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Storia delle Dottrine Politiche

alessandro.arienzo@unina.it
Il modello pericleo come idealtipo
• Nella prossima lezione introduciamo i tratti complessivi di quella esperienza
genetica che è la democrazia periclea, una esperienza politica che diviene nella
politica moderna una vera e propria narrazione, un discorso con forti curvatore
anche ideologiche e idealizzanti.

• La democrazia periclea appare spesso nella storia del pensiero politico occidentale
come una sorta di modello originario nel quale si presume ci sia la verità della
democrazia politica.

• Su questo tema, e come critica e analisi della forma democratica, Aristotele


produce un contributo rilevantissimo: descrive la teoria della democrazia in
termini generali e, da preciso analista, offre la descrizione dettagliata delle forme
concrete possibili di democrazia, svolgendo quindi un discorso
contemporaneamente sistematico e critico.
Platone e Aristotele:
la critica all’esperienza democratica
• Platone e Aristotele hanno in comune lo stesso percorso, si impegnano in una resa dei conti con
l’esperienza storica del governo democratico realizzato ad Atene, nei loro scritti - nella Repubblica
di Platone e nella Politica di Aristotele - entrambi vogliono presentare una forma ideale di governo
migliore di quella.

• Se l'apice dell'esperienza democratica è tra il VII e il V sec. a. C., fino, cioè, all’età di Pericle, Platone
e Aristotele intervengono post factum, quando la democrazia già è in crisi. Sia Platone sia
Aristotele manifestano un’attitudine descrittiva di tipo conservativo, tesa ad operare una critica
dell’esperienza “democratica”.

• In Aristotele, ad esempio, troviamo il succo di quanto si racchiude nell’esperienza storica e che poi
si riflette nelle forme di governo , e possiamo osservare come dall’empiria nasca la riflessione che è
produttiva di testi.

• La Politica è uno dei testi fondamentali per il pensiero politico classico, e per la storia culturale e
politica occidentale. A partire dal duecento, quando il testo verrà “scoperto” e tradotto in latino
(Guglielmo di Moerbeke ), la Politica diviene non solo un riferimento autoriale obbligato, ma una
sorta di matrice entro la quale per secoli il pensiero politico non poté non svolgersi.
Aristotele:
la scienza politica e il bene comune
Con l’aggettivo politica (politikè) Aristotele indica diverse disposizioni, o attività,
che possono essere raggruppate in due grandi categorie:
- quella della scienza – epistème – politica
- e quella della saggezza – phrònesis politica.

Nell’Etica Nicomachea, dopo aver ricordato che ogni arte (tèchne), cioè disciplina, ed ogni
mèthodos, cioè trattazione scientifica, così come ogni azione e ogni scelta, tendono ad un
fine, vale a dire ad un bene, Aristotele osserva che così come esiste una gerarchia tra i fini,
nel senso che alcuni sono mezzi in vista di altri, così c’è una gerarchia anche tra le arti e le
scienze, nel senso che alcune sono subordinate ad altre, dette perciò “architettoniche”.

• Il fine al quale tutti gli altri sono subordinati è il bene supremo che è l’oggetto della
suprema scienza architettonica: la scienza politica.

• Per bene supremo si intende il “bene dell’uomo”, che è però identico per il singolo individuo
e per la città, anche se – quando considerato come bene della città – è per Aristotele “più
grande e perfetto”. Il bene della città è oggetto della scienza della città, cioè politica.
Aristotele:
scienza e saggezza
La scienza politica, una scienza pratica, deve però essere distinta da un’altra forma
di sapere pratico – meglio di intelligenza pratica – tematizzata da Aristotele: la
saggezza, o prudenza (phrònesis). Questa è parte delle virtù dianoetiche, ed è una
disposizione opinativa, calcolatrice, dell’anima e consiste nella capacità di
deliberare bene, cioè di definire i mezzi più adatti al fine buono. Se la scienza
politica è posseduta dal filosofo, la saggezza o prudenza politica è propria del
governante. Ed essa è a sua volta composta da due capacità specifiche:

a. la saggezza legislativa, o architettonica, ossia quella di fare buone leggi;


b. la saggezza politica, come capacità di deliberare bene, di agire bene nelle
situazioni particolari.

• Questo è uno degli elementi di differenza con Platone, per il quale il filosofo e il
governante devono coincidere. In Aristotele, il filosofo – se volete lo scienziato – e il
governante condividono lo stesso fine generale, ma ad uno pertiene la scienza,
all’altro la saggezza.
Aristotele:
scienza e saggezza
Secondo Aristotele ci sono diversi tipi di scienza (o filosofia):
- Teoretica – che ha per fine la conoscenza pura (theorìa); tra queste la matematica,
la fisica, la filosofia prima (o metafisica)
- Poietica – che ha per fine la produzione (pòiesis) e comprende le diverse arti o
tecniche (tèchnai)
- Pratica – che ha per fine l’azione (pràxis); comprende tutte quelle che hanno per
fine un’azione – arte della conduzione dei carri, dei cavalli, la strategia, l’economia,
la politica nel suo essere conoscenza delle arti del governo (ma la politica è anche
teoretica in quanto conoscenza del bene
Nell’Etica Nicomachea Aristotele identifica il bene supremo con la «felicità»
(eudaimonìa) ovvero con il «vivere bene» (to eu zen) o con l’agire bene (to eu
pràttein) e lo concepirà come realizzazione delle virtù (disposizioni buone).
Ma la politica è anche indagine (skèpsis) o ricerca (zètesis)
Aristotele – La Politica
• La Politica, una raccolta di “lezioni”, ci è giunta ordinata in otto libri –
l’ultimo dei quali incompiuto – che mostrano un filo conduttore
determinato:

Libro I – famiglia, villaggio, polis, padre, marito, padrone,


tratta dell’economia domestica (governo della casa e dei beni)
Libro II – critica ai modelli di costituzione ideali e analisi critica di alcune
costituzioni a lui contemporanee (Arist. ne discute circa 158), in particolare
troviamo la critica alla Repubblica di Platone
Libri III-VI – l’analisi delle cause per cui le città si conservano o di distruggono, o
per le quali sono governate bene oppure male
Libro III – introduzione alla trattazione politica, le costituzioni secondo lo schema
uno/pochi/molti: la monarchia
Libri IV-VI – le costituzioni secondo lo schema virtù/stasis; oligarchia e democrazia
Libri VII-VIII – la costituzione migliore, il buon cittadino, le leggi e gli usi migliori
Aristotele – La Politica
• il primo libro costituisce una introduzione al tema della politica, e ne fonda la
costituzione su elementi di tipo naturale: la costituzione della famiglia, quindi il
villaggio, quindi la città. E le relazioni che esse necessariamente producono e che
sono a fondamento di ogni costituzione: qualsiasi forma essa assuma, perché la
costituzione, la politìa, è essenzialmente taxis, disposizione, distribuzione, di
uomini, gruppi, cariche, poteri, ordini.

• Per Aristotele la politica è parte della natura, vive quindi di un ciclo naturale:
infatti, come ogni organismo naturale, ogni corpo politico nasce, sviluppa e muore.
Appartiene quindi alla polis – indipendentemente dalla sua taxis – quel ciclo
naturale che è proprio di tutto ciò che è parte del cosmo, sebbene i diversi
ordinamenti costituzionali siano il frutto dell’intelletto umano.

• Questa distinzione è un elemento cruciale perché una parte importante dell’analisi


delle forme costituzionali successive ad Aristotele, e lo vedremo in Polibio, si pone
l’obiettivo di superare l’elemento naturale della corruzione attraverso la
commistione tra gli elementi, le forme base.
Aristotele – La Politica
• Inoltre, la politica deve operare in accordo con la morale e con l’economia: la città
quindi si afferma la fine di realizzare un bene comune, l’eudemonia, la felicità,
quindi la virtù. Per farlo non può non esprimersi come gestione, amministrazione
di ciò che è comune, e quindi economia e crematistica naturale.

• La città, peraltro, in Aristotele è pluralità, molteplicità. Questo è un altro


importante elemento di distinzione con Platone, secondo cui la città giusta è
armonicamente uno come perfetta composizione delle parti. In Aristotele la città è
insieme una e molteplice: uno è il fine cui tende, molteplice perché essa è la
composizione di una pluralità di parti. Ogni singola città è una comunità politica
con particolari modi di vita e con determinate costituzioni.

• Lo stesso spazio della cittadinanza, i suoi confini, sono relativi alla costituzione
poiché non tutti quanti sono indispensabili allo stato si devono ritenere cittadini:
“siccome esistono varie costituzioni, è necessario che si siano pure varie specie di
cittadini soggetti”.
Aristotele – La Politica
• Ecco perché in Aristotele il buon cittadino e l’uomo buono non coincidono. La
virtù del cittadino è necessariamente in rapporto alla costituzione, esistono quindi
molteplici forme di cittadinanza e la virtù del cittadino si esprime secondo forme
diverse in rapporto alla costituzione.

• “Dunque da quanto si è detto è chiaro se si deve considerare diversa o identica la virtù per
cui si è uomini buoni e bravi cittadini: in uno stato uomo buono e cittadino bravo è lo stesso,
in un altro è diverso, e anche là dove sono lo stesso, non lo è ogni cittadino, ma solo l’uomo
di stato che è arbitro o può essere arbitro, da solo, o con gli altri, della condotta degli affari
pubblici” (1278b)

• Così non è per l’uomo buono, che è lo stesso indipendentemente dalla


costituzione nella quale esso vive. Questi esercita le sue virtù sia che obbedisca,
sia che comandi. E gli sono proprie la temperanza e la giustizia.

• A queste, il buon cittadino deve associare una virtù specifica – politica per
eccellenza – ossia la prudenza, che consiste essenzialmente nella capacità di
governare rettamente .
Aristotele – La Politica
la pòlis
• La città è una comunità (koinonìa) che si costituisce in vista del bene, essa
è l’insieme di tutti coloro che concorrono nelle loro parti rispettive al bene
comune, alla felicità di tutti. E la comunità più importante, perché
persegue il fine più alto, è quella politica che si esprime nella pòlis. Essa
associa non solo la città, ma anche il suo territorio circostante,
estendendosi lungo tutto ciò che garantisce autonomia e autosufficienza.

• La pòlis è allora: “la società formata da più villaggi, perfetta (tèleios), la


quale raggiunge, per così dire, il limite dell’autosufficienza (autàrcheia),
nata in vista del vivere, ma esistente in vista del vivere bene (eu zen)” (Pol.
1252, b27-30)

• Il fine della città, il telòs, deve però essere inteso sia come obiettivo (ciò in vista di cui avviene
un processo) che come il suo compimento, la sua perfezione.
Aristotele – La Politica
koinònía
• La città per Aristotele nasce dal vivere, dal bisogno materiale, ma appena costituita
essa assume come suo fine il vivere bene. Vi è quindi una duplice funzione, una
duplice ragion d’essere della città:
• - la natura come bisogno, come istinto
• - la natura come fine ultimo, la perfezione

• “Risulta subito evidente che ogni città è una comunità e ogni comunità si costituisce
proponendosi per scopo un qualche bene (perché tutti compiono ogni loro azione per
raggiungere ciò che ad essi sembra essere un bene). Ciò posto, possiamo dire che soprattutto
vi tende e tende al più eccellente di tutti i beni quella comunità che regge e comprende in sé
tutte le altre: questa è quella che si chiama città e comunità politica” (libro I,I, 1252).

• Aristotele mette subito in evidenza il riferimento al bene e alla morale, la città è


una comunità che regge in sé tutte le diverse forme di koinònía (comunità):- la
prima è quella tra uomo e donna, la cui unione genera la famiglia, - la seconda è il
villaggio - la terza è la città, che sola raggiunge il livello dell’autosufficienza.
Aristotele – La Politica
eú zén e koinònía
• Ancora scrive Aristotele (Libro VII,8, 1328): “Tutti i membri di una comunità devono
partecipare in parte uguali o disuguali a un che di comune, sia esso il cibo, il territorio o
qualcos’altro del genere. [ … ] La città è una comunità di uguali che si propone come scopo il
raggiungimento della miglior vita possibile. Ora, poiché la felicità è il massimo bene, e
consiste nell’attuazione della virtù e nel godimento finale di questo stato, di essa gli uomini
hanno parte in modi diversi, alcuni in quantità minima ed altri addirittura non ne hanno
parte; e da questo deriva la differenza tra i varii tipi di città e la molteplicità delle
costituzioni.”

 La città, quindi, non è una semplice pluralità ma è un comunità. Di qui ne


consegue la subordinazione del vivere (zén) al ben vivere (eú zén).

• Il primato è di una koinònía politica che mette a fuoco tutte le principali forme di relazione
presenti nella comunità: padrone/servo, marito/moglie, padre/figli. E’ nelle figure del
padrone, del marito e del padre che si costituiscono le vere parti della comunità politica.

• Vi è qui una sorta di analisi dei tratti funzionali che compongono la città. Aristotele riconosce
queste forme ma le ritiene tra loro profondamente differenti. Quando parla della comunità,
infatti, deve parlare di un autorità particolare, quella politica, che definisce uno spazio suo
proprio composto dagli uomini liberi.
Aristotele – La Politica
costituzione - costituzioni
• Ed allora, appare evidente che non possono che esistere una molteplicità di
costituzioni, di ordinamenti delle varie magistrature dello stato.

• “e specialmente di quella che è sovrana suprema di tutti: infatti, sovrana suprema


è dovunque la suprema autorità dello stato, e la suprema autorità è la
costituzione. Dico cioè che nelle democrazie sovrano è il popolo, mentre al
contrario nelle oligarchie lo sono i pochi: e noi diciamo che queste due costituzioni
sono diverse” (1278b)

• Ciò che costituisce l’elemento deliberante nella koinònía politica è allora quello
che ne definisce la costituzione, la taxis degli ordinamenti, quindi gli spazi della
cittadinanza e gli elementi di determinazione di ciò che si deve intendere per
cittadino.

• E tuttavia, la costituzione non è elemento rigido o statico. E’ elemento mobile,


ugualmente aperto all’innovazione o alla corruzione.
Aristotele – La Politica
innovazione e stasis
• La vita della polis vive di innovazioni. Tali innovazioni partono dai soggetti singoli:
se la polis è un corpo naturale, questo corpo vive dello scorrimento di umori per
cui, a certe condizioni, se i cittadini vivono bene e l’organizzazione della politeia,
della costituzione e della comunità civile offre cose positive, i comportamenti e le
azioni dei cittadini si rivolgeranno alla conservazione.
• Ma se la polis è presa dal malessere, se i soggetti non stanno bene, qui intervengono innovazioni che
possono addirittura arrecare elementi di patologia. In questo ultimo caso avviene la stasis, il blocco delle
regolari funzioni politiche della polis.

• Gli elementi di novità possono essere introdotti o sul piano degli elementi
necessari alla vita della polis o sul piano riguardante elementi che non sono
necessari ma sono relativi ai soggetti nei loro movimenti di desideri e godimenti.
Necessari sono quelle funzioni e quei soggetti che devono garantire l’autarchia della città. Non necessari
sono quegli elementi legati alla soddisfazione di un desiderio e di un godimento. Oltre il segno della
necessità, l’innovazione è introdotta nella città da coloro che a qualsiasi costo vogliono introdurre un
elemento di soddisfazione di un desiderio. L’ambizione può essere positiva o negativa. Il desiderio può
sconfinare nell’arbitrio estremo: qui c’è un elemento di rottura, di stasis nell’equilibrio organico della città.
Aristotele – La Politica
la crematistica
Questo accade, in termini non dissimili, con la crematistica. Con quella parte
dell’amministrazione della casa o dello stato che per Aristotele si configura come una
crematistica “innaturale”. Innaturale perché il suo fine non è come nel caso della
crematistica naturale, il sostentamento, il soddisfacimento di ciò che manca.
L’acquisizione di beni necessari in altri termini.

Quest’altra crematistica, che storicamente nasce con l’accrescersi in dimensioni della


polis – e quindi con la necessità del commercio e lo stabilirsi della moneta – e con la
trasformazione dello scambio da baratto (centrale il valore d’uso) al commercio (un
autonomo valore di scambio):

“in realtà la crematistica e la ricchezza naturale sono diverse perché l’una rientra nell’amministrazione della
casa, l’altra nel commercio e produce ricchezza ma non comunque, bensì mediante lo scambio di beni: ed è
questa che, come sembra ha da fare col denaro perché il denaro è principio e fine dello scambio. Ora, questa
ricchezza, derivante da tale forma di crematistica non ha limiti […] rispetto al fine e il fine è precisamente la
ricchezza di tal genere e l’acquisto dei beni. Ma della crematistica che rientra nell’amministrazione della casa, si
dà un limite giacché non è compito dell’amministrazione della casa quel genere di ricchezze. Sicché da questo
punto di vista appare necessario che ci sia un limite a ogni ricchezza, mentre vediamo che nella realtà avviene il
contrario: infatti tutti quelli che esercitano la crematistica accrescono illimitatamente il denaro”.
Aristotele – La Politica
la crematistica innaturale 1
• Ecco che per spiegare meglio la differenza tra crematistica naturale e innaturale,
Aristotele introduce la distinzione tra “valore d’uso” e valore di scambio:

• Ogni oggetto di proprietà ha due usi: tutt’e due appartengono all’oggetto per sé, ma non allo
stesso modo per sé: l’uno è proprio, l’altro non è proprio dell’oggetto. Ad esempio la scarpa
può usarsi come calzatura e come mezzo di scambio. Entrambi sono modi di usare la scarpa
[…]

• Aristotele mette in evidenza il carattere illimitato, circolare, dell’accumulazione


delle ricchezze, in particolare attraverso il commercio. Il fine dell’agire diviene non
il necessario, ciò di cui si ha mancanza, ma l’accrescimento di ciò che già si ha.
Aristotele svela il carattere auto-accrescitivo di una certa economia dei beni che ha
nell’accumulazione delle ricchezze il proprio fine.

L’assenza di limite, evidentemente, è indice di una essenziale mancanza di equilibrio e virtù,


di stasis, di corruzione come alterazione di un ordine naturale.
Aristotele – La Politica
la crematistica innaturale 2
• E tuttavia crematistica naturale e innaturale possono essere tra loro confuse, tanto
da far apparire la seconda quale strumento corretto per l’amministrazione della
casa o dello stato:

“Il motivo di questo è la stretta affinità tra le due forme di crematistica… in entrambe si fa uso
degli stessi beni, ma non allo stesso modo, ché l’una tende a un altro fine, l’altra
all’accrescimento. Di conseguenza taluni suppongono che proprio questa sia la funzione
dell’amministrazione domestica e vivono continuamente nell’idea di dovere o mantenere o
accrescere la loro sostanza all’infinito”.

• E ciò genera quella che noi potremmo definire una vera e propria patologia
individuale

“Causa di questo stato mentale è che si preoccupano di vivere, ma non di vivere bene, e
siccome i loro desideri si stendono all’infinito, pure all’infinito bramano mezzi per appagarli …
Ora siccome per loro il godimento consiste nell’eccesso, essi cercano quell’arte che produce
quell’eccesso di godimento e se non riescono a procurarselo con la crematistica ci provano
per altra via, sfruttando ciascuna facoltà in maniera non naturale”:
Aristotele – La Politica
la crematistica e l’anima corrotta

• Certamente Aristotele individua una traiettoria di analisi che parte dalla


degenerazione della crematistica naturale e che dietro la spinta all’accumulazione
delle ricchezze vede un elemento di corruzione, di vera e propria sofferenza
mentale.

• Nel porre nell’accumulazione delle ricchezze un fine illimitato (quindi inarrivabile,


quindi un non fine), la vita si distende lungo i percorsi di una brama infinita
distaccandosi dall’eu zen, dalla vita felice – dalla buona vita.

• Il godimento diviene spinta permanente all’eccesso e quindi al dis/ordine, alla


rottura dell’ordine. Che è un ordine nelle cose, ma è anche un ordine nelle parti
interne dell’anima e del corpo.
Aristotele – La Politica
la crematistica e il lavoro

• La crematistica innaturale è fondata sull’attività commerciale – il suo carattere


illimitato è corrotto è espressa in massimo grado dall’usura.
• Il commercio si divide in tre arti: allestimento trasporti, trasporto delle merci e
vendita
• A questo segue l’attività «finanziaria», il prestito a interesse
• Quindi il lavoro retribuito che si divide, a sua volta, in lavoro meccanico (svolto dai
banausoi – artigiani) e in lavori in cui è solo possibile sfruttare il corpo
• Tra la crematistica naturale (legata all’uso) e quella innaturale (legata al
commercio) ve n’è una terza intermedia che ha a che fare con la lavorazione della
terra e si divide, anche essa, in tre attività lavorative distinte (meglio gradazioni
• Dalle arti meccaniche a quelle servili (in cui si usa solo il corpo) a quelle – più
abiette – che non richiedono attività spirituali
Aristotele – La Politica
i cittadini e la politìa
• Nei libri II e III l’intenzione di Aristotele è di offrire una definizione del
cittadino e della costituzione. I cittadini sono certamente isoi (liberi e
uguali), ma a questo egli aggiunge qualcosa di più.

• Cittadini sono tutti coloro i quali possono esercitare il potere deliberativo


e giudiziario.

Ne deriva allora che

a) la comunità è composta da tutte le parti necessarie;


b) c’è uno spazio particolare per i soggetti uguali e liberi;
c) i cittadini che governano hanno un autorità particolare.
Aristotele – La Politica
l’analisi della politìa
• Se la città è la forma di governo specifica si deve imparare a conservarla. Da un
lato, sulla scia di quanto sostenuto da Platone, bisogna quindi educare i cittadini,
dall’altro lato, però, è pure necessario creare una sorta di sostegno alla città che è
appunto la politìa, un corpo organico fatto da un complesso di processi, istituti,
procedure delicatissimo. A questo devono contribuire i singoli cittadini.

• Aristotele argomenta in due modi il migliore governo politico: la forma perfetta di


politìa, il primo riferito al bene comune, il secondo all’analisi delle forme del
governo.

• Il primo modello afferma che la città è un composto di una pluralità di soggetti


liberi e uguali (koinònía tôn homoíòn) che producono uno spazio finalizzato alla
libertà nella città. Il loro operato è finalizzato alla felicità che si realizza attraverso
la virtù; da qui sorgono tre forme di governo: monarchia, aristocrazia, politìa; la
loro degenerazione porta alle corrispettive forme di tirannide, oligarchia,
democrazia.
Aristotele – La Politica
la politìa e il bene comune
• La prima nozione di politia viene argomentata nel III libro della Politica: qui
Aristotele discute delle tre principali forme di governo: monarchia, aristocrazia e
politía e della loro degenerazione in tirannide, oligarchia, democrazia. Questa
tripartizione mette al centro i temi della libertà, del bene comune, della giustizia:

“tutte le costituzioni che hanno di mira l’interesse comune sono costituzioni rette in quanto
conformi all’assoluta giustizia, mentre quelle che hanno di mira l’interesse dei governanti
sono errate e costituiscono delle degenerazioni rispetto alle costituzioni rette: infatti sono
dispotiche, mentre la città è una costituzione di liberi” (III,6, 1279).

• Bisogna sottolineare il fatto che per Aristotele, la democrazia è degenerazione


della forma migliore di governo, la politia: infatti, la democrazia è l’esercizio del
governo dei poveri contro i ricchi della città; pure in questo caso non si persegue il
bene comune, ma solo quello di una delle parti influenti della città.
Aristotele – La Politica – democrazia 1
• Ed allora, se interpretata dal punto di vista della separazione tra forme buone e
forme corrotte di governo, secondo Aristotele la democrazia, sebbene sia la
migliore tra le forme corrotte, è pur sempre il governo della parte popolare contro
le altre parti che compongono la città:

• Certamente Aristotele dà una definizione di democrazia secondo caratteristiche


proprie, che restano anche nella sua forma “retta”, ossia la politìa:

1. eleggibilità a tutte le cariche;


2. turnazione delle cariche;
3. sorteggio dei magistrati come sistema di elezione;
4. abolizione del censo;
5. divieto di essere rieletto;
6. brevità di tempo per le cariche
7. retribuzione per l’attività politica svolta;
8. non possono esserci cariche vitalizie.
Aristotele – La Politica – democrazia 2
• “Base della costituzione democratica è la libertà (così si è soliti dire, quasi che in
questa sola costituzione gli uomini partecipino di libertà, perché è questo, dicono, il
fine di ogni democrazia). Una prova della libertà consiste nell'essere governati e nel
governare a turno: in realtà, il giusto in senso democratico consiste nell'avere
uguaglianza in rapporto al numero e non al merito, ed essendo questo il concetto di
giusto, di necessità la massa è sovrana e quel che i più decidono ha valore di fine ed
è questo il giusto: in effetti dicono che ogni cittadino deve avere parti uguali. Di
conseguenza succede che nelle democrazie i poveri siano più potenti dei ricchi
perché sono di più e la decisione della maggioranza è sovrana. È questo, dunque, un
segno della libertà che tutti i fautori della democrazia stabiliscono come nota
distintiva della costituzione.

• Un altro è di vivere ciascuno come vuole, perché questo, dicono, è opera della
libertà, in quanto che è proprio di chi è schiavo vivere non come vuole. Ecco quindi
la seconda nota distintiva della democrazia; di qui è venuta la pretesa di essere
preferibilmente sotto nessun governo o, se no, di governare e di essere governati a
turno: per questa via a contribuisce alla libertà fondata sull'uguaglianza. […]
Aristotele – La Politica – democrazia 3
• “ Posti questi fondamenti e tale essendo la natura del governo democratico, le
seguenti istituzioni sono democratiche: i magistrati li eleggono tutti tra tutti; tutti
comandano su ciascuno e ciascuno a turno su tutti: le magistrature sono
sorteggiate o tutte o quante non richiedono esperienza e abilità; le magistrature
non dipendono da censo alcuno o minimo; lo stesso individuo non può coprire due
volte nessuna carica o raramente o poche, a eccezione di quelle militari; le cariche
sono di breve durata o tutte o quante è possibile; le funzioni di giudice sono
esercitate da tutti e cioè da persone scelte tra tutti e su ogni affare o sulla maggior
parte degli affari, sui più grandi e importanti, ad es. sui rendiconti dei magistrati,
su questioni costituzionali e sui contratti privati; l'assemblea è sovrana in tutte le
faccende o nelle più importanti, nessuna magistratura è arbitra di nessuna
questione o di pochissime (delle magistrature la più democratica è il consiglio dove
non ci sono i mezzi per retribuire tutti, ché allora anch'esso viene privato della sua
forza e il popolo trovandosi bene con la retribuzione avoca a sé ogni causa, come è
stato già detto nel trattato precedente a questo): inoltre ricevono la paga tutti
assolutamente, l'assemblea, i tribunali, le magistrature, o se no, le magistrature, i
tribunali, il consiglio, le assemblee principali g o quelle magistrature che di
necessità devono avere mensa comune” […]
Aristotele – La Politica – democrazia 4

• Ancora, poiché l'oligarchia è caratterizzata dalla nascita, dalla ricchezza e


dall'educazione, le note della democrazia par che siano contrarie a queste e cioè
bassa nascita, povertà, volgarità. Delle magistrature nessuna è vitalizia e se mai ce
n'è qualcuna sopravvissuta a un antico mutamento, le si deve togliere ogni forza e
chi la copre si deve eleggere per sorteggio, non più per votazione. Sono questi,
dunque, i tratti comuni alle democrazie.
• Ma è dal concetto di giusto concordemente inteso in senso democratico (e cioè
che tutti abbiano uguaglianza rispetto al numero) che risulta quella che si ritiene
per eccellenza democrazia e governo popolare.
• Ora l'uguaglianza esige che i poveri non abbiano affatto più potere dei ricchi e non
siano sovrani esclusivi, ma che tutti lo siano su un piano d'uguaglianza in rapporto
al numero. Così, dunque, si pensa di poter realizzare nella costituzione eguaglianza
e libertà” (VI, 2, 1317).
Aristotele – La Politica
politìa come governo misto
• Ed allora, da un canto la politìa è forma di governo dei molti in vista del bene
comune, per altro versante la politia è una peculiare mescolanza delle due forme
generalmente più diffuse nel governo delle città: oligarchia e democrazia. La
mistione dei limiti di queste due forme di governo costituisce normalmente, e
paradossalmente, la costituzione più equilibrata, appunto la politia. Quindi la
mistione delle due forme più diffuse, oltre che due forme corrotte.

• Lo studio delle forme di governo e la politica servono ad Aristotele per


rappresentare ciò che sono i soggetti e i ceti nel loro significato sociale
(ricchi/poveri). La politìa è ciò che deve far confluire interessi diversi che perdono
la loro caratteristica di elementi particolari, di interessi privati.

• Ecco perché in Aristotele, se la scienza si rivolge alla forma di costituzione migliore,


la prudenza e la saggezza non potrà che guardare a quella migliore possibile, che
muta col mutare delle parti che compongono una pòlis, degli interessi che
l’attraversano, dalle condizioni ambientali nelle quali essa nasce e si sviluppa.
Aristotele – La Politica
la politìa e le forme di governo: la mikté politeia
• Di qui la seconda diversa analisi della politia, che segue il criterio pragmatico
dell’analisi delle forme di governo maggiormente praticate; viene dunque
abbandonato il criterio che pone come obiettivo principale della politeia la virtù.

• Si può assumere un altro criterio per definire la forma di governo più idonea a mediare questi
divergenti interessi: “Bisogna ora determinare quale sia la migliore costituzione ed il miglior
genere di vita per il maggior numero delle città e degli uomini, senza prendere come pietra di
paragone la virtù che sta al di sopra del comune o l’educazione che ha bisogno di una felice
disposizione naturale o di una particolare preparazione, o ancora la costituzione perfettamente
rispondente ai nostri voti, ma semplicemente una vita che tutti possano praticare ed una
costituzione che possa essere comune alla maggior parte della città” (IV, 11, 1295).

• Aristotele ha studiato circa 150 costituzioni; da questo studio trae l’opinione che la
migliore forma di governo deve contribuire a mediare l’opposizione ricorrente di
democrazia e oligarchia; essa deve fare perno sulle parti medie della città: mikté
politeia è la costituzione mista che vede i ceti di mezzo svolgere questa funzione
decisiva.
Aristotele – La Politica
la politìa e le forme di governo: la mikté politeia
• La nuova argomentazione aristotelica prende avvio dalle parti di cui la città è costituita
(diremmo noi oggi la parti “sociali” della città): “La pluralità delle costituzioni è dovuta al fatto
che ogni città ha un considerevole numero di parti. In primo luogo vediamo che le città sono
composte di famiglie, poi che di questa massa di gente, taluni necessariamente sono ricchi,
altri poveri, altri di condizione media, e che dei ricchi e dei poveri gli uni sono armati, gli altri
disarmati” (IV,3, 1290).

• Assumendo allora che “in tutte le città vi sono tre parti: i ricchissimi, i poverissimi e quelli che
stanno in mezzo, tra gli uni e gi altri. Poiché si ammette che la misura e la medierà sono
sempre la cosa migliore, è chiaro che un possesso medio di ricchezze è la condizione migliore
di ogni altra, perché in essa è più facile obbedire alla ragione” (IV, 11, 1295).  

• A parere di Aristotele, dunque, quella mezzana è la condizione socialmente migliore. I potenti


sono troppo pericolosi e non sono disposti all’obbedienza così come i poveri sono propensi
naturalmente al cambiamento ed alle novità che spesso recano danni piuttosto che stabilità e
benessere alla città. In definitiva, il nuovo pragmatico criterio di analisi porta Aristotele ad
esaltare la città che si fonda sulla classe media: “E’ chiaro dunque che la miglior comunità
politica è quella che si fonda sulla classe media e che le città che sono in queste condizioni
possono essere ben governate, quelle - dico – in cui la classe media è più numerosa e potente
delle due estreme o almeno di una di esse” (ivi).
Aristotele – La Politica
la politìa e le forme di governo: la mikté politeia

• L’articolazione del discorso di Aristotele si fa più complessa perché negli sviluppi


del suo discorso si parla di tre parti della città e non più di due (ricchi/poveri). C’è
una parte della città che è mediana. Il criterio è il mesos, la temperanza, virtù
fondamentale nell’etica aristotelica. C’è sempre una medietà da realizzare, una
virtù come equilibrio interno, che possa valere come temperamento dei
comportamenti e degli umori dei soggetti per il significativo raggiungimento della
felicità.
•  
• La politìa si rivolge al mesos, il mezzo, ciò che precipita in una forma mediana,
onde evitare interessi confliggenti tra quanti detengono risorse straordinarie e chi
ne è privo. In certe situazioni, essa riesce a neutralizzare gli eccessi nelle
dinamiche di confronto e conflitto tra le due parti della città. La migliore comunità
politica è quella che si fonda sulla classe media, che possiede una ricchezza
sufficiente e intermedia, che possa garantire l’autonomia dei singoli individui e
delle loro famiglie, e più complessivamente della comunità.
Aristotele – La Politica
la politìa e le forme di governo: la mikté politeia

• In definitiva, la comunità politica migliore è quella fondata sul ceto medio;


possono essere dunque bene amministrate quelle città nelle quali il ceto medio è
numeroso e più potente: in tali situazioni potranno certamente essere allontanati
i pericoli relativi a trasformazioni repentine e violente, gli eventi delle rivoluzioni
che sconvolgono la vita della comunità. Inoltre, la forma mista di governo
dovrebbe consentire la selezione dei migliori, di coloro che possono governare in
rappresentanza di tutti, garantendo la libertà e l’uguaglianza.

• Aristotele offre un discorso sulla democrazia come forma di governo misto nel
senso specificamente binario, per cui la funzione dell’espressione politica dei
poteri media le parti diverse della città, che pure sono in conflitto tra di loro. La
mése o mikté politeía diventerà per la teoria politica - fino ai giorni nostri - il
modello della democrazia che si articola intorno ai ceti mezzani al fine di portare a
mediazione i rapporti conflittuali tra le parti della città.
Aristotele – La Politica
la politìa e le forme di governo: la mikté politeia

• Su questi temi risultano utili le considerazioni critiche di Paolo Accattino (svolte in


L’anatomia della città nella Politica di Aristotele, Torino, Tirrenia Stampatori, 1986).
Egli individua e analizza con cura il tema aristotelico delle parti della città che cercano
tramite il mezzo politico di sciogliere i conflitti che lacerano la comunità.
• Scrive Accattino: “Sembra di poter concludere che la comunità politica formata dai
mésoi, la mésè politeía, è un modello proponibile alla maggioranza delle città, al quale
esse possono approssimarsi nella misura in cui e a condizione che la maggioranza
della città esibisca al proprio interno un gruppo di mediamente abbienti in grado di
influenzare in modo più o meno grande l’esito costituzionale. … A questo punto è
legittimo chiedersi se Aristotele non pensi alla mésè politeía come ad un regime che è
sì quello sostenuto dai mésoi, ma che è fattibile anche senza la presenza fisica dei
mésoi in seno alla città, per cui resta un modello proponibile alla maggioranza delle
città nonostante che l’esiguità della parte mediana sia il caso più frequente”(p. 95).
•  
Aristotele – La Politica
la politìa e le forme di governo: la mikté politeia

• In tal senso, sembra quasi che questo non sia l’Aristotele che mette insieme
politica, morale ed economia.

• Scrive ancora Accattino: “Alla fine Aristotele deve essersi reso conto che le parti
della città che in ultima analisi determinano nella stragrande maggioranza delle
città l’esito costituzionale, sono i gruppi caratterizzati da differenze di ordine
economico e che una costituzione buona è fattibile anche senza un appello diretto
ai virtuosi come gruppo”. Si tratterebbe, in sostanza, di evitare che i conflitti che
sono pure vivi nella città vengano neutralizzati; piuttosto, se si riesce a trovare la
via del mezzo si può forse portare al governo i migliori, i più competenti. Se così è,
tuttavia, appare evidente che la democrazia si dà subito in un rapporto particolare
con l’aristocrazia. Anche nel governo democratico - ieri come oggi - solo una parte
della città, quella dei virtuosi, sarebbe chiamata a governare. Esisterebbe quindi
un legame forte e stretto tra espressione aristocratica e democrazia, anche nella
sua forma più moderna, quella elettiva.  
Aristotele – La Politica
Polibio e il modello ternario
• Il discorso di Aristotele viene recepito, con successive articolazioni nei secoli, da
Polibio e Tommaso s’Aquino, in particolare per quel che riguarda la consistenza e
qualità del corpo politico come corpo organico. La politica deve fare riferimento a
quei principi che governano la fisica e i soggetti.
• In età romana, Polibio vuole dimostrare quali siano stati gli strumenti con cui i
Romani abbiano reso concreta, in un cinquantennio, una pratica di conquista che li
ha resi “padroni del mondo”. Il perno del discorso è proprio quello sulla migliore
costituzione, discorso che richiama direttamente Aristotele.
• Per Polibio esistono sei forme di governo possibili, tre buone e tre cattive in cui le
buone necessariamente devono degenerare:

• 1.Monarchia, ereditaria ma che diventa elettiva per l'incapacità dei successori.


• 2.Tirannide (degenerazione della monarchia).
• 3.Aristocrazia.
• 4.Oligarchia (degenerazione dell'aristocrazia).
• 5. Democrazia.
• 6.Oclocrazia (oclox = folla; è un termine solo di Polibio; degenerazione della democrazia). Polibio considera
la democrazia come la forma positiva del governo della maggioranza e contestualizza le forme di governo
in una ciclicità temporale immutabile: l’anacyclosis.
Aristotele – La Politica
Polibio e il modello ternario
• Cosa cambia da Aristotele a Polibio? Innazitutto non si parla più di politìa ma di
democrazia come governo della maggioranza. Poi, la composizione ciclica delle
forme di governo nel tempo. P

• olibio mette in evidenza che esiste, però, un particolare tipo di costituzione, detto
costituzione mista, che è riuscita a racchiudere in se le tre fasi positive, conviventi
insieme. Solo due stati al mondo, la Sparta di Licurgo e Roma, hanno adottato
questa costituzione, nella quale la monarchia è rappresentata dai due consoli
(monarchia in quanto ciascuno dei due può esercitare il diritto di veto e bloccare le
decisioni), l'aristocrazia dal senato e la democrazia dai tribuni della plebe, che
garantiscono la presenza del popolo al governo della città. In particolare, Roma è
riuscita a dare una risposta a quell’esigenza di interessi e di bisogni della
maggioranza.

• Da Polibio in poi, la forma del governo misto, intesa come forma migliore di
governo, è quella che riesce ad accordare la presa di decisione politica che proviene
dai pochi e dai molti, dalla funzione deliberativa e dalla funzione esecutiva.

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