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IMPARARE LA DEMOCRAZIA

LE ORIGINI DELLA DEMOCRAZIA


La parola democrazia è spesso usata in modo rafforzativo e intensivo, ma anche estensivo, poiché
va spesso oltre il significato proprio, è un termine molto versatile che racchiude tutte le cose buone
e belle che riguardano la vita dello stato sociale. La democrazia ha inoltre assunto diverse
connotazione nel tempo.

Platone
Fin dall’antichità era stata associata a un governo della massa che ignora i suoi limiti in modo
egoista e quindi facile preda dei tiranni.

«[La democrazia] non si da alcun pensiero a quegli studi di cui bisogna attendere per prepararsi
alla vita politica, ma onora chiunque, per poco che si professi amico del popolo.»
(Platone, Repubblica, libro VIII)

Secondo Platone la democrazia è il regime in cui il popolo ama essere adulato, piuttosto che
educato. Per esempio la democrazia ateniese del V secolo era finita in oligarchia.
Infatti Platone delinea le leggi di uno stato che dovrà essere organizzato in modo da tener lontani sia
i rischi del dispotismo che quelli della democrazia, pur facendo ampio ricorso al principio della
elettività, e accettando anche la pratica del sorteggio, con particolari limitazioni che dovranno
assicurare le cariche supreme arrivino solo ai saggi. Questi nello scritto la Repubblica sono i filosofi
i quali potevano assumere direttamente il governo e contribuire all’unione comune della società
grazie alla loro saggezza. Anche se vi sono diverse forme di costituzione (monarchia, aristocrazia,
democrazia, tirannia e oligarchia) il vero politico è colui che è detentore dell’arte regia che intreccia
sapientemente il valore e la saggezza per far convergere le abilità degli uomini rendendoli
competenti, senza però incarnare la figura divina del «pastore di uomini».

«Non occorre perciò osservare altrove un modello di costituzione, ma attenersi a questo e cercare
di realizzare più che sia possibile uno che a esso gli somigli. » (Platone, Leggi, IV, 739e)

Platone delineò una società ideale, e più la società si fosse allontanata da questa, più sarebbe
peggiorata la condizione attuale dell’umanità.

Aristotele
In Aristotele si ritrovano due criteri in base alla distinzione delle costituzioni:
INTERESSE COMUNE

«È evidente quindi che quante costituzioni mirano all’interesse comune sono giuste in rapporto al
giusto in assoluto, quante, invece, mirano solo all’interesse personale dei capi sono sbagliate tutte
e rappresentano una deviazione dalle rette costituzioni; sono pervase da spirito di dispotismo,
mentre lo Stato è comunità di liberi. » (Politica, III (Γ), 6, 1279)

Aristotele arriva a questa conclusione considerando il rapporto: padrone-schiavo in cui l’autorità


viene esercitata nell’interesse del padrone; e il rapporto tra capofamiglia e famiglia, l’autorità viene
esercita nell’interesse sia del capofamiglia che dei famigliari. Invece nel rapporto governanti-
governati, dal momento che Stato per natura una comunità costituita nell’interesse comune,
l’autorità dev’essere esercitata nell’essere di governati.

LA DISTRIBUZIONE DEL POTERE


«sovrano sia o uno solo o pochi o molti. »
BENE PRIVATO

Tirannide Oligarchia Democrazia

UNO POCHI MOLTI

Regno Aristocrazia “politìa”

BENE COMUNE

Incrociando i due criteri Aristotele codifica sei costituzioni:


 il regno, cioè il governo di uno per il bene comune;
 l’aristocrazia, cioè il governo di pochi per il bene comune;
 la “politìa” (governo o costituzione democratica in greco) cioè il governo di molti per il
bene comune;
 la tirannide, cioè il governo di uno nel proprio interesse;
 l’oligarchia, cioè il governo di pochi nel proprio interesse;
 la democrazia, cioè il governo di molti nel proprio interesse.
Secondo Aristotele il sistema di governo preferibile è la “politìa”, una via di mezzo tra l’oligarchia e
la democrazia ed espressione della classe media, che preserva la posizione tra i molto ricchi e i
molto poveri.

Polibio e Cicerone
Ritenevano che per pervenire al bene collettivo fosse necessario un “governo misto” che avrebbe
dovuto fondere insieme i principi monarchici, aristocratici e democratici. Questo ordinamento era
regolato in modo tale che ad una sola forza politica o sociale, ovvero ad un unico principio
ideologico, fosse giuridicamente impedito di prevalere e d’intaccare il bene collettivo. Questa forma
di governo venne smentita da Erodoto con il dialogo tra i capi persiani, i tre interlocutori sono
Otane, Megabizo e Dario, rispettivamente difensori di democrazia, aristocrazia e monarchia. Nel
loro dialogo ciascuno a turno dava all’altro lo spunto per distruggere i propri argomenti.

Otane il democratico

«La mia opinione è che nessuno debba più diventare nostro sovrano: non è cosa né piacevole né
buona. […] Anche il migliore degli uomini essa [la monarchia] è in grado di spostare dalle sue
condizioni abituali, una volta che sia arrivato a un tale potere. Dai possessi che si trova ad avere
gli deriva infatti l’arroganza, mentre fin dall’inizio è insita nell’uomo l’invidia […]. Il sovrano non
dovrebbe avere invidia dal momento che possiede tutti i beni; invece, si comporta tutto al contrario
con i cittadini; prova invidia che i migliori siano e restino in vita, e si compiace dei peggiori,
pronto com’è ad accoglierne le calunnie.»

Megabizio l’oligarchico
« […] Quanto a conferire alla massa il potere, si allontana dall’opinione migliore: niente infatti è
più cieco e arrogante di una folla inetta, e non tollerabile che per sfuggire all’arroganza di un
sovrano gli uomini cadono in quella del popolo sfrenato. Il sovrano, infatti, se fa qualcosa la fa a
ragion veduta, il popolo la ragione non la possiede affatto. […] Noi invece scegliamo un gruppo
degli uomini migliori e affidiamo a questi il potere.»

Dario il monarca

«Niente può darsi di meglio di un uomo solo che sia ottimo: servendosi del senno che possiede è in
grado di guidare la massa in modo impeccabile […]. Nell’oligarchia invece tra quelli che
impiegano le loro qualità per il bene comune scoppiano spesso forti conflitti personali, perché
ognuno vuole essere e far prevalere le sue opinioni.»
(Erodoto, Storie, libro III, 80-82, traduzione di Guido Paduano)

Zagrebelsky
Per quanto riguarda Zagrebelsky egli riflette sull’origine e le diverse accezioni della democrazia e
fa notare come, dopo la sconfitta delle dittature totalitarie nessun partito (capitalista, socialista,
liberale, sociale) non rinunciava ad autoproclamarsi democratico, il concetto era sottoposto a una
tensione da perdere il significato ideale.
Nei paesi dove erano caduti i regimi totalitaristi antidemocratici la politica per il recente passato si
manifestava con la costruzione di un assetto costituzionale e sociale in cui alle decisioni collettive
potesse effettivamente, liberamente e responsabilmente prendere parte il popolo.
Un regime caratterizzato da tre elementi:
 l’effettività dei valori popolari,
 la libertà politica,
 la maturità politica.
Questi aspetti dovevano contribuire alla rivincita rispetto a un passato di semplice adesione al capo
(Führer, Duce).
Inoltre la democrazia è il regime politico aperto a tutti e dovrebbe avere la sua pedagogia, infatti
non dovrebbe essere marginale lo studio dell’educazione civica a scuola.

L’EDUCAZIONE SECONDO ARISTOTRELE

«Ora gli uomini diventano buoni e virtuosi col concorso di tre fattori e questi tre fattori sono la
natura, l’abitudine, la ragione. In primo luogo bisogna avere la natura qual è quella dell’uomo e
non di uno degli altri animali: poi bisogna avere una certa qualità nel corpo e nell’anima. Ma con
certe qualità non giova affatto nascerci, perché le abitudini le fanno mutare e in effetti talune
qualità, che per natura tendono in entrambe le direzioni, sotto la spinta dell’abitudine vanno verso
il peggio o verso il meglio. Ora gli altri animali vivono essenzialmente guidati da natura, taluni,
ma entro i limiti molto ristretti, anche dall’abitudine.»
(Politica, VII (H), 14, 1332a-b, in Opere, vol. IX, p.243)

Secondo Aristotele la massa non ubbidisce alla ragione ma può essere tenuta sotto controllo solo
con la punizione, perché i cittadini diventino buoni è necessario insistere sulle buone abitudini. Lo
stato quindi deve provvedere all’educazione dei cittadini. Poiché la ragione è espressione specifica
dell’uomo l’educazione deve mirare alla ragione, ma le abitudini possono precedere la ragione.
Si diventa buoni e virtuosi grazie a tre fattori: la natura, l’abitudine, la ragione. Prima vengono la
natura umana e le qualità, poi sono necessari le abitudini che orientano verso il meglio le qualità,
infine l’uomo possiede la ragione, che deve guidare il comportamento virtuoso.
Se lo stato educa in queste discipline in vista dello svago utile proprio dell’ozio e ci sono delle
discipline (a differenza della grammatica che serve scrivere o della ginnastica che serve per la salute
del corpo) che sono fini a se stesse. Ad esempio la musica non è necessaria, né utile: essa serve allo
svago nobile che c’è nell’ozio e conduca a quella forma di ricreazione che è propria degli uomini.
Alla luce della definizione di ozio Aristotele spiega che:
«Si devono ritenere ignobili tutte le opere, i mestieri, gli insegnamenti che rendono inadatti alle
opere e alle azioni della virtù il corpo o l’intelligenza degli uomini liberi. Perciò tutti i mestieri che
per loro natura rovinano la condizione del corpo li chiamiamo ignobili, come pure i lavori a
mercede, perché tolgono alla mente l’ozio e fanno gretta. »

L’educazione secondo Zagrebelsky è una virtù democratica poiché rende devoti alla cosa pubblica e
disponibili a destinare le proprie energie.

«Basterebbe metterla il movimento, all’inizio; poi le cose andrebbero da sé. Tutte le altre forme di
governo non godrebbero di questa fortuna davvero straordinaria di potersi autoalimentare
indefinitamente. » (Zagrabelsky, Imparare democrazia, p. 10)

Tanto più la democrazia cresce (per esempio acquisendo virtù con la diffusione dei diritti politici, e
innanzitutto quello di voto) tanto più lo spirito democratico si sviluppa e questo sviluppo fa
ulteriormente crescere la democrazia. Solo con le virtù si rende immune da pericoli di involuzioni
antidemocratiche.

I vizi e gli scandali della democrazia:


 «Guardiamoci attorno, si assiste impotenti al fenomeno dell’apatia politica, che coinvolge
spesso la metà circa degli aventi diritto al voto. Dal punto di vista dalla cultura politica,
costoro sono persone […] semplicemente disinteressate per quello che avviene, come si dice
in Italia, […] “nel palazzo”. » (Norberto Bobbio, Il futuro della democrazia)
L’indifferenza politica diffusa nelle nostre democrazie che porta a una scarsa partecipazione
o in modo egoistico;
 la diffusione crescente del voto di scambio, espressione di una “morale bassa e volgare”;
 l’impunità promessa per delitti commessi o il trattamento di favore, a seguito di condanne
penali da eseguire;
 la mobilitazione e l’eccitazione dei cittadini da chi ne ha la forza e l’interesse, chiamati ad
agire come eserciti contrapposti con slogan opposti, bene-male, amore-odio, verità-errore,
parole che sono germi totalitari;
 si assiste con impotenza allo sviluppo di una dimensione ormai planetaria delle
organizzazioni degli interessi degli industriali dell’odierno capitalismo, la democrazia su
trasforma in:
o videocrazia: conseguente alla crescente monopolizzazione a livello mondiale
dell’informazione;
o plutocrazia: la concentrazione del potere politico è nelle mani di pochi detentori di
smisurate ricchezze personali;
o cleptocrazia: quando le ricchezze sono frutto di attività illecite.

DIECI PUNTI DI RIFLESSIONE DELLA DEMOCRAZIA

1. La fede in qualcosa
«La democrazia e relativistica, non assolutistica. Essa, come istituzione d’insieme e come potere
che essa promana, non ha fedi o valori assoluti da difendere, ad eccezione di quelli su cui si basa. »
(Zagrabelsky, Imparare democrazia, p. 15)

C’è solo un piccolo nucleo di principi: il rispetto dell’uguale dignità di tutti gli esseri umani e i
diritti che ne conseguono e l’uguale partecipazione alla vita politica. Ma i fini e i valori sono da
considerare ralativi. Democrazia e dogma sono incompatibili. Solo in questo modo la democrazia,
non sposandosi a valori assoluti, che spesso sono imposti con forza e inganno, lascia che la società
esprima i propri valori.
Resta in ogni caso importante non vedere il relativismo come scetticismo o nichilismo, poiché se
“una cosa vale l’altra”, perché difendere una forma di governo rispetto all’altra, quindi è necessario
credere nella democrazia e impegnarci per scuotere apatia e ideali.

2. La cura delle personalità individuali


La democrazia è fondata sugli individui non sulla massa, le persone sono entità eterogenee e
originali.

«Credo sia più facile stabilire un governo assoluto e dispotico in un popolo dove le condizioni sono
eguali che in un altro, e penso che se un governo del genere fosse stabilito in un simile popolo,non
solo vi opprimerebbe gli uomini, ma alla lunga sottrarrebbe a ciascuno di loro parecchi dei
principali attributi dell’umanità. Il dispotismo mi sembra, dunque, particolarmente da temere nelle
età democratiche. » (Tocqueville, La democrazia in America, capitolo VII, p. 780)

La folla informe dove tutti sono uguali, non ha bisogno di democrazia ma può accontentarsi di
qualche demagogo che ne interpreta gli umori. Una democrazia senza qualità individuali apre la
strada a demagoghi e regimi totalitari che hanno bisogno di uomini-massa non di uomini-individui.
Inoltre bisogna vedere con preoccupazione il procedere delle società verso l’omologazione, (per
esempio consumi di massa, cultura di massa, divertimenti di massa) chi non si adegua nel migliore
dei casi per originale o nel peggiore uno spostato.

3. Lo spirito del dialogo


La democrazia è discussione, ragionare insieme. Chi, come coloro che si ritengono superiori agli
altri, odia il confronto delle idee, ma preferisce la sopraffazione (per esempio Mussolini disprezzava
le elezioni definendoli dei ‘ludi cartacei’ =giochi pubblici)

«Vi sono persone affatto incolte che amano spuntarla ad ogni costo, anche se nel costo di persistere
nell’errore e di trascinare altri con sé. Vi sono poi però anche coloro che passano il tempo nel
disputare il pro e il contro, e finiscono per credersi divenuti più sapienti di tutti per aver compreso
essi soli che, sia nelle cose sia nei ragionamenti, non c’è nulla di sano o di saldo, ma tutto […] va
su e giù, senza rimanere fermo in nessun punto neppure un istante. »
(Platone, Gorgia, in Opere Complete, vol. V)

Per esempio nel libro 1984 i “Ministri della verità” sono capaci di far si che attraverso il
bombardamento dei cervelli riescono a mettere la verità sullo stesso piano della menzogna, e in
questo modo si plasmano regimi corruttori di coscienza.

«La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza. » (George Orwell, 1984, p. 8)

Lo spirito del dialogo spesso è assente o remoto nelle società moderne poiché gli individui sono
dominati da orgoglio e vanità, entrambi i vizi fanno pensare che un sistema di vita che la pensi
diversamente debba essere sopportato e soppresso, invece dovrebbe essere apprezzato.

4. Lo spirito dell’uguaglianza
La democrazia è uguaglianza e isonomia.

LO STATO DI NATURA
Lo stato di natura è caratterizzato dalla libertà, regolata dal diritto naturale, e dall’uguaglianza di
tutti gli individui.

«Per ben intendere il potere politico e derivarlo alla sua origine, si deve considerare in quale stato
si trovino naturalmente tutti gli uomini, e questo è uno stato di perfetta libertà di regolare le
proprie azioni e disporre dei proprie possessi e delle proprie persone come si crede meglio, entro i
limiti della legge di natura, senza chiedere permesso o dipendere dalla volontà di nessun altro. È
anche uno stato di eguaglianza, in cui ogni potere e ogni giurisdizione è reciproca, nessuno
avendone più di un altro, poiché non vi è nulla di più evidente di questo, che creature della stessa
specie e dello stesso grado, nate, senza distinzione, agli stessi vantaggi della natura, e all’uso delle
stesse facoltà, debbano anche essere eguali fra di loro, senza subordinazione o soggezione […].»
(John Locke, Due trattati sul governo, II, par. 4, p. 228)

Questo trattato è stato scelto per dimostrare che lo stato di natura è una condizione antecedente allo
stato civile, del diritto e del potere, per individuare i passaggi logici che conducono alla nascita di
un potere politico riconosciuto. Lo stato di natura non è politico, ma sociale, e le leggi della natura
sono dettate dalla ragione.
Una società che si divide in privilegi dispone i suoi membri su una scala: chi sta su e chi sta giù; chi
guarda dall’alto in basso quelli che stanno giù. Dunque i pregiudizi sono i primi promotori del
disprezzo sociale e della negazione dei diritti naturali, dalla tensione che nasce si può generare un
vero e proprio conflitto che non si può risolvere con mediazione, per antonomasia la Rivoluzione
Francese.

5. L’apertura verso chi porta identità diverse

«Che cos’è la tolleranza? Deve essere la prerogativa fondamentale dell’umanità. Noi siamo tutti
impastati di debolezza e di errori: perdoniamoci reciprocamente le nostre balordaggini, è la prima
legge di natura. […] È chiaro che qualunque privato che perseguita un uomo, un suo fratello,
perché quegli non è della sua opinione, è un mostro. Ciò non suscita discussione. Ma un governo,
dei magistrati, i principi come si comporteranno con quelli che hanno un culto diverso dal loro? Se
si tratta di stranieri potenti, possiamo star sicuri che questo principe farà alleanza con loro. […]
Insensati, che non avete mai saputo adorare con purezza d’animo il Dio che vi ha creati! Mostri,
che avete bisogno delle superstizioni come il becco dei corvi ha bisogno delle carogne! È già stato
detto, ma non c’è altro da dire a riguardo: se in uno stato ci sono due religioni, faranno per
scannarsi; se ce ne sono trenta, vivranno in pace. »
(Voltaire, Dizionario Filosofico, 1764)

La democrazia esige che le identità siano influenti. Potrebbe sembrare che la democrazia debba
dunque essere tollerante verso di esse. Ma la democrazia non può accontentarsi della tolleranza, in
quanto questa è propria di un contesto che non è il nostro, poiché un’identità è tollerante quando si
astiene del soffocare quelle minoritarie. Quindi è l’assolutismo che se si ammorbidisce può parlare
il linguaggio della tolleranza.
Il dibattito si fa più attuale se si considera la questione scolastica in Italia riguardo ai simboli
religiosi, e la disputa è ben più importante e profonda di una controversia tra abbigliamento o
arredamento di aule scolastiche. Di quei simboli la democrazia non può impedire l’esposizione a
nessuno, ma nessuno a sua volta può usarli come aggressione o offesa nei confronti di altre identità.
La democrazia dovrà accogliere le identità sullo stesso piano quindi è chiaro che non debbano
verificarsi alleanze tra ‘trono e altare’, in particolare i politici che mirano ad arrivare a vertici del
potere non dovranno nemmeno appoggiarsi all’autorità morale della Chiesa.
6. La diffidenza verso le decisioni irrimediabili

«Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad
esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Quale può
essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili?Non certamente quello da
cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che la somma di minime porzioni della privata
libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale; che è l’aggregato delle particolari.
Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l’arbitrio di ucciderlo? Come mai nel
minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo di tutti i beni, la vita?
E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll’altro, che l’uomo non è padrone di uccidersi,
e doveva esserlo se ha potuto dare ad altrui questo diritto o alla società intera? »
(Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, cap. XXVIII,1766)

Come già detto in precedenza le decisioni imposte da una verità che non ammette replica sono
preannunci di conflitti. In democrazia la strada per dire: ‘ci siamo sbagliati’ deve restare sempre
aperta. Non è tipico della democrazia essere fondata su pena di morte e guerra, l’elogio delle milizie
e l’elogio del boia è tipico della tirannide.

7. L’atteggiamento sperimentale
«Lo spirito democratico è quello in cui le convinzioni della coscienza e conseguenze dell’agire
formano un circolo sempre aperto nel quale si determinano le norme dei soggetti responsabili. »
(Zagrabelsky, Imparare democrazia, p. 30)

La democrazia è orientata da principi, ma deve imparare quotidianamente dalle conseguenze delle


proprie azioni. La scuola di democrazia è quella in cui tutti siamo chiamati a cooperare. I questo
modo ci si rende conto delle difficoltà esterne, con le quali si deve fare i conti: vincoli normativi,
collisione di diritti altrui.
La tensione tra teoria e pratica è un’esperienza da cui si apprende molto. Sotto questo aspetto
l’istruzione scolastica nel nostro Paese è particolarmente carente, poiché è orientata nell’astrattezza
dell’apprendimento che genera distacco verso il mondo.

8. Coscienza di maggioranza e coscienza di minoranza


«Può darsi in effetto che molti, pur se singolarmente non eccellenti, qualora si raccolgano insieme,
siano superiori a loro, non presi singolarmente, ma nella loro totalità, come lo sono i pranzi
comuni rispetto a quelli allestiti a spese di uno solo. In realtà, essendo molti, ciascuno ha una parte
di virtù e di saggezza e come quando si raccolgono insieme, in massa, diventano un uomo con molti
piedi, con molte mani, con molti sensi; così diventano un uomo con molte eccellenti doti di
carattere e d’intelligenza. » (Aristotele, Politica, III, II, 128Ib)

Questa idea funziona a condizione che in ciascuno di noi ci sia una qualche porzione di diversa
virtù, ma soprattutto a condizione che tutti siano disposti a riconoscere queste diversità come parti
di una ricchezza comune.

«La virtù politica è una rinuncia a se stessi, ciò che è sempre molto faticoso da sopportare. Questa
virtù consiste nella preferenza continua dell’interesse pubblico agli interessi propri. »
(Montesquieu, De l’esprit des lois [1758], libro IV, cap. V.)

Questa non è una cosa contro natura, ma una sfida che l’individuo deve tenere continuamente viva
nei confronti dei propri interessi.
9. L’atteggiamento altruistico

Res publica

La democrazia è la forma di vita comune di esseri umani solidali tra loro, che mettono in comune il
meglio di sé: tempo, capacità, anche risorse. Al patrimonio comune tutti devono poter attingere.
L’emarginazione sociale è contro la democrazia e l’idea che nessuno possa essere lasciato indietro
non è un suo elemento accidentale. Se non c’è solidarietà compare il darwinismo sociale,
un’ideologia crudele che legittima il dominio dei più forti e abbandona i deboli all’emarginazione e
li condanna alla sparizione giustificando con una selezione naturale.

10. La cura delle parole


La democrazia é basata sul dialogo, quindi se ci sono poche parole, di conseguenza risultano poche
idee. Sapersi esprimere ci fa eguali, ed eguale è chi sa esprimere, ricco o povero che sia.

«Si riteneva che, una volta che la neolingua fosse stata adottata in tutto e per tutto e l’archelingua
dimenticata, ogni pensiero eretico […] sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto
riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole. Il lessico della neolingua era
articolato in modo da fornire un’ espressione precisa e spesso molto sottile per ogni significato che
un membro del partito volesse correttamente esprimere, escludendo al tempo stesso ogni altro
significato , compresa la possibilità di giungervi in maniera indiretta. […] Tanto per fare un
esempio, in neolingua esisteva ancora la parola libero, ma era lecito impiegarla solo in
affermazioni del tipo “Questo cane è libero da pulci”; o “Questo campo è libero da erbacce”. Non
poteva invece essere usata nell’antico significato di “politicamente libero” o “intellettualmente
libero”, dal momento che la libertà politica e intellettuale non esisteva più neanche come concetto
e mancava pertanto una parola che la definisse. »
(George Orwell, 1984, Appendice. I principi della neolingua, p 103)

Le parole non devono essere ingannatrici, perché il dialogo sia onesto le parole devono essere
precise e specifiche, le parole devono rispettare il concetto, non lo devono corrompere.

Perché credere nella democrazia?

«La democrazia è, tra tutti, l’unico regime che si basa sulla mia dignità in questa sfera più ampia.»
(Zagrabelsky, Imparare democrazia, p. 43)

La democrazia è l’unico regime che riconosce ognuno capace di discutere e decidere la vita
pubblica. Tutti gli altri regimi considerano l’uomo indegno di autonomia al di fuori delle relazioni
private a famigliari.

BIBLIOGRAFIA:
A. Brancati, T. Pagliarani, Dialogo con la storia, Vol. 2 Dalla metà del Seicento alla fine
dell’Ottocento, p. 75
George Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 2006
Gustavo Zagrabelsky, Imparare democrazia, Einaudi, 2007 Torino.
L. Tornatore, P. A. Ferrisi, G. Pollizzi, Filosofia. Testi e argomenti, Vol. 1 Antichità e Medioevo, pp.
219-220, pp. 307-310
L. Tornatore, G. Polizzi, E. Ruffaldi, Filosofia. Testi e argomenti, Vol. 2 dal quattrocento al
seicento, p. 420, 421
G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, dal testo alla storia dalla storia al testo, vol. C dal
barocco all’Illuminismo, p 423

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