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IL SETTECENTO

L’ILLUMINISMO

Originatasi in Italia e diffusasi nei maggiori paesi europei, la


rivoluzione scientifica ebbe sviluppi particolarmente significativi in
Francia, dove le si affiancò l’Illuminismo, un movimento che mirava
a “illuminare” le menti degli uomini con un nuovo tipo di conoscenza
fondato sulla ragione e sul metodo scientifico. Teatro
dell’Illuminismo fu il XVIII secolo, che fu perciò detto il Secolo dei
lumi.
Gli illuministi sostenevano idee di uguaglianza, di giustizia, di libertà
di pensiero e di religione, in contrapposizione al rigore tradizionale
dettato dalla Chiesa e dai sovrani assoluti.
Sostenevano anche la necessità di applicare un atteggiamento di
libertà all’economia, perché ognuno fosse libero di esercitare la
professione scelta senza aiuti né limitazioni, libero di produrre e di
commerciare entro il proprio paese o all’estero. Nel Settecento
infatti il commercio era ancora regolato dai sovrani, che
imponevano dazi sulla compravendita di merci anche tra due
regioni dello stesso Stato. Le idee di libertà introdotte
dall’Illuminismo portarono in breve ad una profonda trasformazione
dell’economia e gettarono le basi della rivoluzione industriale.
Illuminismo e politica
L’Illuminismo applicò i propri principi anche alla politica,
specialmente attraverso l’opera di tre importanti esponenti del
movimento.
Charles de Montesquieu (1689-1755) pubblicò nel 1748
un’importante opera intitolata De l'esprit de lois (“Lo spirito delle
leggi”), nella quale esaminava le forme di governo susseguitesi
nella Storia e sosteneva l’inesistenza di un modello politico
ugualmente valido per tutti i popoli. Montesquieu affermò che
l’autorità di uno Stato si fonda sostanzialmente su tre diversi poteri:
il potere legislativo, cioè stabilire leggi valide per tutti i cittadini;
il potere esecutivo, governare e agire in nome e per conto dello
Stato;

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il potere giudiziario, applicare le leggi per risolvere controversie tra i
cittadini e punire atti illegali.
Montesquieu illustrò, inoltre, il principio della separazione dei poteri
(valido ancora oggi), ossia la preferibilità di assegnare i tre principali
poteri governativi a diverse persone o organismi, così che tutti si
controllino a vicenda e nessuno possa abusare del proprio ruolo.
François Marie Arouet, detto Voltaire (1694-1778 ) ritenne
ammissibile anche il governo di un sovrano autoritario, purché
questi si mostrasse favorevole al progresso e usasse il proprio
potere a beneficio dei cittadini, difendendo gli interessi della
borghesia imprenditoriale contro la nobiltà feudale.
Lo svizzero Jean-Jacques Rousseau (1712-1778 ) delineò nel suo
Contratto sociale l’idea di un vero Stato democratico. Secondo
Rousseau lo Stato è il prodotto di un patto tra i suoi cittadini, che
ritengono conveniente riunirsi in un’unica entità, ma desiderano
conservare la loro libertà e uguaglianza. In pratica, il potere politico
appartiene al popolo; chi governa lo fa esclusivamente per mandato
di quest’ultimo e a quest’ultimo spetta l’approvazione delle leggi.
Poiché, poi, tutti gli uomini sono uguali e la legge corrisponde alla
volontà generale, essa deve trattare tutti i cittadini allo stesso modo:
tutti, cioè, sono uguali di fronte alla legge.
L’opera di Rousseau riscosse un enorme successo in Europa ed
influenzò sia la Costituzione degli Stati Uniti d’America, sia i principi
della Rivoluzione francese.

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CHARLES-LOUIS DE MONTESQUIEU

Vita
Scrittore e filosofo francese nato nel 1689 nei pressi di Bordeaux e
morto nel 1775 a Parigi. Figlio di un magistrato, venne indirizzato
agli studi giuridici che completò nel 1708. Nel 1714 era già
consigliere al parlamento di Bordeaux e due anni dopo ereditava da
uno zio il titolo nobiliare, il patrimonio e la carica di presidente dello
stesso parlamento. Studioso, appassionato tanto di problemi
giuridici quanto di scienze naturali e di fisica, venne accolto
dall’accademia delle scienze di Bordeaux, dove presentò e
discusse interessanti memorie consacrate ad argomenti scientifici e
filosofici.
Nell’opera Le considerazioni sulle cause della grandezza e
decadenza dei Romani (1734), egli compie il tentativo di
interpretare la storia complessiva di Roma, riconoscendo le cause
della grandezza romana nell’amore della libertà e della patria, e
riponendo le cause della sua decadenza nell’eccessivo
ingrandimento dello Stato, nella corruzione dovuta alle abitudini
asiatiche contratte, nella perdita della libertà sotto l’impero.

LETTERE PERSIANE
La sua fama, ancora provinciale, si accrebbe enormemente con
la pubblicazione delle Lettres persanes (1721; “Lettere
persiane”). Uscite anonime (ma ben presto divenne noto il
nome dell’autore ), le Lettere persiane, piccolo capolavoro di
umorismo, offrono il pretesto all’autore, nel descrivere
l’immaginario viaggio in Europa di due persiani, di fare un’acuta
satira dei costumi e della società del tempo. Le lettere segnano
in realtà una delle prime vittorie della nuova concezione di
libertà e di tolleranza che la filosofia del secolo andava
illustrando. Il successo dell’opera lo convinse a trasferirsi a

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Parigi per meglio conoscere quel mondo intellettuale e politico.
Egli tuttavia non cedette mai alle lusinghe della capitale, in
quanto centro mondano. Educato all'amore della vita semplice,
conservò stretti legami col paese natale e non trascurò mai
l’amministrazione delle sue terre.

LO SPIRITO DELLE LEGGI


Lo "Spirito delle leggi" (1748) all’interno del quale si propone di
mettere in luce e giustificare storicamente le condizioni che
garantiscono la libertà politica del cittadino. Essa è propria
solamente dei governi moderati, ovvero quei governi in cui ogni
potere trova dei limiti che gli impediscono di prevaricare
("Occorre che per la disposizione stessa delle cose il potere
arresti il potere").
A questa esigenza risponde la separazione dei tre poteri (già
elaborata da Locke in legislativo, esecutivo e federativo).
Montesquieu afferma che la divisione dei poteri si articola in
questo modo:
- Legislativo;
- Esecutivo;
- Giudiziario.
La riunione di questi due poteri nelle mani di una sola persona
annulla la libertà del cittadino, poiché rende possibile l’abuso
dei poteri stessi.
Secondo il filosofo la storia ha un ordine che si manifesta in
leggi costanti, intese come il rapporto necessario che deriva
dalla natura delle cose. Montesquieu ritiene che ogni essere ha
la sua legge, quindi anche l’uomo:
- è governato da leggi immutabili;
- E'soggetto all’ignoranza, perché è un essere limitato;
- E'una creatura sensibile, quindi è soggetto alle passioni;

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Il filosofo dice che un tale essere poteva dimenticarsi:
- del suo Creatore: Dio l’ha richiamato a sé con le leggi della
religione;
- Di sé stesso i filosofi l’hanno avvertito con le leggi della
morale;
- L’uomo è fatto per vivere nella società, affinché non si
dimenticasse degli altri I legislatori l’hanno reso ai suoi doveri
con le leggi politiche e civili.
Montesquieu pronuncia una condanna nei confronti dell’
assolutismo monarchico e dei privilegi della nobiltà che hanno
portato la Francia sull’orlo della rivoluzione. Il filosofo si pone
inoltre contro l’intolleranza religiosa, molto sentita in Francia e
in parte, origine dei problemi del suo Paese.
Il filosofo identifica tre tipologie di Governo:
-REPUBBLICA
E' la forma preferita, si basa sul principio della virtù politica,
dell' amore per la propria patria e dell’uguaglianza tra tutti i
cittadini;
-MONARCHIA
Forma di Governo che si basa sul potere di un singolo (sovrano
illuminato) o di una classe, il principio di questa forma di
governo è l’onore che viene inteso come pregiudizio personale
o di classe;
-DISPOTISMO
Il sovrano esercita il proprio potere attraverso la tirannide, il
principio a cui fa capo è il timore. Le osservazioni sulle tipologie
di Stato sono dirette a mostrare come ogni tipo di governo si
realizzi e si articola in un insieme di leggi specifiche che
riguardano i differenti aspetti dell’attività umana
(amministrazione della giustizia, costume civile), costituendo la
struttura del Governo stesso.

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Le leggi, le forme del diritto, la divisione dei
poteri

Introduzione
Questo passo tocca i punti fondamentali del pensiero di
Montesquieu riguardo le leggi e lo stato

Analisi
Al centro delle riflessioni di Montesquieu è il problema della libertà
degli individui, che si può conquistare, nella vita sociale, a
condizione che venga assicurata e protetta dalle leggi. Se queste
mancano vengono meno i confini fra «il tuo e il mio», regnano la
forza e l’arbitrio, la convivenza civile si trasforma in anarchia, dove
ognuno deve difendersi dagli altri e può a sua volta offendere.
Il benessere materiale si fonda sulla collaborazione, dal momento
che, in una società bene ordinata, ogni individuo può utilizzare «la
capacità e l’industria degli altri: il com-mercio lo educa, fornendogli
sempre nuovi lumi» (rr. 11-12). La supremazia della ragione (i
«lumi») tiene conto anche del progresso economico; a questo si
collegano le ingentilimento e «la raffinatezza dei costumi», che
favoriscono la filantropia, l’amore per il prossimo.
Il secondo brano svolge considerazioni giuridiche più tecniche, in
quanto si riferiscono alle diverse forme del diritto: «il diritto delle
genti»; «il diritto politico» (che riguarda le leggi dello Stato) e quello
che ancora adesso chiamiamo «il diritto civile». Senza entrare nel
merito delle singole distinzioni, va segnalata l’identificazione della
«ragione umana» con la «legge», che non è solo la «base» e il
«fondamento» di ogni società civile, ma deve regolare i rapporti fra
«tutti i popoli della terra» (si nota qui l’ideale illuministico del
cosmopolitismo, che ripudia la guerra e vede nell’umanità una sorta
di patria comune).
L’ultimo punto riguarda la distinzione dei poteri che consentono e
regolano il funzionamento dello Stato. La loro separazione

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rappresenta un fondamentale principio di garanzia nelle moderne
democrazie e nelle loro costituzioni, in quanto consente di eliminare
quelle concentrazioni del potere che, nei governi assoluti, rendono
possibile ogni arbitrio e limitazione delle libertà (il modello di
riferimento era costituito dalla monarchia costituzionale inglese).
Montesquieu spiega bene i rischi che ne potrebbero derivare,
mentre la divisione dei poteri garantisce la loro indipendenza e la
funzione di reciproco controllo, per evitare gli eccessi.

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JEAN-JACQUES ROUSSEAU

Vita
Jean-Jacques Rousseau nacque nel 1712 in una famiglia calvinista
a Ginevra, in seguito si trasferì a Lione e poi, nel 1742, a Parigi,
dove esercitò diversi mestieri, tra cui quello di copista di testi
musicali (un interesse da cui nacque nel 1743 una Dissertazione
sulla musica moderna). Convertitosi al calvinismo, convisse con
una cucitrice, Thérèse Levasseur, da cui ebbe cinque figli, che mise
all'orfanotrofio; nel 1748 conobbe Madame d’Epinay, che sarà la
sua nuova amante. Dopo aver stretto rapporti di amicizia con
Diderot e Condillac, frequentò il gruppo dell’Enciclopedia, per la
quale scrisse gli articoli sulla musica. Nel 1750 vinse un concorso
bandito dall’accademia di Digione con il Discorso sulle scienze e
sulle arti che suscitò polemiche, in quanto negava che queste
fossero un fattore di civiltà e di progresso dei costumi. Nel 1755
pubblicò ancora sull’Enciclopedia l’articolo dedicato all’Economia
politica e in volume una delle sue opere più significative, il Discorso
sull’origine dell’ineguaglianza tra gli uomini , in cui si pronunciava
contro la proprietà privata, alla base di quella civiltà che, secondo
lui, ha corrotto gli uomini, destinati invece dalla natura a essere
liberi. Avveniva intanto la rottura con Diderot e gli illuministi, che lo
portò a polemizzare con Voltaire, a cui indirizzava la Lettera sulla
provvidenza (1756), e con d'Alembert, a cui si rivolgeva con la
Lettera sugli spettacoli (1758). In seguito si ritirò in campagna
presso Montmorency, sino a quando, perseguitato per le sue opere,
evitò di essere arrestato fuggendo in Inghilterra, dove venne
ospitato dal filosofo Hume (1766). Incrinato ben presto anche
questo rapporto, Rousseau tornò in Francia, continuando a scrivere
e a copiare testi di musica per vivere (nel 1767 era intanto uscito un
suo Dizionario di musica). Per un’improvvisa malattia morì nel
1778.

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Le opere
A un gusto ormai pre-romantico si può infatti ricondurre il romanzo
epistolare La nuova Eloisa (1760; più esattamente Giulia, o la
nuova Eloisa), storia di una passione contrastata e infelice fra il
precettore Saint-Preux e la sua allieva Julie d’Étanges, costretta dal
padre a sposare un uomo che non ama. Divenuta madre, Julie
morirà dopo aver salvato uno dei due figli che era caduto nel lago,
chiedendo a Saint Preux di occuparsi della loro educazione.
È una tematica, questa, che stava particolarmente a cuore a
Rousseau, che le dedicherà un lungo trattato pedagogico in forma
narrativa, Emilio, o dell’educazione (1762), che mira a favorire la
libera maturazione dell’individuo all’interno della società; una
società che, pur essendo destinata alla corruzione e lontana dalla
vita felice della natu-ra, deve tendere comunque a migliorare le
proprie istituzioni, per rendere più vivibile la condizione dell’uomo.
In questo senso, nel Contratto sociale, pubblicato nel medesimo
anno dell’Emilio, Rousseau si schiererà a favore di una forma di
governo de-mocratico, rispettoso dei diritti dei cittadini.
Nel 1764 iniziava la stesura delle Confessioni, testo cardine della
moderna autobiografia. L’essersi soffermato sui particolari
all’apparenza più insignificanti della propria vita, che poté sembrare
un limite dell’opera, servì a Rousseau per scandagliare neanche le
componenti più scomode e oscure, in uno scavo profondo che,
indagando le manifestazioni del sentimento, metteva a nudo,
attraverso la memoria, le ragioni dell’io. Sono questi gli stati
d’animo che Rousseau lascerà in eredità ai romantici, insieme con
quell’amore per la natura che ispirerà il gusto paesaggistico delle
Fantasticherie del viaggiatore solitario, divise in una serie di
“passeggiate” (la decima rimarrà incompiuta per il sopraggiungere
della morte) in cui si alternano la confessione e la riflessione.

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Dal “buon selvaggio” alla proprietà privata

Introduzione
Rousseau espone la tesi per il quale la nascita della proprietà
privata è la causa dei mali e delle ingiustizie che hanno afflitto la
società

Analisi
La particolare posizione presentata dal pensiero politico di
Rousseau giunge, nel Trattato sull’origine dell’ineguaglianza, a
conclusioni radicali, lontane per molti versi dalla linea portante
dell’ideologia illuministica, attenta solo al miglioramento delle
condizioni civili e sociali attraverso moderate riforme. Per
Rousseau, al contrario, a corrompere la natura umana è proprio il
progresso della società, a partire dalla nascita della proprietà
privata, emblematicamente sottolineata dai danni provocati dal
«primo che, avendo cintato un terreno, pensò di affermare: questo
è mio» (r. 1). Di qui sono nati tutti i mali che hanno afflitto l’umanità,
i contrasti che hanno diviso sia gli individui sia gli stati, le differenze
di classe con le gravi ingiustizie sociali, le prevaricazioni e le
oppressioni esercitate dal potere dei più forti.
Se nel Contratto sociale Rousseau supererà questa drastica
conclusione, sarà proprio la concezione espressa nel Trattato
sull’origine dell’ineguaglianza a influenzare le esperienze del
successivo Romanticismo, che ha visto in Rousseau un precursore:
ci riferiamo al cosiddetto mito del “buon selvaggio”, opposto alla
condizione degradata dell’uomo civilizzato, così come la natura
incontaminata e felice, quasi una sorta di Eden, di paradiso
terrestre, verrà contrapposta a una città considerata come
l’ambiente di una vita artificiale e inautentica. Così «l’esempio dei
selvaggi» dimostra quella che, per Rousseau, è stata «vera
giovinezza del mondo; e che tutti i progressi ulteriori son stati, in
apparenza, tanti passi verso la perfezione dell’individuo, e in realtà

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verso la decrepitezza della specie». Al di là delle influenze
letterarie, va ricordato che la posizione di Rousseau presenta
anche un significato politico, in quanto propone l’idea di una società
di uguali, fondata sulla comunanza dei beni; a riprendere la tesi di
Rousseau sarà infatti, nell’Otto-cento, il cosiddetto socialismo
utopista di Pierre-Joseph Proudhon (1809-65), secondo
cui «la proprietà è un furto».

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L’ILLUMINISMO IN ITALIA

Intorno alla metà del ‘700 i principi dell’illuminismo conquistarono


anche gli intellettuali italiani. Milano, Napoli e Venezia furono i centri
illuministi italiani. In queste città gli intellettuali diedero vita a uno
scambio vivace di idee, con oggetto il rinnovamento politico, sociale
e morale dell’Italia.
Favorita dalla comparsa dei giornali, la trattatistica fu il genere più
in voga (saggio breve-> problemi di attualità; pamphlet->opuscolo di
tono satirico; il discorso->destinato ad un pubblico specializzato; il
dialogo->sulla divulgazione scientifica; le lettere->scopo
informativo; articoli di giornale).
Milano fu il principale centro illuminista italiano, grazie alla
posizione geografica ed economica della borghesia lombarda,
libera dalla dominazione spagnola.
L’accademia dei Pugni intendeva creare un circolo culturale in cui
fosse possibile un confronto di idee aperto e libero, anche animato,
tanto da prevedere che le discussioni potessero finire a pugni.
“Il Caffè”
E’ la rivista più prestigiosa della cultura illuminista italiana, uscì ogni
10 giorni per due anni; Essa fu voluta e diretta da Verri e da
Beccaria. Il giornale voleva favorire il dibattiti intorno a problemi
politici concreti, migliorando la realtà sociale. Inoltre polemizzata
contro il purismo (che mira a difendere la purezza originaria della
lingua nazionale -> accademia della crusca).
Gli argomenti trattati erano vari: politica, economia, letteratura,
scienza. Esso era dalla parte della borghesia e contro l’aristocrazia.
La rivista aiutò anche a diffondere un italiano più moderno.
Esso era anche in linea con il pensiero di Parini, che però partecipò
poco alle discussioni e alle attività promosse dal “caffè”. Ne “il
giorno” usa l’ironia per criticare il parassitismo e la superficialità
dell’aristocrazia lombarda.

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Pietro Verri
“Osservazioni sulla tortura” dimostra come la tortura è uno
strumento crudele e disumano, ma soprattutto inutile poiché
conduce a confessioni false, solo per far smettere di soffrire.

Cesare Beccaria
Scrive “dei delitti e delle pene” dove dice che:
- le leggi devono essere chiare;
- i giudizi vanno resi pubblici;
- la tortura e la pena vanno abolite.

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