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SOCIOLOGIA DELLA DEVIANZA

Il nome riflette il soggetto, ci occuperemo di fenomeni di devianza, un concetto differente e più ampio e
generale di quello di crimine. Il primo ha un’accezione più vasta, non si riferisce soltanto ai reati che sono
sanzionati dai codici, ma a comportamenti e stili di vita, atteggiamenti che contrastano le norme sociali.
La sociologia della devianza è una riflessione sociologica che ha per oggetto vari fenomeni che hanno a che
fare con l’infrangere delle norme che sono socialmente accettate e condivise (non è solo il crimine, il furto e
l’omicidio, ma aspetti più ampi). È un fenomeno minoritario che si discosta dalla media.
Si interroga su quali sono le ragioni che stanno alla base di questo fenomeno di mancato rispetto della
norma sociale.

SCUOLA LIBERALE
Nel ‘700 inizia l’Età dei Lumi, una corrente intellettuale che si diffonde nella nazioni europee che scredita le
superstizioni e si affida alla ragione e alla scienza, che illuminavano le attività umane e le società. Dalla
ragione derivano le regole di comportamento, le norme che regolano lo stare insieme e i rimedi utili per
contrastare i problemi.
Con questo periodo si va anche profilando l’emergere di una visione specifica e particolare e rivoluzionaria
di concepire l’esercizio del potere, e di pensare il rapporto che c’è tra potere e libertà: è un legame
inversamente proporzionale, più cresce il potere istituzionale, più decresce la libertà del cittadino, è un
rapporto a somma zero. Il potere pensa sempre la libertà come qualcosa da contenere e limitare.
Nasce un’idea totalmente opposta: la libertà dei cittadini e degli attori sociali non è il contrario
dell’esercizio del potere ma diventa uno strumento nelle mani del potere. La libertà diventa qualcosa che
permette al potere di esistere. Il potere si nutre di libertà. Più si dà libertà ai cittadini più il potere è efficace.

MICHEL FOUCAULT
È un teorico storico del pensiero francese. Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 del ‘900 teneva corsi
presso un’istituzione francese che raccoglieva gli accademici francesi che si erano più distinti nei loro campi
di ricerca, questi tenevano corsi con contenuti originali.
Lui dedica i propri corsi ai problemi del governo, all’esercizio del potere. Qui cita un esempio: il crimine;
bisogna contrastarlo. Il primo modo che viene in mente ad una persona è la punizione, il crimine va punito.
Il criminale si macchia di un comportamento che contrasta una legge che il governante ha deciso perciò
viene estratto dal corpo sociale, viene imprigionato. La pena che gli viene somministrata ha una funzione
manifesta (ovvero punirlo) ma ne ha anche una latente, mostrare la grandezza del potere. Il potere trova il
suo strumento principe nella pena, che deve essere spettacolare.
Il crimine si può trattare anche rieducando, deve essere reso possibile al reo di far nuovamente parte della
società. Come? Togliendolo dal corpo sociale, chiudendolo nel carcere e facendolo lavorare, recuperare gli
anni scolastici, attività ricreative, ecc. Queste attività vengono svolte sempre con un controllo esterno, deve
esserci prima però un insegnamento, divenendo così un potere disciplinale. Per esempio, la buona condotta
viene decisa dalla persona che controlla e valuta il reo in base all’insegnamento che è stato dato in
precedenza.
La differenza fra le due modalità sta nel fatto che il primo non si occupa della rieducazione del reo, non c’è
il reinserimento nella società. Il potere sovrano vieta delle cose e tutto ciò che non è vietato diventa
possibile e diventa totalmente negativo. Il potere disciplinare invece dice come fare le cose, è un potere
positivo.
Il terzo modo per trattare il crimine è quello più vicino al nostro modo di pensare, si differenzia il concetto
di crimine da quello di reato. Ci si chiede chi commette i crimini, ci si pongono delle domande (dove vivono,
se sono maschi o femmine, ecc). ci si chiede se esistono dei sistemi penali e giuridici che riducono o
aumentano le tipologie di crimine, se la pena data ha effetto, quanto costa contrastare i reati in questo
modo, quanto paga la comunità (gettito fiscale), se ne vale la pena. C’è l’idea che il crimine sia intrinseco
alla società, non può essere mai sradicato completamente, è concepito come un fenomeno naturale e
normale. Visto che non può essere sradicato, il crimine va contenuto. Si deve individuare un tasso relativo a
ciascun crimine che sia in qualche modo funzionale al normale andamento della vita aggregata. Questo
range deve essere in uno stato di equilibrio.
Questo modo viene definito politica della sicurezza, un approccio securitario. Si identificano dei tassi di vari
crimini entro i quali le azioni umane devono essere contenute che devono essere compatibili con il
funzionamento della società. Il potere non si impone, ma regola.

POTERE-LIBERTÀ
I sovrani francesi fra il ‘600 e il ‘700 ebbero difficoltà a contrastare la carestia e cercarono delle modalità
per riuscirci. Nel ‘600 la scuola economica dominante era il mercantilismo. I mercantilisti sono degli
economisti che credevano nel ruolo pubblico nell’ambito del mercato, la politica doveva intervenire in
maniera massiccia nel mercato. Vennero vietate le esportazioni di grano, così come le scorte di grano di
ogni contadino, doveva essere venduto tutto ad un prezzo stabilito dallo stato (il più basso possibile), non si
poteva coltivare altro se non il grano, per aumentare la quantità del cereale presente nel paese. Il problema
della carestia per loro si risolveva. Non accadde, anzi si peggiorò, perché il prezzo a cui veniva venduto il
grano era troppo basso, i contadini non guadagnavano dalla vendita, così l’anno seguente ne coltivarono
molto meno e la quantità di grano si ridusse in maniera costante.
Tutto cambia nel ‘700 con l’avvento della generazione di economisti chiamata fisiocrazia. Pensavano che ci
fosse un ordine naturale del mercato, essendo una realtà che si autoregola, il mercato ha le proprie leggi
interne e soltanto se lo si lascia agire possono attuarsi. Tolgono tutte le restrizioni, perciò i contadini sono
liberi di esportare, di importare, di fare scorte, di coltivare ciò che vogliono e lasciano libertà dei prezzi
secondo le regole del mercato. Dando libertà i prezzi aumentano, ma non era un male: se i prezzi si alzano i
contadini guadagnano molto, investendo nella produzione gli anni successivi. La quantità di grano si alza e il
prezzo, visto che c’è tanta disponibilità, si abbassa. Ci sarà così una grande abbondanza nei granai, perciò
quando tornerà la carestia non sarà un problema perché ci sarà tanta disponibilità di merce.
In caso di un’annata difficile, i prezzi si alzano vertiginosamente MA lasciando la libertà ai contadini di fare
ciò che vogliono si crea la soluzione perenne del problema della scarsità: la concorrenza genera incertezza.
L’incertezza creata dalla libertà permette di far giocare le varie componenti del mercato una contro l’altra.
In questo gioco reciproco di forze tutti vogliono guadagnare, perciò si risolve da sé il problema della
carestia. Qui non c’è un intervento specifico esterno (prezzi stabiliti, intervento dello stato), qui il potere
non fa niente, si limita a creare un ambiente in cui all’interno fa giocare le varie forze che animano la vita
sociale (in questo caso le forze di mercato). Il potere è frugale, sta a lato, regola (potere governamentale).
Questa è l’essenza del liberalismo, il potere che si fonda sulla libertà regolata.
Il risultato è un contrasto continuo sul problema della carestia.
I liberali sostengono che l’ordine sociale e il bene collettivo emergono con l’egoismo delle persone, che
soddisfano i propri fini, non si devono preoccupare degli altri. Il desiderio è una forza totalmente soggettiva
ed egoistica connaturata all’essere umano di cercare la propria felicità, il proprio benessere e la ricchezza.
Nel momento in cui si libera il desiderio, si realizza la dinamica che i desideri dei singoli attori quando sono
perseguiti razionalmente producono il benessere collettivo. Il potere deve lasciare liberi gli attori sociali di
soddisfare i propri desideri.

Tuttavia il potere non può non fare niente, ci sono delle condizioni minime ma necessarie che devono
essere soddisfatte affinché sia data a tutti la possibilità di perseguire razionalmente la soddisfazione dei
propri bisogni:
 Garantire la libertà, togliere barriere e limitazioni
 Proteggere i diritti inviolabili (vita, proprietà privata, l’integrità fisica dei soggetti). Come?
Stabilendo delle pene per chi trasgredisce. La pena assume il significato di paura, di disincentivo, ha
una funzione disincentivante utilizzando i mezzi più adeguati per raggiungere uno scopo (razionalità
e criterio di efficienza). Ci si concentra sui reati, non sul reo in sé.
I reati più pericolosi sono gli atti alla persona e il furto, tentato alla persona e alla proprietà privata.
Il primo elimina gli attori che devono competere nel mercato, il secondo non permette alle persone
di impegnarsi nei propri obiettivi perché non c’è la sicurezza della propria proprietà.
I soggetti per i liberali sono entità molto astratte e uguali, funzionano tutti nella stessa maniera. Hanno tutti
gli stessi desideri, che credano siano tutti materiali, e li soddisfano in maniera razionale.
Giandomenico Romagnosi analizza la funzione disincentivante della pena, crede che sia una controspinta.
CRIMINOLOGIA POSITIVA
Cesare Lombroso credeva nell’idea opposta dei liberalisti. Non si può lasciare sullo sfondo chi compie il
reato, escluderlo con un’analisi così astratta. Bisogna studiare scientificamente chi compie l’atto deviante.
La criminologia positiva (fine ‘800) si configura come una reazione al concetto anonimo e poco specifico di
individuo elaborato dai liberali.
Lombroso si interroga sui lineamenti e sulle caratteristiche di chi compie i reati. Sposta il baricentro
dell’analisi, non ci si occupa più tanto dei reti ma del reo. Lombroso dà origine ad una scuola che ha vari
esponenti, fra cui Garofano e Ferri.

Ferri conclude dicendo che non bisogna dimenticare i fattori sociali: guardando i tassi di criminalità si
capisce che il fenomeno è in stretta connessione con la povertà, perché di solito chi compie atti criminali è
povero, vive in quartieri disastrati, vive una condizione di disagio. La sua teoria dei sostitutivi penali
sostiene che si vuole prevenire l’atto deviante bisogna portare istruzione, gli operatori sociali nelle zone
disagiate.
Esistono alcuni fattori tipici di chi compie atti criminali, ma se si imposta la propria analisi in questi termini
le persone che assomigliano a questo modello vengono discriminate. Se una persona commette un piccolo
atto criminale, come il furto in un supermercato, si pensa che quello che ha fatto sia sintomo di una cosa
che in futuro sarà più grande, come un omicidio, ma non è detto che sia così.
L’approccio liberale e l’approccio positivo danno origine all’ideologia della difesa sociale: la società deve
essere difesa dal fenomeno della devianza ed esistono degli apparati che sono appositi per proteggerla.
Noi diamo per scontato che esista un potere legittimo che sceglie gli atti che devono essere considerati
devianti in maniera neutra ed universale.

TEORIE PSICOANALITICHE DELLA DEVIANZA


Gli psicoanalisti credano che l’atto deviante sia il frutto di una nevrosi: la nevrosi è un conflitto psichico che
ha sintomi che non hanno base organica, possono essere diversi (tante fobie, ansia, disturbi ossessivo
compulsivi). La loro natura affonda le radici nel conflitto psichico, e ci si sente sempre in colpa senza sapere
il perché. Qui il reato ha una strategia per dare un significato al senso di colpa, diventa un modo per fissare
e dare consistenza al malessere e alla sofferenza inesplicata. È un modo per attenuare la sofferenza. Questo
accade perché non si è superata la fase edipica nello sviluppo psicosessuale.
La pena funziona da terapia, avvertiamo un senso di colpa che non sappiamo decifrare, perciò commetto un
atto e il fatto che io venga punito mi fa sentire bene con la mia coscienza, perché merito la punizione.

REICH
Uno psicanalista austriaco, dice che la pena è desiderata dal deviante ma questa è un oggetto particolare:
ha una natura bifronte, c’è un bisogno di subirla da parte del deviante ma c’è anche un bisogno della
società di infliggerla; riprende la teoria durkheimiana della pena: la pena è un atto simbolico attraverso cui
la coscienza collettiva si manifesta, mette in mostra di manifestare la sua autorità.
Reich si rifà al modello freudiano, la mente è suddivisa in tre parti: l’Es, l’Io e il Super io. Il Super io acquista
una voce più autorevole dal fatto che le pene vengono date. Il tribunale condanna il reo, la pena deve
provenire dall’autorità istituita, da chi è incaricato dalla società a svolgere quella mansione, e la svolge in
maniera legittima. Vedere comminata la pena rafforza il Super io. Al contrario, se il delinquente la fa franca,
le autorità mondane sconfessano il Super io, e le tendenze asociali nel soggetto trovano campo libero. C’è
l’esigenza di mostrare qualcosa al nostro Io.
La pena soddisfa anche il nostro bisogno di esercitare violenza, radicato in noi c’è un desiderio che è
fortemente antisociale (desiderio dell’aggressione, dell’esercizio della violenza), questo è censurato dalle
istanze sociale, ma rimane presente a livello inconscio. Il veder punito l’altro funziona da dispositivo di
soddisfazione vicaria. La pena ha una funzione catartica, è una liberazione.
Nelle nostre società ci sono diversi dispositivi che hanno questa funzione vicaria (es. lo sport).
La routine genera noia, la vita emotiva dell’uomo occidentale è piatta, allora nasce un’industria, dei
dispositivi che servono a riportare l’imprevedibilità, l’aggressività e la violenza dentro al nostro orizzonte,
perché hanno dentro di loro il rischio, che rompe il grigiore della noia quotidiana.
È impossibile riformare il sistema penale perché la società ha bisogno di violenza, più la società diventano
pacifiche e più c’è bisogno dell’esercizio della pena. Per approdare ad una forma di giustizia da cui siano
bandite le forme catartiche della pena, si necessita di istituzione che continuino a drenare questo bisogno e
di un rapporto dell’uomo con la propria vita affettiva che sia totalmente trasformato. È necessario un lavoro
degli uomini e delle donne su loro stessi in modo che si riapproprino della loro vita affettiva.
La personalità degli ufficiali che sono preposti all’esercizio della penalità è simile a quella dei devianti:
infliggono la pena direttamente, proprio come i criminali. Questi desiderano attuare la violenza.
Concetto di proiezione: la personalità proiettiva consiste nel proiettare/attribuire dei limiti, difetti e
caratteristiche tipici della nostra personalità su altri. Il desiderio di violenza non si esaurisce, ma resta
dentro di noi come tensione asociale, elemento di aggressività. Questo residuo di aggressività deve essere
indirizzata verso qualcuno, generalmente verso i soggetti marginali, deboli, minoritari, outsiders. Sono
indifesi e non totalmente integrati nel corpo sociale. Sono perfetti capri espiatori.
Le ragioni che stanno alla base di un atto deviante sono dentro il soggetto, il reo. Il reato è sempre
espressione di un atteggiamento interiore che è contrario alle norme presenti nella società. La pena
funziona sia come retribuzione (vendetta) ma anche come contro motivazione al comportamento criminale.
L’atto criminale va davvero a contrastare dei valori e norme che sono oggettivamente collettivi.

VISIONE DI DURKHEIM
Molti dei comportamenti soggettivi non derivano da scelte prese in totale libertà, ma a volte esistono dei
meccanismi sociali che favoriscono certi stili di condotta. La devianza è un fenomeno sociale.
Durkheim smantella l’idea della naturalità sociale, la devianza è in stretta funzione degli assetti della
coscienza collettiva. La moralità è variabile. L’atto non è deviante in sé, ma lo è in rapporto all’assetto della
coscienza collettiva.
Centralità e precisione del valore: più un valore è posto al centro della coscienza collettiva più gravi saranno
le pene che verranno comminate a chi lo trasgredisce. Quel valore deve avere degli stili comportamentali
precisi. Il reato non è un fenomeno patologico, il reo non è un essere totalmente dannoso, ma è un agente
regolatore della vita sociale, perché il reo trasgredisce i dettami della coscienza collettiva e facendo questo
da occasione alla società di esercitare violenza su di lui e facendo questo la coscienza collettiva riafferma i
propri valori; molto spesso il deviante funziona come innovatore sociale: spesso i tassi di reato crescono in
relazione a quegli aspetti che necessitano di essere modificati.
La devianza è un fenomeno funzionale, positivo, perché rinsalda i confini delle sue forme di solidarietà e
perché è un fenomeno di innovazione sociale, può portare a cambiamenti sociali.
Anomia: condizione patologica in cui la società si trova in una condiziona di non essere più regolata, non ha
più norme e regole. Si verifica in condizione di crisi, in momenti di involuzione sociale. Si verifica anche con i
progressi repentini, questi cambiamenti bruschi fanno si che il complesso regolativo della società vada in
frantumi, la società si è sviluppata troppo repentinamente e le norme sociali si riferiscono a contesti che
non esistono più. Perciò si prova a crearne di più efficaci.
Un’altra condizione anomica può essere non racchiusa dentro un periodo, ma è una condizione in cui le
regole non parlano alla coscienza degli attori, i valori della coscienza collettiva in realtà non sono
interiorizzati dai membri della società. Le regole sono vissute come un’imposizione. Le norme sociali hanno
bisogno di sanzioni, ma è necessario interiorizzarle. La vera sanzione dovrebbe essere il rimorso. Il reo deve
essere d’accordo con il giudice, la pena è solamente un elemento accessorio.
Lo stadio anomico è quello della modernità, le regole non parlano alla coscienza degli attori. I soggetti così
si comportano bene solo perché hanno paura della punizione, perciò si deve realizzare una società piena di
controllori. Il rischio è così lo stato di polizia.
Le coscienze collettive mutano nel tempo e nello spazio. I valori cambiano, ma nello stesso momento
esistono società diverse che sono caratterizzate da set diversi della coscienza collettiva. Saranno stazionati
da condotte differenti.
Il problema non è che c’è la devianza, ma che non ci sono le norme. Ci sono delle fasi anomiche, prive di
regole. L’anomia non è solo il momento storico in cui le regole non esistono più in un dato periodo storico,
ma una fase da cui è molto difficile uscirne in cui le norme sociali non parlano più agli attori sociali, non
smuovono la loro coscienza.
ROBERT MERTON
Sulla scia di Durkheim, impiega il concetto di anomia, che utilizza nel senso di incapacità delle norme di
parlare alla coscienza dell’attore sociale.
Merton afferma che il comportamento deviante è un comportamento appreso, imparato attraverso un
percorso di apprendimento che è identico a quello che segue il soggetto per imparare ad essere un bravo
cittadino. La dinamica è la stessa ma variano i contenuti.
Si arriva ad apprendere la devianza in virtù dell’anomia. Merton distingue due realtà che caratterizzano il
sociale:
1. Struttura sociale: le classi sociali, la società è strutturata in base a classi, degli strati di individui che
manifestano una certa omogeneità in base al reddito e al capitale culturale (titolo di studio). Nella
struttura esistono una serie di istituzioni (es. scuole, mercati, aziende, industrie)
2. Cultura sociale: l’insieme dei valori e delle mete culturali.
L’anomia si crea quando la struttura e la cultura sociale non si intersecano in maniera ottimale, le mete
culturali sono condivise da quasi tutti i membri della società ma i mezzi non sono distribuiti equamente. Si
interiorizzano i fini ma non tutti possono raggiungerli, per mancanza di mezzi equi. Questa disuguaglianza è
il senso dell’anomia. È un disaccoppiamento delle mete culturali e i mezzi legittimi che devono essere
impiegati per essere raggiunte.
I soggetti reagiscono così alla situazione per creare delle soluzioni:
 Comportamento conforme: l’accettazione delle mete culturali e dei mezzi legittimi per
raggiungerle
 Comportamento innovativo: il deviante accetta le mete culturali, ma non accetta i mezzi legittimi
 Comportamento asociale: non si accetta la meta culturale e nemmeno i mezzi (es. drop out, gli
emarginati)
 Comportamento ritualista: non si accettano le mete culturali ma i mezzi legittimi (es. piccolo
burocrate, attaccato alla procedura e perde il senso del suo lavoro). Trae soddisfazione non dal
lavoro finito ma dalla sua procedura, fa del mezzo la meta
L’unico comportamento non deviante è quello conforme, mentre gli altri rappresentano esempi di
devianza.
I colletti bianchi (crimini fiscali, come l’evasione) commettono reati che non vengono compiuti dagli strati
sociali meno abbienti, anzi, di solito sono soggetti che appartengono all’elite della società. Quindi esiste una
fetta di crimine che non viene additata dalla morale comune, però esiste. Per Merton questo crimine è di
soggetti che non hanno interiorizzato a sufficienza la norma, hanno i mezzi per raggiungere i propri fini ma
scelgono di deviare. Questo ragionamento si rifà alla visione psicologica del fatto, quindi si crea una
contraddizione fra le prospettive. Merton non riesce a risolvere questo paradosso, così interviene
Sutherland.

EDWIN SUTHERLAND
Muove la critica a Merton, proponendo che questo aveva visto la questione, ma la sua estrazione borghese
non gli aveva permesso di approfondire il problema.
La devianza si apprende per contatto e vicinanza, tanto si è vicini ad attori sociali devianti, tanto si apprende
il comportamento deviante (azione di imitazione). Questa è la teoria dei contatti differenziali.
Scuola di Chicago, luogo molto rinomato da cui si rifanno molti sociologi. Siamo negli anni ‘50/’60 e
l’approccio era quello funzionalista, era una sociologia molto astratta e teorica, aveva obiettivi molto elevati
ma che l’uomo comune faticava a vedere calati dentro la società concreta. Questo approccio dominava gli
atenei soprattutto della East Cost degli Stati Uniti. Merton insegnava alla Columbia di New York, mentre
Parsons ad Harvard. Qui si sviluppa una modalità nuova di fare sociologia, proprio a Chicago perché c’è uno
sviluppo del traffico urbano molto veloce. Era in una posizione strategia a livello geografico, perciò le
persone si fermavano lì per rifocillarsi venendo da est. Accade che nel giro di 60 anni diventa una
metropoli. Qui esistono un sacco di problemi sociali, come la delinquenza, la prostituzione, la mafia, la
corruzione.
In contemporanea, nel dipartimento di sociologia della scuola di Chicago arriva un giornalista: Robert Park,
voleva capire cosa succedeva nei quartieri della città, come cambiavano le composizioni demografiche della
periferia, dei problemi sociali concreti. La sua è una sociologia è molto concreta e attenta alla devianza.
Si incomincia ad interessanti alle sottoculture delinquenti, composte da persone che hanno appreso norme
e valori, ma anche il comportamento deviante. Questo è stato appreso dal loro gruppo sociale, che si fa
propugnatore di quelle norme e di quei comportamenti.
Si inizia così a studiare la cultura dei gruppi devianti.

ALBERT COHEN
I suoi studi vanno a fondo al problema della genesi, e scrive un libro molto importante, chiamato “ragazzi
delinquenti”.
Nella società esistono due culture:
 La cultura borghese: è individualistica, conta l’individuo e non il gruppo, bisogna essere
indipendenti dal gruppo, autonomi e creativi, responsabili delle proprie azioni. È molto acquisitiva,
non conta chi sei ma ciò che riesci a fare
 La cultura operaia: è collettivista, tra gli operai ci sono gli immigrati europei (da Iralnda e Europa
meridionale) cattolici, hanno una formazione culturale che è orientata al gruppo. Ciò che conta è
l’appartenenza alla comunità. Non ha al suo centro un valore acquisitivo, non conta ciò che riesci a
fare ma conta ciò che/i sei (caratteristiche ascrittive)
I gruppi sociali non sono semplici strati della società, ma sono caratterizzati da uniformità non solo di
reddito e capitale culturale ma anche ideologica.
A livello di mezzi, accade che i gruppi apicali hanno un accesso ai mezzi legittimi molto più facile e
immediato rispetto agli altri gruppi. La forma mentis è differenziata, i borghesi dal punto di vista cognitivo
sono avvantaggiati rispetto ai proletari, perciò sono superiori su tutti i fronti.
I proletari si trovano in difficoltà a reagire in un ambiente così competitivo. A livello cognitivo c’è una
differenza, c’è un modo diverso per approcciarsi alla realtà.
Tutte le figure significative che popolano il mondo della gioventù operaia (es. insegnanti) appartengono alla
cultura borghese, perciò sono di parte, perché hanno interiorizzato lo stile cognitivo tipico dei borghesi.
La gioventù operaia smette di credere al fatto che se ci si impegna ci si può arrivare, perciò reagiscono
ponendo in essere tre soluzioni:
1. Soluzione stabile del ragazzo di strada: i giovani faranno un tour insignificante dentro gli istituti
educativi, verranno bocciati ecc, avranno voti bassi e una volta finito l'iter educativo faranno quello
che hanno fatto i loro padri e riprodurranno la classe sociale a cui appartengono. Soluzione più
frequente. Vengono accolte le mete culturali dei borghesi, ma tutto non permette il
raggiungimento di queste mete, quindi i ragazzi hanno basse aspirazioni, scarso interesse allo
studio e vanno a lavorare. Soluzione ritualistica.
2. Soluzione del ragazzo del college: Formazione, via più difficile, tenteranno di ottenere ottimi voti al
liceo e poi tentano l'iscrizione all'università. Difficile perché non ci sarebbe il sostegno della propria
comunità, non ci sono soldi e bisogna essere eccellenti per avere una borsa di studio, si faranno
debiti ecc. Pone in essere un comportamento conforme. Tutto però gli va contro: le doti acquisite, il
capitale culturale della famiglia che non lo motiva, il gruppo dei pari che gli va contro e tutto
l'apparato organizzativo che è disegnato per i borghesi.
3. Soluzione sottoculturale: consiste nel tentare la strada della devianza, nel rispondere a questa
contraddizione con l'azione deviante. Però l'idea di Cohen è che in realtà il crimine degli adulti ha
sempre un fine molto specifico e concreto (acquisire ricchezza), e generalmente tende a essere
invisibile. Al contrario la criminalità giovanile ha un elemento cerimoniale che è prevalente, a volte
non ha neanche come obiettivo principale l'accumulazione di denaro ma ha come obiettivo
principale la manifestazione della presenza del gruppo. Ha una funzione di affermazione sociale:
consiste nel categorizzare l'atto deviante come strumento di affermazione sociale. Viene definito
un processo di inversione perché viene valorizzata la trasgressione della norma sociale invece del
rispetto della norma sociale. Tutto questo si fa per acquisire lo status sociale. La sottocultura serve
soltanto a costruire questo ambiente fittizio dove i ragazzi hanno una chance di affermazione, serve
per affermare un rifiuto nei confronti di quel mondo che per primo li ha rifiutati. Il mondo della
sottocultura è un mondo rovesciato.

Il passatempo di un giovane borghese è sempre valorizzando la razionalità, stimolare una mente razionale.
Teoria in uso acquisitiva: impiego razionale del talento.

Come avviene l'aggregazione del gruppo sotto-culturale? Come si genera una sottocultura?
La costruzione di una sottocultura costa enorme sforzo ed è rischioso. Il problema di Cohen è cercare di
capire la genesi del gruppo sottoculturale, come mai si genera?
La sua idea è: che la soluzione culturale è sempre li, accada che uno/a di quelli che sono i ragazzi
appartenenti alla soluzione stabile dei ragazzi di strada pone in essere un gesto di esplorazione. Si tratta di
una proposta varia ma vitale che ammicca in maniera poco definita alla trasgressione delle regole.
La caratteristica del gesto di esplorazione è che può essere ritratto senza causare a chi lo ha proposto la
perdita della faccia, ovvero la stigmatizzazione. Inoltre è qualcosa di vago e possibile. Può essere sempre
ritirata, senza creare stigmatizzazione.
Il punto è che una volta che viene posto in essere e ha cominciato la sua opera di sondaggio resta una
possibilità sempre presente, può essere riattivata in futuro. Accade un continuo e reciproco sondaggio che
finisce con l'istituzione di un gruppo sottoculturale.
Il gruppo sottoculturale è una soluzione a quel problema rappresentato al dispositivo di contraddizione. Si
spacca questa situazione ambigua, ambivalente. Si rinuncia alle aspirazioni nell'ambito delle mete culturali
e dei mezzi legittimi e si passa ad un mondo governato dall'inversione. La sottocultura per Cohen è
composta da ragazzi delinquenti che attuano atti criminali, però devianza non coincide per forza con il
concetto di crimine e reato, è un concetto molto più ampio e complesso.
Per Durkheim il sociale coincide con il normativo. Una volta che il normativo esiste, esiste anche chi si
discosta da esso. La devianza si accosta alla " quinta essenza" del sociale, ovvero la norma.
Per Goffman ci sarà sempre qualcuno impossibilitato a seguire la norma, ed è il deviante.

devianza è un concetto più vasto di crimine. È un concetto molto più complesso.


In realtà esiste anche tutto un fenomeno sottoculturale che non riguarda solo i fenomeni criminali (ragazzi
delinquenti), ma anche forme sottoculturali, di stile e simboliche che sono forme di devianza che non
hanno esiti criminali ma esiti che vanno contro le norme sociali più diverse. Un fenomeno che pone in
essere comportamenti devianti che hanno per oggetto qualcosa di diverso dalla norma.
Altra grande capitale per lo studio delle sottoculture, oltre a Chicago, è Birmingham. Si va costituendo un
centro di ricerca dedicato agli studi culturali. L'idea generale è di applicare gli strumenti della critica alla
cultura bassa. Non solo la cultura alta. Se vogliamo occuparci dell'impatto della cultura sulla società, è bene
studiare la cultura pop consumata dalla working-class, in modo da poter capire il funzionamento della
società.
Si realizzano una serie di studi che vengono pubblicati periodicamente su una rivista che si chiamava
Working Papers (articoli di lavoro) in cui c'era uno scritto da un altro Cohen.

FHILIP COHEN
Scrive questo Paper in cui cerca di studiare un fenomeno che definisce essere delle sottoculture di stile:
sono quei gruppi di giovani che hanno preso l'andazzo di vestirsi in maniera particolare, ad esempio gli
"Skinhead", o i "Mod". Questo fenomeno giovanile esplode, danno vita al cosiddetto panico morale. Cohen
vuole quindi studiare la genesi di queste sottoculture che non sono necessariamente sottoculture criminali.
Capire quindi come mai si forma questo genere di devianza, non strettamente connessa con la devianza
criminale, ma una devianza simbolica.
La sua idea è che negli anni dell'immediato dopoguerra, il vicinato operaio ( in questi casi Londra) va
disgregandosi, va perdendo la sua identità. Innanzitutto a Londra iniziano ad arrivare i primi flussi migratori
dalle ex colonie (Indiane ecc.) Incominciano ad abitare tutti nell'Est-end, creando tensioni sociali,
disgregazione, conflitti, violenza. Contemporaneamente l'Inghilterra va contro un processo di
industrializzazione fortissima, richiede manodopera specializzata e distrugge i posti di lavoro locali. C'è
quindi una concentrazione di grandi poli industriali in città che richiede operai specializzati e fa piazza pulita
dei posti di lavoro locali. C'è una massiccia opera di ricostruzione, e avviene la disgregazione del vicinato
operaio.
Porta grande tensione sociale e individualizzazione dei problemi sociali. Ognuno va per sè, non esistono più
reti di supporto.
Inoltre nell'immediato dopo guerra si inventa la cultura giovanile (musica pop).
La cultura giovanile ha un ruolo fondamentale, il giovane operaio e il giovane borghese viene ammaliato
dalla cultura pop, quindi spensieratezza, cinema, consumi culturali.. la differenza è che l'operaio non ha
lavoro e il borghese ha già il futuro programmato.
Il giovane operaio dovrebbe lavorare, il genitore vede che il figlio pensa alla musica, non va a lavorare, ciò
porta ad ulteriore tensione all'interno della famiglia.
Il punto è che questa gioventù si trova essenzialmente davanti ad un bivio, o caratterizzato da una mobilità
sociale che ti porta verso l'alto (se vado a scuola e prendo un diplomo da operaio specializzato, vado in una
grande fabbrica e prendo un buon stipendio), oppure invece caratterizzato da una mobilità sociale
discendente (non prendo il diploma, non ho possibilità lavorative a livello locale e quindi avrò una carriera
professionale peggiore di quella dei miei genitori).
Essenzialmente la gioventù operaia si trova di fronte a questo dilemma. La sottocultura per Cohen è una
soluzione a questo problema, a questo dilemma (mobilità verso l'alto vs mobilità verso il basso).
Risolve magicamente sul terreno dei consumi culturali questo dilemma.
Per esempio lo SkinHead è la caricatura dell'operaio, perché la sottocultura serve a recuperare
quell'identità che è andata perduta, ovvero quella operaia, e che la disgregazione ha completamente fatto a
pezzi. Rivendica un'appartenenza al territorio, al quartiere, che era quella dei genitori. Mobilità verso il
basso, loro vogliono essere operai e accentuano questa appartenenza.
Altro esempio, i Mod, cura degli abiti, mobilità sul territorio, consumi culturali varia, mobilità sociale verso
l'alto.

Due estremi: soluzione sociale verso l'alto e soluzione verso il basso. Tutte le altre sottoculture che ci sono
state sono soluzioni intermedie.
Gli stili che usano sono sempre Dressing-Up o Dressing Down (sminuirsi).

TEORIA DELL'ETICHETTAMENTO
È un approccio che ha il suo humus di germogliazione nell'ambito americano in particolare nella scuola di
Chicago. Per molti sociologici della devianza l'introduzione dell'approccio dell'etichettamento ha
comportato un radicale cambiamento di paradigma, un modo diverso con cui la scienza sociale guarda il
fenomeno della devianza.
Abbiamo visto un fenomeno, e un approccio teorico della devianza che va sotto il nome di Sottocultura e
abbiamo visto 2 modi attraverso il quale questa teoria può essere declinata:
- Teoria di Albert Cohen ( processo di inversione, gioventù operaia, 3 soluzioni ecc.) Cohen si occupa
di una serie di fenomeni legati a comportamenti criminali, sottocultura che intende lui è un gruppo
di giovani criminali che mette in atto azioni criminali.
- Regno unito dove la sottocultura è stata declinata in maniera leggermente diversa, anche qui la
genesi della sottocultura viene ricercata nelle contraddizioni che vive la gioventù operaia ma gli
esiti a cui conduce il processo di costituzione sottocultura studiato dai britannici sono molto diversi
da quello osservato da Cohen. Esiste una devianza più impalpabile, più estetica. (Ad esempio PUNK
con spilla da balia, violenta i codici borghesi perché la spilla è un oggetto quotidiano, domestico,
problematico. Non c'è nulla di inquietante nella spilla, ma il Punk fa vedere qualcosa di inquietante
mettendola dentro la guancia, facendone un gioiello).

STANLEY COHEN
Sociologo africano, scrive un libro sulle vicende degli anni 60/70 di queste bande di Mod e Rockers
confliggono a londra nella località inglese balneare Brighton. Stanley grazie ad un'analisi particolare degli
articoli di stampa scrive un libro intitolato " Folk devils and morals panics". Parlando di panico morale
Cohen vuole additare un processo molto semplice da descrivere, una cosa da nulla viene enormemente
amplificata tanto da giustificare l'entrata in scena di forze dell'ordine, insegnanti, esponenti del mondo
politico ecc. Si invocano nuove leggi, magari più restrittive. Il panico morale è questo, è il dispiegarsi di una
paura immotivata, irrazionale che qualcuno (un gruppo sociale) attenti alla sicurezza, all'integrità, alla
tenuta dei valori della società. In questo senso il panico serpeggia, è contagioso, è una paura forte e
violenta, irrazionale, che ci sia una minaccia rappresentata da qualcuno che attenta ai costumi e all'integrità
morale.
Il panico morale di solito viene suscitato da soggetti che sono per lo più deboli, marginali. Ad esempio
minoranze etniche, economiche, sessuali, religiose, generazionali sollevano il panico morale.
Il punto su cui insiste la teoria del panico morale è il processo di costruzione sociale del gruppo in questione
come deviante. Ad esempio in un quartiere c'è un gruppo di musulmani in giro per strada, poi questo
gruppo va in Moschea a pregare, fuori dalla moschea fa una festicciola. In che modo questa cosa può
diventare fonte di allarme sociale? Come viene costruito il gruppo sociale come gruppo causa della crisi?
Secondo Stanley Cohen esistono 5 attori che sono protagonisti del processo di costruzione del gruppo come
deviante e da loro viene prodotto il panico morale.
1) Minoranza Stigmatizzata
2) L'imprenditore morale: chi è? È un soggetto o generalmente un'associazione, un gruppo di soggetti
che intraprende la battaglia. In qualche misura fa leva, soffia sul fuoco, nomina il gruppo come
potenziale causa della crisi. Ovviamente cerca pubblicità, e questa gli viene data dai media.
3) I media, mezzi di comunicazione di massa, che amplificano l'impresa del crociato morale.
4) Agenti del controllo sociale: forze di polizia, assistenti sociali, magistrati. Tutti coloro che sono
incaricati di svolgere funzione di controllo sociale.
5) Opinione pubblica

Cohen si chiede chi è che beneficia dal panico morale, essenzialmente gli imprenditori morali perché
acquisiscono visibilità, fama ecc. I politici ad esempio, perché soffiano sul fuoco e ne hanno in cambio il
consenso.
Ci guadagnano moltissimo i mezzi di comunicazione, perchè vendono prodotti, giornali ecc. Hanno
contenuti di interesse.
Qual è il risultato di tutto ciò? Il panico morale si genera in base a stereotipi, e il risultato è che rinforza lo
stereotipo da cui è stato generato, da cui dipende.
Esempi classici del panico morale, come la battaglia tra Mod e Rockets, oppure gioventù minacciata da
Internet, oppure recentemente la Blue Whale. Esempio di panico morale storico è stata la caccia alle
streghe di Salem.
Il panico morale ha a che fare con un processo di costruzione sociale. Il panico morale si genera non tanto
su un atto in sè, ma è dato a quell'atto (che non ha niente di eccezionale, niente di diverso da altri) un
significato diverso.
Quando leggiamo una recensione di un film possono esserci recensioni totalmente diverse. Interpretazioni
diverse, ma il film è lo stesso. L'atto in sè, secondo Cohen, non è niente di eccezionale ma ciò che scatena il
panico morale è la costruzione sociale di un'interpretazione, un significato che è scioccante. Tanto
scioccante da scatenare il panico. L'atto però è quello.

Approfondiamo la teoria dell'etichettamento:


L'approccio di questa teoria può essere fatto risalire ad un sociologo americano che era stato direttore del
Dipartimento di Sociologia dell'Università di Sociologia prima che arrivasse il giornalista Robert Park.

William Thomas
Questo studioso, nato a fine 800 viene ricordato in tutti i corsi di sociologia generale perchè ha pronunciato
un teorema fenomenale che viene appunto chiamato Teorema di Thomas che dice: se le persone
definiscono reale una situazione essa lo sarà nei termini delle sue conseguenze. (Ad esempio se una
persona dice "Oddio c'è un incendio, ma l'incendio non c'è, ma cominciamo tutti a scappare dall'aula si crea
un disordine identico a quello che si sarebbe creato se l'incendio ci fosse stato realmente).
Il punto centrale è che questo teorema vale per la condizione, per le biografie, per come e per trattamenti
che sono riservati alle persone.
Se dico che tutti gli immigrati sono poco intelligenti, poca voglia di lavorare e tendono geneticamente a
compiere atti devianti e questo assunto è condiviso da numero n di persone, succederà che gli immigrati
riceveranno come per magia voti bassi a scuola, problemi ad avere un lavoro, e se capita casino al lavoro
verrà data colpa loro.
Questo teorema di Thomas ha a che fare essenzialmente con l'atteggiamento, con la valutazione, anche con
lo stereotipo e il pregiudizio.
Secondo un libro scritto da Thomas e un sociologo polacco si percepisce che l'idea di fondo è che più si dava
la possibilità agli immigrati polacchi di percepirsi come inclusi, più li si faceva sentire parte della comunità e
più il processo di integrazione avrebbe avuto successo e più la loro definitiva consacrazione come cittadini
americani si sarebbe potuta compiere.

HERBERT BLUMER
Una riproposizione negli anni più recenti di questo approccio costruttivista è operata da un sociologico
importante statunitense, è il teorico che ha proposto l'approccio dell'interazionismo simbolico.
In cosa consiste questo approccio? E' un approccio che ribalta di 180 gradi Durkheim. Durkheim afferma
che la realtà sociale esiste fuori da me e si impone su di me. Invece Blumer insiste che è il soggetto ad
attribuire significato al mondo esterno. Afferma che si è vero che esistono i fatti sociali, le leggi, le
consuetudini, le norme morali, però c'è un punto che Durkheim non vede mentre per Blumer è
fondamentale. Il soggetto non può essere concepito come uno scatolone vuoto in cui la società butta
dentro in maniera più o meno ordinata questo insieme di regole. Il soggetto mentre è sottoposto ad un
processo di socializzazione attribuisce senso e significato alle regole che gli vengono proposte. Il soggetto è
un animale interpretante, costruttore di senso, abbiamo la capacità di conferire senso alle situazioni.
Per Blumer essenzialmente il mondo sociale è costruito e ricostruito continuamente dagli attori e dalle
definizioni che si danno alle situazioni. Continuano ad attribuire significati ai mondi sociali che attraversano.
Per Blumer l'interazione è possibile se noi costantemente definiamo, categorizziamo, dei significati che ci
mettono in grado di agire.
(Il soggetto è come un ragno, cammina sulla tela che lui stesso ha costruito).
Comandamenti principali per Blumer:
- Gli esseri umani agiscono in base ai significati che le cose hanno per essi.
- Il significato di una cosa per una persona nasce dai modi in cui le altre persone agiscono verso di noi in
merito alla cosa. I significati che noi attribuiamo alle cose vengono costantemente negoziato all'interno
delle interazioni.
- I significati vengono costantemente usati, riusati, interpretati e reinterpretati.

Blumer è convinto che sia sempre possibile reinterpretare. Vive in un mondo che è costantemente in
cambiamento, mondo creato e ricreato. Però è vero anche secondo alcuni c'è una caratteristica del mondo
che non possiamo sottovalutare, il nostro mondo quotidiano, ovvero che si ripete e diamo per scontato. E'
un aspetto che stimola molti teorici a parlare di un concetto fondamentale, ovvero tipizzazione. I significati
che noi costruiamo, andando avanti si condensano, si raggrumano, si stabilizzano. Per mezzo della
tipizzazione possiamo dare per scontato il mondo e ci evitiamo tutto il lavoro interpretativo.
Quali sono i processi che portano un'interpretazione una tipizzazione? Cosa fa si che un'interpretazione si
stabilizzi? Per Blumer la questione non è problematica perchè per lui i soggetti sono sempre capaci di
contro interpretazioni e quindi possono scardinare. Se fosse così facile scardinare le tipificazioni con delle
contro interpretazioni non ci sarebbero pregiudizi, stereotipi. Invece le tipificazioni/tipizzazioni sono dei
significati stabili, quindi delle etichette che noi utilizziamo per classificare. Il problema è capire quali sono i
processi che portano a stabilizzare un'interpretazione. Per essere più espliciti alcuni si chiedono " le
definizioni di chi? di chi contano sul serio?".
L'idea della teoria dell'etichettamento sta un po' qua, esistono dei gruppi dominanti (autorità scientifica,
politica, culturale, morale ecc) che sono in grado di gestire, di controllare le risorse simboliche e grazie a
questo monopolio delle risorse simboliche impongono un vocabolario attraverso varie forme di
istituzionalizzazione. Ad esempio attraverso leggi, teorie scientifiche, diagnosi mediche, le narrazioni
pubbliche ecc. E' attraverso questo nuovo vocabolario che sono introdotte nuove tipizzazioni, etichette, che
i significati si stabilizzano.

RIASSUNTO: L'idea è che le interpretazioni si condensano e fondano delle etichette. Ci si chiede " chi ha il
potere che le interpretazioni si stabilizzano e che si siano interpretazioni che valgano più di altre?", la
risposta di questi autori è che esistano dei gruppi privilegiati, di potere che hanno il monopolio delle risorse
simboliche e hanno l'autorità per far valere il loro modo di utilizzare le risorse simboliche. Il punto su cui
insistere è che questo lessico, queste etichette vengono utilizzate in ambito organizzativo, verranno
utilizzati da tutti gli attori (poliziotti, medici ecc ) che in qualche misura sono deputati a trattare il fenomeno
della devianza, sono investiti di una funzione di controllo sociale. Sono delle risorse interpretative che
impieghiamo per capire chi abbiamo di fronte. Cerchiamo dei riscontri nell'attività esterna che vadano a
rafforzare la nostra teoria.

Un grande studioso di questi fenomeni, parla delle etichette come abbreviazioni stenografiche. Il punto
centrale è che queste abbreviazioni stenografiche che noi applichiamo ai casi che incontriamo producono
degli effetti sulle persone soggette all'etichettamento e anche su chi le usa queste etichette. Questi
stereotipi influenzano la nostra percezione dei fenomeni.

AARON CICOUREL
Secondo il sociologo statunitense, noi usiamo due famiglie di regole quando si tratta di incasellare l'attore
sociale che abbiamo innanzi.
Surface Rules, regole di superficie, stanno alla base delle interpretazioni. (Ad esempio: questo è un tossico,
questo è psichiatrico ecc). Quando noi abbiamo dinanzi un caso al quale dobbiamo attribuire un'etichetta,
gli attori del controllo sociale hanno un margine di discrezionalità.
Secondo Cicourel esistono delle meta-regole, quindi della Basic Rules attraverso le quali noi gestiamo
questa zona grigia di discrezionalità. Ciò che succede nella realtà non è sempre ciò che succede nel
manuale, la realtà è complessa, per cui c'è un margine di discrezionalità. Per questo esistono delle meta-
norme che servono per applicare le norme, orientano la nostra percezione, spesso sono tacite, date per
scontate, e sono quelle che funzionano.
La teoria dell'etichettamento si chiede chi viene definito come deviante? Quali sono le condizioni che
determinano tale definizione? Quali sono gli effetti determinanti da tale definizione? Non ci si chiede chi
sia il deviante, chi diventa deviante. È una differenza enorme.
I filoni della teoria dell'etichettamento sono 2:
1) Il primo è più tradizionale e più disposto al compromesso con gli apparati teorici tipici della
criminologia tradizionale e questo primo filone si concentra sullo studio delle entità e delle carriere
devianti. Un grande protagonista di questo approccio interno alla teoria dell'etichettamento è
Howard Saul Becker che ha scritto Outsiders, dove si occupa di studiare diverse figure di devianza.
Becker dice che essere definiti come devianti lungi dall'essere occasione di recupero è in realtà
occasione per radicalizzare la propria condizione di devianza.
Sulla scorta dei lavori di Becker, Edwin Lemert, distingue tra:
- Devianza primaria: è il fatto che un soggetto per ragioni sociali, culturali commette un atto
deviante, che trasgredisce le norme sociali del gruppo. Ma la devianza primaria non conduce a
cambiare l'atteggiamento che il soggetto ha verso se stesso e verso il suo ruolo, il soggetto non
si percepisce come deviante. Succede però che se il soggetto viene preso dalle reti della
giustizia penale, questo fatto produce la devianza secondaria.
- Devianza secondaria: è la reazione, è un aggiustamento, un attacco, una difesa nei confronti del
sistema che ci ha etichettato come tale. (" Non ero deviante, mi avete definito come tale e mi
avete fatto pagare, allora lo divento").
Questa idea di devianza primaria e secondaria mette in crisi la funzione educativa della pena, alla
necessità della rieducazione... NO, assolutamente no. Tuttavia queste idee, questo approccio non
esclude l'esistenza di una devianza tradizionalmente intesa. La devianza è concepita sempre e
comunque come avente una radice che ha degli addentrati nella versione tradizionale della
criminologia, la devianza è qualcosa che si discosta dalle regole.
2) Il secondo filone della teoria dell'etichettamento è un filone molto più radicale che non ha alcun
compromesso con la visione tradizionale della devianza. Questo secondo filone dice una cosa
semplice: non è una questione di atto che trasgredisce le regole, ma la questione è l'interpretazione
dell'atto.
Esempio 1: Se vediamo ragazzi e ragazze bianchi, in un parco, attorno ad una panchina, ridono e
ascoltano musica alta, secondo voi è occasione di allarme sociale?
Immaginiamo di vedere ragazzi neri che fanno la stessa cosa, è allarme sociale? SI.
L'atto è lo stesso, l'atto trasgredisce in maniera identica le norme sociali (musica alta, lo spintonare,
musica alta) , è l'interpretazione che ne proviene dalla comunità più alta che è completamente
diversa.
Esempio 2: Nordafricano che non paga biglietto del bus. Sale il controllore, il nordafricano non ha il
biglietto e spiega perchè. Al controllore non interessa e lo fa scendere alla prossima fermata.
Signore di mezza età che non ha biglietto. Sale il controllore. Stessa reazione sociale? No. L'atto è
identico, il problema è l'interpretazione, è la definizione, l'etichettamento. Questo è il punto
teorico.
Esempio 3: Gruppo delinquenti che irrompe in una casa e fa furto di notte.
Gand di manager che evade 100.000.000 di euro. E' la stessa cosa? Probabilmente molto peggio ma
non vengono definiti alla stessa maniera. I primi sono ladri (panico morale) i secondi invece
sminuiscono l'atto.
Esempio 4: Assassini che ammazzano per rubare, esercitano violenza.
Manager di multinazionali che hanno avvelenato intere comunità con l'amianto, sterminando
bambini e famiglie. Sapevano quello che stavano facendo e andavano avanti per profitto. E' la
stessa cosa? L'atto è identico, ben peggio quello dei manager. Il problema è che mentre i primi
vengono trattati come devianti i secondi invece no. Viene distribuito soltanto quando l'attore della
devianza ha certe caratteristiche perchè altrimenti l'atto in sé non viene definito come tale.
Quali sono le condizioni che stanno alla base del processo definitorio? Non è il punto chi è deviante
ma chi viene definito come deviante. I soggetti che sono tracciabili di essere definiti come deviante
sono i soggetti che violano l'ordinarietà dell'abitudine, chi scardina il dato per scontato. E' deviante
colui che disturba il fluire ordinato della vita di tutti i giorni. E' questo che suscitano condanna.
Il manager non viola l'ordinario, i bianchi che stanno al parco non violano l'ordinario, l'africano
invece si.

Come fa a violare l'ordinarietà della vita quotidiana? Cosa attribuiamo all'immigrato che non paga il
biglietto e cosa invece non attribuiamo al signore di mezza età che non paga? Il comportamento identico
ma attribuiamo all'immigrato una qualità morale inferiore. L'atto è identico, cambia l'interpretazione ma
quando interpretiamo , e lo facciamo quando il soggetto rompe la quotidianità, attribuiamo un'etichetta
che è una abbreviazione stenografica, ovvero si trascina dietro tutto un vissuto. Quello che noi gli
attribuiamo è una categoria morale.
Una volta che il soggetto viene interpretato come tale, etichettato cosa succede? Succede che ovviamente il
soggetto ha il tentativo di rifiutare questa interpretazione.
Esempio dell'albanese che fa un furto di notte e manager che evade, chi ha più capacità di resistere
all'etichettamento? Il manager. Non c'è soltanto una forza di gravità che attira le tipificazioni sui soggetti
marginali, il problema è che dopo la tipificazione viene accettata con più lucidità dai gruppi marginali.
Il processo definitorio e processo di etichettamento si realizza in base all'interpretazione, attribuzione di
significati ecc ma non è che il soggetto etichettato accoglie in maniera pacifica la definizione del sè. Esistono
le negoziazioni, processo durante il quale viene attribuito significato all'atto e dunque anche al soggetto. C'è
una sorta di conflitto, ma ci sono diversi pesi. Alcuni sono pesi massimi che sanno resistere benissimo alla
tipificazione e altri pesi piuma che basta un soffio per cadere giù.

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