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alessandro.arienzo@unina.it
Il modello pericleo come idealtipo
• Nella prossima lezione introduciamo i tratti complessivi di quella esperienza
genetica che è la democrazia periclea, una esperienza politica che diviene nella
politica moderna una vera e propria narrazione, un discorso con forti curvatore
anche ideologiche e idealizzanti.
• La democrazia periclea appare spesso nella storia del pensiero politico occidentale
come una sorta di modello originario nel quale si presume ci sia la verità della
democrazia politica.
• Se l'apice dell'esperienza democratica è tra il VII e il V sec. a. C., fino, cioè, all’età di Pericle, Platone
e Aristotele intervengono post factum, quando la democrazia già è in crisi. Sia Platone sia
Aristotele manifestano un’attitudine descrittiva di tipo conservativo, tesa ad operare una critica
dell’esperienza “democratica”.
• In Aristotele, ad esempio, troviamo il succo di quanto si racchiude nell’esperienza storica e che poi
si riflette nelle forme di governo , e possiamo osservare come dall’empiria nasca la riflessione che è
produttiva di testi.
• La Politica è uno dei testi fondamentali per il pensiero politico classico, e per la storia culturale e
politica occidentale. A partire dal duecento, quando il testo verrà “scoperto” e tradotto in latino
(Guglielmo di Moerbeke ), la Politica diviene non solo un riferimento autoriale obbligato, ma una
sorta di matrice entro la quale per secoli il pensiero politico non poté non svolgersi.
Aristotele:
la scienza politica e il bene comune
Con l’aggettivo politica (politikè) Aristotele indica diverse disposizioni, o attività,
che possono essere raggruppate in due grandi categorie:
- quella della scienza – epistème – politica
- e quella della saggezza – phrònesis politica.
Nell’Etica Nicomachea, dopo aver ricordato che ogni arte (tèchne), cioè disciplina, ed ogni
mèthodos, cioè trattazione scientifica, così come ogni azione e ogni scelta, tendono ad un
fine, vale a dire ad un bene, Aristotele osserva che così come esiste una gerarchia tra i fini,
nel senso che alcuni sono mezzi in vista di altri, così c’è una gerarchia anche tra le arti e le
scienze, nel senso che alcune sono subordinate ad altre, dette perciò “architettoniche”.
• Il fine al quale tutti gli altri sono subordinati è il bene supremo che è l’oggetto della
suprema scienza architettonica: la scienza politica.
• Per bene supremo si intende il “bene dell’uomo”, che è però identico per il singolo individuo
e per la città, anche se – quando considerato come bene della città – è per Aristotele “più
grande e perfetto”. Il bene della città è oggetto della scienza della città, cioè politica.
Aristotele:
scienza e saggezza
La scienza politica, una scienza pratica, deve però essere distinta da un’altra forma
di sapere pratico – meglio di intelligenza pratica – tematizzata da Aristotele: la
saggezza, o prudenza (phrònesis). Questa è parte delle virtù dianoetiche, ed è una
disposizione opinativa, calcolatrice, dell’anima e consiste nella capacità di
deliberare bene, cioè di definire i mezzi più adatti al fine buono. Se la scienza
politica è posseduta dal filosofo, la saggezza o prudenza politica è propria del
governante. Ed essa è a sua volta composta da due capacità specifiche:
• Questo è uno degli elementi di differenza con Platone, per il quale il filosofo e il
governante devono coincidere. In Aristotele, il filosofo – se volete lo scienziato – e il
governante condividono lo stesso fine generale, ma ad uno pertiene la scienza,
all’altro la saggezza.
Aristotele:
scienza e saggezza
Secondo Aristotele ci sono diversi tipi di scienza (o filosofia):
- Teoretica – che ha per fine la conoscenza pura (theorìa); tra queste la matematica,
la fisica, la filosofia prima (o metafisica)
- Poietica – che ha per fine la produzione (pòiesis) e comprende le diverse arti o
tecniche (tèchnai)
- Pratica – che ha per fine l’azione (pràxis); comprende tutte quelle che hanno per
fine un’azione – arte della conduzione dei carri, dei cavalli, la strategia, l’economia,
la politica nel suo essere conoscenza delle arti del governo (ma la politica è anche
teoretica in quanto conoscenza del bene
Nell’Etica Nicomachea Aristotele identifica il bene supremo con la «felicità»
(eudaimonìa) ovvero con il «vivere bene» (to eu zen) o con l’agire bene (to eu
pràttein) e lo concepirà come realizzazione delle virtù (disposizioni buone).
Ma la politica è anche indagine (skèpsis) o ricerca (zètesis)
Aristotele – La Politica
• La Politica, una raccolta di “lezioni”, ci è giunta ordinata in otto libri –
l’ultimo dei quali incompiuto – che mostrano un filo conduttore
determinato:
• Per Aristotele la politica è parte della natura, vive quindi di un ciclo naturale:
infatti, come ogni organismo naturale, ogni corpo politico nasce, sviluppa e muore.
Appartiene quindi alla polis – indipendentemente dalla sua taxis – quel ciclo
naturale che è proprio di tutto ciò che è parte del cosmo, sebbene i diversi
ordinamenti costituzionali siano il frutto dell’intelletto umano.
• Lo stesso spazio della cittadinanza, i suoi confini, sono relativi alla costituzione
poiché non tutti quanti sono indispensabili allo stato si devono ritenere cittadini:
“siccome esistono varie costituzioni, è necessario che si siano pure varie specie di
cittadini soggetti”.
Aristotele – La Politica
• Ecco perché in Aristotele il buon cittadino e l’uomo buono non coincidono. La
virtù del cittadino è necessariamente in rapporto alla costituzione, esistono quindi
molteplici forme di cittadinanza e la virtù del cittadino si esprime secondo forme
diverse in rapporto alla costituzione.
• “Dunque da quanto si è detto è chiaro se si deve considerare diversa o identica la virtù per
cui si è uomini buoni e bravi cittadini: in uno stato uomo buono e cittadino bravo è lo stesso,
in un altro è diverso, e anche là dove sono lo stesso, non lo è ogni cittadino, ma solo l’uomo
di stato che è arbitro o può essere arbitro, da solo, o con gli altri, della condotta degli affari
pubblici” (1278b)
• A queste, il buon cittadino deve associare una virtù specifica – politica per
eccellenza – ossia la prudenza, che consiste essenzialmente nella capacità di
governare rettamente .
Aristotele – La Politica
la pòlis
• La città è una comunità (koinonìa) che si costituisce in vista del bene, essa
è l’insieme di tutti coloro che concorrono nelle loro parti rispettive al bene
comune, alla felicità di tutti. E la comunità più importante, perché
persegue il fine più alto, è quella politica che si esprime nella pòlis. Essa
associa non solo la città, ma anche il suo territorio circostante,
estendendosi lungo tutto ciò che garantisce autonomia e autosufficienza.
• Il fine della città, il telòs, deve però essere inteso sia come obiettivo (ciò in vista di cui avviene
un processo) che come il suo compimento, la sua perfezione.
Aristotele – La Politica
koinònía
• La città per Aristotele nasce dal vivere, dal bisogno materiale, ma appena costituita
essa assume come suo fine il vivere bene. Vi è quindi una duplice funzione, una
duplice ragion d’essere della città:
• - la natura come bisogno, come istinto
• - la natura come fine ultimo, la perfezione
• “Risulta subito evidente che ogni città è una comunità e ogni comunità si costituisce
proponendosi per scopo un qualche bene (perché tutti compiono ogni loro azione per
raggiungere ciò che ad essi sembra essere un bene). Ciò posto, possiamo dire che soprattutto
vi tende e tende al più eccellente di tutti i beni quella comunità che regge e comprende in sé
tutte le altre: questa è quella che si chiama città e comunità politica” (libro I,I, 1252).
• Il primato è di una koinònía politica che mette a fuoco tutte le principali forme di relazione
presenti nella comunità: padrone/servo, marito/moglie, padre/figli. E’ nelle figure del
padrone, del marito e del padre che si costituiscono le vere parti della comunità politica.
• Vi è qui una sorta di analisi dei tratti funzionali che compongono la città. Aristotele riconosce
queste forme ma le ritiene tra loro profondamente differenti. Quando parla della comunità,
infatti, deve parlare di un autorità particolare, quella politica, che definisce uno spazio suo
proprio composto dagli uomini liberi.
Aristotele – La Politica
costituzione - costituzioni
• Ed allora, appare evidente che non possono che esistere una molteplicità di
costituzioni, di ordinamenti delle varie magistrature dello stato.
• Ciò che costituisce l’elemento deliberante nella koinònía politica è allora quello
che ne definisce la costituzione, la taxis degli ordinamenti, quindi gli spazi della
cittadinanza e gli elementi di determinazione di ciò che si deve intendere per
cittadino.
• Gli elementi di novità possono essere introdotti o sul piano degli elementi
necessari alla vita della polis o sul piano riguardante elementi che non sono
necessari ma sono relativi ai soggetti nei loro movimenti di desideri e godimenti.
Necessari sono quelle funzioni e quei soggetti che devono garantire l’autarchia della città. Non necessari
sono quegli elementi legati alla soddisfazione di un desiderio e di un godimento. Oltre il segno della
necessità, l’innovazione è introdotta nella città da coloro che a qualsiasi costo vogliono introdurre un
elemento di soddisfazione di un desiderio. L’ambizione può essere positiva o negativa. Il desiderio può
sconfinare nell’arbitrio estremo: qui c’è un elemento di rottura, di stasis nell’equilibrio organico della città.
Aristotele – La Politica
la crematistica
Questo accade, in termini non dissimili, con la crematistica. Con quella parte
dell’amministrazione della casa o dello stato che per Aristotele si configura come una
crematistica “innaturale”. Innaturale perché il suo fine non è come nel caso della
crematistica naturale, il sostentamento, il soddisfacimento di ciò che manca.
L’acquisizione di beni necessari in altri termini.
“in realtà la crematistica e la ricchezza naturale sono diverse perché l’una rientra nell’amministrazione della
casa, l’altra nel commercio e produce ricchezza ma non comunque, bensì mediante lo scambio di beni: ed è
questa che, come sembra ha da fare col denaro perché il denaro è principio e fine dello scambio. Ora, questa
ricchezza, derivante da tale forma di crematistica non ha limiti […] rispetto al fine e il fine è precisamente la
ricchezza di tal genere e l’acquisto dei beni. Ma della crematistica che rientra nell’amministrazione della casa, si
dà un limite giacché non è compito dell’amministrazione della casa quel genere di ricchezze. Sicché da questo
punto di vista appare necessario che ci sia un limite a ogni ricchezza, mentre vediamo che nella realtà avviene il
contrario: infatti tutti quelli che esercitano la crematistica accrescono illimitatamente il denaro”.
Aristotele – La Politica
la crematistica innaturale 1
• Ecco che per spiegare meglio la differenza tra crematistica naturale e innaturale,
Aristotele introduce la distinzione tra “valore d’uso” e valore di scambio:
• Ogni oggetto di proprietà ha due usi: tutt’e due appartengono all’oggetto per sé, ma non allo
stesso modo per sé: l’uno è proprio, l’altro non è proprio dell’oggetto. Ad esempio la scarpa
può usarsi come calzatura e come mezzo di scambio. Entrambi sono modi di usare la scarpa
[…]
“Il motivo di questo è la stretta affinità tra le due forme di crematistica… in entrambe si fa uso
degli stessi beni, ma non allo stesso modo, ché l’una tende a un altro fine, l’altra
all’accrescimento. Di conseguenza taluni suppongono che proprio questa sia la funzione
dell’amministrazione domestica e vivono continuamente nell’idea di dovere o mantenere o
accrescere la loro sostanza all’infinito”.
• E ciò genera quella che noi potremmo definire una vera e propria patologia
individuale
“Causa di questo stato mentale è che si preoccupano di vivere, ma non di vivere bene, e
siccome i loro desideri si stendono all’infinito, pure all’infinito bramano mezzi per appagarli …
Ora siccome per loro il godimento consiste nell’eccesso, essi cercano quell’arte che produce
quell’eccesso di godimento e se non riescono a procurarselo con la crematistica ci provano
per altra via, sfruttando ciascuna facoltà in maniera non naturale”:
Aristotele – La Politica
la crematistica e l’anima corrotta
“tutte le costituzioni che hanno di mira l’interesse comune sono costituzioni rette in quanto
conformi all’assoluta giustizia, mentre quelle che hanno di mira l’interesse dei governanti
sono errate e costituiscono delle degenerazioni rispetto alle costituzioni rette: infatti sono
dispotiche, mentre la città è una costituzione di liberi” (III,6, 1279).
• Un altro è di vivere ciascuno come vuole, perché questo, dicono, è opera della
libertà, in quanto che è proprio di chi è schiavo vivere non come vuole. Ecco quindi
la seconda nota distintiva della democrazia; di qui è venuta la pretesa di essere
preferibilmente sotto nessun governo o, se no, di governare e di essere governati a
turno: per questa via a contribuisce alla libertà fondata sull'uguaglianza. […]
Aristotele – La Politica – democrazia 3
• “ Posti questi fondamenti e tale essendo la natura del governo democratico, le
seguenti istituzioni sono democratiche: i magistrati li eleggono tutti tra tutti; tutti
comandano su ciascuno e ciascuno a turno su tutti: le magistrature sono
sorteggiate o tutte o quante non richiedono esperienza e abilità; le magistrature
non dipendono da censo alcuno o minimo; lo stesso individuo non può coprire due
volte nessuna carica o raramente o poche, a eccezione di quelle militari; le cariche
sono di breve durata o tutte o quante è possibile; le funzioni di giudice sono
esercitate da tutti e cioè da persone scelte tra tutti e su ogni affare o sulla maggior
parte degli affari, sui più grandi e importanti, ad es. sui rendiconti dei magistrati,
su questioni costituzionali e sui contratti privati; l'assemblea è sovrana in tutte le
faccende o nelle più importanti, nessuna magistratura è arbitra di nessuna
questione o di pochissime (delle magistrature la più democratica è il consiglio dove
non ci sono i mezzi per retribuire tutti, ché allora anch'esso viene privato della sua
forza e il popolo trovandosi bene con la retribuzione avoca a sé ogni causa, come è
stato già detto nel trattato precedente a questo): inoltre ricevono la paga tutti
assolutamente, l'assemblea, i tribunali, le magistrature, o se no, le magistrature, i
tribunali, il consiglio, le assemblee principali g o quelle magistrature che di
necessità devono avere mensa comune” […]
Aristotele – La Politica – democrazia 4
• Si può assumere un altro criterio per definire la forma di governo più idonea a mediare questi
divergenti interessi: “Bisogna ora determinare quale sia la migliore costituzione ed il miglior
genere di vita per il maggior numero delle città e degli uomini, senza prendere come pietra di
paragone la virtù che sta al di sopra del comune o l’educazione che ha bisogno di una felice
disposizione naturale o di una particolare preparazione, o ancora la costituzione perfettamente
rispondente ai nostri voti, ma semplicemente una vita che tutti possano praticare ed una
costituzione che possa essere comune alla maggior parte della città” (IV, 11, 1295).
• Aristotele ha studiato circa 150 costituzioni; da questo studio trae l’opinione che la
migliore forma di governo deve contribuire a mediare l’opposizione ricorrente di
democrazia e oligarchia; essa deve fare perno sulle parti medie della città: mikté
politeia è la costituzione mista che vede i ceti di mezzo svolgere questa funzione
decisiva.
Aristotele – La Politica
la politìa e le forme di governo: la mikté politeia
• La nuova argomentazione aristotelica prende avvio dalle parti di cui la città è costituita
(diremmo noi oggi la parti “sociali” della città): “La pluralità delle costituzioni è dovuta al fatto
che ogni città ha un considerevole numero di parti. In primo luogo vediamo che le città sono
composte di famiglie, poi che di questa massa di gente, taluni necessariamente sono ricchi,
altri poveri, altri di condizione media, e che dei ricchi e dei poveri gli uni sono armati, gli altri
disarmati” (IV,3, 1290).
• Assumendo allora che “in tutte le città vi sono tre parti: i ricchissimi, i poverissimi e quelli che
stanno in mezzo, tra gli uni e gi altri. Poiché si ammette che la misura e la medierà sono
sempre la cosa migliore, è chiaro che un possesso medio di ricchezze è la condizione migliore
di ogni altra, perché in essa è più facile obbedire alla ragione” (IV, 11, 1295).
• Aristotele offre un discorso sulla democrazia come forma di governo misto nel
senso specificamente binario, per cui la funzione dell’espressione politica dei
poteri media le parti diverse della città, che pure sono in conflitto tra di loro. La
mése o mikté politeía diventerà per la teoria politica - fino ai giorni nostri - il
modello della democrazia che si articola intorno ai ceti mezzani al fine di portare a
mediazione i rapporti conflittuali tra le parti della città.
Aristotele – La Politica
la politìa e le forme di governo: la mikté politeia
• In tal senso, sembra quasi che questo non sia l’Aristotele che mette insieme
politica, morale ed economia.
• Scrive ancora Accattino: “Alla fine Aristotele deve essersi reso conto che le parti
della città che in ultima analisi determinano nella stragrande maggioranza delle
città l’esito costituzionale, sono i gruppi caratterizzati da differenze di ordine
economico e che una costituzione buona è fattibile anche senza un appello diretto
ai virtuosi come gruppo”. Si tratterebbe, in sostanza, di evitare che i conflitti che
sono pure vivi nella città vengano neutralizzati; piuttosto, se si riesce a trovare la
via del mezzo si può forse portare al governo i migliori, i più competenti. Se così è,
tuttavia, appare evidente che la democrazia si dà subito in un rapporto particolare
con l’aristocrazia. Anche nel governo democratico - ieri come oggi - solo una parte
della città, quella dei virtuosi, sarebbe chiamata a governare. Esisterebbe quindi
un legame forte e stretto tra espressione aristocratica e democrazia, anche nella
sua forma più moderna, quella elettiva.
Aristotele – La Politica
Polibio e il modello ternario
• Il discorso di Aristotele viene recepito, con successive articolazioni nei secoli, da
Polibio e Tommaso s’Aquino, in particolare per quel che riguarda la consistenza e
qualità del corpo politico come corpo organico. La politica deve fare riferimento a
quei principi che governano la fisica e i soggetti.
• In età romana, Polibio vuole dimostrare quali siano stati gli strumenti con cui i
Romani abbiano reso concreta, in un cinquantennio, una pratica di conquista che li
ha resi “padroni del mondo”. Il perno del discorso è proprio quello sulla migliore
costituzione, discorso che richiama direttamente Aristotele.
• Per Polibio esistono sei forme di governo possibili, tre buone e tre cattive in cui le
buone necessariamente devono degenerare:
• olibio mette in evidenza che esiste, però, un particolare tipo di costituzione, detto
costituzione mista, che è riuscita a racchiudere in se le tre fasi positive, conviventi
insieme. Solo due stati al mondo, la Sparta di Licurgo e Roma, hanno adottato
questa costituzione, nella quale la monarchia è rappresentata dai due consoli
(monarchia in quanto ciascuno dei due può esercitare il diritto di veto e bloccare le
decisioni), l'aristocrazia dal senato e la democrazia dai tribuni della plebe, che
garantiscono la presenza del popolo al governo della città. In particolare, Roma è
riuscita a dare una risposta a quell’esigenza di interessi e di bisogni della
maggioranza.
• Da Polibio in poi, la forma del governo misto, intesa come forma migliore di
governo, è quella che riesce ad accordare la presa di decisione politica che proviene
dai pochi e dai molti, dalla funzione deliberativa e dalla funzione esecutiva.