I lager sono i laboratori dove si sperimenta la trasformazione della natura
umana[...]. Finora la convinzione che tutto sia possibile sembra aver provato soltanto che tutto pu essere distrutto. Ma nel loro sforzo di tradurla in pratica, i regimi totalitari hanno scoperto, senza saperlo, che ci sono crimini che gli uomini non possono n punire n perdonare. Quando l'impossibile stato reso possibile, diventato il male assoluto, impunibile e imperdonabile, che non poteva pi essere compreso e spiegato coi malvagi motivi dell'interesse egoistico, dell'avidit, dell'invidia, del risentimento; e che quindi la collera non poteva vendicare, la carit sopportare, l'amicizia perdonare, la legge punire (da Le origini del totalitarismo). 1 1. Vita e opere. Hannah Arendt nasce nel 1906 a Hannover, in una famiglia benestante appartenente alla borghesia ebraica, ma che non aveva legami particolari con il movimento e con le idee sioniste. A Knigsberg, dove nel frattempo la famiglia si trasferita, consegue nel 1924 l'Abitur, titolo di studio che equivale allitaliano diploma di maturit. Conseguito l' Abitur decide di iscriversi all'Universit di Marburg, dove si stava facendo strada la tendenza pi interessante di quegli anni, la fenomenologia di Husserl. Arendt incontra un giovane docente destinato a diventare uno dei pensatori pi importanti del XX secolo: Martin Heidegger. Con il filosofo tedesco Hannah intratterr un rapporto personale intenso, che la coinvolger sotto diversi aspetti (anche sentimentali) per l'intero arco della vita. Nel 1925 si reca a Friburgo per un semestre di studio, al fine di seguire le lezioni del fondatore della filosofia fenomenologica Edmund Husserl. Quindi, seguendo le indicazioni di Heidegger, si sposta all'Universit di Heidelberg, dove sotto la guida di Karl Jaspers prepara e porta a termine nel 1929 la ricerca di dottorato Der Liebensbegriff bei Augustin (Il concetto di amore in Agostino. Saggio di interpretazione filosofica). Nel 1929, trasferitasi a Berlino, ottenne una borsa di studio per una ricerca sul romanticismo dedicata alla figura di Rahel Varnhagen (Rahel Varnahagen. Storia di un'ebrea). Nello stesso anno sposa Gnther Stern, un filosofo conosciuto anni prima a Marburg. Dopo l'avvento al potere del nazionalsocialismo e l'inizio delle persecuzioni nei confronti delle comunit ebraiche, Hannah abbandona la Germania nel 1933 attraversando il cosiddetto "confine verde" delle foreste della Erz. Passando per Praga, Genova e Ginevra giunge a Parigi, dove conosce e frequenta, tra gli altri, lo scrittore Walter Benjamin e il filosofo e storico della scienza Alexander Koir. Fino al 1951, anno in cui le verr concessa la cittadinanza statunitense, rimane priva di diritti politici. Nella capitale francese collabora presso istituzioni finalizzate alla preparazione di giovani ad una vita come operai o agricoltori in Palestina (l'Agricolture et Artisan e la Yugend-Aliyah) e diventa, per alcuni mesi, segretaria personale della baronessa Germaine de Rothschild. Nel 1940 si sposa per la seconda volta, con Heinrich Blcher. Ma gli sviluppi storici del secondo conflitto mondiale portano Hannah Arendt a doversi allontanare anche dal suolo francese: internata nel campo di Gurs dal governo Vichy in quanto "straniera sospetta" e poi rilasciata, dopo varie peripezie, riesce a salpare dal porto di Lisbona alla volta di New York, che raggiunge insieme al coniuge nel maggio 1941. Il periodo americano inizia in maniera non certo facile: alle iniziali difficolt economiche si aggiunge l'impegno, faticoso quanto necessario, dell'apprendimento di una nuova lingua. Nonostante tutto proprio nel nuovo mondo che Hannah ha modo di creare nuove amicizie e di scrivere opere importanti, che le permettono di acquisire autorevolezza e notoriet come intellettuale e pensatrice politica. Nella sua intensa attivit, Hannah Arendt costantemente supportata da una particolare famigliarit con la scrittura: possiede infatti il talento non comune di unire, con fluidit, il pensiero alla penna. In modo pi o meno marcato ma sempre indelebile, tale capacit pu essere vista come un segno distintivo, presente in tutti i suoi scritti. Le riflessioni vengono proposte attraverso uno stile personale, rigoroso e discorsivo al tempo stesso: in quanto scrittrice avversa al dogmatismo culturale, Hannah Arendt non vuole la passivit del lettore, ma al contrario ricerca e richiede un suo coinvolgimento attivo, attento, dialogico. La figura e l'opera di questa pensatrice possono costituire una esempio eloquente della possibilit di un felice connubio fra pensiero e parola, contemplazione e azione, tradizione e innovazione. 2 Nel 1951 pubblica il fondamentale The Origins of Totalitarianism (Le origini del totalitarismo), frutto di unaccurata indagine storica e filosofica. In tale contesto, particolarmente interessante risulta essere l'analisi della cosiddetta "ideologia", intesa come uso indebito della facolt razionale umana e perci crogiolo potenziale di ogni dinamica totalitaria. La mente gioca con se stessa: l'atteggiamento ideologico, privo di un vero ideale, assolutizza la facolt logica facendola esorbitare dai suoi limiti costitutivi, in modo tale da costruire una pseudo-realt, impermeabile all'esperienza della realt autentica, al cui interno vige la pretesa di spiegazione totale che nega, di fatto, la vocazione della natura umana alla libert di iniziativa. Dal 1957 comincia la carriera accademica vera e propria: ottiene insegnamenti presso le Universit di Berkeley, Columbia, Princeton e, dal 1967 fino alla morte, anche alla New School for Social Research di New York. Nel 1961, in qualit di inviata del settimanale "New Yorker", assiste al processo contro il gerarca nazista Eichmann. Il resoconto di questa esperienza viene inizialmente pubblicato a puntate sulla rivista newyorkese e successivamente proposto in forma unitaria nel 1963, con il libro Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil (La banalit del male. Eichmann in Gerusalemme). Sempre nel 1963 pubblica On Revolution (Sulla rivoluzione), saggio politologico dalle cui pagine emergono giudizi negativi sia sulla Rivoluzione francese sia su quella russa. L'assunto principale dell'opera, il punto fisso su cui fa leva il discorso dell'autrice, l'intelligenza della correlazione presente fra libert e politica: la politica infatti vista, essenzialmente, come l'attivit che preserva, cura e garantisce lo spazio all'esercizio concreto della libert in tutte le sue forme di attuazione. Nel 1972 viene invitata a tenere le Gifford Lectures all'Universit scozzese di Aberdeen, che gi in passato aveva ospitato pensatori di prestigio come Bergson, Gilson e Marcel. Due anni pi tardi, durante il secondo ciclo delle "Gifford", subisce il primo infarto. Altre opere significative sono The Human Condition del 1958 (Vita activa. La condizione umana) e il volume teoretico The Life of the Mind (La vita della mente), uscito postumo nel 1978, attraverso cui Hannah, sulla scia originaria della migliore filosofia greca, riporta al centro dell'esistenza umana la "meraviglia" (il qaumazein ). Tale "stupore" metafisico non uno stato psicologico, bens un elemento costitutivo della capacit dell'essere umano di conoscere, pensare e vivere in modo costruttivo, come persona in comunione con altre persone. Il 4 dicembre 1975 muore a causa di un secondo arresto cardiaco, nel suo appartamento di Riverside Drive a New York: questo il capolinea storico di un'esistenza "pensante", pervasa da un senso di gratitudine sempre fedele alla realt delle cose. Una vita densa non solo di studi e letture ma anche di incontri, luoghi, eventi.
2. Breve riassunto delle opere. Il concetto d'amore in Agostino (1929) Hannah Arendt mette qui in campo tutta la ricchezza e la complessit dell'opera di Agostino, pensatore in bilico tra due mondi, quello greco e quello cristiano, pensatore sommo e originale, impegnato in uno "sforzo tremendo", di cui sono segno le linee interrotte del suo pensiero, credente per il quale non si tratt di " abbandonare le incertezze della filosofia a favore di una verit rivelata, ma di scoprire le implicazioni filosofiche della sua nuova fede . Le origini del totalitarismo Per quattro anni di intensa fatica, nel libro scritto tra il 1946 e il 1950, vibra un trasalimento, un Ach! di dolore profondo davanti all'infamia che l'autrice analizza. Arendt si considerava una scopritrice di problemi attuali, ma i tre elementi (antisemitismo, imperialismo e razzismo) in cui condensava la sua analisi, erano ciascuno espressione di un problema, o di 3 un insieme di problemi, per i quali era stato il nazismo ad offrire, quando essi si erano "cristallizzati", una "soluzione" tremenda. Il futuro alle spalle L'obiettivo di Arendt di sottrarre l'opera dei poeti al mestiere degli specialisti per restituirla al libero gioco della comprensione. Poesia e letteratura, infatti, riguardano tutti, aiutano a vivere, sono cose troppo serie per essere lasciate ai soli critici di professione. La maliziosa ironia di Heinrich Heine, la lotta esistenziale di Franz Kafka contro le idee della vecchia Europa si ricompongono lungo la corrente della "tradizione nascosta", quella della coscienza ebraica, della esclusione che non rinnega la propria storia, in cui il futuro precluso al passato. Vita Activa. La condizione umana (1958) Le tre condizioni dell'esistenza, fondamentali per capire la "antropologia" di Arendt, corrispondono all'ambiente naturale degli individui, la Terra, e quindi l'attivit del lavoro, rappresentata dall'animal laborans; la seconda condizione l'insieme di artefatti di cui l'uomo si circonda per vivere e operare nel mondo, cui corrisponde l'homo faber; la terza condizione lo spazio pubblico in cui gli individui interagiscono mediante il discorso, l'attivit corrispondente l'agire. Le tre attivit compongono la "vita activa". Rahel Varnaghen (1959) Scrivendo la biografia di Rahel Varnhagen (1771 - 1833), intellettuale ebrea protagonista dei salotti romantici, Madame de Stael berlinese, Arendt osserva: la realt non pu portare niente di nuovo, la riflessione ha gi anticipato tutto. In Arendt l'indomabile istinto intellettuale si univa ad una segreta, a volte ironica malinconia che non si rivelava. E a proposito di Rahel: Essere Schlemihl, sfortunata, quale Rahel si riteneva, non mai schlimm mazzel, solo passiva malasorte. Il sole non c' solo per coloro che al sole voltano costantemente le spalle. E cos nella signorina Rahel la battaglia contro i fatti, soprattutto contro il fatto di essere nata ebrea, diventa una battaglia contro se stessa. Tra passato e futuro (1961) Arendt sottolinea che il tesoro della libert dell'agire impossibile da trasmettere in un mondo che non attribuisce senso all'agire in pubblico. E ci tanto pi sconcertante quanti pi individui si disposero alla lotta e all'agire per riappropriarsi di uno spazio pubblico che il nazismo e l'occupazione, e prima ancora la pseudo-democrazia repubblicana, avevano cancellato nella societ francese. I saggi qui raccolti sono variazioni sul tema della frattura che si apre nell'esistenza e nella cultura quando l'essere umano non pu aprirsi al mondo e quindi al presente. I vari tipi di crisi, dell'autorit, della libert, dell'istruzione, persino del pensiero, sono riportati alla fondamentale lacuna dell'agire. Questa assume l'aspetto decisivo di una interruzione della tradizione. La banalit del male. Eichmann a Gerusalemme (1963) L'opera pi discussa e controversa dell'autrice pone interrogativi profondi sulla natura umana, sugli ideali di giustizia e sulla memoria del passato. Eichmann non era un mostro, era soltanto un uomo mediocre, banale, cui erano stati preposti idoli mediocri in cui credere e per cui battersi. Il male di cui si macchiato non era radicale, quindi impunibile, incomprensibile, imperdonabile, ma banale, non il male, ma la persona che lo commise era incapace di giudicare, di discernere il bene dal male, di comprendere quello che stava facendo. Sulla rivoluzione (1963) In questa opera la Arendt, attraverso il confronto tra le due suddette rivoluzioni, mette in luce come esse rappresentino due diversi modelli di fenomeni rivoluzionari, manifestando al contempo la sua concezione della politica, con la chiara adesione ai princpi che hanno ispirato la rivoluzione americana. In una situazione internazionale che contrappone la minaccia di totale distruzione attraverso la guerra alla speranza di emancipazione di tutta l'umanit attraverso la rivoluzione, non resta altra causa se non la pi antica di tutte, la causa della libert contro la tirannide. 4 La lingua materna (1964) In questo saggio di Hannah Arendt, che corredato da un'intervista concessa dall'autrice alla televisione tedesca nel 1964, vengono esaminate le questioni dell'esilio, dell'identit di un popolo e delle trasformazioni che nel corso dell'et contemporanea hanno sconvolto l'assetto dell'Europa e del mondo intero. La condizione umana soggetta a continui mutamenti, spesso tragici, e l'unica possibilit inventiva, per l'autrice, consiste nella capacit di provare stupore, porre domande in un atto di solidariet tra esseri umani. Ebraismo e Modernit (1978) Radicalit e solitudine il binomio della meditazione cui Hannah Arendt ritorna costantemente in questi scritti che coprono l'arco di pi di vent'anni fino al suo scambio epistolare con il grande storico della mistica ebraica Gershom Scholem che, a proposito del suo libro su Eichmann, la accusa di non amare il popolo ebraico. Io non amo gli ebrei gli risponde Arendt, sono semplicemente una di loro. La vita della mente (1978) E' l'ultimo libro di Arendt, rimasto incompiuto, l'ultima sua opera, il coronamento della sua "vita activa". Divisa in tre parti (Pensare, Volere, Giudicare), Arendt si chiede nella prima parte dove si trovi l'io che pensa, quali siano il suo spazio e il suo tempo. Alla libert dedicata la seconda parte del volume, e cio il problema del cristianesimo di come poter conciliare la fede in un Dio onnipotente con le esigenze del libero arbitrio. Il pescatore di perle. Walter Benjamin (1993) Arendt ci offre un ritratto tra i pi intensi e significativi di Walter Benjamin, un intellettuale sui generis che secondo l'autrice riesce a rischiarare, a illuminare anche i periodi pi oscuri che viviamo. Ci che fin dall'inizio affascin Benjamin non fu mai un'idea ma sempre un fenomeno, ci che appare paradossale di ogni cosa che viene semplicemente definita bella il fatto che appaia. Verit e politica. La conquista dello spazio e la statura dell'uomo (1995) La menzogna va combattuta, oltre che per la sua immoralit, per il suo potenziale impatto distruttivo sullo spazio della politica. Dietro le imprese spaziali che proiettano l'uomo fuori della terra e dietro le ricerche scientifiche volte a creare la vita in provetta e a prolungare l'esistenza umana, l'autrice vede appunto profilarsi il desiderio di sfuggire alla mortalit e pi in generale ai limiti inerenti alla condizione umana. Che cos' la politica? (1995) E' una raccolta di frammenti scritti da Arendt intorno al tema della politica e all'idea di scrivere un'"Introduzione alla politica", cio a quello che realmente politica e ai presupposti fondamentali dell'esistenza umana con i quali il politico ha a che fare. I brani pubblicati forniscono indicazioni fondamentali sulla filosofia politica, sulla visione del mondo, sull'autonomia e originalit di Hannah Arendt. In un'epoca di miseria politica, Arendt ha ricercato le origini di una politica intesa come vita appagata e libera insieme agli altri dei quali si riconosce la diversit. Ritorno in Germania (1996) Un saggio intenso e profondo raccoglie le impressioni, le esperienze e le conoscenze di un viaggio di ritorno nella Germania nazista del 1949-1950. Questo testo commosso e puntuale il tentativo di una donna sensibile di superare con la forza dell'intelligenza il dolore, l'amarezza personale e il risentimento nei confronti del proprio Paese dopo la tragica esperienza del nazionalsocialismo, della seconda guerra mondiale e della Shoah. L'immagine dell'inferno (2001) I tre saggi compresi in questo libro costituiscono passaggi cruciali di quella riflessione sull'Olocausto che porter Arendt alla stesura di Le origini del totalitarismo. Di fronte ad un evento che sfidava le capacit di comprensione, Arendt seppe formulare, per la prima volta, con un rigore ineguagliato, le domande che ancora oggi ci inquietano: come potuto 5 succedere? Quali meccanismi di disumanizzazione sono stati messi in atto per poter rendere "normale" lo stermino di massa? I campi di concentramento appaiono a Arendt come l'esito pi estremo, ma anche pi conseguente, del totalitarismo come forma inedita di governo, intesa a sperimentare la cancellazione della spontaneit e della pluralit umane e capace di creare nei suoi sudditi un'obbedienza e una mentalit conformistica disposte ad accettare qualsiasi orrore. La disobbedienza civile e altri saggi (1985) I temi a cui il saggio rimanda sono quelli dell'obbligo politico e della partecipazione, visti nella loro connessione col problema della libert. Sulla scia di un nuovo kantismo delineato dalla Critica del Giudizio, Arendt formula un'analisi dell'azione innovativa e sempre rivoluzionaria, nei termini del principio della libert pubblica, dello spirito pubblico e della pubblica felicit.
3. Il pensiero. Poco incline alle posizioni conservatrici e pi vicina alle forme di spontaneismo dell'esperienza rivoluzionaria dei Consigli, teorizzata da Rosa Luxemburg, non legata da simpatia a Strauss, ma neppure ai francofortesi, estranea al problema del potere e attiva nella difesa dei diritti civili e delle minoranze, la prima opera significativa della Arendt, pubblicata negli Stati Uniti, Le origini del totalitarismo (1951). Caratteristica saliente del totalitarismo non tanto una concezione filosofica, quanto l'esistenza di campi di concentramento: nessun governo totalitario, infatti, pu sussistere senza terrore e il terrore non pu essere edificato e mantenuto senza tali campi, nei quali gli individui sono ridotti a entit superflue. Per questo aspetto, esistono, secondo la Arendt, profonde analogie tra nazismo e stalinismo, entrambi diversi dalla democrazia proprio per l'assenza di ogni salvaguardia delle libert civili. L'esperienza della rivoluzione in Ungheria, nel 1956, rafforza la sua convinzione che l'unica alternativa al totalitarismo nell'et moderna nel sistema dei Consigli, che nascono spontanei, senza organizzazione, in nome della libert, nel corso dei moti rivoluzionari. Intanto, lo studio di Marx e del problema del lavoro la conduce ad interrogarsi sul tema dell'equilibrio delle attivit umane: nasce di qui il volume La condizione umana (1959), noto anche col titolo Vita activa. Ispirandosi all'etica aristotelica, Arendt individua tre componenti nella vita attiva degli uomini: sono tre attivit, il lavoro, la fabbricazione, o produzione di oggetti, e l'azione (in greco, praxis), le quali si connettono alle condizioni generali dell'esistenza umana, ossia al nascere e al morire, al rapporto con gli altri e alla permanenza sulla terra. Il lavoro assicura la sopravvivenza non solo individuale, ma della specie umana, mentre la fabbricazione produce un mondo sulla terra. Mentre possibile lavorare e produrre anche in solitudine, non possibile agire se non in relazione almeno ad un'altra persona, ossia, in generale, ad una pluralit di individui. Questo vuol dire che lavoro e fabbricazione non realizzano qualit specificamente umane, dal momento che anche un animale pu lavorare e una divinit artefice potrebbe produrre. Specificamente umano , invece, l'agire insieme, che costituisce l'ambito della politica e presuppone il linguaggio come mezzo essenziale per il rapporto tra una pluralit di individui. Ci stabilisce una distinzione tra la sfera pubblica, corrispondente alla polis dei greci, e la sfera privata, corrispondente all'oikos dei greci: quest'ultima il regno della necessit, caratterizzato dalle attivit economiche del lavoro e della produzione necessarie per sopravvivere, mentre la politica il regno della libert, dell'emergenza del nuovo. Tutte queste attivit, infatti, sono radicate nella natalit, in quanto hanno il compito di preparare e conservare il mondo per i nuovi venuti, ma pi di tutte lo l'agire come capacit di dar luogo a qualcosa di integralmente nuovo. I rapporti tra queste attivit, che sono le costanti dell'esperienza umana, variano storicamente. Nel mondo moderno, il lavoro ha assunto una posizione di primato rispetto 6 all'agire, prioritario presso i greci, e al fabbricare, dominante nell'immagine cristiana di un Dio creatore. Questo mutamento ha indebolito la distinzione tra pubblico e privato e ha generato una nuova sfera, quella del sociale, che viene ad assumere le funzioni prima pertinenti all'oikos e alla polis. I risultati sono, da un lato, una nazione amministrata burocraticamente come se si trattasse di un'unica famiglia e un generale conformismo e, dall'altro, una riduzione della partecipazione politica attiva e la trasformazione della sfera privata in intimit puramente individuale. L'integrazione armonica delle varie attivit, con l'attribuzione del primato all'agire e, quindi, alla politica, si invece realizzata, ad avviso di Arendt, nella polis, ma gi i filosofi greci avevano minato questo modello, nel momento in cui, a partire da Platone, avevano spezzato la connessione tra la prassi e il discorso, che caratterizza la politica, e subordinato la politica alla loro attivit, intesa come teoria, ossia attivit contemplativa. In questa situazione, la politica veniva concepita come un ambito che deve essere disciplinato da regole che nascono nella sfera superiore della teoria e sono accessibili soltanto ad una saggezza superiore. Da questa impostazione sono nate, in et moderna, le filosofie della storia e le teorie, come quella hegeliana, che trasformano le nozioni di mezzo e di fine in categorie politiche e interpretano la storia come un processo necessario, finendo in tal modo per giustificare le pratiche totalitarie del XX secolo e sollevando dalla responsabilit di giudicare gli eventi storici. In opposizione a ci occorre, secondo Arendt, una nuova scienza politica, che torni a porre al centro l'azione, interpretata come inizio di qualcosa di nuovo e di imprevedibile, non fabbricabile n dall'uomo n da Dio. Infatti, quando un'azione si perverte in una specie di fabbricazione, si pu generare il male e la distruzione degli uomini, proprio come per fare una frittata occorre rompere le uova. In questa prospettiva, nello scritto Sulla rivoluzione (1963), la Arendt individua il conflitto essenziale dell'epoca moderna non tra diversi sistemi economici o tra classi, ma tra libert e autoritarismo; da parte sua, ella si schiera dal lato delle associazioni che nascono spontaneamente, soprattutto nelle situazioni rivoluzionarie, ma rifiuta la definizione della politica come lotta per il potere e le giustificazioni della violenza, fornite da Marx, Sorel e Sartre, in quanto confondono tra loro azione, fabbricazione e processi naturali: ai suoi occhi, la non violenza essenziale al movimento per la pace e la disobbedienza civile lo strumento per la difesa dei diritti civili. L'ultima opera, rimasta incompiuta, La vita della mente, pubblicata postuma nel 1978, presentata da Arendt come un trattato del buon governo mentale: essa descrive le attivit dello spirito, ossia il pensare, il volere e il giudicare, cercando di mostrare la necessit di un controllo e di un equilibrio reciproco fra esse. Il pensare diverso dal conoscere, che ha un oggetto e un fine: esso, invece, non ha un oggetto, ma si riferisce solo a s e produce significati, non la verit, che piuttosto prodotta dal consenso. Il pensare consente di affrontare i fenomeni direttamente, senza alcun sistema preconcetto, e quindi prepara il terreno al giudizio, che rappresenta la vera attivit politica della mente. Anche il volere costitutivo della sfera politica, in quanto mira a produrre un riconoscimento reciproco tra gli individui. In questo senso, la Arendt critica Heidegger per aver rifiutato il volere a favore del pensiero, concepito come forma di azione: ci equivale, infatti, a rifiutare la politica. Condizione dell'armonia fra le tre attivit la libert interna di ciascuna. Anche in Germania, nel dopoguerra, ridiventa essenziale il problema del tipo di sapere e di razionalit che deve sovrintendere all'agire individuale e collettivo. Presupposto diffuso che il modello non possa essere offerto dalle scienze naturali, n dalle scienze sociali che si costruiscono in conformit ad esse. In questo orizzonte ha luogo, dall'inizio degli anni Sessanta, quella che stata denominata riabilitazione della filosofia pratica, ossia del diritto, dell'etica e della politica, alla quale hanno contribuito vari autori, tra i quali Gadamer e Joachim Ritter (1903- 1974), allievo di Heidegger e di Cassirer.
7 4. Le origini del totalitarismo Come molte altre opere di grandi autori, anche Le origini del totalitarismo della Arendt comparsa in un momento politico-culturale (1951), data centrale della guerra fredda, che ne ha reso quasi obbligatoriamente unilaterali la lettura e l'interpretazione. L'assimilazione di nazismo e stalinismo, infatti, imped allora una lettura serena dell'opera da parte dell'intellettualit di sinistra, per la quale la Arendt per molti anni sarebbe rimasta l'esponente di un pensiero politico liberale e neo-conservatore. In realt le preferenze politiche della Arendt andavano ad un tipo di societ socialista vicina alle idee della Luxemburg e alle tematiche consiliari, come sarebbe stato evidente qualche anno dopo. L'opera, grande anche nel senso della voluminosit (circa 700 pagine), individua i caratteri specifici del totalitarismo dopo averne riscontrato le premesse nell'antisemitismo (studiato nel periodo fra Otto e Novecento, specialmente in Francia con l'"affaire Dreyfus") e nell'imperialismo, temi ai quali sono dedicati i due terzi dell'opera. Dal confluire delle conseguenze dell'antisemitismo e dell'imperialismo in un preciso momento storico (la crisi successiva alla prima guerra mondiale) nato il totalitarismo, con caratteri comuni sia nella Germania nazista sia nell'Unione sovietica stalinista (del tutto marginale l'attenzione rivolta al fascismo italiano). Il totalitarismo un fatto nuovo del nostro secolo, non assimilabile o riducibile, secondo la Arendt, ai tradizionali regimi tirannici o dittatoriali. Esso nasce dal tramonto della societ classista, nel senso che l'organizzazione delle singole classi lascia il posto ad un indifferenziato raggrupparsi nelle masse, verso le quali operano ristretti gruppi di lites, portatori delle tendenze totalitarie. Tali tendenze, dopo la vittoria politica sulle vecchie rappresentanze di classe, realizzano il regime totalitario, che ha i suoi pilastri nell'apparato burocratico-statale, nella polizia segreta e nei campi di concentramento nei quali si rinchiudono e si annientano gli oppositori trasformati in nemici. Attraverso l'imposizione di una ideologia (razzismo, nazionalsocialismo, comunismo) e il terrore, il totalitarismo, identifica se stesso con la natura, con la storia, e tende ad affermarsi all'esterno con la guerra. Nulla di simile era apparso prima: il totalitarismo un fenomeno essenzialmente diverso da altre forme conosciute di oppressione politica come il dispotismo, la tirannide e la dittatura. Dovunque giunto al potere, esso ha creato istituzioni assolutamente nuove e distrutto tutte le tradizioni sociali, giuridiche e politiche del paese. A prescindere dalla specifica matrice nazionale e dalla particolare fonte ideologica, ha trasformato le classi in masse, sostituito il sistema dei partiti non con la dittatura del partito unico ma con un movimento di massa, trasferito il centro del potere dall'esercito alla polizia e perseguito una politica estera apertamente diretta al dominio del mondo. La Arendt accentua, nelle pagine di considerazione teorica che concludono l'opera, il ruolo nuovo svolto dalle ideologie, unite al terrore, nei regimi totalitari. Le ideologie, con logica stringente, impongono una visione del mondo in cui le idee incarnate nel regime totalitario vengono imposte come direttrici di un cammino fatale, inevitabile, naturale e storico insieme. In un regime totalitario l'ideologia la logica di un'idea. La sua materia la storia a cui l' idea applicata, il risultato di tale applicazione non un complesso di affermazioni su qualcosa che , bens lo svolgimento di un processo che muta di continuo. L'ideologia tratta il corso degli avvenimenti come se seguisse la stessa legge dell'esposizione logica della sua idea. Essa pretende di conoscere i misteri dell'intero processo storico - i segreti del passato, l'intrico del presente, le incertezze del futuro - in virt della logica inerente alla sua idea. La Arendt si pone, alla fine, una domanda: quale esperienza di base nella convivenza umana permea una forma di governo che ha la sua essenza nel terrore e il suo principio d'azione nella logicit del pensiero ideologico?. La risposta viene data individuando tale 8 esperienza di base nell'isolamento dei singoli nella sfera politica, corrispondente alla estraniazione nella sfera dei rapporti sociali. Quest'ultima, in sostanza, sta alla base dell'isolamento sul piano politico, e quindi costituisce la condizione generale dell'origine del totalitarismo. Estraniazione, che il terreno comune del terrore, l'essenza del regime totalitario e, per l'ideologia, la preparazione degli esecutori e delle vittime, strettamente connessa allo sradicamento e alla superfluit che dopo essere stati la maledizione delle masse moderne fin dall'inizio della rivoluzione industriale, si sono aggravati col sorgere dell'imperialismo alla fine del secolo scorso e con lo sfascio delle istituzioni politiche e delle tradizioni sociali nella nostra epoca. Essere sradicati significa non avere un posto riconosciuto e garantito dagli altri; essere superflui significa non appartenere al mondo. E ancora: quel che prepara cos bene gli uomini moderni al dominio totalitario estraniazione che da esperienza al limite, usualmente subita in certe condizioni sociali marginali come la vecchiaia, diventata un'esperienza quotidiana delle masse crescenti nel nostro secolo. L'inesorabile processo in cui il totalitarismo inserisce le masse da esso organizzate appare come un'evasione suicida da questa realt. Risuonano in questi passi gli echi di un pessimismo ebraico che negli anni '30 e '40 trovava manifestazione filosofica con tematiche non molto dissimili, in Benjamin, in Horkheimer e in Adorno. Le tesi della Arendt, come quelle dei suoi amici appena citati, avranno ampia diffusione, ma verranno anche ampiamente discusse nel dibattito teorico che ha impegnato nei successivi decenni i pensatori politici europei e statunitensi. Arendt si considerava una scopritrice di problemi attuali, ma i tre elementi (antisemitismo, imperialismo e razzismo) in cui condensava la sua analisi, erano ciascuno espressione di un problema, o di un insieme di problemi, per i quali era stato il nazismo ad offrire, quando essi si erano "cristallizzati", una "soluzione" tremenda. Cos, l'alternativa metodologica scelta da Arendt fu quella di individuare gli elementi principali del nazismo, risalire alle loro origini, e scoprire i problemi politici reali alla loro base: scopo del libro non dare delle risposte, bens preparare il terreno. Arendt presenta gli elementi del nazismo e i problemi politici che ne stavano alla base. L'imperialismo, quello che ha raggiunto il suo pieno sviluppo, cio il totalitarismo, visto come una "amalgama" di certi elementi presenti in tutte le situazioni politiche del tempo. Questi elementi sono l'antisemitismo, il decadimento dello stato nazionale, il razzismo, l'espansionismo fine a s stesso e l'alleanza fra il capitale e le masse. Dietro ciascuno di questi elementi si nasconde un problema irreale e irrisolto: dietro l'antisemitismo, la questione ebraica; dietro il decadimento dello Stato nazionale, il problema irrisolto di una nuova organizzazione dei popoli; dietro il razzismo, il problema irrisolto di una nuova concezione del genere umano; dietro l'espansionismo fine a s stesso, il problema irrisolto di riorganizzare un mondo che diventa sempre pi piccolo, e che siamo costretti a dividere con popoli la cui storia e le cui tradizioni sono estranee al mondo occidentale. La grande attrazione esercitata dal totalitarismo si fondava sulla convinzione diffusa, e spesso consapevole, che esso fosse in grado di dare una risposta a tali problemi, e potesse quindi adempiere ai compiti della nostra epoca. In una serie di lezioni tenute nel 1954 alla New School for Social Research di New York, Arendt chiarisce l'immagine della "cristallizzazione", con una dichiarazione metodologica che assente nelle stesure delle Origini del totalitarismo: gli elementi del totalitarismo costituiscono le sue origini, purch per origini non si intenda cause. La causalit, cio il fattore di determinazione di un processo 9 di eventi, in cui un evento sempre ne causa un altro e da esso pu essere spiegato, probabilmente una categoria totalmente estranea e aberrante nel regno delle scienze storiche e politiche. [] Gli elementi divengono l'origine di un evento se e quando si cristallizzano in forme fisse e definite. Allora e solo allora, sar possibile seguire all'indietro la loro storia. L'evento illumina il suo stesso passato, ma non pu mai essere dedotto da esso. Secondo Arendt, quindi, il totalitarismo composto da "elementi" che si sono sviluppati precedentemente e si sono "cristallizzati" in un nuovo fenomeno dopo la prima guerra mondiale. Questi elementi forniscono la struttura nascosta del totalitarismo. L'impulso all'espansione senza limiti era nelle sue origini un fenomeno economico, qualcosa di inerente all'avanzata del capitalismo. Il capitalismo era impegnato nella trasformazione della propriet da stabile, fissa, in una ricchezza mobile; la conseguenza fondamentale di questo processo fu quella di generare sempre pi ricchezza in un processo senza fine. Fino a che questo rimase un fenomeno puramente economico esso era s distruttivo, ma non catastrofico. Il pericolo divent la trasformazione di pratiche economiche in un nuovo tipo di politica della competizione assassina e dell'espansione senza limiti. Il significato dell'era imperialista per Arendt che l'imperativo di espandersi usc dalla logica economica e prese forza nelle istituzioni politiche. Lo stato-nazione fu fortemente messo in crisi dall'imperialismo. Dove l'imperialismo d spazio alle forze incontrollabili dell'espansione e della conquista, lo stato-nazione un'istituzione creata da individui, una struttura civilizzata che fornisce un ordine legale e garantisce diritti, tramite i quali l'individuo pu essere legislatore e cittadino. C' una profonda tensione tra la nozione di stato come garante di diritti, e l'idea della nazione come una comunit esclusiva. Fin dalla nascita dello stato-nazione questo fatto cre difficolt per gli ebrei: infatti, l'ideale dei diritti umani non divenne fondamentale se non dopo la prima guerra mondiale, e le conseguenze di essa sulle minoranze nazionali e le persone senza patria (displaced persons). Il capitolo delle Origini sul declino dello stato-nazione spiega perch ci furono cos pochi ostacoli al massacro degli ebrei, e dimostra la necessit di costruire un nuovo ordine politico che non possa abolire diritti civili e politici per un gruppo di persone. Quello che il destino delle persone senza patria ha dimostrato, cos sostiene Arendt, che i diritti umani universali che sembravano appartenere agli individui, potevano solo essere reclamati da cittadini di uno stato. Pertanto, per chi era fuori da questa categoria, i diritti inalienabili della persona erano senza significato. Ne sono un esempio gli ebrei che, non avendo uno stato in cui identificarsi come popolo, ed un territorio definito in cui poter vivere, sono stati privati, come apolidi, del diritto di cittadinanza, e con esso di una tutela giuridica come soggetti di personalit. Il problema non era quello di godere di un'eguaglianza di fatto davanti alla legge come persone, ma la negazione del fondamentale diritto umano e cio il "diritto di avere diritti", che significa il diritto di appartenere ad una comunit politica. Arendt sottolinea che il razzismo non una forma di nazionalismo, ma, in diversi modi, il suo opposto. Il nazionalismo genuino strettamente legato ad uno specifico territorio e una cultura, e quindi alle azioni e traguardi raggiunti da particolari esseri umani. La razza, al contrario, un criterio biologico, determinato dal territorio e dalla cultura, e si riferisce a caratteristiche naturali fisiche. Dove le persone sono identificate per i loro caratteri razziali innati, le differenze individuali e la responsabilit individuale diventano irrilevanti: una persona semplicemente agisce come un coro delle caratteristiche razziali di quella specie. Il determinismo razzista, con la distinzione tra razze superiori e inferiori, fornisce una perfetta giustificazione per la conquista imperialista e la sottomissione delle popolazioni native. La plebe un precedente di quello che sar la massa per gli ebrei nel totalitarismo: i suoi rappresentanti sono "senza mondo" perch hanno perso uno spazio stabile di riferimento, una identit, non hanno aspettative da condividere con altri, non hanno prospettiva per guardare il mondo, sono esposti alla manipolazione ideologica, vivono in una condizione di sradicamento. 10 L'alleanza tra il capitale e la plebe dimostra che il sottoproletariato pu essere facilmente reclutato per commettere atrocit (Arendt prende come riferimento la descrizione di Conrad in Cuore di tenebra): la plebe era costituita dagli scarti di tutte le classi e tutti gli strati, erano avventurieri e cercatori d'oro asserviti dall'imperialismo, scaraventati fuori dalla societ, non credevano in nulla, potevano anzi indursi a credere a ogni cosa, a qualsiasi cosa. L'irresponsabilit di questo nuovo strato e la corrispondente ritirata su tutte le questioni morali, andava di pari passo con la possibilit della trasformazione della democrazia borghese in un dispotismo: infatti la plebe era un prodotto diretto della societ borghese e quindi non separabile da essa. La spregiudicata politica di potenza pot essere attuata solo con l'aiuto di una massa di persone prive di principi morali e perfettamente manipolabili. Nel mondo irreale dell'Africa Nera non si assassinava un individuo se si uccideva un indigeno, ma un sub-umano, una larva che suscitava solo il dubbio di appartenere alla stessa comunit umana. Qui il riferimento alla Shoah evidente: dove la plebe servita all'imperialismo per la sua brama di conquista, cos la massa servita al totalitarismo per i suoi obiettivi di distruzione degli ebrei. Arendt sostiene che l'antisemitismo venne usato dal regime nazista come un "amalgamatore" per la costruzione del totalitarismo, perch esso era legato ad ognuno degli elementi che aveva identificato. La plebe, che odiava la societ, alla quale non apparteneva pi, pot essere facilmente condotta a provare ostilit nei confronti di un gruppo come gli ebrei che era met fuori e met dentro la societ. L'ideologia razzista, in nome della quale i movimenti totalitari erano mobilitati, aveva bisogno di un equivalente in Europa dei nativi d'Africa, e gli ebrei erano adatti a tale ruolo. I movimenti totalitari avevano bisogno di demolire le mura vacillanti dello stato-nazione per edificare nuovi imperi. Gli ebrei, che avevano consolidato una loro identit senza territorio e uno stato, apparvero come le uniche persone che, apparentemente, erano gi organizzate come un corpo politico razziale. Gli ebrei si erano disinteressati alla politica e al potere politico, e questo disinteresse per la politica li aveva portati a non capire il pericolo enorme che costituiva per loro l'antisemitismo moderno, e la forza distruttiva che esso veicolava. Gli ebrei scambiarono a torto questo antisemitismo, che aveva radici economiche, politiche, sociali, religiose e psicologiche, con il vecchio odio che dall'antichit aveva generato i pogrom. Nessuno comprese che il problema a questo punto era di tipo politico. Solo l'uguaglianza giuridica e politica protegge gli individui e le nazionalit da discriminazioni e persecuzioni. Promulgando le leggi razziali di Norimberga, i nazisti crearono una "razza" perch crearono un gruppo d'uomini privi di diritti e differenti sul piano giuridico. L'antisemitismo del Novecento ha sostituito all'odio religioso di altri tempi il rifiuto della differenza, il rifiuto di accordare il rispetto all'altro per le sue stesse caratteristiche. E tale rifiuto si maschera dietro il rispetto della normalit, dietro il conformismo, ma pu arrivare fino al caso estremo della difesa biologica della razza.
5. La banalit del male. Nel 1961 Hannah Arendt segu le 120 sedute del processo Eichmann (il famigerato criminale nazista) come inviata del settimanale New Yorker a Gerusalemme. Otto Adolf Eichmann (nato nel 1906), era stato responsabile della sezione IV-B-4 (competente sugli affari concernenti gli ebrei) dell'ufficio centrale per la sicurezza del Reich (RSHA), organo nato dalla fusione, voluta da Himmler, del servizio di sicurezza delle SS con la polizia di sicurezza dello stato, inclusa la polizia segreta o Gestapo. Eichmann non era mai andato oltre il grado di tenente-colonnello, ma, per l'ufficio ricoperto, aveva svolto una funzione importante, su scala europea nella politica del regime nazista: aveva coordinato l'organizzazione dei trasferimenti degli ebrei verso i vari campi di concentramento e di sterminio. Nel maggio 1960 agenti israeliani lo catturarono in Argentina, dove si era rifugiato, e lo portarono a Gerusalemme. Processato da un tribunale israeliano, nella sua difesa tenne a precisare che, 11 in fondo, si era occupato soltanto di trasporti. Fu condannato a morte mediante impiccagione e la sentenza fu eseguita il 31 maggio del 1962. Il resoconto di quel processo e le considerazioni che lo concludevano furono pubblicate sulla rivista e poi riunite nel1963 nel libro La banalit del male (Eichmann a Gerusalemme). In questo libro la Arendt analizza i modi in cui la facolt di pensare pu evitare le azioni malvagie. La banalit del male ha accentuato la relazione fra la facolt di pensare, la capacit di distinguere tra giusto e sbagliato, la facolt di giudizio, e le loro implicazioni morali, compiti che sono stati estremamente significativi nel lavoro della Arendt fin dai primi scritti nel tardo 1940 del fenomeno del Totalitarismo. La prima reazione della Arendt alla vista di Eichmann pi che sinistra. Lei sostenne che le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoch normale, ne demoniaco ne mostruoso. La percezione dell'autrice di Eichmann sembra essere quella di un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialit e mediocrit che la lasciarono stupita nel considerare il male commesso da lui, che consiste, nell'organizzare la deportazione di milioni di ebrei nei campi di concentramento. Ci che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidit ma qualcosa di completamente negativo: l'incapacit di pensare. Eichmann ha sempre agito all'interno dei ristretti limiti permessi dalle leggi e dagli ordini. Questi atteggiamenti sono la componente fondamentale di quella che pu essere vista come una cieca obbedienza. Egli non era l'unica persona che appariva normale mentre gli altri burocrati apparivano come mostri, ma vi era una massa compatta di uomini perfettamente "normali" i cui atti erano mostruosi. Dietro questa "terribile normalit" della massa burocratica, che era capace di commettere le pi grandi atrocit che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintraccia la questione della "banalit del male". Questa "normalit" fa s che alcuni atteggiamenti comunemente ripudiati dalla societ - in questo caso i programmi della Germania nazista - trovi luogo di manifestazione nel cittadino comune, che non riflette sul contenuto delle regole ma le applica incondizionatamente . Eichmann ha introdotto il pericolo estremo della irriflessivit. Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che quei tanti non erano n perversi n sadici, bens erano, e sono tuttora, terribilmente normali. E questa normalit pi spaventosa di tutte le atrocit messe insieme, poich implica - come fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni - che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male. L'analisi delle interrelazioni fra la facolt di pensare, la capacit di distinguere tra giusto e sbagliato, la facolt di giudizio, e le loro implicazioni morali, come detto sopra, rappresentano il nucleo tematico dell'opera. A questo proposito la Arendt si chiesta se la facolt di pensare, nella sua natura e nei suoi attributi intrinseci, coinvolge la possibilit di evitare di "fare il male". La banalit del male non sembrato incorniciare gli standard soliti di male, come patologia, interesse personale, di condanna ideologica di chi lo fa: in questo senso la Arendt si domanda se la dimensione di male una condizione necessaria di "fare il male". In altre parole il fenomeno del male ha necessariamente una radice desiderata? Era innegabile che questo nuovo insieme di domande del fenomeno del male, di cui le radici non sono state ancorate negli standard filosofici, morali, religiosi tradizionali, almeno aprir una prospettiva nuova sul comprensione del male. Assistendo al processo Eichmann la Arendt disse: mi sono sentita scioccata perch tutto questo contraddice le nostre teorie di male. La perplessit davanti ad un fenomeno che ha contraddetto le teorie note di male, e la relazione chiara tra il problema di male e la facolt di pensare, era quello che la Arendt ha espresso con la frase "la banalit del male". Come pu dunque la capacit di pensare muoversi in modo da evitare il male? Per prima cosa, secondo la Arendt, gli standard etici e morali basati sulle abitudini e sulle usanze hanno dimostrato di poter essere cambiati da un nuovo insieme di regole di comportamento 12 dettate dall'attuale societ. Lei domanda come sia possibile che poche persone non aderiscano al regime malgrado ogni coercizione. A tale domanda risponde in maniera semplice: i non partecipanti, chiamati irresponsabili dalla maggioranza, sono gli unici che osano essere giudicati da loro stessi; e sono capaci di farlo non perch posseggano un miglior sistema di valori o perch i vecchi standard di "giusto e sbagliato" siano fermamente radicati nella loro mente e nella loro coscienza, ma perch essi si domandano fino a che punto essi sarebbero capaci di vivere in pace con loro stessi dopo aver commesso certe azioni; e loro decidono che meglio non far nulla. La Arendt chiaramente presuppone alla facolt del pensare questo tipo di giudizio. Questa presupposizione non necessita di una elevata intelligenza ma semplicemente l'abitudine di vivere insieme, e in particolare con se stessi, che significa, essere occupato in un dialogo silenzioso tra io e io, che da Socrate stato chiamato "pensare". L'incapacit di pensare non stupidit: pu essere presente nella gente pi intelligente e la malvagit non la sua causa, ma necessaria per causare grande male. Dunque l'uso del pensiero previene il male. Questo pensare provoca essenzialmente la perplessit che ha il potere di dislocare gli individui dalle loro regole di comportamento. La capacit di pensare ha dunque la potenzialit di mettere l'uomo di fronte ad un quadro bianco senza bene o male, senza giusto o sbagliato, ma semplicemente attivando in lui la condizione per stabilire un dialogo con se stesso e permettendogli dunque di deliberare un giudizio circa tali eventi.
6. Sulla rivoluzione. Hannah Arendt viene considerata tra i pi grandi scienziati della politica nel 1900 ed alcune sue opere restano come pietra miliare della analisi e della ricerca. Il volume realizzato nel pieno della sua maturit e incentrato sull'esame delle motivazioni politiche, sociali, psicologiche ed economiche dei moti rivoluzionari una ricca miniera di sapere alla quale tutti gli studiosi devono attingere per le elaborazioni e le interpretazioni dei fatti storici e per una comprensione pressoch esaustiva delle radici dei fenomeni rivoluzionari. Sulla rivoluzione dunque un trattato fondamentale per qualunque opera scientifica di indagine sulle componenti e le risultanze delle vicende attorno a quel determinato accadimento definito come rivoluzione. In una situazione internazionale che contrappone la minaccia di totale distruzione attraverso la guerra alla speranza di emancipazione di tutta l'umanit attraverso la rivoluzione, non resta altra causa se non la pi antica di tutte, la causa della libert contro la tirannide. Nell'opera di Hannah Arendt, lo scritto Sulla rivoluzione occupa una posizione centrale, insieme riflessione teorica ed esperienza morale della sua piena maturit. In questo libro, ormai considerato un classico, confluiscono i motivi fondamentali della sua ricerca e appare in tutto il suo significato l'idea alla quale rimasta fedele tutta la vita, secondo cui la sola ragion d'essere della politica la libert, e suo compito produrre situazioni che ne allarghino gli spazi, cio produrre istituzioni e corpi politici che garantiscano lo spazio entro cui la libert pu manifestarsi; la politica fallisce invece allorquando per scelta o costrizione sia portata a deviare da questa strada. Di qui il giudizio sul sostanziale fallimento delle due rivoluzioni francese e russa; e sulla sostanziale riuscita della rivoluzione americana, la prima delle rivoluzioni moderne. Il senso profondo del libro, come del resto di tutta l'opera della Arendt, dolorosamente segnata dall'esperienza del totalitarismo, sta nella coraggiosa rivendicazione dell'autonomia della politica (e, in polemica con Marx, del primato del pensiero), nel suo martellante richiamo alla responsabilizzazione individuale e alla socializzazione, ma istituzionalizzata, del potere, spinta fin quasi a toccare i confini di un antistatalismo libertario, nella perseveranza a individuare e combattere il mito ricorrente della violenza, la cui inevitabile conclusione 13 stata ogni volta il terrore, la deviazione e la fine della rivoluzione, la disfatta in primo luogo degli ideali in nome dei quali era stata iniziata. E' forse ozioso precisare che liberazione e libert non sono la stessa cosa; che la liberazione pu essere una condizione della libert, ma assolutamente da escludere che vi conduca automaticamente; che il concetto di libert implicito nella liberazione pu essere solo negativo, e quindi l'intenzione di liberare non si identifica col desiderio di libert. Tuttavia, se queste ovviet vengono frequentemente dimenticate, perch la "liberazione" sempre apparsa come una cosa grandiosa e la fondazione della libert sempre stata incerta, se non del tutto inconsistente. La libert inoltre ha svolto un ruolo di gran peso, e abbastanza controverso, nella storia del pensiero sia filosofico sia religioso, e lo ha fatto per tutti quei secoli - dal declino del mondo antico alla nascita del mondo moderno - in cui la libert politica non esisteva e, per ragioni che qui non ci interessano, gli uomini neppure se ne curavano. Cos divenuto quasi assiomatico, persino nella teoria politica, intendere per libert politica non un fenomeno politico ma al contrario l'insieme pi o meno libero di attivit non politiche che un determinato stato disposto a consentire e garantire a coloro che lo costituiscono. In questa opera la Arendt, attraverso il confronto tra le due suddette rivoluzioni, mette in luce come esse rappresentino due diversi modelli di fenomeni rivoluzionari, manifestando al contempo la sua concezione della politica, con la chiara adesione ai princpi che hanno ispirato la rivoluzione americana. La rivoluzione francese, nonostante il suo fallimento, diventata il modello di riferimento per giudicare le rivoluzioni. Non altrettanto accaduto per quella americana, che invece riusc perfettamente. La Arendt si chiede perch la prima sia diventata la rivoluzione per eccellenza mentre quella americana sia stata trascurata, se non addirittura misconosciuta come "vera" rivoluzione. La risposta pi convincente che un tipo di cultura che considera la politica essenzialmente come economica ed esclusivamente rivolta alla risoluzione di problemi materiali non poteva che rispecchiarsi maggiormente nei fatti francesi. Per la Arendt dopo la rivoluzione francese, il fenomeno rivoluzionario e pi in generale la politica stessa, sarebbero stati identificati rigidamente con quella che lei chiama "la questione sociale". Si pu allora capire perch la rivoluzione americana, dove fu del tutto assente una rilevante questione sociale, non rappresenti agli occhi di molti una rivoluzione in senso completo. Al contrario, per la Arendt, la fortuna della rivoluzione americana risiede proprio nell'assenza di una questione sociale. La rivoluzione fu essenzialmente politica ed ebbe esiti politici poich non ebbe preoccupazioni sociali. Infatti, la condizione di vita degli uomini delle colonie, soprattutto nel centro-nord, era mediamente lontana sia dalla grande ricchezza sia dall'indigenza pi nera, fatta eccezione per la condizione degli schiavi. La mancanza di un gran numero di poveri stupiva gli osservatori stranieri Se per un abitante di Parigi e Londra non era possibile distogliere lo sguardo dalla miseria, nelle colonie invece lo spettacolo quotidiano della povert non era cos diffuso. Secondo la pensatrice tedesca, le finalit della politica non si esauriscono esclusivamente nella necessit di trovare soluzioni a problemi materiali e contingenti ma al contrario si esprimono nella partecipazione e nella libera manifestazione delle capacit progettuali dell'uomo. Non a caso, infatti, la politica nasce nella polis greca, per merito di uomini liberi dalle necessit della vita quotidiana. Il riferimento alla polisnon serve certo alla Arendt per rievocare nostalgicamente una mitica et dell'oro ormai tramontata, ma solo per sottolineare la natura della politica e dell'agire libero che in essa si deve esplicare. Per la Arendt la libert politica richiama il concetto di libert proprio dei greci. Per essi l'uomo non nasceva n libero n uguale ma acquistava la propria libert solo nel consesso dei pari. La polis dunque per la nostra autrice un'istituzione artificiale capace di rendere uguali uomini che per natura non lo sono. La libert politica non si deve confondere con quella naturale, che si configura come semplice libert dagli impedimenti, ma presuppone l'esistenza di istituzioni artificiali capaci 14 di renderci liberi. La Costituzione americana ha creato lo spazio politico, come la polis in Grecia, all'interno del quale i cittadini possono essere liberi. La rivoluzione americana perci riuscita nell'intento di liberare le colonie dall'oppressione della madrepatria, e al tempo stesso ha creato un nuovo ordine politico all'interno del quale fosse possibile essere liberi. Durante la rivoluzione francese la miseria enorme delle masse fece s che i problemi costituzionali e politici divenissero secondari. La rivoluzione francese non conobbe perci un esito di libert poich la politica fu scavalcata dai problemi sociali. La critica della Arendt alla rivoluzione francese non va confusa con quella di Burke. L'anglo- irlandese ha criticato la rivoluzione francese poich questa aveva voluto stravolgere tutto ed aveva preteso di ricominciare ogni cosa da capo. Questa presunzione, secondo Burke, sarebbe contraria alla natura stessa delle cose, la quale impone che i cambiamenti di strutture complesse avvengano gradualmente. Per la Arendt, invece, l'aspetto negativo della rivoluzione francese il mancato esito politico e costituzionale della stessa, legato, come si gi detto, alla situazione sociale della Francia. Il problema, per la Arendt, non sarebbe tanto l'astratto razionalismo dei rivoluzionari, perch anche la Costituzione americana pur sempre qualcosa di completamente nuovo e di deliberato razionalmente. Burke condanna la rivoluzione per aver voluto mettere le mani su ci che il prodotto della storia e in ultima analisi di Dio. La critica di Burke e quella della Arendt alla rivoluzione francese muovono perci da posizioni diverse. Il primo nega di fatto il concetto stesso di rivoluzione, poich questa con la sua volont di cambiamento totale spezzerebbe i vincoli sacri esistenti tra le generazioni, tra i vivi e i morti; mentre per la Arendt il problema che il cambiamento avvenga in maniera corretta. Alla luce di quanto detto, appare allora chiara la peculiarit della Arendt. Critica la rivoluzione francese ma non ostile al concetto di rivoluzione e alla possibilit del cambiamento radicale. Mentre spesso si ritiene che opporsi alla rivoluzione francese voglia dire essere schierati su posizioni conservatrici, la Arendt rifiuta non la rivoluzione ma la sua identificazione con quelle esclusivamente "sociali" come quella francese o quella russa. Per la Arendt la rivoluzione legittima e appartiene alla politica, nella misura in cui non devia mai dal suo scopo principale ovvero la creazione di spazi di partecipazione politica e di libert. La polemica della Arendt con il marxismo evidente nella sua stessa concezione idealistica della politica. Ma non solo verso il marxismo che si rivolge la sua critica. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che nella Germania degli anni Trenta da cui questa autrice scapp, il partito nazista si era imposto sfruttando la disastrosa situazione economica e sociale. Dunque quello della Arendt un rifiuto di un modo generalmente moderno di intendere il fondamento e lo scopo della politica. I rivoluzionari francesi, espressero pi volte l'idea che la rivoluzione fosse mossa da un moto irresistibile. La Arendt non crede invece nella necessit dell'accadere umano perch questa convinzione sarebbe limitativa della libert e della responsabilit umana. La Arendt si rende conto che nella storia la libert, come possibilit illimitata di scelta, qualcosa di impossibile. Infatti, sottolinea che la specifica condizione sociale francese ha influenzato i rivoluzionari in un senso anzich in un altro. Rimane per il fatto che la responsabilit degli esiti della rivoluzione dipende dalle concezioni e dai modelli politici di riferimento dei rivoluzionari e non da una qualche necessit storica. La Arendt crede alla politica come espressione della libert umana e come primato del pensiero. Perci convinta che il successo della rivoluzione americana risieda nella saggezza politica dei suoi protagonisti e non solo nelle favorevoli condizioni sociali ed economiche in cui si svolse. Dopo la rivoluzione francese e dopo Marx in particolare, prevalsa invece la tendenza a considerare la rivoluzione come qualcosa di necessario e il rivoluzionario solo il profeta di una nuova era che comunque sta per realizzarsi. La Arendt depreca il fatto che la necessit e non pi la libert sia diventata la categoria principale del pensiero politico rivoluzionario. Secondo Arendt, Machiavelli si pose il problema, comune ai rivoluzionari, di come fondare un nuovo potere e di come renderlo autorevole. Il potere per secoli si era legittimato facendo ricorso all'assoluto, cio al volere divino. Aver sostituito questa fonte di autorit ha 15 comportato presso Machiavelli e i rivoluzionari, il problema di ricercare un assoluto altrettanto autorevole su cui fondare il potere. In Francia come in America questo problema dell'assoluto si present quando i rivoluzionari dovettero sostituire la volont del monarca, che per secoli era stata capace di assicurare al potere quella forza e quell'autorevolezza che si ritenevano necessari, con qualcosa d'altro. Per la Arendt, gli Stati Uniti risolsero il problema con l'assolutizzazione della Costituzione e con il "mito della fondazione". Resero cio quasi sacra la Costituzione, come ebbe a lamentarsi Jefferson, e trovarono nella fondazione della repubblica l'autorit di cui necessitava il nuovo organismo politico. Fondarono un nuovo stato e trovarono l'assoluto nella fondazione stessa. In Francia invece nessuna Costituzione era durata a lungo, la volont delle Assemblee non era sufficientemente autorevole ed il monarca era stato decapitato. Secondo la Arendt il problema di Robespierre e di molti rivoluzionari era di come assicurare che le conquiste della rivoluzione non andassero perse. La proclamazione della festa dell'Ente Assoluto, espressione di un certo deismo illuminista, sarebbe come la prova di questa necessit di un assoluto a cui ancorare la rivoluzione. Un altro aspetto importante di cui si occupata la Arendt sicuramente quello del terrore rivoluzionario. L'analisi della Arendt fa appello a ragioni tra loro molto diverse per cercare di cogliere la natura del terrore nei suoi aspetti pi sottili. In primis, mette in luce la connessione tra le teorie politiche di Rousseau, la questione sociale e la deriva terroristica della rivoluzione francese. Oltre questa prima spiegazione ne fornisce un'altra di ordine psicologico. Non un mistero che le teorie politiche che avevano ispirato maggiormente gli uomini della rivoluzione, come Robespierre, erano quelle di Rousseau. L'influenza maggiore il ginevrino la eserciter con il suo capolavoro Il contratto sociale. In quest' opera Rousseau sviluppa le concezioni contrattualistiche del '600 fino ad esiti democratici. Il contratto sociale, secondo Rousseau, fa nascere una volont generale. Quando gli uomini si spogliano dei propri interessi individuali e accettano che le deliberazioni avvengano solo a maggioranza, allora si pu essere sicuri che la volont generale sar sempre buona. Questa enfasi sulla nocivit degli interessi individuali propria del giacobinismo e di altre correnti politiche a noi pi vicine. Se l'interesse personale il nemico della democrazia, allora la spirale del sospetto e del terrore pu facilmente innescarsi. Il terrore giacobino era rivolto in definitiva verso l'uomo in quanto tale, poich ogni uomo portatore di un'individualit non riconducibile ad una "astratta" generalit. Per capire le dinamiche del terrore utile dire qualcosa di pi sulle caratteristiche della volont generale di Rousseau. La volont generale doveva essere unica ed indivisibile poich non ha senso che la volont deleghi ad altri i propri compiti e nemmeno, se vuole agire, che sia divisa. Robespierre diceva, infatti Il faut una volont UNE. Per combattere la lotta rivoluzionaria non bastava il consenso ma era necessaria una volont unica e capace, in quanto fermissima, di agire. La somma degli interessi dei singoli porta per Rousseau al consenso, ma la volont generale qualcosa di molto di pi. Si affermava nella rivoluzione, visti i problemi che si dovevano risolvere, il concetto che il potere dovesse essere una volont capace di volere e non di discutere. Constant, successivamente, vide il limite di questa concezione politica nel fatto che non erano posti limiti a ci che per sua natura tende a degenerare: il potere. Per Constant i rivoluzionari erano convinti che il potere fosse stato per secoli cattivo e loro non dovevano far altro che renderlo buono. Per Rousseau un potere senza limiti non era per forza negativo. Un potere illimitato che nasce ed sorretto da buoni princpi e da un corretta procedura di fondazione non pu che esser buono. Perci non sentiva di dover porre alcun limite al potere. Anzi, ogni limitazione della volont generale contraria al buon senso. Infatti, la legge non esiste prima che gli uomini diano vita al contratto sociale, perci porre un limite legale al fondamento stesso della legge sembrava al ginevrino un controsenso. Per Rousseau non ha senso appellarsi contro la volont generale perch non solo non vi sono leggi che non scaturiscano da essa ma le decisioni di questa volont non potranno che essere buone e rivolte al bene della collettivit. Il potere che Rousseau immagina qualcosa di molto simile a quello assoluto dei monarchi francesi: indivisibile, assoluto, concentrato in una solo 16 organo. Per Rousseau il potere appartiene alla collettivit, ma, di fatto, non appartiene a nessuno poich questa realt astratta e impersonale che la volont generale si costituisce spogliandosi di ogni residuo di individualit e dunque di umanit. Il potere di tutti ma nessuno, dir Constant, pu esercitarlo, visto che al governo non assicurata nessuna stabilit, e cos finisce per cadere nelle mani delle "balie". Le leggi liberticide e oppressive che videro la luce nel periodo della rivoluzione, basti pensare alla legge sui sospetti, sono il frutto del fatto che la legge fosse identificata con il volere della volont generale e in definitiva, visto quanto abbiamo detto, con il volere arbitrario di alcuni. Rifiutando la teoria della divisione dei poteri, e non riuscendo a dare nessuna autorit alle Costituzioni che furono promulgate, la rivoluzione francese si condann ad una lunga navigazione senza riuscire a scorgere un qualche approdo sicuro. Coerentemente alla sua impostazione, la Arendt non vede il terrore o le epurazioni come frutto della necessit o come fisiologiche alla lotta politica, ma come l'esito di una precisa inclinazione di coloro che lo generano. L'inclinazione in questione la piet. Arendt non vuole certo affermare che un tale sentimento sia negativo, ma vuole dire che il prevalere di una concezione sentimentale della politica pu avere effetti disastrosi. La miseria del popolo francese era senza dubbio immensa ed immensa era la piet di molti uomini verso di essa. Una piet sconfinata, incapace di limitarsi, pu rendere tuttavia gli uomini inumani e la storia ci ha dimostrato che a volte davanti al desiderio di realizzare un grande bene alcuni abbiano visto come necessaria la durezza e il sacrificio di altri uomini. Il male necessario per raggiungere le splendide mete che gli uomini intravedono una costante in molti rivoluzionari successivi. Per Robespierre la fedelt alla rivoluzione non si esprimeva con la semplice adesione ad un programma o ad alcune scelte. La fedelt era prima di tutto una qualit del cuore, un' inclinazione alla virt che doveva permeare il rivoluzionario fin nei suoi pi intimi pensieri. Questo amore per la virt il motivo per cui in Robespierre sar forte l'ossessione per l'ipocrisia. Il concetto che la persona significhi sostanzialmente una maschera era del tutto rifiutato da Robespierre. Socrate invitava i suoi amici ad essere come volevano apparire agli altri, ma i virtuosi della spontaneit pretendono che l'uomo sia e non appaia. La conseguenza di questa volont, di scrutare fin in fondo al cuore di ogni uomo, il sospetto. Ogni uomo sospettabile perch imperscrutabile la sua coscienza. Il sospetto dunque la conseguenza di un'assolutizzazione della virt. L'epurazione come rimedio dell'ipocrisia diviene cos una costante della rivoluzione francese.
7. La lingua materna. Nella trascrizione della conversazione televisiva con Gunter Gaus, Arendt appare in tutta la sua spontaneit e immediatezza di linguaggio, nel suo modo di rispondere e di vedere sincera e diretta. E' qui che si definisce teorica politica e non filosofa poich vuole staccarsi dalla tradizione che voleva il filosofo neutrale dalle questioni politiche: io voglio guardare alla politica, per cos dire, con occhi sgombri dalla filosofia. Arendt vuole comprendere gli avvenimenti, non imporre una visione pregiudiziale o univoca; solo nel dialogo, nell'azione discorsiva di una pluralit di soggetti possibile creare uno spazio pubblico che il mondo. Nel colloquio sono toccati i temi pi cari ad Arendt, dal totalitarismo al problema dell'ebraicit, il processo Eichmann, la libert e la lingua tedesca come patria del linguaggio. Prendere attivamente parte alla causa degli ebrei significava allora far parte del movimento sionista, l'unico che fosse preparata ad affrontare un problema di tipo politico, quello che la maggior parte degli ebrei non aveva capito. Essere ebrei nella Germania di HItler del 1933 significava "difendersi da ebrei", non da tedeschi o da cittadini del mondo, si doveva partecipare ad un'attivit organizzata. Della patria natia ad Arendt rimasta la lingua materna, con la quale ha un rapporto intimo, un legame stretto. Non la lingua tedesca ad essere impazzita! afferma Arendt, essa un dato inestirpabile nell'individuo, una parte di 17 esso. L'incontro con la madre terra dopo Auschwitz stato struggente, commovente, soprattutto l'esperienza di sentire di nuovo della gente che parla tedesco per strada. Arendt affronta quindi alcuni chiarimenti sul libro La banalit del male, particolarmente il passo criticato dall'intellighenzia ebraica dove sembrerebbe criticare il ruolo dei consigli ebraici. Ella non ha mai criticato la mancata resistenza del popolo ebraico, ma le domande che vennero poste ai testimoni durante il processo Eichmann. Arendt qui spiega come certi atteggiamenti, certi discorsi di Eichmann la facessero ridere: io penso che Eichmann fosse un pagliaccio [] mi sono messa a ridere tanto rileggendo l'interrogatorio della polizia ad Eichmann. Il tono certamente ironico, e questo non piaciuto a molti, esso ha a che fare con la persona, non con i crimini che ha commesso. Arendt ancora chiamata in causa quando dice in uno scambio di lettere tra lei e Gershom Scholem di non aver mai amato nessun popolo o collettivit. L'amore esiste solo tra persone, tra gruppi esiste un interesse in comune o un dato naturale. Quando l'amore viene mescolato all'azione ritengo che sia qualcosa di disastroso e catastrofico apolitico e a- mondano. Arendt conclude dicendo: ritengo che anche la parola sia una forma d'azione. Questo il primo rischio. Il secondo : noi diamo inizio a qualcosa; annodiamo il nostro filo al tessuto delle relazioni. Che cosa poi succeder, non possiamo saperlo. L'azione semplicemente concreta, perch non si lascia conoscere. Questo un rischio. Questo rischio possibile solo se si ha fiducia negli uomini. Ci significa fiducia in ci che umano in tutti gli uomini. Altrimenti non sarebbe possibile. Nel secondo saggio, Arendt riesamina gli attributi della filosofia, da Socrate ai giorni suoi e rivaluta l'opera di ricerca attiva dei filosofi mondani. In tal senso rivaluta la riscoperta del linguaggio come relazione tra un Io ed un Tu che si scambiano pareri e opinioni, entrano in comunicazione tra loro. L'ambito pubblico l'estensione di queste caratteristiche al mondo delle istituzioni e delle associazioni. L'autentica filosofia politica potr scaturire solo da un atto originario di 'thaumadzein' , dallo stupore.
8. Ebraismo e modernit. Una serie di articoli dal luglio 1942 al gennaio 1950 mettono in luce la dinamica del pensiero arendtiano sulla questione arabo-israeliana e sulla condizione dell'ebreo senza patria. Il punto distintivo consiste nel riconoscimento dell'eccezionalit del conflitto, e di conseguenza dell'impossibilit di porvi termine con una pacificazione di tipo tradizionale. La guerra tra Israele e il mondo arabo vista non come conflitto tra stati, ma come una rivendicazione di una patria contesa tra due popoli con una diversa identit. Ecco perch l'analisi arendtiana va vista nel quadro della sua filosofia politica, in cui assume un valore fondamentale il concetto di isonomia. E' l'uguaglianza dinanzi la legge, la parit della propria presenza nello spazio pubblico, e il riconoscere la reciprocit dei diritti che diventa il fulcro per una possibile soluzione del conflitto. Arendt credeva che la sopravvivenza dello Stato di Israele fosse possibile solo in una confederazione palestinese. Pur essendosi sempre sentita sensibile alle vicende di Israele, Arendt era cittadina statunitense, e pot seguire, con quel distacco che lei riteneva indispensabile per l'analisi teorica, il processo Eichmann, sottolineando in una lettera a Gershom Scholem la sua indipendenza politica da ogni vincolo privato o di comunit: Hai perfettamente ragione - non sono animata da alcun amore di questo genere, e ci per due ragioni: nella mia vita non ho mai amato nessun popolo o collettivit - n il popolo tedesco, n quello francese, n quello americano, n la classe operaia, n nulla di questo genere. Io amo solo i miei amici, e la sola specie d'amore che conosco e in cui credo l'amore per le persone. In secondo 18 luogo, questo amore per gli ebrei mi sembrerebbe, essendo io stessa ebrea, qualcosa di piuttosto sospetto. Non posso amare me stessa o qualcosa che so essere una parte essenziale della mia stessa persona. [...] Ebbene, in questo senso che io non amo gli ebrei, n credo in loro; sono semplicemente una di loro. Questo un dato di fatto fuori discussione. La posizione di Arendt segue le orme di Bernard Lazare, la cui voce era rimasta inascoltata quando l'intero movimento sionista si era schierato attorno a Theodor Herzl. Lazare, contrariamente a Herzl, non considerava l'antisemitismo come un fenomeno naturale e inevitabile, bens era convinto che solo attraverso il recupero di un'idea universale di umanit, e quindi di una dimensione politica che superasse gli angusti confini di una nazione, gli ebrei potessero accedere a quello spazio pubblico dove pu realizzarsi l'aspirazione ad un'autonomia radicale. Questa raccolta si affianca all'interpretazione arendtiana dell'opera di Kafka, che descrive situazioni in cui uomini venuti dal nulla, senza biografia e senza patria, cercano ostinatamente un'esistenza normale e dei diritti che altri godono naturalmente, che rappresenta la condizione tipica degli ebrei o di un'umanit a cui, nell'epoca del totalitarismo, pu capitare di essere trattata alla stregua degli ebrei. La storia ebraica moderna, che ha avuto inizio con gli ebrei di corte ed continuata con gli ebrei milionari e filantropi, pronta a dimenticare un'altra tendenza della tradizione ebraica: quella di Heine, Rahel Varnhagen, Scholem Aleichem, Bernard Lazare, Franz Kafka, o persino Charlie Chaplin. Si tratta della tradizione di una minoranza di ebrei che non hanno voluto diventare dei nuovi ricchi, che hanno preferito la condizione di 'pariah consapevoli'. Tutte le vantate qualit ebraiche - il 'cuore ebraico', l'umanit, lo humor, l'intelligenza disinteressata - sono qualit del pariah. Cos scriveva Hannah Arendt, in un articolo degli anni di guerra, ora parte di un libro che raccoglie saggi e interventi militanti scritti su riviste americane dal 1942 al 1950, gli anni della nascita dello Stato di Israele. Si tratta di articoli che formano un tessuto, anche contraddittorio, di riflessioni sulla condizione ebraica dopo lo sterminio, la "vittoria" sionista e il processo occidentale di integrazione. Al sionismo l'autrice rimprovera anzitutto di avere un bagaglio teorico ormai obsoleto, di aver bisogno dell'ostilit antisemita per fondare l'identit nazionale. D'altra parte non le sfuggono, per quanto riguarda la Palestina, i rischi di uno sciovinismo di tipo balcanico. Il libro raccoglie in appendice le lettere che Hannah Arendt scambi con Gershom Scholem. In questo carteggio lo studioso della mistica ebraica, sulle tracce della gnosi, sembra credere al "male radicale" e, in una serrata polemica, accusa la studiosa di non amare il popolo ebraico. Io non 'amo' gli ebrei - la risposta - sono semplicemente una di loro.
9. Verit e politica. Verit e politica fu scritto in una nota di introduzione al testo, in occasione dell'aspra e lunga polemica sorta in seguito alla pubblicazione del reportage di Arendt per la rivista The New Yorker sul processo del 1961 contro Adolf Eichmann. La polemica era sorta in merito a fatti che riguardavano il totalitarismo e per Arendt una delle caratteristiche essenziali di questa nuova forma di governo proprio l'inclinazione a trascurarare il "dato di fatto" e a fabbricare la verit sostituendo, attraverso la menzogna sistematica, un vero e proprio mondo fittizio a quello reale. Il problema fondamentale del rapporto tra verit e politica sentito oltre che nel regime totalitario anche nella nostra epoca, su cui purtroppo grava lo spettro del totalitarismo. La menzogna scrive Arendt ci familiare fin dagli albori della storia scritta. L'abitudine a dire la verit non mai stata annoverata fra le virt politiche e le bugie sono sempre state considerate giustificabili negli affari politici. 19 Il ricorso alla menzogna sembrerebbe quindi perfettamente compatibile con la politica, ma non cos. Sappiamo del legame che Arendt instaura tra politica, libert di agire e azione di concerto tra gli individui. Agire significa dare inizio a qualcosa di nuovo, dare vita all'improbabile e all'imprevisto al di l di ogni schema di comportamento, l'atto performativo che si allontana dalla routine, la spontaneit dell'essere umano che vive nel mondo e per il mondo. La fiducia di Arendt nella capacit di agire si basa su una visione realistica degli uomini e dei fatti. La sfera politica presuppone il riconoscimento della verit, di ci che dato e non pu essere cambiato a proprio piacimento. La verit costituisce il principale fattore di stabilit nelle vicende umane e l'ambito politico ha bisogno e dello spirito di iniziativa e della salvaguardia della stabilit. La menzogna allora va combattuta, oltre che per la sua immoralit, per il suo potenziale impatto distruttivo sullo spazio della politica. La menzogna politica moderna ha effetti di destabilizzazione e disorientamento collettivo. Per esempio la menzogna moderna si occupa di cose note a tutti (campi di sterminio) e invece di nascondere distrugge (ad esempio Arendt cita la politica d'immagine degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam). Attraverso un'immagine non si mira semplicemente a migliorare la realt, ma ad offrire un completo sostituto di essa. Il fatto che gli ingannatori grazie al potere di amplificazione delle menzogne dato dalle moderne tecniche di comunicazione, possano oggi cadere pi facilmente vittime delle proprie falsit, rende estremamente pericoloso il ricorso alla menzogna politica, poich l'ingannatore che inganna se stesso perde ogni contatto non solo con il proprio pubblico, ma anche con il mondo reale. Per Arendt, quella della tecnica una delle questioni centrali del nostro tempo. L'autrice di Sulla rivoluzione riconosce il potenziale di emancipazione implicito nella tecnica nella quale vede un'essenziale condizione dell'estensione della libert politica. Soltanto nell'epoca moderna diventa possibile per il popolo accedere alla sfera pubblica, e questo anche grazie allo sviluppo tecnologico che ha enormemente esteso la possibilit di emanciparsi dalle necessit della vita. Lo sviluppo tecnologico pu dare vita a risultati magnifici, ma avere anche conseguenze terribili e difficilmente controllabili; il potenziale distruttivo degli arsenali nucleari l'esempio pi emblematico, ma non l'unico. I paesi totalitari hanno dimostrato dove pu portare il tentativo di superare ogni limite, di confermare che tutto possibile. L'intera evoluzione della scienza accompagnata da una alienazione della terra che equivale ad una liberazione dai limiti dell'esperienza legata a quest'ultima e a un'astrazione dalla realt data, dalla condizione umana di essere un abitante della terra. Con l'evoluzione della scienza e della tecnica si pongono le condizioni di una distruzione del nostro ambiente naturale e di un annichilimento della statura dell'uomo. Gli individui non si limitano pi ad osservare la natura terrestre, a imitarla o trarne materiali, ma agiscono praticamente in essa, dando inizio a processi che non sarebbero intervenuti senza l'intromissione dell'uomo. Si profila lo spettro di una natura incontrollabile, una situazione in cui gli uomini possono fare ci che non riescono a comprendere. La tecnica si rende sempre pi autonoma; da risultato di uno sforzo libero e cosciente degli individui tende a diventare un processo biologico, ossia qualcosa che si erge di fronte ad essi come una necessit, come una potenza indipendente dalla loro volont. L'estendersi della sfera di ci che possiamo fare sembra diventare sempre pi indipendente dall'uomo. Si pone con urgenza il problema della capacit di fissare dei limiti al nostri poter fare e di giudicarlo. La crescita dell'apparato scientifico-tecnologico rende sempre pi difficile la sopravvivenza del senso del limite. Gli uomini si trovano sempre pi soltanto di fronte a prodotti dell'ingegno umano; il pericolo che essi finiscano per considerare reale esclusivamente ci che fatto dall'uomo e per credere che si possa fare tutto e che, di conseguenza, aumenti l'insofferenza verso ci che meramente dato. Dietro le imprese spaziali e le ricerche scientifiche volte a creare la vita in provetta Arendt vede profilarsi il desiderio di sfuggire alla mortalit e ai limiti inerenti la condizione umana.
20 10. Ritorno in Germania. In questo agile libello avvertiamo in Arendt il tentativo di comprendere come sia potuta accadere la degenerazione della morale umana in Germania. E' il suo rientro in patria dopo anni di esilio forzato in America a causa della persecuzione contro gli ebrei. I sentimenti di Hannah sono forti e intensi, passano dalla rabbia e angoscia per quello che successo, alla riappacificazione con la madre terra, con il paese in cui ha vissuto da giovane. In questo scritto sono molti i temi che affronta, ma al centro di essi sta la tematica, fortemente dibattuta negli anni successivi, del ruolo della maggior parte dei tedeschi di passivit e adesione al nazionalsocialismo. Passata la paura, i tedeschi sembrano trattare i fatti come fossero semplici opinioni, la loro una sorta di evasione dalla realt che oramai li ha condannati al ricordo struggente di ci che hanno commesso. Hannah giudica questo atteggiamento erede del regime nazista, e lo chiama relativismo nichilista. Alla gente di Berlino dedica diverse pagine in cui descrive la loro vita dopo il disastro, le loro abitudini e il tentativo di ricominciare lasciandosi dietro le spalle i misfatti commessi. Il programma di denazificazione ha fallito in gran parte poich ha permesso che molti esponenti di primo piano del nazismo restassero nelle loro posizioni di vertice, e venissero nascosti alle autorit che avrebbero dovuto fare giustizia. Dopo la caduta forzata del nazismo i tedeschi hanno dovuto riprendere la loro vita economica, aiutati dagli americani e dalle forze vincitrici, ma la loro economia era gravata dai grossi debiti di guerra e dalle sanzioni internazionali: successe quindi che i proprietari di fabbriche e industrie, di chiare simpatie naziste, riprendessero i loro posti dirigenziali per restaurare la grande Germania, per riportare sui binari giusti la storia dissestata del paese. A ci si aggiunse il problema dei profughi dall'est che alla fine della guerra si riversarono dall'est europeo. Alla fine rimane la duplice domanda: che cosa ci si poteva in generale aspettare da un popolo dopo dodici anni di dominio totalitario? Che cosa ci si poteva aspettare da un'occupazione che si vista posta dinanzi all'impossibile compito di risollevare un popolo che aveva perduto il terreno sotto i piedi? L'esempio tedesco mostra che l'aiuto dall'esterno probabilmente non libera nessuna autoctona capacit d'iniziativa e che il dominio totalitario qualcosa di pi che semplicemente la forma peggiore di tirannide. Il totalitarismo corrompe la societ fino al midollo. Arendt conclude dicendo che il problema tedesco non caratteristico dei tedeschi, bens delle societ comandate dal totalitarismo, e potrebbe essere risolto solo in un'Europa federale se si riuscir. Oggi sappiamo che Arendt aveva ragione e ha visto bene come l'integrazione in una Europa unita possa risolvere i problemi dell'intolleranza e della lotta fratricida.
11. Disobbedienza civile. I temi a cui La disobbedienza civile e altri saggi rimanda sono quelli dell'obbligo politico e della partecipazione, visti nella loro connessione col problema della libert. Sulla scia di un nuovo kantismo delineato dalla Critica del Giudizio, Arendt formula un'analisi dell'azione innovativa e sempre rivoluzionaria, nei termini del principio della libert pubblica, dello spirito pubblico e della pubblica felicit. Quello che colpisce in questo contesto la sottile consapevolezza che ogni evento umano rappresenti un paesaggio inatteso di azioni e passioni e potenzialit nuove, il cui insieme oltrepassa la somma di tutte le volont e il significato di tutte le origini. Esiste una sostanziale distinzione tra Verit e Opinione, la prima collegata alla 21 conoscenza e alla scienza, la seconda al giudizio, unico in grado di far cogliere la pienezza del mondo umano, in cui la verit pu solo rivelarsi "nella comunicazione, tra contemporanei, come tra vivi e morti. L'interesse si sposta dalla verit all'opinione, dalla conoscenza al giudizio, s che la comunicazione diventa il momento fondamentale della politica. Aver esteso al campo umano il parametro-concetto di verit ha comportato l'eliminazione della pluralit umana e l'abolizione dello spazio pubblico: il giudizio e l'opinione sono invece libere creazioni dello spirito umano. La sfera del politico concerne l'incontro-accordo tra giudizi disinteressati dei singoli, i quali aderiscono allo spazio comune, alla vista degli altri. Il potere comunicativo acquista rilevanza, e la rivoluzione, in quanto agire che comunicativo, si lega ad un concetto di fondazione come istituzione dell'autorit, come tradizione dell'agire e in tale contesto la disobbedienza civile consiste in un'azione che partecipazione, consenso- contestazione e quindi espressione di quell'associazionismo volontario che sempre stato il rimedio tipicamente americano al fallimento istituzionale, all'impossibilit di fare affidamento sugli uomini e alle incertezze dell'avvenire. Per Arendt, noi siamo liberi di cambiare il mondo e di introdurvi il nuovo. Senza questa libert mentale di riconoscere o di negare l'esistenza, di dire s o no, non ci sarebbe alcuna possibilit d'azione; e l'azione evidentemente la sostanza stessa di cui fatta la vita politica. Nell'analizzare la disobbedienza civile, Arendt sottolinea il turbamento che arreca alla legalit ma anche una sorta di valvola di sicurezza nei momenti in cui le istituzioni fanno naufragio, diventa come afferma Rawls uno dei meccanismi di stabilizzazione di un sistema costituzionale. In questo contesto, dobbiamo dire che il fine della legge quello di essere un freno all'eccessiva mobilit delle azioni libere degli individui, le leggi sono limiti, barriere, quadri di riferimento. Il diritto non strumento o esigenza di giustizia, solo concepito per mantenere la stabilit. Il diritto e le costituzioni sono costruite dall'uomo, e sono determinate nel tempo e nel territorio su cui legiferano, non hanno la necessit delle leggi naturali. Leggi, costituzioni e patti sono gli elementi stabilizzanti degli affari umani, sono uno dei modi specifici in cui il mondo introdotto nell'esistenza dell'uomo. Per disobbedienza civile Arendt non intende una delinquenza di tipo comune, o una resistenza o obiezione di coscienza. Perch vi sia disobbedienza civile necessario che si verifichi una violazione disinteressata, consapevole e intenzionale di una legge valida, emanata da un'autorit legittima, la violazione deve essere pubblica e pubblicizzata perch espressione dell'opinione di un gruppo, senza interessi personali. Sono le opinioni e non gli interessi a spingere alla disobbedienza civile. Essa volont di opposizione che si esplica sulla scorta di un'opinione condivisa diretta contro leggi determinate. La disobbedienza civile espressione di quell'agire di concerto, che la vera anima della politica, e nasce dall'accordo comune. L'accento si sposta da una considerazione della disobbedienza civile quale fatto della coscienza individuale ad una considerazione quale fatto di una coscienza collettiva, cio politica. La coscienza comune, al contrario, che si realizza nell'incontro-accordo delle opinioni, sempre un agire di concerto, quindi potere. La disobbedienza civile in quanto espressione di un impegno politico, non risponde ad un rifiuto dell'obbligazione politica, bens ad una riaffermazione della sua priorit sul diritto. La differenza tra consenso generalizzato ad una comunit, implicante continua accettazione delle sue regole, e consenso relativo alla vita della comunit, si arricchisce di variabili quali la comprensione, il perdono e la promessa. Il consenso, che lo spirito delle leggi americane, fondato sulla nozione di un contratto implicante obbligazioni reciproche. Il consenso e il diritto al disaccordo sono diventati l'ispirazione e il principio di organizzazione dell'azione e hanno insegnato agli abitanti di questo continente l'arte dell'associarsi insieme. [] La minaccia che grava oggi sul movimento studentesco, che oggi il pi importante dei gruppi che praticano la disobbedienza civile, non deriva solo dal vandalismo, dalla violenza, dai furori e 22 dalle cattive maniere, ma dal crescente contagio delle influenze ideologiche (maoismo, castrismo, stalinismo, marxismo, leninismo e via di seguito) che conducono, in realt, alla divisione e alla dissoluzione dell'associazione. Arendt ritiene che la disobbedienza civile sia il rimedio migliore contro l'impotenza del controllo giurisdizionale. Si dovrebbe quindi, per prima cosa, ottenere per le minoranze che praticano la disobbedienza civile la stessa forma di riconoscimento che accordata a numerosi interessi particolari, ai gruppi di pressione, che con la mediazione dei loro rappresentanti possono influenzare e sostenere il Congresso con l'arma della persuasione, col peso della loro opinione e del numero degli aderenti. Si dovrebbe in secondo luogo, secondo Arendt, riconoscere pubblicamente che il Primo Emendamento non autorizza, n nella lettera n nello spirito, l'esercizio del diritto di associazione, cos come viene di fatto praticato nel paese. Il diritto non potrebbe giustificare la violazione della legge, anche quando questa violazione avesse per obiettivo di impedire la violazione di un'altra legge. In conclusione categoria fondamentale resta per Arendt la nascita che d all'uomo la capacit di essere un inizio, con la sua azione e la sua libert. Il secondo saggio, Comprensione e politica, punta l'attenzione sulla categoria della comprensione e sulla sua funzionalit nell'interpretare la storia degli eventi. Lottare contro il totalitarismo significa comprendere le sue radici e il suo sviluppo, un'attivit in fieri, senza fine, sempre diversa e mutevole, grazie alla quale accettiamo la realt, ci riconciliamo con essa, ci sforziamo di essere in armonia col mondo. Comprendere non per perdonare, non un atto unico che termina al suo compimento, significa invece riconciliarsi con un mondo in cui cose del genere sono semplicemente possibili. Dato che i movimenti totalitari sono apparsi in un mondo non totalitario, il processo della loro comprensione chiaramente un processo di autocomprensione. Il paradosso della situazione moderna sembra consistere nel fatto che il nostro bisogno di trascendere la comprensione preliminare e l'approccio prettamente scientifico nasca dalla perdita degli strumenti di comprensione. La nostra ricerca di significato ad un tempo stimolata e frustrata dalla nostra incapacit di creare significato. [] Per coloro che hanno a cuore la ricerca del significato e della comprensione ci che sorprendente nel sorgere del totalitarismo non che esso sia qualcosa di nuovo, ma che esso abbia portato alla luce la rovina delle nostre categorie di pensiero e dei nostri criteri di giudizio. La novit il regno dello storico che, a differenza di quello dello scienziato, che fa riferimento ad ogni evento ricorrente, si occupano di eventi che capitano una sola volta. Solo quando accaduto qualcosa di irrevocabile possiamo tentare di tracciarne la storia: l'evento illumina il suo passato ma non pu mai essere dedotto da esso. E' compito dello storico scoprire in ogni periodo dato l'imprevisto ed il nuovo con tutte le sue implicazioni e scoprire il pieno potere del suo significato. E la Storia una storia che ha molti inizi ma nessuna fine. Arendt riprende il tema della banalit del male sul quale si era soffermata durante il resoconto sul processo Eichmann. Gli atti mostruosi non potevano essere giustificati dalla presunta mostruosit del loro autore, dalla sua malvagit o insanit o qualche convinzione ideologica. L'unica caratteristica che si potesse cogliere in Eichmann era qualcosa di totalmente negativo: indubbiamente non si trattava di ottusit, ma di una strana, autentica incapacit di pensare; accettava ogni nuovo codice di giudizio come se si fosse trattato solo di una diversa regola linguistica. E' possibile fare il male, non solo sotto la forma di peccato di omissione, ma anche di commissione senza che ci sia una motivazione in senso assoluto, un qualsiasi particolare supporto di interesse o volizione? La malvagit, comunque la si definisca, questo essere determinati ad esser criminali, non una condizione necessaria per il male? La nostra capacit di giudizio, di distinguere il giusto dall'ingiusto, il bello dal brutto, dipende dalla nostra facolt di pensare? Sono questi gli interrogativi che Arendt si pone nel saggio. 23 Arendt enuncia tre proposizioni che sono le sue principali argomentazioni per quanto riguarda la stretta connessione esistente tra capacit o incapacit di pensare e il problema del male. Primo. Se tale connessione esiste sempre, allora la facolt di pensare, in quanto distinta dalla sete di conoscere, deve essere riconosciuta ad ognuno e non pu essere privilegio di pochi. Secondo. Se Kant nel giusto e la facolt di pensare si ribella naturalmente contro l'accettazione dei propri risultati come solidi assiomi, allora non possiamo aspettarci dall'attivit di pensiero alcuna proposizione o comando morale, alcun codice definitivo di condotta, e meno che mai una definizione nuova e dogmaticamente asserita di ci che sia bene o male. Terzo. Se vero che il pensiero ha a che fare con degli invisibili ne segue che fuori dalla norma perch normalmente siamo in un mondo d'apparenza nel quale l'esperienza pi radicale della disapparenza la morte. Si sempre ritenuto che il dono di occuparsi di cose che non appaiono richiedesse un prezzo, cio rendesse cieco il pensatore o il poeta nei riguardi del mondo visibile. [] Non ci sono pensieri pericolosi, ma il pensiero in s ad essere pericoloso, anche se il nichilismo non un suo prodotto. Esso non altro che l'altro lato del convenzionalismo; il suo credo consiste nella negazione dei valori correnti, cosiddetti positivi, a cui rimane legato. Anche il non pensare, che sembra essere una situazione tanto raccomandabile in campo politico e morale, comporta i suoi rischi. Corazzando la gente contro i rischi dell'analisi, li abitua ad accettare immediatamente qualunque regola di condotta vigente in un dato tempo e in una data societ. La gente abituata a non prendere mai decisioni. Sebbene Socrate negasse che il pensiero corrompesse, non pretendeva che esso rendesse migliori, e sebbene dichiarasse che nessun bene pi grande fosse mai capitato alla citt di quello che egli stava facendo, non pretendeva di aver iniziato la sua carriera di filosofo per diventare un tale grande benefattore. Se una vita senza ricerca non degna di essere vissuta (Apologia 30 e 38), allora il pensare accompagna il vivere quando si occupa di concetti quali giustizia, felicit, temperanza, piacere, con parole che designano cose invisibili, parole che il linguaggio ha dato per esprimere il significato di tutto quello che accade nella vita e ci capita mentre siamo vivi. Gli uomini amano la saggezza e fanno filosofia perch non sono saggi, proprio come amano la bellezza e fanno bellezza perch non sono belli. Il brutto e il male sono esclusi per definizione dagli interessi del pensiero, sebbene essi possano occasionalmente presentarsi come deficienze, mancanza di bellezza, ingiustizia e male, come mancanza di bene. Questo significa che manca di radici proprie, di essenza che il pensiero possa afferrare: il male consiste nell'assenza, in qualcosa che non c'. Il pi cospicuo e pericoloso errore nella proposizione antica "Nessuno fa il male volontariamente" la conclusione implicita "Ognuno vuole fare il bene". La triste verit che la maggior parte del male fatto da gente che non ha mai preso la decisione se essere cattiva o buona. La manifestazione del vento del pensiero non conoscenza, ma la capacit di distinguere il giusto dall'ingiusto, il bello dal brutto.
12. Frasi significative. Non era stupido, era semplicemente senza idee [...]. Quella lontananza dalla realt e quella mancanza di idee, possono essere molto pi pericolose di tutti gli istinti malvagi che forse sono innati nell'uomo. Questa fu la lezione di Gerusalemme. Ma era una lezione, non una spiegazione del fenomeno, n una teoria. (La banalit del male) Gli elementi del totalitarismo costituiscono le sue origini, purch per origini non si intenda cause. La causalit, cio il fattore di determinazione di un processo di eventi, in cui un evento sempre ne causa un altro e da esso pu essere spiegato, probabilmente una 24 categoria totalmente estranea e aberrante nel regno delle scienze storiche e politiche. Gli elementi divengono l'origine di un evento se e quando si cristallizzano in forme fisse e definite. Allora e solo allora, sar possibile seguire all'indietro la loro storia. L'evento illumina il suo stesso passato, ma non pu mai essere dedotto da esso. (Le origini del totalitarismo) I lager sono i laboratori dove si sperimenta la trasformazione della natura umana[...]. Finora la convinzione che tutto sia possibile sembra aver provato soltanto che tutto pu essere distrutto. Ma nel loro sforzo di tradurla in pratica, i regimi totalitari hanno scoperto, senza saperlo, che ci sono crimini che gli uomini non possono n punire n perdonare. Quando l'impossibile stato reso possibile, diventato il male assoluto, impunibile e imperdonabile, che non poteva pi essere compreso e spiegato coi malvagi motivi dell'interesse egoistico, dell'avidit, dell'invidia, del risentimento; e che quindi la collera non poteva vendicare, la carit sopportare, l'amicizia perdonare, la legge punire. (Le origini del totalitarismo) La manifestazione del vento del pensiero non la conoscenza; l'attitudine a discernere il bene dal male, il bello dal brutto. (La vita della mente) Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano n perversi n sadici, bens erano, e sono tuttora, terribilmente normali. (La banalit del male) Dal che si potrebbe concludere che pi un bugiardo ha successo, pi gente riesce a convincere, pi probabile che finir anche lui per credere alle proprie bugie. (La menzogna in politica) E' anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga n una profondit, n una dimensione demoniaca. Pu ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perch si diffonde come un fungo sulla sua superficie. E' una sfida al pensiero, come ho scritto, perch il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s'interessa al male viene frustrato, perch non c' nulla. Questa la banalit. Solo il Bene ha profondit, e pu essere radicale. (Scambio di lettere con Gershom Scholem) A differenza della natura, la storia piena di eventi. (Tra passato e futuro) Tradizionalmente, perci, il termine vita activa riceve il suo significato della vita contemplativa; la sua limitatissima dignit le conferita dal fatto che essa serve la necessit e il bisogno di contemplazione in un corpo vivente. (Vita Activa) Tutti i termini filosofici sono metafore, analogie, per cos dire congelate, il cui significato autentico si dischiude quando la parola sia riportata al contesto d'origine, certo presente in modo vivido e intenso alla mente del primo filosofo che la impieg. (La vita della mente) Io non credo che possa esistere qualche processo di pensiero senza esperienze personali. Tutto il pensiero meditazioni (Nachdenken), pensare in seguito a una cosa. (La lingua materna)