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LO STATO COME ORGANIZZAZIONE SOCIALE

I modelli antropologici della Filosofia politica

Prof. Gianpasquale Preite


Corso di Filosofia politica A.A. 2020/2021
Università del Salento
STATO E ORGANIZZAZIONE SOCIALE
 L’origine dello Stato è una questione che si inquadra nei grandi temi
del pensiero politico e, sebbene dal punto di vista storico e filosofico-
politico venga fatta coincidere con l’Età Moderna, e quindi con il
cosiddetto passaggio dallo “stato di natura” allo “stato civile”, è pur
vero che, a partire dalla fine dell’Ottocento, tale concezione viene
messa in crisi.

 Questo modulo di Filosofia politica si propone di indagare lo stato


come organizzazione sociale, la cui origine ed evoluzione è letta
attraverso la lente dei modelli antropologici della filosofia politica.
IL METODO
 Il percorso metodologico che qui si propone assume una trasversalità temporale che
risale fino all’Età Classica, rintracciabile nell’osservazione e nell’analisi delle comunità
sociali, delle idee e dei comportamenti espressi in tempi e luoghi differenti. Si tratta,
com’è noto, di un campo di indagine che ha una forte valenza per la comprensione dei
presupposti che caratterizzano la varietà e la differenziazione dei comportamenti umani,
una rilevanza analitica che emerge non solo sul piano socio-culturale, ma anche sul
piano politico ed economico.
 In altri termini, le forme di stato sono osservate e studiate come entità sociali, politiche
e istituzionali, un approccio che permette di comprendere, sul piano antropologico,
appunto, che i fenomeni politici non sono distinti dalla cultura dei popoli, dalle
dinamiche sociali e dalle forme di scambio, perché sono proprio l’economia, la
religione, la famiglia, ecc. le istituzioni attorno a cui gravitano le organizzazioni e
attraverso cui il potere sempre si manifesta.
I PRODROMI
 Dal Terzo al Primo millennio a.C. si registra un salto evolutivo fondamentale per il processo di
costruzione delle forme di organizzazione politica e sociale della civiltà europea. Si tratta di
un’epoca in cui si afferma una nuova civiltà caratterizzata dalla contemporanea presenza di
culture differenti (soprattutto tra Nord e Sud), ma che tuttavia evidenzia affinità sotto il profilo
economico e commerciale ed in particolare nelle modalità di accumulazione della ricchezza,
che in maniera generalizzata sono basate sul metallo.
 Piccoli gruppi umani (a struttura di parentela e di lignaggio) si trasformano in tribù,
ossia in organizzazioni sociali più vaste organizzate anche politicamente.
 Queste forme di organizzazione sociale rappresentano un primo modello di comunità pre-
urbana che prosegue il suo percorso evolutivo con il rafforzamento delle relazioni personali di
dipendenza clientelare, una caratteristica che con il tempo assume valenza storico-politica nelle
dinamiche che portano alla formazione prima delle città-stato etrusche e, successivamente, di
quelle romane.
ERODOTO
 Questo percorso s’avvia con Le Storie di Erodoto (V Secolo a.C.), testimonianza dei suoi articolati
viaggi nell’area mediterranea, in Europa, Asia e Africa. Si tratta di descrizioni analitiche sulle
popolazioni, che anticipano, di fatto, il metodo comparativo delle scienze sociali (come
l’antropologia sociale e l’antropologia politica), anche se i legittimi precursori dell’antropologia politica
e culturale sono in realtà Platone e Aristotele che indagano sul mondo dei bisogni e sul loro
soddisfacimento.
 Erodoto raccoglie e sistematizza una rimarchevole quantità di dati e informazioni sulla vita, i costumi e
le credenze di numerosi popoli, e fornisce una descrizione sulla storia del mondo antico ampia e
profonda
ERODOTO: ETNOCENTRISMO E RELATIVISMO
 CULTURALE
L’antropologia moderna deve a Erodoto i concetti fondamentali di etnocentrismo e di relativismo
culturale.
1. La prospettiva etnocentrica è basata sulla tesi della centralità e superiorità della propria
cultura. Un approccio che sopravvive per molti secoli e che solo nel Novecento inoltrato è
pesantemente criticato dalla cosiddetta antropologia culturale perché assimilato ad una sorta di
«cannibalismo intellettuale» che si basa sul pregiudizio secondo cui al di fuori della propria
cultura non ci sarebbe che la barbarie (sul punto cfr. l’imperialismo, il colonialismo, il razzismo,
il nazionalismo).
2. Il relativismo culturale nasce in contrapposizione con l’etnocentrismo e consiste nel
considerare l’uguaglianza nella differenza attraverso una modalità di confronto con la
variabilità e la molteplicità di usi, costumi, culture e lingue. Di fronte alla molteplicità
l’approccio relativistico si pone in maniera comparativa, inclusiva e di condivisione che tende a
riconoscere le ragioni della differenza (sul punto cfr. ad esempio il sistema politico e le
dinamiche del potere in relazione al cosiddetto soft power come contrapposto all’hard power).
ERODOTO: IL COSTUME NELLE DIFFERENTI CULTURE

 Per quanto riguarda la prospettiva comparativa, Erodoto rappresenta un dei


più autorevoli esempi. Egli propone delle riflessioni sulla pluralità e le
differenze tra stili di vita, ideologie e culture.

 La lettura critica della sua opera (Le Storie) consente di rilevare una sorta di
bilanciamento tra la prospettiva etnocentrica e la prospettiva del
relativismo culturale, che rappresenta il leitmotiv dell’intera opera erodotea
incentrato sul nomos (costume) “sovrano di tutte le cose” privando di senso la
questione di quale sia il costume migliore in quanto intrinseco alla scelta
degli individui che adottano i costumi della propria cultura.
PLATONE
 Platone anticipa di oltre duemila anni la Teoria scientifica
della cultura con cui si identificherà l’antropologia
culturale del ‘900 (cfr. sul punto Malinowsky), definendo il
nesso indissolubile tra politica e filosofia, e quindi l’unità
della polis come strettamente connessa alla conoscenza.

 Lo stato platonico è infatti uno “stato di ragione”, dove


la politica rappresenta l’attività volta a garantire il
comando del razionale cui l’irrazionale deve essere
sottomesso.
PLATONE: LA REPUBBLICA
 Nel Libro Secondo della Repubblica, Platone afferma che uno Stato nasce perché
ciascuno di noi non basta a se stesso, ma ha molti bisogni e tra questi, quello
principale è costituito dal nutrimento, il secondo dall’abitazione, il terzo dal vestito. Il
vero e sano Stato, Città-Stato (polis), è quello in cui ognuno si dedica ad una sola arte
secondo la propria naturale inclinazione.
 Quando, all’interno di uno Stato, si diffondono attività non direttamente
riconducibili al soddisfacimento di bisogni fondamentali, si creano le condizioni
favorevoli per l’ingiustizia e per la generazione di forme distopiche di abuso del potere
e della forza, come nel processo di espansione territoriale (configurabili come
aggressione e guerra contro altri Stati, a cui si associa la necessità di dotarsi di eserciti
per «offendere» e al tempo stesso difendere la comunità e il territorio).
PLATONE: STATO, GIUSTIZIA E RUOLO DELL’INDIVIDUO

 Uno Stato perfetto (per quanto virtuoso e giusto possa essere) non può durare per
sempre perché resta comunque esposto a possibili forme di degenerazione tipiche del
comportamento umano, in quanto prodotto umano esso stesso (cfr. sul punto lo stato
come costruzione sociale, in riferimento alla Teoria dei sistemi sociali). Ciò a
prescindere dal livello di giustizia e dalla forma di costituzione politica: timocratica,
oligarchica, democratica, tirannica.
 Per Platone, la giustizia può realizzarsi all’interno di uno Stato solo se ogni
individuo svolge l’attività che corrisponde alle sue predisposizioni naturali,
realizzandosi come ordine interiore che informa e sostiene le personali attitudini e
vocazioni coordinandole con quelle di altri individui appartenenti a quella determinata
comunità.
 Il rispetto per la particolare abilità, propria di ciascuno, è fondamentale al punto
da costituire il nucleo primo della giustizia.
Note terminologiche di approfondimento
 TIMOCRAZIA: Forma costituzionale in cui i diritti e i doveri dei cittadini sono stabiliti in proporzione al
censo; un esempio ne fu, in Grecia, la costituzione di Solone.

 OLIGARCHIA: Regime politico o amministrativo caratterizzato dalla concentrazione del potere effettivo
nelle mani di una minoranza per lo più operante a proprio vantaggio e generalmente non in linea con gli
interessi della maggioranza.

 DEMOCRAZIA: Forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo. La democrazia ateniese si
costituisce come una forma di governo “dei molti” e non riguarda semplicemente un mezzo attraverso cui
prendere decisioni, ma di un vero e proprio valore politico.

 TIRANNIDE: Regime politico fondato sull’esercizio dispotico dell'autorità (un'autorità arbitraria e


spesso violenta) e in contrasto con il normale vivere politico e civile perchè comprime la libertà, la
personalità, le naturali vocazioni e attitudini degli individui.
ARISTOTELE
 Per Aristotele l’uomo è un animale politico “per natura” (animale
sociale) il cui valore e la cui condotta si misurano esclusivamente in
ragione del vantaggio o del danno alla polis ed è per questo che egli
attribuisce all’educazione il compito principale di formare i cittadini
chiamati a concorrere allo sviluppo e al miglioramento delle istituzioni (cfr.
Il Libro Primo della Politica).
 Egli utilizza il termine antropologia come discorso sull’uomo, inteso non
come entità astratta, ma come realtà e varietà in cui si presenta nel mondo.
 Il pensiero aristotelico rappresenta, dunque, l’eredità che è alla base della
concezione unitaria di anthropos e ethnos nelle scienze umane e sociali,
creando le basi per un’antropologia politica che si afferma come disciplina
scientifica autonoma soltanto verso la metà del Novecento.
ARISTOTELE: LA REALIZZAZIONE DELLA POLITEIA

 A differenza di Platone, non attribuisce alla proliferazione delle attività la


degenerazione di uno Stato, bensì alla crescita smisurata della popolazione
che non consente l’applicazione di una congrua costituzione politica (cfr. sul
punto la teoria malthusiana: Malthus, 1798).

 Nel Libro Settimo(Politica), infatti, afferma che la condizione principale di


uno Stato ideale è quella in cui l’ordinamento politico impone un limite
massimo e un limite minimo alla popolazione; anche il limite inferiore,
dunque, assume rilevanza poiché un numero esiguo di cittadini non è
sufficiente a dare piena realizzazione alla politeia (che a sua volta richiede una
costituzione politica valida sul piano formale e sostanziale) e una forma della
cittadinanza valida sul piano normativo e della legittimità.
ARISTOTELE: EDUCAZIONE E BENESSERE
 Aristotele afferma: «nell’ordine naturale la città precede la famiglia e ciascuno di
noi». D’altronde, se per un verso la buona educazione degli uomini è una condizione
necessaria ma non sufficiente per migliorare le istituzioni, per un altro verso anche le
buone istituzioni sono una condizione necessaria ma non sufficiente per migliorare gli
uomini ed i loro costumi; in definitiva, rappresentano due fattori di un unico processo,
in cui il rapporto non può che essere interattivo e dialettico per il raggiungimento delle
stesse finalità.

 Egli sostiene inoltre che la polis non deve soltanto garantire la vita della comunità
ma anche il benessere dei cittadini, in termini di felicità.

 Non può sussistere il benessere senza virtù, è appunto per tali ragioni che ai portatori di
techne e, ad altri gruppi subordinati dediti al lavoro fisico, non sono riconosciuti i diritti
politici che, di contro, sono attribuiti ai politici; in quanto individui capaci di praticare,
accrescere e alimentare le virtù.
CICERONE
 La civiltà romana pre-repubblicana, anche se con peculiarità differenti, presenta in diversi tratti
analogie politiche significative rispetto a quella ateniese.
 Tra i classici del pensiero antico, se Aristotele rappresenta la fonte primaria di conoscenze
sull’organizzazione sociale e politica di Atene, Cicerone, grazie alla sua opera De Republica,
rappresenta la fonte principale del pensiero politico e sociale di Roma. Egli, infatti, descrive
ampiamente la vita, le funzioni e lo status dei cittadini che non è assolutamente egualitario ma
connesso alle differenze fisiche, etniche, sociali e soprattutto determinato dal censo (census).

 L’intera organizzazione sociale si basa quindi (come quella ateniese) sulla gerarchia del censo: dal
reclutamento dell’esercito all’accesso alle magistrature, dall’imposizione dei tributi
all’organizzazione delle assemblee politiche.

 Una segmentazione del sistema censitario che si traduce in termini di eguaglianza proporzionale o
geometrica e che regola la vita civica e l’organizzazione politico-sociale ai vari livelli: militare,
fiscale e finanziaria, deliberativa ed elettorale.
MACHIAVELLI
 A Machiavelli si deve la paternità del concetto di stato grazie all’opera
Il Principe del 1513 (che convenzionalmente in Filosofia politica segna
l’avvio dell’età moderna) a cui si associa una idea di stato come “sistema
politico”, ossia l’organizzazione sociale di una comunità regolata da
un ordinamento politico.

 Egli recupera la concezione aristotelica secondo cui il valore


dell’individuo e della sua condotta si misurano in ragione del vantaggio o
del danno alla polis, solo che per Machiavelli l’uomo non è per natura
“socievole”, piuttosto la sua natura è egoistica; occorre perciò
orientarla al vantaggio della città.

 Il Principe, in tal senso, rappresenta la descrizione di come pervenire con


ragionevolezza alla costruzione di questa possibilità.
MACHIAVELLI: VERITÀ EFFETTUALE DELLA COSA

 Questa concezione rappresenta, dunque, l’eredità a partire dalla quale l’antropologia


politica trova uno sviluppo autonomo.

 Il pensiero di Machiavelli, infatti, è permeato da una forte visione antropologica che


coinvolge la natura umana, il volere e l’azione sia degli individui che della collettività. Il
principe, dunque, segna una nuova epoca del pensiero politico e consacra l’adesione ad
un realismo generalizzato rispetto al quale interpretare anche la crisi dei valori
morali.

 L’appello alla “verità effettuale della cosa” e non all’“immaginazione di essa”,


contenuto nel capitolo XV, rappresenta l’evidente adesione di Machiavelli ad un
realismo politico che si sostanzia nel «riscontro del dato di esperienza con gli attuali
accadimenti, senza che nulla possa garantire una permanente corrispondenza o una
ripetuta verifica».
MACHIAVELLI: VERITÀ EFFETTUALE COME
RAGIONAVOLEZZA
 La verità effettuale non ha nulla a che vedere con l’immaginazione (propria della prassi
politica) e nemmeno con la razionalità.

 La verità effettuale non può essere assunta a facoltà edificatrice di un ordine obiettivamente
dato, o come modo per giungere alla conoscenza di una verità valida da sé e tanto meno come
virtù della logica che si realizza nell’esattezza del calcolo scientifico.

 La verità effettuale, inoltre, non ha a che vedere né con una forma di ragione dipendente da un
fondamento trascendente dell’esistenza, né con una forma di ragione dedotta da processi
analitici.

 Il realismo della verità effettuale emerge come una forma della “ragionevolezza”; si tratta, in
altri termini, di una dimensione dianoetica che nasce e si alimenta solo ed esclusivamente
attraverso relazioni sociali e rapporti di “natura dialettica”.
HOBBES
 Nell’Inghilterra del Seicento, sulla scia dell’indagine materialistico-
meccanicistica che s’avvia con Cartesio e procede con Galilei fino a Bacone
nasce, con Hobbes, un nuovo approccio metodologico il cui tentativo è quello di
edificare una filosofia su basi rigorose e razionali e di fornire un fondamento
alla conflittualità istintiva e generalizzata delle relazioni umane in assenza di
un potere comune a cui tutti sono assoggettati.

 La proposta antropologica di Hobbes risente del periodo in cui viene elaborata e si


colloca quale espressione di un’epoca in cui l’indagine e la conoscenza dei
fenomeni naturali «non era ancora stata integralmente appaltata alla scienza
empirica e in cui, comunque, si poteva ancora essere filosofi e scienziati».
HOBBES: RAZIONALITÀ CALCOLANTE
 Machiavelli e Hobbes condividono entrambi un approccio antropologico fondato
sulla concezione dualistica, solo che in Hobbes la “verità effettuale” di
Machiavelli diviene “razionalità calcolante”, che si traduce in obbligo di
ubbidienza ai comandi del sovrano e in riconoscimento dell’utilità di ubbidire
da parte di coloro che sono sottomessi al suo potere.

 Forte dell’eredità scientifica degli antichi, Hobbes si occupa in tutta la sua


produzione scientifica soltanto delle verità rigorosamente accertabili.

 La filosofia, per Hobbes, è scienza dei corpi che ne indaga le cause e le proprietà,
ed essendo i corpi: naturali inanimati, naturali animati oppure artificiali, questa si
pone come scienza del corpo in generale, come scienza dell’uomo, oppure come
scienza dello Stato (corpi artificiali).
HOBBES: bellum omnium contra omnes
 Nel pensiero di Hobbes assume centralità la naturale inclinazione degli esseri umani a perseguire
interessi personali, un’inclinazione che in qualche modo deve essere governata da un’autorità per
stabilire pace e sicurezza. Quest’ordine, giusto e legittimo, può essere stabilito attraverso
l’accettazione da parte di tutti gli uomini di un contratto: il “patto sociale”.

 Per Hobbes l’uomo non è un “animale politico” e sebbene l’esigenza dell’altrui sostegno
evidenzia un carattere di necessità, è da escludere l’esistenza di una qualche forma di
benevolenza disincantata per i propri simili; le forme di aggregazione sociale (a qualsiasi titolo
e livello) si generano soltanto dal timore, dalla preoccupazione e dal bisogno reciproco, non dalla
benevolenza.

 Sono le urgenze e le necessità materiali, la competizione e i mezzi strumentali alla conservazione,


che definiscono la forma dell’uguaglianza e della libertà dello stato di natura, ovvero quello che
Hobbes definisce bellum omnium contra omnes, per evidenziare il dominio della lotta
perenne di tutti contro tutti.
HOBBES: IL LEVIATANO
 Il Leviatano (1651) rappresenta l’opera principale di Hobbes. In quest’opera, l’indagine sulle
caratteristiche della natura umana è, tuttavia, lo snodo antropologico a partire dal quale prende
avvio la sua visione di Stato, e rappresenta, infatti, il tema cui è dedicato il Libro Primo.

 Hobbes afferma che l’uomo, nello stato di natura, è dominato dall’istinto, dalla passione e
dall’egoismo. Il ricorso all’espressione homo homini lupus serve a descrivere la presenza,
nell’essere umano primitivo, di una bestia che, seppur dotata di ragione, è succube dei suoi
istinti e teme il suo prossimo con la stessa intensità con la quale brama la sua eliminazione ai
fini della sopravvivenza.

 Per Hobbes la socialità non è un presupposto, ma solo una conseguenza della legittimazione di
un potere politico comune, senza il Leviatano non possono esistere relazioni sociali.
SPINOZA
 La filosofia politica di Hobbes esercita un’evidente influenza anche nel pensiero di
Spinoza. Tuttavia, nel ragionamento di Spinoza l’antropologia assume rilievo in due fasi
differenti della sua elaborazione teorica.
 Nel primo Spinoza, l’antropologia è un problema e lo è per ragioni che sono esse stesse
antropologiche; in particolare, egli contesta il principio antropologico che ha
caratterizzato il pensiero europeo da Aristotele in poi, ossia la concezione dell’uomo
come una sostanza, in quanto si tratta di una assunzione che eccede i limiti dello stesso
modello cartesiano.
 Nella seconda fase, Spinoza rielabora il concetto di sostanza affermando invece che le
scienze umane si collocano nell’alveo di un sapere che vede l’uomo come polo
d’interesse, ossia come insieme delle azioni e delle attività comunicative che sono
fondamentali per la realizzazione di quella felicità alla quale egli può ragionevolmente
aspirare.
LOCKE
 Contrariamente a Hobbes, la visione antropologica di Locke non implica
necessariamente un assoggettamento da parte degli uomini, non c’è pessimismo
nella filosofia di Locke perché lo stato di natura rappresenta il regno della
libertà e della legge naturale.

 In altri termini Locke ritiene che lo stato di natura rappresenti una


condizione ideale, un periodo di pace e benessere, in cui il contratto sociale si
rende necessario per garantire la durata delle conquiste (sociali e civili) e
dirimere i conflitti tra gli uomini.

 C’è libertà piena ma c’è anche la legge nello stato di natura di Locke. Lo Stato
nasce per amministrare la giustizia e per esercitare il potere esecutivo della
legge di natura (al di sopra delle parti in causa e nel loro interesse).
ILLUMINISMO ANTROPOLOGICO

 Il dibattito politico e antropologico del “secolo dei Lumi” assume una


dimensione meta-scientifica alimentata dal movimento culturale
dell’Illuminismo che promuove la razionalità e l’emancipazione
dell’uomo.

 Gli illuministi sono tutti accomunati da un approccio antimetafisico,


finalizzato ad abbattere ogni genere di assolutismo e deformazione
ideologica, attraverso l’impiego dell’analisi empirica, propria della
tradizione inglese. Il contesto storico-ambientale, le relazioni
interpersonali e le forme di organizzazione sociale, infatti, trovano
descrizione nella conoscenza fondata sui dati dell’esperienza.
ILLUMINISMO: ANTROPOLOGIA E FILOSOFIA
 In questo periodo si consolida l’esigenza di una teoria sociale capace di
descrivere l’uomo moderno attraverso un percorso di tipo analitico,
pragmatico e sperimentale.
 Questa linea di tendenza (in questo specifico percorso sui modelli
antropologici della Filosofia politica) è ampiamente rappresentata nei lavori
di Montesquieu, Smith, Kant, Rousseau, e Condorcet.

Nota:
Con Herder e successivamente con Hegel, tuttavia, la componente filosofica continua a
rappresentare un elemento fondante del discorso antropologico sia nella forma
descrittiva, quando cerca di spiegare ciò che l’uomo è, sia nella forma prescrittiva,
quando cerca di designare ciò che l’uomo dovrebbe essere, perché … ogni discorso
sull’uomo è anche un discorso filosofico.
MONTESQUIEU

 Il 1748 è un anno significativo per la storia dell’illuminismo


antropologico, perché Montesquieu, considerato uno dei
massimi esponenti dell’Illuminismo francese e del
liberalismo politico, pubblica l’Esprit des lois che, oltre a
essere la sua opera più importante, è anche definibile, nelle
parole di Norberto Bobbio, una teoria generale della società.
MONTESQUIEU: L’APPROCCIO ANTROPICO-
GEOGRAFICO
 L’intera produzione scientifica di Montesquieu è caratterizzata da una
concezione organica e storica della società, che si basa sull’osservazione
dei fatti reali e delle leggi che la governano come corpo avente vita propria
e che determina il passaggio dalla filosofia astratta all’impostazione
scientifica e storico-sociologica.

 Questa impostazione favorisce l’avvio di una ricerca empirica di tipo


antropico-geografico, che necessita di una grande quantità di dati e
informazioni per analizzare le leggi dell’evoluzione e dell’organizzazione
sociale, destinata ad evolvere verso l’interesse di natura scientifica per i
fenomeni politici.
MONTESQUIEU: SOCIALITÀ O SOCIEVOLEZZA?
 Le teorizzazioni di Montesquieu lo riportano alla conclusione aristotelica che l’uomo è un
animale sociale (per Aristotele: animale politico), non come conseguenza dell’esistenza di
una struttura sociale a lui sovrapposta, bensì per la sua essenza.
 Per Montesquieu, questa condizione naturale di tipo sociale è dominata da cinque leggi: la
pace, la ricerca dei mezzi di sussistenza, l’attrazione sessuale, la predisposizione naturale a
vivere in società, la tendenza di ogni creatura verso il proprio creatore.
 Le cinque leggi rispondono ad una sorta di purificazione che attraverso il raggiungimento di
una conoscenza libera da ogni residuo istintuale, consente di giungere al pieno equilibrio tra
le leggi naturali e le leggi dell’ordine cosmico; una condizione che consente di interpretare la
società (e l’organizzazione sociale) come un fenomeno naturale in cui i singoli, pur
procedendo nel rispetto della propria natura, ricreano sempre e comunque le condizioni per la
formazione dello Stato.
SMITH
 L’Illuminismo francese (ed in particolare dalla scuola fisiocratica) ha una
notevole influenza sul pensiero di Adam Smith.

 Durante il suo lungo soggiorno a Parigi, Smith viene in contatto con alcune
delle menti più brillanti dell’epoca, si tratta degli enciclopedisti D’Alembert,
Voltaire e Rousseau e degli economisti fisiocratici François Quesnay e Anne
Robert Jacques Turgot, i cui studi sono orientati a dimostrare che i processi
socio-economici, al pari di tutte le altre attività umane, hanno un carattere
naturale atto a garantire esiti positivi, indipendenti da interventi esterni
dell’uomo, delle istituzioni e dunque dello Stato.
SMITH: INDIVIDUO, SOCIETÀ, CAPITALISMO
 La matrice antropologica del suo pensiero permane, infatti, anche nella descrizione del mondo
moderno della produzione e di ciò che rappresenta per la posizione dell’individuo, per
l’esistenza umana e per l’organizzazione sociale.
 Nella sua Theory of Moral Sentiments, l’uomo è non solo naturalmente dotato per vivere in
società, ma i sistemi di relazioni che egli avvia come individuo nel contesto sociale
rappresentano il presupposto per una società prosperosa e progressiva.
 Smith insiste sulla funzione progressiva del nuovo Stato sociale e analizza il comportamento e
la circolarità delle relazioni tra individuo e società nell’inedito contesto del capitalismo. In
particolare egli descrive un universo in cui l’energia e il dinamismo degli individui non solo
avviano un processo di emancipazione dai vecchi rapporti personali radicati nella struttura
gerarchica della società premoderna, ma determinano altresì processi di potenziamento e
valorizzazione utili all’organizzazione sociale e con ricadute positive su tutti gli individui che
vi appartengono.
SMITH: LA RICCHEZZA DELLE NAZIONI
 Con la pubblicazione dell’opera La Ricchezza delle nazioni (1776), che
convenzionalmente viene fatta coincidere con la nascita dell’economia, Smith pone al
centro dell’attenzione il rapporto tra attività individuali, allargamento del
mercato e crescita economica.

 Nelle città in cui il sistema di relazioni economiche è basato sullo scambio tra capitale
e lavoro le dinamiche socio-economiche che si sviluppano, producono un incremento
della ricchezza materiale; i lavoratori sono «in generale operosi, sobri e prosperosi,
come in molte città inglesi e nella maggioranza delle città olandesi» e maggiormente
favoriti da processi di emancipazione. Essi, attraverso lo sgretolamento delle
tradizionali forme di subordinazione, apprendono un nuovo modo di vivere in libertà,
grazie soprattutto ai risultati del loro lavoro, e divengono attori del loro destino
sociale.
KANT
 La Wealth di Smith è fonte di ispirazione anche per Kant quando
afferma:

 “I singoli esseri umani ed anche i popoli interi pensano poco al


fatto che, mentre perseguono il proprio intento, ciascuno secondo
il proprio disegno e spesso l’un contro l’altro, precedono
inavvertitamente come seguendo un filo conduttore, secondo
l’intento della natura che è a loro stessi sconosciuto e lavorano
alla sua promozione, cosa di cui, anche se fosse loro nota,
importerebbe loro ben poco”.
KANT: ANTROPOLOGIA PRAGMATICA
 La prospettiva smithiana, circa l’attivazione provvidenziale del meccanismo economico della
“mano invisibile” e che si basa sulla libertà del perseguimento inconsapevole dell’egoistico
interesse ad opera dei “singoli esseri umani” rappresenta sul piano antropologico, per Kant, il
dispiegamento di alcuni presupposti che la natura ha impiantato nell’agente umano. In ragione di
ciò, nel pensiero kantiano l’antropologia rappresenta principalmente lo studio dell’uomo nel suo
contesto storico, in relazione alla specificità che la morale assume presso le popolazioni.

 Con la sua opera si realizza, in un certo senso, la piena affermazione dell’antropologia filosofica
ereditata dai classici (in particolare da Platone e Aristotele).

 La stretta connessione metodologica tra antropologia e filosofia è colta soprattutto quando


formula la distinzione tra “antropologia fisiologica” e “antropologia pragmatica”.
KANT: L’EDUCAZIONE TRA UMANITÀ E ANIMALITÀ

 Per Kant, il carattere dell’uomo non è costituito esclusivamente di umanità, ma anche di


animalità. Per questo motivo risulta fondamentale stabilire la prevalenza, nel rapporto
tra queste due componenti.
 Egli sostiene che il rovesciamento del rapporto tra animalità ed umanità è realizzabile
attraverso un graduale processo di educazione al bene.
 Anche se colui che è destinato ad educare l’uomo è l’uomo stesso in cui prevale una
forma di animalità, mitigata più che altro dalla disposizione naturale dell’uomo alla
ragione e che si realizza nella disposizione morale dell’uomo. Tale disposizione
consente il progresso dell’uomo verso una società civile universale che, sebbene
utopica, ha la funzione di principio regolativo da seguire «con perseveranza come
destinazione del genere umano, non senza fondato motivo per considerarlo una tendenza
naturale».
ROUSSEAU
 La prospettiva di Kant sul rapporto uomo-natura potrebbe risultare
antitetica a quella di Rousseau, il cui pensiero risulta comunemente
compendiato nella teoria secondo cui la natura umana contiene in sé
il germe del bene, mentre il pensiero di Kant è ravvisabile nella teoria
secondo cui la natura umana contiene in sé il germe del male.

 A questa riflessione, Rousseau aggiunge anche un’altra disposizione


naturale rappresentata dalla follia che «ha una parte ancora maggiore
della cattiveria nei tratti caratteristici della nostra specie».
ROUSSEAU: LA PROTESTA
 ROMANTICA
Sebbene al centro della prospettiva antropologica di Rousseau si trovi l’uomo naturale ed al
centro di quella di Kant l’uomo civilizzato, è ravvisabile una certa uniformità che risiede nel fatto
che per entrambi la natura umana comprende il bene e il male come parti della medesima forma.
 Inoltre, per Rousseau, una delle principali fonti di differenziazione è rinvenibile nel processo
educativo che può risultare, tuttavia, dannoso per la formazione morale:
 «Ai giovani si insegna di tutto fuorché l’arte di rafforzare il proprio giudizio, di ottemperare ai
propri doveri e di coltivare virtù quali la magnanimità, l’equità, la temperanza e l’umanità».
 La sua posizione si pone chiaramente in contrasto con gli illuministi di quel periodo, fiduciosi nel
progresso e nella civilizzazione. Difatti, l’opera di Rousseau rappresenta, all’interno
dell’Illuminismo, un momento di transizione in cui, anche se inizialmente emerge il richiamo alla
libertà tipico degli illuministi, si alza una protesta romantica contro la corrente illuministica.
EVOLUZIONISMO, MARXISMO E
SOCIETÀ
La scienza dell’uomo dell’800 indaga e spiega le comunità sociali come risultato del
progresso civile in termini evoluzionistici grazie all’apporto di correnti di pensiero
eterogenee:
 l’evoluzione superorganica di Spencer rappresenta la matrice filosofica
dell’evoluzionismo in termini di “progresso”.
 l’evoluzione organica di Lamark e Darwin, basa l’impianto teorico sulla nozione di
“trasformismo” delle specie attraverso il processo della “lotta per l’esistenza” e della
“selezione naturale”.
 l’evoluzione socioculturale di Morgan si caratterizza, invece, come “evoluzionismo
deterministico” secondo cui tutte le culture evolvono in base a processi che
dipendono dai legami di discendenza e di parentela. Questo modello, non a caso,
influenza la costruzione ideologica del marxismo promossa da Engels.
Darwin
 In un periodo di grande fermento scientifico, nell’Inghilterra
dell’Ottocento, Darwin si interroga sullo sviluppo della vita organica e in
modo particolare sull’esistenza di una diversità, variabilità, adattabilità
rispetto alla quale è possibile pervenire alla classificazione delle specie
animali e vegetali.

 La pubblicazione dell’opera L’origine della specie (1859) porta alla luce


una teoria secondo cui le specie si evolvono nella lotta per l’esistenza a
causa dell’intrecciarsi di due meccanismi: la selezione naturale e le
variazioni individuali.
Evoluzionismo darwiniano
 L’evoluzionismo antropologico di Darwin, sebbene diffusamente contestato dal
mondo scientifico e censurato dalle correnti etico-filosofiche, trova adesione in
una cerchia ristretta di intellettuali, tra cui Marx, Engels e Nietzsche,
interessati a spiegare il processo di demistificazione attraverso il quale l’uomo
e la sua soggettività non rappresentano il “centro della terra”.

 Il contrasto con la teoria creazionista, basata sull’idea dell’uomo creato come


essere perfetto, è evidente. Nell’evoluzione, infatti, non esiste alcuna forma di
progresso finalista e perfezionista perchè anche la specie umana è sottoposta
alla casualità dei meccanismi dell’evoluzione.
Evoluzione organica
 La selezione naturale, dunque, è applicata tanto ai mutamenti organici in termini di
vantaggio adattativo biologico, quanto ai mutamenti superorganici in termini di
vantaggio adattativo sociale, in entrambe le situazioni assume rilevanza il termine
“civilizzazione”, la cui accezione è comunque distante dal significato di “progresso”
spenceriano.
 Per Darwin, la “civilizzazione”, alla quale si associa il concetto di vantaggio, è
collegata alla variazione ereditaria degli istinti naturali e degli istinti appresi o
sociali.
 Gli istinti sociali, che hanno la prerogativa di essere vantaggiosi, si rafforzano nel
processo di civilizzazione, ma pur sempre sottostando alla legge della selezione naturale,
che indebolisce gli istinti naturali e rafforza quelli sociali, ovvero gli istinti che derivano
da comportamenti reiterati nel tempo, tradizioni e abitudini ereditarie che, a loro volta,
potenziano lo sviluppo del senso morale e consolidano il livello di civilizzazione.
Spencer
 La descrizione del principio evolutivo di Spencer parte dall’assunto che l’uomo è un
individuo tra molti individui, e che la sua evoluzione influenza e determina
l’evoluzione sociale, in termini di sviluppo, strutture, funzioni, prodotti; l’azione
individuale è la base dell’agire collettivo e delle relazioni tra gli individui. Il principio
della “sopravvivenza del più adatto” è identificato con il “progresso sociale”.
 Spencer introduce anche il concetto di sopravvivenza del più adatto, per indicare la lotta
concorrenziale tra gli individui. Un approccio accettato anche da Darwin perché gli
consente di chiarire al concetto cardine della sua teoria, ossia la “lotta per l’esistenza”.
 Spencer sostiene il laissez faire estremo, difende la libertà dell’individuo da ogni
interferenza statale e auspica un’aperta concorrenza che, portando all’eliminazione
anche fisica dei meno adatti e al successo dei più adatti, purifica la razza e migliora la
qualità della popolazione
Marx - Engels
 L’interesse di Marx ed Engels per l’antropologia evoluzionista, che emerge chiaramente
nel progetto filosofico di una “scienza naturale dell’uomo”, passa, all’inizio, in secondo
ordine rispetto ai temi che diventano centrali nelle loro successive riflessioni: “lavoro”,
“capitale” e “modi di produzione”.
 Tuttavia, le loro riflessioni sull’evoluzionismo e dunque sul rapporto tra uomo e natura,
si ripresentano molti anni dopo e si arricchiscono di un intenso scambio epistolare, che
inizia subito dopo la pubblicazione de L’origine delle specie di Darwin.
 Il 19 dicembre 1860 Marx scrive una lettera a Engels di commento al lavoro di Darwin,
in cui dichiara:
«Per quanto svolto grossolanamente all’inglese, ecco qui il libro che contiene i
fondamenti storico-naturali del nostro modo di vedere».
Marx versus Darwin
 Vi sono interessanti punti di contatto tra la teoria dell’evoluzione di Darwin e la
concezione materialistica della storia di Marx, sia in relazione ai cambiamenti della
natura (lotta per l’esistenza), sia in relazione alla società (lotta di classe).
 Il concetto di lotta, infatti, è un elemento comune a Darwin e Marx, ma con delle
differenze strutturali.
 Nella teoria di Darwin la lotta è la ragione dell’evoluzione naturale nella sua interezza
biologica e sociale, mentre nel pensiero di Marx la lotta rappresenta l’impulso della
storia sociale dell’uomo ed è separata dal mondo naturale; il materialismo storico
comporta, infatti, l’adesione all’idea di una natura sociale mutevole. Sono proprio
queste differenze la causa del progressivo allontanamento di Marx dall’impostazione
darwiniana.
Morgan
 La produzione antropologica di matrice evoluzionista della seconda metà
dell’Ottocento, in particolare nei lavori di Morgan, presenta valutazioni e
giudizi di valore dettati da presupposti di classe e edificati sull’esaltazione dei
ceti al potere sia monarchico, sia borghese.

 La tesi di Morgan consiste nel ritenere che l’idea di proprietà, strettamente


connessa ai sistemi normativi delle svariate forme di organizzazione sociale,
nasce con il bisogno dell’uomo di procacciarsi i mezzi di sostentamento e si
sviluppa gradualmente con il progredire delle invenzioni e delle scoperte.
La tesi di Morgan
La sua analisi, sul piano etnoantropologico, rivela chiaramente i propri limiti.

«Non si può guardare che con meraviglia al fatto che, circa cinquemila anni addietro, una parte
dell’umanità abbia raggiunto la civiltà. A rigore, soltanto due famiglie del genere umano, quella
semitica e quella ariana, ottennero questo risultato senza alcun aiuto esterno in forza di un
processo autonomo di sviluppo. La famiglia ariana, in particolare, rappresenta la corrente
centrale del progresso umano, perché produsse il tipo più alto di umanità, e perché dimostrò la
sua intrinseca superiorità, assumendo gradualmente il controllo della Terra».

Una chiara ma ingenua affermazione di matrice etnocentrica che colloca il pensiero di Morgan in
una dimensione ideologica rischiosa e che più tardi, con i totalitarismi del Novecento, avrebbe
prodotto esiti nefasti in Europa e nel mondo.
evoluzionismo … eurocentrismo
 Morgan chiarisce, successivamente, che lo stadio evolutivo è determinato dall’organizzazione
sociale del lavoro, dal progresso tecnologico (ad esempio le invenzioni) e dal grado di
sviluppo delle tecniche di sussistenza (es. caccia e pesca).
 Si tratta di uno schema interpretativo della filosofia moderna che attraverso il cammino e il
progresso dell’umanità, attraverso le grandi scoperte, le invenzioni tecniche e tecnologiche,
celebra la cultura e la civiltà europea.
 In quest’ottica, è facile osservare la relazione che intercorre tra etnocentrismo, che postula la
centralità delle categorie del gruppo etnico di appartenenza, con eurocentrismo, che postula la
superiorità culturale, ovvero razziale, dell’homo europaeus.
 L’eurocentrismo si sviluppa infatti come modo di osservare, studiare e trattare gli altri popoli
avendo come metro di paragone l’Europa e la sua cultura.
Il marxismo e le sue influenze
 La teoria “unilineare” di Morgan, che metodologicamente si caratterizza come
“evoluzionismo deterministico”, assume che la discendenza è il principio grazie al
quale le caratteristiche delle singole culture possono essere generalizzate in
corrispondenza dei diversi stadi dello sviluppo socioculturale.
 In altri termini, tutte le culture rivelano nella loro evoluzione stadi e gradi di sviluppo
analoghi, che dipendono dalla discendenza, ovvero dall’insieme di legami sociali tra un
individuo e i suoi antenati che definiscono il gruppo di parentela, ma anche i diritti e
doveri associati.
 Il modello teorico di Morgan, non a caso, è destinato a influenzare, con l’aiuto di
Engels, la costruzione ideologica del marxismo non solo in senso evoluzionista ma
anche etnoantropologico.

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