Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
La lettura critica della sua opera (Le Storie) consente di rilevare una sorta di
bilanciamento tra la prospettiva etnocentrica e la prospettiva del
relativismo culturale, che rappresenta il leitmotiv dell’intera opera erodotea
incentrato sul nomos (costume) “sovrano di tutte le cose” privando di senso la
questione di quale sia il costume migliore in quanto intrinseco alla scelta
degli individui che adottano i costumi della propria cultura.
PLATONE
Platone anticipa di oltre duemila anni la Teoria scientifica
della cultura con cui si identificherà l’antropologia
culturale del ‘900 (cfr. sul punto Malinowsky), definendo il
nesso indissolubile tra politica e filosofia, e quindi l’unità
della polis come strettamente connessa alla conoscenza.
Uno Stato perfetto (per quanto virtuoso e giusto possa essere) non può durare per
sempre perché resta comunque esposto a possibili forme di degenerazione tipiche del
comportamento umano, in quanto prodotto umano esso stesso (cfr. sul punto lo stato
come costruzione sociale, in riferimento alla Teoria dei sistemi sociali). Ciò a
prescindere dal livello di giustizia e dalla forma di costituzione politica: timocratica,
oligarchica, democratica, tirannica.
Per Platone, la giustizia può realizzarsi all’interno di uno Stato solo se ogni
individuo svolge l’attività che corrisponde alle sue predisposizioni naturali,
realizzandosi come ordine interiore che informa e sostiene le personali attitudini e
vocazioni coordinandole con quelle di altri individui appartenenti a quella determinata
comunità.
Il rispetto per la particolare abilità, propria di ciascuno, è fondamentale al punto
da costituire il nucleo primo della giustizia.
Note terminologiche di approfondimento
TIMOCRAZIA: Forma costituzionale in cui i diritti e i doveri dei cittadini sono stabiliti in proporzione al
censo; un esempio ne fu, in Grecia, la costituzione di Solone.
OLIGARCHIA: Regime politico o amministrativo caratterizzato dalla concentrazione del potere effettivo
nelle mani di una minoranza per lo più operante a proprio vantaggio e generalmente non in linea con gli
interessi della maggioranza.
DEMOCRAZIA: Forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo. La democrazia ateniese si
costituisce come una forma di governo “dei molti” e non riguarda semplicemente un mezzo attraverso cui
prendere decisioni, ma di un vero e proprio valore politico.
Egli sostiene inoltre che la polis non deve soltanto garantire la vita della comunità
ma anche il benessere dei cittadini, in termini di felicità.
Non può sussistere il benessere senza virtù, è appunto per tali ragioni che ai portatori di
techne e, ad altri gruppi subordinati dediti al lavoro fisico, non sono riconosciuti i diritti
politici che, di contro, sono attribuiti ai politici; in quanto individui capaci di praticare,
accrescere e alimentare le virtù.
CICERONE
La civiltà romana pre-repubblicana, anche se con peculiarità differenti, presenta in diversi tratti
analogie politiche significative rispetto a quella ateniese.
Tra i classici del pensiero antico, se Aristotele rappresenta la fonte primaria di conoscenze
sull’organizzazione sociale e politica di Atene, Cicerone, grazie alla sua opera De Republica,
rappresenta la fonte principale del pensiero politico e sociale di Roma. Egli, infatti, descrive
ampiamente la vita, le funzioni e lo status dei cittadini che non è assolutamente egualitario ma
connesso alle differenze fisiche, etniche, sociali e soprattutto determinato dal censo (census).
L’intera organizzazione sociale si basa quindi (come quella ateniese) sulla gerarchia del censo: dal
reclutamento dell’esercito all’accesso alle magistrature, dall’imposizione dei tributi
all’organizzazione delle assemblee politiche.
Una segmentazione del sistema censitario che si traduce in termini di eguaglianza proporzionale o
geometrica e che regola la vita civica e l’organizzazione politico-sociale ai vari livelli: militare,
fiscale e finanziaria, deliberativa ed elettorale.
MACHIAVELLI
A Machiavelli si deve la paternità del concetto di stato grazie all’opera
Il Principe del 1513 (che convenzionalmente in Filosofia politica segna
l’avvio dell’età moderna) a cui si associa una idea di stato come “sistema
politico”, ossia l’organizzazione sociale di una comunità regolata da
un ordinamento politico.
La verità effettuale non può essere assunta a facoltà edificatrice di un ordine obiettivamente
dato, o come modo per giungere alla conoscenza di una verità valida da sé e tanto meno come
virtù della logica che si realizza nell’esattezza del calcolo scientifico.
La verità effettuale, inoltre, non ha a che vedere né con una forma di ragione dipendente da un
fondamento trascendente dell’esistenza, né con una forma di ragione dedotta da processi
analitici.
Il realismo della verità effettuale emerge come una forma della “ragionevolezza”; si tratta, in
altri termini, di una dimensione dianoetica che nasce e si alimenta solo ed esclusivamente
attraverso relazioni sociali e rapporti di “natura dialettica”.
HOBBES
Nell’Inghilterra del Seicento, sulla scia dell’indagine materialistico-
meccanicistica che s’avvia con Cartesio e procede con Galilei fino a Bacone
nasce, con Hobbes, un nuovo approccio metodologico il cui tentativo è quello di
edificare una filosofia su basi rigorose e razionali e di fornire un fondamento
alla conflittualità istintiva e generalizzata delle relazioni umane in assenza di
un potere comune a cui tutti sono assoggettati.
La filosofia, per Hobbes, è scienza dei corpi che ne indaga le cause e le proprietà,
ed essendo i corpi: naturali inanimati, naturali animati oppure artificiali, questa si
pone come scienza del corpo in generale, come scienza dell’uomo, oppure come
scienza dello Stato (corpi artificiali).
HOBBES: bellum omnium contra omnes
Nel pensiero di Hobbes assume centralità la naturale inclinazione degli esseri umani a perseguire
interessi personali, un’inclinazione che in qualche modo deve essere governata da un’autorità per
stabilire pace e sicurezza. Quest’ordine, giusto e legittimo, può essere stabilito attraverso
l’accettazione da parte di tutti gli uomini di un contratto: il “patto sociale”.
Per Hobbes l’uomo non è un “animale politico” e sebbene l’esigenza dell’altrui sostegno
evidenzia un carattere di necessità, è da escludere l’esistenza di una qualche forma di
benevolenza disincantata per i propri simili; le forme di aggregazione sociale (a qualsiasi titolo
e livello) si generano soltanto dal timore, dalla preoccupazione e dal bisogno reciproco, non dalla
benevolenza.
Hobbes afferma che l’uomo, nello stato di natura, è dominato dall’istinto, dalla passione e
dall’egoismo. Il ricorso all’espressione homo homini lupus serve a descrivere la presenza,
nell’essere umano primitivo, di una bestia che, seppur dotata di ragione, è succube dei suoi
istinti e teme il suo prossimo con la stessa intensità con la quale brama la sua eliminazione ai
fini della sopravvivenza.
Per Hobbes la socialità non è un presupposto, ma solo una conseguenza della legittimazione di
un potere politico comune, senza il Leviatano non possono esistere relazioni sociali.
SPINOZA
La filosofia politica di Hobbes esercita un’evidente influenza anche nel pensiero di
Spinoza. Tuttavia, nel ragionamento di Spinoza l’antropologia assume rilievo in due fasi
differenti della sua elaborazione teorica.
Nel primo Spinoza, l’antropologia è un problema e lo è per ragioni che sono esse stesse
antropologiche; in particolare, egli contesta il principio antropologico che ha
caratterizzato il pensiero europeo da Aristotele in poi, ossia la concezione dell’uomo
come una sostanza, in quanto si tratta di una assunzione che eccede i limiti dello stesso
modello cartesiano.
Nella seconda fase, Spinoza rielabora il concetto di sostanza affermando invece che le
scienze umane si collocano nell’alveo di un sapere che vede l’uomo come polo
d’interesse, ossia come insieme delle azioni e delle attività comunicative che sono
fondamentali per la realizzazione di quella felicità alla quale egli può ragionevolmente
aspirare.
LOCKE
Contrariamente a Hobbes, la visione antropologica di Locke non implica
necessariamente un assoggettamento da parte degli uomini, non c’è pessimismo
nella filosofia di Locke perché lo stato di natura rappresenta il regno della
libertà e della legge naturale.
C’è libertà piena ma c’è anche la legge nello stato di natura di Locke. Lo Stato
nasce per amministrare la giustizia e per esercitare il potere esecutivo della
legge di natura (al di sopra delle parti in causa e nel loro interesse).
ILLUMINISMO ANTROPOLOGICO
Nota:
Con Herder e successivamente con Hegel, tuttavia, la componente filosofica continua a
rappresentare un elemento fondante del discorso antropologico sia nella forma
descrittiva, quando cerca di spiegare ciò che l’uomo è, sia nella forma prescrittiva,
quando cerca di designare ciò che l’uomo dovrebbe essere, perché … ogni discorso
sull’uomo è anche un discorso filosofico.
MONTESQUIEU
Durante il suo lungo soggiorno a Parigi, Smith viene in contatto con alcune
delle menti più brillanti dell’epoca, si tratta degli enciclopedisti D’Alembert,
Voltaire e Rousseau e degli economisti fisiocratici François Quesnay e Anne
Robert Jacques Turgot, i cui studi sono orientati a dimostrare che i processi
socio-economici, al pari di tutte le altre attività umane, hanno un carattere
naturale atto a garantire esiti positivi, indipendenti da interventi esterni
dell’uomo, delle istituzioni e dunque dello Stato.
SMITH: INDIVIDUO, SOCIETÀ, CAPITALISMO
La matrice antropologica del suo pensiero permane, infatti, anche nella descrizione del mondo
moderno della produzione e di ciò che rappresenta per la posizione dell’individuo, per
l’esistenza umana e per l’organizzazione sociale.
Nella sua Theory of Moral Sentiments, l’uomo è non solo naturalmente dotato per vivere in
società, ma i sistemi di relazioni che egli avvia come individuo nel contesto sociale
rappresentano il presupposto per una società prosperosa e progressiva.
Smith insiste sulla funzione progressiva del nuovo Stato sociale e analizza il comportamento e
la circolarità delle relazioni tra individuo e società nell’inedito contesto del capitalismo. In
particolare egli descrive un universo in cui l’energia e il dinamismo degli individui non solo
avviano un processo di emancipazione dai vecchi rapporti personali radicati nella struttura
gerarchica della società premoderna, ma determinano altresì processi di potenziamento e
valorizzazione utili all’organizzazione sociale e con ricadute positive su tutti gli individui che
vi appartengono.
SMITH: LA RICCHEZZA DELLE NAZIONI
Con la pubblicazione dell’opera La Ricchezza delle nazioni (1776), che
convenzionalmente viene fatta coincidere con la nascita dell’economia, Smith pone al
centro dell’attenzione il rapporto tra attività individuali, allargamento del
mercato e crescita economica.
Nelle città in cui il sistema di relazioni economiche è basato sullo scambio tra capitale
e lavoro le dinamiche socio-economiche che si sviluppano, producono un incremento
della ricchezza materiale; i lavoratori sono «in generale operosi, sobri e prosperosi,
come in molte città inglesi e nella maggioranza delle città olandesi» e maggiormente
favoriti da processi di emancipazione. Essi, attraverso lo sgretolamento delle
tradizionali forme di subordinazione, apprendono un nuovo modo di vivere in libertà,
grazie soprattutto ai risultati del loro lavoro, e divengono attori del loro destino
sociale.
KANT
La Wealth di Smith è fonte di ispirazione anche per Kant quando
afferma:
Con la sua opera si realizza, in un certo senso, la piena affermazione dell’antropologia filosofica
ereditata dai classici (in particolare da Platone e Aristotele).
«Non si può guardare che con meraviglia al fatto che, circa cinquemila anni addietro, una parte
dell’umanità abbia raggiunto la civiltà. A rigore, soltanto due famiglie del genere umano, quella
semitica e quella ariana, ottennero questo risultato senza alcun aiuto esterno in forza di un
processo autonomo di sviluppo. La famiglia ariana, in particolare, rappresenta la corrente
centrale del progresso umano, perché produsse il tipo più alto di umanità, e perché dimostrò la
sua intrinseca superiorità, assumendo gradualmente il controllo della Terra».
Una chiara ma ingenua affermazione di matrice etnocentrica che colloca il pensiero di Morgan in
una dimensione ideologica rischiosa e che più tardi, con i totalitarismi del Novecento, avrebbe
prodotto esiti nefasti in Europa e nel mondo.
evoluzionismo … eurocentrismo
Morgan chiarisce, successivamente, che lo stadio evolutivo è determinato dall’organizzazione
sociale del lavoro, dal progresso tecnologico (ad esempio le invenzioni) e dal grado di
sviluppo delle tecniche di sussistenza (es. caccia e pesca).
Si tratta di uno schema interpretativo della filosofia moderna che attraverso il cammino e il
progresso dell’umanità, attraverso le grandi scoperte, le invenzioni tecniche e tecnologiche,
celebra la cultura e la civiltà europea.
In quest’ottica, è facile osservare la relazione che intercorre tra etnocentrismo, che postula la
centralità delle categorie del gruppo etnico di appartenenza, con eurocentrismo, che postula la
superiorità culturale, ovvero razziale, dell’homo europaeus.
L’eurocentrismo si sviluppa infatti come modo di osservare, studiare e trattare gli altri popoli
avendo come metro di paragone l’Europa e la sua cultura.
Il marxismo e le sue influenze
La teoria “unilineare” di Morgan, che metodologicamente si caratterizza come
“evoluzionismo deterministico”, assume che la discendenza è il principio grazie al
quale le caratteristiche delle singole culture possono essere generalizzate in
corrispondenza dei diversi stadi dello sviluppo socioculturale.
In altri termini, tutte le culture rivelano nella loro evoluzione stadi e gradi di sviluppo
analoghi, che dipendono dalla discendenza, ovvero dall’insieme di legami sociali tra un
individuo e i suoi antenati che definiscono il gruppo di parentela, ma anche i diritti e
doveri associati.
Il modello teorico di Morgan, non a caso, è destinato a influenzare, con l’aiuto di
Engels, la costruzione ideologica del marxismo non solo in senso evoluzionista ma
anche etnoantropologico.