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Oggi illustreremo principali concezioni del diritto nella cultura giuridica moderna (Capitolo IV). In una
concezione del diritto sono riassunte, raccolte e rese, in modo il più possibile coerente, le fondamentali tesi
giuridiche di una cultura, di una corrente di pensiero, o di una persona. Le concezioni del diritto sono le
varianti idiosincratiche costruite sul minimo comun denominatore del concetto di diritti in senso comune.
In ogni concezione del diritto troviamo diverse tesi (in genere implicite nei discorsi sul diritto) ma non tutte
le concezioni contemporanee prestano attenzione agli stessi fattori. Quindi, non sempre le diverse
concezioni collidono, o collidono su tutti i punti. A volte l'elemento distintivo di una determinata
concezione del diritto è a livello di problemi filosofici primi o fondamentali, altre volte l'elemento distintivo
è a livello di tesi centrali.
Le concezioni del diritto sono tre: il giusnaturalismo, il positivismo giuridico e il realismo giuridico.
La tripartizione è utile a fini didattici, per mostrare come si siano manifestate delle definizioni ricorrenti
nella storia del diritto, infatti è troppo estremizzata e restrittiva (è utile a livello didattico). Si parla di tre
concezioni che hanno una storia molto lunga.
Il giusnaturalismo è la corrente più risalente, nobile e ricorrente nella storia. Considera l'insieme delle
concezioni del diritto che si basano sull'esistenza di un diritto naturale, le quali sono spesso diverse tra loro,
a seconda dei sensi di diritto naturale a cui fanno riferimento. Alcune concezioni negano di essere
giusnaturalistiche, ma vengono considerate tali dai loro critici.
Nelle forme più estreme di giusnaturalismo, il diritto naturale, cioè quello che deriva dalla natura umana, è
un insieme di norme assolutamente e sempre giuste, indipendentemente dal fatto che siano accettate e
recepite da un ordinamento - viene enfatizzato l'elemento della giustizia e giustezza del diritto.
Sofocle è stato un drammaturgo greco che si fece interprete di un sentimento diffuso nel popolo
greco dal V secolo a.C., offrendo le basi per uno dei più importanti problemi della filosofia del
diritto, che troviamo nella sua celebre tragedia Antigone del 442 a.C.
Antigone decide di seppellire il cadavere del fratello Polinice dentro le mura di Tebe, contro la
volontà del Re Creonte. Scoperta, Antigone viene condannata dal re a vivere il resto dei suoi giorni
imprigionata in una grotta. In seguito alle profezie dell'indovino Tiresia e alle suppliche del coro,
Creonte decide infine di liberarla, ma troppo tardi, perché Antigone nel frattempo si è suicidata
impiccandosi. Questo porta al suicidio il figlio di Creonte, Emone (promesso sposo di Antigone), e
poi la moglie di Creonte, Euridice, lasciando Creonte solo a maledire la propria stoltezza.
All'interno dell'opera c'è un dialogo tra Creonte e Antigone sulle leggi di Zeus (vv. 450-457) dove
si ha un contrasto tra gli editti umani (diritto mutevole) e le leggi eterne e immutabili non scritte
degli Dei (diritto alto - diritto naturale).
Questo è un esempio per cui, se vi è corrispondenza tra i diritti va tutto bene ma, se il diritto
vigente non corrisponde al diritto naturale, il diritto naturale prevale mentre l'altro non viene
considerato degno di obbedienza (un non-diritto). Anzi, va combattuto per affermare il diritto
In questa versione estrema del giusnaturalismo convivono due elementi caratteristici che si contengono la
verità dei giudizi morali e del fondamento della morale, non sempre chiaramente distinti:
1. La concezione assoluta e statica della morale
2. La tendenza a giudicare la giustizia o l'ingiustizia dei diritti positivi attribuendo o negando loro il titolo
di diritto
La seconda questione è facilmente accantonabile come una questione terminologica, mentre la prima è di
fondamentale importanza per determinare un unico modello, cioè una morale oggettiva : è importante
sapere se esistono criteri oggettivi di giudizio morale dl diritto, che possono essere conosciuti e dimostrati e
che permettono di dichiarare veri o falsi i giudizi morali (oggettivismo etico).
I giusnaturalisti hanno l'onere di dimostrare dei criteri di prova adeguati in tema di dimostrazione dei valori,
e fanno sovente riferimento a mezzi diversi di dimostrazione o ritrovamento del diritto naturale, come
l'autoevidenza del principi di diritto naturale e l'intuizione o senso morale di ciascun soggetto morale o
della comunità. Alcuni ritengono naturale ciò che è costante nelle diverse situazioni e società, per cui
sarebbe naturale il diritto presente in tutte le società storiche.
I giusnaturalisti hanno espresso opinioni varie nel tempo e hanno anche congegnato diversamente il diritto
naturale, dando vita a diverse scuole di pensiero.
Il passo di Ulpiano inserito nel Digesto giustinianeo (D. 1, 1, 1, 3) ci fornisce la nozione di ius
naturale, che si basa sull'analisi della affinità tra tutti gli esseri umani e animali:
Ius naturale est, quod natura omnia animalia docuit: nam ius istud non humani generis proprium,
sed omnium animalium, quae in terra, quae in mari nascuntur, avium quoque commune est. Hinc
descendit maris atque feminae coniunctio, quam nos matrimonium appellamus, hinc liberorum
procreatio, hinc educatio: videmus etenim cetera quoque animalia, feras etiam istius iuris peritia
censeri.
Il più celebre brano del giusnaturalismo è quello fornito da Tommaso D'Aquino nella sua opera
Summa Theologiae (1265-1273).
Identifica quattro forme di leggi: aeterna, naturalis, humana e divina. La legge eterna coincide
con la ragione di Dio che governa il mondo; la legge naturale è «partecipatio legis aeternae in
rationali creatura», è cioè la scintilla di razionalità presente nella mente dell’uomo, il modo in cui
l’ordine cosmico si manifesta in quel particolare aspetto che è la razionalità della creatura
umana; la legge umana è costituita dai precetti che l'uomo deriva dalla legge natuale per
deduzione logica; la legge divina è quella rivelata attraverso le Sacre scritture.
Le critiche all'esistenza di un diritto naturale hanno fatto dubitare dell'esistenza della dottrina
giusnaturalista, che ha consentito il svilupparsi di numerose idee. Una di queste riguarda i diritti inalienabili
dell'individuo, cioè quei diritti soggettivi nati come naturali, in polemica ai diritti vigenti (considerati
insufficienti e ingiusti).
I diritti inalienabili sono stati recepiti in diversi ordinamenti giuridici come delle garanzie costituzionali dei
diritti dei cittadini, ma molti ritengono prudente continuare a trattarli come indipendenti e prioritari
rispetto al diritto.
La critica più efficace all'oggettivismo etico (base del giusnaturalismo) è di tipo metodologico e
gnoseologico: essa si dichiara scettica sulla possibilità di conoscere e fondare oggettivamente i valori. La
critica colpisce le versioni più estreme del giusnaturalismo e anche tutte le teorie che cerchino di fondare
oggettivamente l'etica sulla conoscenza del mondo.
Una difesa all'oggettivismo etico è data da altre teorie più recenti che abbandonano il modello semplice di
giusnaturalismo per giungere a un diritto naturale mutevole, cioè un diritto naturale che abbia un
contenuto diverso nei diversi tempi e luoghi. In questo senso, il diritto naturale mostra una certa tendenza
ad identificarsi con la morale positiva, cioè comune o prevalente in una società (quella che è
effettivamente praticata e desunta dai rapporti degli individui nella società). Molti critici però dubitano che
questo metodo possa condurre ad una fondazione oggettiva.
Di recente è stata esposta una versione del diritto naturale di tipo procedurale: la teoria di L.L. Fuller,
filosofo statunitense degli anni '90, ha preso delle caratteristiche di tipo procedurale dei diritti
contemporanei del mondo occidentale e le ha considerate come caratteristiche che integrano la moralità
del diritto.
Un esempio di requisito procedurale è la pubblicità fatta alle leggi promulgate, le quali sono applicabili per
il futuro. La pubblicità delle leggi e la irretroattività sono esigenze di carattere etico-politico.
Fuller ha detto che il diritto è dato da questi elementi procedurali.
Il giusnaturalismo è in primo luogo una concezione della morale, prima ancora di essere una teoria del
diritto, perché ci dice com'è fatta la morale: esiste la morale oggettiva o vera e ci parla anche del rapporto
tra la morale e il diritto. Secondo la tesi relazionale il diritto che non incarna questa morale oggettiva o vera
non è considerato diritto, è qualcosa di estraneo alla giuridicità.
Questa elaborazione trae spunto dalle idee di Norberto Bobbio: una delle conclusioni più importanti è stata
che il giusnaturalismo si è manifestato nelle versioni più disparate tanto che con esso è stato sostenuto di
tutto e il contrario di tutto. Bobbio trova una comunanza tra le varie concezioni sotto una teoria della
morale, chiamata oggettivismo etico. Ciò che accomuna i giusnaturalisti è il fatto che esista una siffatta
morale.
In conclusione, la tesi giusnaturalistica per cui il diritto ingiusto non è diritto potrebbe sembrare un inutile
giro di parole, tuttavia esso acquista un senso specifico in presenza di due fattori che lo rendono un fattore
giuridico con una importantissima funzione:
Quando il diritto naturale viene applicato direttamente dai giuristi
Quando il diritto naturale è largamente amministrato da un'autorità esterna (come è stato per molti
secoli in Europa dalla chiesta cattolica)
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L'imperativismo è una concezione del diritto che considera la norma giuridica come imperativo, cioè come
comando di fare o astenersi dal fare qualcosa. Questa teoria è stata formulata dal filosofo e giurista inglese
John Austin e rappresenta una tesi centrale (non fondamentale) infatti si trova solitamente in una
componente di concezioni giuridiche più ampie. L'imperativismo ha una variante giusnaturalistica, dove fa
riferimento al comando divino, ma la sua più classica formulazione ha costituito la componente principale
del giuspositivismo nel XIX secolo.
Alla base della teoria di J. Austin vi è il metodo analitico, cioè lo studio e l'analisi dei concetti principali
comuni a tutti i diritti positivi e di quelli particolari a ognuno di essi. Il metodo si basa su una concezione
imperativista del diritto, che lo vede come una manifestazione di volontà espressa in forma imperativa e
sostenuta dalla minaccia di una sanzione coattiva, e che viene esercitato da un soggetto (il sovrano) che
viene abitualmente obbedito dalla maggioranza della popolazione.
L'imperativismo si accompagna talora al formalismo interpretativo, per cui vi è sempre una interpretazione
vera o corretta di qualsiasi disposizione giuridica. Qualora questa interpretazione fosse messa in dubbio, è
sufficiente fare riferimento alla volontà della persona che ha emesso gli imperativi: le divergenze di
interpretazioni sarebbero quindi attribuite ad errori e incapacità degli interpreti.
Le critiche all'imperativismo riguardano il fatto che non tenga conto di molti fenomeni che rientrano
indiscutibilmente nell'aerea della giuridicità e non riescono ad essere spiegati adeguatamente dal modello
del comando.
Il modello imperativista classico esclude dal campo giuridico il diritto consuetudinario e il diritto
internazionale, quest'ultimo considerato da Austin di moralità positiva piuttosto che di diritto.
Entrambi risultano escludi dalla giuridicità perché privi del comando, cioè dell'autorità dotata di
potere sanzionante sui destinatari delle norme.
La teoria imperativista appare irrealistica e troppo metaforica quando gli organi produttori di norme
sono corpi collettivi come i parlamenti o quando le norme giuridiche sopravvivono ai loro produttori
(supposti comandanti). L'imperativismo può conservare una certa capacità esplicativa solo se la
norma viene considerata come prodotto della effettiva volontà di una persona che comanda e
sanziona, ma solo una piccola parte dei fenomeni giuridici potrebbe rientrare in questo modello.
Il diritto ha in realtà natura impersonale, perciò i rapporti sociali che ne fanno parte non dipendono
direttamente dalle relazioni dirette tra le persone coinvolte ma dalla pressione di situazioni relativamente
costanti e dall'influenza di rapporti più estesi, spesso potenziati tra persone non in contatto tra loro. Per
questo motivo, le nozioni di comando, comandante e comandato si applicano al diritto solo
metaforicamente: l'uso più frequente della metafora si ha quando ci si riferisce al legislatore come un
individuo dotato di volontà, che esprime attraverso i comandi. Il legislatore non è un comandante vero e
Il realismo giuridico scandinavo ha risaltato i pericoli nascosti dietro la metafora dell'imperativismo per la
descrizione del diritto e per la teoria dell'interpretazione. Molti critici tendono ad identificare
l0imperativismo con il positivismo giuridico, considerandoli interdipendenti. Tra questi, Olivecrona ha
sviluppato l'idea per cui il diritto è composto di imperativi indipendenti, cioè impersonali. L'imperativismo
ha una influenza persistente sulle concezioni giuspositiviste (è probabilmente la concezione implicita più
diffusa tra i giuristi positivi), che parlano di volontà del legislatore e di norme come comandi di qualcuno.
Tuttavia esistono delle versioni del giuspositivismo che sono normativiste ma non imperativiste.
Il positivismo giuridico dell'800 ha ritenuto di potersi occupare del diritto considerato come prodotto della
volontà dell'autorità sovrana. l'imperativismo tende a identificarsi con il legalismo nella versione che
sostiene la riduzione di tutti il diritto alla legge.
La teoria imperativa del diritto come comando del sovrano politico può essere considerata l'aspetto
centrale della versione più semplice di giuspositivismo. In essa trova spiegazione la distinzione tra:
Creazione del diritto - > fatta dalla sola persona del sovrano, inteso come potere illimitato pre-
giuridico
Applicazione del diritto - > fatta dai sudditi, funzionari e giudici
Da queste nozioni centrali del giuspositivismo imperativistico discendono altre costanti e caratteristiche
tesi, come la teoria della completezza e quella della coerenza del diritto.
Capitolo IV § 4.1
Il positivismo giuridico è la concezione del diritto come diritto positivo. Questa è una definizione minimale,
in grado di indicare le idee comuni a tutti i giuspositivisti, i quali (oltre ciò) sviluppano diverse posizioni
teoriche e politiche spesso logicamente indipendenti e incompatibili tra loro.
Il giuspositivismo si concentra sul fatto che è diritto quello che è posto dagli individui stessi e, come tale,
non ha rapporti diretti e necessari con il positivismo filosofico, il quale cerca di estendere allo studio della
società i metodi delle scienze naturali e dal quale si sviluppano discipline come la sociologia del diritto.
Quest'ultima ha in comune con il giuspositivismo la pretesa di avere un approccio scientifico e fattuale al
diritto e di limitarsi a studiare il diritto com'è, senza prescrivere come vorrebbe che fosse (compito della
politica del diritto).
La aspirazione del positivismo giuridico alla scientificità è nota anche come la tesi della separazione tra il
diritto e la morale, per cui dire che qualcosa è diritto non implica che sia buono o giusto. Questa
separazione deve essere operata con scrupolo nell'interpretazione e nell'applicazione del diritto.
Il giuspositivismo contemporaneo ritiene che l'obbedienza al diritto in fase di applicazione non sia
un'attività esclusivamente scientifica e conoscitiva, ma sia caratterizzata anche dalla responsabilità etico-
politica (fondamentale consistente nell'obbedienza a un certo diritto) e dalla responsabilità addizionale e
integrativa (data dagli spazi discrezionali dell'interprete).
Il giuspositivismo nega che esista un obbligo morale di obbedire al diritto positivo in quanto tale: questa
tesi costituisce la base della teoria giuspositivista sulla separazione tra diritto e morale, la quale si oppone
soprattutto alle idee giusnaturaliste.
Nel giuspositivismo è fondamentale la conoscenza neutrale e dimostrabile del diritto, perché senza di essa
il giurista non potrebbe neppure avere accesso al diritto positivo esistente. Il tipo di studio giuspositivista si
connota per un approccio peculiare, basato sullo studio del diritto in base a ciò che prescrive.
Ieri abbiamo parlato del problema del metodo scientifico che è fondamentale per il positivismo giuridico.
Abbiamo parlato del modello di Austin: l'iperattivismo è una teoria che vede il diritto come comando, cioè
desiderio sorretto dalla minaccia di una sanzione, formulato dal superiore polito o sovrano (inteso come o
lui che non obbedisce abitualmente a nessuno) dei sudditi (coloro che rispondono al sovrano e lo rendono
tale). Questa teoria è chiamata anche modello del bandito.
Abbiamo visto gli aspetti più salienti:
Il sovrano è privo di vincoli giuridici
Il diritto raffigurato da Austin è il diritto statale, quindi non è considera il diritto internazionale
Teoria della completezza dell'ordinamento: esso è in grado di trovare una soluzione giuridica per
qualunque problema gli si proponga.
Il Ruolo del giudice: il problema di disporre sempre di soluzioni giuridiche per ogni caso, può nascere
solamente in quei contesti in cui i giudici siano tenuti a decidere per ogni caso. Negli ordinamenti
moderni e contemporanei ci troviamo proprio davanti a questa situazione: i giuridici non possono
astenersi a dare risposta (divieto di non liquet).
I giuristi e i teorici del diritto si sono ingegnati per rispondere alla domanda sulla completezza degli
ordinamenti rispondendo che essi sono in grado di dare sempre una risposta ai casi, non perché esiste una
norma per ogni caso, ma perché può usare la norma generale esclusiva, che guida l'interprete a decidere
anche sui casi che non sono espressamente previsti dalle norme presenti. Il teorico di questa norma dice
che in casi simili ma non identici.
Ci sono due difficoltà sulla norma generale esclusiva.
La seconda difficoltà è che non è detto che essa esista in tutti gli ordinamenti. I giuristi ne hanno parlato
come una cosa necessaria ma in realtà non lo è.
Argomento a simili -> ragionamento per analogia -> affrontare lacune
L'esigenza della completezza è stato avanzato, affrontato e risolto con la teoria della norma generale
esclusiva. Le critiche sono venute in seguito.
- Il legalismo indica il privilegio chela legge, intesa come norma di carattere generale e astratta. A scapito
di tutte le altre fonti del diritto (in particolare la consuetudine)
- La Teoria della coerenza dell'ordinamento. Il teoria della completezza richiama le lacune, cioè quei casi
non regolati dall'ordinamento mentre la coerenza richiama il conflitto tra norme: il problema delle
antinomie si ha quando due disposizioni normative regolano lo stesso comportamento in maniera
opposta. Quando due norme sono antinomiche è necessario conoscere che rapporti hanno.
L'obbligo di fare qualcosa implica che questa sia permessa.
Davanti a due norme antinomiche c'è un problema pratico che riguarda i destinatari delle norme stesse. Se
una certa norma permette una certa condotta e l'altra la vieta, non so che succede se tengo quella
condotta. Viene meno la certezza del diritto, intesa come capacità di prevedere le reazioni alle azioni.
Anche qui la scienza giuridica ha elaborato dei criteri per affrontare questo problema inevitabile. Neppure
il più idealista dei giuspositivisti ha accettato che possano esservi delle antinomie negli ordinamenti. E'
molto facile incorrere in normazione contradditoria. Ci sono dei criteri che ci aiutano a risolvere le
antinomie ma non possono sempre aiutarci, perciò il giurista dovrà fare ricorso ad altri criteri ermeneuti -
impossibilità di usare criteri univoci.
Il giuspositivismo kelseniano è la versione normativista del positivismo giuridico, il cui massimo esponente
è Hans Kelsen (1881-1973).
Kelsen è stato un giurista e filosofo austriaco, tra i più importanti teorici del diritto del '900 e maggior
esponente del normativismo. Tra le sue opere vanno ricordate la prima e la seconda edizione di Dottrina
pura del diritto (1934 e 1960), Teoria generale del diritto e dello stato (1945) e l'opera postuma Teoria
generale delle norme (1979).
Il giuspositivismo normativista kelseniano, chiamato da Kelsen dottrina pura del diritto, presenta il diritto
come un insieme di norme impersonali, collegate ad una volontà normativa metaforica, che si riduce al
significato attribuito ad atti e situazioni da norme giuridiche. Le leggi statali sono quindi uno dei tipi
possibili di norma giuridica, e non l'unico tipo.
L'interpretazione nella dottrina pura del diritto è considerata come un'attività in parte conoscitiva e
descrittiva dei significati posseduti dalle norme, e in parte come attività creativa, per l'attività discrezionale
dell'interprete svolta per colmare l'area di vaghezza.
Le critiche alla dottrina pura del diritto (p.71) si fondano sulla presenza di due elementi incompatibili:
l'elemento conoscitivo considera il diritto come fatto, mentre l'elemento ideologico considera il diritto
come norma.
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Il giuspositivismo hartiano della seconda metà del '900 è stato dominato dal pensiero del filosofo inglese
H.L.A. Hart e alla sua opera maggiore Il concetto di diritto (1961). Hart è stato uno dei principali esponenti
della filosofia analitica, specialmente nel mondo angloamericano, e autore della più recente elaborata
concezione del positivismo giuridico. Ha basato la sua analisi di concetto del diritto sul linguaggio ordinario
e sulla chiarificazione dei concetti e delle strutture di pensiero che esso incorpora.
Come critica dall'imperativismo di Austin, esclude che il diritto possa essere inteso come un insieme
di comandi a cui si obbedisce per timore della sanzione. Questo punto di vista esterno del diritto non
riesce a cogliere la essenziale dimensione normativa presente nelle azioni e nei discorsi giuridici. Il
diritto è fatto di norme e le norme si differenziano dalle norme e dalle regolarità di comportamento
osservabili esternamente perché hanno un aspetto interno, che si manifesta mediante l'uso della
terminologia normativa giuridica (dovere, obbligo).
Riprende da Kelsen l'idea che il diritto sia un ordinamento normativo di carattere essenzialmente
coercitivo, ma rigetta che tutte le sue norme prevedano una sanzione. In particolare le norme che non
Altro punto fondamentale del pensiero di Hart è la Teoria intermedia dell'interpretazione: rifiuta le teorie
estreme del formalismo e dello scetticismo semiotico, sostenendo che l'interprete possa sia scoprire il
significato delle disposizioni giuridiche, sua crearlo.
L'esempio dei veicoli nel parco: Hart immagina un cartello all'entrata del parco che vieta l'ingresso dei
veicoli. Il cartello riporta il testo normativo di una ordinanza comunale. È una norma giuridica.
Il termine veicolo è però classificatorio di carattere generale quindi ci può essere difficoltà a determinare
alcuni oggetti che rappresentano dei casi non chiaro, problematici (bicicletta, skateboard, trolley,
passeggino).
Poniamo che il legislatore abbia formulato la definizione di diritto per togliere dubbi interpretativi. La
morale è che l'interprete che voglia veicolare le scelte giuridiche dovrà decidere arbitrariamente cosa è
veicolo e cosa no. La storia del veicolo nel parco ha dato vita a una lunga discussione con Fuller, che
facevano che la libertà inevitabile di scelta non esisteva se è nella misura in cui l'interprete avesse
guardato a quella che era la ratio della disposizione.
L'interprete potrebbe decidere di attenersi esclusivamente al tenore testuale della disposizione o alla sua
giustifica o alla intenzione di chi l'ha emanata
Una delle più importanti caratteristiche interpretative è un estremo scetticismo interpretativo.
Gli sviluppi più recenti del positivismo giuridico sono stati condizionati dalle critiche mosse ad Hart dal
filosofo statunitense Ronald Dworking (1931-2013), le cui idee sono mutate più volte nel tempo ma si sono
sempre state costanti sulla questione dei rapporti tra diritto e morale. Secondo alcuni, Dworking è il più
noto esponente del neocostituzionalismo ed è importante ricordare le sue opere I diritti presi sul serio
(1977) e L'impero del diritto (1986).
La critica principale mossa ad Hart (e al giuspositivismo in genatale) riguarda la sua incapacità nel
considerare la presenza dei principi giuridici negli ordinamenti. Questi principi giuridici sono tali per il loro
contenuto morale, e non per la fonte che li ha prodotti. Cade così la tesi separatista di diritto e morale,
perché la determinazione di ciò che è diritto richiederebbe valutazioni morali.
In una fase successiva, Dworking ha proposto una concezione del diritto come integrità, in cui il diritto è
visto come esplicazione dei valori morali culminati nel valore della uguale considerazione e rispetto degli
individui. Secondo questa tesi, lo studioso del diritto dovrebbe approcciarsi con un atteggiamento
interpretativo con lo scopo di rendere coerenti i valori di riferimento della pratica giuridica e di fornire
l'interpretazione migliore. Il giurista che adotta questo atteggiamento sarà (idealmente) in grado di
ottenere la giusta risposta ad ogni questione giuridica.
La risposta alle critiche sollevate da Dworking sono provenute dalle due correnti di giuspositivismo che si
erano formate durante il periodo post-hartiano:
a. Il giuspositivismo inclusivo, secondo cui è possibile (non necessario) che il diritto includa i valori
morali o principi di giustizia, anche tra i suoi criteri di validità
b. Il giuspositivismo esclusivo, che esclude necessariamente la morale nel diritto perché i suoi valori
sono considerati intrinsecamente controversi. Quando il diritto fa riferimento a principi morali, questi
non diventano parte dell'ordinamento e, secondo alcuni, il riferimento andrebbe inteso come
attribuzione ai giudici del potere di creare nuovo diritto attingendo da criteri extra-giuridici.
In conclusione, possiamo dire che il giuspositivismo con il passare del tempo ha subito una profonda
metamorfosi: dall'imperativismo al formalismo interpretativo (di cui si è parlato), alle teorie della
completezza e coerenza dell'ordinamento (di cui si parlerà dopo). Oggi per dare un giudizio equilibrato sul
giuspositivismo si richiede che si distinguano le parti di questa concezione generale del diritto, le quali sono
logicamente separabili ma storicamente unite nella pratica e nella teoria.
Possiamo oggi individuare con sicurezza il giuspositivismo quando siamo in presenza di due aspetti:
L'atteggiamento ideologico-politico si fonda su una concezione strumentale del diritto, visto come
mezzo di controllo sociale mediante la coazione, la quale viene distribuita attraverso norme generali
e astratte.
L'atteggiamento descrittivo viene considerato sussidiario alla posizione valutativa e alla pratica
giuspositivista del diritto.
Il giuspositivismo richiede e favorisce lo sviluppo di una categoria di professionisti della tecnica giudica e di
un linguaggio normativo specializzato: i giuristi.
Il discorso del positivismo giuridico continua. Abbiamo visto che il filosofo Norberto Bobbio ha distinto tre
aspetti del Positivismo giuridico:
Il positivismo giuridico come teoria
Il positivismo giuridico come metodo
Il positivismo giuridico come ideologia
Il positivismo giuridico come teoria è una manifestazione ottocentesca secondo la quale il diritto positivo è
prodotto dall'autorità statale e, in quanto tale, presenta tre caratteristiche: è un fenomeno coerente
Il positivismo giuridico come metodo analizza l'accostamento allo studio del diritto, che viene descritto in
maniera scientifica - si parla infatti di scienza normativa.
Il positivismo giuridico come ideologia è l'accezione per cui il diritto è giusto in quanto tale. Questo
aspetto del positivismo proviene dai critici: nell'introduzione si parla del significato in questo contesto
perché il positivismo giuridico è una concezione valutativa che esprime una presa di posizione valutativa
intorno al diritto. Posizione tutt'altro che avalutativa e oggettiva. Secondo i critici, qualunque norma
giuridica sarebbe giusta in quanto tale, per essere riuscita ad imporsi in una società in un dato momento
storico. La critica ha avuto molto successo dopo il dopoguerra.
Per il giuspositivista, che separa la descrizione dalla valutazione del diritto, la stessa valutazione del diritto
presuppone una previa descrizione del diritto, quindi il diritto nazista non può essere criticato se non è
conosciuto.
Nessun giuspositivista ha mai sostenuto il dovere di obbedienza in quanto tale ma c'è una possibile lettura
di Hobbes che porta in questa direzione: ne Leviatano afferma che gli individui non possono parlare di
giusto e ingiusto prima che vengano determinate le leggi. Questo può far pensare ad una adesione di
Hobbes alla reductio ad Hitlerum, il sovrano di Hobbes è colui che detta il giusto e l'ingiusto e senza le sue
parole non c'è possibilità di distinguere giusto e ingiusto.
Va detto anche che non è da escludere che il positivismo giuridico coltivi una ideologia secondo cui viene
attribuita alla legge un valore di tipo strumentale, in grado di regolamentare la vita della società, e non
finale.
Sicuramente, da parte del positivismo giuridico c'è una visione della legge di tipo strumentale come mezzo
ottimale per regolamentare la vita di una intera società (questa è una predisposizione ideologica). Questo
strumento funzionerà ancor meglio se assistito da delle garanzie.
U. Scalpelli nelle sue opere pone al centro un atteggiamento di tipo ideologico-valutativo, di approvazione
di un diritto fatto tramite leggi, di sostegno all'integrazione costituzionale e democratica che attribuisca
dei diritti alla generalità e che il potere venga esercitato da un organo elettivo. Perché l'apprezzamento
della legge some strumento di ingegneria sociale abbia un senso, è indispensabile per il positivismo avere
una interpretazione che non abbia una posizione scettica.
Distinzione tra ricognizione del diritto e sua creazione. È una distinzione indispensabile che consente la
descrizione e la sua creazione.
Il nobile sogno è quello del formalista interpretativo. Le norme di legge sono ciascuna portatrice di una sua
interpretazione. Il positivismo di Scalpelli consente di mantenere una posizione intermedia. Può aver senso
sia la posizione ideologica sia quella scientifica del diritto.
L'evocazione tra creazione e ricognizione del diritto, in riferimento alla discrezionalità dell'interprete, ci
porta al realismo giuridico.
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Dal punto di vista della struttura vengono evidenziate due importanti caratteristiche:
La presenza di una costituzione rigida e scritta, sovraordinata alla legge, che viene vista come una
tavola di valori da cui desumere un modello di società giusta (visione fortemente moralizzata).
La presenza di un sindacato di costituzionalità delle leggi, affidato a giudici comuni o a uno speciale
organo giurisdizionale (la Corte Costituzionale), capace di annullare le leggi incompatibili con la
Costituzione.
Il realismo giuridico si riferisce ad un gruppo di concezioni del diritto tra loro molto diverse, ma
accomunate dal riferimento al diritto che viene messo in pratica in modo effettivo nella società e nei
comportamenti sociali. Le diverse concezioni del diritto che si collocano nel giusrealismo hanno in comune
(oltre l'attenzione per l'effettività del senso lato) l'opposizione verso il formalismo giuridico e il legalismo
presenti soprattutto nel positivismo giuridico.
Il realismo giuridico può essere analizzato secondo due aspetti: il senso ampio e in senso stretto.
Il giusrealismo in senso lato attribuisce maggior rilevanza ai fatti e ai concreti rapporti sociali e alle norme
che abbiano un rilievo decisivo all'effettività.
Queste correnti realiste sono animate da esigenze etico-politiche, non scientifico-fattuali, e propongono
una lista di fonti più ampia, comprensiva anche di consuetudini, interessi della società e simili. Sono quindi
In ragione dell'influenza effettiva delle norme giuridiche sui comportamenti giudiziari possiamo
distinguere:
I giusrealisti normativisti: attribuiscono alle norme giuridiche generali e astratte una notevole
influenza sul diritto vero e proprio, che è quello che incide direttamente sulle decisioni dei giudici.
I giusrealisti non normativisti: ritengono che le norme passino in secondo piano rispetto alle
tendenze giurisprudenziali, considerate più influenti.
I giusrealisti si caratterizzano per lo scetticismo interpretativo dei testi giuridici, per il quale sottolineano
l'indeterminatezza delle norme giuridiche generali e astratte.
Per le concezioni più estremiste, le norme giuridiche generali e astratte hanno solo una funzione ideologica
e illusoria e nascondono il fatto che ogni interpretazione è interamente creativa. Le concezioni più
moderate ammettono un nucleo di ertezza e determinatezza anche delle norme generali e astratte e sono
portate a riconoscere una certa importanza ad alcune di esse.
In conclusione, il giusnaturalismo in senso lato si caratterizza per la sua opposizione verso il formalismo
(scientifico ed interpretativo) del positivismo giuridico e verso la metafisica oggettivista del
giusnaturalismo.
Per esaminare in modo equilibrato le tesi che rientrano nel giusrealismo è opportuno esaminare
separatamente gli aspetti scientifici e politici.
In relazione agli aspetti politici, la tesi realista si presenta come un obbiettivo correttivo degli eccessi del
positivismo giuridico formalistico e legalistico. Quando all'aspetto scientifico osserviamo che l'esigenza
realista è legittima in una scienza del diritto che voglia essere empirica e allo stesso modo delle scienze
sociali. C'è però da rilevare che viene trascurata la funzione prescrittiva del diritto e della giurisprudenza.
Il giusrealismo in senso stretto fa riferimento a due correnti sviluppate all'inizio del '900 negli Stati Uniti e
in Svezia-Danimarca.
Il realismo giuridico americano e scandinavo è portato avanti da ideali differenti, infatti le due scuole di
pensiero presentano notevoli somigliante e peculiarità che dipendono anche dalle diverse collocazioni
culturali.
Le tesi realiste possono ritrovarsi nelle opere del giudice statunitense Oliver W. Holmes (1841-
1935), specie nelle sue opere La Common Law (1881) e Il cammino del diritto (1897), con il
giudice statunitense Benjamin N. Cardozo (1870-1938) nella sua opera La crescita del diritto
(1924), e con Roscoe Pound, filosofo del diritto statunitense e autore di Lo spirito della
Common Law (1921) e La giustizia secondo la legge (1951).
Gli esponenti del realismo giuridico nordamericano sono Jerome Frank (1899-1957) autore di
Diritto e mente moderna (1930), e Karl L. Llewellyn (1893-1962), autore di Il cespuglio di rovi
(1930) e Un po' di realismo sul realismo. Risposta a Pound (1931). In particolare, Llewellyn
formula la versione più radicale del giusrealismo:
Sostiene l'incapacità delle norme giuridiche generali e astratte di determinare le azioni
giuridiche, in specie di decidere i processi;
Nutre idee scettiche sull'interpretazione, perché contiene elementi di creatività nascosti
ma decisivi;
Si interessa all'effettività delle norme, come anche gli altri giusrealisti.
o Comportamentismo [MIN.55], può essere compendiato dall'affermazione di uno dei più noti
esponenti del realismo giuridico americano O.W. Holmes, giudice della corte suprema "Le
predizioni di ciò che i tribunali decideranno sono ciò che io intendo come diritto".
Il realismo giuridico scandinavo si concentra sull'effettività del diritto senza negare l'importanza delle
norme giuridiche generali e stratte, come invece faceva il giusrealismo americano.
Tra i maggiori esponenti della corrente scandinava abbiamo gli svedesi Axel Hagerstrom (1868-1939)
autore di Stato e diritto (1904) e Sul problema del concetto di diritto oggettivo (1917) e considerato il
fondatore della scuola; Vilhelm Lundstedt (1882-1955), che nella sua opera La non scientificità della
scienza giuridica (1932-1936) dimostra il suo pensiero che lo rende il più estremo tra i realisti
scandinavi; Karl Olivecrona (1897-1980) autore di Il diritto come fatto (1939) e La struttura
dell'ordinamento giuridico (1966); e il danese Alf Ross (1899-1979) autore di Diritto e giustizia (1953)
e Direttive e norme (1968).
La corrente scandinava sostiene che i giuristi producano una scienza incompatibile con i modelli
contemporanei e che fanno uso di un linguaggio normativo intessuto di presupposti metafisici e di
molti termini ritenuti privi di senso perché privi di riferimento fattuale (es. diritti soggettivi, rapporti
giuridici, validità).
I giusrealisti scandinavi vogliono ricondurre la scienza giuridica a un discorso empirico predittivo dei
comportamenti giuridici. Su questa concezione predittiva della conoscenza giuridica il realismo
giuridico scandinavo si trova d'accordo con quello americano.
Secondo i giusrealisti scandinavi più estremi il discorso giuridico non dovrebbe contenere i termini
che non hanno riferimento al mondo del fatti (sono privi di riferimento empirico e per questo privi di
significato) perché considerati dei relitti del pensiero magico e irrazionale, illusori e dotati di una
funzione esclusivamente persuasiva. I giusrealisti più moderati accettano la presenza di questi termini
nei discorsi giuridici razionali, purché li si consideri solo come dei mezzi utili a formulare complesse
norme giuridiche obbliganti. Questa versione si avvicina alle tesi normativiste e riduzioniste del
giuspositivista Kelsen.
Il giusrealismo scandinavo presta attenzione anche ai problemi della fondazione dei valori morali, per
cui è stata sviluppata la teoria non cognitivistica e non oggettivistica: considerano i valori come dei
fatti sociali che influiscono nel diritto in modo descrittivo. Per questo il giusrealismo si distingue dalle
altre concezioni che propongono un approccio etico oggettivista al diritto, attribuendo un valore
etico oggettivo al soddisfacimento delle esigenze sociali, al modo della giurisprudenza sociologica.
Il giusnaturalismo è una metaetica che ci da il modo in cui fondare i principi morali e le
sue correnti si caratterizzano per il non oggettivismo etico. L'oggettivismo etico è una
tesi sui giudizi morali: possono essere veri o falsi sulla base di parametri oggettivi - allo
stesso modo di parametri fattuali.
Per il positivismo etico una qualunque frase può essere vera o falsa, andando a
cercare i parametri oggettivi.
Si può dire che esiste un'etica vera con giudizi veri da seguire, salvo che non si tratti di
un errore.
Per il non oggettivismo etico la morale oggettiva non esiste ma ce ne sono tante
diverse che sono frutto di idee soggettive. Queste due tesi si possono definire
ontologiche sulla natura e la realtà dei giudizi morali.
A differenza di quanto avviene con il giusrealismo americano, il giusrealismo scandinavo ha basi
filosofiche e metodologiche e trova il suo elemento fondamentale nella tesi filosofica dell'empirismo.
I valori, che invece sono esplicitamente proposti nella applicazione del diritto da norme giuridiche
positive, vengono fatti risaltare nella loro vaghezza, la quale consente piena discrezione
dell'interprete nella loro applicazione.
Ross sostiene che lo studioso del diritto debba trasformarsi in scienziato empirico.
Lui condivide la critica radicale degli svedesi nei confronti di ????
Ross condivide fino a questo punto la critica sostenendo che molte delle parole usate sono vuote
perché non hanno significato dato che mancano di controparte empirica (capitolo sulla semiotica): il
significato dei termini usati dai giuristi è collegato a qualche elemento che si trova nella realtà. Ross
non giunge però al punto che questi termini non debbano essere usati.
Ross propone n modello di scienza del diritto di tipo empirico-predittivo.
Il modello di Ross viene elaborato nel 1951 e si chiama Tu-tu: chi è tu-tu deve partecipare a una
cerimonia di partecipazione e deve essere escluso dai riti tribali.
Il modello Tu-tu rappresenta un'infezione malefica ma il missionario svedese lo smentisce. La parola
è priva di senso. I discorsi dello schema Tu-tu servono a mettere in comunicazione certe premesse
con certe conseguenze.
Il discorso di Ross nasconde una morale che riguarda il concetto di proprietà e di diritto soggettivo. La
proprietà è una parola vuota: il giurista ritiene che fa discendere delle conseguenze normative.
Secondo Ross questo è il modo di ragionare dei selvaggi, trasportati dall'aspetto magico. Senza il
concetto di proprietà dovremmo elencare tutti i fatti acquisitivi della proprietà e per ognuno di essi si
dovrebbero elencare tutti i fatti cumulativi di essi. Con il termine proprietà abbiamo modo di esporre
il contenuto del diritto di proprietà in modo comprensibile e ordinato.
Concludiamo sul realismo giuridico, tenendo presente le tre dimensioni utilizzate per distinguere tra
gli aspetti diversi delle tre condizioni del diritto:
Il declino del realismo giuridico americano avviene intorno alla fine degli anni '40, ma alcune delle sue tesi
caratteristiche hanno continuato ad esercitare profonde influenze nella cultura giuridica occidentale. Degli
esempi sono i Critical legal studies e l'analisi economica del diritto.
L'analisi economica del diritto si è occupata di proseguire con l'idea giusrealista di studiare il diritto
secondo metodo scientifico empirico e predittivo e di rivoluzionare l'approccio normativo al diritto
caratteristico della scienza giuridica tradizionale. Questo movimento si è sviluppato negli USA all'inizio degli
anni '60 e si è rapidamente diffuso in Europa.
L'analisi economica del diritto comprende diverse concezioni, accomunate dalla peculiarità di applicare i
concetti della teoria economica all'esame dei problemi giuridici: il diritto è concepito come uno strumento
finalizzato a conseguire l'obbiettivo dell'efficienza economica , la quale è identificata con la
massimizzazione della ricchezza sociale complessiva (valore dei beni e servizi presenti in una data società).
Le norme sono quindi degli strumenti attraverso la quale vengono offerti degli incentivi o disincentivi agli
individui e vanno analizzate solo in questa prospettiva strumentale.
Vengono poi sollevati delle critiche sia sulle descrizioni sia sulle prescrizioni dei giuseconomisti, nonché
sulla possibilità di distinguere effettivamente le une dalle altre.
Sul piano descrittivo si discute sulla possibilità che gli individui siano effettivamente in grado di
scegliere razionalmente i metodi più adeguati per soddisfare i propri interessi. Negli sviluppi più
recenti dell'Analisi economica del diritto è stato sostituito il modello classico dell'homo oeconomicus
con la raffigurazione più realistica dei processi decisionali, che tiene conto dei deficit cognitivi e in
generale dei limiti della razionalità umana.
Un'altra critica riguarda il fatto che i giuseconomisti forniscano una rappresentazione unilaterale e
distorta del ruolo delle norme nel ragionamento pratico di privati cittadini e organi giuridici.
Viene sottovalutato l'aspetto normativo del diritto e perciò i giuseconomisti non possono spiegare la
concezione ordinata del diritto e la funzione dei concetti normativi (obbligo, diritto soggettivo, colpa,
responsabilità).
Il diritto libero è un movimento di pensiero che attribuisce ai giuristi il potere di ricercare liberamente il
diritto, andando oltre le fonti del diritto. Da questo deduciamo che le soluzioni giuridiche date dai
giusliberisti dovrebbero risultare più ricche e meglio adatte alle esigenze sociali di quelle date dai giuristi
che seguono il metodo formalista.
Il movimento si è sviluppato alla dine dell'800 in Germania e ha più il carattere di un atteggiamento
giuridico culturale parzialmente comune a diverse teorie del diritto che quello di una vera e propria scuola
di pensiero. Tra le diverse teorie che vengono accomunate abbiamo:
1. La giurisprudenza sociologica sostiene che l'operatore giuridico debba prendere le sue decisioni su
una base più ampia di quella classica, la quale si limita ad applicare le leggi statali, e quindi
considerando come fonti del diritto anche fatti sociali normativi diversi dalla legislazione. È quindi
una tesi politico-giuridica e, come tutte le correnti politiche, sostiene che accanto al diritto statale e
legislativo ci sia un diritto uguale o di maggiore importanza, composto di consuetudini e norme
effettive, anche se non formalmente emanate.
Il massimo esponente della giurisprudenza sociologica è il giurista e storico tedesco Rudolf Jhering
(1818-1892).
2. La giurisprudenza degli interessi è la teoria sviluppata da Jhering nella seconda fase del suo pensiero.
Nelle sue opere Lo scopo del diritto (1883) e Faceto e serio nella giurisprudenza (1884) sostiene
l'utilizzo di un metodo teleologico nella scienza del diritto, con la quale si ricercano gli interessi o
scopi che secondo lui permeano la società e costituirebbero il principio unificatore del diritto.
Un esponente della teoria è il tedesco Phillip Heck (1853-1943), il quale sostiene che giurisprudenza e
scienza del diritto debbano occuparsi sia di norme giuridiche che di individuare gli interessi che le
norme mirano a tutelare, così anche da colmare l'ordinamento in caso di lacune.
Altro esponente, da alcuni considerato il padre del movimento, è il polacco Hermann Kantorowicz
(1877-1940) che sostiene l'esistenza di un diritto sociale (prodotto da giudici e giuristi) che precede il
diritto statale e non ne dipende. Anche Kantorowicz riconosce la possibilità di lacune
dell'ordinamento, le quali devono essere colmate con una interpretazione libera e creativa.
3. Il giusliberismo è la tesi il cui massimo esponente è il francese François Gény (1861-1959) e autore di
Metodo e fonti di diritto privato positivo (1899) e Scienza e tecnica nel diritto privato positivo (1914-
1924). Gény nega che la legge sia l'unica fonte delle decisioni giuridiche e propone il metodo della
libera ricerca del diritto, che va oltre le sole fonti legali e formali del diritto e considera la natura
delle cose e i concreti rapporti sociali. Il giusliberismo rifiuta alcune posizioni positivistiche:
Lo statualismo, per cui tutti il diritto è di provenienza statale;
Il principio di supremazia della legge statale sulle altre fonti del diritto;
La tesi secondo la quale gli ordinamenti sono privi di lacune;
La teoria dell'interpretazione come mera descrizione e applicazione della legge.
Secondo il giusliberismo il diritto libero nasce dall'opera dei membri della società, dalle sentenze dei
giuristi e dall'opera della scienza del diritto, ed esiste accanto al diritto dello Stato.
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L'istituzionalismo è una teoria giuridica che definisce il diritto come organizzazione e istituzione. Questa
teoria è stata elaborata soprattutto in Francia da Maurice Hauriou (1856-1929) autore di Teoria
dell'istituzione e della fondazione, e in Italia dal giurista giuspubblicista Santi Romano (1875-1947) autore
dell'opera L'ordinamento giuridico.
La teoria del rapporto giuridico è quella per cui il rapporto giuridico ( in genere qualsiasi rapporto regolato
dal diritto) è considerato il centro del diritto, cioè l'elemento da cui è necessario partire per spiegarlo.
La concezione propria della teoria del rapporto giuridico si caratterizza per:
Criticare il normativismo, poiché nega che le norme siano l'elemento centrale e qualificante del
fenomeno giuridico.
Essere una forma di giurisprudenza sociologica, infatti è una teoria che da grande importanza al
momento sociale della vita giuridica, e come tutte le forme di giurisprudenza sociologica in senso
lato, cade nella fallacia naturalistica, facendo confusione tra giudizi di fatto e di valore: si suppone il
giudizio di valore per cui è bene che certe regole diffuse nella società ottengano un riconoscimento
giuridico attraverso la scelta del giudice o del giurista che interpretano il senso dei rapporti sociali.
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Il Marxismo è una teoria sociale, politica ed economica basata sul pensiero del filosofo politico tedesco Karl
Marx (1818-1883).
La prima difficoltà che sorge sempre con Marx è quella di distinguere tra il suo pensiero e quello dei suoi
seguaci. A tal proposito si usa distinguere infatti tra:
Il pensiero marxiano, di Marx e Friederich Engels (1829-1895)
Il pensiero marxista, dei seguaci di Marx
La distinzione non è mai facile perché il pensiero di Marx è sempre mediato dall'interprete.
Marx rivolse la sua attenzione soprattutto ai problemi sorti dalla industrializzazione europea e dallo
sviluppo del capitalismo borghese nell'occidente. Questi interessi politici di Marx influenzano
profondamente la sua concezione del diritto, infatti sostiene che il diritto non sia un fattore autonomo nelle
società - forse è per questo che non vi sono opere da lui dedicate specificatamente al diritto.
Marx ritiene che la filosofia debba essere portatrice di trasformazioni nel mondo, non deve limitarsi ad
interpretarlo, e considera la storia la vera realtà, costituita dal sistema dei rapporti di produzione dei beni,
che per Marx rappresentano la struttura della società umana.
La storia per Marx è in realtà una storia di antagonismi sociali sul piano economico, di lotte tra le classi
sociali, infatti i rapporti economici sono e sono stati sempre rapporti di sfruttamento di una classe sull'altra,
da ultimo del capitalista sul proletariato.
La filosofia di Marx è chiamata materialismo o economicismo. Per il materialista conta solo il modo di
produzione dei beni, gli altri fattori sociali non sono determinanti, sono solo una parte della sovrastruttura,
realtà derivata e dipendente. Questa sovrastruttura, di cui fa parte anche il diritto, consente di mantenere
viva la struttura economica ma, dato che non può mutarne le fondamentali tendenze strutturali, diventa un
Al giorno d'oggi si tende a parlare di diverse teorie marxiste del diritto, il cui unico punto in comune è la
visione del diritto come prodotto di una società divisa in classi sociali antagoniste e come strumento
attraverso il quale la classe dominante protegge il suo dominio sui sottomessi. Il diritto è quindi considerato
uno degli elementi della sovrastruttura, cioè del dominio ideologico che influenza la dinamica sociale senza
sovvertirla. Mentre la struttura della società, che dovrebbe essere sempre rispecchiata dal diritto, è sempre
economica.
Queste tesi hanno molte varianti. I giuristi teorici del diritto sovietici si sono concentrati sui problemi di
legittimazione del potere e dell'attività giuridica nei paesi socialisti. Tra i giuristi sovietici citiamo Nikolaj
Lenin (1870-1924) autore di Stato e rivoluzione (1917); Petr I. Stucka (1865-1932) autore di La funzione
rivoluzionaria del diritto e dello Stato (1921); e il massimo esponente della corrente Evgenij B. Pasukanis
(1891-1937) autore di Teoria generale del diritto e marxismo (1924).
Questi giuristi si sono occupati di risolvere le incongruenze del pensiero marxista, come il problema della
giustificazione della sopravvivenza dello Stato nella società sovietica socialista.
Essendo così incentrata sull'aspetto economico, il pensiero marxiano e marxista, non ha dato significativi
contributi alla teoria del diritto. Per il marxista sono i fatti economici che determinano le caratteristiche dei
diritti (e non viceversa).
La maggior parte dei marxisti ritiene di poter spiegare i rapporti politici e giuridici mediante l'analisi
economica dei rapporti di produzione.
Il movimento dei Critical Legal Studies (Studi giuridici critici) si è sviluppato negli USA alla fine degli anni
'70, dietro l'influenza di altre tesi e pensieri di importanti filosofi e giuristi europei (Marx, Horkheimere,
Gramsci, Nietzsche).
I giuristi critici si sono appropriati di alcune delle tesi più caratteristiche del realismo giuridico americano,
per questo ne rappresentano in un certo senso, la prosecuzione. Una delle tesi di cui si sono appropriati è
quella dello scetticismo semiotico: per molti giuristi di questo movimento le norme generali e astratte non
sono in grado di predeterminare le decisioni concrete; il diritto presenta sempre dei concetti antinomici e
questo rende l'attività di scelta dell'interprete sempre più politica; il modello liberale dello stato di diritto e
i suoi principi di separazione dei poteri e di legalità rappresentano a loro avviso un fallimento.
Tra le fonti di ispirazione abbiamo il pensiero marxista, con il quale condivide l'idea di diritto come
ideologia, cioè come un opera di occultamento delle diseguaglianze, uno strumento per perpetuare lo
sfruttamento e l'oppressione.
Tra le fonti di ispirazione marxiste abbiamo il pensiero di Marx (in particolare per quanto riguarda l'idea di
diritto come ideologia), la scuola del marxismo critico di Francoforte, i cui principali esponenti sono Max
Horkheimer e Herbert Marcuse, e il pensiero dell'italiano Antonio Gramsci.
I Critical Legal Studies sono più interessati alla critica etico-politica che alla descrizione del diritto. La critica
è praticata con metodo decostruzionista, mutuato da teorici post-strutturalisti come Jacques Derrida, che
nella lettura dei testi ribalta l'odine gerarchico consolidato tra i concetti, e che si serve della tecnica dal
trashing per smascherare l'ideologia nascosta attraverso lo sfondamento dei discorsi giuridici.
I giuristi critici più estremisti si sono caratterizzati per nichilismo, a causa del loro atteggiamento antiteorico
e della convinzione che nessun discorso possa essere esente da ideologia e aspirare all'oggettività.
I Critical Legal Studies hanno rappresentato fonte di ispirazione di altre correnti come la Teoria giuridica
femminista e la Teoria critica della razza, interessate sul carattere patriarcale e razziale dei rapporti di
potere creati dal diritto.