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ETICA DI ARISTOTELE

L’etica di Aristotele si divide in etica a Nicomaco e di Eudemia. L’etica nicomachea contiene 10 libri
dedicati a dispensare consigli per il figlio Nicomaco. Un’imitazione n’è stata svolta dal filosofo
spagnolo Savater che la intitolò appunto “etica per un figlio”.

L’etica di Aristotele si rivelò molto umana e infatti riscontrò successo, per credenti e non credenti:
fino al 1300 è stato il testo etico di riferimento sul come comportarsi (etica da ethos, cioè morale),
su cui basarsi.

Il contesto storico è quello greco del IV secolo a.C., un contesto privo, assente di una religione
positiva, ovvero fondata su un testo scritto; i greci avevano infatti un’immagine di un dio legislatore,
si basavano sulle leggi della città e su leggi non scritte, quelle familiari, che erano risolte tramite il
teatro: la tragedia, il senso tragico, permetteva la catarsi, cioè la liberazione delle passioni,
attraverso il pianto, e ciò permetteva di ristabilire un equilibrio.

Lo scopo del libro è quello di mostrare in cosa consiste la felicità, risultato che si otterrà solo al
decimo capitolo, prima ne verrà illustrata la ricerca.

Il primo aspetto valutato è quello delle azioni teleologiche: le azioni umane sono rivolte ad un fine,
un’azione morale è sempre intenzionale e il fine di questa è la felicità, intesa come miglior riuscita.
L’etica è proprio la disciplina che mostra all’uomo come agire per la miglior riuscita delle cose.
Quest’idea si può esprimere tramite due concetti, quello di ariston, optimum, un superlativo
assoluto che indica il “fare la cosa migliore”, e quello di eudaimonia (buono-demone) che identifica
la felicità come fine di ogni azione. Tutta la filosofia greca è eudemonista e l’etica di Aristotele si può
definire naturalistica.

Un esempio del significato del pensiero del filosofo si ha nell’interpretazione del titolo del libro “The
morality of happiness” di Julia Annas la cui traduzione sarebbe infatti moralità della felicità che è
diverso dalla scorretta lettura morale della felicità.

In opposizione a questo concetto di ricerca della felicità si trova Kant, egli sosteneva che la felicità
fosse un’inclinazione naturale dell’uomo e che quindi non ci fosse merito in questo. Per lui infatti
l’importante è procurare meriti e il senso del dovere, egli diceva “la cosa più importante al mondo è
il cielo stellato sopra di me e la legge del dovere dentro di me”.

La vita dell’uomo può fondarsi su diversi bioi, stili di vita differenti che possono essere bios politici,
dei piaceri o contemplativi(teoreticos); qualunque tra questi sia, l’uomo agisce per degli ergoi, cioè
per un compito/opera e la sua funzione è l’esercitazione delle potenzialità di cui è dotato.

Un altro aspetto importante è quello del logos (parola, linguaggio) che caratterizza l’uomo
rendendolo un animale politico, e lo distingue dagli altri animali poiché l’unico in grado sfruttare
questa capacità peculiare.

Aristotele introduce poi il concetto di virtù, erroneamente interpretato come contrario del vizio, in
realtà indica l’aretè ovvero la capacità di qualsiasi cosa animata o inanimata di assolvere bene il
proprio compito. Aretè significa eccellenza, fare bene ciò che si deve secondo la propria natura, il
proprio compito, realizzandolo nel modo migliore, solo in questo modo si può ottenere la felicità.

La filosofa Martha Nussbaum, un’aristotelica femminista, paragona la felicità ad una vita fiorente,
dove ciascuno dà il meglio di sé.
Qui termina il primo libro, Aristotele in seguito, dal secondo libro, dove si può parlare di Trattazione
aristotelica, espone l’esistenza di molte virtù, poiché l’uomo possiede la capacità di fare molte cose
che se fatte male si identificano come vizio, azione non riuscita.

Le virtù vengono divise tra morali e dianoetiche, distinte a causa della concezione del filosofo
dell’anima umana; l’anima è una sola che nell’uomo è vegetativa (piante), sensitiva (animali) e
razionale (intellettiva, comprende il logos) e ha delle potenzialità (dunameis).

Oltre alle virtù dianoetiche ci sono quelle etiche, definite come via di mezzo tra due estremi (teoria
del giusto mezzo) dove si pone il logos, ovvero quelle virtù che non dipendono dalla ragione ma sono
svolte in armonia con essa. La più importante tra queste è la giustizia.

Nel sesto libro sono elencati esempi di virtù dianoetiche che invece sono l’arte, l’etica, la phronesis
ovvero la saggezza (saper deliberare nel modo migliore per il bene proprio, della famiglia e della
città), l’intelletto e la sapienza, virtù teorica (sapere e conoscere le ragioni ultime delle cose).

Il libro 8 e 9 trattano l’amicizia, una forma di affetto indispensabile per raggiungere la felicità, in
quanto questa condizione supera ogni problema e non è quindi necessaria la giustizia.

Nell’ultimo libro viene infine esposta quella che per Aristotele è la forma più alta di felicità, un
modello che egli ha tentato di realizzare: la vita teoretica, alla ricerca e desiderio del sapere.
L’aspetto fondamentale è quello di svolgere azioni fini a se stesse, non in vista di altro poiché la
felicità è il fine e non il mezzo. Conclude dicendo che solo alla fine della propria vita si può valutare la
propria felicità siccome questa deve durare sempre e ciò è fattibile solo se si presentano alcune
condizioni come la salute, la bellezza, la fortuna, gli amici, la famiglia e le risorse economiche.

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