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IL POSITIVISMO GIURIDICO: METODI, TEORIE E GIUDIZI DI VALORE

Vittorio Villa

CAPITOLO I: concetti, nozioni e definizioni nelle scienze umane e nella filosofia del diritto
1. IL CAMPO DI ESPERIENZA GIURIDICO
Campo di esperienza giuridico: contesto dove si producono fenomeni sociali del tutto peculiari,
costitutivi dell’esistenza di una comunità sociale; di questi fenomeni sociali noi siamo in qualche
modo consapevoli.
Fenomeni come conoscenze di senso comune siamo consapevoli che esistono documenti (leggi o
codici), istituzioni (parlamenti, giudici, pubblici funzionari..), comportamenti collettivi o individuali
che hanno a che fare con il diritto condizionando la nostra vita.
La filosofia del diritto ha come oggetto di indagine questi fenomeni (il diritto che incide nella
nostra vita quotidiana).
2. LA FILOSOFIA DEL DIRITTO COME FILOSOFIA DEL DIRITTO POSITIVO
Scegliendo questo oggetto di indagine si ha che fare con la filosofia del diritto positivo (o filosofia
del diritto dei giuristi).
DIRITTO POSITIVO: diritto posto dagli esseri umani in relazione ai contesti storico-culturali e con
diverse modalità (chi, come, che cosa). La filosofia del diritto positivo si occupa di quel diritto creato
dagli uomini all’interno della comunità; diversa è la filosofia del diritto dei filosofi, la quale come
oggetto d’indagine ha il diritto naturale, ovvero il diritto che scaturisce dalla natura stessa
dell’uomo.
GIURISTA: studioso del diritto il cui compito è quello di analizzare i contenuti di un settore di uno
specifico diritto positivo; gli studiosi del diritto (termine più ampio), invece, assumono come
oggetto delle loro indagini il campo di esperienza giuridico.
Filosofi e giuristi hanno lo stesso campo di indagine, il diritto positivo, ma la differenza sta nel
modo di accostarsi ad esso.
3. IL DIRITTO COME PRODOTTO CULTURALE
I fenomeni che fanno parte del campo di esperienza giuridico fanno parte della categoria dei fatti
umani (creati da noi stessi). I FATTI UMANI fanno parte del mondo culturale, i FATTI NATURALI
fanno parte del mondo naturale.
CULTURA: insieme di tre tipi di elementi condivisi dai membri di una o più comunità (per la maggior
parte ereditati dalle generazioni precedenti, solo in piccola parte prodotti da essa):
- Elementi rappresentati da valori, norme, simboli, comportamenti…
- Elementi costituiti dalle oggettivazioni, i supporti i veicoli materiali
- Elementi costituiti dai mezzi materiali per la produzione e riproduzione sociale dell’uomo
Accettando tale definizione il diritto rientra tra i prodotti culturali: del diritto fanno parte elementi
normativi e valutativi (regole e principi come disposizioni giuridiche), oggettivazione di questi
(codici e documenti giuridici), mezzi materiali per la loro produzione e riproduzione (istituzioni
come parlamenti, magistratura.. per produrre e applicare il diritto).
4. IL DOPPIO LIVELLO DI ESISTENZA DEI FATTI UMANI
I prodotti culturali come oggetti o fatti umani studiati dalle scienze umane, si distinguono dagli
oggetti naturali studiati dalle scienze naturali.
Capire cos’è X come oggetto culturale non basta una lettura naturalistica, bisogna cogliere la
funzione di X nella comunità; per cogliere tale funzione non basta l’analisi empirica perché bisogna
individuare quell’insieme di regole e istituzioni che fanno si che X rappresenti per la collettività
un’istanza di Y [BANCONOTA  ISTANZA DI DENARO].
I fatti umani esprimono un doppio livello di esistenza:
- Esistono come oggetti/eventi materiali (conoscibili empiricamente)
- Alla presenza di opportune condizioni, esistono come oggetti/eventi cui la collettività
attribuisce un ulteriore significato, cui è assegnata una funzione nella vita sociale. Quali sono
tali condizioni? Nel corso dell’evoluzione culturale di una comunità si decide collettivamente di

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attribuire a certi oggetti/eventi certi significati. Come? Creando regole e istituzioni che
assegnano a quegli oggetti/eventi certe funzioni.
5. FATTI UMANI E “DOPPIO LIVELLO ERMENEUTICO”
Gli studiosi delle scienze umane devono rendere conto dei fenomeni, ovvero attribuire ad essi un
significato e una rilevanza all’interno di una teoria che li spiega; bisogna tener conto del significato
e della funzione che i fenomeni hanno per la comunità.
Fenomeni:
- descrizione delle caratteristiche materiali
- capire il significato e la funzione che hanno per la comunità
Questa metodologia è chiamata doppio livello ermeneutico per indicare il doppio livello di
interpretazione: attribuire un significato scientifico ai fatti che hanno già un significato per chi li
ha prodotti. La descrizione e le spiegazioni degli studiosi delle scienze umane sono elementi che si
aggiungono alla situazione descritta.
6. I FATTI UMANI SOTTO IL PROFILO DELLA PREVISIONE
Rapporto fra lo studioso e il campo di esperienza oggetto della sua indagine all’interno delle scienze
umane.
La scienza deve fornire previsioni sui fatti futuri; nelle scienze naturali le previsioni non influenzano
il decorso futuro dell’esperienza. Nelle scienze umane può esserci una sorta di “influenza della
previsione sull’evento predetto”, chiamata effetto di Edipo da Popper.
Esempio. Fa parte del lavoro scientifico dei giuristi formulare previsioni su come i giudici
interpreteranno certe disposizioni e su come decideranno certe controversie; può succedere che i
giudici prendano decisioni sulla base delle proposte interpretative (previsioni) dei giuristi. Può anche
succedere che i giuristi consapevoli di tale fenomeno, influenzino di proposito le decisioni dei giuristi
verso scelte etico-politiche proprie, ovvero spacciando previsioni scientifiche quelle che sono
operazioni ideologiche. In questo caso i giuristi fanno politica del diritto e non scienza del diritto.
7. LE NOZIONI ESSENZIALMENTE CONTESTABILI
Concezioni che fanno parte del positivismo giuridico (stesso concetto di diritto):
- H. Kelsen, esponente della tradizione di ricerca normativistica: il diritto è un insieme di norme
- A. Ross, esponente della tradizione di ricerca del realismo giuridico: il diritto è un insieme di
fatti psico-sociali
- H. Hart, esponente del positivismo giuridico analitico anglosassone: il diritto è un insieme di
attività sociali normative
Il diritto fa parte di un gruppo di nozioni dette essenzialmente contestabili (possono essere
interpretate in diversi modi).
NOZIONI ESSENZIALMENTE CONTESTABLI: nozioni che hanno una comune base concettuale
riconosciuta da tutti coloro che cercano di darne una definizione, ma esposte a possibili
interpretazioni filosofiche/teoriche diverse.
Caratteristiche affinché una nozione sia contestabile:
- Il significato delle nozioni contiene riferimenti di carattere valutativo (rinvia ad elementi
meritevoli di apprezzamento)
- Il significato delle nozioni contiene riferimenti a concezioni filosofiche e metafisiche (visioni
dell’uomo e della società)
8. LA NOZIONE DI “CONCETTO”
Se i partecipanti parlano di cose diverse ha luogo una situazione di incommensurabilità: manca un
parametro condiviso che consente una valutazione comparativa. Quando i partecipanti parlano
della stessa cosa hanno in comune il “concetto” denominato come nozione.
CONCETTO: in riferimento all’area solida di una determinata nozione del linguaggio comune o
scientifico.
Le attività comuni possono essere di carattere pratico: i membri di una comunità presuppongono
diverse assunzioni (concetti di senso comune). Se le attività sono di carattere teorico/empirico, la
comunità in questione è una comunità scientifica (concetti scientifici). Sono le assunzioni a formare
il concetto.

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CONCETTO ≠ NOZIONE (significato di un’espressione).
9. LO SCHEMA “CONCETTO/CONCEZIONI”
CONCETTO (tronco): base condivisa di partenza su cui fanno affidamento le concezioni e le teorie
CONCEZIONI (ramificazioni): primo stadio che attraversa la conoscenza; l’oggetto non è più certo
ma è più facile di congetture falsificabili. Assunzioni che forniscono un’interpretazione preliminare
del concetto
TEORIE (rametti più piccoli): specificazioni di concezioni; tentativi di offrire ricostruzione di oggetti
e spiegazioni di quanto accade all’interno del campo di esperienza
Esempio. Concezioni giuspositivistiche: comune concetto di diritto ma forniscono delle
interpretazioni radicalmente divergenti; dalle concezioni hanno origine diverse teorie giuridiche.
I concetti non fanno parte dell’attività conoscitiva, sono la dimensione di certezza da cui muovere. I
concetti sono fenomeni contingenti: nessun elemento è necessariamente concettuale (dipende
dallo status e dal contesto culturale).
10. ALCUNI ELEMENTI DI TEORIA DELLA DEFINIZIONE
Metodologia delle nozioni essenzialmente contestabili: accertarsi che esista un livello minimo di
accordo su alcuni elementi o caratteristiche della nozione, a livello di senso comune e a livello
scientifico. Definizione concettuale: isolare gli eventuali elementi concettuali di una nozione
essenzialmente contestabile (definizione= attività attraverso la quale viene attribuito un significato
ad enti linguistici).
L’oggetto dell’attività definitoria non possono essere cose o entità extralinguistiche l’unico tipo di
definizione possibile è la definizione nominale (oggetto sono gli enti linguistici). La definizione
nominale può spiegare il significato di parole o espressioni (attraverso sinonimi); oppure può
chiarire il significato di nozioni del linguaggio, ovvero precisare la base semantica comune di
un’intera classe si parole sinonime (attraverso classificazioni, descrizioni, disegni…).
Dal punti di vista delle finalità si può distinguere tra:
- Definizione lessicale: descrivere i significati delle espressioni e nozioni che sono di fatto
attribuiti e adottati da specifici gruppi
- Definizione stipulativa: prescrivere ex novo significati di parole e nozioni
- Definizione esplicativa: (come la definizione lessicale ha l’esigenza di collegare significati
adottati da una comunità; come la definizione stipulativa ha l’esigenza di riordinare e
semplificare) integra/corregge un significato già esistente per renderlo più adatto alla funzione
che deve svolgere; la sua funzione principale è quella di render conto di alcune prassi
linguistiche già esistente, non crearne nuove.
11. LA DEFINIZIONE CONCETTUALE
La definizione concettuale si preoccupa di portare alla luce le basi concettuali condivise di alcune
nozioni, esaminando le concezioni che partono da tali concetti.
Qual è l’oggetto della definizione? Il linguaggio, discorsi per portare alla luce assunzioni che
esprimono i concetti comuni di una nozione
Qual è la sua funzione? Si occupa di nozioni profondamente radicate nella nostra cultura sia a
livello filosofico-scientifico che a livello di senso comune.
OGGETTO: nozioni
FUNZIONE: di tipo esplicativo-ricostruttivo
12. LA DEFINIZIONE CONCETTUALE DI DIRITTO COME “REGOLA”
Per elaborare una teoria del diritto è necessario porre al centro della riflessione il profilo della
regola. Nella vita di un’organizzazione giuridica esistono necessariamente regole (modelli di
condotta mediamente osservati, l’inosservanza dà luogo a una sanzione). In qualunque insieme di
regole c’è la presenza di una qualche forma di sanzione; esistono anche le regole su regole il cui
oggetto è il comportamento degli organi pubblici.
Regola giuridica dove c’è il diritto ci sono necessariamente modelli di condotta generali e
standardizzati la cui osservanza è richiesta pena di sanzione.
13. ALCUNE IMPLICAZIONI DELLA DEFINIZIONE DI DIRITTO COME “REGOLA”

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- Carattere essenzialmente sociale delle regole giuridiche; le regole giuridiche fanno parte del
gruppo più ampio di regole sociali
- Nelle organizzazioni giuridiche le regole sono necessarie; le regole giuridiche sono necessarie
(costitutive) per l’esistenza di una comunità socio-politica o qualunque forma di vita associata.
Regola (valenza sociale), norma (valenza giuridica, più autonoma).
CAPITOLO II: il concetto di positivismo giuridico e la filosofia del diritto
1. UNA INTERPRETAZIONE GIUSPOSITIVISTICA DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO
GIUSPOSITIVISMO: l’oggetto d indagine della filosofia del diritto è il diritto positivo, lo stesso di cui
si occupano altri soggetti che partecipano alla vita del diritto (cittadini, giuristi…). Solo il diritto
positivo può essere chiamato diritto.
GIUSNATURALISMO: l’oggetto di indagine della filosofia del diritto è il diritto naturale,
sovraordinato rispetto il diritto positivo in quanto scaturisce dalla natura stessa dell’uomo.
2. IL PROBLEMA DELLA DEFINIZIONE DI “GIUSPOSITIVISMO”
Giuspositivismo e giusnaturalismo sono nozioni essenzialmente contestabili. Queste due definizioni
sono strettamente intrecciate, tra di esse esiste una opposizione concettuale mutuamente
esclusiva: non esiste una via di mezzo, una nega completamente l’altra.
Del positivismo giuridico è possibile fornire una sola definizione. Bobbio, diversamente, sosteneva
che è possibile ripartirlo in tre aspetti collegati storicamente ma non logicamente (metodologico,
teorico, ideologico); anche Hart distingue il giuspositivismo in cinque tesi diverse. C’è inoltre chi
ritiene che tale definizione fa riferimento a molte cose diverse e quindi bisogna sostituirla con
diverse locuzioni specifiche. Tali posizioni non tengono conto di quegli elementi di continuità (la
contrapposizione al giusnaturalismo) che hanno caratterizzato la storia del giuspositivismo.
Scarpelli sostiene che è necessario dare una definizione esplicativa di positivismo giuridico in
quanto è uno dei concetti che sta nei punti nodali della cultura.
Una definizione concettuale rende conto sia degli elementi unitari sia di quelli di differenziazione;
inoltre permette di capire come da una base teorica condivisa possono intervenire elementi di
differenziazione come le concezioni e le teorie (esito di differenti interpretazioni dello stesso
concetto).
3. UNA DEFINIZIONE CONCETTUALE DI GIUSPOSITIVISMO
Due tesi non logicamente collegate ma che esprimono congiuntamente il concetto di
giuspositivismo:
- TESI SUL DIRITTO (tesi ontologica): tutti i fenomeni giuridici rappresentano istanze di diritto
positivo (diritto come prodotto normativo e convenzionale di decisioni/comportamenti umani
contingenti dal punto di vista culturale e etico-politico)
- TESI SUL MODO DI ACCOSTARSI AL DIRITTO (tesi metodologica): render conto del diritto
positivo è un’attività diversa rispetto a quella di prender posizione nei sui confronti (processi
di descrizione ≠ processi di giustificazione).
Giusnaturalismo negazione di entrambe le tesi:
- ci sono contenuti giuridici necessari (≠ contingenti)
- per descrivere il diritto positivo bisogna prendere posizione su di esso, porsi il problema del
diritto giusto.
4. ALCUNE CHIARIFICAZIONI SULLA PRIMA ASSUNZIONE CONCETTUALE DEL GIUSPOSITIVISMO
Osservazioni sulla prima tesi:
a) Il diritto positivo è convenzionale (prodotto di decisioni e comportamenti) opposizione
tra giuspositivismo e giusnaturalismo. Il giuspositivismo nega una connessione essenziale
fra diritto e natura (contenuti necessari), assume quindi, una posizione convenzionalistica
anche se arriva a riconoscere un radicamento del diritto nella natura= il diritto e
naturalmente portato a coordinare la vita sociale.
b) La tesi della separabilità scaturisce dalla tesi sul diritto: il diritto positivo può essere
separato da contenuti e esigenze morali. Il diritto positivo è frutto di decisioni
contingenti non c’è nessun contenuto giuridico necessario, quindi nessun contenuto
etico necessario. Separabilità non separazione fra diritto e morale. Tale tesi essendo

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collegata alla dimensione ontologica, non fa parte di quella metodologica. Tale tesi è
indeterminata, può essere interpretata diversamente.
5. ALCUNE CHIARIFICAZIONI SULLA SECONDA ASSUNZIONE CONCETTUALE DEL GIUSPOSITIVISMO
Osservazioni sulla seconda tesi:
a) È stata una delle affermazioni centrali del giuspositivismo moderno; oggi viene chiamata
giuspositivismo metodologico.
b) Fra la tesi concettuale metodologica del giuspositivismo e quella dell’avalutatività delle
descrizioni giuridiche non c’è un collegamento necessario; se per descrivere un certo diritto
positivo è necessario un atteggiamento avalutativo, ciò comporta un passaggio ulteriore di
interpretazione di una assunzione concettuale.
c) L’attività definitoria è a livello concettuale.
6. DUE CONCEZIONI DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO A CONFRONTO
La filosofia può essere caratterizzata come filosofia del diritto dei giuristi (oggetto di studio è un
settore del diritto positivo) VS filosofia del diritto dei filosofi (prospettive giusnaturalistiche il cui
oggetto di indagine è il diritto naturale: l’indagine parte da alcune nozioni esterne al mondo del
diritto, per poi fornire una definizione del diritto).
Giusnaturalismo: metodo deduttivo; il fondamenti del diritto naturale poggia su alcune idee di
sfondo di carattere generale (nozione di natura umana e visione complessiva della realtà).
Secondo Bobbio l’oggetto della filosofia del diritto dei filosofi è andato incontro a un processo di
duplicazione del sapere giuridico; ci sono due oggetti giuridici: il diritto naturale di cui si occupa il
giusnaturalismo e il diritto positivo di cui si occupano le altre discipline giuridiche normative (diritto
dal punto di vista normativo).
RISULTATO nozione di diritto dei filosofi VS nozioni di diritto fornita dagli studiosi del diritto
positivo (dall’esame di ordinamenti giuridici positivi).
Se la filosofia del diritto è intesa come filosofia del diritto dei giuristi o filosofia del diritto positivo
non c’è duplicazione, ci si occupa dello stesso oggetto di competenza della teoria del diritto e delle
altre discipline giuridiche normative la differenza rispetto alle altre discipline non sta nell’oggetto
ma nel modo di accostarsi ad esso.
7. FILOSOFIA DEL DIRITTO E DOGMATICA GIURIDICA
La filosofia del diritto non è autonoma (in quanto all’oggetto) dalle altre discipline giuridiche
normative; essa guarda l’oggetto a maggior distanza, partendo da un livello più alto di astrazione
rispetto alle altre discipline.
FILOSOFIA DEL DIRITTO: oggetto sono gli aspetti generali dell’esperienza giuridica
DOGMATICA GIURIDICA: oggetto sono gli istituti o gruppi di norme facenti parte di un certo settore
del diritto positivo
Enunciato giuridico non interpretato punto di partenza di interpretazione e applicazione di
disposizioni contenute nei codici e nelle leggi
Enunciato giuridico interpretato o norma giuridica punto di arrivo di questa attività
Attività svolte dai giuristi (dogmatica giuridica):
- Interpretazione di insiemi omogenei di enunciati normativi [disposizioni legislative del diritto di
famiglia]
- Rappresentazione unitaria del risultato di tale attività in strutture concettuali (istituti) [istituto
dell’adozione]
- Costruzioni di micro-sistemi [diritto di famiglia] attraverso nozioni e principi che unificano i vari
istituti [principio costituzionale secondo cui la famiglia è una formazione sociale naturale]
- costruzione di sistemi di livello superiore [sistema del diritto privato italiano] attraverso i
principi esplicativi di settore [principio di buona fede].
8. FILOSOFIA DEL DIRITTO E TEORIA DEL DIRITTO
Entrambe le discipline si occupano degli aspetti generali dell’esperienza giuridica.
TEORIA DEL DIRITTO: si occupa di ordinamenti tra loro affini e quindi comparabili; quindi cerca di
elaborare una serie di nozioni che si presumono comuni a questi ordinamenti (norma, principio,
obbligo…). Tale teoria nasce nella prima metà del XIX secolo ad pera del giurista inglese J. Austin.

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Tra dogmatica giuridica, teoria del diritto e filosofia del diritto intercorrono interazioni strette e
complesse. [teoria del diritto – filosofia del diritto]
Teoria del diritto – dogmatica giuridica: la dogmatica giuridica ha bisogno di presupporre, nella sua
attività, alcune coordinate teoriche di sfondo; la teoria del diritto ha bisogno dell’analisi della
dogmatica giuridica (le ricostruzioni dogmatiche possono essere utili per verificare le elaborazioni
teoriche di carattere generale).
9. FILOSOFIA DEL DIRITTO IN “SENSO AMPIO” E IN “SENSO STRETTO”
Filosofia del diritto in senso ampio non è possibile dividere marcatamente filosofia del diritto e
teoria del diritto. La filosofia del diritto predilige teorie ad ampio raggio; la teoria del diritto
predilige teorie di raggio più limitato (elevata riduzione di complessità), quindi specializzate e
astratte. [Nelle opere di Kelsen, Ross e Hart c’è mescolanza tra filosofia e teoria del diritto].
Filosofia del diritto in senso stretto ad essa sono riservati alcuni compiti con competenze
autonome rispetto alla teoria del diritto; due specifici compiti: metateorico (i discorsi della teoria
del diritto possono essere oggetto di analisi della filosofia del diritto) e di attribuzione di senso
(recupero della dimensione filosofica) più autonomia rispetto alla teoria del diritto.
10. IL COMPITO METATEORICO DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO
Non c’è molta differenza con la teoria del diritto.
Svolgendo questo compito l’oggetto di indagine sono le attività su norme svolte dai vari soggetti
facenti parte di una data comunità giuridica.
a) Per quanto riguarda la dimensione dei metodi, la filosofia del diritto esamina a livello
ricostruttivo i metodi utilizzati dai vari oggetti nelle loro attività su norme (meta-
giurisprudenza ricostruttiva); può anche suggerire, a livello prescrittivo, a giudici e giuristi i
metodi da adottare (meta-giurisprudenza prescrittiva)
b) Per quanto riguarda la dimensione dei contenuti, la filosofia del diritto esamina i concetti e
le nozioni elaborati dalla teoria del diritto e dalla dogmatica giuridica, mettendo in evidenza
i contenuti, la struttura logica, le implicazioni epistemologiche, i rapporti con altri
concetti/nozioni.
Esempio. Analisi di nozioni elaborate dalla teoria del diritto o dalla dogmatica giuridica: ricostruire
teorie della validità delle norme giuridiche elaborate dalla teoria del diritto, evidenziando: le basi
epistemologiche della nozione, il collegamento con altre nozioni, la struttura logico-linguistica.
11. IL COMPITO DI ATTRIBUZIONE DI SENSO DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO
La differenza con la teoria del diritto è più marcata.
L’esperienza giuridica diventa oggetto di riflessione nel suo complesso o nei rapporti con altre
esperienze umane; la filosofia del diritto si pone il problema del significato che ha il diritto per
l’esperienza umana.
a) Analisi del rapporto diritto – morale (In che senso il diritto ha una dimensione morale?)
b) Analisi del rapporto diritto – politica (Il diritto è uno strumento della politica o ha finalità
proprie?)
c) Analisi del senso della normatività (In che senso il diritto è normativo, è vincolante per la
condotta?).

CAPITOLO III: le concezioni del positivismo giuridico


1. IL DIRITTO COME STRUMENTO “FISIOLOGICO” DI REGOLAZIONE DELLA VITA SOCIALE
Ogni momento della vita sociale è regolato da norme giuridiche; noi diventiamo consapevoli della
presenza di regole giuridiche quando sorgono dei problemi relativi ad esse. Il diritto ha un ruolo
patologico (prescrivere sanzioni) e un ruolo fisiologico (regolare la vita sociale). Per Kelsen e Ross è
la dimensione patologica del diritto a essere quella fondamentale.
2. IL PROBLEMA DEL SENSO DELLA NORMATIVITÀ
Se ci sono regole giuridiche valide i nostri comportamenti sono sottoposti a vincoli. Il vincolo non è
osservabile empiricamente bisogna capire come da comportamenti empiricamente osservabili
possono scaturire vincoli o facoltà che sembrano immateriali. Il problema del senso della
normatività nasce nel momento in cui si va a chiarire il rapporto tra norme (entità meta-empiriche)

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e comportamenti; è un problema pregiudiziale (dobbiamo capire innanzitutto perché il diritto
assume il carattere della normatività) e fondamentale (coinvolge la natura stessa del diritto). Il
vincolo ci fa intuire la natura bipolare del diritto esso guarda a due mondi: il mondo dei fatti
(forza coattiva delle reazioni ai comportamenti illeciti, efficacia delle risposte del diritto alle
deviazioni), il mondo dei valori (concezioni di giustizia sociale); il diritto deve essere efficace e
giusto. Il problema della normatività è stato affrontato dalle più importanti teorie giuridiche
(normativismo di Kelsen, realismo giuridico di Ross, diritto come pratica sociale di Hart).
3. LE DUE RISPOSTE “RIDUZIONISTICHE” E QUELLA “NON RIDUZIONISTICA”
considerazioni sullo status epistemologico e teorico:
a) Tutte e tre le teorie sono versioni di tre fondamentali concezioni del giuspositivismo; tali
concezioni rappresentano tre diverse interpretazioni di uno stesso concetto.
Nell’interpretazione ontologica il contenuto del diritto positivo è contingente, le concezioni
poi devono rispondere ai quesiti, determinare quale interpretazione dare alla dizione
“prodotto sociale contingente”; lo schema prevede un’articolazione di concetti, concezioni,
teorie.

tesi sul diritto: i fenomeni


giuridici sono istanze di diritto
positivo (diritto come prodotto
normativo e convenzionale di
decisioni/comportamenti
contigenti)

concezione normativistica: il concezione del diritto come


concezione realistica: il diritto
diritto è un insieme di norme pratica sociale: il diritto è un
è un insieme di fatti sociali che
prodotte da organi pubblici e insieme di pratiche sociali
riguardano l'attività giudiziale
privati normative

teoria di Hart: la pratica sociale


teoria di kelsen: le norme sono teoria di Ross: i fatti sono normativa è un atteggiamento
nella sfera del dover essere sociali e psicologici (credenze critico riflessivo dei membri di
oggettivo di ruolo) una comunità giuridica (punto
di vista interno)

b) Le teorie di Kelsen e di Ross hanno un carattere riduzionistico: nel rapporto regole-


comportamenti un termine del rapporto viene ridotto all’altro. La teoria di Hart ha un
carattere non riduzionistico: per capire la forza vincolante del diritto non bisogna
rinunciare a nessuno dei due termini del rapporto.
4. LA TEORIA DI KELSEN: A) LA “PUREZZA” DELLA DOTTRINA E LA STRUTTURA FORMALE DELLA NORMA
Hans Kelsen (1881 – 1973) ha scritto La dottrina pura del diritto (1960) il diritto non è puro, cioè
separato dal altri elementi, ma è il risultato delle teoria del diritto ad essere puro.
Il teorico del diritto riesce a produrre il diritto “puro” a partire da materiali “impuri” (norme
giuridiche che si trovano nella realtà sociale); ciò che rimane è la struttura formale della norma
giuridica (se A deve essere B: A è l’illecito cui il legislatore collega il dover essere una sanzione che è
B).
a) Questo schema vale per tutte le norme giuridiche; le norme o contengono sanzioni o non
sono norme giuridiche. Ma ci sono norme che non prevedono sanzioni nel diritto privato
la nullità o annullabilità di atti sono anch’esse sanzioni; le norme costituzioni sono
incomplete, sono le norme legislative a completarle, quindi sono esse a contenere le
sanzioni

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b) L’illecito è l’atto giuridico per definizione in quanto esso fa scattare la sanzione la vera e
propria norma primaria e la norma che contiene la sanzione. In prima istanza il diritto si
rivolge ai giudici per irrogare le sanzioni, solo in seconda istanza si rivolge ai cittadini che
dalla norma primaria ricavano quella secondaria ovvero il precetto
c) Tale schema è una ricostruzione teorica
d) Illecito e sanzione sono collegati da un principio di “dover essere” (principio di
imputazione), non da un principio di “essere” (principio di causalità).
5. SEGUE: B) LA VALIDITÀ DELLA NORMA GIURIDICA E LA SFERA DEL “DOVER ESSERE OGGETTIVO”
La teoria di Kelsen è una teoria formale e sistemica della validità.
FORMALE: una norma è valida se rispetta l’iter produttivo dettato da una norma di grado superiore
SISTEMICA: il processo di validazione non può esserci se le norme sono isolate tra loro
Quando la norma acquista validità passa dal mondo fattuale (sfera dell’essere) di chi l’ha prodotta
(senso soggettivo dell’atto di volontà che produce la norma) alla sfera della realtà/sfera del dover
essere (senso oggettivo dell’atto di volontà che produce la norma).
Validità ≠ efficacia (la norma viene mediamente osservata, in caso contrario si applicano le
sanzioni).
La sfera dell’essere è regolata dal principio di causalità (se la realtà reagisce in modo diverso
rispetto alle nostre aspettative, noi ci adeguiamo al mondo modificando la legge), la sfera del dover
essere dal principio di imputazione (a certe condizioni devono essere imputate certe conseguenze,
vogliamo che il mondo si adegui a noi).
6. SEGUE: C) SISTEMI STATICI, SISTEMI DINAMICI E NORMA FONDAMENTALE
La concezione sistemica del diritto secondo Kelsen implica che il diritto è un sistema di norme
gerarchicamente strutturato (gli elementi di ogni livello sono determinati dal livello superiore e
determina quelli del livello inferiore).
Ma è necessario postulare una norma di chiusura (norma fondamentale) è una norma non
positiva, ovvero non ha alcun tipo di contenuto ma si limita a mettere in moto il meccanismo di
validità affermando che “la costituzione è valida”. La condizione necessaria è che l’ordinamento
giuridico sia mediamente efficace; la norma fondamentale di un sistema giuridico (sistema
dinamico) non attribuisce contenuto alle norme costituzionali ma determina le modalità della loro
produzione conferendo loro validità.
≠ nel sistema di norme morali (sistema statico) il passaggio dall’uno all’altro livello riguarda
specificazioni del contenuto di altre norme: porta alla luce ciò che è implicito a livello superiore.
7. ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA TEORIA DI KELSEN
a) La forza è l’oggetto della regolamentazione giuridica, non lo strumento per assicurare
l’efficacia (il diritto offre ragioni per le azioni, richiede consenso e condivisione di valori)
b) Il diritto si rivolge in prima istanza ai giidici: ciò non è conforme alle opinioni di senso
comune
c) Risulta complicata l’idea seconda la quale le norme costituzionali sono parti di norme (e
non norme compiute)
d) Carattere riduzionistico: Kelsen privilegia l’aspetto della regola e del dover essere
oggettivo. La norma è indipendente dai comportamenti i quali hanno rilievo solo all’inizio
(nella produzione della norma) e alla fine (condizione di validità della norma
fondamentale).
KELSEN HA UNA CONCEZIONE OGGETTUALISTICA DEL DIRITTO.
8. LA TEORIA DI ROSS: A) IL REALISMO GIURIDICO SCANDINAVO COME CONCEZIONE DEL GIUSPOSITIVISMO
Ross (1899-1979) è un esponente del realismo giuridico scandinavo. La sua risposta al problema del
senso della normatività è contrapposta a quella di Kelsen: assimila il mondo del diritto alla
dimensione fattuale dei comportamenti e degli atteggiamenti psico-sociali.
Livello ontologico il diritto è un insieme complesso di fatti psico-sociali che riguardano la vita
interiore e i comportamenti esterni di giudici e funzionari

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Livello metodologico nello studio del diritto positivo la dimensione della descrizione deve
essere separata da quella della presa di posizione (fa un passo ulteriore stabilendo il principio di
avalutatività: accostarsi al diritto in modo avalutativo)
REALISMO SCANDINAVO: critica al giusnaturalismo e al giuspositivismo normativistico perché
rappresentano il diritto attraverso nozioni non-scientifiche, fittizie; sforzo di fornire una descrizione
empirica del diritto (la sua dimensione normativa è spiegabile attraverso meccanismi di
condizionamento di carattere psico-sociale).
9. SEGUE: B) LE PREMESSE EPISTEMOLOGICHE E METODOLOGICHE
Le premesse epistemologiche della concezione neopositivistica della conoscenza rappresentano
l’elemento in partenza costitutivo per l’elaborazione teorica di Ross.
Ross sostiene che l’unico discorso dotato di significato conoscitivo è il discorso della scienza
(controllabile in riferimento ai fatti empirici). La filosofia può solo esaminare i discorsi della scienza.
I discorsi della scienza sono controllabili perché adottano il principio di verificazione: criterio di
significanza e controllo delle asserzioni un’asserzione non empiricamente controllabile è
considerata priva di significato conoscitivo. Cit. [Diritto e giustizia]: è un principio della scienza
empirica moderna che una proposizione circa la realtà implichi che, adottando certe procedure e
sussistendo certe condizioni, seguiranno certe esperienze dirette […] queste procedure sono
chiamate procedure di verificazione e la somma delle implicazioni verificabili si dice costituire il
“contenuto reale” della proposizione.
Anche la dogmatica giuridica, se vuol essere scienza deve adottare lo stesso metodo e divenire
scienza sociale empirica (secondo Ross, la scienza giuridica oggi è scienza normativa).
Metodologia prescrittiva di Ross: detta ai giuristi le regole metodologiche che essi devono seguire
se vogliono fare scienza (i giuristi devono occuparsi di fatti psico-sociali).
10. SEGUE: C) LA NOZIONE DI VALIDITÀ COME NOZIONE VERIFICABILE
Nella sua teoria della validità Ross sceglie l’analisi del linguaggio, ovvero si chiede: qual è il
significato di certe asserzioni poste in essere dai giuristi, con lo schema <<A (asserzione del
giurista)= D (una norma dell’ordinamento giuridico) è diritto valido>>?
Il giudizio di validità per essere scientificamente accettabile deve essere una previsione,
empiricamente controllabile, di fatti. Le norme in quanto direttive sull’uso della forza si rivolgono
in primo luogo ai giudici; i fatti riguardano i comportamenti sociali e atteggiamenti psicologici dei
giudici i giuristi quando esprimono giudizi di validità sulle norme devono cercare di prevedere
quali saranno le norme che i giudici applicheranno per risolvere certe controversie; i giuristi
devono spiegare perché un giudice applichi una certa norma piuttosto che un’altra (legge causale:
i comportamenti dei giudici sono effetti di certe cause).
La causa delle decisioni dei giudici sulla validità di norme è da ritrovarsi in una ideologia normativa
(insieme di credenze di ruolo dalle quali si sentono vincolati: i giudici considerano valide le norme
prodotte da atti, secondo determinate procedure).
CONCLUSIONE: i giudizi sulla validità espressi dai giuristi sono controllabili empiricamente perché
esprimono previsioni di fatti (decisioni di giudici sulla validità); tali previsioni sono verificabili (con il
principio di verificazione) tramite l’osservazione di questi fatti. Sono previsioni scientifiche
corrette la presenza dei fatti conferma l’esistenza di una legge scientifica che correla i fatti
(effetti) a certe cause (ideologia normativa che vincola i comportamenti).
11. SEGUE: D) CREDENZE “MAGICHE” E FUNZIONAMENTO DELLA MACCHINA DEL DIRITTO
L’elemento principale per determinare la validità del diritto è l’elemento psicologico (fatti percepiti
come psicologicamente vincolanti). Tutti noi facciamo affidamento sull’esistenza di entità fittizie e
sull’esistenza normativa del diritto.
Nel campo del diritto ci sono entità normative fittizie che ad un esame scientifico si mostrano prive
di significato; a causa di processi storici antichi e sedimentati sono normalmente percepiti come
esistenti.
Metafora del funzionamento di una macchina sia nella centrale elettrica che nelle organizzazioni
giuridiche si produco elementi immateriali (corrente elettrica, correnti psicologiche di credenze

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normative); in entrambi i casi chi è predisposto per far funzionare una macchina può avvicendarsi o
farsi sostituire e la macchina continuerà a funzionare.
12. ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA TEORIA DI ROSS
La risposta che Ross dà al problema del senso della normatività ha carattere fattuale: spiegando il
rapporto regole-comportamenti elimina la componente normativa in favore di quella fattuale. La
proprietà normativa è empiricamente osservabile, è data da elementi psicologici e elementi
fattuali.
Concezione oggettualistica del diritto (come Kelsen): il diritto viene prodotto tutto in una volta, nel
momento in cui viene considerato valido dai giudici.
La risposta ha carattere riduzionistico: la dimensione normativa è eliminata a favore di quella
fattuale. Per Ross il vincolo che ci proviene dal diritto o è psicologico e quindi rilevabile
empiricamente, altrimenti non esiste come vincolo. Essere obbligati = avere un obbligo (anche se è
evidente che si tratta di situazioni diverse).
13. LA TEORIA DI HART: A) POSITIVISMO GIURIDICO ANALITICO E RISPOSTA ANTI-RIDUZIONISTICA
Hart (1907-1992), filosofo del diritto inglese; scrive The concept of law.
La risposta che Hart dà al problema del senso della normatività non è riduzionistica: tiene collegate
la dimensione dei comportamenti e delle regole senza rinunciare a una delle due; inaugura la teoria
del diritto come pratica sociale. Il significato delle regole giuridiche si basa sul fatto che nei rule
followers (gruppi di persone che seguono regole) esistono degli atteggiamenti condivisi di
accettazione dei modelli di comportamento incorporati nelle regole e delle pratiche linguistiche
attraverso le quali i comportamenti di osservanza vengono giustificati, altrimenti criticati. Le due
dimensioni si richiamano concettualmente a vicenda ci sono delle regole perchè si accettano i
modelli di comportamento in esse incorporati; ci sono dei comportamenti regolati in quanto le
regole sono schemi di interpretazione di quegli atteggiamenti.
Anche per Hart, come per Ross, il punto di riferimento è la filosofia analitica, privilegiando l’analisi
del linguaggio; ma ci sono delle differenze: non si è più sicuri dell’identità fra principio di
verificazione e criterio di significanza, i discorsi oggetto di analisi non sono più quelli della scienza;
viene privilegiata l’analisi del linguaggio ordinario (senso comune delle parole); non sono più
necessari i metodi delle scienze naturali.  PLURALISMO METODOLOGICO (metodi diversi).
La teoria di Hart si inserisce nel giuspositivismo ottocentesco inglese:
- Tesi I: la teoria del diritto esamina le nozioni fondamentali di ordinamenti tra loro comparabili,
scomponendo le nozioni lei loro elementi costitutivi
- Tesi II: bisogna distinguere l’attività descrittiva (esame del contenuto delle norme) dall’attività
valutativa (presa di posizione nei confronti delle norme).
14. SEGUE: B) REGOLE, ABITUDINI E PUNTI DI VISTA INTERNO
Hart parte dalla differenza REGOLE-ABITUDINI: quali sono le condizioni affinchè un asserzione che
verte sull’esistenza di una regola sia giustificata? (questione di carattere generale).
Fra comportamenti regolati (applicazione di regole) e comportamenti regolari (condotte a carattere
abitudinario) ci sono somiglianze: in entrambe un comportamento con le stesse caratteristiche si
riproduce nel corso del tempo.
MA nel caso delle regole c’è un atteggiamento comune tra i rule followers, un punto di vista
interno; il punto di vista interno è un atteggiamento critico-riflessivo:
- Riflessivo: il rule followers devono conoscere il contenuto del modello di comportamento da
seguire
- Critico: i membri del gruppo che accettano il modello reagiscono alle inosservanze; in presenza
di una regole ci sono delle interazioni linguistiche che mettono in evidenza il ruolo attivo di
alcuni rule followers.
Il punto di vista interno non è altro che l’accettazione della regola come modello di
comportamento per i membri del gruppo. Una regola esiste se c’è un atteggiamento critico-
riflessivo.
15. SEGUE: C) REGOLE E PUNTO DI VISTA ESTERNO

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Il punto di vista interno si riferisce alla collocazione dei partecipanti; il punto di vista esterno alla
collocazione degli osservatori.
- Punto di vista esterno estremo: chi descrive i comportamenti di una comunità, non prendere in
considerazione la presenza di regole, per stabilire le connessioni causali tra i fenomeni. Il punto
di vista esterno estremo può essere intenzionale o non intenzionale.
- Punto di vista esterno moderato: chi descrivi i comportamenti di una comunità prende in
considerazione le regole seguite; al centro dell’attenzione c’è la relazione comportamenti-
regole cercando di ricostruire il punto di vista interno. Questo punto di vista è chiamato da
alcuni studiosi punto di vista ermeneutico per sottolineare che è necessario ricostruire la
relazione per comprendere l’oggetto di studio.
16. SEGUE: D) PUNTO DI VISTA INTERNO E REGOLE GIURIDICHE
Le regole giuridiche e morali possono essere chiamate norme; per ogni regola è necessaria un
pressione sociale affinchè la regola venga osservata e una certa forma di sanzione. Le sanzioni
giuridiche e morali sono più pesanti. La sanzione giuridica è istituzionalizzata: l’applicazione della
sanzione giuridica è disciplinata da regole (chi irroga la sanzione? Quali sono le procedure? Qual è il
contenuto?).
Il diritto è un insieme strutturato di norme: non bisogna verificare la presenza di un punto di vista
interno per ogni norma; per ogni norma bisogna verificare la validità. Il punto di vista interno
riguarda solo la norma di riconoscimento. Un ordinamento giuridico esiste se c’è un atteggiamento
critico-riflessivo dei partecipanti.
17. SEGUE: E) RELAZIONE INTERNA FRA REGOLE E COMPORTAMENTI E “DIRITTO COME PRATICA SOCIALE”
Per Hart fra regole e comportamenti si ha una relazione interna di tipo concettuale (elementi
concettualmente collegati) e non una relazione esterna di tipo causale (elementi concettualmente
indipendenti).
- Non è possibile render conto delle regole senza richiamare i relativi comportamenti: l’esistenza
della regola richiama l’idea di una pratica d’uso della regola come guida per la condotta
- Non è possibile render conto dei comportamenti regolati senza richiamare le regole a cui i
comportamenti fanno riferimento; azione (invece di comportamento): singoli comportamenti
con lo stesso significato in quanto finalizzati allo stesso obiettivo.
USO SOCIALE DI REGOLE: modi in cui le regole sono prese in considerazione come criteri-guidi della
condotta nella vita quotidiana
APPLICAZIONE DI REGOLE: uso istituzionalizzato del diritto da parte di giudici e pubblici funzionari
Hart getta le basi per la teoria del diritto come pratica sociale normativa: le regole giuridiche non
sono dati oggettivi, esse esistono in senso proprio solo quando sono inserite in una pratica sociale
normativa l’esistenza del diritto è un processo dinamico (regole arricchite di contenuti ma
sottoposte a vincoli).
Per l’esistenza della regola si richiedono non ruoli passivi di chi osserva ma di ruoli attivi di chi
accetta e usa la regola per criticare/giustificare propri e altrui comportamenti.
18. ALCUNE OSSERVAZIONI SULLA TEORIA DI HART
La teoria di Hart è insufficiente su tre versanti:
- La teoria della validità non tiene conto della distinzione vigore/validità
- La teoria della norma giuridica non prende in considerazione il ruolo dei principi
- Il rapporto diritto/morale rimane troppo vago
Manca una revisione critica delle teorie tradizionali e manca la consapevolezza dei grandi
cambiamenti possibili dalla teoria del diritto.
- Hart non chiarisce se nel punto di vista esterno moderato rientra anche il giurista positivo
- Hart non attribuisce un contenuto etico al processo di accettazione delle regole; oggi, nel
positivismo post-hartiano l’accettazione da parte dei partecipanti e eticamente orientata.

CAPITOLO IV: le concezioni giusnaturalistiche


1. CENNI INTRODUTTIVI

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Secondo il giusnaturalismo esiste un tipo di diritto diverso dal diritto positivo, con caratteri di
oggettività (o un fondamento etico oggettivo del diritto positivo) sottratto alle decisioni contingenti.
Elemento necessario del giusnaturalismo: comune riconoscimento che esiste una base etica
oggettiva dei diritti positivi storicamente contingenti.
Problema della normatività: il diritto è pienamente normativo nel momento in cui rispecchia
determinati contenuti etici oggettivi.
2. IL GIUSNATURALISMO DELLA “FALLACIA NATURALISTICA” E LE CRITICHE “PRESCRITTIVISTICHE” A QUESTO ARGOMENTO
TESI DELLA FALLACIA NATURALISTICA: sono ammissibili forme di ragionamento che attuano una
derivazione logica del dover essere dall’essere è legittimo un argomento logico che parte da
premesse assertive per arrivare a conclusioni prescrittive.
A criticare questo ragionamento è il prescrittivismo che mette in questione le basi metaetiche
oggettivistiche e pone le basi per la scuola analitica italiana.
PRESCRITTIVISMO anni ’50 XIX secolo nella cultura inglese
Tale orientamento separa la questione del significato da quella della verifica (crisi del
verificazionismo); si accosta alla teoria del significato con un approccio referenzialistico: del
linguaggio significante fanno parte gli enunciati che fanno riferimento alla realtà, senza
necessariamente una verifica. C’è il linguaggio descrittivo/assertivo per fornire informazioni, e il
linguaggio prescrittivo per orientare il comportamento. Ogni tipo di linguaggio significante viene
inserito a forza in una di queste due categorie TESI DELLA GRANDE DIVISIONE
Collegata a questa tesi c’è la LEGGE DI HUME non ci possono essere passaggi logici tra i due
linguaggi: da premesse assertive non si possono derivare conclusioni prescrittive (≠ giusnaturalismo
della fallacia naturalistica).
3. GIUSNATURALISMO DELLA “LEGGE”, GIUSNATURALISMO DEL “DIRITTO” E LA NOZIONE DI “DIRITTO SOGGETTIVO”
Sia nell’ambito della filosofia del diritto che in quello della metaetica (= riflessione sui fondamenti
dell’etica) a partire da descrizioni su COME SIAMO FATTI, si possono derivare conclusioni su CIÒ
CHE DOBBIAMO FARE la ragione teorica (la ragione che ci dice come è fatta la nostra natura)
fonda la ragione pratica (la ragione che ci dice come dovremmo comportarci).
Premesse con descrizioni oggettive sulla natura umana conclusioni con leggi oggettive per
l’azione umana le leggi hanno un parametro di valutazione oggettivo per le norme positive (leggi
naturali e umane hanno la stessa natura oggettiva).
Giusnaturalismo della fallacia naturalistica:
- Nel giusnaturalismo della legge ci sono norme giuridiche che esprimono leggi naturali
- Nel giusnaturalismo dei diritti ci sono dei diritti naturali il cui soggetto non può avere vincoli
oltre la sua ragione e volontà
LEGGE: regole generali di condotta, norme generali ed astratte il giusnaturalismo della legge
sostiene che il diritto naturale si esprime attraverso leggi generali ed astratte
DIRITTO SOGGETTIVO: pretesa/situazione di vantaggio conferita ad un soggetto da una norma nei
confronti di un altro soggetto (eg. Diritti di libertà); quindi i diritti soggettivi si fondano su norme
(tale definizione non vale per tutte le concezioni giusnaturalistiche) per alcune il diritto naturale
soggettivo è primario rispetto alla legge naturale: l’uomo nasce con dei diritti (poteri fattuali e
facoltà normative).
4. L’ARGOMENTO DELLA “FALLACIA NATURALISTICA” E L’”OGGETTIVISMO ETICO”
Giusnaturalismo della fallacia naturalistica: leggi/diritti naturali possono essere fatti derivare
dall’essere (proprietà della natura umana).
Esempio di Hobbes: per giustificare l’esistenza e i limiti del potere statale. Hobbes formula dei
giudizi descrittivi sulle proprietà essenziali della natura umana (istinto di conservazione) e ne ricava
altri giudizi descrittivi (i giudizi dimostrano l’asocialità del genere umano, spinta dal’’istinto di
conservazione); ricava da queste premesse descrittive delle conclusioni prescrittive, delle leggi
naturali, per dire agli uomini cosa devono fare affinchè la loro vita non sia più in pericolo: i soggetti
devono costruire una comunità politica trasferendo a un singolo soggetto (sovrano) i loro diritti.
Tale derivazione è logicamente scorretta ed è il terreno di scontro tra due concezioni dul
fondamento dei giudizi etici:

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- OGGETTIVISMO ETICO: i giudizi morali hanno carattere oggettivo nel momento in cui sono
dovuti a un ragionamento logico che ha come premessa giudizi descrittivi oggettivi. Le scelte
dei soggetti morali sono vincolati dai contenuti descrittivi delle loro premesse.
- RELATIVISMO ETICO: non c’è passaggio logico tra essere e dover essere: i fatti della nostra
natura non determinano come comportarci nella vita morale. Non ci sono prescrizioni
oggettivamente giuste o sbagliate perché la verità delle asserzioni non si trasmette per
deduzione logica.
La contrapposizione rielabora sul piano etico la contrapposizione giuspositivismo/giusnaturalismo.
5. LE CRITICHE ALL’ARGOMENTO DELLA “FALLACIA NATURALISTICA”
SALTO LOGICO del prescrittivismo: non è possibile derivare da premesse contenenti asserzioni o
giudizi fattuali conclusioni prescrittive e quindi conclusioni che incorporano giudizi di valore.
Il ragionamento logico deduttivo è un ragionamento tautologico: le conclusioni sono
un’esplicitazione di ciò che è contenuto implicitamente nelle premesse. Affinchè l’argomento della
fallacia naturalistica sia logico bisogna inserire un’affermazione prescrittiva o valutativa fra le
premesse del ragionamento.
SCHEMA DI RAGIONAMENTO DERIVAZIONISTICO:
- Gli uomini hanno per natura certi fini
- Da questa affermazione si deriva una conclusione normativa: gli uomini devono rispettare delle
regole di condotta (leggi naturali) o hanno una sfera di libertà d’azione (diritti naturali)
- Il diritto positivo deve incorporare le regole o proteggere i diritti.
6. SENSO “DEBOLE” E SENSO “FORTE” DI RAGION PRATICA
Il giusnaturalismo della ragion pratica risale alla filosofia tomistica (anti-razionalismo) e alla filosofia
kantiana (il dover essere autonomo rispetto all’essere).
Il giusnaturalismo intende la ragion pratica in senso forte: la ragion pratica può
conoscere/giustificare oggettivamente i fondamentali principi primi della nostra condotta e
individuare le massime che devono guidare le nostre scelte e le nostre azioni (la ragion pratica ci
dice ex ante cosa dobbiamo fare).
Ragion pratica in senso debole: la ragione influisce nella vita pratica immettendo elementi di ordine
e coerenza nel sistema di criteri, individuato irrazionalmente, che guida le nostre azioni.
7. I DUE GRUPPI DI CONCEZIONI DEL “GIUSNATURALISMO DELLA RAGION PRATICA”
Le correnti filosofiche facenti parte del giusnaturalismo della ragion pratica sono molto diverse tra
loto; ma hanno in comune il rifiuto di rendere la ragion pratica dipendente dalla ragione teorica
( la conoscenza pratica deve essere autonoma rispetto a quella teorica).
La differenza sta nel ruolo assegnato alla ragione nella conoscenza e nella giustificazione dei
principi e dei valori:
a) Concezioni razionalistiche (Kant e i Kantiani): importanza del ruolo produttivo della ragione
per quanto riguarda i valori e i principi fondamentali a cui si ispira la condotta umana (eg.
La giustizia si fonda sulla razionalità umana)
b) Versione anti-razionalistica (S. Tommaso): la ragione non ha un ruolo conoscitivo diretto di
valori e principi fondamentali della condotta umana; essa entra in gioco quando i principi
primi della condotta sono già stati fissati. Noi siamo portati a percepire come bene ciò a cui
noi tendiamo per natura; da questa conoscenza pratica inespressa emergono dei principi. È
in questo momento che interviene la ragione andando a formulare intorno a questi principi
dei modelli di comportamento e massime d’azione che guideranno i nostri comportamenti.

CAPITOLO V: filosofia analitica, significato e linguaggio giuridico


1. LA FILOSOFIA ANALITICA E IL RAPPORTO PRIVILEGIATO FRA DIRITTO E LINGUAGGIO
Il rapporto privilegiato tra diritto e linguaggio ha permesso alla filosofia analitica di insediarsi nel
campo di esperienza giuridico; nell’ambito di esperienza giuridico il linguaggio è molto più
consistente rispetto agli altri ambiti e questo si trasmette a livello concettuale, quando si
ricostruisce il concetto di diritto. Sia nei sistemi di civil, che di common law, l’attività giudiziale di
interpretazione e applicazione del diritto si svolge all’interno di una dimensione linguistica.

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Ci sono molte componenti di carattere linguistico che permettono di avvicinare le discipline
giuridiche a quelle che si occupano di lingue e linguaggi; queste caratteristiche linguistiche
implicano l’indicazione metodologica programmatica della filosofia analitica trasformare i
problemi filosofici in problemi di analisi del linguaggio (analizzare il modo in cui sono
linguisticamente formulati) partendo da oggetti che hanno essi stessi natura linguistica (livello del
linguaggio-oggetto).
2. “LINGUAGGIO” E “LINGUA”. FILOSOFIA ANALITICA, LINGUISTICA, FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO. IL LINGUAGGIO
GIURIDICO COME “LINGUAGGIO TECNICIZZATO”
Lingua: insieme di suono o segni convenzionali come strumento per comunicare
Linguaggio:
- in senso lato= i processi di comunicazione dal punto di vista dei contenuti e delle strutture
linguistici e non
- in senso stretto= la classe di tutti i processi di comunicazione linguistica, relazioni sintattiche,
semantiche e pragmatiche dal punto di vista linguistico, tenendo conto del contesto concreto in
cui avvengono tali processi
La filosofia analitica si occupa del linguaggio, la linguistica si occupa delle lingue quando il diritto
rappresenta un oggetto linguistico di indagine la teoria del diritto (esaminare lo statuto logico e
teorico di alcune nozioni di carattere generale) si occupa del linguaggio giuridico, e la dogmatica
delle singole lingue giuridiche (accertare il contenuto semantico di certi enunciati legislativi che
esprimono norme).
La filosofia del linguaggio è una parte della filosofia che si occupa dei problemi connessi al
linguaggio; la filosofia analitica è un approccio ai problemi filosofici affrontandoli come problemi di
analisi del linguaggio.
Il linguaggio giuridico è a metà tra il linguaggio tecnico (vocaboli-chiave introdotti artificialmente) e
il linguaggio ordinario (vocaboli-chiave usati nella vita di tutti i giorni); il linguaggio giuridico è un
linguaggio tecnicizzato alcune espressioni-chiave sono introdotte artificialmente, altre sono
tratte dal linguaggio ordinario. Questo linguaggio è anche detto amministrato: è creato
intenzionalmente da un’ autorità ma ha bisogno di essere parlato da una comunità di utenti.
3. DEFINIZIONI TROPPO “DEBOLI” E DEFINIZIONI TROPPO “FORTI” DI FILOSOFIA ANALITICA
Sono state date molte definizioni di filosofia analitica; c’è un comune concetto di filosofia analitica
che riguardo il periodo dagli anni ’20 agli anni ’60; tale definizione concettuale rappresenta un
punto di equilibrio tra due tipi di definizione opposti:
a) Definizioni deboli (non danno una caratterizzazione adeguata al movimento). Al livello
estremo di debolezza la filosofia analitica ha in un comune uno stile filosofico che privilegia
l’analisi alla sintesi, la discussione casistica, rinuncia ai discorsi metafisici; questo stile può
essere adottato anche da altre filosofie non analitiche. Dalla metà degli anni ’60 c’è una
crisi interna alla filosofia analitica e tale criterio di stile è considerato per alcuni l’unico per
determinare l’appartenenza o meno dei filosofi a questo movimento.
A un livello di debolezza meno estremo si ritiene che il criterio comune è un criterio storico
(la filosofia analitica è individuabile per la sua storia: nasce in Inghilterra agli inizi del ‘900
con Russell e Moore; in Europa si diffonde grazie a Wittgenstein e ai neopositivisti che poi
la diffondo in USA); anche tale criterio è insufficiente perché essendo un criterio teorica
determina chi vi rientra e chi no.
A un livello ancora meno debole si ritiene che la filosofia analitica è accumunata dalla
concezione del metodo della filosofia (filosofia intesa come analisi del linguaggio). Vero è
che il movimento per larga parte della sua storia ha adottato il metodo dell’analisi del
linguaggio trasformare le questioni filosofiche in questioni sul senso degli enunciati che
le esprimono; a tali questioni si può rispondere positivamente o negativamente (negando
l’esistenza delle questioni). Tale condizione è necessaria ma non sufficiente per
l’appartenenza alla filosofia analitica, la scelta dell’analisi del linguaggio deve essere fatta su
basi sostanziali.

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b) Definizioni troppo forti: il carattere comune sono alcune tesi sostanziali (eg. Postulati
filosofici), in questo modo vengono escluse le concezioni che possono essere qualificate
come analitiche ma non sono state condivise dalle tesi. Non si tiene conto della distinzione
concetto/concezioni: assunzioni di fondo/interpretazione di tale assunzioni.
4. IL CONCETTO DI FILOSOFIA ANALITICA
La definizione concettuale si basa sui contenuti: c’è un comune concetto di fondo delle varie
concezioni di filosofia analitica, che interpretano diversamente il concetto.
Secondo Dummett c’è un assioma della filosofia analitica “fa parte dell’essenza del pensiero essere
comunicabile senza residui attraverso il linguaggio” il linguaggio è il veicolo necessario del
pensiero, l’analisi del pensiero passa necessariamente attraverso l’analisi del linguaggio (scelta
metodologica di carattere linguistico della filosofia analitica). Alla base della filosofia analitica c’è il
rapporto necessario pensiero/linguaggio (concetto comunemente condiviso da tutti gli
orientamenti analitici).
Il metodo dell’analisi del linguaggio può essere utilizzato negativamente: i neopositivisti cercano di
dimostrare la natura illusoria di alcune questioni filosofiche, dimostrando che non sono suscettibili
di carattere logico/empirico (eg. Il verbo ESSERE non designa l’esistenza ma è solo una copula)
5. DUE ESEMPI DI IMPIEGO IN POSITIVO NEL METODO DELL’ANALISI DEL LINGUAGGIO. LA “SCUOLA ANALITICA ITALIANA” E
LA RICONVERSIONE LINGUISTICA DELLA TEORIA DI KELSEN
Il metodo dell’analisi del linguaggio può essere utilizzato negativamente o positivamente. La
nozione di causalità è intesa come categoria dell’intelletto; con l’analisi filosofica l’oggetto di
indagine non è più costituito da categorie metafisiche ma da alcuni tipi di enunciati che esprimono
un rapporto condizionale necessario tra alcuni eventi. La questione ora verte sull’individuare quali
enunciati stabiliscono una connessione nomica e quali una connessione meramente accidentale.
La riconversione analitica del principio di imputazione è stata operata ad opera della “scuola
analitica italiana” negli anni ’50 (comune adesione alla tradizione di ricerca neopositivistica della
filosofia analitica); negli anni ’50 e ’60 la scuola analitica italiana è divisa: un gruppo condivide la
teoria normativistica, un altro opera nel realismo giuridico (con premesse epistemologiche simili a
quelle condivise da Ross).
Secondo Kelsen il principio di imputazione è una categoria del pensiero che isola una sfera della
realtà (dover essere e essere) e ne descrive i principi costitutivi; attraverso la riconversione si
trasformano le categorie gnoseologiche-ontologiche in categorie linguistiche.
La distinzione tra imputazione e causalità non è di tipo gnoseologico, ma di tipo linguistico: verte
sul significato e sulla funzione del linguaggio e si ricollega alla dicotomia individuata dalla scuola
analitica italiana tra linguaggio con significato/funzione descrittiva e linguaggio con
significato/funzione prescrittiva (ripresa dal prescrittivismo).
Causalità: enunciati del linguaggio descrittivo che asseriscono connessione nomiche tra i fenomeni.
Imputazione: caratteristica semantica/funzionale del linguaggio-oggetto (che esprime le norme
giuridiche) della dogmatica giuridica con funzione prescrittiva.
TRASFORMAZIONE IMPORTANTE: la norma diventa da ENTITÀ APPARTENENTE AL MONDO DEL
DOVER ESSERE a ENUCIATO GIURIDICO (oggetto di analisi linguistica) il diritto è un oggetto di
indagine linguistico.
6. ENUNCIATI E ENUNCIAZIONI
Quali sono le unità-base dei processi di comunicazione linguistica?
Nelle situazioni comunicative ordinarie le unità-base della comunicazione linguistica sono gli
enunciati
- concatenazioni di parole ben formate dal punto di vista grammaticale (SENSO DEBOLE)
- concatenazioni di parole ben formate dal punto di vista grammaticale, che esprimono un
significato (SENSO FORTE)
Concezione pragmaticamente orientata del linguaggio e della comunicazione è l’uso del
linguaggio e gli effetti (tipici e concreti) della comunicazione sugli utenti a stabilire cos’è una
comunicazione linguistica e le sue caratteristiche: sono gli utenti in un determinato contesto
comunicativo a stabile cosa rappresenta un messaggio comunicativo.

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Situazioni comunicative ordinarie: in certi contesti fuori dall’ordinario anche singole parole o più
parole che non formano un enunciato possono realizzare effetti comunicativi.
Enunciato: CLASSE APERTA CHE CONTIENE TUTTE LE POSSIBILI FORMULAZIONI ORALI O SCRITTE
 enunciazione: SPECIFICA FORMULAZIONE DI UN ENUNCIATO.
7. “FUNZIONE” E “FORZA”
Diversi tipi di effetti pragmatici dell’uso comunicativo del linguaggio:
 Con gli enunciati si pone in essere diversi effetti tipici della comunicazione linguistica,
quindi realizzare diverse funzioni.
La pragmatica linguistica studia il linguaggio dal punto di vista della comunicazione.
In questo caso la pragmatica studia le funzioni del linguaggio e gli effetti tipici: in una
situazione standardizzata di comunicazione con emittente-tipo, ricevente-tipi, contesto-
tipo; la pragmatica si occupa delle modalità e degli effetti convenzionali di un uso
standardizzato del linguaggio.
 Con le enunciazioni si producono effetti concreti. In riferimento agli effetti specifici delle
enunciazioni si parla di forza (proprietà delle enunciazione e dipende da contesto).
La pragmatica, avendo a che fare con un campo di indagine fattuale, studia gli effetti
concreti dell’uso del linguaggio e gli elementi contestuali delle enunciazioni.
La distinzione tra funzione e forza è importante nella filosofia del linguaggio.
“Il significato è l’uso” valenza pragmatica dell’approccio alla teoria del significato; la dimensione
dinamica dell’interpretazione (come e in quali contesti sono attribuiti i significati) è più importante
della dimensione statica: la teoria del significato deve render conto di competenze e abilità.
In molti casi la distinzione tra funzione e forza è importante: vi sono elementi che preesistono alla
situazione comunicativa che predeterminano la soluzione del problema dell’attribuzione della
funzione all’enunciato. L’effetti tipico dell’enunciato è indipendente dalla forza specifica con cui
viene pronunciato/recepito.
Per la singola norma la questione della funzione viene risolta accertandone la validità; la forza di cui
è dotata un’enunciazione di un enunciato giuridico interpretato come norma incide sulla maggiore
o minore efficacia.
8. SIGNIFICATO “IN SENSO AMPIO” E SIGNIFICATO “IN SENSO STRETTO”
Impostazione pragmaticamente orientata alla teoria del significato il processo della
comunicazione linguistica permette di comprendere la nozioni di significato; la concezione si rivolge
ai soggetti della comunicazione e al contesta in cui essa si produce.
Nel significato convivono lo strumento linguistico usato (senso) e gli oggetti di cui parla la
comunicazione (riferimento). La teoria del significato deve render conto, in modo dinamico, di un
insieme di abilitò e di competenze legate alla produzione, comprensione a interpretazione dei
significati dimensione dinamica: come sorgono/vengono attribuiti certi significati ≠ dimensione
statica: natura del significato.
La nozione di significato è stratificata, è a produzione progressiva:
 I LIVELLO. Significato in senso ampio: significato complessivo dell’enunciato, tutto ciò che
viene veicolato nella comunicazione offerta dall’enunciato; non è possibile scindere: il
contenuto semantico espresso dall’enunciato (argomento) e l’atto linguistico che si pone in
essere attraverso l’enunciato (funzione).
 II LIVELLO. Significato in senso stretto: significato complessivo delle parole che
compongono la frase ben formate sintatticamente (argomento dell’enunciato). Il significato
nel senso stretto va considerato indipendente dalla funzione. Il contenuto semantico
dell’enunciato (senso, riferimento, argomento) è diverso dall’uso che si fa dell’argomento,
l’atto linguistico.
La distinzione tra asserzioni e norme è a livello della funzione; la distinzione tra linguaggio
assertivo e prescrittivo è al livello della pragmatica.
9. LA CONCEZIONE “DUALISTICA” DEL SIGNIFICATO IN SENSO “DEBOLE”

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 III LIVELLO. Significato in senso debole: significato delle singole parole. Significato dei
vocaboli interpretabili come termini generali descrittivi= componente referenziale
(fattispecie) dell’enunciato giuridico.
I termini generali descrittivi sono classi o nozioni quindi più di un singolo oggetto, sono
classe o nozioni aperte il cui ambito non può essere predeterminato. Questi termini sono
contenuti nelle disposizioni legislative (generali ed astratte). Il senso debole ha due
dimensioni: senso e riferimento (sono componenti autonome).
Il senso fa parte della dimensione intra-linguistica del significato, delle abilità, delle
competenze connesse; il riferimento fa parte dei rapporti fra linguaggio e realtà.
Tale concezione si scontra con altre due tendenze: una afferma che la componente del
riferimento viene assorbita da quella del senso; l’altra elimina la componente del senso. Ma
secondo la concezione dualistica se si elimina il riferimento non si riesce a distinguere i
discorsi che avendo senso non fanno riferimento; eliminando il senso non si capisce come si
possa riferirsi in modo diverso allo stesso oggetto.
L’interpretazione dottrinale è più orientata al senso; l’interpretazione operativa è più
orientata ala riferimento.
Senso e riferimento sono due ineliminabili dimensioni semantiche, sempre
contestualmente presenti in ogni processo di attribuzione del significato.
10. I VARI TIPI DI TERMINI DEL LINGUAGGIO GIURIDICO
Il significato delle parole contribuisce a fissare l’argomento dell’enunciato; il significato ha due
componenti: il senso (che cosa vuol dire quella parola/nozione?) e il riferimento (a che cosa si
riferisce quella parola/nozione?).
Termini generali referenziali: termini dell’enunciato che svolgono il ruolo di predicati o di nomi di
predicati; il campo di estensione comprende più di un oggetto.
I termini generali contenuti nelle disposizioni legislative hanno un significato aperto e quindi un
senso e un riferimento che non può essere determinato in partenza; il significato aperto può
dipendere da due ragioni:
- Ragioni di carattere giuridico: il linguaggio giuridico contiene nozioni compromesse dal punto di
vista valutativo (l’interpretazione richiede giudizi di valore)
- Ragioni che dipendono dallo stretto legame tra linguaggio giuridico e linguaggio ordinario.
I termini delle disposizioni giuridiche interpretate come norme possono essere:
- Termini di senso comune (nei discorsi abituali)
- Termini tecnici (sono coniati per esigenze di carattere tecnico-scientifico)
- Termini tecnicizzati (sono presenti nell’uso ordinario ma quando sono inseriti in disposizioni
giuridiche assumo un senso più ristretto e specializzato).
È il lavoro di interpretazione del senso a inserire un termine in una di queste categorie; ci saranno
casi chiari e casi dubbi.
11. IL SIGNIFICATO IN SENSO DEBOLE: LA DIMENSIONE DEL “SENSO”
Linguaggio come strumento di comunicazione; significato come prodotto dell’interpretazione
cosa significa comprendere il senso di una parola/nozione?
a) Comprendere il senso della lingua: esprimere la capacità di usare correttamente le parole di
una lingua (sostituzione dei vocaboli di cui non si conosce il significato). L’abilità di
comprendere il senso come sinonimia si fonda su un’altra abilità: caratterizzare le nozioni
connotate dai termini
b) Comprendere il senso del linguaggio: padroneggiare/produrre assunzioni che riguardano
caratteristiche e proprietà di oggetti che fanno parte dell’ambito di estensione di termini
generali; le assunzioni possono riguardare: la fase iniziale dell’interpretazione e
rappresentano la base concettuale stabile dei termini oggetto di definizione; la fase finale
dell’interpretazione e determinano le nozioni compiute connotate dai termini stessi. La
domanda relativa al significato riguarda il senso della nozione nel linguaggio.
Attribuire senso alle nozioni significa fornire una definizione l’attività definitoria è
fondamentale nell’attività interpretativa.

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Interpretare il senso di termini giuridici fornire definizioni adeguate delle nozioni: individuare
la base concettuale stabile e costruire un possibile senso compiuto.
12. IL SIGNIFICATO IN SENSO DEBOLE: LA DIMENSIONE DEL “RIFERIMENTO”
Quali sono gli oggetti di cui parla colui chi sta comunicando il messaggio?
Il riferimento è l’elemento interno ad uno schema di interpretazione della realtà: dipende
dall’interpretazione che si da al concetto. Le nostre parole si riferiscono ad oggetti all’interno di uno
schema impiegato: non serve che gli oggetti esistano per davvero nella realtà naturale.
a) La fase dell’individuazione o del riconoscimento di casi paradigmatici. Riconoscere che
alcuni singoli oggetti “esemplari” fanno parte del campo di riferimento del termine
b) La fase dell’individuazione dell’insieme degli oggetti denotati dal termine. Fissare l’ambito
di estensione del termine: a quale possibile classe di oggetti il termine è applicabile. Il
campo di riferimento può essere ricostruito in modi diversi.
Costruire un campo di estensione di un termine generale: ampliare estendendo l’area
semantica del termine, partendo dai casi chiari e arrivare ai casi dubbi.
c) La fase della individuazione di un singolo oggetto facente parte dell’ambito di estensione
della nozione. Riconoscere se un oggetto concreto fa parte della classe connotata dal
termine l’esito positivo o negativo dipende dalle somiglianze rilevanti tra oggetto
concreto e membri normali della classe.
In ambito giuridico, tale fase riguarda il momento di applicazione del diritto.
Il riferimento è una proprietà di termini e nozioni; la verità, prescinde dall’interpreazione della
nozione, è una proprietà degli enunciati con funzione assertiva/ informativa. Gli enunciati in
funzione assertiva e prescrittiva hanno termini dotati di riferimento; gli enunciati con funzione
assertiva possono essere veri.
Condizioni di soddisfacimento affinché gli enunciati realizzino la funzione:
- Le condizioni per il buon funzionamento degli enunciati interpretati come asserzioni hanno una
direzione di adattamento che va dal linguaggio al mondo
- Le condizioni per il buon funzionamento degli enunciati interpretati come prescrizioni hanno
una direzione di adattamento che va dal mondo al linguaggio.
13. LA FILOSOFIA ANALITICA IN AMBITO GIURIDICO
Tradizioni di ricerca della filosofia del diritto analitica:
- Realismo giuridico di Ross con riferimento filosofico al neopositivismo
- Scuola analitica italiana che accetta la concezione prescrittivistica del linguaggio
- Teoria giuridica di Hart con base di riferimento per l’analisi il linguaggio comune e l’uso
ordinario delle parole
- Filosofia post-analitica
Meriti metodologici della filosofia del diritto analitica: la filosofia del diritto analitica ha apportato
alla riflessione filosofico-teorica sul diritto alcune acquisizioni metodologiche estremamente
significative: il rigore logico dell’analisi, la chiarezza e la semplicità dell’espressione, la netta
separazione fra opzioni politico-valutative e discorsi informativi, la preferenza per le proposte
teoriche empiricamente controllabili, la costante attenzione per le attività pratiche connesse
all’applicazione e all’uso sociale delle norme giuridiche.
14. LA TESI DELLA DISTINZIONE FRA “DISPOSIZIONE” E “NORMA”
L’unità minima di comunicazione del linguaggio giuridico è costituita da enunciati in funzione
prescrittiva (disposizioni legislative).
Funzione prescrittiva
Significato attribuito quando ha luogo l’interpretazione giuridica: passaggio dalla disposizione alla
norma
Le norme, nei casi in cui sono incorporate in enunciati espressamente formulati dal legislatore,
sono possibili significati delle disposizioni legislative da una singola disposizioni possono ricavarsi
più significa (più norme).
Un singolo enunciato può esprimere più norme dal contenuto diverso; più enunciati possono
essere interpretati come esprimenti una stessa norma.

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La tesi della dipendenza della norma dalla disposizione vale solo per le norme esplicite
(costituiscono significati di una o più disposizioni espressamente prodotte dal legislatore).

CAPITOLO VI: descrittivismo e costruttivismo come immagini della conoscenza


1. LA CONCEZIONE DESCRITTIVISTICA DELLA CONOSCENZA
Ci sono due immagini della conoscenza: immagine descrittivistica e immagine costruttivistica. È
necessaria una riconversione epistemologica del giuspositivismo analitico: bisogna sostituire
l’immagine descrittivistica con quella costruttivistica.
La mente umana che conosce è paragonata ad uno specchio: l’obiettivo del linguaggio conoscitivo è
quello di render conto di oggetti/eventi del mondo reale che sono indipendenti dallo schema di
descrizione adottato (il linguaggio dovrebbe rappresentare il mondo così com’è).
2. LE PREMESSE REALISTICHE DEL DESCRITTIVISMO
Il descrittivismo riguarda l’aspetto linguistico - semantico, è però necessaria una fondazione
epistemologica, che risiede in una concezione realistica della conoscenza (realismo forte vs
costruttivismo).
Il realismo forte è realismo metafisico:  carattere ontologico: il mondo esterno è così
indipendentemente dai concetti e categorie che usiamo per rappresentarlo; carattere
epistemologico: i soggetti che conoscono sono in grado di creare categorie e nozioni per cogliere
l’oggettività e la realtà del mondo (a questo carattere si collega la concezione descrittivistica del
linguaggio della conoscenza).
Ci sono due concezioni opposte sulla riflessione epistemologica: l’idea fondazionalistica (la
conoscenza è accoppiata alla certezza, la conoscenza genuina ha un fondamento oggettivo) e l’idea
scettica (ci sono credenze che possono essere più o meno plausibili); queste due concezioni sono
strettamente intrecciate, spesso perché lo scetticismo epistemologo è derivativo rispetto al
fondazionalismo.
Il descrittivismo rappresenta la formulazione più recente del fondazionalismo; il relativismo
epistemologico radicale è la riformulazione dell’idea scettica.
Secondo il descrittivismo la conoscenza realizza una visione neutrale e oggettiva della realtà (il
costruttivismo invece, sostiene che la conoscenza interviene nella realtà interpretando e
valutando).
Idea di verità come corrispondenza  il linguaggio conoscitivo genuino vuole descrivere una realtà
indipendente dall’intervento conoscitivo, per accertare se tale scopo è avvenuto bisogna
controllare la relazione di corrispondenza tra linguaggio e realtà. Questa relazione può essere una
corrispondenza biunivoca fra termini descrittivi degli asserti conoscitivi e singoli elementi della
realtà (criterio applicabile alle propaggini osservative e agli asserti logicamente collegati alle
asserzioni osservative), oppure come corrispondenza fra la struttura della proposizione la struttura
del fatto. In tale modo si producono asserzioni vere sulla realtà.
3. L’INFLUENZA DEL DESCRITTIVISMO SULLA CULTURA GIURIDICA
Il descrittivismo rappresenta la base epistemologica di riferimento da cui ricavare giustificazioni
epistemologiche per le teorie e le pratiche giuridiche esistenti. Due tipi di influenza del
descrittivismo sulle teorie giuridiche giuspositivistiche: influenze che riguardano le questioni
metodologiche e influenze che riguardano le questioni teoriche.
4. DESCRITTIVISMO E MODO DI ACCOSTARSI AL DIRITTO POSITIVO
Ci sono tre tipi di influenze metodologiche: la prima riguarda il modo di guardare all’esperienza
giuridica da parte degli studiosi del diritto; la seconda riguarda il modo di intendere la dogmatica
giuridica; la terza riguarda il modo di interpretare il diritto positivo.
Gli studiosi si accostano all’esperienza giuridica attraverso strutture categoriali di tipo dicotomico,
in questo modo l’attività giuridica si divide in due modalità: la prima fa leva sull’idea di descrizione,
la seconda sull’idea di creazione/valutazione (eg. Descrivere il diritto positivo/prendere posizione
su di esso).

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Se ne ricava una separazione tra due tipi di attività: quelle a carattere oggettivo volte a
rappresentare il diritto positivo in un certo momento, e quelle a carattere soggettivo volte a
prendere posizione sul diritto positivo.
Questa ricostruzione dicotomica coinvolge, particolarmente, l’attività di interpretazione giuridica.
Costruzione in positivo del linguaggio conoscitivo descrittivo, costruzione in negativo di prese di
posizione/valutazioni soggettive (ciò che non rientra nella descrizione).
I giudizi di valore non sono sullo stesso piano delle prese di posizione soggettive.
5. DESCRITTIVISMO, METODO DELLA DOGMATICA E INTERPRETAZIONE GIURIDICA
Secondo il descrittivismo l’attività conoscitiva deve descrivere neutralmente dei dati oggettivi (parte
della realtà autonoma e indipendente rispetto allo schema di descrizione adottato); questa tesi
metodologica è collegata con quella teorica (oggettualistica).
L’attività dei giuristi dogmatici ha un valore conoscitivo nel momento in cui vengono prodotte
descrizioni oggettive di contenuti normativi presenti in un settore del diritto positivo.
Dibattito sulla scientificità della dogmatica giuridica  la dogmatica può essere una scienza se i
suoi discorsi teorici e interpretativi sono riconducibili a descrizioni neutrali e oggettive
dell’esperienza oggettiva: la vera conoscenza è attività di carattere avalutativo (TEORIA
OGGETTUALISTICA).
Secondo Bobbio (nella sua fase descrittivistica) l’avalutatività e il carattere descrittivo del valore su
norme sono gli elementi fondamentali del metodo che deve adottare il giurista. L’attività di
interpretazione giuridica è attività conoscitiva nella misura in cui prende atto di un significato che
la norma già possiede (formalismo interpretativo: concezione secondo cui il giurista conosce il
diritto nel momento in cui lo interpreta, nelle situazioni in cui scopre qualcosa che preesiste
all’interpretazione, accostandosi a parole che hanno un significato proprio e naturale).
6. DESCRITTIVISMO E OGGETTUALISMO
Le teorie giuridiche mirano a fornire rappresentazioni neutrali e oggettive del campo di esperienza
giuridico.
PARADIGMA OGGETTUALE: esiste una realtà giuridica che può essere descritta e rappresentata dai
teorici del diritto e dai giuristi (realtà indipendente dal modo in cui viene descritta).
Nel descrittivismo la conoscenza giuridica non offre nessun contributo conoscitivo; il diritto esiste
un una dimensione pre-teorica indipendente dall’attività con cui se ne prende conoscenza e che
rendono possibile l’uso sociale e l’applicazione.
Per queste teorie legate al giuspositivismo esiste un originario momento di produzione del diritto
anche se possono essere diversi i soggetti responsabili di questo processo, perché diversi sono gli
approcci teorici; per queste teorie c’è una scissione fra la fase topica della produzione del diritto e
le altre fasi di uso sociale applicazione del diritto.
L’influenza del descrittivismo funziona in positivo determinando i modi di intendere e interpretare il
diritto positivo; funziona anche in modo negativo determinando reazioni da oggettivisti delusi che si
rendono conto che la teoria e la pratica del diritto non possono muoversi secondo i criteri del
descrittivismo (eg. Ross).
7. PRIME CRITICHE AL DESCRITTIVISMO
Tesi centrale del descrittivismo: l’attività conoscitiva è indipendente dalla rappresentazione fedele
della realtà.
 messa in discussione: relativizzare le capacità conoscitive del soggetto che conosce rispetto al
mondo
 oggi viene rifiutata la tesi della trasparenza: nell’incontro tra soggetto conoscente e mondo, il
mondo non viene alterato dai poteri conoscitivi del soggetto.
Due tipi di critiche: le prime derivano dall’esame degli sviluppi della conoscenza scientifica, le
seconde, di carattere epistemologico, riguardano la riflessione filosofica sulla conoscenza.
a) Sono gli esisti della conoscenza scientifica a mettere in discussione la tesi secondo cui il
soggetto produce una conoscenza valida sempre e dovunque. La conoscenza del mondo
che ogni singolo soggetto ha non è mai indipendente dalle sue caratteristiche fisiche di
oggetto inserito nel mondo stesso che egli stesso osserva.

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b) Le critiche di carattere epistemologico prendono conoscenza degli sviluppi della teoria
scientifica.
Il modello descrittivi stico non può essere adottato perché la conoscenza è prodotta da
esseri umani con poteri limitativi e sottoposti a vincoli  il descrittivismo disumanizza la
conoscenza perché l’essere umani avrebbe poteri che vanno oltre i limiti naturali e
culturali. Secondo il descrittivismo il soggetto conoscente è un essere umano a-storico
perché si proietta fuori da sé stesso per vedere come stanno effettivamente le cose; tale
soggetto è concepito come individuale, anche se la conoscenza scientifica diventa sempre
più un affare collettivo. La conoscenza, inoltre, è sottoposta a un vincolo di carattere
sociale: è la comunità scientifica nel suo insieme a decidere di accettare o meno una
teoria/tradizione di ricerca.
Il descrittivismo disumanizza l’attività conoscitiva  i soggetti conoscenti non possono liberarsi da
vincoli e condizionamenti, per realizzare un rapporto naturale o oggettivo con la realtà.
8. COSTRUTTIVISMO E FILOSOFIA POST-ANALITICA
Filosofia post-analitica: verso la fine degli anni Sessanta la tesi che il pensiero è totalmente
riducibile al linguaggio viene sempre più messa in questione.
Secondo Searle, l’intenzionalità è logicamente prioritaria rispetto al linguaggio che è il suo veicolo di
espressione. Tutti i filosofi post-analitici sono accumunati da un comune orizzonte di ricerca.
9. LA CONCEZIONE DEL LINGUAGGIO DELLA FILOSOFIA POST-ANALITICA
Tesi degli orientamenti neo-wittgensteiniani: con il linguaggio si possono porre in essere numerosi
atti linguistici ognuno dei quali realizza una funzione o effetto tipico  rapporto fondamentale tra
linguaggio e attività sociali, in due sensi:
- Il linguaggio è considerato come attività (pratica sociale): comportamenti linguistici guidati da
regole  il linguaggio si articola in giochi linguistici
- Il linguaggio si radica in attività extra-linguistiche ancora più fondamentali o si innerva su certe
nostre particolari abilità (sono lo sfondo comune per l’apprendimento e l’uso collettivo del
linguaggio)  i giochi linguistici si inseriscono in una forma di vita
La filosofia post-analitica privilegia la dimensione pragmatica, e ciò vuol dire:
- Mettere in evidenza le funzioni del linguaggio, le finalità degli atti linguistici. Le funzioni vanno
individuate esaminando insieme o alternativamente, gli effetti tipici (contesti-tipo di
produzione e ricezione degli enunciati) e gli effetti concreti delle singole formulazione di un
enunciato (enunciazione).
- Sottolineare che la dimensione pragmatica interagisce con quella del significato.
La filosofia post-analitica utilizza una nuova metafora, quella del linguaggio come gioco; non si
capiscono i comportamenti se non si conoscono le regole-guida, non si capiscono le regole
prescindendo dai comportamenti che le interpretano: i singoli usi degli enunciati rappresentano le
singole mosse del gioco.
La dicotomia descrittivo/prescrittivo viene messa in discussione: tutte le funzioni del linguaggio
sono sullo stesso piano. I singoli enunciati non sono indipendenti rispetto alle finalità e alle
istituzioni che fanno parte del gioco che si sta giocando.
10. LA CONCEZIONE METAFILOSOFICA DELLA FILOSOFIA POST-ANALITICA
Dalle tesi sul linguaggio derivano le tesi sulla filosofia (modo di intendere l’analisi filosofica, metodo
della filosofia analitica.
Mutamenti degli orientamenti posto-analitici:
- Analizzare il linguaggio vuol dire analizzare il linguaggio in azione  oggetto sono gli usi
tipici/concreti del linguaggio e non le regole linguistiche astratte; ciò significa anche analizzare il
contesto extra-linguistico nel quale il linguaggio viene usato
- Per analizzare gli usi linguistici e per distinguere usi corretti/scorretti bisogna assumere una
atteggiamento olistico: analizzare il rapporto fra parte e tutto che esiste tra i singoli usi e i vari
giochi linguistici; ci si preoccupa poi di esaminare il significato del singolo gioco linguistico nel
suo complesso.

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Ogni mossa del gioco del diritto viene esaminata all’interno dei vari giochi linguistici che la
ricomprende, ogni gioco è dotato di regole e può avere sotto-giochi; i giochi vengono esaminati
sullo sfondo delle abilità pratiche e della concordanza dei giudizi dei giocatori (eg. L’attività di
giustificazione delle decisioni giudiziali attraversa più fasi: prima vengono esaminate le regole che
disciplinano tale gioco nel suo complesso e poi viene inserito in un insieme di significati normativi
condivisi dai membri di una comunità).
Un’analisi pragmaticamente orientata assume un carattere olistico: privilegia le connessioni delle
singole parti con giochi che le ricomprendono e con la forma di vita sottostante  viene
privilegiato ciò che realmente si fa e non quello che dicono di fare i giocatori.
11. COSTRUTTIVISMO E CONCEZIONI EPISTEMOLOGICHE POST-POSITIVISTICHE
Il costruttivismo si colloca all’interno della filosofia post-analitica (fa quindi parte delle teorie post-
positivistiche).
Le concezioni post-positivistiche sono molto diverse tra loro, ma tutte mettono in questione la
concezione neopositivistica della scienza (per il neopositivismo scienze è conoscenza). Gli elementi
epistemologici e metodologici sono messi in discussione.
I. Sottosfondo realistico (realismo metafisico di impronta descrittivistica) del neopositivismo:
la scienza deve prendere atto di qualcosa di oggettivo  il post-positivismo sostiene che
render conto di qualcosa è un processo attivo che comporta interpretazione selettiva di
dati. Metafora della mente come riflettore: ruolo selettivo e interpretativo della
conoscenza nei confronti del suo campo di indagine.
II. Principio di avalutatività  se il soggetto che conosce non descrive in modo neutrale la
realtà ma la legge in modo parziale e selettivo, allora i giudizi di valore possono entrare
in teorie e schemi concettuali in cui si articola la conoscenza.
12. L’IMMAGINE COSTRUTTIVISTICA DELLA CONOSCENZA FRA REALISMO E RELATIVISMO
Costruttivismo  punto di vista filosofico: filosofia post-analitica; punto di vista epistemologico:
post-positivismo.
Secondo il costruttivismo non è possibile parlare del mondo indipendente da uno schema di
descrizione (ogni situazione con cui la conoscenza si confronta ha molte versioni del mondo).
Il costruttivismo è una via di mezzo fra realismo metafisico e relativismo.
- Confrontandolo con il realismo emerge la tesi del pluralismo degli schemi concettuali della
conoscenza e la tesi della natura interpretativo - selettiva della conoscenza; emerge inoltre
l’impossibilità di una concezione descrittivistica del linguaggio conoscitivo, ma il linguaggio
costruisce l’oggetto di indagine. Il costruttivismo inoltre emerge come una prospettiva esigente.
- Confrontandolo con il relativismo bisogna specificare che la contrapposizione non vale per tutte
le accezione del relativismo (vale per il relativismo in senso forte); da questo confronto
emergono vincoli di carattere culturale e teorico, di carattere biologico, di carattere sociale, di
carattere pragmatico.
13. COSTRUTTIVISMO E TEORIA DEGLI SCHEMI CONCETTUALI
Il costruttivismo si oppone al realismo in quanto sostiene che la conoscenza prevede più schemi
concettuali: il rapporto conoscenza – realtà viene sempre mediato dagli schemi concettuali, avendo
così una ricostruzione parziale e selettiva di un certo campo di esperienza.
SCHEMI CONCETTUALI: insieme coordinati e gerarchicamente organizzati di idee e di credenze;
rappresentano nel complesso forme di organizzazione dell’esperienza.
Per il costruttivismo particolare importanza ha la funzione interpretativo selettiva degli schemi
concettuali nei confronti del materiali di un dato ambito di esperienza  rapportandosi con un
campo di esperienza è possibile adottare punti di vista interpretativi e alternativi (essi sono
storicamente contingenti).
Interpretazione= processo attraverso il quale si assegna ad un certo elemento o dato un certo
significato; tale attività accompagna sempre la conoscenza (individuazione degli oggetti che fanno
parte di un certo campo di esperienza, riconoscimento delle proprietà rilevanti, ricercare i principi e
le leggi alla base delle loro classificazioni).

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Attraverso il processo interpretativo si attribuisce un significato ai dati esterni, qualificandoli e
adottandoli in un certo modo in base allo schema di rappresentazione e al sistema di categorie in
quel momento appartenenti a una comunità di soggetti conoscenti: ciò comporta anche una
ricostruzione selettiva del campo di esperienza. Per il costruttivismo la conoscenza deve basarsi su
un certo patrimonio di conoscenze.
Interpretare e selezionare i dati è per il costruttivista, obbligatorio anche se non sempre se ne è
consapevoli; si è obbligati perché quando ci si rapporta linguisticamente con la realtà non si fa mai
riferimento ad una realtà in sé  dobbiamo far leva su operazioni ricostruttive di carattere
interpretativo (≠ se si fa riferimento a una realtà pragmatica, punto di impatto per le nostre azioni
pratiche).
Secondo il descrittivismo è possibile acquisire una concezione oggettiva del mondo; il
costruttivismo invece, sostiene che non è possibile uscire dal proprio schema concettuale per
approdare ad una posizione neutrale e imparziale.
Gli schemi concettuali, con la loro funzione selettiva, ordinano e classificano la realtà: questo è un
aspetto imprescindibile della conoscenza  gli schemi concettuali indirizzano gli inputs e le
sollecitazioni pragmatiche.
14. LE OPERAZIONI SELETTIVE E INTERPRETATIVE DELLA CONOSCENZA: A) L’INDIVIDUAZIONE DEGLI OGGETTI – BASE
Bisogna ritagliare sulla base di inputs e sollecitazione pragmatiche, alcuni segmenti o porzioni del
campo di esperienza che vengono poi considerati come singoli oggetti – base : in tutti gli ambiti
della conoscenza.
Nel caso della conoscenza di senso comune le operazioni di individuazione degli oggetti
presuppongono concetti e nozioni così radicate nella nostra cultura che non siamo consapevoli
dello scarto interpretativo fra linguaggio e realtà; nella conoscenza di senso comune l’esito del
processo di individuazione viene condiviso da una data comunità: un concetto accetto, un
procedimento estensionale condiviso (dal concetto alla nozione).
Nel caso della conoscenza scientifica gli schemi concettuali sono più sofisticati e articolati, quindi
possono esserci divergenze tra le varie interpretazioni della realtà fornite dalle comunità
scientifiche in quanto sono in possesso di chiavi di lettura diverse (eg. Nel campo della filosofia e
della teoria del diritto c’è contrapposizione fra giuspositivismo e giusnaturalismo).
- In entrambi i casi la conoscenza passa attraverso attività di carattere selettivo e interpretativo
- Nel caso della conoscenza di senso comune gli schemi concettuali sono così consolidati da far
apparire una descrizione oggettiva della realtà
- Nel caso della conoscenza scientifica non c’è il processo di sedimentazione collettiva degli
schemi, in tal modo è più facile che vengano alla luce dissensi di carattere interpretativo.
15. SEGUE: B) L’INDIVIDUAZIONE DELLE PROPRIETÀ RILEVANTI E LA COSTRUZIONE DELLE CLASSI
Anche questa è un’operazione di carattere interpretativo: selezione delle proprietà considerate più
importanti all’interno di un dato schema concettuale.
Il terzo passaggio riguarda le operazioni che consistono nell’accorpare gli oggetti in classi, specie e
generi: bisogna individuare le somiglianze rilevanti tra le proprietà degli oggetti e fissare le
classificazioni (specie, generi, classi…).
 Tutte queste operazioni implicano decisioni interpretative; anche nelle operazioni più semplici
la conoscenza ha sempre una valenza costruttiva.
16. IL COSTRUTTIVISMO COME CONCEZIONE ESIGENTE
Il costruttivismo è una concezione esigente nella misura in cui si presenta come teoria generale
della conoscenza e quindi tende ad espandersi in tutte le attività conoscitive, anche in quelle per
le quali non sembra la prospettiva più adatta (come per la conoscenza di senso comune).
Nella conoscenza scientifica gli schemi e le teorie che guidano la ricerca sono consapevolmente
elaborati e adottati; nella conoscenza di senso comune la condivisione degli schemi avviene in
modo inconsapevole: gli schemi sono elaborati e modificati nel corso di vicende culturali molto
lunghe, gli schemi vengono tramandati da una generazione all’altra indirettamente.
Ma anche nella conoscenza di senso comune possono presentarsi schemi concettuali diversi.

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Whorf, sostiene delle tesi sulle differenze tra certi tipi di linguaggi di ceppo diverse e sulle
divergenze fra gli schemi concettuali in essi incorporati  i processi connessi all’uso del linguaggio
non sono consapevoli; il sistema linguistico di sfondo ad ogni linguaggio dà forma alle idee:
RITAGLIAMO LA NATURA ATTRAVERSO LE LINEE – GUIDE CHE CI SONO DATE DAL NOSTRO
LINGUAGGIO NATIVO.
17. COSTRUTTIVISMO E RELATIVISMO IN SENSO “FORTE”
Dal confronto del costruttivismo con il relativismo emerge la presenza di vincoli, i quali non fanno
altro che confermare la debole oggettività della conoscenza.
Il costruttivismo si oppone al relativismo in senso forte; non si oppone al relativismo in senso
debole, che anzi ne è una componente necessaria.
REALTIVISMO relativismo di tipo cognitivo (riguarda l’attività conoscitiva, i criteri e le modalità da
cui è guidata). Il relativismo forte è una radicalizzazione degli elementi relativistici presenti nel
costruttivismo (eg. Tesi del pluralismo degli schemi concettuali).
- Rapporto schemi concettuali – esperienza  rapporto circolare: ogni schema interpreta a suo
modo l’esperienza, solo dallo schema derivano i criteri adottati dall’attività conoscitiva
(valutazione, controllo, comparazione…). Quindi tutte le nozione epistemiche fondamentali
sono intra – teoriche.
- Il criterio fondamentale, su cui si basano gli atri, è il consenso fattuale dei membri della
comunità di riferimento.
La tesi del relativismo forte assume il carattere della paradossalità; per questo è necessario il
passaggio al relativismo in senso debole attraverso i residuali elementi relativistici che
rappresentano un elemento necessario per il costruttivismo. L’eliminazione degli elementi
relativistici radicali avviene attraverso il riconoscimento di vincoli e limiti della conoscenza.
18. DUE SENSI DI “SCHEMA CONCETTUALE”: SENSO “STRETTO” E SENSO “LATO”
Bisogna distinguere fra la astratta configurabilità del pluralismo degli schemi concettuali e la
concreta adozione di uno schema (uso specifico del simbolismo linguistico).
Per opporsi al relativismo è necessario individuare i limiti e i vincoli della conoscenza: i vincoli
costringono l’attività conoscitiva a canalizzarsi. i vincoli sono: vincoli di tipo teorico – culturale
(dipendono dall’esistenza di schemi concettuali all’interno dei quali la conoscenza viene
canalizzata), vincoli di tipo linguistico, vincoli di tipo biologico, vincoli di tipo sociale e vincoli di tipo
pragmatico.
SCHEMA CONCETTUALE IN SENSO STRETTO: in riferimento al quadro teorico complessivo
attualmente adottato da parte di una comunità scientifica; non tutti gli elementi conoscitivi sono
interni ad uno schema in uso, quindi tali elementi esterni sono da considerarsi interni a cornici
concettuali più ampie. Il quadro teorico attualmente in uso all’interno di una certa comunità
scientifica o tradizione di ricerca, con l’insieme di presupposto concettuali e concezioni collegabili
a questo quadro.
SCHEMI CONCETTUALI IN SENSO LATO: in riferimento a tali elementi; essi sono collegati fra loro
costruendo strutture cognitive più ampie. La cornice di sfondo della quale anche lo schema in uso
fa parte, comprende anche presupposti concettuali e concezioni che sono indirettamente
implicati dalla esplicita accettazione dello schema in uso.
19. I VINCOLI DELLA CONOSCENZA: A) VINCOLI DI CARATTERE TEORICO – CULTURALE, LINGUISTICO, BIOLOGICO E SOCIALE
 Vincoli di carattere teorico – culturale: sono costituiti dagli elementi presenti negli schemi
in uso e nelle cornici concettuali; essi hanno un peso diverso a seconda della conoscenza
cui si fa riferimento. Tali elementi costringono la conoscenza a muoversi all’interno di
tracciati già determinato, o in caso contrario a costruirne di nuovi.
 Vincoli di tipo linguistico: non sono completamente diversi dai primi perché gli schemi
concettuali e i loro elementi sono strutture linguistiche; gli elementi linguistici che
contribuiscono al pluralismo degli schemi e delle interpretazioni vincolano la conoscenza.
Essere membri di una certa comunità linguistica significa possedere nozioni e categorie per
interpretare la realtà.

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 Vincoli di tipo biologico: sono processi che rappresentano i processi necessari dell’attività
conoscitiva; creano delle strutture per trattare in modo uniforme il flusso di inputs.
 Vincoli di tipo sociale: operano nei limiti in cui si riconosca la conoscenza come pratica
sociale. Non si può produrre conoscenza privatamente; ogni risultato individuale non può
essere acquisizione conoscitiva se non è accettato dalla comunità di riferimento
(Wittgenstein).
20. SEGUE: B) I VINCOLI PRAGMATICI
I vincoli pragmatici sono quei limiti dell’attività conoscitiva che derivano dal fatto che essa si trova a
doversi misurare con un solo e unico mondo (sorgenti di stimoli sensoriali e punto di riferimento di
azioni e interazioni non verbali di carattere pratico).
Esiste un solo mondo se è inteso come sorgente di inputs sensoriali e come oggetto di transazioni
non verbali; esistono più mondi se è inteso come oggetto di rappresentazione.
Il costruttivismo si oppone al realismo metafisico in chiave epistemica e sotto il profilo dell’attività
conoscitiva vista come rappresentazione; tale opposizione non sussiste se il rapporto con
l’esperienza è inteso in senso pragmatico e pre-linguistico.
La conoscenza non si limita alla dimensione linguistico – rappresentativa, esiste una dimensione di
carattere pre-linguistico che precede l’intervento selettivo e interpretativo comprende tutte quelle
interazioni pratiche con cui i soggetti influenzano il mondo esterno e viceversa.
Costruttivismo vs realismo  pluralismo degli schemi concettuali e trattamento di tipo
interpretativo - selettivo
Costruttivismo vs relativismo  vincoli a cui l’attività conoscitiva è limitata.
21. COSTRUTTIVISMO E TEORIE DEL DIRITTO
È possibile attribuire una valenza conoscitiva alle attività condotte nell’ambito di esperienza
giuridico da teorici del diritto, giuristi e operatori giuridici.
- Dal punto di vista dei teorici del diritto è possibile individuare quali sono gli oggetti del campo
di indagine, quali sono le loro proprietà, quali attività vengono condotte su di essi…
- Dal punto di vista dei giuristi si può render conto dei contenuti di significato di enunciati di un
certo settore di diritto positivo
- Dal punto di vista degli operatori giuridici si può cercare di argomentare a favore di una certa
decisione
Tutte queste attività sono mediate da schemi concettuali che offrono una lettura selettiva e parziale
del materiale disponibile  il modo in cui è ricostruito il campo di esperienza giuridico dipende
dallo schema adottato. Anche nel campo di esperienza giuridico è possibile individuare dei
percorsi conoscitivi che esprimono il pluralismo degli schemi concettuali e il rispetto di vincoli.
- Carattere della possibilità: nel campo di esperienza giuridico ci possono essere attività di
carattere diverso, oppure attività che potrebbero essere caratterizzati dalla presenza di
elementi conoscitivi non ne contengano
- Scientificità della giurisprudenza: le attività giuridiche hanno una dimensione conoscitiva, ma
conoscenza non si identifica con scienza.
22. GLI INTERVENTI COSTRUTTIVI DELLA TEORIA DEL DIRITTO E DELLA DOGMATICA GIURIDICA
La teoria del diritto, dal punto di vista del costruttivismo, ha un ruolo attivo e produttivo nei
confronti del diritto; la teoria del diritto non mira ad una verità come corrispondenza della realtà,
bensì alla coerenza e adeguatezza della ricostruzione.
Due profili diversi del ruolo produttivo della teoria del diritto:
 INTERVENTO DIRETTO: apporto costruttivo degli schemi concettuali di cui si servono i
teorici del diritto per rendere conto, in chiave di interpretazione selettiva, del campo di
esperienza oggetto di indagine (eg. Formulando la definizione di diritto).
Per quanto riguarda la concezione oggettualistica c’è una separazione fra la dimensione
dell’esistenza del diritto positivo e la dimensione del suo riconoscimento; per il
costruttivismo l’esistenza del diritto positivo dipende dal riconoscimento della sua
esistenza. Criticando l’oggettualismo il costruttivismo sostiene che la dicotomia discorsi sul
diritto e discorsi nel diritto va rifiutata perché i discorsi conoscitivi il cui oggetto è il campo

25
di esperienza giuridico vanno considerati come discorsi che intervengono sull’oggetto della
conoscenza: la classe dei discorsi sul diritto è una classe vuota.
 INTERVENTO INDIRETTO: offrire all’attività di interpretazione e applicazione del diritto dei
presupposti concettuali, credenze teoriche, giudizi di valore per orientare i processi di
integrazione produttiva del diritto positivo.
La teoria del diritto determinando cos’è il diritto, determina anche come dovrà essere perché
indirizza i processi di integrazione produttiva.
Applicando il costruttivismo al lavoro dei giuristi, si inserisce all’interno del dominio del discorso
conoscitivo una parte del lavoro creativo della dogmatica giuridica; tale attività non avrebbe
carattere politico, ma conoscitivo nella misura in cui il suo obiettivo sia quello di interpretare e
sistematizzare il diritto vigente e non creare un diritto nuovo.
23. COSTRUTTIVISMO E TEORIA DEL DIRITTO COME PRATICA SOCIALE
L’idea centrale della teoria del diritto come pratica sociale è che il diritto è un insieme di pratiche di
carattere conoscitivo, interpretativo, argomentativo… non un insieme di oggetti  coerenza con il
costruttivismo in quanto la teoria del diritto come pratica sociale è una prospettiva anti-
oggettualistica.
Per Hart le regole giuridiche non esistono come oggetti autonomi dalle pratiche sociali che le
tengono in vita  non esiste una realtà giuridica in sé separata dall’attività giuridica per noi.
Intendendo il diritto come pratica sociale, l’esistenza delle regole giuridiche viene costruita in un
processo dinamico condotto a più mani (non vengono ad esistenza tutte in una volta); ciò è in
sintonia con il costruttivismo il quale sostiene che non esistono dati oggettivi, immobili e
immodificabili di cui render conto passivamente.
24. IL RUOLO PRODUTTIVO “FORTE” DELLA CONOSCENZA GIURIDICA
Certi tipi di conoscenza (come la conoscenza giuridica) svolgono un ruolo produttivo ancora più
forte: sono necessarie per l’esistenza stessa degli oggetti cui si riferiscono.
Sono necessarie alcuni condizioni affinché si realizzi questo ruolo produttivo peculiare:
- Fra gli oggetti del campo di esperienza vi devono essere delle regole (diritto come fenomeno
normativo: condizione legata al contenuto della conoscenza)
- L’assunzione metodologica deve intendere la positività del diritto (condizione legata al modo di
accostarsi agli oggetti)  la positività del diritto non è un fatto, ma è frutto di un operazione di
riconoscimento.
Un certo diritto positivo esiste nella misura in cui nella comunità di riferimento, una parte di essa
accetta le norme come modello di condotta per il proprio e altrui comportamento; per parlare di
esistenza del diritto positivo bisogna far riferimento all’esistenza qualificata (il diritto produce
effetti normativi sul comportamento), non è sufficiente l’esistenza bruta.
Se oggetto di indagine sono le regole, fenomeni la cui esistenza qualificata presuppone un’attività
di riconoscimento, tali regole non possono considerarsi esistenti in senso pieno se non vengono
accettati i modelli di comportamento contenuti nella regola. Le pratiche di accettazione prevedono
che si conosca il contenuto della regola  la conoscenza del contenuto della regola è uno dei
presupposti per l’esistenza del diritto positivo.

CAPITOLO VII: una teoria dell’interpretazione pragmaticamente orientata


1. MONISMO SEQUENZIALE, ORIENTAMENTO PRAGMATICO DELLA TEORIA E RELAZIONE CONCETTUALE FRA
INTERPRETAZIONE E SIGNIFICATO
In una prospettiva che guarda al diritto come pratica sociale, l’interpretazione rappresenta
un’attività che contribuisce costitutivamente all’esistenza degli oggetti di cui si occupa la teoria del
diritto.
La teoria dell’interpretazione stabilisce una relazione concettuale fra interpretazione e significato
 non è possibile sviluppare teorie e definizioni dell’interpretazioni che non siano anche teorie e
definizioni del significato (e viceversa): una teoria dell’interpretazione è necessariamente una
teoria del significato e viceversa (RELAZIONE CONCETTUALE O INTERNA)

26
MA: l’elemento del significato fa parte della nozione di interpretazione intesa nel suo senso
paradigmatico generale non è sempre vero il contrario.
2. TEORIA DELL’INTERPRETAZIONE, TEORIA DELL’ARGOMENTAZIONE E TEORIA DEL RAGIONAMENTO GIURIDICO
INTERPRETAZONE GIURIDICA: (una delle due sottoclassi del ragionamento giuridico) attività
tramite la quale in ambito giuridico si giustificano attribuzioni di significato a disposizioni… (l’altra
sottoclasse consiste nell’attività con la quale si producono argomenti a sostegno di tali attribuzioni
e decisioni.
La teoria dell’interpretazione di interessa
teoria del
all’attività dal punto di vista strutturale (il
ragionamento modo); la teoria dell’attribuzione è
giuridico interessata al perché sia attribuisca un
certo significato.

teoria teoria
dell'interpretazione dell'argomentazione

3. I VARI STRATI DELLA NOZIONE DI “INTERPRETAZIONE”


Interpretazione:
- Interpretazione attività: attività di interpretare
- Interpretazione prodotto: risultati di tale attività
Ci sono tre diversi strati/livelli in cui si articola la nozione di interpretazione:
I. SENSO GENERALISSIMO DI INTERPRETAZIONE: c’è interpretazione ogni volta che si
forniscono attribuzioni di significato ad un oggetto
II. SENSO PIÙ SPECIFICO DI INTERPRETAZIONE: vengono fornite interpretazioni di fatti
culturali [interpretazioni di fatti naturali ≠ interpretazioni di fatti umani (doppio livello
ermeneutico: si fornisce un significato ad oggetti che hanno di per sé già un significato per
chi li ha prodotti)]
III. STRATO DELL’INTERPRETAZIONE GIURIDICA: riguarda i processi di interpretazione posti in
essere all’interno dell’ambito di esperienza giuridico; l’istanza paradigmatica di
un’interpretazione giuridica riguarda tutti i casi in cui essa opera all’interno di sistemi a
diritto codificato. L’interpretazione giuridica ricomprende tutte le attività di attribuzione di
significato che vengono poste in essere, da parte di giuristi e operatori giuridici, nell’ambito
di esperienze giuridiche “a diritto codificato”, e che quindi hanno come oggetto
paradigmatico disposizioni legislative contenute in documenti linguistici prodotti dal
legislatore  interpretazione della legge (significato paradigmatico di interpretazione)
[l’interpretazione del diritto è una nozione più ampia].
4. UNA TERZA VIA TRA “FORMALISMO” E “ANTIFORMALISMO INTERPRETATIVO”
Guardando all’interpretazione giuridica si è assistita a una polarizzazione della discussione:
formalismo interpretativo vs antiformalismo interpretativo.
Oggetto principale dell’analisi: relazione interpretazione – significato.
FORMALISMO INTERPRETATIVO: attribuire un significato alla disposizione significa scoprire il suo
significato preesistente.
ANTIFORMALISMO INTERPRETATIVO: attribuire un significato alla disposizione significa creare un
nuovo significato.
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 Queste due teorie sono intrecciate tra di loro: l’antiformalista è un formalista deluso, la cui crisi
del formalismo lo porta a optare per la teoria antiformalistica; la consapevolezza degli eccessi
dell’antiformalismo i cui interpreti hanno la libertà di andare contro la legge, comporta la virata
verso il formalismo.
Da un punto di vista storico-sociologico le teorie formalistiche interpretative vengono avanzate in
periodo in cui ha luogo la codificazione: fra giuristi, operatori e legislatore c’è un “comune sentire”
che entra in crisi man mano che ci si allontana dal periodo di codificazione (distacco fra cultura
giuridica della codificazione e cultura giuridica attuale) e prende il sopravvento l’antiformalismo.
Villa ci propone una terza via tra formalismo e antiformalismo, sostenendo che l’interpretazione è
una miscela di entrambe le cose: creazione e scoperta.
5. IL FORMALISMO INTERPRETATIVO
Tale teoria ha origine in Francia agli inizi dell’Ottocento: Scuola dell’Esegesi  nel codice (Code
Napoléon) ci sono tutte le risposte ai casi concreti –principio della completezza della legge- perché
nel codice è contenuta la legge della ragione. Nel ricercare il significato delle disposizione si fa
riferimento all’intenzione/volontà storica del legislatore, nel caso essa non sia palese si fa
riferimento alla volontà presunta. Altre sono le scuole che esprimono un atteggiamento
formalistico, come la scuola storica.
IDEA CENTRALE COMUNE: interpretare significa scoprire un significato preesistente, qualunque sia
l’oggetto; tale significato è quindi l’unico vero e corretto. Il significato è uno solo e dipende dalle
parole usate nella disposizione; esso viene scoperto in sede di interpretazione.
Qualora il significato non apparisse subito chiaro ci si rifà all’intenzione del legislatore e in un
secondo momento a criteri logici.
Nei casi in cui il criterio psicologico e logico non bastano per chiarire il significato il giurista creerà
un nuovo diritto.
6. L’ANTIFORMALISMO INTERPRETATIVO
L’antiformalismo quando nasce verso la fine dell’Ottocento si caratterizza per essere una reazione
critica al formalismo; ci sono tre tendenze principali:
 La giurisprudenza degli interessi
 Gli indirizzi teleologici
 Il movimento del diritto libero
Questa tre tendenze sono accumunate dall’idea che l’interpretazione deve ricercare i problemi
interpretativi e applicativi all’esterno della norma: l’interpretazione delle disposizione le
giustificazione delle decisioni dei giuridici devono basarsi su elementi della realtà economico –
sociale. L’attività interpretativa genuina crea il significato delle disposizione nel momento in cui si
applica il diritto al caso concreto. Nei casi rilevanti per la teoria dell0interpretazione il significato
non viene ricavato dallo studio delle parole, ma dall’esame della realtà economico – sociale; il
riferimento ai dati normativi è indispensabile nel momento il cui l’interprete o il giudice ha l’obbligo
di motivare la sua decisione.
Per gli indirizzi teleologici tali elementi sono i valori a fondamento delle norme; per la
giurisprudenza degli interessi sono gli interessi e gli scopi che le norme vogliono realizzare; per il
movimento del diritto libero è il giudice che crea il diritto attraverso le sentenze.
7. VISIONE “STATICA” E VISIONE “DINAMICA” DEL SIGNIFICATO
Le due concezioni di formalismo a antiformalismo condividono una visione statica del significato.
VISIONE STATICA DEL SIGNIFICATO: il significato scoperto o inventato viene prodotto tutto in una
volta, in un’unica soluzione (Villa sostiene che il significato è l’esito di un processo a più fasi).

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Una concezione statica del significato non permette di spiegare adeguatamente l’attività
interpretativa; bisogna passare a una concezione dinamica del significato: il significato è una
nozione stratificata a formazione progressiva  il significato è l’esito di un processo a più fasi, in
questo processo il significato si specifica progressivamente.
MONISMO SEQUENZIALE: teoria monistica: il significato della disposizione è uno; sequenziale: il
significato passa attraverso più fasi.
Le fasi sono in linea di massima due (scoperta e creazione).
8. DIMENSIONE “CONVENZIONALE” E DIMENSIONE “CONTESTUALE” DEL SIGNIFICATO
La fase della scoperta concorre a formare il significato convenzionale; la fase della creazione va a
formare il significato contestuale. In una visione a formazione progressiva del significato ognuna
delle due componenti mantiene il suo ruolo (una non esclude l’altra); si deve riconoscere però
una priorità logica del significato convenzionale.
“Quale concezione per il significato?”  due alternative dicotomiche:
 Tradizione di ricerca convenzionalistica: l’indagine sul significato deve essere svincolata
dalle intenzioni comunicative dei parlanti. Significato convenzionale: tutto quello che si
conosce di un enunciato prescindendo dal contesto dell’enunciazione
 Tradizione di ricerca pragmatica/contestuale: il significato dipende tutto o in parte, dal
riferimento alle intenzione comunicative tipiche in situazioni complesse di interazione
segnica. Il significato è ogni volta costruito ogni volta nelle singole occasioni d’uso del
linguaggio.
La visione dinamica del significato permette di escludere che una delle due concezione esclude
l’altra, che siano mutualmente esclusive.
La visione dinamica del significato comporta l’idea che il significato è una nozione a formazione
progressiva; il significato convenzionale e il significato contestuale appartengono ad uno stesso
processo di attribuzione di significato ad una disposizione giuridica: il significato convenzionale sta
all’inizio del processo costituendo la base di partenza condivisa, il significato contestuale sta nella
seconda fase del processo per costruire un significato pienamente specificato.
Il significato contestuale può riprodurre il significato convenzionale oppure può allontanarsi da esso
e contrapporsi.
TEORIA PRAGMATICAMENTE ORIENTATA: il momento finale della costruzione compiuta del
significato di una disposizione è quello della sua specificazione semantica all’interno dei vari
contesti di recezione.
9. LE VARIE FASI DEL PROCESSO DI ATTRIBUZIONE DEL SENSO E DEL RIFERIMENTO
ATTRIBUZIONE DEL SENSO: ci sono due fasi; riconoscimento della presenza del concetto
(dimensione convenzionale); costruzione della nozione compiuta (dimensione contestuale).
Per quanto riguarda la prima parte del processo di attribuzione di senso, l’interprete prende atto di
una base semantica preesistente e dunque scopre una dimensione del significato; nel secondo
caso, invece, nel costruire la nozione crea un nuovo significato, o meglio ne fornisce una
specificazione (vedi eg. Pag. 218).
ATTRIBUZIONE DEL RIFERIMENTO: ci sono tre fasi; individuazione dei casi paradigmatici
(dimensione convenzionale); costruzione di un possibile campo di estensione della nozione
(dimensione contestuale): ampliamento estensionale dell’area semantica del termine che muove
da casi chiari a casi dubbi); individuazione di un singolo oggetto come facente parte del campo di
estensione della nozione (dimensione contestuale): la classe è stata costruita in modo da dar vita a
due sottoclassi, quella degli oggetti che rientrano nel campo di applicazione della nozione e quella
degli oggetti che non vi rientrano (vedi eg. Pag. 219).
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10. IMPLICAZIONI DI UNA TEORIA DELL’INTERPRETAZIONE PRAGMATICAMENTE ORIENTATA SULLA DISTINZIONE FRA
INTERPRETAZIONE DOTTRINALE (GIURISTI) E INTERPRETAZIONE OPERATIVA (GIUDICI)
INTERPRETAZIONE DOTTRINALE: si occupa della fattispecie astratta contenuta nella disposizione;
l’interpretazione dottrinale è rivolta alla dimensione del senso mentre l’interpretazione operativa è
rivolta alla dimensione del riferimento.
Il lavoro del giurista è orientato prevalentemente al senso dei termini della disposizione, il lavoro
del giudice è orientato prevalentemente al riferimento dei termini.
Aderendo a una teoria pragmaticamente orientata e a formazione progressiva del significato, il
giurista nell’attività di ricerca del significato delle disposizioni legislative non può disinteressarsi alla
dimensione del riferimento  la costruzione del significato delle singole interpretazioni giuridiche
dell’attività dottrinale non può prescindere dalla ricerca del loro riferimento.
Analogamente il giudice nella sua attività finalizzata all’applicazione non può ignorare la
dimensione del senso.
11. CARATTERISTICHE DI UNA TEORIA DELL’INTERPRETAZIONE PRAGMATICAMENTE ORIENTATA: A) “OLISMO IN SENSO
DEBOLE”
Olismo in senso forte: solo un sistema complessivo di enunciati è dotato di significato in senso
pieno, ed essere oggetto di interpretazione
OLISMO IN SENSO DEBOLE  è il singolo enunciato che costituisce il punto di partenza
dell’interpretazione; bisogna tenere conto anche dei significati attribuiti agli altri enunciati facente
parte della stessa aggregazione linguistica.
Rapporto fra enunciati: il significato di un enunciato dipende anche dalle relazione che esso ha con
gli altri significati di enunciati facenti parte dello stesso sistema; le relazioni intercorrenti possono
portare a preferire un significato in quanto considerato più coerente o congruente rispetto agli
altri.
Rapporto degli enunciati con l’esperienza: tale rapporto coinvolge lo schema concettuale nel suo
complesso, è l’insieme di enunciati a rapportarsi con l’esperienza.
Per quanto riguarda l’interpretazione giuridica, il significato complessivo dell’argomento di un
disposizione giuridica non può prescindere dal significato delle singole prole che lo compongono;
l’interpretazione dei singoli termini accompagna l’interpretazione dell’intero enunciato. Inoltre, le
disposizione legislative fanno parte di insieme di enunciati fra loro concatenati volti a regolare una
certa materia.
Nell’ambito della filosofia analitica esiste un “doppio movimento” (circolo ermeneutico nella
filosofia ermeneutica): interpretare le singole disposizione giuridiche richiede l’interpretazione di
tutto il sistema giuridico, tale viene interpretato a partire dalle sue unità – base di significato.
12. SEGUE: B) UNA CONCEZIONE “INTERAZIONISTICA”
Teoria interazionistica: fra le varie fasi di interpretazione e fra gli strati di significato esistono
interazioni reciproche.
I. Interazione fra attribuzione di significato e individuazione della funzione: nelle
organizzazioni giuridiche odierne per capire quale funzione attribuire a una disposizione ci
si basa sull’appartenenza dell’interpretazione al suo sistema di riferimento (tale
accertamento attribuisce alla disposizione una funzione prescrittiva).
II. Attribuzione del senso e conferimento del riferimento dei termini: nel momento in cui si
constata che due nozioni hanno origini autonome e differenti, si conclude che “ricerca del
senso” e “ricerca del riferimento” sono in interscambio continuo.

CAPITOLO VIII: il “neocostituzionalismo” come sfida “interna” al positivismo giuridico


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1. LE DUE SFIDE, “INTERNA” ED “ESTERNA”, AL GIUSPOSITIVISMO
La concezione giuridica proposta da Villa è interna al giuspositivismo analitico; è necessaria per il
giuspositivismo una riconversione epistemologica (adesione al costruttivismo), semantica
(condivisione di un approccio pragmaticamente orientato alla comunicazione linguistica e al
significato) e teoria (idea del diritto come pratica sociale).
Negli ultimi decenni, ci sono stati mutamenti che riguardano il profilo interno degli ordinamenti
(processi di costituzionalizzazione) e il profilo esterno (globalizzazione giuridica). La scelta a favore
del giuspositivismo ha implicazioni etico – politiche:
- Implicazione ontologica: aderendo al positivismo si nega l’idea che ci siano principi etici
oggettivi al fondamento del diritto positivo
- Implicazione metodologica: aderendo al giuspositivismo di riconosce l’importanza della
conoscenza del diritto, indipendente dalla presa di posizione nei suoi confronti (distinzione fra
creazione e applicazione del diritto). Ammettendo la possibilità di conoscere le norme prima
della loro applicazione concreta, è possibile attribuire un significato alla nozione di applicazione
del diritto e quindi distinguere fra legislatore e giudice, distinzione necessaria per il principio
della separazione dei poteri.
2. LA NASCITA DEL DIRITTO COME SFERA AUTONOMA DELLA VITA PRIVATA
Passaggi fondamentali storici che ha passato il diritto moderno:
 Transazione da diritto pre-moderno a diritto moderno (inizi ‘800)
 Transazione dallo stato di diritto allo stato costituzionale (passaggio all’interno del
diritto moderno)
Nella fase antecedente il passaggio al diritto moderno il diritto non è ancora uno strumento
autonomo per gli essere umani di dare forma ai loro scopi; il diritto come prodotto culturale (simile
a come lo intendiamo noi oggi) nasce nel momento in cui gli uomini diventano consapevoli di poter
dar vita ai loro scopi attraverso la regolamentazione giuridica.
DIRITTO: regole e criteri per i quali è possibile riconoscere un intervento produttivo dell’uomo,
anche se solo per adeguare il diritto considerato parte della natura.
 Il nostro oggetto di studio è il diritto positivo attualmente in vigore nelle organizzazioni
giuridiche di tipo occidentale.
3. SISTEMI DI DIRITTO CODIFICATO E SISTEMI DI “COMMON LAW”
Nelle organizzazioni giuridiche occidentali sono presenti:
 SISTEMI DI DIRITTO CODIFICATO (nell’Europa continentale): alla base del sistema ci
sono norme espressamente poste dal legislatore sottoforma di codice o legge speciale;
le norme che scaturiscono da altre fonti (consuetudine, giurisprudenza…) costituiscono
un diritto marginale.
 SISTEMI DI COMMON LAW (in Inghilterra): alla base del sistema ci sono principi e
massime di decisione che emergono da una tradizione giuridica consolidata (ci si basa
sul precedente); le norme che derivano dal legislatore o da altre fonti rappresentano
l’eccezione.
Questi due tipi di sistemi sono presi in questione unitariamente per diversi motivi; da un punto di
vista filosofico, le questioni relative alla filosofia del diritto hanno un carattere così generale che la
distinzione non è rilevante.
Da un punto di vista teorico, i due sistemi hanno analogie tali che richiedono una trattazione
unitaria (l’oggetto di indagine sono norme generali, usate come criteri per la soluzione di casi
concreti; i criteri in questione hanno bisogno, in entrambi i casi, di una trasposizione linguistica).
Inoltre, i due sistemi tendono a omogeneizzarsi andando uno verso l’altro.
Dal punto di vista del diritto come pratica sociale, i materiali giuridici esistono da un punto di vista
normativo nel momento i n cui vengono interpretati, applicati e inseriti nell’uso sociale.
CODICE: corpo organico di disposizioni legislative; tali disposizioni sono collocate in modo
coordinato per materie e rette da principi unitari.
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 “un codice è un libro di regole giuridiche organizzate secondo un sistema e caratterizzate
dall’unità di materia, vigente per tutta l’estensione geografica dell’area di unità politica, rivolto
a tutti i sudditi o soggetti all’autorità, da questa autorità voluto e pubblicato, abrogante tutto il
diritto precedente sulla materia da esso disciplinata e perciò non integrabile con materiali
preesistenti, destinato a durare a lungo”.
4. IL “PARTICOLARISMO GIURIDICO” E IL PASSAGGIO VERSO IL DIRITTO CODIFICATO
Dopo il passaggio dal diritto pre-moderno al diritto moderno viene a prodursi un nuovo tipo di
diritto, la cui nascita è datata simbolicamente nel 1804, anno di emanazione del primo Codice
moderno: il Codice Civile Napoleonico francese [seguono poi il Codice Austriaco (1811), il Codice
Italiano (1865), il Codice Tedesco (1900)].
Il periodo che precede l’età delle codificazioni viene chiamato PARTICOLARISMO GIURIDICO: una
situazione di crisi del diritto comune, diritto che si era sviluppato nel medioevo, sulla base della
combinazione del patrimonio giuridico comune costituito dal diritto romano e del contributo a
carattere locale delle tradizioni, consuetudini e atti dei sovrani. Lentamente gli elementi locali
presero il sopravvento sui principi unitari cosicché il diritto comune diventa residuale, ovvero
veniva applicato solo nel momento in cui mancavano regole specifiche; le regole specifiche
riguardavano principalmente gli status delle persone e la diversa regolamentazione dei loro beni
8diritti e doveri diversi a seconda degli status.
Il particolarismo giuridico inizia a decadere prima di tutti in Francia, in seguito al nuovo modello
giuridico introdotto dal Codice Napoleonico (si passa dagli usi e leggi particolari a leggi generali ed
astratte), e dal nuovo modello di stato introdotto in seguito alla rivoluzione francese (si passa dal
modello assolutistico allo stato di diritto).
5. LA LEGGE GENERALE E ASTRATTA COME NUOVO STRUMENTO GIURIDICO
La legge generale e astratta diventa norma giuridica dopo le codificazioni ottocentesche; alla base
di essa c’è l’idea che le norme contenute nelle codificazioni sono la trasposizione giuridiche delle
leggi della ragione: la legge è così ATTO DELLA VOLONTÀ E DELLA RAGIONE: formalmente è un
comando del legislatore sovrano, comando con contenuti razionali che esprimono leggi giuste.
Con la codificazione e la riorganizzazione del diritto dopo la rivoluzione si perfeziona il passaggio
giusnaturalismo dell‘700  giuspositivismo dell’800.
Da un punto di vista ideologico il giusnaturalismo è uno dei motivi che ha fatto scattare la
rivoluzione francese; una volta raggiunti i suoi obbiettivi esso entra a far parte del diritto positivo e
il giusnaturalismo lascia il posto al giuspositivismo. Il giuspositivismo sostiene che l’unico diritto è il
diritto positivo, il quale esprime la giusta e definitiva regolamentazione dei rapporti umani.
La legge è GENERALE (è universale rispetto al destinatario) e ASTRATTA (è universale rispetto
all’azione).
Generalità: per realizzare l’eguaglianza formale
Astrattezza: per realizzare la certezza del diritto (riuscire a pre-determinare gli effetti che un
ordinamento giuridico attribuisce a un certo comportamento).
6. STATO DI DIRITTO E STATO DI DIRITTO COSTITUZIONALE
Nell’800 va a svilupparsi lo stato di diritto: un’organizzazione giuridica il cui potere statale è limitato
dal diritto (secondo il modello assolutistico il sovrano era sciolto dalla legge).
Lo stato di diritto inizia a svilupparsi in due versioni:
 Modello continentale: è la versione formale dello stato di diritto (il potere statale non deve
essere mai esercitato contro i cittadini se non conforme al codice) ma manca la spiegazione
del contenuto delle regole. Secondo questa concezione debole dello stato di diritto, uno
stato è qualificato come tale se i poteri esercitati sono limitati dal diritto ed esercitati in
conformità alla legge (versione debole del principio di legalità). Nello stato di diritto
legislativo, non vi sono limiti giuridici all’attività legislativa ma solo limiti politici.
 Modello dei sistemi di common law: è la versione sostanziale dello stato di diritto (rights
conception); i cittadini hanno dei diritti riconosciuti dall’ordinamento e il potere statale è
limitato anche nei contenuti.

32
Lo stato di diritto costituzionale che esiste oggi nelle democrazie occidentali è lo sviluppo del
modello dei sistemi di common law; la differenza sta nel fatto che i principi di common law, nei
sistemi di diritto codificato sono contenuti nelle costituzioni. Nello stato di diritto costituzionale c’è
il passaggio principio di legalità nel senso debole  principio di legalità nel senso forte (i poteri
statali sono limitati ancora dalla legge, ma inoltre vi sono i principi i quali vincolano il contenuto).
7. LA NOZIONE DI “COSTITUZIONE”
Con l’introduzione delle costituzioni rigide, l’organizzazione giuridica diviene uno stato di diritto che
opera attraverso leggi generali ed astratte, e i poteri statali sono giuridicamente limitati nei
contenuti; il limite è svolto dalla costituzione.
Stato di diritto costituzionale: il principio di legalità espresso nella costituzione vale anche nei
confronti del potere legislativo.
Vari sensi di “costituzione”:
I. Senso forte valutativo di costituzione (quello che a noi interessa). La costituzione è un
testo normativo con determinati contenuti; in questi termini essa ha il compito di limitare il
potere politico. “non tutte le organizzazione giuridiche contemporanee hanno una
costituzione, solo quelle liberali e garantiste”.
II. Senso neutro sostanziale di costituzione. La costituzione sono norme fondamentali tipiche
di un ordinamento giuridico, che riguardano l’organizzazione dei poteri e le relazioni stato –
cittadini. “tutte le organizzazioni giuridiche contemporanee hanno una costituzione”.
III. Senso neutro formale di costituzione. La costituzione è un documento normativo che si
distingue per il suo nome, la sua formulazione, il suo procedimento di formazione, il suo
contenuto, lo speciale regime giuridico per tali norme.
Nello stato di diritto costituzionale la legge è subordinata alla costituzione; non c’è un’unificazione
del diritto, bensì una distinzione di esso in più livelli.
8. IL PROCESSO DI “COSTITUZIONALIZZAZIONE”: A) LE CONDIZIONI RELATIVE A “COM’È FATTA UNA COSTITUZIONE”
L’effetto teorico – pratico conseguente alla presenza delle costituzioni si verifica nel momento in cui
si sviluppa un atteggiamento culturale e interpretativo nei confronti delle norme costituzionali; tale
atteggiamento aiuta la produzione del processo di costituzionalizzazione.
Costituzionalizzazione: negli stati di diritto costituzionale è quel processo di trasformazione che
porta gli ordinamenti ad essere impregnati dalle norme costituzionali (tale processo riguarda il
modo di intere la costituzione da parte della cultura giuridica).
Il processo di costituzionalizzazione dipende dall’esistenza di due condizioni:
- Il modo in cui è fatta una costituzione. Il processo è più intenso se si ha che fare con una
costituzione rigida dove è presente il controllo di costituzionalità delle leggi; una
costituzione è rigida se è scritta è protetta contro la legge ordinaria, ossia le norme
costituzionali possono essere derogate, modificate o abrogate solo attraverso un
procedimento speciale di revisione costituzionale.
In Italia è vigente una costituzione rigida; il processo di revisione costituzionale è molto più
gravoso rispetto a quello ordinario, inoltre secondo la CC sono presenti dei principi che non
possono in alcun modo essere modificati. La costituzione è garantita contro la legislazione
ordinaria dal controllo di legittimità costituzionale delle leggi esercitato dalla CC (a
posteriori, in concreto e per via di eccezione).
- Il modo in cui la costituzione è percepita, interpretata e applicata.
9. SEGUE: B) LE CONDIZIONI RELATIVE AL “MODO IN CUI È PERCEPITA UNA COSTITUZIONE”
Il modo in cui la condizione è percepita, interpretata e applicata riguarda tre aspetti:
 Forza vincolante della costituzione: ogni norma costituzionale è una orma giuridica
vincolante e in grado di produrre effetti giuridici (non solo le norme precettive, come
sostenevano le concezioni tradizionali).
 Questioni legate all’interpretazione della costituzione; sovra - interpretazione della
costituzione: atteggiamento per cui si sceglie di dare al testo costituzionale
un’interpretazione estensiva. Secondo l’interpretazione letterale nessuna costituzione se
interpretata alla lettera è completa; attraverso l’interpretazione estensiva si ricavano da

33
norme costituzionali esistente altre norme implicite o inespresse. Il processo di
costituzionalizzazione privilegia l’interpretazione estensiva della costituzione. Applicazione
diretta delle norme costituzionali: la costituzione deve regolare i rapporti sociale, dunque
le norme costituzionali possono produrre effetti diretti ed essere applicate da qualsiasi
giudice nella controversia; le norme costituzionali possono essere applicate non solo nelle
controversie cittadino – pubblico potere ma anche in quelle fra cittadini. Interpretazione
adeguatrice delle leggi: criterio interpretativo per scegliere un possibile significato in cui
sono possibili più interpretazioni. La CC pone interpretazioni adeguatrici all’interno delle
decisioni che vertono sulle possibili norme espresse nel testo; i giudici comuni esprimono
interpretazioni adeguatrici quando vengono sollevate questioni di costituzionalità.
 Influenza della costituzione sui rapporti politici: è possibile e legittimo controllare/mettere
in discussione le decisioni legislative facendo leva sul principio della ragionevolezza delle
distinzioni e delle classificazioni legislative e sulla tecnica del bilanciamento dei principi
costituzionali (se in conflitto).
10. LE QUATTRO CRITICHE DEL NEOCOSTITUZIONALISMO AL GIUSPOSITIVISMO
Posizioni neocostituzionalistiche: posizioni che si basano sulla presenza invasiva della
costituzione (processo di costituzionalizzazione) per avanzare critiche sul giuspositivismo.
Il neocostituzionalismo non vuole abbandonare il giuspositivismo ma avanzare una terza via fra
giusnaturalismo e giuspositivismo.
 Secondo Villa si può condividere un atteggiamento favorevole al processo di
costituzionalizzazione e accettare le critiche al giuspositivismo sulla presenza assorbente della
costituzione negli ordinamenti, senza però dover abbandonare il giuspositivismo; la tesi
sostenuta da Villa secondo la quale c’è un’opposizione mutuamente esclusiva fra
giuspositivismo e giusnaturalismo senza ipotizzare una terza via rimane confermata.
I. La prima critica riguarda la nozione formale di validità giuridica: “la presenza delle norme
costituzionali rendono insufficiente il criterio formale poiché devono subire anche un
controllo sui loro contenuti”
II. La seconda critica riguarda la tradizionale teoria giuspositivistica della norma giuridica:
“nei testi costituzionali ci sono i principi dei quali le teorie giuspositivistiche non riescono a
rendere conto”
III. La terza critica riguarda il rapporto fra diritto e morale: poiché nei testi costituzionali sono
presenti molti contenuti etici non è più solida la tesi della separabilità, si dovrebbe parlare
di connessione necessaria fra diritto e morale”
IV. La quarta critica riguarda la questione dei giudizi di valore: “la presenza di contenuti etici e
di valore rende impossibile al giurista di accostarsi in modo neutrale all’oggetto di studio”.
11. UNA NUOVA TEORIA GIUSPOSITIVISTICA DELLA VALIDITÀ
La teoria tradizionale della validità è incompatibile con una teoria del diritto come pratica sociale;
ma la teoria del diritto come pratica sociale può essere presentato all’interno di uno sfondo
giuspositivistico all’interno del quale viene messa in discussione la teoria statica (di tipo monistico)
della validità che rinvia a una concezione descrittivistica della conoscenza (diritto come dato
oggettivo e preesistente all’interpretazione).
Passaggio positività come dato  positività come processo: l’esistenza del diritto positivo on viene
più spiegato facendo riferimento a singoli atti, ma ad un insieme di attività sociali complesse dove la
dimensione linguistica è molto importante (importanze a questo fine è la dimensione dell’uso
sociale delle norme).
Abbandonare la teoria della positività come dato significa criticare la teoria monistica della validità,
che ritiene che questa proprietà si produce istantaneamente, tutta in una volta.
Il mutamento dell’oggetto è dovuto al fatto che i principi e i valori che costituivano il fondamento
metagiuridico del diritto positivo hanno trovato una struttura giuridica codificata; le norme
legislative sono sottoposte sia a vincoli di tipo formale sia a vincoli di tipo sostanziale. Inoltre
devono sia passare il test di accertamento formale sia il test di apprezzamento della conformità
delle contenuto di significato delle norme con quelle superiori.

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Due fasi di positivizzazione del diritto:
a) La norma raggiunge lo stadio di esistenza; alla norma conviene la proprietà, empiricamente
accertabile, di vigore.
b) Nella seconda fase la norma in vigore viene accertata la sua conformità di contenuto di
significato rispetto alle norme superiori; la norma assume la proprietà, valutativamente
connotata, della validità.
Rispetto alle critiche alzate da neocostituzionalismo sul giuspositivismo, la teoria tradizionale
della validità ha bisogno di revisioni; tali revisioni sono già avviate all’interno del giuspositivismo
e non vanno a influenzare i suoi assunti concettuali.
12. “REGOLE IN SENSO STRETTO” E “PRINCIPI” COME SOTTO – CLASSI DELLA CLASSE “NORMA GIURIDICA”
La presenza di principi non mette in questione la categoria della norma giuridica. Distinzione e
rapporti valori – principi – regole in senso stretto.
Secondo i giuspositivisti i principi sono una sotto – classe della classe delle norme giuridiche;
I principi espliciti sono sottoposti allo stesso
accertamento di validità delle norme esplicite,
norma per verificarne l’appartenenza al sistema
giuridica
giuridico. I principi espliciti sono ricavati da
disposizioni (disposizioni di carattere
costituzionale, disposizioni legislative
regole in ordinarie…).
principi senso stretto
(regole)

13. PRINCIPI “INESPRESSI” E PRINCIPI “IMPLICITI”. IL DIRITTO COME UN “LIBRO SCRITTO A PIÙ MANI”
Oltre ai principi espliciti sono presenti i principi impliciti; essi sono simili alle norme implicite (non
hanno a disposizione un riferimento, ma vengono ricavate dalla dottrina o dalla giurisprudenza).
Anche le norme implicite fanno parte del sistema giuridico di riferimento: è un appartenenza
indiretta, perché le norme esplicite sono appartenenti direttamente e a esse sono collegate le
norme implicite.
Il sistema giuridico si accresce sia esplicitamente grazie alla produzione legislativa, sia grazie al
contributo della dottrina e della giurisprudenza (spesso sono norme implicite).
Dworkin fa il paragoni con il romanzo scritto a più mani: ogni nuova costruzione dogmatica o
giurisprudenziale può far parte del romanzo del diritto se è coerente con i capitoli scritti dal
legislatore, dalla dottrina e dalla giurisprudenza  criterio di congruenza (collegamento logico) e
criterio di coerenza (criterio argomentativo).
Classificazione delle norme: NORME IMPLICITE, NORME ESPLICITE, NORME INESPRESSE.
Classificazione dei principi: PRINICPI IMPLICITI (non sono espressi ma desumibili da disposizioni
espresse eg. Principio della tutela dell’affidamento); PRINCIPI INESPRESSI (il processo di
integrazione è molto più complesso eg. Principio della divisione dei poteri); PRINICPI ESPRESSI.
14. LA DIFFERENZA FRA “REGOLE IN SENSO STRETTO” E “PRINCIPI”
Le differenze principali fra regole e principi sono:
- Il maggior grado di generalità e la maggiore importanza gerarchica dei principi; i principi
sono gli strumenti più importanti per spiegare in sede teorica o per giustificare in sede
giurisprudenziale, singole regole o gruppi di regole che disciplinano la stessa materia o
materie simili. I principi fanno riferimento ad un maggior numero di circostanze di
applicazione rispetto alle regole.

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- Il diverso ruolo giocato nell’attività interpretativa e applicativa; i principi e non le regole,
possono rappresentare i punti terminali dei processi di giustificazione delle scelte
normative e offrono ragioni che non hanno bisogno di basarsi su ragioni superiori.
REGOLE: esse si applicano nella forma del “tutto o niente” (ci sono le condizione per applicare una
certa regole/non ci sono tali condizioni).
PRINCIPI: viene comunque preso in considerazione se è considerato rilevante per la decisione
giuridica, anche se poi non è utilizzato come criterio – guida per la decisione giuridica perché ne
viene scelto un altro ritenuto più meritevole di tutela. I principi non orientano in modo univoco e
preciso le decisioni e le interpretazioni: si applicano tutti insieme nelle decisioni concrete, questo
può portare a un conflitto che si risolve solo valutando il peso relativo di ciascun principio (i principi
hanno al massimo grado le proprietà del peso e dell’importanza).
15. VALORI, PRINCIPI E REGOLE
Da un punto di vista gerarchico:
I. Valori
II. Principi
III. Regole
Molti principi giuridici rappresentano una concretizzazione giuridica dei valori: gli enunciati in
funzione prescrittiva sono l’esito di una riconversione interpretativa a cui sono sottoposti gli
enunciati in funzione valutativa quando l’atteggiamento apprezzativo viene tradotto in
orientamento normativo.
Molte norme costituzionali possono ritenersi come concretizzazioni normative di valori; i giudizi di
valore possono diventare prescrizioni solo se entrano a far parte di enunciati normativi che
esprimono i principi della condotta.
I principi costituiscono l’intervento della ragione nei valori: è attraverso i principi che strutturiamo i
valori che diventano in questo modo criteri di condotta; i principi cercano di promuovere la
realizzazione dei valori in modo unitario e coerente.
RAPPORTO VALORI – PRINICPI – REGOLE: i principi sono il punto di incontro fra regole e valori,
dove i valori vengono proiettati all’interno del diritto, dove le regole trovano i punti terminali dei
processi di giustificazione.
 Dai valori si passa ai principi attraverso la concretizzazione normativa del valore; dal
principio si arriva alla regole come specificazione del contenuto prescrittivo del principio.
 Dalla regola si arriva al principio attraverso la giustificazione di essa; dal principio si arriva al
valore come fondamento del principio.
Rispetto alle critiche avanzate dal neocostituzionalismo, il giuspositivismo dovrebbe rivedere
alcune parti delle teorie, revisione che è già iniziata; ma non è necessario l’abbandono della
tradizione di ricerca giuspositivistica.
16. POSITIVISMO GIURIDICO “INCLUSIVO” (ILP) E POSITIVISMO GIURIDICO “ESCLUSIVO” (ELP) DI FRONTE ALLA QUESTIONE
DEL RAPPORTO FRA DIRITTO E MORALE
Secondo i neocostituzionalisti il rapporto fra diritto e morale è necessario (il giuspositivismo
dovrebbe abbandonare quelle premesse epistemologiche e teoriche ancora ancorate al
giuspositivismo tradizionale).
Secondo Hart la differenza fra giuspositivismo e giusnaturalismo sta nella tesi giuspositivistica che
non c’è una connessione necessaria fra diritto e morale  la tesi di Hart non può rispondere alle
critiche avanzate da neocostituzionalismo perché non c’è un’analisi adeguata dei principi giuridici,
della validità e del rapporto diritto – morale. Il giuspositivismo odierno si è sviluppato sulla base
delle posizioni di Hart, anche se oggi presenta concezioni più sofisticate; due sono le concezioni che
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interessano: una difende la posizione tradizionale, l’altra ha una posizione diversa. Il positivismo
giuridico inclusivo (ILP) e il positivismo giuridico esclusivo (ELP) sono due interpretazioni
contestabili di una comune base concettuale.
L’elemento di spicco per distinguere queste due concezioni è la diversa interpretazione (a livello
ontologico) che ILP e ELP danno della tesi della separabilità fra diritto e morale (separability thesis).
 Secondo l’ILP ci possono essere criteri di natura etica nell’attività che accerta l’esistenza e il
contenuto delle norme di un sistema giuridico;ma la norma di riconoscimento del sistema
giuridico deve permettere il riferimento a tali criteri (eg. Art 27 comma 3 Costituzione “le
pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere
alla rieducazione del condannato”). L’ILP cerca di riformulare il giuspositivismo all’interno
degli stati di diritto costituzionale
 Secondo l’ELP l’attività che accerta l’esistenza e il contenuto di norme giuridiche deve
basarsi esclusivamente su comportamenti che possono essere descritti in termini neutrali e
essere applicati senza far ricordi ad argomenti morali.
A livello logico la differenza che intercorre fra ILP e ELP è la stessa che intercorre fra negazione
esterna e negazione interna; l’ELP in accordo con la modalità della negazione interna sostiene che
per tutti i sistemi giuridici è necessario che la validità di una norma non dipenda dalla rispondenza a
criteri di natura etica. L’ILP in accorda con la modalità della negazione esterna sostiene che non è
necessario che in ogni sistema giuridico la validità di una norma dipenda dalla sua rispondenza a tali
criteri.
17. IL MAGGIORE POTENZIALE ESPLICATIVO DEL POSITIVISMO GIURIDICO INCLUSIVO
Dalla definizione dell’ILP si desume un possibile collegamento fra l’attività svolta a determinare
l’esistenza (validità) delle norme e l’attività volta a determinarne il contenuto; ciò può avvenire in
particolare negli stati di diritto costituzionale dove le norme sono sottoposte sia a vincoli formali sia
a vincoli sostanziali (non solo accertamento della correttezza formale ma anche apprezzamento
della conformità del contenuto delle norme con quelle superiori)  da queste premesse l’ILP
sostiene che non sempre è possibile separare l’accertamento dell’esistenza e l’accertamento del
contenuto (come diceva Kelsen).
Il programma di ricerca dell’ILP è più promettente di quello dell’ELP:
 L’ILP ha maggiore potenziale esplicativo; esso ha maggiori risorse teoriche per spiegare il
mutamento di paradigma che è avvenuto negli stati di diritto contemporaneo con l’avvento
delle costituzioni  le norme costituzionali pongono vincoli di carattere procedurale alla
produzione normativa e vincoli di carattere sostanziale (derivano da principi per lo più di
carattere morale). L’ILP riesce a riconoscere il carattere morale di tali vincoli non
abbandonando la posizione giuspositivistica.
Del resto anche l’ELP può avere le risorse tecniche per inglobare nel giuspositivismo le
novità introdotte dagli stati di diritto costituzionale: i vincoli posti dalle norme costituzionali
riguardano i contenuti delle leggi; i contenuti morali presenti possono essere interni al
diritto, fanno quindi parte di principi i quali essendo giuridici rende i contenuti morali
contenuti di diritto positivo; se tali contenuti sono in partenza esterni i giudici grazie a
un’attività interpretativa li trasforma in contenuti giuridici creando un nuovo diritto.
L’ELP, però non riesce a fornire un’adeguata analisi dell’estrema fluidità del rapporto diritto
– morale negli stati di diritto costituzionale: non si può qualificare i contenuti morali come
completamente interni o completamente esterni indipendentemente dalla pratica
interpretativa, questo perché il diritto è costruito a più mani.

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Il contenuto di disposizioni costituzionali che contengono valori morali sono a carattere
generale: render conto del contenuto semantico significa privilegiare uno dei possibili
significati che può assumere quella disposizione. Inoltre le disposizioni, all’interno di un
testo costituzionale, sono spesso collegate a molte altre e non è possibile rinvenire a un
ordine di principi gerarchico.
Nei casi in cui dottrina e giurisprudenza producono innovazioni normative che si
inseriscono nel diritto preesistente essi individuano principi latenti; la costruzione di
principi costituisce il tentativo di colmare lacune normative, nel rispetto dei criteri di
coerenza e congruenza rispetto ai contenuti espliciti  questo lavoro è lo stesso che
avviene per i contenuti morali (giudizi e studiosi passano continuamente dall’esterno
all’interno e viceversa).
RAPPORTO DIRITTO – MORALE: c’è un’estrema fluidità perché ciò che è interno e ciò che è
esterno non possono essere predeterminati con nettezza.
 L’ILP ha una maggiore attrattività dal punto di vista teorico.
18. LA MAGGIORE ATTRATTIVITÀ TEORICA DEL POSITIVISMO GIURIDICO INCLUSIVO
L’ELP per riuscire a render conto della fluidità del rapporto fra diritto e morale cerca di tracciare
una netta demarcazione fra due discipline giuridiche: la teoria del diritto (identifica il diritto e ne
descrive il contenuto) e la teoria dell’applicazione del diritto (rende conto delle considerazioni che
influenzano il ragionamento delle corti e quindi le loro decisioni)  tale distinzione sterilizza la
teoria del diritto in quanto le compromissioni etico – valutative sono solo nella teoria
dell’applicazione del diritto. Molte sono le critiche che potrebbero essere avanzate.
È quindi preferibile il programma di ricerca dell’ILP  è necessario un rinnovamento
epistemologico del giuspositivismo in direzione di un’immagine costruttivistica della conoscenza e
della teoria del diritto come pratica sociale. Contrariamente a questa necessità l’ELP:
- L’idea del demarcamento netto si basa su premesse teoriche oggettualistiche (il diritto è un
dato con esistenza autonoma rispetto alle pratiche conoscitive, interpretative, applicative)
- Tale teoria si basa su premesse teoriche a base semantica (la categoria semantica centrale
è il linguaggio descrittivo con lo scopo di rappresentare oggettivamente i dati) e su
premesse epistemologiche a carattere realistico (i dati oggetto di descrizione sono
indipendenti e autonomi rispetto alle modalità di descrizione usate)  l’ELP aderisce al
modo dicotomico di configurare i discorsi sul e nel diritto (categoria della descrizione a
carattere oggettivo – a carattere soggettivo).
Purtroppo anche l’ILP sembra condividere queste premesse di fondo.
Secondo l’ILP i contenuti morali nel diritto non avvengono tutti in una volta, ma c’è un flusso
continuo di pratiche di carattere produttivo, interpretativo e applicativo che qualificano i contenuti
morali grazie ai casi concreti.
La teoria dell’interpretazione ci aiuta a distinguere:
- Casi in cui i contenuti morali penetrano nel diritto come esito di processi conoscitivi
(oggettivi) dove giudici e studiosi cercano di render conto del diritto preesistente da un
punto di vista etico;
- Casi in cui i contenuti morali penetrano nel diritto attraverso strategie creative forti di
giudici e studiosi (gli elementi non sono né coerenti né congruenti con il diritto
preesistente).
Il giuspositivismo dovrebbe subire tre tipi di sostituzioni: sostituire l’immagine della conoscenza
del realismo metafisico con l’immagine costruttivistica, che riesce a render conto delle dinamiche
dell’attività conoscitiva delle società contemporanee; sostituire la concezione tradizionale del
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linguaggio come linguaggio descrittivo (descrittivismo) con un’immagine pluralistica che vede il
linguaggio come pratica sociale; sostituire l’approccio oggettualistico al diritto con una
concezione che vede il diritto come una pratica sociale normativa.

CAPITOLO IX: giudizi di valore, neocostituzionalismo e positivismo giuridico


1. GIUDIZI DI VALORE E CONOSCENZA GIURIDICA
Il neocostituzionalismo sostiene che la presenza di giudizi di valore nell’attività degli studiosi del
diritto mette in questione la pretesa di essere neutrali nelle descrizioni giuridiche; questo
contribuisce a mettere in crisi il giuspositivismo da un punto di vista metodologico.
La tesi di Villa è che i giudizi di valori sono presenti, a volte necessari, nell’attività conoscitiva;
questo non va a mettere in crisi il giuspositivismo giuridico perché l’avalutatività delle descrizioni
non è un concetto cardine della concezione.
Problema: è corretto ammettere la presenza di giudizi di valore nell’attività conoscitiva?
 Secondo il giuspositivismo tradizionale le descrizioni devono essere senza valutazioni,
altrimenti perderebbero il loro carattere scientifico; inoltre, quelle attività che hanno giudizi di
valore fanno parte del gruppo di attività (soggettive) che riguardano la presa di posizione sul
diritto positivo: DESCRIZIONE AVALUTATIVA DEL DIRITTO POSITIVO ≠ PRESA DI POSIZIONE
SOGGETTIVA SUL DIRITTO POSITIVO.
2. I GIUDIZI DI VALORE DELLA “PARTE ALTA” DELL’ATTIVITÀ DEGLI STUDIOSI DEL DIRITTO: A) L’ESEMPIO DI KELSEN
GIUDIZI DI VALORE DELLA PARTE BASSA: intervengono nella fase dell’interpretazione giuridica in
senso stretto.
GIUDIZI DI VALORE DELLA PARTE ALTA: sono presenti alla sommità delle teorie giuridiche (dove ci
sono i concetti e le concezioni). Secondo la concezione olistica dell’interpretazione giuridica (di
Dworkin), per interpretare un singolo segmento del diritto positivo, bisogna possedere teorie
sull’oggetto “diritto” (teoria del diritto) e sui modi per cogliere il significato dei singoli segmenti
(teoria dell’interpretazione giuridica).
ANALOGIA fra interpretazione di un testo giuridico e interpretazione di un’opera d’arte: per
conoscere il significato di questi prodotti culturali è necessario è necessario avere delle credenze
generali (credenze di natura teorica –caratteristiche descrittive- e di carattere valutativo)
sull’oggetto nel suo complesso di cui i prodotti costituiscono delle istanze  per definire “cos’è il
diritto” o “cos’è l’arte” bisogna individuare il valore, fra quelli astrattamente possibili, che è più
significativo dal punto di vista dei partecipanti 8APPREZZAMENTO DI CARATTERE SELETTIVO DEL
VALORE che indirizza verso certe direzione l’indagine teoria sul diritto positivo).
I giudizi di valore hanno un significato conoscitivo nella misura in cui fanno riferimento a valori che
fanno già parte dell’esperienza giuridica.
Un esempio riguarda le concezioni normativistiche del diritto; se si parte dalla definizione che
Kelsen dà al diritto come norma giuridica, o insieme di norme giuridiche si nota come in tale
definizione sono presenti giudizi di valore.
NORMA: senso oggettivo di un atto di volontà con cui si pone una relazione di dover essere fra
certe condizioni (illecito) e certe conseguenze (sanzione)  definizione frutto di un opzione teorica
e di una scelta di valore (per orientare la definizione in direzione di quegli oggetti che il diritto
dovrebbe proteggere perché in sintonia con i valori giuridici). Quali sono i valori giuridici?
 Certezza del diritto: esigenza che le regole e le istituzioni devono realizzare, in modo che
per i cittadini è possibile prevedere l’intervento di organi giuridici e decisionali in relazione
alle singole fattispecie e il tipo di esito di tali interventi (prevedibilità della decisione);

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ottenere che la regolamentazione giuridica sia stabile e coerente (per la sicurezza dei
rapporti giuridici).
 Eguaglianza giuridica formale: per assicurare l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge
(situazioni e comportamenti con gli stessi tratti essenziali vengono giuridicamente regolati
allo stesso modo).
Certezza del diritto e eguaglianza giuridica formale sono condizioni necessarie, ma non sufficiente
per realizzare la giustizia in senso sostanziale: devono realizzarsi altre esigenze di valore il cui
perseguimento può entrare in conflitto con la realizzazione di altri valori.
Nelle organizzazioni giuridiche odierne sono presenti valori diversi che possono essere incompatibili
tra di loro; sono necessari giudizi di valori su valori per immettere nel diritto positivo una coerenza
valutativa (gerarchie e priorità tra valori) che non sono presenti.
Certezza del diritto e eguaglianza formale sono elementi necessari affinché ci sia lo stato di diritto
(da un punto di vista formale): stato che si autolimita con le leggi da esso stesso create; tali leggi
sono generali e astratte e vanno a tutelare certi valori.
Configurare il diritto positivo come diritto legislativo significa operare una scelta di valore politica in
favore di questo diritto, delle modalità con cui viene prodotto; tali modalità rispecchiano la certezza
e l’eguaglianza come valori base dello stato di diritto [Scarpelli].
3. SEGUE: B) GLI ESEMPI DI ROSS E DI DWORKIN
Un secondo esempio riguardano le concezioni che richiamano al realismo giuridico. Il realismo
giuridico configura il diritto come un insieme di fatti psico – sociali (fatti che riguardano gli
atteggiamenti e i comportamenti interpretativi e decisionali dei giudici e dei pubblici funzionari); il
valore giuridico privilegiato dai giudizi di valore (giudizi di valore su valori) è l’efficienza ottimale
delle prestazioni del sistema giuridico. Ai realisti non interessa l’input della decisione (come i
normativisti), ma l’output in termini di efficienza (ristabilire l’ordine sociale); naturalmente la
realizzazione di questo valore può essere incompatibile con la realizzazione di altri valori.
Jori sostiene che il realismo, limitandosi a descrivere le regole a cui devono sottostare i pubblici
funzionari, compie la scelta politica di aumentare il potere decisionale delle burocrazie e dei
funzionari diminuendo l’influenza del legislatore (si perde l’eguaglianza di trattamento e la sicurezza
dei diritti individuali).
Un terzo esempio riguarda la concezione giuridica di Dworkin (giuspositivismo aperto); per Dworkin
i valori della certezza e dell’eguaglianza sono importanti, ma non sono sufficienti per la
realizzazione di una società giusta. Le organizzazioni giuridiche devono avere dei vincoli esterni
che imitino i contenuti normativi e dei vincoli interni per la coerenza e la correttezza formale
delle procedure. I vincoli esterni al diritto statale derivano dalla presenza di alcuni valori giuridici,
inglobati in principi che riconoscono e assicurano la protezione normativa ad alcuni diritto
fondamentali degli individui.
REALISMO (efficienza del sistema) ≠ GIUSPOSITIVISMO APERTO (diritti individuali).
Le teorie di Dworkin sono influenzate da alcuni giudizi di valore  i giudici nel risolvere i casi difficili
deve cercare di trovare una risposta giusta (quella che è oggettivamente la migliore/ quella più
coerente); altrimenti quella che è maggiormente in sintonia con la migliore teoria del diritto
disponibile (quella alla cui base ci sono i principi che garantiscono i diritti individuali).
Secondo Dworkin i giudici, se la loro attività interpretativa è svolta in modo corretto) riescono ad
individuare oggettivamente i diritti delle parti in cause, preferendole alle esigenze collettive.
4. I GIUDIZI DI VALORE DELLA “PARTE BASSA” DELL’ATTIVITÀ DEGLI STUDIOSI DEL DIRITTO E DEGLI INTERPRETI IN GENERE
I giudizi di valore della parte bassa sono all’interno dell’interpretazione dottrinale e operativa. Gli
apprezzamenti che richiede tale attività, intervengono nei casi difficili, dove il giudizio di valore può
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essere l’elemento di base per scegliere uno fra i possibili significati della disposizione legislativa (ciò
è possibile solo se la disposizione contiene/rinvia a contenuti/esigenze/finalità di carattere
valutativo).
- Nel caso dell’accertamento della giusta causa o meno del licenziamento del lavoratore; il
termine “giusta” è un termine valutativo e rinvia a un apprezzamento su quali siano le
condizioni per qualificare un licenziamento come giusto
- Nel caso dell’interpretazione “buon costume”; tale nozione valutativa rinvia a principi.
Le disposizioni contengono termini valutativi che rinviano a valori: la loro interpretazione richiede
apprezzamenti.
 Per il formalismo interpretativo, l’interprete quando descrive un diritto preesistente non
può formulare apprezzamenti; se le parole del legislatore contengono riferimenti a valori,
l’interprete deve limitarsi a presentare gli apprezzamenti in modo neutrale. Se non riesce a
limitarsi a questo la sua attività non è più di tipo interpretativo, ma si comporta da
legislatore.
 Per l’antiformalismo interpretativo l’interprete valuta continuamente in proprio
esercitando un’attività discrezionale non interpretativa.
 in entrambi i casi l’attività di carattere conoscitivo è incompatibile rispetto ai giudizi di
valore.
5. GIUDIZI DI VALORE “DEBOLI” E “FORTI”
Per giudizio di valore si fa riferimento alla sua accezione forte, non debole.
GIUDIZI DI VALORE DEBOLI:
- Giudizi di valore caratterizzanti; giudizi che esprimono convenzioni e decisioni
metodologiche che non vengono messe in discussione;
- Giudizi in cui i termini valutativi compaiono in una posizione logica attributiva; la
valutazione riguarda la capacità dell’oggetto di svolgere la funzione specificata nel giudizio;
- Giudizi di valore esterni ai discorsi teorici; intervengono prima che la ricerca inizi o dopo
che è stata completata
≠ giudizi di valori interni alla ricerca scientifica: influenzano l’attività conoscitiva dall’interno
GIUDIZI DI VALORE FORTI: si collocano all’interno della conoscenza scientifica e forniscono un
apprezzamento (positivo o negativo) su un oggetto o prodotto della conoscenza. L’apprezzamento è
dovuto all’impiego di termini valutativo.
È giudizio di valore ciò che è implicato, dal punto di vista del significato e della funzione, da quella
classe di enunciati (valutativi) che esprimono una qualificazione, in termini di apprezzamento o
deprezzamento, di enti o comportamenti; con la qualificazione al soggetto individuale (giudizi di
valore concreti) o generale (giudizi di valore astratti) viene attribuito un predicato che funge da
criterio valutativo che esprime l’apprezzamento o il deprezzamento.
In campo giuridico i giudizi di valore più rilevanti sono quelli di carattere etico/politico.
6. L’ARGOMENTO, IN QUATTRO FASI, A FAVORE DELLA TESI “FORTE” SUI GIUDIZI DI VALORE GIURIDICI: A) LA TESI
MINIMALE
L’argomento in quattro fasi serve a dimostrare la tesi della necessaria presenza dei giudizi di valore
nei discorsi a carattere conoscitivo.
Il campo di riferimento della “tesi della necessità” ricomprende le attività conoscitive nelle quali
valori o giudizi di valore sono parte dell’oggetto di studio.
Con la prima fase si mette in campo il riferimento epistemologico alla prospettiva costruttivistica (di
conseguenza l’abbandono del principio di avalutatività)  tesi della sottodeterminazione delle
teorie: nella pratica della scienza si ha a che fare con più teorie che si adattano ai fatti; lo scienziato
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deve individuare criteri di secondo ordine che lo guidino alla scelta della teoria. In questa fase ci
sono i giudizi di valore: essi penetrano direttamente nelle teorie (apprezzamenti sulle teorie stesse)
o indirettamente (diventano valutazioni ulteriori per guidare la scelta).
 Partendo da premesse costruttivistiche bisogno riconoscere che giudizi di valore possono
intervenire nelle discipline scientifiche.
7. SEGUE: B) LA SECONDA FASE DELL’ARGOMENTO
La seconda fase riguarda la diversa situazione in cui si trovano le scienza umane rispetto alle scienze
naturali; ci sono situazioni in cui le norme costituzionali delle nostre organizzazioni giuridiche sono
concretizzazioni normative di valori: certi valori diventano oggetto di indagine quando si va a
interpretare i contenuti che li incorporano (rapporto statico diritto – morale).
Non è il solo modo attraverso il quale i valori morali entrano a far parte del diritto.
DIRITTO COME PRATICA SOCIALE: l’esistenza sociale del diritto positivo è un risultato a più mani,
poiché diversi sono i soggetti che intervengono nel corso della vita del diritto. La sua esistenza è
perfezionata dalle attività di interpretazione e applicazione dei giuristi e dei giudici e dal
riconoscimento – accettazione dai membri laici della comunità  rapporto dinamico norme
giuridiche – norme morali (è un rapporto complesso che si costruisce all0interno di una pratica di
accettazione/interpretazione/applicazione).
Il problema principale è quello di provare a produrre un diritto eticamente giusto (interpretare e
applicare il diritto valorizzando la dimensione morale).
I valori possono penetrare nel diritto attraverso l’intervento legislativo (vengono poste norme
espresse che contengono valutazioni etiche e riferimenti a valori); oppure attraverso la
ricostruzione dogmatica di principi impliciti (questa ricostruzione è attività conoscitiva se si limita di
render conto del diritto esistente; anche se il diritto esistente è l’esito di attività ricostruttive
dottrinali o giurisprudenziali); oppure grazie alle valutazioni dei membri laici della comunità di
riferimento che accettano i principi fondamentali dell’organizzazione giuridica.
Attività conoscitive che richiedono giudizi di valore:
- Attività interpretativa di giuristi e operatori giuridici (valenza valutativa particolare se si
indagano enunciati contenenti principi costituzionali)
- Ricostruzione complessiva di un dato campo di esperienza giuridico (teoria del diritto:
elabora le nozione che si adattano ad uno specifico diritto positivo).
 In questi campi di indagine sono necessari giudizi di valore in funzione conoscitiva; la
presenza di valori nell’oggetto di indagini a risvolti anche sul piano metodologico.
8. SEGUE: C)LA TERZA FASE DELL’ARGOMENTO E L’ESEMPIO DELLA INTERPRETAZIONE COSTITUZIONALE
La terza fase giustifica la necessaria presenza di giudizi di valore nella conoscenza giuridica; anche i
valori devono essere interpretati e ricostruiti selettivamente alla luce dello schema concettuale
adottato.
Il contenuto dei principi costituzionali è di carattere generale (o ambiguo), quindi render conto di
tale contenuto significa fare delle scelte interpretative che privilegiano uno dei possibili significati;
“RENDER CONTO DEL CONTENUTO SEMANTICO DEI PRINCIPI”: l’interpretazione costituzionale è
attività conoscitiva se si preoccupa di render conto di un diritto preesistente all’interpretazione e
non di creare un diritto nuovo.
L’interpretazione costituzionale rispetta da un punto di vista epistemologico, i requisiti fissati dal
costruttivismo per le discipline conoscitive; ma diversamente dalle discipline empiriche, prevede la
modalità della comprensione come approccio ai fatti umani di sua competenza.

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L’interpretazione dottrinale o giurisprudenziale è attività conoscitiva nella misura in cui si limita a
render conto del diritto costituzionale esistente, anche se implica portare alla luce principi latenti
(tali principi devono avere un significato coerente con gli altri principi ad essi collegati).
INTERPRETAZIONE IN FUNZIONE CONOSCITIVA (rende conto di principi esistenti o ne costruisce di
nuovi in coerenza con quelli esistenti) ≠ INTERPRETAZIONE IN FUNZIONE RADICALMENTE CREATIVA
(crea principi nuovi o interpreta i vecchi non rispettando il carattere della coerenza).
Implicazioni metodologiche che derivano dalla presenza di valori come oggetto di indagine:
- Gli enunciati che esprimono principi costituzionali sono di carattere generico o ambiguo;
- I principi che esprimono valori, all’interno di un testo costituzionale, sono collegati ad altri
principi; non vi è un ordine gerarchico precostituito per determinare il loro grado di
importanza. È la dottrina e la giurisprudenza che devono creare questo ordine:
l’interprete deve operare scelte sul significato e sulla rilevanza dei principi, a volte scelte
sulla maggiore preferibilità etica di uno di essi.
9. SEGUE: D) LA CONCLUSIONE DELL’ARGOMENTO COME “COGNITIVISMO ETICO DEBOLE”
Il lavoro di ricostruzione interpretativa di significati impregnati di valore, non può essere svolto
adeguatamente senza postulare necessariamente l’intervento di giudizi di valore.
Sono giudizi di valore di secondo ordine: fanno riferimento ad altri valori; sono giudizi che
esprimono apprezzamento sui valori e sulle valutazioni oggetto di attività interpretativa  per
comprendere il significato di valori e valutazioni, l’interprete deve formulare apprezzamenti
valutativi.
Questo tipo di intervento che mira a una migliore comprensione degli oggetti ha una funzione
conoscitiva: COGNITIVISMO VALUTATIVO (COGNITIVISMO ETICO DEBOLE).
≠ cognitivismo etico forte: vi sono delle qualità morali oggettive indipendenti dagli atteggiamenti e
dalle pratiche interpretative (tesi del realismo morale), tali qualità possono essere descritte
attraverso giudizi di verità o falsità (tesi descrittivistica).
≠ non cognitivismo etico: sostiene la tesi forte dell’avalutatività della conoscenza (finisce per
condividere le stesse tesi epistemologiche del realismo – descrittivismo).
COGNITISMO ETICO DEBOLE: sostiene la concezione epistemologica costruttivistica; i giudizi di
valore si rifugiano negli schemi concettuali della conoscenza svolgendo in modo peculiare e non
fungibile la funzione di contribuire al miglioramento della conoscenza di certi oggetti. Il
cognitivismo etico debole è la via di mezzo fra due posizione metaetiche:
- I valori possono essere conosciuti perché esistono platonicamente nel mondo
- I valori non hanno un ruolo conoscitivo perché in senso proprio non esistono
 I valori stanno nel mondo in quanto prodotti dei nostri atteggiamenti etici, delle nostre
valutazioni, di nostri usi collettivi del linguaggio.
Non si possono comprendere oggetti instrisi di valori senza valutazioni dell’interprete che
facilitano il lavoro di attribuzione di un significato preciso alle generiche prescrizioni contenuti in
principi giuridici o ai giudizi di valore, coerenti ed espliciti, espressi dai partecipanti; e valutazioni
che contribuiscono a costruire un ordine fra questi materiali valutativi (principi e valutazioni).
 Quando oggetto di indagine sono valori o giudizi di valore l’interprete deve far leva sulle sue
capacità valutative.
Ciò che caratterizza il ruolo conoscitivo dei giudizi di valore è che essi partecipano a schemi
concettuali che rendono conto di un campo di esperienza; i giudizi di valore in funzione conoscitiva
sono espressione del punto di vista esterno, anche se moderato.
10. ALCUNE IMPLICAZIONE DELL’ARGOMENTO DELLA NECESSARIA PRESENZA DI GIUDIZI DI VALORE NELLA CONOSCENZA
GIURIDICA
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I. I giudizi di valore espressi dai giuristi sono valutazioni di carattere etico, perché di
carattere etico sono i valori oggetto della loro valutazione  giudizi di valore di secondo
ordine: hanno bisogno dei valori contenuti nell’oggetto per esistere.
La demarcazione fra giudizi di valore di carattere scientifico e giudizi di valore di carattere
etico non è fondata; essa ripropone la tradizionale posizione giuspositivistica secondo la
quale esprimere valutazioni di carattere etico implica adottare un punto di vista interno; il
punto di vista esterno spetta allo studioso.
 Non c’è una connessione concettuale fra “adottare una posizione interna” e “esprimere
giudizi di valore”; non è possibile traccia una linea netta di demarcazione fra “giudizi di
valore etici” e “giudizi di valore scientifici” (tale distinzione potrebbe riguardare la
funzione, non il contenuto di tali giudizi).
II. È necessario una distinzione diversa rispetto a quella tradizionale “giudizi di fatto – giudizi
di valore”. Villa propone di distinguere:
- Giudizi di valore giuridici in funzione conoscitiva (per migliorare la conoscenza del
diritto positivo); essi sono vincolati dal tipo di materiale interno con cui hanno a che
fare;
- Giudizi di valore giuridici in funzione creativa (in senso forte) che fanno riferimento
a valori esterni rispetto a quel diritto positivo.
III. Si riconosce la possibilità di combinare insieme la valenza oggettiva dei discorsi
conoscitivi (mira alla protezione di valori come la certezza del diritto) e la dimensione
critica dei discorsi dei giuristi (presa di posizione di carattere etico – politico sul diritto
positivo); queste caratteristiche (conoscere e valutare criticamente) possono essere
considerate come due parti della stessa “impresa conoscitiva”.
IV. La tesi di Villa va a inserirsi nel campo giuspositivistico: il giuspositivismo sostiene che i
discorsi dei giuristi cercano di conseguire una conoscenza oggettiva del diritto positivo
(conoscenza indipendente dalla sua accettazione/rifiuto su basi etiche e dalla sua
manipolazione ideologica);
L’alternativa è fra giustificazione oggettiva (giusnaturalismo) che si fonda su valori oggettivi;
e giustificazione relativa (giuspositivismo) che si fonda su valori che esistono in quanto
accettati all’interno di un dato contesto.

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