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Educazione civica IV A Dicembre 2021

Rapporto tra etica e politica (Latinae radices vol I pag 513)


Sallustio interpreta le problematiche politiche come conseguenza di un degrado morale che investe
non solo la classe dirigente, ma l'intera società. Questo tipo di interpretazione moralistica della storia
- comune alla maggior parte degli autori latini - può a prima vista risultare ingenua e non più
condivisibile oggi, alla luce di una storiografia moderna che ricerca i moventi della politica in una
pluralità di cause, in primo luogo economiche.

Definizione dei termini Etica e Politica (filosofia antica)

Per Socrate il buon politico, per esempio, come ha dimostrato al recalcitrante discepolo Alcibiade, non deve
avere di mira l'utile proprio, come insegnavano i sofisti, altrimenti non può dirsi un buon politico, ma solo un
buon affarista (aporia). Egli deve fare ciò che è bene per la città (dunque in fondo anche per se stesso). Ma
per fare il bene occorre conoscere il bene (intellettualismo socratico). Inoltre se ciascuno di noi va
identificato piuttosto con l'anima che con il corpo occorre conoscere il bene dell'anima di ciascuno. Dunque,
insegnava Socrate, bisogna prima di ogni altra cosa conoscere se stessi. Socrate, tuttavia, dichiarando di
sapere di non sapere piuttosto che rischiare di commettere errori come quelli dei sofisti preferiva non
pronunciarsi su che cosa sia in ultima analisi il bene dell'anima (problema etico) e su quale sia il bene della
città (problema politico).

In Platone è ancora forte il legame con la polis, considerata il punto di riferimento della vita dell’individuo,
anche se al tempo di Platone si trattava già di una struttura in crisi: la sua risulta quindi una filosofia per la
città, cui è venuto però a mancare questo punto di riferimento necessario. Platone tenta di ricrearlo,
dipingendo lo stato perfetto che garantisca la realizzazione della virtù: le preoccupazioni maggiori del filosofo
sono politica ed etica. Il problema principale di Platone è quello di affrontare il relativismo sofistico. Egli
individua nelle idee un riferimento oggettivo sia dei valori, sia della conoscenza. Esistono idee-valori e idee-
cose. Chi conosce le idee conosce sia l’ambito ontologico sia quello etico raggiungendo sapienza e saggezza. I
filosofi hanno il compito di guidare lo stato in quanto conoscono la virtù. Le idee si conoscono tramite
l’innatismo e la metempsicosi ma non tutti possono conoscere tutte le idee: la conoscenza è legata alla
purificazione. Negli ultimi dialoghi Platone rivede la teoria delle idee e riconduce il rapporto idee-cose alla
sola imitazione.
In Aristotele la filosofia pratica è chiamata complessivamente "scienza politica", in quanto il bene della pólis
comprende quello del singolo individuo. Essa contiene dunque anche l'etica, che è la parte dedicata al bene
del singolo. Nella sua maggiore opera di etica, l'Etica nicomachea, Aristotele mostra che il bene ultimo
dell'uomo, cioè la felicità, consiste nell'esercizio abituale e perfetto della funzione che gli è propria, ossia
consiste nella virtù. Ci sono tuttavia virtù etiche, che riguardano le funzioni della parte non razionale
dell'anima e consistono nel giusto mezzo tra due vizi opposti (per esempio: il coraggio, giusto mezzo tra viltà
e temerarietà; la generosità, giusto mezzo tra avarizia e prodigalità), e virtù dianoetiche (dal greco dianóesis:
pensiero), che riguardano le funzioni della parte razionale e sono fondamentalmente la saggezza e la
sapienza. La saggezza (o prudenza), è la virtù dianoetica che rende possibili le virtù etiche, individuando
nelle situazioni particolari il giusto mezzo, ossia ciò che si deve fare; la sapienza invece consiste nell'esercizio
della conoscenza come fine a se stessa e in essa è riposta la felicità suprema.Nella Politica Aristotele definisce
la pólis come la società perfetta, cioè autosufficiente, nella quale l'uomo può realizzare il vivere bene, la
felicità. Essa è l'unione di più famiglie e villaggi ed è una società naturale, come la famiglia, perché l'uomo è
per natura un animale politico, cioè fatto per vivere nella pólis. La famiglia comprende, oltre ai genitori e ai
figli, anche gli schiavi, che a volte sono tali per natura, cioè perché non sanno governarsi da sé: essa perciò è
una società di disuguali. La pólis invece è una società di liberi e uguali (i capifamiglia), perciò deve avere un
tipo di governo diverso da quello che è proprio della famiglia. L'ordine delle funzioni interne alla pólis,
compresa quella del governo supremo, è stabilito dalla costituzione, che può essere monarchica (governo di
uno), oligarchica (governo di pochi meritevoli) o democratica (governo del popolo, cioè degli uomini liberi).
La costituzione migliore è quella intermedia fra aristocrazia (governo dei migliori) e democrazia, detta
politéia (cioè costituzione per eccellenza), in cui la maggior parte dei cittadini sono in una situazione media,
cioè non sono né troppo ricchi né troppo poveri. Nella costituzione migliore i cittadini governano a turno,
per essere poi liberi di dedicarsi alle attività fini a se stesse in cui consiste la felicità.

Presupposto dell'etica epicurea è il concetto che "Anima e corpo sono formati da materia", dunque sono
mortali. Il quadrifarmaco cura: la paura degli dei "Gli dei sono un modello per la serenità del saggio"; la paura
della morte "La morte non ci fa paura poiché non ci riguarda"; la paura del dolore "Il dolore acuto è breve,
quello lungo è sopportabile"; il desiderio del piacere "La filosofia, per mezzo del calcolo dell'utile, è il mezzo
per raggiungere la felicità". Il testo fondamentale che ci illumina circa presupposti e implicazioni dell'etica di
Epicuro è la celebre Lettera a Meneceo.

L'etica degli stoici si basa sulla considerazione del fatto che siamo parti di un tutto (il cosmo) razionale e
provvidente. L'osservazione mostra infatti che esiste un ordine con una precisa finalità (l'alternanza
provvidenziale delle stagioni, la disposizione degli organi del corpo animale, il ciclo delle acque ecc.). Ciascun
essere ha dunque la propria funzione, come l'organo di un organismo più grande. Gli animali la trovano per
mezzo dell'istinto. L'uomo la trova grazie alla ragione, che non è altro che una scintilla nel corpo umano della
ragione del cosmo stesso (Dio o la Provvidenza). Notare che gli stoici, nonostante questo riferimento,
restano materialisti perché pensano che la ragione stessa sia materiale, come gli epicurei credono che l'anima
fosse corporea. La ragione permette al saggio di conoscere il proprio dovere senza lasciarsi ingannare dai
sensi e dai desideri. In tal modo il saggio può conseguire lo scopo dell'uomo che non è se non l'esercizio della
sua virtù. Il concetto di virtù qui ripete quello classico, socratico, platonico e aristotelico (giustizia, coraggio,
temperanza, saggezza), con la differenza che il bene che questa virtù promuove non è quello della città
(polis), ma del cosmo stesso (cosmopolitismo). Il dovere sarà diverso a seconda che uno sia uno schiavo
(come il filosofo Epitteto) o un imperatore (come il filosofo Marco Aurelio), ma la virtù è la stessa e
coincide con la conoscenza del proprio dovere (come per Socrate). A parità di dovere, cioè se la cosa è
indifferente al dovere, e non procura vizio, lo stoico preferisce la ricchezza alla povertà, il piacere al dolore.
Questi "beni" però non sono veramente tali, perché il solo bene è la virtù. Essi sono definiti appunto
indifferenti in quanto sono scelti sono se la cosa è indifferente al dovere, e sono definiti preferibili, in quanto
tra gli opposti lo stoico sceglie quello che anche per l'opinione comune sarebbe da preferirsi, ossia il "
apparente. Esempi di Zenone nel toro di Falaride e di Diogene nella botte (cinico, affine per etica agli stoici).

Contesto storico politico a Roma nel periodo di Cicerone e Sallustio

Cicerone e Sallustio vivono in un’era di profondi cambiamenti. Da giovani assistono al governo di Gaio
Mario, interrotto bruscamente dalla guerra tra Mario e Silla. Nei loro anni adolescenziali, a Roma c’era un
clima di terrore per le liste di proscrizione istituite da Silla, diventato dittatore dopo aver vinto lo scontro lo
scontro con Mario. Dopo il ritiro dalla politica di Silla, la situazione generale peggiorò ulteriormente: in
Spagna ci fu una rivolta antioligarchica guidata da Quinto Sertorio, mentre a Roma ci fu un’insurrezione
guidata da Spartaco, che richiedeva diritti per schiavi e gladiatori, sedata da Crasso. Negli stessi anni emerse
la figura di Gneo Pompeo, che arrivò ad occupare la carica di console assieme a Crasso. Sempre in questo
periodo Roma assistette al tentativo di presa di potere di Catilina, intenzionato a svolgere una rivoluzione
sociale. Non riuscì però nel suo intento a causa di Cicerone, che svelò i suoi piani in Senato senza dare
quindi possibilità a Catilina di attuarli. Catilina, smascherato, scappa da Roma, lasciando in patria i suoi
seguaci che saranno giustiziati senza processo su volere di Cicerone, che pagherà questa scelta con l’esilio. 3
anni dopo nacque il primo triumvirato, formato da Cesare, Crasso e Pompeo. Tra il 58 e il 52 Cesare guidò
varie campagne militari volte alla conquista del potere assoluto, conquistato nel 44 attraverso il
conseguimento della carica di dittatore a vita. Il 15 marzo dello stesso anno, egli però cadde sotto le
pugnalate inflittegli da dei congiurati della nobilitas senatoria, di cui faceva parte anche il figliastro Bruto.
Rapporto tra etica e politica nel pensiero di Cicerone e Sallustio, con riferimenti alle
opere

In un periodo storico nel quale si poneva molta attenzione sul singolo, Cicerone si adoperò per la difesa
della legalità repubblicana, che rappresentava ai suoi occhi l'essenza stessa della romanità. Schierato dalla
parte degli optimates, appoggiò il ceto senatorio, che costituiva la base della repubblica oligarchica, mostrando
ostilità nei confronti di ogni possibile riforma dell'assetto costituzionale repubblicano e attestandosi su
posizioni conservatrici e tradizionaliste.

Nell’orazione Pro Cluentio aveva espresso l'ideale della concordia ordinum ("accordo tra i ceti sociali")
individuando nell'accordo tra senatori e ceto equestre l'unica via per salvaguardare la res publica. Questa
posizione non gli impedì di riconoscere nella dilagante corruzione della nobilitas senatoria un importante
fattore di crisi del regime repubblicano. Col tempo assunse posizioni più moderate e arrivò a teorizzare un
ampliamento della base sociale che sosteneva la res publica, da perseguire attraverso il consensus omnium
bonorum ("consenso di tutti i cittadini onesti, i benestanti e conservatori"). Tale desiderio è illustrato
esplicitamente nella Pro Sestio dove Cicerone auspica che accanto all'aristocrazia si schierino tutti i boni cives,
ossia la parte sana dello Stato interessata a custodire l'ordinamento repubblicano. Questa parziale apertura
non coincise tuttavia con un concreto appoggio alle rivendicazioni sociali dei ceti meno abbienti, ma si
mantenne rivolta alla difesa degli interessi oligarchici.

Nell'acceso dibattito politico del I secolo a.C. Cicerone appoggiò sempre le personalità che, almeno
all'apparenza, fornivano migliori garanzie di rispetto verso il Senato e le strutture repubblicane. Per questa
ragione preferì Pompeo a Cesare e, più tardi, il giovane Ottaviano ad Antonio. Come emerge anche dalle
pagine del De re publica, egli giunse ad auspicare in tempi difficili per lo Stato l'avvento di un uomo forte, un
gubernator rei publicae che, grazie al proprio carisma, risanasse le sorti della collettività, a patto però che la
sua azione si svolgesse nei confini della legalità repubblicana. In un'epoca in cui il passaggio al principato era
ormai inevitabile, il progetto ciceroniano era generoso ma utopico e fece si che egli si trovasse isolato sulla
scena politica, fino a pagare con la vita una battaglia non sempre coerente ma condotta comunque con onestà
d'intenti.

In Sallustio il rapporto tra etica e politica viene espresso nella descrizione della grave crisi della Repubblica,
che secondo Sallustio fu causata soprattutto all'inettitudine e dall'egoismo dell'oligarchia senatoria, arroccata
nella difesa dei suoi privilegi e incapace di fare fronte alle rivendicazioni dei ceti meno abbienti. Sebbene
condanni con fermezza ogni tentativo di eversione politica. Sallustio si mostra consapevole delle
problematiche connesse a una sempre più iniqua distribuzione della ricchezza e del potere e al progressivo
accentuarsi della disuguaglianza sociale. Egli non esita quindi a coinvolgere nellla condanna morale, sia pure
con toni meno aspri, anche gli esponenti della fazione dei populares, accomunati alla nobilitas senatoria dal
malcostume e dai persona lismi, dall'avidità di potere e di ricchezze e da una crescente e pericolosa faziosità
In questa visione, improntata a un radicale e lucido pessimismo, l'unica soluzione sembra essere costituita
dalla guida di un "uomo forte", in grado di rinnovare le istituzioni repubblicane ricercando un compromesso
tra le diverse parti politiche.

Nell'ampio proemio al De Catilinae coniuratione Sallustio, ormai escluso dalla scena politica e teso a legittimare
la propria opera di storiografo agli occhi dei lettori, ostenta disprezzo nei confronti del degrado morale del
suo tempo, da cui sostiene di aver voluto prendere le distanze abbandonando il negotium politico. A questa
immagine austera e autorevole di sé invero poco somigliante alla realtà - corrisponde nell'opera un'analisi
storica condotta secondo le tradizionali categorie moralistiche del vizio e della virtù. In linea con i metodi
della storiografia antica, nella cosiddetta "archeologia" della monografia dedicata a Catilina, Sallustio
ripercorre per sommi capi l'intera storia di Roma vedendo in essa una parabola discendente, che conduce
inesorabilmente dalla rettitudine e dalla concordia delle origini al degrado morale dei tempi più recenti,
dominati da ambizioni e avidità, di cui il colpo di Stato di Catilina è il frutto ultimo e malato.

Rapporto tra etica e politica in Dante

La figura di Dante è talmente complessa che è impossibile dividere la sua vita e la sua poetica dal suo
pensiero politico.

La visione dantesca tipicamente medievale fa si che faccia proprie molte concezioni che erano molto in voga
nel suo tempo. Per Dante esistono due sfere che sono imprescindibili l'una dall'altra: il potere politico terreno
e il potere spirituale cioè quello religioso. Il punto principale del pensiero di Dante si basa su l'accusa di una
degenerazione morale e di una una corruzione politica della Chiesa, i cui problemi secondo Dante sono
riconducibili ai pontefici. La corruzione della Chiesa è un problema prima di tutto perché stravolge la volontà
Divina, allontanando l'umanità dalla salvezza ed esaltando il vizio, deprimendo il bene; e anche perché la
Chiesa vuole raccogliere sotto di sé sia il potere temporale, destinato all'Impero che il potere spirituale.
Secondo Dante, infatti la Chiesa agendo in questo modo provoca corruzione, guerre e divisioni politiche.

Nel medioevo la Chiesa e l'Impero sono le due massime istituzioni medievali e sono viste da Dante come i
fondamenti assoluti della politica. Per Dante che era un guelfo bianco i due poteri non possono prevaricare
l'uno sull'altro perché sono entrambi infiniti e distinti.

Dante inoltre vede nel distacco dall'antico costume di vita, l'origine del sentimento prevaricatore e della
disonestà.
Tuttavia il dibattito sui rapporti tra etica e politica non è esclusivo dell'Antichità. Niccolò
Machiavelli nel Principe fu il prima a sostenere indipendenza dell'agire politico dalla morale e a
illustrare la necessità per il governante di garantire sempre e comunque la prosperità dello Stato,
anche a costo di sacrificare la morale.

Rapporto tra etica e politica in Machiavelli e Guicciardini

Machiavelli è uno dei maggiori pensatori politici dell'età moderna. Egli è il fondatore della moderna "scienza
della politica", ovvero di una concezione a suo modo rivoluzionaria della politica stessa, intesa come categoria
autonoma e considerata nella sua dimensione laica: svincolata da considerazioni di ordine etico-religioso,
ancorata al piano dell’esperienza e che impone di respingere qualsiasi giudizio condotto su criteri che non
siano ad essa interni e si presenta sganciata dalla morale e dalla religione: Quest'ultima, quale che sia,
mantiene si un valore, ma solo per la sua possibile funzione all'interno dello Stato, come collante della società
e patrimonio comune in cui i cittadini possano riconoscersi (concezione della religione come instrumentum
regni, "strumento di governo").

Secondo Machiavelli, dallo studio dei casi particolari, quelli di epoche vicine o lontane, è possibile dedurre
regole generali le astratte concezioni teoriche devono lasciare il posto a un esame fondato sulla verità delle
cose, ovvero sulle condizioni reali in cui la politica si svolge. L'agire politico è analizzato e descritto non per
come dovrebbe essere, ma per come realmente è, secondo il principio della «verità effettuale»>. La validità e
la legittimità dei comportamenti politici si misurano quindi sulla base dell'efficacia da essi dimostrata nelle
condizioni date, a prescindere da astratti giudizi morali o religiosi. Machiavelli, insomma, disvela per la prima
volta ciò che in politica veniva normalmente praticato e teorizza con una lucidità estrema e geniale ciò che i
politici sperimentavano tutti i giorni.

Non può sfuggire come l'affermazione "il fine giustifica i mezzi" tanto radicale abbia potuto dar luogo a
forzature interpretative, secondo le quali Machiavelli avrebbe legittimato l'adozione di mezzi illeciti pur di
conseguire un obiettivo personale (la famosa massima "il fine giustifica i mezzi" mai formulata dall'autore in
questi termini). Nella sua prospettiva, in realtà, un comportamento moralmente riprovevole va condannato se
lo si giudica sotto il profilo dell'etica calato sul terreno politico, esso andrà però valutato secondo i parametri
della politica. diversi da quelli della morale corrente. Il problema se per Machiavelli il fine giustifichi mezzi è
dunque mal posto: la domanda da porsi non è se al principe tutto sia lecito, ma quale sia il fine a cui deve
mirare la sua azione politica. Machiavelli a questo proposito è chiaro: il principe nuovo non ha come
obiettivo la conquista del potere a scopo personale, ma deve subordinarla a uno scopo più alto, quello della
solidità e dell'efficienza dello Stato, unica garanzia contro la corruzione e la crisi delle istituzioni c e sociali.
Se l'adozione di principi giusti sul piano morale porterà alla rovina dello Stato quei principi si saranno
rivelati infruttuosi e persino controproducenti. All'inverso, se comportamenti criticabili sotto il profilo etico
garantiranno la saldezza delle istituzioni essi avranno concorso a un fine politicamente giusto.

In Guicciardini politica e diplomazia costituiscono infatti, per lui, un osservatorio privilegiato: le azioni
politiche producono effetti valutabili sul piano della concretezza dei fatti e dell'esperienza; le meccaniche del
potere forniscono una visione esemplare dei rapporti tra gli uomini; l'esercizio della diplomazia consente, a
sua volta, di comprendere la complessità delle motivazioni umane.

Al pari di Machiavelli, Guicciardini fa partire la sua indagine dalla riflessione sulla situazione italiana
contemporanea, svolta lungo due direttrici principali: 1) l'analisi delle cause della crisi politica italiana; 2) il
ragionamento sulle forme di governo, con particolare riferimento al caso di Firenze.

La questione, ripresa a livello teorico da filosofi come Immanuel Kant e Max Weber, si ripropone
oggi sul piano della prassi nella società civile. Gli effetti negativi del degrado morale del ceto
dirigente sono peraltro evidenti anche sul piano economico, come ha più volte sottolineato
l’economista indiano Amartya Sen, premio Nobel nel 1998, autore tra l'altro del saggio Etica ed
economia (2003).

Amartya Sean, Etica ed economia (in generale)

Quasi tutto il lavoro di Amartya Sen ha riguardato, in senso lato, “etica ed economia”. La reputazione
professionale di Sen si basa in gran parte sul lavoro nelle aree normative dell'economia, dell'economia del
benessere e della teoria della scelta sociale, e nell'aiutare a ripristinare “una dimensione etica all'economia e
alle discipline correlate” (Comitato Nobel 1998). I suoi interessi per la povertà, la giustizia e lo sviluppo
sono chiaramente etici. E ha anche dato alcuni contributi sostanziali alla teoria morale intesa in senso stretto.
In un certo senso, praticamente tutti i capitoli di questo libro trattano argomenti di "etica ed economia". La
mia principale preoccupazione in questo capitolo riguarderà la relazione tra i due, etica ed economia, e, in
particolare, la pressione che l'economia esercita sull'etica. Sen si è a lungo preoccupato della distanza tra i due
campi di indagine e ha sostenuto che “l'economia moderna è stata sostanzialmente impoverita dalla distanza
che è cresciuta tra economia ed etica”. Ritiene che le conseguenze per l'economia, sia per il sottocampo
dell'economia del benessere che per la teoria predittiva di base, siano state serie. Gli economisti del ventesimo
secolo sono stati spesso scettici circa le indagini sul valore in generale. Spesso si sono preoccupati, prima di
tutto, di mantenere il loro campo libero da ogni elemento normativo, etica compresa, perché fosse una
scienza “libera da valori”.

Norberto Bobbio scomparso nel 2004 ma ancora oggi punto di riferimento per filosofi e giuristi,
rifletteva: Un governo efficiente non è di per sé stesso un buon governo. Il giudizio di efficienza serve tutt'al
più a distinguere il governo dal non governo, non serve a distinguere il buongoverno dal malgoverno. Questo
giudizio ulteriore non si accontenta del raggiungimento del fine ma si pone la domanda: quale fine?
Riconosciuto come fine dell'azione politica la salvezza della patria o l'interesse generale o il bene comune
(contrapposti alla salute del governante agli interessi particolaristici, al bene proprio), il giudizio non più
sull'idoneità dei mezzi ma sulla bontà del fine è un vero e proprio giudizio morale, anche se di una morale
diversa o in parte diversa dalla morale comune, in base alla quale vengono giudicate le azioni degli individui
singoli. Il che vuol dire che, pur tenendo conto delle ragioni specifiche dell'azione politica, l'azione politica
non si sottrae affatto, come ogni altra azione libera o presunta libera dell'uomo, al giudizio di lecito e illecito,
in cui consiste il giudizio morale, e che non si può confondere col giudizio di idoneo o inidoneo.

Norberto Bobbio, Etica e politica, Scritti di impegno civile, Mondadori, Milano 2013

Il volume raccoglie una settantina di testi di Bobbio definibili Bobbio – filosofo, storico, politologo, grande
maître à penser del Novecento – definibili (per occasione, contenuto e stile) come "scritti d'impegno civile":
quelli cioè in cui con maggior nettezza emerge il problematico rapporto tra l'etica e la politica. Frutto di una
selezione estrema, i testi sono raggruppati in tre grandi sezioni: "Compagni e maestri", "Valori politici e
dilemmi etici", "Le forme della politica". All'interno di esse gli scritti si dispongono secondo uno schema
binario, per coppie antifrastiche o contigue, secondo un caratteristico modo di procedere del pensiero di
Bobbio: cultura e politica, libertà ed eguaglianza, democrazia e dittatura, pace e guerra, socialismo e
comunismo, destra e sinistra. La scelta dei testi e la ricca curatela sono firmate da Marco Revelli, noto
storico, sociologo, professore “antiaccademico” e saggista
CITTADINANZA e COSTITUZIONE

Insieme contro la corruzione

In Italia la corruzione di amministratori e funzionari dello Stato portò negli anni Novanta del XX
secolo all’inchiesta giudiziaria Mani pulite che rese di pubblico dominio to scandalo Tangentopoli un
sistema diffuso di scambi corrotti nella gestione delle gare e degli appalti pubblici fondato sul
pagamento di tangenti da parte degli imprenditori e sull'acquisizione del consenso elettorale tramite
una gestione clientelare della cosa pubblica. L’inchiesta portò al crollo della Prima Repubblica con la
scomparsa di partiti storio come DC, Psi, Pri ecc. e il costituirsi di forze politiche di protesta come
Lega Nord e La Rete, riformiste come L'Ulivo, conservatrici come Forza Italia. Ma non risolse il
problema della corruzione nella Pubblica Amministrazione che anzi si è con gli anni intensificato
tanto che, fra il 2012 e il 2017, il Parlamento è dovuto intervenire con sette leggi ad hoc.

Il 19 dicembre si celebra la Giornata internazionale contro la corruzione. Proponete al Preside di


celebrarla a scuola con una campagna di sensibilizzazione sul ruolo degli studenti nella creazione di
una società più consapevole e partecipe. Suggerite come titolo La scuola: una palestra contro la
corruzione

Etica e politica nell’Italia degli anni Novanta del ‘900; Leggi contro la corruzione dal
2012 al 2017

LA LEGGE ANTICORRUZIONE, legge 6 novembre 2012 n. 190


“Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica
amministrazione” e una legge composta sostanzialmente da un articolo di 83 commi che prevede una serie di
misure preventive e repressive contro la corruzione e l’illegalità nella pubblica amministrazione
DECRETO LEGISLATIVO 31 dicembre 2012, n. 235

Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di
Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1,
comma 63, della legge 6 novembre 2012

DECRETO LEGISLATIVO 14 marzo 2013, n. 33

Riordino della disciplina riguardante il diritto di accesso civico e gli obblighi di pubblicita', trasparenza e
diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni.

DECRETO LEGISLATIVO 8 aprile 2013, n. 39

Disposizioni in materia di inconferibilita' e incompatibilita' di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e


presso gli enti privati in controllo pubblico, a norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre
2012

DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 16 aprile 2013, n. 62

Regolamento recante codice di comportamento dei dipendenti pubblici, a norma dell'articolo 54 del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165.

DECRETO LEGGE n. 90 del 2014 (convertito nella Legge n. 114 del 2014) “Misure urgenti per la
semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l’efficienza degli uffici giudiziari”

Legge 27 maggio 2015, n. 69

Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione, di associazioni di tipo mafioso e di falso
in bilancio

DECRETO LEGISLATIVO 25 maggio 2016, n. 97 - FOIA e Trasparenza


Recante revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione pubblicità e
trasparenza correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai
sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni
pubbliche

LEGGE 30 novembre 2017, n. 179

Disposizioni per la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità di cui siano venuti a conoscenza
nell'ambito di un rapporto di lavoro pubblico o privato

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