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L’ETA MODERNA
1) GIUSNATURALISMO
1.1) INTRODUZIONE
Il giusnaturalismo è cronologicamente datato nel 1600 e con questo termine si
indicano una serie di dottrine/un movimento di pensiero che hanno un filo comune: la
fondazione del presupposto del diritto naturale.
Infatti, il Giusnaturalismo viene a diffondersi in più stati europei, che a loro volta
hanno caratterizzato diversamente la linea di pensiero del giusnaturalismo,
aggiungendo più sfumature ad essa.
Ogni dottrina ha degli elementi in comune con gli altri:
1) Lo Ius naturae: il diritto naturale possiamo considerarlo come un insieme di
principi fondamentali universali innati in ogni essere umano (integrità fisica,
alla vita, libertà di religione, alla proprietà privata ecc.).
Un esempio comune e ancora attuale di diritto naturale è quello della proprietà
privata sancito dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo nell’articolo
17.
2) I giusnaturalisti, inoltre, pongono l'accento sul carattere razionale: un diritto
espressione di ragione. I giusnaturalisti affermano che l'uomo è un essere
razionale.
Norberto Bobbio afferma che il giusnaturalismo è dualistico: diritto naturale e
diritto positivo.
A differenza dei giuspositivisti che ritengono che esista solo il diritto positivo,
per i giusnaturalisti esiste sia il diritto positivo che il diritto naturale.
Il diritto positivo è il diritto posto in essere (realizzato) in quel determinato
ordinamento giuridico e in quel determinato periodo storico quindi, il
giusnaturalismo afferma che è un buon diritto se il diritto positivo rispetta il
diritto naturale dell'uomo.
Come siamo arrivati al giusnaturalismo?
Viene meno la concezione unitaria, di stampo medievale, che aveva i suoi due
principali riferimenti nella Chiesa, da un lato, e nell’Impero, dall’altro (da un punto di
vista religioso: crisi dell’universalismo cristiano cattolico; da un punto di vista
politico: aumenta il potere dei singoli Stati.
Le caratteristiche del giusnaturalismo sono:
1) Idea dell'esistenza di diritti soggettivi innati propri di ciascun individuo;
2) Idea di un originario stato di natura anteriore alla società politica e civile.
Lo stato di natura viene definito presociale.
3) Idea di contratto sociale che fonda lo stato e il potere legittimo.
4) Esigenza di realizzare un ri-ordinamento razionale del diritto positivo.
Il giusnaturalismo deriva dalla scuola di Salamanca, che è un altro movimento di
pensiero che si sviluppa in Spagna, in Salamanca, nel 1500, grazie anche e soprattutto
alla Siglo De Oro, periodo tra il 1500-1600 di fioritura economica spagnola grazie
alla scoperta dell'America.
I teologi di Salamanca, però, vedono ancora nel diritto naturale un diritto divino,
Grozio invece è il primo a visionare una concezione laica del diritto.
1.2) I PRINCIPALI AUTORI DEL GIUSNATURALISMO SONO:
-Ugo Grozio (1583-1645)
Il giurista Ugo Grozio viene considerato il padre del diritto internazionale e del diritto
giusnaturalismo.
Ugo Grozio è un giurista/avvocato/filosofo olandese e con esso si afferma la dottrina
del giusnaturalismo.
Con Grozio si afferma la dottrina filosofico-giuridica del GIUSNATURALISMO,
secondo la quale esiste un diritto naturale che esprime i principi universali della
razionalità umana e sul quale deve fondarsi il diritto positivo
Per Grozio, come abbiamo già detto in precedenza, il diritto naturale nasce anche se
ammettessimo che Dio non esiste: il diritto naturale si fonda sulla ragione umana →
laicizzazione del diritto naturale.
Delle sue opere più famose ricordiamo:
1) "de iure belli ac Pacis", un'opera in cui identifica una serie di principi e regole
generali fondate sulla ragione valide per tutti gli uomini e per tutti gli stati
In italiano detto “il diritto della guerra e della pace”, è l’opera di Grozio per cui
viene ricordato di più.
Possiamo riassumere in tre punti fondamentali quest’opera:
1. Pactas und serrande: bisogna rispettare i patti
2. Non rubare e restituire il maltolto.
3. Risarcimento del danno eventualmente cagionato.
Grozio teorizza lo stato di natura come uno stato di pacifica convivenza
caratterizzata da appetitus societatis
L'appetitus societatis spinge l'individuo a vivere in comunità, ma non in una
società qualsiasi, bensì razionalmente organizzata) dell'essere umano.
2) Il mare liberum è il suo primo trattato che è trattato su libertà di navigazione
che va contro a loro che avevano a quel tempo privatizzato i mari.
3) "1631 introduzione alla giurisprudenza olandese" resoconto dettagliato di
quelle che erano le norme del diritto seicentesco olandese.
L’Olanda aveva un insieme di diritti intrinseci con il diritto romano, e nello
specifico diritti locali di stampo olandese (anche consuetudini).
-Thomas Hobbes (1588-1679) (assolutismo=diritto divino)
Thomas Hobbes è stato un filosofo britannico, antesignano (anticipatore) del
Giuspositivismo, teorico dell’assolutismo e le sue opere principali sono il de cive
(contrapposizione tra stato civile e stato di natura) e il leviatano.
1) Il leviatano di Hobbes
Nel leviatano diede espressione teorica vigorosa ai fondamenti teorici
dell'assolutismo
Il leviatano era una creatura mostruosa che impersonifica lo stato (l'autorità).
Il gigante regge in una mano una spada, simbolo del potere temporale, e nell'altra il
pastorale, simbolo del potere religioso, a indicare che, secondo Hobbes, i due poteri
non vanno separati.
In questa opera, Hobbes afferma che lo stato di natura è una condizione infelice: è
caratterizzata dagli istinti primordiali, dalla violenza, dall’egoismo.
Secondo Hobbes il contratto sociale del giusnaturalismo è un patto con cui i sudditi si
assoggettano allo stato, in cui rinunciano a tutti i loro poteri (diritti) alla autorità (il
Sovrano).
Le parti del contratto sociale viene stipulato soltanto dai sudditi, non dai sudditi e dal
sovrano.
Se il Sovrano non è parte del contratto sociale, significa che non ha nessun dovere nei
confronti dei sudditi.
Quindi, nella visione di Hobbes, i diritti naturali vanno al sovrano assoluto.
Diciamo assoluto perché ab solutus, cioè, sciolto, libero da qualsiasi vincolo nei
confronti dei singoli.
Ha il potere di amministrazione della giustizia, ecc. però non ha nessun dovere nei
confronti dei sudditi.
I sudditi hanno quindi soltanto i diritti che il Sovrano concede loro.
La conseguenza giuridica di questo è che il diritto positivo si identifica con la legge
del sovrano.
Hobbes, infatti, è considerato un giusnaturalista volontarista.
Laddove la legge non proibisce una determinata azione, allora il suddito può
compierla.
Quindi per Hobbes la legge è tutto diritto positivo prodotto dal sovrano.
In questo caso l'interpretazione della legge spetta al sovrano.
Il mezzo che utilizza il sovrano per l'interpretazione sono dei magistrati nominati
appositamente da lui.
-John Locke (1632-1704) (liberalismo=sovrano limitato e no divino)
John Locke è il principale teorico del liberalismo inglese.
Si contrappone con Hobbes per le loro teorie giusnaturaliste contrastanti.
In Hobbes lo stato esce rafforzato, in Locke le teorie giusnaturaliste arrivano a
potenziare l'individuo.
Anche per Locke il potere legislativo è il potere più importante da esercitare, però la
legge per lui è un'espressione di positivizzazione del diritto naturale.
Il sovrano deve trasporre in norme giuridiche scritte valide negli ordinamenti
giuridici da riconoscere in ciascuno individuo senza distinzioni di sesso. ecc.
Per Hobbes il Sovrano poteva anche non garantire dei diritti, per Locke il Sovrano ha
dei doveri nei confronti dei sudditi quindi il contratto sociale si stipula tra sovrano e
sudditi.
Per Locke, inoltre, il potere legislativo deve essere assegnato ad un organo
rappresentativo (separazione dei poteri): non teorizza davvero la separazione dei
poteri però mette delle basi di pensiero (chi teorizza la separazione dei poteri è
Montesquieu).
Se il Sovrano viene meno nei confronti del contratto e quindi nei confronti dei suoi
doveri, allora i sudditi possono ribellarsi e questo diritto è chiamato diritto di
resistenza, chiamato da Locke "appello al cielo".
Lo Stato, quindi, diventa per Locke garantista: deve garantire tutti quei diritti naturali
fondamentali per l’uomo come l’autonomia privata.
L’ETA DELLE RIFORME: ILLUMINISMO GIURIDICO
2)ILLUMINISMO
2.1) INTRODUZIONE
L’illuminismo è una corrente di pensiero che si sviluppa nel 1700 ed affronta una
serie di problematiche relative alla stretta attualità per la società europea.
Il più importante è l’illuminismo francese al confronto dell'Inghilterra perché la
Francia affronta varie rivoluzioni.
L'Europa nel 1700 vive una situazione di crisi sotto vari profili: ad esempio la Francia
vive una situazione di crisi profonda dal punto di vista delle istituzioni politiche,
incapaci di risolvere una serie di problematiche (Luigi XVI) anzitutto di carattere
economico.
In Europa, più in generale, il sistema giuridico è un diritto incerto.
L’illuminismo critica gli aspetti di crisi dell'Europa settecentesca e gli illuministi
prescrivono una serie di riforme per uscire da questa crisi globale.
Il mezzo per uscire da questa crisi è la ragione umana.
Il diritto romano deve essere sostituito: deve essere aggiornato, scritto attraverso un
linguaggio semplice, deve essere accessibile a tutti.
Il latino non deve essere più essere linguaggio utilizzato nei testi di legge e quindi
deve esserci non etero integrità.
2.2) AUTORI
I tre pilastri dell'illuminismo sono:
1) Montesquieu
2) Voltaire
3) Rousseau
MONTESQUIEU
Fu l’autore de “L’Esprit des lois” (1748), data convenzionale di inizio
dell’illuminismo giuridico
• Le LEGGI sono i RAPPORTI NECESSARI CHE DERIVANO DALLA NATURA
DELLE COSE, determinate da variabili empirico naturalistiche, dal clima
all’economia, ai costumi, alla religione, alla forma di governo.
• Il DIRITTO NATURALE non rappresenta un modello superiore unico per il diritto
positivo, ma si adatta alle condizioni storico ambientali di ciascun popolo
RELATIVISMO GIURIDICO
Lo SPIRITO DELLA LEGGE è l’INSIEME DEI RAPPORTI TRA LEGGE E
VARIABILI.
• La principale delle variabili con cui le leggi entrano in rapporto necessario è la
FORMA DI GOVERNO.
• In relazione a ciascuna forma di governo si genera nella popolazione un sentimento
che ispira la condotta collettiva.
L’autore riprende e riformula la tripartizione aristotelica dei regimi politici
considerando tre forme di governo: le tre principali forme di governo idealizzate da
Montesquieu sono: repubblicana, monarchica, dispotica.
1. FORMA REPUBBLICANA: distinta in democratica, se il potere risiede tutto nel
popolo, e aristocratica, se risiede in una parte della popolazione (l’aristocrazia).
Carattere principale di questa forma di governo è la VIRTÙ, intesa come amore per le
leggi e per la patria e come conseguimento dell’uguaglianza (es. Venezia e Genova).
2. FORMA MONARCHICA: quando il potere è concentrato nelle mani di un
SOVRANO, che agisce con l’ausilio di LEGGI FISSE e di CORPI INTERMEDI,
come la nobiltà (canali attraverso i quali il potere scorre dall’alto verso il basso
della società).
Carattere principale di questa forma di governo è l’ONORE, inteso come fedeltà
al proprio rango, al proprio ceto (es. Inghilterra e Francia).
Le monarchie principali sono i modelli della Francia e dell’Inghilterra in
particolare nella Francia vi è il perseguimento della gloria in Inghilterra invece il
valore della libertà.
3.FORMA DISPOTICA: il tiranno agisce secondo i propri capricci, in assenza di
leggi fisse.
Principale caratteristica è la PAURA (es. Turchia)
Le forme di governo repubblicana e monarchica hanno per scopo la tutela della
libertà: la libertà non consiste nel fare tutto ciò che si vuole, ma nel «diritto di fare ciò
che le leggi consentono».
La tutela della libertà impone:
1) un certo tipo di COSTITUZIONE la quale deve garantire la SEPARAZIONE
DEI POTERI: POTERE LEGISLATIVO, ESECUTIVO e GIUDIZIARIO
devono risiedere in organi distinti.
La concentrazione di questi poteri in un’unica persona nuoce alla libertà.
Il GIUDICE dev’essere semplice BOUCHE DE LA LOI (BOCCA DELLA
LEGGE)
2) un certo tipo di LEGISLAZIONE PENALE: ovvero dev’essere assicurata la
BONTÀ DELLE LEGGI PENALI.
VOLTAIRE
• Non è un uomo di legge (solo per alcuni mesi, nel 1714, fu praticante presso un
avvocato), ma sviluppa una vivace critica ideologica nei confronti della cultura
giuridica del suo tempo.
• Nelle sue opere: denuncia delle ingiustizie e dell’oscurantismo della Francia
d’ancien régime con il costante uso di una sottile ironia
• Grande avversario dello spirito di intolleranza della Chiesa di Roma.
• Sostenitore dell’esistenza di un Dio architetto dell’universo, che si regola secondo
leggi non sempre comprensibili e favorevoli agli esseri umani.
• Contro ogni forma di ottimismo (Candido), afferma con decisione l’esistenza del
male; ma proprio per questo gli uomini dovrebbero smettere di uccidersi, torturarsi,
perseguitarsi l’un l’altro per futili ragioni politiche o religiose e cercare invece ciò
che li accomuna, mettendo in pratica la vera morale evangelica.
• Bersagli privilegiati:
1.La Chiesa (POLEMICA ANTICONFESSIONALE): critica radicale contro ogni
forma di fanatismo, di dogmatismo, di superstizione presenti nella tradizione
religiosa e nella storia dell’uomo.
2. I ceti privilegiati (POLEMICA ANTINOBILIARE E ANTIFEUDALE): attacco ai
ceti privilegiati, in nome del progresso, del liberismo economico e dell’uguaglianza
dei diritti.
3. L’ordinamento giuridico coevo, il particolarismo giuridico (POLEMICA
ANTIGIURIDICA): convinzione che esista una giustizia naturale, razionale e
universale.
Le leggi umane, invece, costituiscono un arbitrario allontanamento da questa legalità
universale e risultano sovrabbondanti, confuse e contraddittorie.
4.La forma politica della Francia di antico regime (POLEMICA
COSTITUZIONALE): il sistema politico entro cui può realizzarsi la libertà
dell’uomo è l’assolutismo illuminato (verso cui vanno le sue simpatie).
•Obiettivi:
a) La libertà (di pensiero e di espressione)
b) L’unità giuridica attraverso la legge, da costruire mediante l’abrogazione delle
leggi attuali e la loro sostituzione con un nuovo ordinamento
c) Un sistema penale più giusto: biasima l’uso della tortura quale strumento
processuale volto ad ottenere la confessione, ammettendola soltanto verso le
categorie di criminali più abiette (come i parricidi) e propone una massiccia riduzione
dei casi di applicazione della pena di morte (da sostituire con la pena dei lavori
forzati).
d) L’Uguaglianza giuridica di tutti i sudditi (eliminazione del particolarismo giuridico
soggettivo), in parte contraddetta dal suo razzismo e antisemitismo.
• Tolleranza religiosa: Traité sur la tolerance (1763), scritto in occasione dell’affaire
Calas, caso giudiziario avvenuto negli anni Sessanta del XVIII secolo a Tolosa, reso
celebre per l'intervento di Voltaire, il quale riuscì ad ottenere la revisione del
processo.
Jean Calas era un protestante di Tolosa accusato di aver ucciso suo figlio, trovato
impiccato (probabilmente si era suicidato) per evitare che si convertisse al
cattolicesimo.
Jean Calas è condannato a morte dal Parlamento di Tolosa nel 1762: giustiziato con il
supplizio della ruota e successivo strangolamento.
1765: Voltaire riesce a ottenere la revisione del processo e la proclamazione
dell’innocenza di Calas, la cui memoria viene così riabilitata.
ROUSSEAU
• Nato a Ginevra nel 1712 da una famiglia di umili origini (il padre è un orologiaio), è
autore di una serie di opere, tra cui il Contrat social (1762), un condensato di idee
politico-giuridiche di straordinario rilievo ed influenza per le dottrine politiche e
costituzionali moderne, il “manuale” di pedagogia politica e di teoria generale del
diritto adottato durante il periodo rivoluzionario.
• È invitato da Diderot a collaborare all’Encyclopédie e nel 1755 scrive la voce
Economie, che nel 1758 appare come scritto autonomo con il nome Économie
politique, nel quale già emergono i concetti fondamentali della sua opera sul contratto
sociale.
• Il passaggio dell’uomo dallo stato di natura allo stato sociale, accompagnandosi con
l’istituzione della proprietà privata, ha portato a un processo di degenerazione morale
con enormi disuguaglianze sociale.
Per uscire da questa situazione l’unica via è una rifondazione della società, un patto
che trasformi i sudditi in cittadini, gli schiavi in uomini liberi, stabilendo la cessione
di tutti i propri diritti, da parte di ciascun membro del corpo sociale, alla comunità.
• Nel Contrat social (1762) Rousseau insiste sulla necessità di un «patto» fra
governanti e governati, vincolante per i primi e garantista per i secondi, in particolare
per il rispetto dei loro diritti «innati».
A differenza di Montesquieu, dimostra propensione per la democrazia diretta, che
assicurano una maggiore partecipazione popolare, e si dimostra propenso al suffragio
universale.
La sovranità popolare (unica, inalienabile e indivisibile) appartiene al popolo e non al
sovrano.
La legge è espressione della volontà generale in senso attivo e passivo: deriva dalle
deliberazioni collettive del popolo ed ha come destinatari tutti gli individui (non deve
creare privilegi).
Tale definizione si ritrova nell’art. 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino dell’agosto 1789.
L’aggettivo “generale” riveste un duplice significato:
1. La legge è espressione di una volontà che è generale quanto all’origine perché
promana da tutti i membri della collettività politica;
2. La legge è espressione di una volontà che è generale quanto all’oggetto di
destinazione perché riguarda problemi dell’intera collettività.
• Problema del rapporto giudice-legge: Rousseau, a differenza di Montesquieu, si
mostra incline a concedere al giudice una certa discrezionalità che gli permetta di
supplire alle eventuali lacune normative con il lume del buon senso.
Per impedire che tale discrezionalità degeneri e si trasformi in arbitrio, secondo
Rousseau è necessario che la magistratura sia temporanea e non professionale.
L’ENCYCLOPEDIE
Denis Diderot (filosofo e scrittore) e JeanBaptiste d’Alembert (matematico)
promuovono l’Encyclopédie (Dizionario ragionato della scienza, delle arti e dei
mestieri), sintesi del pensiero settecentesco riformista nelle sue molteplici
componenti.
• Il risultato sono 17 volumi e 60.000 voci enciclopediche in lingua francese.
L’obiettivo culturale sotteso all’‘impresa’ dell’Encyclopédie è quello di disegnare una
grande mappa aggiornata della conoscenza universale dell’epoca.
Vi partecipano i maggiori esponenti dei lumi: i due curatori (Diderot e d’Alembert),
Montesquieu, Voltaire, Rousseau, Helvétius (filosofo francese), il barone d’Holbach
(filosofo tedesco naturalizzato francese) e autori minori come Louis de Jaucourt,
medico ma conoscitore anche del diritto e di altre discipline (tra i maggiori
contributori dell’opera; scrive oltre 17.000 voci, ossia circa il 25%
dell’Encyclopédie).
2.3) ILLUMINISMO ITALIANO
• Due poli: lombardo e napoletano
Principali esponenti dell’Illuminismo lombardo: Cesare Beccaria e i fratelli Verri
(Pietro e Alessandro Verri)
Principali esponenti dell’Illuminismo napoletano: Gaetano Filangieri (autore della
Scienza della legislazione – 1780- 1788), Antonio Genovesi e Francesco Mario
Pagano (autore delle Considerazioni sul processo criminale
ILLUMINISMO LOMBARDO
• Nasce a Milano l’Accademia dei Pugni intorno a Pietro (1728-1797) ed Alessandro
Verri (1741-1816), Cesare Beccaria, Alfonso Longo, Giambattista Biffi e Luigi
Lambertenghi, membri del patriziato milanese con idee riformiste.
L'Accademia dei Pugni, che si riuniva in casa di Pietro Verri in contrada del Monte
(oggi via Monte Napoleone), deve il curioso nome all'animosità delle discussioni che
vi si svolgevano che metaforicamente venivano descritte "come se si facesse a
pugni”.
L'animosità era l’espressione di contrasti di tipo ideologico, metodologico, politico
religioso e sociologico
In seno all'accademia fu fondata la rivista “Il Caffè”, pubblicato dal giugno 1764 al
maggio 1766 come foglio illuminista.
Si chiamava il caffè perché:
1) Nel 1700 si stavano diffondendo i caffè, cioè i bar e si discuteva di una serie di
cose
2) Per le proprietà risvegliative che ha questa bevanda
Questo periodico critica l'antico diritto romano, che non può più essere un diritto
applicabile a quel tempo.
Ad esempio, furono fatte diverse osservazioni sui fedi commessi: in uno scritto si
critica l’istituto dei fedi commessi e ne si chiede l'abolizione (il fedecommesso è un
istituto dell'antica Roma in virtù del quale un patrimonio di un casale nobiliare
doveva rimanere integro e trasmesso al primogenito maschio in toto.
PIETRO VERRI
• Nell’articolo intitolato «Sulla interpretazione delle leggi», pubblicato nel 1765 sul
periodico «Il Caffè», richiama il pensiero di Montesquieu, distinguendo nettamente
tra il ruolo della legge, considerata come «ordine pubblico del Sovrano che obbliga le
azioni de’ sudditi generalmente», e quello del giudice che dev’essere «servo della
legge e mero esecutore di essa letteralmente».
I giusdicenti devono diventare «servili esecutori».
ALESSANDRO VERRI
Impostazione giuridica più marcata rispetto a quella del fratello maggiore Pietro, con
il quale scrisse un ricchissimo carteggio, il più ampio e importante del Settecento.
• Nell’articolo intitolato Ragionamento sulle leggi civili, pubblicazione di carattere
giuridico apparsa su «Il Caffè» nel 1765, rilevava la mancanza di certezza del diritto
nell’ambito del coevo sistema di diritto comune, per superare la quale era necessario
«sostituire alle questioni le leggi, alla interpretazione la ininterpretabil lor chiarezza,
ai dubbi gli assiomi, alla molteplicità la concisione (…)», in nome della
semplificazione e della chiarezza legislativa (idea del superamento del vecchio diritto
comune).
CESARE BECCARIA
• Autore del breve ma famosissimo trattato “Dei delitti e delle pene” (1764),
manifesto del movimento di riforma del diritto penale settecentesco, che lo rese
celebre in tutta Europa.
L’opera, pubblicata anonima a Livorno nel 1764 (un «libricino» di 47 paragrafi come
lo definirà Manzoni), ebbe un immediato e vasto successo su scala internazionale. In
poche, fitte pagine Beccaria condensa le istanze illuministiche che reclamavano una
profonda riforma del diritto e del processo penale.
I principi sui quali si fonda Beccaria sono i seguenti:
1) Principio di presunzione di innocenza («Un uomo non si può chiamare reo
prima della sentenza del giudice», § XVI).
Il magistrato deve quindi verificare di volta in volta la conformità del fatto alle
prescrizioni legislative e deve accertare l’effettiva colpevolezza dell’imputato.
2) Concezione utilitaristica del diritto penale: la pena dev’essere volta alla difesa
della società con scopo di prevenzione generale e speciale (la PENA deve
svolgere una FUNZIONE DI DIFESA SOCIALE).
3) Principio di legalità del reato e della pena
4) Abolizione della tortura giudiziaria, delle pene inutilmente crudeli e della pena
di morte, frequentemente utilizzate nel processo penale di antico regime.
Sulla tortura giudiziaria, cui si ricorreva ampiamente nella fase istruttoria del
processo.
La tortura giudiziaria è, secondo l’Autore, più che uno strumento giudiziario
per ottenere la confessione di fatto un’afflizione irrogata all’imputato non
ancora riconosciuto responsabile dell’atto illecito e si risolve, quindi, in una
pena anticipata.
Inutilità della tortura giudiziaria: sottoposto ai tormenti chiunque confessa
qualunque cosa.
5) Principio di proporzionalità della pena, che dev’essere mite ma certa e uguale
per tutti i consociati.
Il sistema di reati dev’essere strutturato secondo la gravità del fatto in ordine al
pericolo sociale.
Le leggi penali devono essere chiare, concise, scritte in un codice snello nella
lingua nazionale.
• La codificazione è, per Beccaria, la conditio sine qua non per prevenire gli abusi
giudiziari: una legislazione chiara, certa, priva di oscurità linguistiche costituisce la
miglior tutela del cittadino contro l’arbitrio giudiziario perché la certezza del diritto
elimina l’arbitrio dei giudici, impedendo, per richiamare Montesquieu, lo
sconfinamento del potere giudiziario nel campo del potere legislativo.
• Abolizione della pena di morte, richiesta nel paragrafo XVI: le concezioni
umanitarie si sommano a quelle utilitaristiche
L’inefficacia dissuasiva della pena capitale discende dalle reiterate esibizioni del
supplizio che impressionano sul momento, ma non suscitano nessun effetto realmente
preventivo.
Al fine della prevenzione dei delitti risulta più efficace l’estensione della pena nel
tempo che non la sua intensità.
Distoglie molto di più dalla volontà di commettere reati l’idea dei lavori forzati
perpetui.
• Beccaria sviluppa tre argomenti abolizionisti riguardanti la pena di morte:
1. la pena di morte non ha fondamento giuridico perché non trova fondamento nel
contratto sociale (argomento contrattualistico di origine giusnaturalistica);
2. la pena di morte non è né utile (sicuramente meno utile della detenzione perpetua)
né necessaria salvo in due casi (anarchia; quando sia l’unico rimedio) (argomento
utilitaristico);
3. la pena di morte è inumana, viola il diritto alla vita (argomento morale).
L’ETA DELLE RIFORME
3)LE CODIFICAZIONI
3.1) LE CODIFICAZIONI
Il frutto più maturo degli anni napoleonici fu la codificazione del diritto privato,
penale e processuale.
Solo con l'impresa dei 5 codici voluti da Napoleone e varati tra il 1804 e il 1810
siamo in presenza di un tessuto legislativo disegnato al fine di coprire in modo
esclusivo tutti i principali settori dell'ordinamento tradizionalmente disciplinati dal
diritto comune e dai diritti locali.
I codici di Napoleone sono cinque:
• Codice civile (1804)
• Codice di procedura civile (1806)
• Codice di commercio (1807)
• Codice di procedura penale (1808)
• Codice penale (1810)
3.2) IL CODICE CIVILE
Tra i codici il più rilevante è il Codice civile che costituisce uno dei massimi
monumenti legislativi della Francia e dell’Europa moderna.
La sua genesi non va ricondotta soltanto né principalmente a Napoleone, il quale pure
fu determinante nell'imporre che il progetto giungesse a compimento bensì
all'indirizzo di politica del diritto che si manifestarono prima ma soprattutto dopo la
crisi di termidoro.
L'iniziativa per la composizione di un Codice civile fu avviata nel culmine del
periodo giacobino e il progetto venne affidato ad un giurista di nome
cambaceres il quale fu autore di tre progetti:
1) Il progetto del 1793 disegnava in 719 articoli l'intero campo del diritto civile
lottando una classica tripartizione di ascendenza gaiana: persone e famiglia,
beni, contratti.
Le scelte erano coerenti con quelle liberali e permissive della rivoluzione,
abolitive della patria potestà e della patria maritale e agevolanti le procedure e i
tempi del divorzio limitative quanto alla quota disponibile nelle successioni
con equiparazione dei figli naturali e legittimi.
Tale progetto venne criticato per essere troppo giuridico e troppo poco
filosofico.
2) Nel novembre 1793 la convenzione aveva incaricato una commissione di sei
filosofi di semplificare drasticamente la struttura del codice ma accaduto
Robespierre una nuova convenzione riprese l'iniziativa è autore del testo fu
ancora Cambaceres il quale in poche settimane presentò un codice di appena
297 articoli redatto in forma di brevi aforismi; era un e esperimento di codice
di princìpi di grande interesse dal punto di vista del metodo che nei contenuti
rispecchiava ancora l'ideologia rivoluzionaria.
Al centro del suo disegno stava al singolo individuo, cioè la persona padrona di
sé stessa padrona dei propri beni padrona di disporne nel proprio interesse
libera anche dai vincoli della patria potestà.
Questa volta le critiche dell'assemblea si appuntarono sull'eccessiva sinteticità
del testo ma aldilà di questo c'era il fatto sostanziale del mutamento politico
seguito alla caduta di Robespierre che rendeva improponibile un codice
ispirato a un'ideologia ormai in crisi.
3) Il passo successivo fu compiuto due anni più tardi quando nel nuovo assetto
costituzionale dell'anno terzo la reazione anti giacobina si manifestava ormai
con forza e con essa andava crescendo la critica ad alcune scelte libertarie del
periodo rivoluzionario.
Fu sempre Cambaceres a redigere 1/3 progetto di Codice civile composto di
1104 articoli nel quale tra l'altro il divorzio veniva circoscritto, la patria potestà
tornava ad affacciarsi e connessa al potere di amministrare i beni della moglie i
diritti successori dei figli naturali erano fortemente ridotti rispetto a quelli
spettanti e legittimi.
Neppure questo progetto considerato ancora troppo vicino alle soluzioni
giacobine giunse però a buon fine.
È caratteristico il fatto che un giurista che diverrà più tardi protagonista della
codificazione civile napoleonica, il Portalis, auspicasse nel 1797 il recupero del
diritto romano e della tradizione antica nel diritto privato respingendo l'idea
della codificazione; lo stesso redigeva in questi anni un saggio sugli usi e abusi
dello spirito filosofico nel diritto ove l'accento è posto proprio sugli abusi.
Anche Jeremy Bentham sosteneva che il legislatore doveva promuovere con i
suoi precetti l'utilità individuale e collettiva anche mediante la previsione di
incentivi e di sanzioni.
È in questo nuovo contesto che nel 1798 una nuova commissione per la
redazione del Codice civile venne nominata dal direttorio presieduta da
Jacqueminot frattanto si moltiplicavano anche i progetti privati di codice.
All'avvento del consolato nel dicembre del 1799 a Jacqueminot fu rinnovato
l'incarico dell'anno precedente e poco più tardi un progetto di 900 articoli
venne da lui presentato al Consiglio dei 500 limitato però ha il diritto di
famiglia, alle successioni e alle donazioni; le nuove tendenze post termidoriana
sono ben presenti ci sono sensibili limitazioni al divorzio nonché la
reintroduzione del testamento quale strumento che indurrebbe i figli alla virtù
secondo le idee di Bentham e l'aumento della quota disponibile nonché la
negazione della capacità d'agire per la donna ma neanche in questa occasione si
giunse all'approvazione parlamentare ma un confronto con il codice civile che
vedrà la luce quattro anni più tardi rivela che molti degli articoli del progetto vi
saranno recepiti senza variazioni.
2)Italia
Dopo l’unità adottò per la magistratura lo stesso criterio scelto per la codificazione e
per l’amministrazione: la Legge sull’ordinamento giudiziario (1865) fu utilizzata per
la gestione della Magistratura estendendo così il modello piemontese ispirato al
modello francese.
L’ingresso alla magistratura avveniva per tappe con un primo concorso, seguito da un
anno di uditorato, da un secondo esame per la nomina di pretore e da un terzo esame
per diventare aggiunto giudiziario.
La nomina della commissione spettava al ministro per la giustizia.
Dopo il 1860 si ebbe un vasto reclutamento di nuovi giudici insieme con
l’Epurazione dei giudici degli stati preunitari: si ebbe un vasto reclutamento di nuovi
giudici e un allontanamento dalla carica (epurazione) di molti giudici considerati
ostili al nuovo ordine che prevedeva una centralizzazione nella carriera dei magistrati
come già prevedeva lo statuto Albertino che aveva previsto che i giudici nominati dal
re sono inamovibili per tre anni di esercizio.
L’Inamovibilità dei giudici: conferma il ruolo decisionale e gestionale del governo.
3)Germania
L’accesso alla magistratura: la legge del 1877(Legge federale sull’ordinamento
giudiziario) stabiliva che per diventare giudici bisognava aver studiato per tre anni
presso l'università e solo dopo aver superato un esame di stato si acquistava la
qualifica di referendario: successivamente era previsto un tirocinio retribuito di tre
anni presso tribunali e presso studi professionali di avvocato al termine dei quali si
doveva affrontare un secondo esame di stato che prevede 9 prove scritte.
Chi lo supera consegue la qualifica di assessore ed è giurista completa.
L'assunzione alla magistratura avviene sulla base dei posti disponibili di regola
seguendo la graduatoria di merito con la quale si conclude il secondo esame di Stato
ma il secondo esame di Stato apre contemporaneamente anche la via all'esercizio
dell'avvocatura per coloro che non siano stati assunti nella magistratura e per coloro
che non intendano diventare giudici pur essendo collocati in posizione elevata nella
graduatoria per l'assessorato.
La formazione comune in Germania non è solo la formazione universitaria ma anche
quella pratica che dura un intero triennio e che impone tanto ai futuri giudici quanto
ai futuri avvocati un tirocinio presso entrambi i rami del mondo forense.
4)Inghilterra
L'avvocatura ha mantenuto il suo carattere bifronte con le funzioni attribuite ai
solleciti nella rappresentanza delle parti e le funzioni di difesa appannaggio della
ristretta categoria dei barristers operanti presso le quattro storiche ins of court di
Londra: i giudici delle corti centrali hanno continuato ad essere scelti dal re tra i
barrister di grande prestigio ovvero un piccolo gruppo di giuristi di alto profilo
universalmente rispettati e generosamente retribuiti.
7.2) AVVOCATURA
1)Francia
La Restaurazione stabilì un dualismo tra due professioni forensi destinato a durare
per un secolo:
-gli avoues esercitavano la funzione tradizionale dei procuratori rappresentando la
parte in giudizio e venivano riconosciuti come una professione distinta con il diritto
di disegnare il successore.
L’intreccio delle funzioni di difesa e di rappresentanza fu intricato da chiedere
l'organizzazione degli ordini.
Per gli avvocati, l'organizzazione degli ordini fu disciplinata secondo il modello
tipico di quello di Parigi ma in ciascun ordine il consiglio di disciplina virgola che
aveva il potere di ammettere ed escludere i propri membri venne strutturato
chiamando a farne parte gli avvocati con maggiore anzianità e attribuendoli il
compito di eleggere il presidente dell'ordine, due funzioni che la legge napoleonica
aveva invece attribuito al procuratore generale.
Il ruolo dello Stato nel governo dell'avvocatura si può misurare da alcuni elementi
significativi:
-è indicativo il fatto che le riforme le normative di governo degli ordini sono state
costantemente disposte attraverso lo strumento legislativo o regolamentare, non con
regolamentazioni autonome
-sulle decisioni di ammissione o di espulsione da parte dei consigli di disciplina la
magistratura mantenne il potere di intervenire in appello
-i vincoli alla libertà di opinione e di condotta politica dell'avvocatura vennero nel
tempo superato in concomitanza con il ruolo sempre crescente esercitato dagli
avvocati nelle funzioni parlamentari e ministeriali
-mentre nella formula del giuramento all'atto dell'ingresso nella professione si esigeva
anche l'impegno di essere fedeli al re questo riferimento fu eliminato nel 1848 e
venne poi sostituito con la menzione delle autorità dello Stato francese sino a
giungere alla formula attuale che semplicemente vincola l’avvocato ad esercitare la
difesa con dignità, coscienza, indipendenza, probità e umanità
2)Germania
Vigeva il binomio tra avvocati e procuratori in Prussia di Federico II dove i
commissari di giustizia svolgevano le due funzioni di difesa in veste di funzionari
scelti e nominati dal governo.
Vigeva il numero chiuso per i difensori e le tariffe stabilite dallo Stato.
Gli avvocati avevano uno Status impiegatizio, infatti, dovevano obbedienza al
governo e non godevano né di autonomia né di indipendenza.
Si formarono in Prussia i Consigli onorari nati per iniziativa spontanea degli avvocati
e dotati di funzioni disciplinari e regolamentari per poi giungere alla creazione
dell'Associazione nazionale dell’avvocatura (1871) ed il numero chiuso fu totalmente
abbandonato.
Gli avvocati ottennero la Liberalizzazione dell’esercizio della professione forense
(1878), l’unificazione voi delle funzioni di difesa e di quelle di rappresentanza, la
libertà di associazione.
Il controllo delle delibere dei consigli dell'ordine degli avvocati spettava ancora alla
magistratura e l'accesso alla professione era disciplinato nella forma di un doppio
esame di Stato e di un tirocinio giudiziario e professionale organizzato dopo
l'università.
3)Inghilterra
Dualismo tra solicitors e barristers
4)Italia
a) Nella Restaurazione il regime dell'avvocatura risulta differenziato nei diversi stati.
Esiste sempre il binomio avvocati e procuratori ad eccezione del Lombardo-Veneto
dove il Regolamento processuale austriaco del 1815 unificò le due categorie.
Le due funzioni di avvocato e di procuratore nel Regno delle due Sicilie potevano
venir cumulate mentre in Toscana e procuratori erano abilitati anche alla difesa.
b) Unità
Dopo l'Unità nazionale si mantiene la distinzione tra avvocati e procuratori, ma è
consentito il cumulo delle funzioni ed era ammessa inoltre l'iscrizione contestuale ad
entrambi gli ordini.
Organi degli ordini: ciascuno dei due organi eleggeva i propri Consigli, i quali a loro
volta eleggevano il presidente e i membri del Consiglio di disciplina.
Le deliberazioni disciplinari erano impugnabili davanti alla locale Corte di Appello.
7.3) NOTARIATO
La terza classica professione mantenne in Europa molti dei caratteri tradizionali che
si erano cristallizzati in modo differenziato nei diversi paesi:
-In Francia erano stati l’Assemblea costituente prima, l'intervento napoleonico più
tardi, ad unificare sul territorio la figura del notaio pubblico; per accedere alla
professione si richiedevano sei anni di apprendistato mentre la disciplina interna era
affidata all'autogoverno delle camere notarili e solo le sanzioni più gravi erano di
competenza del tribunale.
-La Germania mantenne una pluralità di figure professionali che risaliva al dualismo
medievale tra notai imperiali e notai ecclesiastici.
-Nell'Italia della restaurazione diversi stati mantennero l'impostazione tradizionale del
notariato pubblico che aveva ricevuto riconoscimento e disciplina legislativa negli
anni napoleonici.
L'unificazione normativa avvenne per tappe dopo il 1860 e a partire da quell'anno si
richiese per l'accesso al notariato la laurea in giurisprudenza frattanto una linea
adottata dal notariato con determinazione portò alla contrazione dell'organico che dai
7000 notai degli anni postunitari ridusse i notai almeno di 5000.
8) LA DOTTRINA GIURIDICA TRA I DUE SECOLI
8.1) LA PANDETTISTICA: WINDSCHEID
Dalla scuola storica dei primi dell’Ottocento, si sviluppa nella seconda parte del
secolo una nuova dottrina tedesca, che prende il nome di Pandettistica.
Definizione di Pandettistica: elaborazione rigorosa del sistema di diritto privato
fondata sul diritto romano attuale.
La scuola pandettistica assume due dogmi fondamentali:
1) la sacralità della proprietà privata;
2) la signoria della volontà dell'individuo
I membri di questa scuola, nell'applicare le tesi della Scuola Storica, decisero di
costruire il proprio sistema assumendo come materiale giuridico e sistematico quello
contenuto nel Corpus iuris Civilis di Giustiniano.
La riscoperta della fonte romanistica avvenne solo in parte per adesione alla
tradizione culturale germanica, ma in maggior misura perché il materiale della
compilazione romanistica nella sua ricchezza e completezza espositiva costituiva il
miglior testo possibile per attuare i propri esercizi sistematici.
Ciò che interessava questi giuristi fu, infatti, il sistema in sé e la possibilità che il
metodo concettuale dischiudeva verso una giurisprudenza costruttiva, tesa a generare
nuovi concetti, e quindi nuove regole, da concetti precedentemente inseriti nel
sistema (c.d. piramide sistematica).
In sintesi, in questa situazione ciò che si chiedeva allo studioso era avere una ferrea
padronanza della logica.
Sul pensiero di Savigny si fonda la corrente di pensiero scientifico che prende il
nome di Pandettistica, i cui esponenti sono:
1. Putcha (allievo di Savigny);
2. Brinz (autore di un fortunato manuale di Pandette);
3. Bernhard Windscheid (m. 1892).
L’idea di fondo della PANDETTISTICA è che l’ordinamento giuridico costituisca un
sistema completo, chiuso. Le eventuali lacune delle leggi non sono altro che lacune
del sistema, il quale ha sempre, nelle sue strutture logiche, i mezzi per colmarle.
Il giurista deve soltanto trovare la soluzione già presente nel sistema.
• La più grande creazione della Pandettistica è la teoria del negozio giuridico (non
presente nel diritto romano ma elaborata dai Pandettisti).
• In Germania la PANDETTISTICA ha preparato il BGB (approvato nel 1896 ed
entrato in vigore nel 1900), ha preparato l’unificazione del diritto privato mediante
l’elaborazione del BGB, il cui ordine della materia segue, in massima parte, il sistema
generale costruito da WINDSCHEID.
Da qui il famoso detto per cui il BGB altro non è che le “Pandette” di Windscheid
ridotte in paragrafi di legge.
Bernard Windscheid (1817-1892)
È il maggiore esponente della Pandettistica.
Nasce a Düsseldorf nel 1817.
Nel 1847 diventa professore a Basilea.
Scrive un manuale di diritto dal titolo «Pandette», edito più volte a partire dal 1862,
che compendia tutto il lavoro della Pandettistica.
Il metodo da lui seguito coniuga il rigore filologico e storico con l’intento
chiarificatore ai fini dell’applicazione pratica: il metodo consiste dunque nel fondare
le argomentazioni su una impalcatura concettuale che si richiama direttamente ai testi
romani.
Nel 1881 è chiamato a far parte della commissione incaricata di elaborare il Codice
civile.
Joseph Unger (1828-1913)
Contribuì con tesi innovatrici tra le quali la validità del contratto a favore di un terzo
e riflessioni sulla responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
Jhering
Professore in varie università tedesche e all’università di Vienna.
Scrive alcune opere importanti: La lotta per il diritto (1872), ove sostiene la tesi che,
per affermarsi, il diritto abbia bisogno di energie e di battaglie dei soggetti coinvolti,
dirette a farlo trionfare, e Serio e faceto nella giurisprudenza (1884).
Ne Lo spirito del diritto romano (1852), opera giovanile ma non meno importante,
mostra ciò che di permanentemente valido si può trarre dal pensiero dei grandi
giuristi dell’antica Roma.
Nel periodo della maturità prende le distanze dai pandettisti, in primis Windscheid
(che pure era uno dei suoi migliori amici).
Il diritto, secondo Jhering, non è una mera trama di categorie e di concetti, ma uno
strumento che permette di raggiungere risultati concreti nella vita di relazione.
L’individuo, così come lo Stato e le istituzioni pubbliche, lo usa per raggiungere
determinate finalità.
Ciò che conta nel diritto è dunque lo scopo: Lo scopo nel diritto (1877-1883), 2
volumi, è il titolo della sua opera della piena maturità.
La sua critica alla «giurisprudenza dei concetti» (Pandettistica) ha influenzato
profondamente le dottrine giuridiche del Novecento, ed in particolare l’indirizzo che
Philip Heck chiamerà «giurisprudenza degli interessi».
Otto von Gierke (1841-1921)
Professore a Heidelberg e a Berlino, è uno dei massimi giuristi dell’Ottocento.
Scrive un’immane opera sull’evoluzione del diritto delle associazioni dal mondo
antico al medioevo, fino alle dottrine giusnaturalistiche del Seicento.
La critica al BGB si basa sul rilievo che in esso la fedeltà al modello romanistico,
tipica della Pandettistica, non valorizza i profili essenziali dell’idea associativa.
Secondo Gierke occorre invece evidenziare il compito sociale del diritto: questa tesi
viene illustrata soprattutto nel suo Trattato di diritto privato, rimasto incompiuto.
L’idea associativa è, per questo autore, estremamente importante e comporta, nel
campo del diritto privato, una serie di conseguenze come, ad esempio, una disciplina
del rapporto di lavoro fondata sul concetto che lavoratori e datore di lavoro formano
una vera e propria comunità con diritti e doveri reciproci.
8.2) IL DIRITTO PUBBLICO
Le basi per l'elaborazione delle moderne dottrine di diritto pubblico sono state poste
nel secondo '800 principalmente da tre professori universitari tedeschi.
1)Carl Friedrich Gerber (1823-1891)
-Aveva scritto un opera di diritto privato che aveva l’ambizione di superare il
contrasto tra i romanisti e i germanisti incentrando l’intero sistema concettuale del
diritto privato sulla nozione di volontà della persona
-Estese al diritto pubblico la sua impostazione dapprima ponendo in rilievo il ruolo
dell’individuo e del popolo nella formazione della volontà dello Stato adottando poi
nel suo testo di diritto pubblico la concezione dello Stato come persona giuridica alla
quale egli poteva così attribuire una volontà che si manifesta attraverso lo Stato
medesimo.
-Enunciava una dottrina oggettiva sullo Stato che non necessita di un rapporto diretto
con la società civile: lo stato ha in sé stesso la propria fonte autoritativa
-Nasce la concezione statualistica del diritto pubblico che dominerà la scienza
giuridica non solo tedesca sino al pieno Novecento
2)) Paul Laband (1838-1918)
-Formulò nel 1870 la distinzione tra leggi in senso formale e leggi in senso materiale
sottolineando il carattere di provvedimenti specifici e politicamente orientati,
sprovvisti di generalità e astrattezza, che sono propri delle prime, quali appunto le
leggi annuali sul bilancio.
-Il compito del giurista consiste nell’elaborare i dati normativi esistenti secondo
rigorose categorie dogmatiche che rispondano alle regole della logica mentre i
presupposti e i dati storici e sociologici non hanno né debbono avere alcun spazio in
questa attività di concettualizzazione.
3)Jellinek
-A lui si deve la formula che assegna al diritto la funzione di garantire il minimo etico
in tal modo distinguendo ma non separando la sfera del diritto rispetto alla sfera della
morale.
-Nella monografia sui diritti pubblici soggettivi elaborò alcune tesi divenute
dominanti nella dottrina giuspubblicista: i rapporti tra stato e individuo vengono
classificati in quattro distinte categorie o status a seconda che siano in questione la
subordinazione del cittadino rispetto allo Stato rispetto allo Stato come nel rapporto
con la polizia ovvero i diritti di libertà ovvero le pretese avanzate dal cittadino verso
la pubblica amministrazione o infine la partecipazione attiva del cittadino alla vita
politica.
-La concezione che include nel diritto pubblico, con funzione normativa, anche
elementi fattuali non legislativi differenzia il pensiero di Jellinek rispetto
all’impostazione di Gerber e di Laband.
4)Dicey
Sintetizza in tre fondamentali principi la costituzione inglese:
1) .la sovranità del Parlamento (nessuna autorità può esserci al di sopra di questa è
sovrana)
2) .la supremazia del diritto (impone al governo il rispetto delle libertà personali)
3) .la costituzione convenzionale (il rispetto di prassi non formalizzate né di testi né
in decisione giudiziarie)
L’aspetto più significativo della costituzione britannica consiste dal fatto che non è
consegnata in un testo solenne e che si è formata attraverso decisioni giudiziali e con
l’approvazione di singole leggi di portata specifica e circoscritta.
8.3) ORLANDO
Vittorio Emanuele Orlando, giurista palermitano, ebbe il merito di fondare la
moderna scienza del diritto pubblico in Italia nel penultimo decennio del XIX secolo.
Professore, deputato e più volte ministro, Orlando svolse, dalla fine del XIX secolo
all’avvento del fascismo, importanti funzioni politiche nazionali e internazionali.
Alla base del suo pensiero c’è la nozione giuridica di Stato, che Orlando trae dalla
giuspubblicista tedesca.
Lo Stato era un’entità naturale, autonoma dalla politica cui veniva affidata la
funzione di consolidare l’identità della recente Unità nazionale.
I diritti fondamentali dei cittadini venivano quindi configurati, secondo Orlando,
come “autolimitazioni” della sovranità dello Stato, concessioni dello Stato.
Sostenne, inoltre, la compatibilità tra parlamentarismo e Stato di diritto: egli fu un
sostenitore del sistema parlamentare anche se sostenne che la sovranità del
parlamento era comunque circoscritta dalle regole dello Stato di diritto.
In questa prospettiva, secondo la costituzione palermitana i membri del parlamento
non rappresentavano soltanto i loro elettori bensì l’intera comunità nazionale inclusi i
ceti in cui non spettava il diritto di voto; il che consentiva tra l’altro di giustificare
l’opposizione nei confronti del suffragio universale considerato prematuro per
l’Italia.
Ribadì in più occasioni la supremazia del diritto rispetto alla legge asserendo che è la
legge a dover essere inquadrata nel sistema e nelle categorie del diritto e non
viceversa.
8.4) SANTI ROMANO
Allievo di Orlando fu un altro giurista siciliano, Santi Romano, professore
universitario a Pisa e Milano nonché presidente del Consiglio di Stato, studioso di
diritto costituzionale e diritto amministrativo tra i maggiori dell’Italia unita.
Anch’egli attinse alle dottrine dei maggiori giuspubblicisti tedeschi e su queste basi
sviluppò dottrine e teorie originali.
Lo scritto più famoso di Santi Romano è L’ordinamento giuridico (1917).
Secondo Romano l’elemento giuridico caratterizza ogni istituzione, intendo con
questo termine, ogni ente/struttura organizzato (“Ubi societas ibi ius”).
Lo Stato è, per Romano, la massima tra le istituzioni, ma non la sola: anche le chiese,
le organizzazioni private, anche addirittura le organizzazioni criminali possiedono il
carattere della giuridicità in quanto impongono ai propri membri una serie di
comportamenti.
8.5) IL DIRITTO AMMINISTRATIVO
La scienza del diritto amministrativo acquistò piena autonomia alla fine del XIX
secolo.
Otto Mayer, professore a Lipsia e a Strasburgo, è considerato il fondatore della
moderna dottrina giuridica del diritto amministrativo, non solo per la Germania.
Elaborò le categorie concettuali entro le quali inquadrare le svariate attività e
funzioni della pubblica amministrazione.
In Italia anche per il diritto amministrativo Vittorio Emanuele Orlando rivestì il ruolo
di fondatore, con il suo vasto Trattato di diritto amministrativo (10 volumi) del 1897,
che costituì da allora, per quasi un secolo, il principale strumento per ogni ricerca
sulla materia.
Oreste Ranelletti, professore a Napoli, Pavia e Milano, sviluppò nei suoi scritti una
serie di teorie volte a liberare lo Stato da una serie di vincoli derivanti da
un’estensione delle norme privatistiche.
Otto Mayer studioso del diritto amministrativo francese, egli indirizzò i suoi
contributi dottrinali ad un preciso obiettivo: volle disegnare le categorie sistematiche
e concettuali atte ad inquadrare le svariate attività e funzioni della pubblica
amministrazione con criteri rigorosamente giuridici.
L'attività dell'amministrazione pubblica poteva in tal modo venire giuridicamente
analizzata e anche monitorata con maggiore certezza (Trattato di Diritto
Amministrativo).
In contrasto con le posizioni di Laband, critiche nei confronti di un'autonoma
configurazione dottrinale del diritto amministrativo, Mayer ne sostenne con forti
argomenti la specificità.
In Italia Orlando rivestì un ruolo di fondatore.
La tutela del cittadino esigeva la sindacabilità degli atti amministrativi, perché il
rapporto tra Stato e cittadino era da ritenersi un rapporto tra due soggetti.
Federico Cammeo sviluppò una concezione del diritto amministrativo che intendeva
precisare i modi ed i limiti di discrezionalità della pubblica amministrazione a tutela
delle libertà dei singoli.
Oreste Ranelletti sviluppò una serie di teorizzazioni volte a liberare lo Stato da una
serie di vincoli e di pastoie derivanti da un'estensione diretta delle norme di origine
privatistica.
8.6) IL DIRITTO PENALE
Le dottrine penalistiche ebbero sviluppi importanti nel secondo Ottocento.
-In Germania: Karl Binding (1841-1920) Teoria normativa del diritto penale (la
violazione di un precetto della legge che vieta un determinato comportamento non
necessariamente comporta una condanna penale).
L'elemento intenzionale non è esplicitato nella norma che punisce il danneggiamento
di cosa altrui.
Si oppone all'inescusabilità dell’ignoranza del precetto penale non generalizzabile ed
offre una trattazione sistematica innovativa della parte speciale.
-In Italia alla scuola classica degli allievi di Francesco Carrara si contrappose,
nell'ultima parte dell'Ottocento, un diverso orientamento che prese il nome di Scuola
positiva.
Fondatore di questo nuovo indirizzo fu Cesare Lombroso (1835-1909)
L’uomo delinquente (1876): gli autori dei reati più gravi sono individui predisposti al
delitto perché affetti da tare fisiche congenite.
Enrico Ferri (1856-1929) Sociologia criminale (1884): i condizionamenti sociali
quale causa primaria della delinquenza.
Le due scuole si confrontarono per decenni, non solo in Italia, dove tuttavia la Scuola
Classica, rappresentata da giuristi quali Enrico Pessina e Vincenzo Manzini, ebbe la
meglio quanto meno in università.
Dalla tesi della Scuola classica si distaccava in Germania Franz von List: l'elemento
clinico-psichico e il fattore ambientale-sociale sono entrambi essenziali nel crimine;
distingue tre categorie di rei, il delinquente occasionale, rieducabile e inemendabile;
le pene devono essere calibrate diversamente per ciascuna di queste categorie. In
Italia fu profonda l'influenza del pensiero di Vincenzo Manzini: Trattato di diritto
penale (1908): lo Stato garante delle esigenze di sicurezza sociale e dell’individuo.
L'impostazione tecnico-giuridica è propria anche di Arturo Rocco, assertore della
necessità di elaborare nel campo penalistico "un complesso di principi giuridici
sistematicamente ordinati".
Si deve ricordare Tommaso Nani, professore a Pavia, ma soprattutto la Scuola
toscana: a Pisa insegnò, a partire dal 1790, Giovanni Carmignani (1768-1847),
letterato oltre che giurista; Francesco Forti, magistrato fiorentino, ma va ricordato
soprattutto il lucchese Francesco Carrara (1805-1888), avvocato di fama e professore
a Pisa, che diede origine alla Scuola classica, oltre a contribuire alla preparazione del
Codice penale per il Canton Ticino del 1873.
In Italia si fronteggiano due scuole:
1. la Scuola classica di Francesco Carrara ed Enrico Pessina, erede della tradizione
liberale e illuministica di Beccaria, Filangieri e Romagnosi
La Scuola classica difendeva la libertà contro l’arbitrio punitivo, le garanzie di
legalità e la certezza del diritto e lottava per l’abolizione della pena di morte, per
riformare il processo penale in senso accusatorio e per migliorare le condizioni di
vita dei detenuti.
2.la Scuola positiva di Cesare Lombroso, Enrico Ferri e Raffaele Garofalo.
La Scuola positiva si batteva invece per la sicurezza e la difesa sociale, rovesciando il
garantismo illuministico: il delinquente era un essere antropologicamente diverso,
inferiore (il delitto è sintomo di anormalità), che doveva essere eliminato dal corpo
sociale in quanto irrecuperabile.
Le due scuole si contrappongono in merito alla definizione di scopi e limiti del diritto
penale.
In un primo tempo prevalse la Scuola classica, che influenzò, grazie al prestigio di
Francesco Carrara, l’elaborazione del Codice penale Zanardelli del 1889, un ottimo
codice di impianto liberale.
Il banditismo e il sovversivismo anarchico di fine secolo determinarono però una
massiccia legislazione poliziesca che, insieme al fascino di nuove scienze come
l’antropologia e la sociologia criminale, la medicina legale e la psicologia forense,
diedero grande spinta alla Scuola positiva, il cui fondatore fu Cesare Lombroso
(1835- 1909). Lombroso, medico e professore a Pavia e a Torino, espose nell’opera
L’uomo delinquente (1876) una teoria criminologica fondata sull’assunto che gli
autori dei reati più gravi sono individui predisposti al delitto perché affetti da tare
fisiche congenite.
Tra i seguaci di Lombroso Enrico Ferri, avvocato e uomo politico di idee socialiste
autore dell’opera Sociologia criminale (1884), e Raffaele Garofalo, magistrato
coinvolto nella prima fase di preparazione del Codice penale del 1889, crearono un
indirizzo diverso, che poneva l’accento sui condizionamenti sociali quale causa
primaria della delinquenza.
Questi autori insistevano soprattutto sulla denuncia delle discriminazioni sociali,
quindi del fattore ambientale-sociale, quali moventi della criminalità e sul ruolo
importante che doveva essere attribuito alla prevenzione per diminuire il numero dei
reati.
Vincenzo Manzini, penalista e professore universitario, autore del noto Trattato di
diritto penale (iniziato nel 1908 e riedito più volte sino agli Ottanta del Novecento),
respingendo le tesi della Scuola positiva, sottolineò l’importanza della legislazione
statale come unico strumento efficace per garantire la sicurezza sociale e individuale.
Manzini fu uno dei maggiori esponenti dell’indirizzo tecnico-giuridico, insieme ad
Arturo Rocco (fratello del ministro della giustizia Alfredo Rocco), il principale
artefice del Codice penale del 1930 (Codice Rocco).
Figura di primo piano della scienza criminalistica italiana, Manzini fornì un
contributo decisivo al consolidamento dell’indirizzo tecnico-giuridico, proposto
quale superamento della dicotomia ottocentesca tra Scuola classica e positiva.
Manzini rifiuta ogni forma di riflessione filosofica intorno al diritto, che, lungi
dall’essere di ausilio al giurista, lo allontana da quella base di dati certi e precisi, che
dev’essere il fondamento dell’indagine della scienza del diritto (Trattato di diritto
penale).
La legislazione penale statale è vista come l’unico strumento efficace in grado di
garantire la sicurezza sociale e individuale.
Questa concezione lo porta però a rinunciare a porsi il problema dei limiti del diritto
penale e di quali devono essere le sue garanzie, con esiti dottrinali contraddittori: si
pensi solo al fatto che Manzini, che in gioventù avversava la pena di morte, in età
matura finisce per sostenerla con decisione.
Importante contributo di Manzini all’elaborazione del Codice penale e del codice di
procedura penale del 1930.
8.7) CIVILISTI, COMMERCIALISTI, PROCESSUALISTI
-In Italia l’indirizzo dominante del pensiero giuridico civilistico fu quello nato dal
ricco patrimonio di concerti giuridici elaborato dai pandettisti della scuola
germanica:
1) Vittorio Scialoja
2) Emanuele Gianturco
• La dottrina civilistica italiana ebbe un ruolo di primo piano nell’ambito della
scienza giuridica italiana ottocentesca: inizialmente influenzata dalla Scuola
dell’Esegesi francese, verso la fine del XIX secolo si ispirò al metodo storico
sistematico della Pandettistica, con cui entrò in contatto grazie alla traduzione dal
tedesco all’italiano dei principali manuali tedeschi degli anni Settanta e Ottanta.
Nella prima metà dell’Ottocento il modello dominante in Italia fu quello dei
commentari degli esponenti della Scuola dell’Esegesi.
Nella seconda metà dell’Ottocento l’indirizzo dominante divenne quello della
Pandettistica tedesca.
Grande civilista di questo periodo fu Vittorio Scialoja, un romanista che tradusse gli
otto volumi dell’opera di Savigny Sistema del diritto romano attuale e contribuì a
diffondere, sulla scia della Pandettistica, alcune idee chiave che si contrapponevano
all’identificazione positivistica del diritto con la legge
Non mancarono, peraltro, delle voci dissonanti rispetto ai dogmi della Pandettistica:
Emanuele Gianturco (1857- 1907) sul finire dell’Ottocento criticò l’ipocrisia di una
concezione della libertà contrattuale apparentemente ignara della miserevole
condizione di braccianti e operai (gli strati più bassi della società).
-Nel diritto commerciale si affermò, alla fine del XIX secolo, il pensiero di Cesare
Vivante (1855-1944), che per quarant’anni dominò la scena del diritto commerciale
italiano.
Avvocato e professore in diverse Università (Parma, Bologna, Roma), Vivante si
occupò in un primo tempo di un tema all’epoca di grande attualità, quello delle
assicurazioni, scrivendo un’opera in tre volumi, intitolata Contratto di assicurazione.
Vivante sin dal 1888 propugnò l’unificazione del diritto delle obbligazioni,
suggerendo di superare la dicotomia tra il Codice civile ed il codice di commercio.
Aspre critiche di Vivante al codice di commercio del 1882 (Codice Mancini).
Dal 1893 Vivante iniziò la pubblicazione del Trattato di diritto commerciale, che
restò il testo più autorevole in materia per diversi decenni (nel 1922 uscì la quinta
edizione) in quanto rappresentò la prima ampia esposizione del diritto commerciale
italiano.
Nel suo Trattato di diritto commerciale Vivante espresse la fondamentale concezione
secondo la quale la costruzione giuridica del diritto commerciale deve tenere in
massimo conto la realtà, basarsi sul «diritto che viene su dalle cose», ossia sulle
esigenze dell’economia.
Vivante ebbe una grande abilità nel coniugare, nella materia commercialistica, teoria
e prassi.
Nel suo Trattato di diritto commerciale propugnava l’idea di un codice unico per il
diritto civile e il diritto commerciale.
In Germania
Levin Goldschmidt (1828-1897) e Heinrich Thöl (1806-1884): influenzano i Codici
del 1861 e del 1900.
Josef Kohler (1849-1919) padre della proprietà intellettuale e concorrenza.
- Dottrine processualistiche:
In Germania
Oscar Bülow (1837-1907): enunciò una teoria che concepiva il processo civile come
rapporto giuridico triangolare tra le due parti in lite e il giudice nel quale le parti
hanno il diritto di ottenere dal giudice, con la sentenza, il riconoscimento del proprio
diritto; un rapporto di natura pubblicistica che s’innesta nello schema dei diritti
pubblici soggettivi.
Adolf Wach (1843-1926): studia il processo esecutivo italiano dell’età comunale e il
rapporto di diritto pubblico proprio del processo civile comporta l’accertamento di
uno status con l’azione di accertamento. Sottolinea l’importanza dell’oralità nel
processo in contrapposizione con tradizione della forma scritta propria del processo
romano-canonico del diritto comune.
In Italia si affermò il pensiero di Ludovico Mortara (1855-1936), avvocato
mantovano e professore universitario, nonché magistrato di Cassazione.
Scrisse un ampio Commentario al Codice di procedura civile (5 volumi pubblicati tra
il 1899 ed il 1909), in cui manifesta una concezione pubblicistica del processo civile.
All’inizio del Novecento si mise in luce Giuseppe Chiovenda (1872-1937),
professore e maestro di molti processualisti civili successivi. Suggerì l’importanza,
nel processo civile, dei principi dell’oralità, della concentrazione e
dell’immediatezza, considerati presupposti indispensabili per un processo che
assicuri l’accertamento corretto dei fatti e l’attuazione della giustizia nel caso
concreto.
Tali principi ispirarono il progetto di riforma del Codice di procedura civile, che
Chiovenda presentò nel 1919, che tuttavia non ebbe seguito.
8.8) ROMANISTI, MEDIEVISTI, ECCLESIATICISTI
- I romanisti
Lo studio del diritto romano proseguì nel secondo Ottocento e nel Novecento lungo
la direttrice indicata dalla Scuola storica (filone di studi storici inaugurato da
Savigny), con risultati sempre più esaurienti e analitici.
Si segnala la riscoperta delle Istituzioni di Gaio nel 1816 e la predisposizione, da
parte di Otto Lenel, di strumenti di lavoro per meglio comprendere i testi romanistici.
Teodoro Mommsen (1817-1903) predispose l’edizione del Digesto e del Codice
teodosiano [Codex theodosianus: una raccolta ufficiale di costituzioni imperiali
voluta dall‘imperatore romano d‘Oriente Teodosio II (408-450) ed entrata in vigore
nell’Impero romano d’Oriente e d’Occidente nel 439 d.C.], sulla quale gli studiosi
lavorano ancora oggi, oltre a produrre fondamentali opere sulla storia, il diritto
pubblico ed il diritto penale della Roma antica.
In Inghilterra
Henry Sumner Maine (1822-1888): delinea un ciclo storico costante presso le società
primitive
In Spagna si studia l’evoluzione del diritto nella penisola iberica
In Italia Vittorio Scialoja (1856-1933) Pietro Bonfante (1864-1932) Contardo Ferrini
(1859-1902) Silvio Perozzi (1857-1931)
-Medievisti:
In Germania 1) Otto von Gierke, Georg Waitz, Julius Ficker, Henrich Brunner,
Konrad Maurer, Ernst Mayer, Felix Liebermann, Josef Kohler, Adolf Wach, Max
Conrat-Cohn, Hermann Fitting, Emil Seckel, Levin Goldschmidt 2) Monumenta
Germaniae Historica In Francia Fustel de Coulanges, Jacques Flach, Paul Viollet In
Italia Antonio Pertile (1830-1895) Francesco Schupfer (1833-1925) Nino Tamassia
(1860-1931) Arrigo Solmi (1873-1944) Federico Patetta (1867-1945) Francesco
Brandileone (1858-1929)
In Inghilterra Frederic Maitland (1850-1906)
-Ecclesiastici:
In Germania Johann Friedrich von Schulte, Paul Hinschius, Rudolf Sohm
In Italia Francesco Ruffini (1863-1934)
8.9) TEORICI E SOCIOLOGI DEL DIRITTO
Verso la fine dell'Ottocento la reazione all'atteggiamento di esclusivo aggancio al
dato legislativo si fece sentire in modo crescente.
Un ruolo significativo fu svolto in Francia dal civilista Marcel Planiol autore di un
innovatore trattato di diritto civile nel quale veniva valorizzato il ruolo della
giurisprudenza che considerava una vera fonte del diritto: attraverso le pronunce dei
giudici, condivise da altri giudici e perciò consolidate, la giurisprudenza è da ritenere
la creatrice di segmenti fondamentali della consuetudine.
Altre voci originali debbono essere menzionate per la Francia come Émile Durkheim
che si pose la domanda stimolante di come sia possibile che, pur diventando più
autonomo, l'individuo dipenda sempre più strettamente dalla società e rispose
indicando nel diritto la struttura che assicura ad un tempo la solidarietà e la tutela
dell'individuo, nelle diverse forme che il diritto può assumere quanto alla sanzione e
quanto alla incentivazione dei diversi comportamenti.
Leon Duguit si fece sostenitore di una concezione del diritto pubblico risolutamente
realista respingendo come metafisiche sia la tesi della sovranità statale senza limiti
sia quella dello Stato come persona giuridica e considerò invece lo stato autorità
semplicemente come un gruppo di individui incaricati di svolgere funzioni specifiche
al servizio e sotto il controllo dei cittadini; in tal senso diede forte rilievo alle finalità
di carattere sociale e disegnò le linee delle trasformazioni auspicabili sia nel diritto
privato che nel diritto pubblico.
Tra i giuristi che operarono tra i due secoli, Raymond Saleilles, si segnala per una
serie di caratteristiche che rendono assai peculiare la sua figura nel panorama della
cultura giuridica francese europea fu infatti colui che più di ogni altro si aprì alla
conoscenza della cultura giuridica dell’Europa del tempo e soprattutto della
Germania e tradusse in francese e studiò i progetti del codice civile tedesco
accompagnando lo studio con ricerche originali e innovative sul diritto delle
obbligazioni in cui tra l'altro sostenne la tesi sino all'ora respinta dai più dalla
responsabilità oggettiva come presupposto per il risarcimento degli infortuni sul
lavoro.
Nel campo penale lascia un segno durevole con l'opera in cui sostenne il principio
della individualizzazione della pena, una tesi fondata sull'esigenza di commisurare la
condanna penale alla personalità e alla situazione individuale del reo; manifestò
inoltre un atteggiamento tutt'altro che incline alla mera esegesi infatti pur non
rinnegando affatto l'esigenza della codificazione non solo si batté per una riforma che
correggesse i tratti ormai obsoleti il codice Napoleone ma rivendico la libertà di
movimento del giurista pur nel rispetto del principio di legalità.
Il ripensamento più approfondito e innovatore del sistema delle fonti del diritto
venne da un altro giurista francese Francois Geny il quale nel suo metodo di
interpretazione argomento con lucidità e dottrina all'insufficienza dell'impostazione
tradizionale che pretendeva di risolvere ogni questione di diritto mediante il ricorso
alle tecniche dell'esegesi dei testi legislativi a cominciare dal codice civile
ipotizzando una sorta di volontà implicita della legge anche per fattispecie e per
situazioni nuove e comunque estranee alle previsioni del legislatore.
Egli sottolinea come le inevitabili lacune che ogni testo legislativo lascia scoperte
dovessero venire colmate attraverso il ricorso a un duplice canale anzitutto attraverso
tu a fonte consuetudinaria presente in ogni ordinamento ed ineliminabile
manifestazione di vita della società; in secondo luogo attraverso la libera ricerca
scientifica cioè attingendo con l'analisi dottrinale tanto al mondo delle informazioni
sui fatti sociali quanto alla sfera delle idee e dei valori di giustizia; questa
impostazione viene ulteriormente approfondita nell'opera scienza e tecnica nel diritto
privato distinta da ciò che è invece semplicemente costruito attraverso la
formalizzazione tecnica dell'attività legislativa nella stessa consuetudine, delle regole
date infatti in tal modo veniva denunciato con efficacia il rischio di ridurre il compito
dell'interprete e del giudice a un mero feticismo della legge.
Il rispetto della legge si deve accompagnare secondo Geny con la consapevolezza
che i mutamenti sociali e i valori della giustizia non possono essere estranei al lavoro
del giurista, nel suo necessario compito di interprete e di operatore, infatti, un ruolo
non meramente ricognitivo ma anche creativo.
In Germania e in Austria si svilupparono nei primi anni del 900 linee di pensiero
differenziate tra loro ma convergenti nel contestare l'impostazione logico sistematica
della pandettistica e della giurisprudenza dei concetti.
Ferdinand Tonnies elaborò una rappresentazione dei rapporti tra uomini che
distingueva tra le due forme della comunità e della società: da queste due forme
derivano due gruppi di istituti giuridici da una parte il diritto familiare e i diritti reali
mentre dall'altra i diritti individuali e le obbligazioni.
Al centro del pensiero di Eugen Ehrlich sta la tesi secondo la quale il diritto alla sua
base fondamentale non già nella legislazione e neppure nella giurisprudenza bensì
nell'ordinamento interno delle comunità umane, infatti, le norme che in tal modo si
formano spontaneamente costituiscono diritto indipendentemente dalla presenza di
strumenti di sanzione che ne garantiscano il rispetto.
Solo un sottile strato di norme di decisione approda allo strumento legislativo che
pertanto non deve essere sopravvalutato invece è compito essenziale della scienza del
diritto studiare il diritto vivente, il diritto che si rivela nei fatti e questo il compito di
una disciplina nuova alla quale egli per primo diede il nome di sociologia del diritto.
Contemporaneamente nasceva in Germania un vivace movimento di idee che venne
caratterizzato come il movimento per il diritto libero, infatti, punto centrale della
critica era la pretesa del legislatore di coprire l'intero campo del diritto privato
colmando con l'ausilio delle categorie logiche sistematiche ogni possibile lacuna.
8.10) IL POSITIVISMO GIURIDICO: APOGEO E CRISI
Col termine positivismo giuridico o giuspositivismo si intende quella dottrina di
filosofi del diritto, la quale considera come unico possibile diritto il diritto positivo,
prodotto dal legislatore.
La dottrina del giuspositivismo si presenta in opposizione a quella del
giusnaturalismo, tanto che Bobbio le ha chiamate "i due fratelli nemici".
La differenza consiste nel fatto che:
- il giuspositivismo è una concezione monista del diritto (riconosce un solo diritto),
che ritiene che il diritto positivo sia l'unico diritto degno di questo nome;
-il giusnaturalismo è una concezione dualista: sostiene, cioè, l'esistenza di due ordini
di diritto:
1.un diritto naturale: insieme di principi eterni e universali;
2.un diritto positivo che si trova in relazione subordinata: prodotto storico che
promana dalla volontà del legislatore.
Per i giusnaturalisti il diritto positivo, per essere valido, dev'essere giusto e quindi
conforme ai principi del diritto naturale:
- critica le tendenze meramente esegetiche
- metodo scientifico fondato sui dati sperimentali elaborati secondo categorie e leggi
dotate di interna coerenza.
- lo Stato come persona giuridica: è teorizzata la supremazia della legge, la quale è
una norma generale e astratta alla quale si fa ricorso per dirimere le controversie.
Non si tratta di un diritto giurisprudenziale: anzi, è un procedimento rigido in forza
del quale il giudice, che è la bocca della legge (Montesquieu), si limita ad applicare
la legge.
- oggetto di scienza è ciò che muove dai dati offerti dalla realtà del diritto.
- REAZIONE (Rudolf Stammler, Heinrich Rickert, Emil Lask): nel diritto
intervengono come componenti ineliminabili non solo i dati positivi ma anche
elementi che appartengono al pensiero e alla volontà.
Il positivismo giuridico ebbe larga diffusione in Europa nella fine dell’Ottocento, ma
anche negli inizi del Novecento esso occupò una fetta importante della cultura
giuridica.
9) IL NOVECENTO
DIRITTO E LEGISLAZIONE TRA LE DUE GUERRE
9.1) INTRODUZIONE
Il periodo compreso tra il 1865 e la Prima Guerra Mondiale è stato definito un
«cinquantennio senza riforme».
Molti progetti di legge, ma poche riforme concretamente attuate.
La «Grande guerra» (1914-1918) ha determinato importanti cambiamenti anche in
campo giuridico, trasformando l’intera società civile: le donne sono entrate a far
parte del mondo del lavoro ed un’intensa legislazione speciale e d’emergenza ha
affiancato la normativa codicistica, iniziando a segnarne la crisi.
Attentato di Sarajevo del 28 giugno 1914: scoppia la Prima Guerra Mondiale.
Periodo bellico: si sviluppa una legislazione di emergenza per far fronte alle
situazioni particolari createsi durante gli anni del primo conflitto mondiale.
Ad esempio, viene modificato l’istituto dell’assenza al fine di non lasciare in sospeso
per un arco temporale troppo lungo la situazione personale e patrimoniale delle
vedove dei numerosi militari dispersi in guerra.
Periodo bellico: le donne amministrano di fatto la vita familiare ed entrano in
maniera massiccia nel mondo del lavoro.
L. 17 luglio 1919 n. 1176: abrogazione dell’AUTORIZZAZIONE MARITALE
Furono introdotti dei limiti al diritto di proprietà fondiaria nelle zone di guerra
limitando al sesto grado di parentela la successione legittima e chiamando in causa lo
Stato in caso di successioni vacanti; fu modificato l'istituto dell'assenza allo scopo di
non lasciare in sospeso per lungo tempo la condizione patrimoniale e personale delle
vedove e dei familiari di militari dispersi in guerra; venne abolito l'istituto
dell'autorizzazione maritale per le donne.
Il diritto della chiesa cattolica aveva mantenuto le fonti tradizionali del Corpus iuris
canonici integrate con la normativa del Concilio di Trento e con quella del Concilio
vaticano del 1870.
Solo con l'ascesa al pontificato di Pio X nel 1904 si ha l'avvio ad una nuova iniziativa
di codificazione il Codex Iuris Canonici del 1917.
Con questo strumento, per la prima volta nella sua storia, la Chiesa riuniva tutte o
solo le leggi da osservare in quanto vigenti e rimase in vigore sino al 1983. (È da
sottolineare che nonostante l'entrata in vigore del Codex Iuris Canonici il diritto
divino aveva un maggior peso rispetto alla gerarchia normativa così anche la
consuetudine aveva la sua importanza persino prevaleva là dove fosse contraria al
Codice stesso se la consuetudine era operante da più di cent'anni e se il vescovo
locale ne riteneva utile l'osservanza.)
9.2) LE COSTITUZIONI DI WEIMAR E VIENNA
La costituzione di Weimar (1919) è un documento innovativo, che resta in vigore per
14 anni fino all’avvento del nazismo (1933):
- Prevede un Parlamento eletto a suffragio universale (Bundestag), dal quale dipende,
attraverso il voto di fiducia, il governo guidato dal cancelliere;
Al presidente della repubblica erano anche riconosciuti poteri eccezionali per casi di
emergenza.
Inoltre, a fianco della struttura statale erano previste le regioni (Lander),
rappresentate in una apposita camera rese meno diseguali con il ridimensionamento
della Prussia.
La costituzione dedicava tutta la seconda parte al riconoscimento dei diritti
fondamentali: diritti alla libertà personale e di espressione, libertà religiosa e di
associazione (con conseguenza riconoscimento dei partiti). Inoltre, nella stessa
figuravano principi di equità e giustizia sociale sui quali si fronteggiavano posizioni
diverse fra studiosi antipositivisti, che richiamavano la tradizione storica e il diritto
naturale come superiori alla stessa costituzione, e positivisti che invece difendevano
la legittimità della costituzione, che aveva ben rotto l'ordinamento del 1871, e
riconosciuta tra l'altro come effettiva dai cittadini.
Venne introdotta la Corte di giustizia con la funzione di arbitro per risolvere le
controversie fra Stato e regioni.
- Importante fu anche la Costituzione austriaca del 1920 elaborata grazie all'aiuto del
giurista di Vienna Hans Kelsen. Le peculiarità che presenta la costituzione di Vienna
sono:
1. il diritto internazionale come parte del diritto costituzionale
2. istituzione di una Corte di giustizia costituzionale che delibera sull'abrogazione di
leggi giudicate incostituzionali.
Istituisce, per la prima volta, una Corte di giustizia costituzionale abilitata a
deliberare l’abrogazione di leggi giudicate in contrasto con la Costituzione (art. 140).
9.3) IL DIRITTO DEL FASCISMO E I NUOVI CODICI
L'avvento del fascismo in Italia portò alla trasformazione dell'ordinamento
costituzionale anche se lo Statuto Albertino del 1848 rimase formalmente in vigore.
Col fascismo in Italia si instaurò un regime autocratico dove le libertà di stampa e di
associazione erano represse.
• L’evento sconvolgente rappresentato dalla Prima Guerra Mondiale costituisce la
spinta più forte all’avvio dell’opera di revisione del Codice civile del 1865, la cui
disciplina risultava ormai obsoleta e non al passo con i tempi.
• LA LEGISLAZIONE SPECIALE DEGLI ANNI DI GUERRA AVEVA IN PIÙ
OCCASIONI TOCCATO PROFONDAMENTE IL DIRITTO PRIVATO (SI PENSI
ALL’ABOLIZIONE DELL’AUTORIZZAZIONE MARITALE CON LA LEGGE N.
1176 DEL 17 LUGLIO 1919).
Il fascismo consentì il riconoscimento di un solo sindacato e di una sola associazione
padronale (L.563 del 1926) imponendo loro l'adesione al regime, la nomina e la
revoca dei ministri al re, al governo il potere di emanare norme giuridiche con valore
di legge e nel 1926, in luogo del sindaco, un podestà scelto dal governo.
• Le «leggi fascistissime» del 1925 e 1926 distruggono nei fatti il sistema politico
liberale, imponendo partito e sindacato unico, vietando sciopero e serrata
(penalmente sanzionati) ed eliminando le libertà politiche.
• 1926: viene istituito il «Tribunale speciale per la difesa dello Stato», destinato
sostanzialmente a reprimere il dissenso politico.
1926: a capo delle amministrazioni comunali subentra, al posto del sindaco, un
podestà, di nomina governativa (viene così eliminato il diritto di voto).
Trasformazioni in ambito universitario: nel 1931, su proposta di Giovanni Gentile,
viene imposto ai docenti il giuramento «di esercitare l’ufficio di insegnante e
adempiere tutti i doveri accademici col proposito di formare cittadini operosi, probi e
devoti alla patria e al regime fascista».
Francesco Ruffini, storico del diritto, coraggiosamente rifiuta.
• 1926: con l’avvio del corporativismo, il regime fascista pretende di inserirsi,
tramite le corporazioni, nell’attività produttiva, per fissarne rigidamente le regole al
fine di favorire l’economia «nazionale».
Sono vietati lo sciopero e la serrata, viene cancellata la libertà sindacale: è ammessa
una sola rappresentanza per lavoratori e datori di lavoro, quella delle corporazioni
fasciste, mentre gli altri sindacati, che pure sono lasciati in vita, sono di fatto tollerati
come associazioni ormai prive di potere; la soluzione delle controversie è demandata
ad appositi arbitri.
• Le corporazioni assumono anche un rilievo politico: nel 1928 il Consiglio nazionale
delle corporazioni, composto da rappresentanti degli imprenditori e dei lavoratori,
diventa l’organo di riferimento per l’attività produttiva.
Tra il 1926 ed il 1928 sono completamente trasformate le amministrazioni locali, che
da elettive diventano amministrazioni nominate dall’alto: le elezioni amministrative
sono abolite; il Comune è ora retto da un podestà (1926) e la Provincia da un preside
di nomina governativa (1928).
• Entrambe le cariche (podestà e preside) sono coadiuvate da assessori, anch’essi
nominati dal governo.
Nei vari settori della politica, il sistema elettivo, di impianto liberale, che consentiva
una diretta partecipazione del cittadino alla vita della comunità, viene sostituito da
scelte operate dall’alto.
L’unico partito ammesso viene a identificarsi con l’intera Nazione: premessa di ogni
regime totalitario. Questa operazione si perfeziona nel 1928, quando il Gran
Consiglio del Fascismo, organo del partito fascista dal 1922, diventa organo dello
Stato per espressa disposizione legislativa (legge 9 dicembre 1928)
• Nel 1927 la Carta del Lavoro scritta da Italo Balbo istituì le linee guida
dell'ordinamento corporativo; traccia le linee fondamentali dell’ordinamento
corporativo e può essere considerata il manifesto del fascismo in materia socio-
economica.
Si tratta di un documento complesso, che rappresenta un netto superamento delle
concezioni liberali in tema di rapporti di lavoro.
Prevede, infatti, un penetrante intervento dello Stato nei rapporti di lavoro.
• 1929: il fascismo riuscì a sanare il conflitto fra Stato e Chiesa, mettendo fine alla
«questione romana» aperta nel 1870, con i Patti lateranensi del 1929, con cui lo Stato
italiano riconosceva effetti civili al sacramento del matrimonio disciplinato dal diritto
canonico (art. 34).
I Patti lateranensi conferivano una posizione privilegiata alla Chiesa cattolica,
attribuendole una serie di privilegi: oltre che in materia di matrimonio, anche in
materia di insegnamento religioso e con la repressione del delitto di «vilipendio della
religione», intesa come religione cattolica, riconosciuta come «religione dello Stato»
(art. 1).
La codificazione del fascismo raggiunse il suo importante risultato nel 1930 con
l'approvazione dei due codici penalistici: il Codice penale e il codice di procedura
penale.
Il Codice penale (detto «Codice Rocco» per il contributo di Arturo Rocco, professore
di diritto penale, fratello del ministro della Giustizia Alfredo Rocco, noto professore
di diritto commerciale): pur conservando il principio di legalità ha un’impostazione
nel complesso repressiva ed autoritaria, criminalizza lo sciopero e introduce la
categoria dei delitti contro l’economia pubblica.
Il Codice penale era formato da tre libri e precisamente:
1. primo libro. Dei reati in generale
2. secondo libro. Dei delitti in particolare
3. terzo libro. Delle contravvenzioni in particolare
Il codice di procedura penale promosso da Alfredo Rocco: il progetto preliminare del
codice di procedura penale è redatto da Vincenzo Manzini, autore del noto Trattato di
diritto penale del 1930.
Nel complesso questo codice si adegua all’impostazione del Codice penale dello
stesso anno, risultando un codice di ispirazione autoritaria (esclusione del difensore
dalla fase istruttoria del processo, pur presentando elementi anche del sistema
accusatorio a seconda delle fasi del processo).
Dopo specifici cambiamenti derivanti dalla legislazione e dalle pronunce della Corte
costituzionale, nel 1989 è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale
basato sul sistema accusatorio.
La sua struttura:
Primo libro. Disposizioni generali
Secondo libro. Dell'istruzione
Terzo libro. Del giudizio
Quarto libro. Dell'esecuzione
Quinto libro. Dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere
Il Codice di procedura civile del 1940 (entrato in vigore, con il Codice civile,
nell’aprile 1942): conclude una stagione ventennale di progetti di riforma del codice
del 1865 (nei primi decenni del Novecento si succedono i progetti di riforma del
processo civile elaborati da Chiovenda, Mortara e Carnelutti, tra loro molto diversi).
Alla definizione del Codice di procedura civile del 1940, che introduce la figura del
giudice istruttore, contribuì Piero Calamandrei.
È un codice tuttora vigente, benché modificato in diversi punti.
Le novità sono:
• istituisce il giudice istruttore
• amplia i poteri del giudice
• vieta di impugnare i provvedimenti interlocutori
• limita la facoltà di portare nuove prove nel corso del processo
• al pubblico ministero viene affidata la funzione di tutela dell'interesse pubblico nel
processo civile.
• 1930: è pubblicato il progetto preliminare del libro I del codice (persone e
famiglia), cui collaborarono insigni giuristi, come Pietro Bonfante (professore di
diritto romano), che si occupò della parte sulla patria potestà (forte impronta
autoritaria conforme alla morale fascista). Padre = capo della famiglia; Moglie →
dovere di obbedienza verso il marito. La posizione di squilibrio fra i coniugi in Italia
sarà superata solo con la riforma del diritto di famiglia del 1975.
• 1939: entra in vigore il libro I del Codice civile (persone e famiglia).
• 1940: entra in vigore il libro II del Codice civile.
• 1939: discussione sulla codificazione commerciale; grazie soprattutto all’intervento
del civilista Filippo Vassalli si opta per la soluzione unitaria, decidendo di fondere in
un unico codice i due rami del diritto privato, quindi di unificare il diritto delle
obbligazioni civili e commerciali (la materia commercialistica viene ripartita tra il
libro IV [principi generali, contratti civili e commerciali] e il libro V [impresa,
società, contratto di lavoro]).
9.4) CODICE CIVILE ITALIANO DEL 1942
Il Codice civile del 1942 è il risultato dell’opera di giuristi di matrice universitaria: la
sua architettura complessiva risulta più armonica rispetto a quella del codice
Pisanelli.
La promulgazione del Codice civile nella sua integrità avviene in una data simbolica
(21 aprile 1942) che rievoca la data della leggendaria fondazione di Roma.
Il primo protagonista della sua preparazione fu Scialoja Vittorio che, favorevole ad
una normazione unitaria del diritto civile italiano e francese, pose le basi ad un
progetto per la materia delle obbligazioni con innovazioni in tema di contratti. Il
progetto non ebbe seguito.
Il Codice civile fu il risultato dell'opera di giuristi in materia universitaria e dopo la
fase finale dei lavori preparatori il codice era così strutturato:
Primo libro. Delle persone e della famiglia (introduzione dell'istituto dell'affiliazione)
Secondo libro. Delle successioni per causa di morte e delle donazioni (migliorata la
posizione successoria del coniuge superstite)
Terzo libro. Della proprietà (nuovi limiti per la tutela degli interessi pubblici)
Quarto libro. Delle obbligazioni (la formazione di questo libro è avvenuta in più
fasi: si partì dal progetto italo-francese per giungere nel 1940 ad un progetto
ministeriale limitato alle sole obbligazioni civili sostituito successivamente da un
nuovo Progetto nel quale era inclusa la materia delle obbligazioni commerciali. Solo
successivamente per iniziativa di Filippo Vassalli con il supporto del ministro della
Giustizia Dino Grandi si decise di fondere in un unico Codice i due rami del diritto
privato.)
Quinto libro. Del lavoro (la disciplina delle società viene staccata dalla materia delle
obbligazioni, viene riconosciuta l'assemblea degli obbligazionisti, le assemblee
speciali e modificato il regime di responsabilità degli amministratori)
Sesto libro. Della tutela dei diritti
9.5) NAZISMO E DIRITTO
Quando nel 1934 Hitler divenne Presidente della repubblica il suo potere divenne
assoluto.
La sua ideologia si fondava sul mito della superiorità fisica e morale degli ariani di
stirpe germanica rispetto alle altre etnie del continente-pianeta. La sua ideologia
razzista legittimava i tedeschi all'assoggettamento militare e civile gli altri popoli ed
addebitava agli ebrei la responsabilità collettiva di gran parte dei mali del paese e del
pianeta.
In ambito del diritto Hitler obbligò la stampa di adeguarsi all'ideologia del regime;
emanò leggi che vietavano agli ebrei l'esercizio delle professioni e del commercio e
il matrimonio con i cristiani, la frequentazione di scuole ed università.
La cittadinanza tedesca era negata a chi non fosse di sangue germanico.
Nel diritto penale fu espressamente negato il principio di legalità perché era ritenuto
reato qualsiasi fatto contrario al sano sentimento del popolo.
Nel 1939 Hitler ordinò di eliminare gli ammalati di mente e i bambini malformati: un
ordine che solo il vescovo di Munster denunciò apertamente.
L'ideologia della razza ariana pura di Hitler giunse all'apice quando lo stesso fuhrer
ordinò l'eliminazione fisica degli ebrei a livello mondiale e nei campi di
concentramento furono sterminati a milioni. Solo nel 1945 la sconfitta militare pose
fine al nazismo.
9.6) IL DIRITTO DELLL’UNIONE SOVIETICA
Il regime instaurato da Vladimir Lenin è nato da una costola del movimento
socialista di derivazione marxista che in Russia era attivo dalla fine dell'Ottocento e
che già aveva determinato nel 1905 uno sbocco rivoluzionario che peraltro falli
subitissimo.
La grave crisi economica e sociale indotta dalla prima guerra portò nel 1917
dapprima alla svolta di febbraio e quindi nell'ottobre dello stesso anno alla presa del
potere da parte di bolscevichi sotto la guida di Lenin.
Non sorprende di rilevare che il diritto fu uno strumento essenziale del regime
comunista: in effetti i due princìpi fondamentali che il regime dichiarò di perseguire
sono di natura essenzialmente giuridica, il primo sul terreno della costituzione, il
secondo su quello dell'economia e dell'ordine sociale e familiare.
La dittatura del proletariato si tradusse attraverso l'istituzione di un Consiglio dei
commissari del popolo composto da 15 membri tutti appartenenti al partito è dotato
del potere legislativo.
La proprietà fondiaria fu abolita nel 1918 senza alcuna indennità di espropriazione
per i possidenti; lo stato fu costituito proprietario del suolo con la concessione in
usufrutto ai contadini coltivatori, assegnatari all’interno del comune rurale delle
singole parcelle di terra distribuite per famiglie sotto la guida di un capo, a sua volta
sottoposto al controllo dei Consigli di partito.
Con l'avvento di Stalin al potere si accentuò ulteriormente il controllo dello Stato
sull'economia, attraverso misure coattive di incentivazione dei kolchoz aziende
agricole gestite collettivamente con l'obbligo di fornire le quote di prodotti fissate dal
centro ricevendone dallo stato un compenso di molto inferiore al loro valore tale.
Lo strumento principale del governo era in effetti costituito dalla politica
criminalistica.
Il Codice penale del 1922 negava il principio di legalità in quanto qualificava come
reato tutto ciò che fosse ritenuto offensivo del regime sovietico e dell'ordine
giuridico instaurato dal governo degli operai e contadini.
Le infrazioni di natura economica erano colpite da gravi pene in larga misura
discrezionalmente irrogate da corti composte da giudici solo nominalmente elettivi in
realtà designati dal partito.
9.7) LA DOTTRINA GIURIDICA
Tra gli studiosi di rilievo che hanno caratterizzato la prima metà del Novecento un
posto speciale spetta:
In Germania a MAX WEBER (storico del diritto che divide la sociologia del diritto
dalla dottrina del diritto, in quanto la prima studia i comportamenti giuridici reali -il
diritto del suo essere, mentre la seconda studia la corretta intelligenza delle norme
legislative- il diritto del suo dover essere.
A Vienna HANS KELSEN (qualifica le norme giuridiche come giudizi ipotetici con i
quali a determinati comportamenti debbono seguire determinate sanzioni volute dallo
Stato; elabora la teoria della struttura a gradini per cui la validità di una norma
giuridica dipende da una norma di livello superiore.
Fa del diritto una teoria positivistica la teoria pura del diritto perché fondata sulla
normatività del diritto.)
In Germania nel periodo nazista CARL SCHMITT (ha elaborato alcune tesi sul
diritto internazionale e sulla costituzione tedesca; espresse critiche sul concetto di
Stato di diritto)
In Italia a COSTANTINO MORTATI (considerava lo Stato come una rete di poteri
pubblici e privati tenuta insieme dalla Costituzione)
In Francia a LOUIS JOSSERAND (si batté per l'ammissione di una responsabilità
per rischio; teorizzò la tesi dell'abuso del diritto; introdusse l'elemento psicologico
nella valutazione giudiziale dell'esercizio dei diritti soggettivi) e RIPERT GEORGES
(ha introdotto regole snelle e più efficaci nel diritto delle obbligazioni)
Negli Stati Uniti a OLIVER HOLMES WENDELL (giudice della Corte Suprema ha
espresso l'idea che il diritto non è frutto della logica ma dell'esperienza) e POUND
ROSCOE (professore ad Harvard ha teorizzato il carattere empirico della
giurisprudenza).
9.8) PATTI DI PACE E VENTI DI GUERRA
Con l'esperienza della guerra, nel 1919 venne firmata tra gli Stati, vincitori e non, il
patto che portò alla formazione della Società delle Nazioni che aveva come primaria
finalità la prevenzione di ulteriori conflitti. Per cui gli Stati si impegnavano a
sottoporre ad arbitri internazionali le loro eventuali controversie e difendere
dall'aggressione gli Stati che fosse oggetto di attacco da parte di altri stati.
Questa esperienza non ebbe esito positivo.
Miglior sorte ebbe l'istituzione della Corte permanente di giustizia internazionale,
alla quale gli Stati potevano volontariamente ricorrere per risolvere controversie di
natura internazionale.
Essa si trasformò successivamente in Corte internazionale di Giustizia tuttora
operante.
Nel 1928 un trattato bilaterale fu firmato a Parigi tra il ministro degli esteri francese
Briand e il segretario di stato americano Frank Kellogg con il quale si ripudiava la
guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali: ben 63 stati
aderirono al Trattato nel decennio seguente. Ma anche questo tentativo fu ben presto
violato e fu considerato un vano sforzo di pace.
10)I DIRITTI DEL SECONDO NOVECENTO
10.1) DALLO STATO LEGISLATIVO ALLO STATO COSTITUZIONALE
Il secondo Novecento è stato caratterizzato dalla crisi del modello Stato-legislatore,
come fonte esclusiva del diritto tanto che a questo modello del legislatore
onnipotente si è sostituito il modello di un ordine giuridico a più livelli: all'interno
dello Stato si articola il livello legislativo e quello costituzionale ma prevede, verso il
basso, il livello regionale e verso l'alto il livello europeo.
Nel secondo Novecento viene riconosciuto anche il livello municipale creando una
dinamica giuridica complessa ed attribuendo alla giurisdizione una funzione
fondamentale di equilibrio tra legge, diritti e giustizia.
10.2) LE NUOVE COSTITUZIONI: ITALIA, GERMANIA, FRANCIA E
SPAGNA
1)ITALIA
La fine del fascismo e il ritorno della democrazia contribuiscono alla nascita di un
nuovo ordinamento costituzionale.
L’Assemblea costituente nel 1947 ha approvato la Costituzione che entra in vigore
nel 1948.
Il regime politico è di tipo parlamentare e il Governo entra in funzione dopo aver
ottenuto la fiducia delle due camere e deve dimettersi in caso di voto di sfiducia.
Sia la Camera che il Senato sono organi elettivi i cui membri vengono scelti a
suffragio universale maschile e femminile.
Nella Costituzione vengono ben analizzate le libertà, la tutela della famiglia, il
principio della distinzione tra Stato e Chiesa -come ordinamenti indipendenti e
sovrani-, la libertà dell'impresa e dell'economia, la funzione sociale della proprietà
nel pieno riconoscimento del diritto del lavoro ed allo sciopero.
La struttura istituzionale all'interno dello Stato subì un profondo mutamento: alle
regioni furono attribuite oltre alle funzioni amministrative anche quelle legislative in
materie specifiche; vennero istituite cinque regioni a statuto speciale dotate di
autonomie maggiori e ampie prerogative fiscali.
Viene infine istituita la Corte costituzionale a garanzia del rispetto della Costituzione
ed abilitata a decidere sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello stato e tra quelli
fra stato e regioni.
2)GERMANIA
Dopo il conflitto la Germania venne suddivisa in due stati distinti: a oriente la
Repubblica democratica tedesca sotto il dominio sovietico e nell'occidente la
Repubblica federale tedesca.
La Costituzione del 1949, costruita sulla base di quella di Weimar, è la dichiarazione
di una Repubblica in uno Stato democratico e sociale; garantisce la stabilità del
Governo con il meccanismo della sfiducia costruttiva; enuncia il diritto alla
resistenza contro la tirannia; vieta i partiti con finalità in contrasto con la democrazia;
limita i poteri del presidente accentuando quelli del cancelliere.
La funzione giurisdizionale è nelle mani di due Corti centrali: il Tribunale federale
supremo (per la giurisdizione amministrativa, di finanze e lavoro) e la Corte
costituzionale competente per le questioni di interpretazione della costituzione sui
diritti ed obblighi sugli organi costituzionali, reclami anche individuali sulla pretesa
lesione di un diritto fondamentale.
La costituzione economica federale è orientata al liberalismo economico e al
mercato.
Con la caduta del muro di Berlino e la fine del dominio sovietico la riunificazione
della Germania si ebbe nel 1991.
3)FRANCIA
La nuova costituzione entra in vigore nel 1946 fondata sul modello della Repubblica
parlamentare. Elemento di spicco della Costituzione è il grande potere attribuito al
Presidente.
Egli è eletto a suffragio universale (a differenza di Italia, Germania e Spagna), sceglie
il primo ministro, presiede il Consiglio dei ministri, può scegliere l'Assemblea
nazionale, rappresenta il paese ai vertici europei. Il Parlamento detiene il potere
legislativo ma la Costituzione stabilisce tassativamente i settori che debbono essere
disciplinati con la Legge.
Il regime parlamentare si fonda su un meccanismo elettorale a due turni che ha
determinano un bipolarismo in contrasto con la frammentazione politica del decennio
postbellico.
4)SPAGNA
La travagliata storia politica della Spagna nel secolo XX si è riflessa anche nelle sue
costituzioni.
Dopo la parentesi autoritaria degli anni di dominio di primo de Rivera il ritorno alla
democrazia repubblicana aveva prodotto nel 1931 una costituzione che sanciva un
regime di tipo parlamentare: essa includeva l'indicazione delle materie di competenza
esclusiva dello Stato e di quelle per le quali la legislazione spettava allo stato ma
l'esecuzione poteva essere affidata alle regioni autonome; la competenza legislativa di
queste era ammessa ma soltanto per le materie residuali.
La Repubblica entrò in crisi con lo scoppio di una sanguinosa guerra civile iniziata
nel 1936 terminata nel 1939 con la vittoria armata e con l'avvento al potere del
generale Franco, infatti, si è belli instaurazione di un regime autoritario del quale è
chiara espressione la legge sulle Cortés del 1942: il potere legislativo spetta un
organismo selezionato e di fatto dominato dal capo dello Stato che è al contempo
titolare del pieno potere di governo.
Il ritorno della Spagna alla democrazia dopo la morte di Franco nel 1975 ha trovato
nella costituzione del 1978 un assetto coerente con i canoni della democrazia e con la
tradizione spagnola di autonomia delle diverse parti della penisola.
Nell'architettura della costituzione del 1978 la seconda camera rappresenta appunto le
autonomie locali.
Il governo è di tipo parlamentare e richiede la fiducia della prima camera mentre la
legislazione statale e di pertinenza del Congresso e le leggi relative ai diritti
fondamentali e all'organizzazione dello Stato e delle autonomie locali richiedono la
maggioranza assoluta dei voti.
Le Comunità autonome comprendono più province limitrofe e rappresentano le
regioni storiche, tra le quali Castiglia, Catalogna, Aragona, Paesi baschi, Andalusia.
La costituzione stabilisce una serie di 22 materie che sono di competenza delle
regioni dall'agricoltura all'ambiente, dalla pesca all'artigianato e ai monumenti; non si
tratta peraltro di competenze esclusive ma concorrenti con quelle dello Stato il quale
possiede invece competenza esclusiva in 32 materie fondamentali tra le quali vi sono
anche il diritto civile, il penale e il processuale e tuttavia per il diritto civile le
comunità autonome mantengono le loro peculiarità storiche; Si tratta soprattutto di
consuetudini e regole nel campo del diritto di famiglia virgola di successione è di
proprietà.
La tutela dei principi e delle regole costituzionali è affidata a un tribunale
costituzionale che, oltre a decidere sulle controversie tra stato e regioni autonome
vaglia la conformità delle leggi rispetto alla costituzione: su richiesta del governo,
delle camere, delle comunità autonome ma anche sul ricorso presentato dai singoli
soggetti che si ritengono lesi.
10.3) I NUOVI CODICI
Pur in una situazione di crisi, la forma Codice appare tuttora ben viva. Importanti
Codici nuovi non sono mancati: basti pensare al Codice di diritto canonico del 1983,
al nuovo Codice civile dei Paesi Bassi del 1992, al Codice di procedura penale
italiano del 1988.
Il nuovo Codice di diritto canonico presenta caratteri peculiari rispetto alla
codificazione del 1917.
La disciplina della Chiesa, contenuta nel Codice del 1983, deriva dai supremi precetti
delle Scritture, ma è anche organicamente connessa con le innovazioni dottrinali,
pastorali e liturgiche del Concilio Vaticano II, che porta al superamento delle
divisioni secolari tra cristiani orientali e occidentali, protestanti e cattolici. E così
pure l'apertura verso i non cristiani.
Naturalmente vi sono elementi fondamentali di continuità rispetto alla tradizione
canonistica.
Siamo di fronte a una disciplina sufficientemente elastica, aperta verso l'alto alle
normative superiori della Scrittura e dei concili, verso il basso alle tradizioni religiose
locali che non siano non in contrasto con i principi di fondo.
Molto rilevante anche sul terreno del diritto e poi la svolta impressa più di recente dal
papa Giovanni Paolo II con il riconoscimento di omissioni ed errori compiuti in
passato dalla Chiesa.
In Italia la maggiore innovazione in forma di Codice si è avuta con il nuovo Codice
di procedura penale entrato in vigore nel 1989.
Il Codice ha introdotto cospicui elementi nuovi, ha largamente adottato il modello
accusatorio, stabilendo il principio che la prova si forma nel dibattimento, mentre ciò
che lo precede sono le indagini preliminari affidate ad un distinto giudice, la Corte
costituzionale ha attenuato sostanzialmente l'impianto accusatorio del Codice.
10.4) PERSONE E FAMIGLIA
Nella seconda metà del Novecento i mutamenti della società sono stati rapidi e
profondi: nel costume, nelle ideologie, nell'economia, nella politica, nelle ricadute
sociali dello straordinario sviluppo delle scienze.
Il diritto non poteva rimanere estraneo a queste trasformazioni.
Un ambito nel quale le innovazioni legislative sono state di molto rilevanti riguarda il
diritto delle persone e della famiglia.
- La condizione di minorità della donna sia nel diritto pubblico che nel diritto privato
è stata smantellata nel corso del Novecento;
- diritto di voto e ammissione a suffragio universale per le donne;
- viene ammessa pienamente la capacità di agire della moglie;
- l'esercizio della patria potestà è stato ormai attribuito congiuntamente ai due
coniugi;
- introduzione del divorzio;
- depenalizzazione dell'adulterio;
- legislazione sull'aborto (alla base di queste normazioni sta la rivendicazione
dell'autonomia della donna nella decisione relativa ad una gravidanza);
- l'autonomia della donna è stata inoltre riconosciuta nelle sue scelte di lavoro e
nell'esercizio delle professioni.
Tutto ciò si lega al tema dell'emancipazione femminile.
Un altro indirizzo fondamentale affermatosi nei recenti decenni riguarda la tutela dei
figli, in particolare dei minori.
- nelle procedure di divorzio, la tutela dell'interesse dei figli è assurta in primo piano;
- quanto alla figliazione naturale, la tendenza alla piena equiparazione con i figli
legittimi ai fini successori si è fortemente consolidata; d’altra parte, anche la
posizione del coniuge sopravvissuto è stata rafforzata, assicurando una quota
importante della successione legittima;
- si sono ampliate le possibilità di adozione favorendo l'aspirazione di genitori ancora
relativamente giovani; - si è aggiunta in anni più recenti al nuova disciplina
dell'affiliazione;
- l'adozione e l'affiliazione sono finalizzate, ad un tempo, al soddisfacimento
dell'aspirazione ad avere figli da parte di coppie sterili ed al vantaggio affettivo e
educativo che costituisce per un minore privo di famiglia la presenza di genitori
adottivi.
Settori e rapporti nei quali gli interventi normativi sono ancor più recenti riguardano:
- unioni di fatto;
- procreazione assistita;
- unioni tra omosessuali.
10.5) DIRITTO DELL’ECONOMIA, DEL LAVORO E DELL’AMBIENTE
Il diritto dell'economia ha conosciuto nel secondo Novecento riforme incisive.
L'esigenza di garantire la concorrenza e di impedire il formarsi di cartelli si impose in
Germania sin dall'immediato dopoguerra e portò nel 1957 all'approvazione di
un'organica legge sulla concorrenza.
La disciplina introdotta dalla Comunità del carbone e dell'acciaio nel 1951 venne
ripresa dal Trattato istitutivo della Comunità europea del 1957 con esplicite norme a
tutela della concorrenza e contro gli abusi di posizione dominante, sino al compiuto
regolamento del 1990 che impose vincoli rigorosi su questo fronte.
In Italia si giunse nello stesso anno all'approvazione della legge sulla concorrenza che
istituì l'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Sulle società commerciali i numerosi interventi normativi a livello nazionale ed a
livello europeo hanno riguardato:
- la trasparenza dei bilanci;
- la trasparenza delle informazioni;
- l'apertura a forme di governo societario differenziate.
Il diritto del lavoro si è sensibilmente trasformato nel corso del secondo
cinquantennio del secolo.
In Italia ed in altri paesi europei la contrattazione collettiva ha costituito la base per il
rinnovo dei contratti individuali nei diversi comparti dell'economia.
In Italia nel 1970 lo statuto dei lavoratori ha garantito ai lavoratori delle imprese con
più di 15 dipendenti una serie di prerogative, mentre ai datori di lavoro ha imposto
una serie di procedure non derogabili:
- la reintegrazione nel posto di lavoro è obbligatoria se l'azione intrapresa dal
lavoratore contro il licenziamento è accolta dal giudice;
- le assunzioni devono avvenire rispettando le graduatorie stabilite dall'ufficio di
collocamento;
- il lavoratore ha diritto a conservare la mansione superiore affidatagli.
L'orario di lavoro è diminuito ovunque ed è ammessa ormai ovunque la piena
legittimità del diritto di sciopero (in Italia una legge del 1990 ha imposto alcuni limiti
per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali.
Ad una fase di crescente rigidità nella normativa a tutela della stabilità nel posto di
lavoro è subentrata, negli anni Ottanta, una fase di progressiva liberalizzazione e
flessibilità, con linee di politica economica orientate al liberismo, alla limitazione del
ruolo dello stato nell'economia, all'attenuazione della progressività delle imposte.
Nei decenni del secondo Novecento nasce un nuovo filone normativo: leggi che
tutelano i consumatori, promuovono la trasparenza dei prodotti, autorizzano la
promozione di azioni collettive, sanzionano la pubblicità ingannevole e le clausole
vessatorie.
A ciò si aggiunge l'attenzione sempre più crescente del legislatore per la tutela
dell'ambiente contro l'inquinamento idrico, atmosferico, acustico, contro li scempi di
opere pubbliche e di costruzioni private incurante dell'impatto ambientale (trattato di
Maastricht del 1992).
10.6) ELEMENTI DI CRISI DEL SISTEMA
Le principali costituzioni europee della seconda metà del Novecento hanno introdotto
importanti innovazioni rispetto ai modelli costituzionali dell'Ottocento:
- si è dilatato il ventaglio dei diritti fondamentali enunciati a livello costituzionale;
- interventi normativi riguardanti la previdenza, la sanità, i diritti di sciopero, la
condizione femminile, ecc.;
- si è accentuata la spinta verso il potenziamento delle autonomie locali, in particolare
a livello regionale;
- lo stato ha perduto ormai quel monopolio della funzione legislativa che esercitava
da due secoli;
- si è rafforzato il ruolo della costituzione nei confronti della legge;
- le Corti costituzionali sono divenute le vere custodi delle costituzioni: con le loro
pronunce, leggi discordanti vengono abrogate, i precetti costituzionali vengono resi
operanti. Sono inoltre garanti dell'equilibrio dei poteri.
Questa accentuata funzione del livello costituzionale e della sua giurisdizione si è
manifestata in parallelo con due altri fenomeni tra loro connessi: la dilatazione della
legislazione ordinaria e la crisi delle codificazioni.
Le leggi si sono in effetti moltiplicate ovunque e l'effetto di questa selva di norme è
duplice: diventa arduo accertare quale sia la disciplina positiva; entra in crisi il
modello delle codificazioni.
Da tutto ciò è derivata, quasi ovunque, una drammatica crisi di certezza sulla reale
configurazione del diritto in vigore e sui suoi contenuti (una crisi che trova un
precedente paragonabile nella crisi del diritto comune di fine Settecento, che portò
alle moderne codificazioni).
11) PROFILI DELLA NUOVA CULTURA GIURIDICA
11.1) COMPARAZIONE, STORIA, SOCIOLOGIA DEL DIRITTO
Nel secondo Novecento la dottrina giuridica dei diversi Paesi europei ha conosciuto
sviluppi imponenti.
Una svolta fondamentale consiste nella crisi del formalismo positivistico. I testi di
diritto privato, penale, pubblico, processuale, internazionale hanno naturalmente
continuato a tenere in assoluta considerazione il dato normativo nazionale.
Ma la dottrina si è dotata di strumenti ulteriori: la comparazione, la storia, l'economia,
le indagini statistiche, ecc.
E lo sviluppo impetuoso del diritto comunitario ha a sua volta imposto alla dottrina
un approccio diverso, fondato su più livelli normativi.
Le indagini sui diritti stranieri assumono sviluppi rigorosi: basti portare l'esempio del
civilista Gino Gorla che, per la prima volta, condusse un'analisi sulle differenze di
impostazione concettuale tra la causa del contratto e la considerazione propria del
sistema di common law.
Storia e sociologia sono considerati strumenti essenziali per la comprensione dei
caratteri di fondo di un ordinamento e anche per la valutazione dei ruoli del giudice.
Quanto alle ricerche propriamente storico-giuridiche, intorno alla metà del Novecento
si è imposta in Italia l'attenzione per il fenomeno grandioso del diritto comune
classico (Francesco Calasso dà un impulso decisivo a questo indirizzo).
Per il diritto canonico dell'età classica sono fondamentali le indagini di Stephan
Kuttner.
Tra i romanisti l'opera di Franz Wieacker si è estesa dal diritto antico alla storia del
diritto privato europeo. In anni recenti in Italia, in Germania e altrove le indagini si
sono svolte in prevalenza al diritto dell'età moderna e contemporanea.
La sociologia del diritto ha a sua volta conosciuto nel secondo Novecento sviluppi
importanti.
Le indagini empiriche si sono moltiplicate: sulla giustizia, sulla criminalità, sulla
famiglia, sulle società commerciali, sulle procedure amministrative.
11.2) FILOSOFIE E TEORIE DEL DIRITTO
Il positivismo ha costituito anche nella seconda metà del Novecento la corrente
dominante del pensiero giuridico.
L'impostazione qualificabile come "idealista" ha ceduto sempre di più terreno nei
confronti dell'impostazione "positivistica", che concepisce il diritto come un
fenomeno ancorato a norme effettivamente esistenti e verificabili nella realtà:
- normativismo positivistico, cioè norme consistenti in comandi coniugati a
meccanismi di sanzione;
- realismo positivistico, fa riferimento all'efficacia delle regole osservate ed applicate
sulla base delle decisione giurisprudenziali.
Un ruolo fondamentale hanno assunto nel secondo Novecento alcune correnti del
pensiero giuridico degli stati uniti.
Carattere comune a molti di questi indirizzi può ritenersi il superamento della
prospettiva strettamente tecnico-giuridica in favore di un approccio interdisciplinare.
Si sono in particolare indagati in essi che collegano il diritto con altri campi della
cultura e della conoscenza
11.2.1) IL REALISMO GIURIDICO
L'indirizzo di pensiero qualificabile come realismo giuridico ha avuto sviluppi di
rilievo sia negli Stati Uniti che in Europa in particolare nei paesi scandinavi; in
Svezia l'iniziatore è stato Axel per il quale anche nel mondo del diritto l'unica realtà
conoscibile è la realtà empirica ossia la realtà dei fatti.
Karl l'esponente più noto della scuola intitola la sua opera principale appunto al fatto,
infatti, anche l'obbligatorietà di una norma non è riconducibile né alla sua radice etica
né alla volontà dello Stato ma al fatto che essa viene concretamente osservata e
obbedita.
Il diritto può qualificarsi come la regola della forza in quanto la presenza della
sanzione non è un semplice rafforzamento della norma ma costituisce l'essenza della
sua giuridicità.
A loro volta per il giurista svedese le regole di comportamento che evidenziano la
forza vincolante delle norme giuridiche dipendono solo in parte dall'esistenza di
sanzioni: in realtà ciò che le rende vincolanti è una predisposizione soggettiva
all'obbedienza ossia un elemento psicologico oggettivamente riscontrabile nella realtà
senza il quale la effettiva vincolatività della norma svanirebbe.
La rilevanza dell'elemento soggettivo distingue il realismo di matrice scandinava da
quello statunitense infatti Frank componente della commissione sulla borsa
americana e poi giudice federale ha posto le decisioni dei giudici al centro della realtà
del diritto sottolineando inoltre come ogni pretesa di ricondurre le decisioni
all'accertamento e alla qualificazione oggettiva dei fatti le norme risulti illusoria: i
fatti posti alla base delle decisioni giudiziali sono spesso opinabili sulla base di
testimonianze inevitabilmente discordanti come oscillanti e incerte sono le stesse
regole legali la cui interpretazione dipende in una certa misura dall'ideologia dei
giudici.
11.2.2) HART, DWORKIN
L'inglese Hart applicato al diritto ai criteri logici dell'analisi del linguaggio facendo
proprio alcune tesi del moderno giusnaturalismo e altre tesi sviluppate dalla scuola
del realismo giuridico, infatti, egli ha distinto due categorie di norme: le norme
primarie che impongono obblighi e le norme secondarie che attribuiscono
competenze e poteri.
La ricognizione delle norme effettivamente valide presuppone la presenza di
un'ulteriore norma di riconoscimento che permette di identificarle.
L'approccio positivistico e realistico di Hart si coniuga con la convinzione che
debbono comunque sussistere ai fini della validità delle norme alcuni requisiti minimi
di protezione delle persone e delle cose senza i quali un ordinamento giuridico non
sarebbe in grado di sopravvivere che si identificano con precetti etici, ad esempio
l'autoconservazione e la protezione della proprietà.
Quanto alla teoria dell'interpretazione Hart discute le posizioni contrapposte dei
formalisti e degli scettici.
Per Hart esiste in ogni forma un nucleo certo e univoco ma anche un alone periferico
nel quale regna la penombra che l'interprete può dissipare con gli strumenti
dell'analisi del linguaggio anche se più tardi questa teoria mista è stata da Hart stesso
rimessa in discussione.
11.2.3) TEORIE DELLA GIUSTIZIA: RAWLS
Alla giustizia dedicato un'opera importante largamente discussa l'americano Rawls:
nel tentativo di stabilire una linea di caratterizzazione della giustizia sociale che lasci
congruo spazio alla libertà individuale, egli ha immaginato che la scelta di un
individuo il quale in ipotesi non abbia nozioni del proprio radicamento sociale
dovrebbe essere orientata a privilegiare la normativa o una decisione che lasci
all'altro il massimo di libertà compatibile con la propria libertà: un'impostazione che
richiama la tesi espressa da Kant nella sua definizione della libertà; questo parametro
dovrebbe ispirare anche la legislazione negli interventi redistributivi sempre più
numerosi e frequenti nel mondo contemporaneo volti a conseguire i risultati conformi
all'equità.
11.2.4) ERMENEUTICA, ANALISI DEL LINGUAGGIO, TEORIE
DELL’ARGOMETAZIONE
La rilevanza indiscutibile del testo nel lavoro del giurista teorico e pratico e spiega
l'interesse che presentano per la riflessione sul diritto le teorie sull’ermeneutica.
Le tesi del filosofo Hans sostengono che l'interpretazione di un testo costituisce un
processo nel quale la direzione dell'analisi ermeneutica e in qualche misura tracciata
già in una fase iniziale di precomprensione il testo medesimo ove giocano un ruolo
alle convinzioni dell'interprete e il contesto in cui egli opera; E sottolineando la
circolarità del processo interpretativo per la quale il senso di una sua parte risulta dal
rapporto tra il testo specifico e il contesto con cui esso è inserito.
La natura creativa non semplicemente ricognitiva del ragionamento del giudice è
stata posta in rilievo da esser: il giudice nell'interpretare la norma per applicarla al
caso concreto non solo può ma deve ispirarsi alle sollecitazioni del suo tempo e del
contesto in cui opera così da applicare in modo finalizzato ma al contempo
razionalmente argomentato la norma positiva.
In Italia fu Norberto Bobbio ad affrontare per primo la tematica dell'analisi del
linguaggio giuridico in un saggio del 1950 nel quale ha inteso identificare un ruolo
scientifico della dottrina perseguibile attraverso gli strumenti di una rigorosa analisi
del discorso del legislatore., un'impostazione più tardi arricchita e in parte corretta
attraverso il riconoscimento il carattere non meramente descrittivo bensì
inevitabilmente prescrittivo della dottrina giuridica.
11.3) ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO
I nessi che legano il diritto all'economia sono al centro di un nuovo indirizzo di
ricerca noto come analisi economica del diritto.
Questo approccio è egualmente applicabile riguardo a norme già esistenti e riguardo a
possibili riforme legislative ma vale altresì per valutare l'effetto di decisioni
giurisprudenziali; per questa via non solo sia potuto valutare l'impatto della legge
sull'economia privata e pubblica ma si è ragionato sui modi con i quali la regola è
destinata ad incidere nel concreto della vita sociale orientando le scelte dei singoli e
dei gruppi.
La doppia premessa di questo indirizzo di pensiero è che gli individui siano
massimizza datori razionali e che le regole giuridiche siano in grado di modificare i
comportamenti individuali e collettivi perché i soggetti risponderanno razionalmente
agli incentivi e ai disincentivi creati da vincoli esterni.
A partire dal primi anni 70 Posner il professore a Chicago e poi giudice federale ha
sistematicamente applicato l'analisi economica ai più diversi campi del diritto
mostrando come i diritti di famiglia delle successioni, il sistema penale, il processo in
ogni altro campo del diritto presentino sostrati di natura economica che debbono
essere messi in rilievo.
Il criterio della massimizzazione della ricchezza viene assunto come parametro di
giudizio non solo dell'efficienza di un sistema giuridico ma anche della sua
conformità alla giustizia.
11.4) ALTRE CORRENTI E SCUOLE
L'indirizzo denominato studio critico del diritto sviluppato soprattutto ad Harvard si
caratterizza per un approccio valutativo non convenzionale riguardo ai contenuti, ai
valori e agli interessi sottesi alle norme e alle decisioni.
Alcuni giuristi si sono in effetti resi conto delle molteplici correlazioni tra il mondo
del diritto e quello delle opere letterarie infatti in primo luogo molte tendenze e molte
esigenze vive nella società sono espresse con evidenza insuperata proprio negli scritti
di letteratura sia con riferimento al passato che con riferimento al presente e al futuro;
in secondo luogo le tecniche espositive e argomentative dei giuristi non si
distinguono da quelle della retorica messe a punto dai pensatori antichi e moderni e
applicate in testi di natura poetica o religiosa; in terzo luogo le opere letterarie hanno
posto ai giuristi e al diritto a una serie di problemi specifici variamente affrontati nel
corso del tempo dalla libertà di stampa alla diffamazione, dal diritto alla privacy ai
confini del buon costume.
Norberto Bobbio ha sottolineato al riguardo del concetto di diritto naturale come da
un lato ma anche al sostantivo uno degli attributi fondamentali del diritto, l'efficacia
virgola in quanto le sue norme non sono comunque giuridicamente sanzionabili e
come dall'altro lato, l'aggettivo rinvii ad uno dei termini più polivalenti della storia
perché nel corso del tempo si sono considerate conformi alla natura regole e
consuetudini completamente diverse quando non addirittura opposte.
11.5) NUOVI DIRITTI E NUOVI SOGGETTI
Un settore nel quale si è sviluppata negli anni recenti la riflessione dei giuristi in
stretta connessione con l'evoluzione normativa interna internazionale riguarda la
nozione e la tutela dei diritti fondamentali, infatti, l'età contemporanea è stata
qualificata da Norberto Bobbio come l'età dei diritti.
Una prima generazione è quella classica dei diritti di libertà esplicitata nella
dichiarazione francese del 1789: la libertà personale, di espressione, di riunione,
contro gli arbitri del potere politico e di governo; si tratta di libertà negative.
In anni più recenti i diritti della donna hanno formato l'oggetto di un ramo specifico
di elaborazione dottrinale fiorito in particolare negli Stati Uniti con la formula di
Gender and Law.
Una seconda generazione di diritti concerne la rappresentanza politica dei singoli e
dell'intera popolazione attraverso il suffragio universale, la protezione dei lavoratori,
le assicurazioni sociali, la previdenza, il diritto di sciopero, il diritto alla salute,
conseguiti in occidente nel corso di circa un secolo dalla fine dell’Ottocento in poi si
tratta di libertà positive.
Una terza generazione di diritti che si è fatta strada nel corso degli ultimi decenni
riguardo a un ventaglio di condizioni di aspetti della vita che meritano protezione e
che spesso possono riuscire ad ottenerla solo con nuovi strumenti giuridici di natura
collettiva infatti si tratta di regole per la tutela del contraente debole nei confronti dei
potentati economici attraverso le azioni di classe; sono i diritti dell'individuo e delle
collettività allo sviluppo dell'economia e sono le esigenze di difesa dell'ambiente
contro i guasti e i rischi di degrado irreversibile causati dall'uomo.
Una quarta generazione di diritti identificata dalla recente dottrina concerne una serie
di nuovi soggetti vi sono infatti i diritti del fanciullo, quelli del portatore di handicap
fisici, quelli del minorato mentale e quelli dell'embrione.
11.6) IL RUOLO DEI GIURISTI
La sempre maggiore complessità dei processi di produzione, la moltiplicazione
dell'economia dei servizi e la forza di penetrazione delle nuove tecnologie hanno
indotto alcuni giuristi attenti a questi nuovi sviluppi a ritenere che il diritto stia ormai
smarrendo l'unità di metodo ed anche l'autonomia concettuale che in passato lo
caratterizzavano i giuristi infatti stanno diventando cinghia di trasmissione di
interessi economici potenti e vi è chi ha descritto questo processo in atto come il
giurista perduto.
Oggi il diritto sarebbe una proiezione delle forze strapotenti della tecnica alle quali è
impossibile opporsi e ciò tanto nella forma formazione delle leggi quanto nella prassi
contrattuale tanto nella giurisprudenza quanto nelle dottrine.
La crisi della certezza del diritto a d'altra parte trovato un correttivo nel ruolo delle
corti costituzionali nonché della Corte di giustizia europea infatti va inoltre
sottolineato che sia le corti costituzionali nazionali sia ancor più le corti europee di
Lussemburgo e di Strasburgo hanno non di rado fondato le loro decisioni
richiamandosi a principi generali ricavabili dalle costituzioni anche se talora non
espressamente menzionati testo costituzionale dai trattati: principi quali la
ragionevolezza, la buona fede, l'equità o l'abuso del diritto.
Il dibattito sul significato sul peso dei principi costituisce uno dei temi di fondo del
pensiero giuridico contemporaneo.
12) IL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA
12.1) GENESI
Nella seconda metà del Novecento si è sviluppato in Europa un processo di unione
economica e politica che costituisce l'elemento più significativo della storia recente
del nostro continente.
Questo processo si è realizzato in larga misura con gli strumenti del diritto: sia con
regole tradizionali, sia con strumenti originali e con regole nuove.
L'idea di una confederazione europea è enunciata a più riprese:
- nel Cinquecento con i progetti politici di Enrico IV;
- nel Settecento nell'opera di Bernardin de Saint Pierre;
- nel 1787 attraverso il modello della Federazione americana;
- attraverso gli scritti di Victor Hugo;
- nell'Ottocento attraverso alcuni protagonisti del Risorgimento italiano.
La Santa Alleanza operò in tale contesto a partire dal 1815 sino al 1848.
E più tardi il "concerto" delle grandi potenze suggerì appunto l'immagine di una
confederazione di stati in divenire.
Lo scoppio della prima guerra mondiale e gli eventi successivi mostrarono ad
evidenza la stridente disarmonia del "concerto" e la sua fragilità.
Tra le due guerre il tentativo più ambizioso di creare un nuovo ordine internazionale
fu quello della Società delle Nazioni.
Negli anni della seconda guerra vide la luce il primo disegno coerente di una futura
federazione europea. Esso venne formulato con rigore concettuale nel Manifesto di
Ventotene del 1941, redatto da Altiero Spinelli.
Egli ricollegò le cause che avevano condotto l'Europa ad una cronica instabilità,
provocata dalla struttura dello stato moderno come sovrano, cioè nella concezione
che ogni stato possa disporre in totale autonomia di un proprio esercito atto a
condurre la guerra contro gli altri stati.
Il rimedio strutturale a questo stato di cose è allora uno solo: trasferire la sovranità ad
un livello superiore a quello degli altri stati.
Negli anni immediatamente seguenti alla conclusione della seconda guerra mondiale
un complesso di elementi operò sinergicamente in favore dell'integrazione politica
europea.
La svolta che condusse il disegno dal mondo delle idee a quello della realtà effettiva
avvenne nel 1950, quando il ministro francese Robert Schumann propose che la
gestione del carbone e dell'acciaio venisse affidata ad un'autorità sovranazionale,
indipendente da Francia e Germania.
L'idea di base era venuta da un altro francese Jean Monnet, il quale si era convinto
che alla federazione europea non si sarebbe giunti se non attraverso un processo
graduale che creasse dei modelli di unione incentrati su singoli obiettivi concreti
(ovviamente anche il cancelliere Konrad Adenauer era d'accordo).
Vide la luce così la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA), approvata
con il trattato dell'8 aprile 1951 al quale aderirono Francia, Germania, Italia, Belgio,
Olanda e Lussemburgo: nasceva l'Europa dei Sei.
L'Alta Autorità è nominata dai governi nazionali, ma opera in modo totalmente
indipendente da questi. Un'assemblea svolge compiti di controllo.
La Corte di giustizia risolve le controversie legate alla materia del trattato.
Frattanto la situazione internazionale ed il rischio incombente di dominio
rappresentato dall'Impero sovietico imponevano di includere la Repubblica federale
tedesca nell'organizzazione della difesa euro-americana.
Fu allora che nacque in Francia, per iniziativa di René Pleven, l'idea di dar vita ad
una difesa europea, che consentisse il riarmo della Germania occidentale, da
realizzarsi però entro una struttura militare e politica non più nazionale ma comune.
Il progetto di una "Comunità europea di difesa" i tradusse nel 1952 in un trattato che
includeva il mandato conferito ad una futura Assembla parlamentare europea di
elaborare un progetto "a struttura federale o confederale" per i paesi della CED.
12.2). LA FORMAZIONE DELLA COMUNITA EUROPEA
Un gruppo di riflessione, nominato dai governi dei Sei a Messina nel 1955, prospettò
qualche mese più tardi un doppio obiettivo: la creazione di un'autorità europea per
l'energia atomica e l'avvio di un mercato comune europeo.
I governi accettarono queste indicazioni e promossero la redazione di un progetto
organico.
Si giunse così alla firma dei due Trattati di Roma del 25 marzo 1957, che istituivano
l’EURATOM e la Comunità economica europea (Cee).
L'impalcatura della Cee è fondata su quattro istituzioni:
- la Commissione, con funzione di iniziativa legislativa, di strumento di governo e di
guardiano dei trattati;
- Consiglio dei ministri, con funzione legislativa;
- assemblea parlamentare con funzione di approvazione delle leggi comunitarie e
deliberazione a maggioranza qualificata della censura nei confronti della
commissione;
- Corte di Giustizia, che esercita la funzione di giurisdizione nell'ambito delle
competenze comunitarie quando venga imputato ad uno Stato di avere mancato ad un
obbligo imposto dal trattato o agli organi comunitari di aver assunto nei loro
confronti decisioni viziate da incompetenza, illegittimità, eccesso di potere.
L'attività legislativa della Cee venne ripartita in due categorie:
- regolamenti, immediatamente esecutivi ed applicabili entro l'intera comunità;
- direttive, vincola gli stati quanto al risultato da raggiungere, ma ne affidano la forma
e gli strumenti necessari alle legislazioni nazionali;
- vi sono poi le decisioni di competenza sia del Consiglio che della Commissione, che
hanno il carattere di provvedimenti immediatamente obbligatori per i destinatari, da
loro impugnabili davanti alla Corte di giustizia.
Con questi strumenti si è sviluppato un imponete complesso di norme comuni, che
hanno progressivamente portato all'abbattimento delle barriere doganali interne e
all'instaurazione di una vera concorrenza tra Paesi della Cee.
Un sostegno fondamentale è venuto inoltre dalla giurisprudenza della Corte di
giustizia, in quanto alcune sentenze hanno in effetti costituito vere pietre miliari nella
formazione del diritto europeo della Cee.
12.3) L’EVOLUZIONE ISTITUZIONALE DELL’UNIONE EUROPEA
Una fase nuova si aprì con l'iniziativa di attuare la norma del trattato di Roma che
prevedeva di arrivare alla elezione a suffragio universale della Assemblea
parlamentare europea.
Ciò fu deliberato nel 1976 e condusse tre anni più tardi alla prima elezione di quello
che da allora si chiama Parlamento europeo.
I primi risultati si videro a partire dal 1979 nel più incisivo controllo effettuato dal
neoeletto Parlamento europeo sul bilancio comunitario, ma si ebbero soprattutto con
l'approvazione di un ambizioso progetto di riforma delle istituzioni comunitarie che
venne votato a larga maggioranza dal Parlamento europeo nel febbraio 1984.
Il Progetto disegnava una riforma che avrebbe attribuito alla Commissione le funzioni
di governo comunitario quanto all'unione economica ed al Parlamento ed al Consiglio
le funzioni legislative secondo un chiaro schema bicamerale; ma la maggioranza dei
governi nazionali non ritenne di dar corso al progetto. Due anni più tardi venne
approvato l'Atto unico del 29 dicembre 1986.
L'Atto estendeva le competenze della Cee alla coesione economica e sociale tra le
regioni, alla ricerca e allo sviluppo tecnologico, all'ambiente e alla cooperazione nella
politica estera.
L'obiettivo fondamentale del nuovo trattato era però un altro: con esso fu deciso di
portare a compimento l'integrazione economica europea iniziata nel 1957,
realizzando in forma compiuta le quattro libertà che ne costituiscono l'essenza, cioè la
libera circolazione delle merci, delle persone, dei capitali, dei servizi.
A questo scopo l'Atto introduceva importanti innovazioni istituzionali:
- regolare convocazione del Consiglio europeo;
- deliberava che ai pareri richiesti al Parlamento europeo si sostituisse una ben più
impegnativa procedura di "cooperazione";
- l'armonizzazione delle legislazioni nazionali.
Se nella prima fase del mercato comune il modello dell'armonizzazione e
dell'uniformità legislativa era stato ben presente, in questa seconda fase si affermò il
diverso modello della "concorrenza tra norme" dei diversi Paesi, un modello
concepito come strumento di crescita economica.
A loro volta, le forze economiche dei dodici paesi della Comunità diedero un impulso
decisivo orientando le proprie scelte nella direzione del mercato unico.
Tuttavia, un ostacolo, non ancora affrontato, si frapponeva.
Occorreva questo fine, completare l'unione economica con l'unione monetaria a
livello europeo.
Da queste premesse nacque, nel 1992, il Trattato di Maastricht, che ha creato l'Unione
europea.
Al centro di esso stava il progetto di creare una moneta unica, istituendo una Banca
centrale europea.
Si stabilì che la moneta europea, battezzata euro, sarebbe decollata sette anni più
tardi, alla fine del 1999.
Il Trattato di Maastricht ha innovato anche su altre fonti: - il capitolo sulla
"coesione" assicura interventi e investimenti dell'Unione a sostegno delle regioni
meno sviluppate;
- vengono garantiti requisiti comuni sulle condizioni di lavoro e di tutela dei
lavoratori;
- la solidarietà promuove forme di protezione e di tutela dei territori poveri e delle
collettività economicamente arretrate dell'Unione;
- tutela del paesaggio contro i pericoli dell'inquinamento e della devastazione del
territorio;
- tecnologie e ricerca;
- sanità pubblica;
- industria.
Si tratta di competenze concorrenti, le sole competenze esclusive dell'Unione
riguardano la politica sulla concorrenza per il mercato unico e la politica monetaria.
Inoltre, il Trattato ha esteso le competenze dell'Unione europea alla politica estera e
di sicurezza ed agli affari interim e di giustizia.
Tra i principi generali accolti nel trattato, due in particolare sono da sottolineare: il
concetto di cittadinanza europea ed il principio di sussidiarietà, diritto che non
intende sostituire i diritti nazionali o locali, se non dove ciò risulti necessario alle
finalità dell'unione.
Infine, il trattato di Maastricht ha introdotto una serie di riforme istituzionali:
- vengono accresciuti i poteri del Parlamento;
- aumentano le materie per le quali è possibile decidere a maggioranza qualificata in
seno al Consiglio dei ministri.
Nel decennio seguito al trattato di Maastricht si sono succedute a breve distanza
diversi interventi di modifica dei trattati europei.
Nel 1994 sono entrati a far parte dell'Unione europea anche l'Austria, la Finlandia e al
Svezia: era ormai l'Europa dei Quindici.
Il Trattato di Amsterdam del 1997 ha innovato su più fronti:
- il ruolo del Parlamento europeo è stato ulteriormente potenziato;
- la procedura legislativa si è resa meno farraginosa;
- il presidente della Commissione acquista maggior peso, diventa una sorta di primo
ministro;
- le materie per le quali si è ammessa la decisione a maggioranza qualificata sono
aumentate (per quanto riguarda il Consiglio dei ministri);
- viene introdotta la clausola di salvaguardia per bloccare una decisione;
- viene introdotta la cooperazione forzata, che permette di portare avanti iniziative
non condivise da tutti;
- si precisa in modo più analitico il principio di sussidiarietà;
- viene sancito l'impegno a promuovere il rispetto dei diritti fondamentali.
12.4) DALLA CONVENZIONE EUROPEA AL TRATTATO DI LISBONA
Dal 2005 l'Unione comprende ormai venticinque Stati membri con una popolazione
complessiva di oltre 450 milioni di cittadini, ai quali si sono ormai aggiunte anche la
Romania e la Bulgaria.
Il Consiglio europeo di Nizza ha inoltre varato la Carta dei diritti dell'Unione, un
documento che enuncia una serie di diritti fondamentali, comuni all'intera Unione.
Scopo della Carta è di definire con chiarezza il perimetro dei valori e dei principi
fondamentali nei quali l'Unione riconosce la sua identità ed ai quali ispira la sua
azione.
Tali principi sono raggruppati in 54 articoli e sono: il principio di dignità, di libertà,
di uguaglianza, di solidarietà, di cittadinanza, di giustizia.
La presenza di una Carta dei diritti, congiunta con la disciplina della cittadinanza
europea, attribuisce di per sé all'Unione alcuni caratteri propri di una moderna
costituzione.
Nel corso del ventennio dal 1984 in poi, una serie ininterrotta di riforme realizza delle
modifiche incisive dei trattati comunitari.
Queste riforme hanno dilatato le competenze e le funzioni dell'Unione e modificato le
regole istituzionali. Con il vertice di Laeken del 2001, il Consiglio stabilì di affidare
ad una Convenzione il compito di ridisegnare nel loro complesso le funzioni e le
istituzioni dell'Unione in un quadro finalmente organico e adeguato. Dopo un anno e
mezzo di lavoro della Convenzione, venne approvato nel 2003 un progetto di
"Trattato che costituisce la Costituzione dell'Unione europea".
Il progetto venne sottoscritto all'unanimità dal Consiglio europeo di Roma il 29
ottobre 2004 e sottoposto alle ratifiche nazionali.
Il Trattato costituzionale ha l'ambizione di dare un assetto istituzionale e funzionale
adeguato ad una realtà tuttora in divenire, quale è quella dell'Unione. Innovazioni
contenute:
- nuovo modo di voto entro il consiglio;
- creazione di un ministro degli esteri dell'Unione;
- avvio di una politica di sicurezza comune e di una difesa europea;
- maggiore tutela del principio di sussidiarietà. Nonostante queste innovazioni, il
Trattato costituzionale non ha corrisposto se non in misura limitata alle attese. 18
Paesi su 27 hanno ratificato il Trattato costituzionale
Ma il no dei referendum di Francia e di Olanda ha reso poco probabile che il testo
possa entrare in vigore nella forma in cui è stato sottoscritto dai governi.
Vivo è stato negli ultimi anni il dibattito sull'opportunità che l'Unione Europea si doti
di un Codice civile unico.
Ma prevalente è stata la tesi che debba essere mantenuto un ampio margine di
autonomia, mantenendo le diverse tradizioni nazionali.
Pur con questi limiti, l'Unione europea costituisce l'evento storico più importante ed
innovativo che l'Europa abbia conosciuto nel corso del Novecento, suscitando
concreti propositi di imitazione da parte di Africa, America ed Asia.
12.5) NASCITA E STRUTTURA DELL’ONU
La tragedia della prima guerra mondiale aveva suscitato l'iniziativa della creazione
della Società delle Nazioni, per proteggere in avvenire gli stati da aggressioni
reciproche e tutelare la nazione eventualmente aggredita.
Il fallimento di questo tentativo è sfociato nella nuova tragedia della seconda guerra
mondiale.
Ma l'esigenza di dar vita ad uno strumento nuovo per la gestione delle crisi tra stati si
impose molto presto.
Nel 1941 Roosevelt e Churchill sottoscrissero la Carta atlantica, con la quale si
proclamava il diritto dei popoli a non subire mutamenti territoriali senza il loro
consenso, alla libera scelta della forma di governo, alla libertà di commercio.
Le violazioni di questi diritti avrebbero dovuto essere contrastate anche con la forza
dagli stati che si fossero dichiarati pronti a sostenere tali principi, dando vita ad un
sistema di sicurezza collettiva.
Poco più tardi 26 stati approvarono una dichiarazione predisposta da Roosevelt e da
Churchill a nome delle "Nazioni Unite".
Nel 1943 un direttorio costituito da Stati Uniti, Inghilterra, Unione Sovietica e Cina
istituirono un'organizzazione internazionale generale garante della pace, fondata sul
principio dell'uguaglianza sovrana tra gli Stati che vi aderissero.
Nel 1944 a Washington venne messo a punto un Progetto di Carta delle Nazioni Unite
prefigurante molto da vicino quella che diventerà poco dopo la Carta dell'ONU.
Nel 1945 al termine della conferenza tenuta a San Francisco il progetto venne
approvato da ben 50 Stati.
Era nata l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
La finalità dell'ONU è di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, sviluppando
tra le nazioni relazioni amichevoli.
Le controversie internazionali devono essere risolte con mezzi pacifici.
L'ONU è un'organizzazione di Stati, che oggi conta 192 membri; gli Stati membri
dell'ONU hanno parità giuridica, indipendentemente dalle dimensioni, dalla
popolazione e dalla potenza.
L'organo deliberante principale è il Consiglio di Sicurezza, composto da 15 membri,
dei quali 5 permanenti e 10 non permanenti, eletti ogni 2 anni dall'Assemblea
generale (l’eguaglianza, dunque, non vale per i 5 membri permanenti, i quali hanno
inoltre il privilegio esclusivo di esercitare il potere di veto).
Di grande rilievo è il principio del "dominio riservato": l'ONU non è autorizzata ad
intervenire in questioni che appartengono essenzialmente alla competenza interna di
uno Stato; solo grazie a questa condizione è stato possibile includere nell'ONU Stati
così profondamente diversi.
Un aspetto della Carta che va sottolineato è l'attenta considerazione della realtà dei
rapporti internazionali, allor che vi erano ancora vasti territori coloniali o
semicoloniali.
La prospettiva era che venisse superata la condizione di dipendenza di Stati da altri
Stati. Via via che la decolonizzazione è stata realizzata, i popoli soggetti ad altri stati
hanno fatto il loro ingresso nell'ONU.
Un ulteriore profilo della Carta riguarda gli accordi regionali, cioè la compatibilità,
entro l'ONU, di organizzazioni tra gruppi di Stati per il mantenimento della pace e
della sicurezza a livello regionale (ad es. l'Alleanza atlantica).
Come garantire il rispetto della pace e la risposta alle aggressioni compiute da stati,
dunque con la guerra, se non si dispone della forza?
Tutti i membri dell'ONU si devono impegnare a mettere a disposizione del Consiglio
di sicurezza le forze armate necessarie.
Si prefigura la creazione di una forza armata sovranazionale per il mantenimento
della pace.
Questa parte della Carta sinora non è mai stata applicata.
L'Assemblea generale dell'ONU, oltre ad avere un compito di valutazione entro il
perimetro delle competenze proprie dell'ONU, assolve ad una serie di specifiche
funzioni adottando le delibere più importanti con una maggioranza di 2/3.
Ma le decisioni fondamentali sono di pertinenza esclusiva del Consiglio di sicurezza.
Organo delle Nazioni Unite è il Segretario generale, che svolge le funzioni
amministrative.
Il Consiglio economico e sociale ha tra i suoi compiti l'elaborazione di proposte e di
raccomandazioni riguardanti questioni internazionali.
È infine organo delle Nazioni Unite la Corte Internazionale di Giustizia, competente a
dirimere le controversie tra Stati ed a redigere pareri su questioni giuridiche ad esse
sottoposte dall'ONU
12.6) DIRITTO DELL’ECONOMIA E GLOBALIZZAZIONE
Gli sviluppi dell'economia di scambio, nel corso degli ultimi decenni, mostrano
l'emersione di un mercato ormai senza confini.
Un primo spetto della globalizzazione del diritto dell'economia è dunque costituito
dai modelli contrattuali di stampo americano.
La fonte essenziale di questi modelli è la consuetudine: sono nate e si sono sviluppate
forme contrattuali affermate anche in Europa, come il franchising, il leasing, il
factoring, ecc.
Le differenze di normazione tra i diversi stati del mondo hanno una forte rilevanza
nelle decisioni di investimento del mercato.
Le esigenze imposte dall'economia degli scambi e della produzione hanno promosso
la creazione di strumenti atti a risolvere in modo celere ed efficace le controversie
economiche di natura internazionale.
12.7) LA TUTELA INTERNAZIONALE DEI DIRITTI UMANI
Sul fronte del diritto internazionale, le interrelazioni tra gli stati, comprendono ormai
l'intero pianeta. Nella vicenda storica della decolonizzazione, l'ONU ha svolto un
ruolo primario.
Nel 1960 la "Dichiarazione sull'indipendenza ai paesi e popoli coloniali" ha
chiaramente affermato che la subordinazione di un popolo ad una potenza straniera
costituisce violazione dei diritti fondamentali della persona umana.
Un aspetto fondamentale dell'evoluzione del diritto dopo la seconda guerra mondiale
è costituito dalla tutela dei diritti umani a livello internazionale.
Si è visto come la categoria dei diritti fondamentali si sia progressivamente dilatata e
sia tuttora in forte evoluzione.
Il punto di avvio si è avuto nell'immediato dopoguerra.
La Dichiarazione enuncia in 30 brevi articoli una serie di diritti fondamentali: libertà,
dignità, eguaglianza, nazionalità, privacy, libertà di culto, diritto all'informazione, al
lavoro, alla sicurezza sociale, all'asilo politico, ecc.
La Dichiarazione è annessa alla Carta dell'Onu.
Va sottolineata soprattutto l'importanza della dichiarazione nel contesto delle
relazioni internazionali: ognuno degli Stati che nel tempo sono entrati nell'ONU ha
con ciò stesso accettato l'idea che i diritti dell'uomo fanno parte del patto stipulato
con l'ingresso nelle Nazioni Unite.
La Convenzione europea sui diritti dell'uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950
designava un sistema di istituzioni per la tutela di questi diritti, in un seguito
completato con diversi protocolli aggiuntivi.
Nel 1959 nasceva così la Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo.
Molto significativi sono i due patti delle Nazioni Unite sui diritti umani del 1966.
Essi riguardano i diritti economici, sociali, culturali, civili, politici e sono ormai parte
del diritto internazionale.
Infine, si è andata affermando l'idea che tra i diritti fondamentali dell'uomo alla pace.
In anni a noi molto vicini hanno visto la luce alcune Corti internazionali dirette a fare
giustizia laddove i crimini compiuti entro uno Stato siano di tale entità da configurati
come crimini contro l'umanità (2002: entra in funzione la Corte penale internazionale
per i reati gravissimi come il genocidio, i crimini contro l'umanità, i crimini di
guerra).
Queste Corti di recente istituzione sono nate dall'esigenza di offrire una risposta
all'orrore che suscita la visione della sofferenza di popoli lontani.
12.8) CONCLUSIONE
1. Se per globalizzazione del diritto si intende l'estensione di un insieme di norme
giuridiche al di là dei confini politici e geografici in cui esse sono sorte sino ad
abbracciare l'intera comunità internazionale o quantomeno quelle regioni del pianeta
che intrattengono tra loro rapporti economici e politici il fenomeno non può certo
dirsi nuovo infatti in particolare le regole comuni relative alle cambi e alla disciplina
giuridica del commercio internazionale hanno tradizioni molto risalenti di estensione
nello spazio; tuttavia il fenomeno della globalizzazione ha assunto in tempi recenti
alcuni caratteri indubbiamente nuovi e diversi inoltre alcune istituzioni sovranazionali
ed extranazionali hanno ormai assunto ruoli incisivi nei loro rapporti con gli Stati e
con l'individuo.
Le interconnessioni di questi processi con il mondo del diritto sono innegabili e
profonde.
2.L'unità del genere umano è prefigurata già nella cultura antica greca e romana,
infatti, è presente in alcuni giuristi dell'età classica ed è indicata quali supremo
obiettivo di età di fede nei Vangeli.
3.Si spiega allora come questa sproporzione tra la globalizzazione e la e le sovranità
nazionali si è sempre più spesso oggetto di critiche e di tentativi di superamento in
due direzioni: con interventi dall'esterno nei confronti ed entro i confini di altri Stati
nonché con la messa in opera ancora embrionale di strutture sovranazionali.