea in mano, 


che reflettea i raggi sì ver’ noi,  E spingendo in là lo sguardo, vidi che l'angelo sedeva sopra
ch’io drizzava spesso il viso in vano.                              84 l'ultimo gradino, con un volto tale che non potei guardarlo;

«Dite costinci: che volete voi?», 


cominciò elli a dire, «ov’è la scorta?  aveva in mano una spada sguainata, che rifletteva i raggi verso
Guardate che ‘l venir sù non vi nòi». 87 di noi al punto che io, spesso, guardavo senza vedere nulla.

«Donna del ciel, di queste cose accorta», 


rispuose ‘l mio maestro a lui, «pur dianzi  Egli iniziò a dire: «Dite da lì: cosa volete voi? chi vi ha condotti
ne disse: "Andate là: quivi è la porta"».                          90 qui? Badate che il salire non vi arrechi danno».

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«Ed ellaBY
i passi vostri in bene avanzi», 

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ricominciò il cortese portinaio:  Il mio maestro gli rispose: «Una donna del cielo, esperta di
«Venite dunque a’ nostri gradi innanzi».                       93 queste cose, poco fa ci disse: "Andate, là c'è la porta"».

Là ne venimmo; e lo scaglion primaio 


bianco marmo era sì pulito e terso,  Il cortese guardiano riprese: «Ed ella possa aiutarvi a
ch’io mi specchiai in esso qual io paio.                        96 proseguire felicemente: venite dunque avanti lungo i gradini».

Era il secondo tinto più che perso, 


d’una petrina ruvida e arsiccia,  Andammo là: il primo gradino era di marmo bianco, così pulito e
crepata per lo lungo e per traverso.                                99 lucido che io mi ci specchiai tale quale io appaio.

Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, 


porfido mi parea, sì fiammeggiante,  Il secondo era di colore assai scuro, fatto di pietra ruvida e
come sangue che fuor di vena spiccia.                        102 riarsa, screpolata nel senso della lunghezza e della larghezza.

Sovra questo tenea ambo le piante 


l’angel di Dio, sedendo in su la soglia,  Il terzo, che è più alto di tutti, mi sembrava di porfido ed era così
che mi sembiava pietra di diamante.                           105 fiammeggiante (rosso) che sembrava sangue che zampilla da
una vena.
Per li tre gradi sù di buona voglia 
mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi  L'angelo di Dio teneva su questo gradino entrambi i piedi,
umilemente che ‘l serrame scioglia».                         108 sedendo sulla soglia che mi sembrava fatta di diamante.

Divoto mi gittai a’ santi piedi; 


misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,  Il mio maestro mi spinse su per i tre gradini, cosa che accettai
ma tre volte nel petto pria mi diedi.                               111 volentieri, dicendo: «Chiedi umilmente che ti apra la porta».

Sette P ne la fronte mi descrisse 


col punton de la spada, e «Fa che lavi,  Io mi gettai con devozione davanti ai santi piedi dell'angelo;
quando se’ dentro, queste piaghe», disse.                114 chiesi misericordia e che mi aprisse, ma prima mi colpii tre volte
il petto.
Cenere, o terra che secca si cavi, 
d’un color fora col suo vestimento; 
e di sotto da quel trasse due chiavi.                             117 Con la punta della spada mi incise sette P sulla fronte, e disse:
«Fa' in modo di cancellare queste piaghe, quando sarai
L’una era d’oro e l’altra era d’argento;  dentro».
pria con la bianca e poscia con la gialla 
fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento.                               120
La sua veste era di colore identico alla cenere o alla terra secca
«Quandunque l’una d’este chiavi falla,  appena scavata; di sotto ad essa tirò fuori due chiavi.
che non si volga dritta per la toppa», 
diss’elli a noi, «non s’apre questa calla.                     123
Una era d'oro e l'altra d'argento; usò prima quella argentea e
Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa  poi quella dorata per aprire la porta, accontentandomi.
d’arte e d’ingegno avanti che diserri, 
perch’ella è quella che ‘l nodo digroppa.                     126
Egli ci disse: «Ogni qual volta una di queste chiavi non funziona
Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri  e non si gira come si deve nella toppa, questa porta non si
anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,  apre.
pur che la gente a’ piedi mi s’atterri».                           129

Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,  Quella d'oro è più preziosa; ma l'altra richiede molta arte e
dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti  ingegno per aprire, perché è quella che scioglie il nodo.
che di fuor torna chi ‘n dietro si guata».                        132

E quando fuor ne’ cardini distorti  Le ho ricevute da san Pietro; e lui mi disse che dovevo
li spigoli di quella regge sacra,  sbagliare ad aprire la porta, piuttosto che a tenerla chiusa,
che di metallo son sonanti e forti,                                  135 purché i penitenti mi si gettino ai piedi».

non rugghiò sì né si mostrò sì acra  Poi spinse il battente della sacra porta, dicendo: «Entrate; ma vi
Tarpea, come tolto le fu il buono  avverto che chi si volta a guardare indietro, torna fuori».
Metello, per che poi rimase macra.                               138
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04/02/23, 17:52 Purgatorio Canto IX - La Divina Commedia
Io mi rivolsi attento al primo tuono,  E quando gli spigoli di quella porta sacra, fatti di metallo
e ‘Te Deum laudamus’ mi parea  massiccio, furono girati nei loro cardini, emisero uno stridore più
udire in voce mista al dolce suono.                               141 forte (e la porta si mostrò più riluttante ad aprirsi) della rupe
Tarpea, non appena le fu sottratto il buon Metello, per cui poi fu
Tale imagine a punto mi rendea  privata del suo tesoro.
ciò ch’io udiva, qual prender si suole 
quando a cantar con organi si stea; 

ch’or sì or no s’intendon le parole.                                145 Io mi feci attento al primo suono e mi sembrava di udire l'inno
Te Deum laudamus, con una voce mista a un dolce suono.

Ciò che udivo mi dava la stessa impressione che si ha di solito


quando si eseguono canti alternati alla musica dell'organo,
quando le parole si sentono ora sì, ora no.

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