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PARTE INTRODUTTIVA

La Filosofia del Diritto è la madre di tutte le discipline Giuridiche. Essa ha mostrato una duttilità che
rappresenta la sua principale caratteristica. Ciò ha generato l’idea di essere una disciplina pericolosa e in
pericolo. Pericolosa perché ha un ampio potenziale e una grande estensione, anche sotto il punto di vista
applicativo. In pericolo perché il retaggio proveniente dal passato è ancora molto forte, poiché, la filosofia
del diritto è considerata una sotto disciplina. Dunque, la filosofia del diritto è una materia complessa e
multiforme; può essere considerata una disciplina che elabora tematiche fondative della giuridicità, oppure,
considerata sotto profili epistemologici, metodologici, linguistici e logici, che integrano e chiarificano
l’operare del giurista. Una delle caratteristiche importanti della filosofia del diritto è quella di pensare alla
natura del diritto, dunque, chiedersi che cos’è il diritto e quale sia il suo ruolo in una società. In maniera
diversa, possiamo considerare il giurista positivo, colui che gli basta un punto di riferimento, cioè delle
proposizioni normative emanate direttamente o indirettamente dal potere politico.

Che cos’è una proposizione normativa? Letteralmente è un’enunciazione di un giudizio; dunque, è distinta
da una norma.

Che cos’è una norma? Una regola di condotta o di comportamento

Se per Cotta, la filosofia del diritto è quell’attività che riflette sul sistema regolativo. Per Bobbio è un’inutile
perdita di tempo voler ricercare il significato, dal momento in cui questo nome viene adoperato per
indicare diverse ricerche, che vanno sempre più differenziandosi. Sempre secondo Bobbio a rendere
indedificabile la definizione di “filosofia del diritto” è la stretta parentela tra la nozione di diritto e quella di
stato. Dunque, possiamo osservare che tale disciplina sia controversa.

Solitamente vengono mosse tre fondamentali obiezioni alla filosofia del diritto:

 La prima mossa dai giuristi, i quali negano la legittimità della filosofia del diritto in quanto filosofia;
 La seconda proviene dai i filosofi puri, che negano di porre accanto alla filosofia generale le filosofie
“particolari”;
 La terza viene tanto dai giuristi tanto dai filosofi, i quali, pur ammettendo la legittimità della
disciplina, non credono che il diritto possa essere oggetto di riflessione filosofica.

Rosmini definiva la filosofia del diritto come “nella vita delle leggi positive e dell’arte giurisprudenziale”.
Dunque, tutta la vita giuridica si muove sotto l’impulso della filosofia. Potremmo definire la filosofia del
diritto come quel moto attraverso cui la vita giuridica prende coscienza di sé, arricchendosi sempre di nuovi
contenuti e di nuovi problemi. Su questo punto Opocher dirà “non è possibile vivere coscientemente la vita
giuridica senza filosofare su di essa”.

Dove e con chi nasce la filosofia del diritto?

Nasce in Germania nell’ultimo decennio del Settecento con Hugo ed Hegel, nel momento in cui vi è una
sconsacrazione del diritto naturale. Tale definizione viene utilizzata dal civilista-romanista Hugo, come
denominazione di una riflessione filosofica sul diritto positivo. Mentre Hegel utilizzerà l’espressione
“filosofia del diritto”, che dai giusnaturalisti verrà definito come “diritto naturale”.

Giorgio Del Vecchio inizia a delineare tre compiti principali della filosofia del diritto:

 Fenomenologico, che riguarda l’evoluzione del diritto nella società. Induce a prendere coscienza
del carattere dinamico dei fenomeni giuridici, in quanto il diritto positivo è un fenomeno comune a
tutti i popoli in tutti i tempi, è un prodotto necessario che la natura ci offre;
 Ontologico, relativo al diritto. Consiste nell’elaborare il concetto di diritto. Questo apre due
dispute: se il concetto di diritto deve essere elaborato dal filosofo, era a priori o a posteriori, e se i
caratteri del diritto devono essere ricercati nella norma in quanto tale. Di fatto le due dispute
rappresentarono il tentativo di riaffermare di porre il primato della filosofia sulla scienza;
 Deontologico, il dover essere del diritto. Consiste nel ricercare il diritto quale dovrebbe essere, in
quanto ogni individuo ogni individuo, sente la necessità di giudicare e valutare il diritto esistente.

Seguendo la tripartizione di Del Vecchio, ci consente di rappresentare la filosofia del diritto come quella
disciplina che definisce il diritto nella sua universalità logica. Poi alla tripartizione delvecchiana si è aggiunto
il compito metodologico, si è posto due problemi:

I. La giurisprudenza è effettivamente una scienza? La soluzione che si trovata è stato facile,


poiché, si è ritenuto che la giurisprudenza sia una scienza vera e propria
II. Se è una scienza a che tipo di scienza appartiene? Di questo problema è nata una lunga
discussione. Le classificazioni delle scienze, fa la distinzione tra scienze naturali o generali
da quelle storiche o individuali, pertanto non si capisce se la giurisprudenza faccia parte
delle scienze naturali o storiche. Tuttavia, i filosofi del diritto che appartengono al filone
dell’idealismo storico, stabiliscono che la giurisprudenza faccia parte delle scienze naturali.

Il termine “scienza naturale” era usato sia da filosofi che dai giuristi, la differenza tra i due stava nel fatto
che i primi la usavano come espressione negativa e i secondi come espressione positiva. Per i filosofi
definire la scienza giuridica come scienza naturale, significava considerarla una forma inferiore rispetto alla
filosofia e alla storia, mentre, per i giuristi significava mettere in risalto il lungo cammino della scienza
giuridica. Lo studio di tale disciplina necessita competenze a livello interdisciplinare, poiché, sono convolti
tanto il filosofo quanto il giurista, sia il sociologo che il politologo. Però il carattere filosofico resta
comunque legato alle due questioni sociali, cioè quella di un ordinamento non positivo del diritto, e quel
rapporto che lega il diritto alla giustizia.

La filosofia del diritto pone degli interrogativi alla natura dele diritto. In realtà dovrebbe portare i giuristi a
fornirgli una sorta di approccio formativo, che dovrebbe sollecitare un atteggiamento critico rispetto al
diritto. Come scriveva Opocher “il diritto nel nostro tempo è un diritto senza verità, che l’attuale crisi
dell’esperienza giuridica è (…) una crisi della verità del diritto.

Ma per continuare a svolgere il proprio ruolo il filosofo del diritto avrà il dovere di non ignorare mai il diritto
civettando con la sola filosofia, e non dovrà allontanarsi dalla matrice filosofica atteggiandosi da giurista.

DIRITTI UMANI

I “diritti umani” hanno fortemente segnato la nostra esperienza giuridica, assimilando valori, principi,
comportamenti e valutazioni. Nei testi normativi questi trovano la loro enunciazione, costituendo una
risposta alle minacce fondamentali dell’uomo. I diritti umani hanno rappresentato il terreno di
incontro/scontro tra le anime diverse dei filosofi del diritto e dei giuristi, i quali ne hanno dato delle
formulazioni, di volta in volta, articolate e complete, contribuendo alla codificazione e alla loro
classificazione. Dunque, da questo punto di vista la storia dei diritti umani, risulta essere un percorso lento
e lungo portato avanti dall’umanità e in cui ogni diritto attestato è il risultato di un processo storico che ha
portato alla sua affermazione e in seguito sono stati proclamati molti altri diritti che sono stati
determinanti. Come sostengono Bobbio e Peces-Barba, i diritti umani sono diritti storici, cioè sono nati in
precisi contesti sociali e politici, ed emergono gradualmente dalle lotte che l’uomo combatte per la propria
emancipazione.

La legge sin dagli antichi tempi ha avuto un ruolo centrale, basti pensare al codice di Hammurabi del 1750
a.C. che è una raccolta completa ed organica di leggi in cui i cittadini sono separati dai non cittadini e dai
servi.
A distanza di secoli ritroviamo la Magna Charta Libertatum emanata dal re d’Inghilterra Giovanni Senza
Terra nel 1215, in questa vengono riportati i diritti rilevanti per quell’epoca, tra cui il diritto di proprietà
privata, il diritto alla libertà personale, il diritto a non essere condannati senza alcun motivo. Non possiamo
parlare di un vero e proprio riconoscimento dei diritti umani, tuttavia, possiamo parlare di diritti corporativi,
in quanto, sono riferiti ai Lords, alla Chiesa e alla borghesia contro gli abusi della giustizia regia (le carte
medievali non riguardavano tutti, ovviamente, ma solo gli uomini liberi, cioè i membri dell’aristocrazia, del
clero, e in alcuni casi perfino gli ordini professionali e delle comunità cittadine.)

Nel 1679 Carlo II emanò l’Habeas Corpus Act, un documento in difesa del principio di libertà personale.
Dieci anni dopo nel 1689 la monarchia inglese di Guglielmo approva i Bill of Rights (letteralmente “Carta dei
diritti”) in questa venivano garantite le libertà di religione, di parola e di stampa. Per la prima volta vengono
garantiti i diritti del popolo inglese.

Nel 1776 nasce la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, la quale sancisce come diritti
inalienabili la vita, la libertà, e la ricerca della felicità, concetto che verrà ripreso dalla dichiarazione
francese, nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (1789). La Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino, segna il decesso dell’Ancìen Régime, cioè la rottura con il vecchio ordine e
l’instaurarsi di uno nuovo. Quello che emerge sin da subito che la noncuranza dei diritti dell’uomo sono le
sorgenti delle calamità pubbliche e della corruzione dei governi, la Dichiarazione ha il compito di ricordare i
diritti dell’uomo enunciandoli con chiarezza. Nei primi tre articoli vengono poste le basi del fondamento del
nuovo ordine. Non è più il sovrano che concede al popolo i diritti naturali, bensì il popolo sovrano che
investe il governo in un compito delegando in parte i diritti. Le Dichiarazioni del 1776 e del 1789
rappresentano le prime manifestazioni del processo di positivizzazione dei diritti. Nell’Ottocento tale
positivizzazione si esplicitava con l’emanazione di norme giuridiche che a livello costituzionale dichiarano
l’esistenza dei diritti, mentre a livello legislativo dispongono di misure di attuazione e di tutela. Dunque, i
diritti dell’uomo vengono inseriti negli Ordinamenti Giuridici dei vari Stati. Per esempio, nelle Costituzioni
dei paesi europei i diritti umani si impongono diventando una componente fondamentale e necessaria. In
tal modo le Costituzioni e i diritti diventano le fonti primarie degli ordinamenti giuridici nazionali.

Alla nascita delle prime Dichiarazioni, si affianca, nella storia giuridica europea, il processo di codificazione.
Tale processo ha come obiettivo quello di creare un solo diritto per una nazione. Con l’avvento delle
codificazioni il giusnaturalismo lascia il posto al giuspositivismo. Nel Novecento l’Europa è sconvolta dalle
due grandi guerre mondiali. Soprattutto con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale assistiamo ad un
totale disconoscimento dei diritti dell’uomo. Da qui il 10 novembre 1948, la proclamazione della
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, documento assai complesso tanto per la genesi, che per il
contenuto, è il tentativo di armonizzare diverse visioni, con quarantotto voti favorevoli e otto astensioni. Si
potrebbe dire che la Dichiarazione è il frutto di più ideologie. La Dichiarazione ha una sua forza morale e
politica. È riuscita ad esprimere in sede internazionale l’affermazione del principio della dignità di tutti i
membri della famiglia umana e dei loro diritti eguali e inalienabili. Questa (La dichiarazione) può essere
paragonata ad un tempio che poggia su quattro pilastri fondamentali quali, la dignità, la libertà,
l’uguaglianza e la fraternità (critica: sono tipici della costituzione francese, la quale è basata sui principi di
libertà, ugualità e fraternità). L’universalità dei diritti si afferma sin dal preambolo, la quale afferma che la
dignità umana deve essere riconosciuta a tutti i membri della famiglia umana e i loro diritti sono eguali ed
inalienabili, costituisce (la dignità) il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo.
Dunque, i diritti civili e politici che sono contenuti nella Dichiarazione riflettono il processo di
trasformazione dei rapporti tra Stato e persone. Il popolo, quindi, non è più visto come una totalità politica,
bensì come un insieme di cittadini. Abbiamo detto che la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo è
rivoluzionaria, in quanto, sin dall’Art. 1 si menziona il riconoscimento di tutti gli esseri umani “liberi ed
eguali in dignità e in diritti”. E allora i diritti contenuti nella Dichiarazione “debbono spingere alla
realizzazione di una democrazia che trovi nei diritti dell’uomo il limite del potere legislativo (…)”. Tutto ciò
fa della Dichiarazione un codice di condotta per molti paesi che l’hanno assunta nelle loro costituzioni. Nel
1976 la “carta internazionale dei diritti dell’uomo” diventa una realtà grazie all’entrata in vigore di tre
importanti strumenti:

 Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali


 Patto internazionale sui diritti civili e politici
 Protocollo facoltativo relativo all’ultimo patto

I Patti obbligano gli Stati a riconoscere e a progettare un ampio assortimento di diritti, mentre le
disposizioni facoltative servono a stabilire le procedure in base alle denunce cui i privati possono
presentare sulla base delle violazioni dei diritti dell’uomo. Nel corso degli anni gli strumenti per la tutela dei
diritti umani si sono moltiplicati, giungendo, così, alla Dichiarazione del 7 dicembre del 2000, “Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea”. La Carta in sei capitoli raggruppa tutti i diritti che si basano sulla
dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia. La Carta sancisce in maniera perentoria che
“la tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell’Unione europea (…)”. Si tratta di un
catalogo dei diritti attuali, redatto agli albori del terzo millennio e contiene diritti sensibili alle
problematiche future. Può essere considerata un punto di partenza o di approdo, in quanto se da un lato è
il mero risultato di culture e tradizioni diverse, mentre dall’altro contribuisce all’evoluzione della società,
del costume e del progresso sociale. Ai diritti tradizionali la Carta ne aggiunge altri, che sono il frutto delle
situazioni morali-culturali che l’attuale società europea multietnica impone. Il trattato di Nizza mira ad
armonizzare l’assetto preesistente nei diversi paesi membri dell’Unione, che trova la sua giuridicità nelle
capacità di interpretare un complesso di principi. La Carta avrebbe dovuto catapultare la fortezza Europa
nel riconoscimento che tutti coloro che facciano parte dell’Unione Europea fossero titolare di diritti.

IL FALLIMENTO DEI DIRITTI


nbv

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