Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Capitolo primo
SISTEMA PENALE E DIRITTO PROCESSUALE PENALE
La denominazione istituzionale della disciplina era, non per caso, “procedura penale”, e tale si
sarebbe mantenuta fino alla riforma dell’esame dell’abilitazione per esercizio della professione
1
(allora) di procuratore legale, varata nel 1989, che anticipò in questo la scelta terminologica
definitiva consacrata dalla riforma universitaria del 1999: solo da allora la disciplina ha stabilmente
assunto la denominazione di “diritto processuale penale”.
La “procedura” raccoglie, concettualmente l’eredità del 500-600 della pratica causarum
criminalium: proprio questo titolo recavano le esposizioni pratiche delle sequenze empiriche di
accertamenti dei fatti di reato; mere “istruzioni per l’uso”, erano ad esse solitamente estranei
intenti di tipo sistematico. Insomma, la pratica causarum criminalium era solo una meccanica,
priva di qualsiasi intento speculativo. Il “diritto processuale”, invece, ambiva a ricostruire un
sistema, ponendone in luce il ruolo di garante e custode di valori.
- Ma davvero può dirsi che la scienza del processo penale sia una mera pratica causarum,
una meccanica che gestisce sequenze di atti a scopi meramente empirici?
Nessuno, oggi, potrebbe più sostenerlo: i valori coinvolti nel processo penale hanno spessori di
tale portata da rendere più che evidenti le complesse dimensioni sistematiche coinvolte,
peraltro ormai adeguatamente esplorate dalla scienza processualpenalistica.
Occorre, inoltre, dal conto di quanto complessa sia stata,specie nelle epoche più vicine a noi,
l’evoluzione dei rapporti tra il diritto penale e il processo. Varrà l’acuta metafora tracciata, a pochi
anni dall’entrata in vigore del codice di rito del 1988, da Tullio Padovani: da un rito processuale
“servo muto” del diritto penale (era l’epoca della procedura priva di didattica, dissolta
nell’insegnamento più antico e nobile) si era transitati all’era del servo loquace (susseguente alla
conquista dell’autonomia didattica), che, via via affrancandosi dell’antica servitù, era divento
prima “socio paritario” e, infine, proprio con il varo del codice di procedura penale del 1988, “socio
tiranno” del diritto penale sostantivo; già da adesso converrà segnalare gli squilibri che il sistema
dei procedimenti speciali ha provocato nel quadro tradizionale dei congegni della commisurazione
della pena.
Si pensi, ancora, sempre a titolo esemplificativo, ai rapporti tra struttura sostanziale della
fattispecie e dinamiche della prova penale: sarebbe artificioso considerare l’una e le altre alla
stregua di modi separati, corridoi stagni privi di interferenze reciproche; il legislatore sostanziale,
nel concepire le proprie scelte incriminatrici, dovrebbe tener conto delle potenzialità e dei limiti
dei sistemi probatori, meccanismi attraverso i quali l’accusa adempirà al proprio onere della prova,
l’imputato dispiegherà la propria difesa e l’offeso dal reato eserciterà le proprie garanzie
partecipative.
Si pensi, infine, al ruolo della “provata condotta illecita” quale eccezione al contraddittorio ex art.
111, comma 5 Cost.: il “contraddittorio inquinato”, pur radicando anzitutto un concetto di genere,
si atteggia in termini del tutto diversi in sede di accertamento di un fatto bagatellare di tipo
monosoggettivo e nei processi per fatti di criminalità organizzata. La conoscenza di questa
complessità si pone come indispensabile ai fini della comprensione non epidermica del ruolo
stesso del diritto processuale penale nella vita del diritto.
Capitolo secondo
IL SISTEMA DELLE FONTI
La cornice costituzionale (rigida, ormai, e non più flessibile: la Costituzione occupa, nel sistema
delle fonti, un rango apicale, sovraordinato rispetto alla legge ordinaria) ha assunto un ruolo di
importanza strategica nel sistema delle fonti. Il ruolo centrale nel sistema delle fonti del diritto
processuale penale è oggi ricoperto dalla Costituzione della Repubblica. Secondo un’impostazione
particolarmente autorevole e del tutto condivisibile, il diritto processuale penale è diritto
costituzionale applicato.
Le norme costituzionali di diretta incidenza sul quadrante processuale penale evidenziano un forte
impatto di straordinaria latitudine, ben più ampia di quanto non accada in qualsiasi altro settore
dell’esperienza giuridica.
Rilevano:
ART. 2 COST. in tema di tutela dei diritti inviolabili dell’uomo: circa le dirette ricadute
processuale si pensi, ad esempio, al divieto assoluto di adoperare, in sede di escussione della
fonte dichiarativa ma anche in sede di interrogatorio dell’imputato, metodi o tecniche idonei
ad influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare o valutare i
fatti, o al potere-dovere del presidente del collegio dibattimentale di curare che l’esame del
dichiarante sia condotto senza ledere il rispetto della persona.
ART. 3 COST. riveste il vero e proprio perno del sistema. Il principio di eguaglianza, che
costituisce, nel contempo, un formante delle scelte legislative e il primo canone ermeneutico
rivolto all’interprete, rileva anche nella sua veste di canone di ragionevolezza. Questo articolo
non solo è quasi sempre evocato, dai giudici a quibus, quale parametro di scrutinio ai fini della
sollevazione della questione di costituzionalità, ma costituisce spesso uno dei fondamenti delle
declaratorie di illegittimità costituzionale concernenti nome processuali penali.
ART. 13 COST. apre il catalogo delle libertà negative o dallo Stato. È superfluo segnalare il
ruolo di centralità che la tutela costituzionale della libertà personale ricopre nell’ambito della
disciplina processuale penale, considerato che il processo penale è l’unica esperienza
processuale statuale che ospita al suo interno regimi limitativi della libertà personale di un
soggetto che è assistito dalla presunzione di non colpevolezza.
3
ART. 14 COST. nel tutelare la libertà di domicilio mostra addentellati processuali di grande
impatto pratico: si pensi, per tutti, alla disciplina delle ispezioni e delle perquisizioni domiciliari.
ART. 15 COST. tutela la libertà e segretezza della corrispondenza e delle altre forme di
comunicazione: i suoi raccordi con il sistema processuale penale coinvolgono la disciplina delle
intercettazioni telefoniche, telematiche e ambientali, la cui importanza pratica è sempre più
cospicua, ma si estendono altresì ad altri fenomeni di grande rilevanza come l’acquisizione dei
tabulati del traffico telefonico o le videoriprese.
ART. 24 COMMA 2 COST. nel tutelare l’inviolabilità del diritto di difesa in ogni stato e grado del
procedimento, dispiega trasversalmente i suoi effetti lungo l’intero arco in cui si svolge il rito
penale: l’importanza della formula sta nella natura aperta della previsione, insuscettibile di
catalogazioni definite, sicché la compilazione di un elenco chiuso delle modalità di esplicazione
del diritto di difesa, prima ancora che impossibile, sarebbe erronea sotto il profilo del metodo.
L’inviolabilità del diritto di difesa trova, poi, una interfaccia operativa nell’art. 111 comma 3
Cost., che elenca, senza alcuna pretesa di completezza, alcuni tra i più importanti diritti
difensivi spettanti all’accusato.
ART. 25 COMMA 1 COST. fissa il principio della naturalità e precostituzione del giudice e va
oggi letto unitamente alla previsione della terzietà ed imparzialità del giudice sancite dall’art.
111 comma 2 Cost. Il valore dell’imparzialità del giudice costituisce il baricentro della garanzia:
tra i molteplici riflessi codicistici rilevano le regole in tema di competenza nonché le norme in
tema di incompatibilità e gli istituti dell’astensione, della ricusazione e della rimessione dello
iudex suspectus.
ART. 27 COMMA 2 COST. dà corpo alla presunzione di non colpevolezza dell’imputato fino alla
condanna definitiva: si tratta di una tra le più importanti garanzie costituzionali di contesto,
che rileva in chiave di regola di trattamento e in veste di regola di giudizio, a sua volta
distinguibile in:
Regola probatoria: l’onere della prova incombe sulla pubblica accusa
Regola decisoria sul fatto incerto: ove l’accusa non ne abbia provato la colpevolezza al di là
di ogni dubbio ragionevole, l’imputato deve essere prosciolto dall’addebito formulato a suo
carico.
ARTT. 101 ss COST. danno corpo alle prerogative istituzionali della magistratura, scolpendone i
principi di autonomia e indipendenza che, insieme all’imparzialità, ne disegnano lo statuto
costituzionale di fondo.
ART. 109 COST. fissa il principio della dipendenza funzionale della polizia giudiziaria
dall’autorità giudiziaria, salva la dipendenza generica degli organi di polizia dai proprio Corpi di
appartenenza.
ART. 111 COST. modificato dalla legge costituzionale 2/1999, ospita il c.d. “giusto processo”.
Dei cinque nuovi commi introdotti dalla novella costituzionale i primi due si riferiscono ad ogni
tipologia processuale mentre i commi 3-4-5 fissano garanzie specifiche del processo penale, tra
cui campeggia la regola del contraddittorio nella formazione della prova e la previsione di un
novero chiuso di deroghe autorizzate.
ART. 112 COST. nel consacrare l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale dal parte del
PM, struttura un principio di legalità nell’agire che plasma uno dei caratteri strutturali di fondo
del sistema processuale penale italiano: tra i numerosi, imponenti effetti del canone di
obbligatorietà dell’azione possono, tra gli altri, sin d’ora menzionarsi il principio di completezza
delle indagini e la complessa fisionomia del rito dell’archiviazione della notitia criminis
infondata, finalizzato proprio a scongiurare condotte eversive dell’obbligo di agire.
4
2.Il codice di procedura penale del 1988.
Pur se la Costituzione della Repubblica costituisce il fulcro di rotazione del sistema delle fonti, la
disciplina analitica che regola il fluire dell’accertamento penale è contenuta in un apposito corpus
codicistico che assume ancor oggi la denominazione di codice di procedura penale.
Il codice vigente è stato approvato con d.P.R. 447/1988, sulla scorta della legge delega 81/1987, ed
è entrato in vigore il 24 ottobre del 1989: l’inter conclusosi con la sua approvazione è stato lungo e
tormentato, avendo visto le sue premesse nel varo stesso della Costituzione del 1948.
Si è già posto in luce come l’impostazione personalista della Carta fondamentale contrastasse con
il modello dei rapporti tra autorità e libertà sotteso alla codificazione del 1930: risultò, dunque,
subito chiaro come tra la Costituzione e il corpus codicistico allora vigente sussistesse una frattura
incolmabile, e come, dunque, un adeguamento del sistema processuale penale alla nuova tavola
dei valori consacrata nelle scelte dell’Assemblea costituente fosse possibile solo attraverso una
manovra abrogatrice del codice del 1930 e l’approvazione di un nuovo e profondamente diverso
impianto codicistico.
Si decise, dunque, di operare attraverso modifiche normative nel sistema e non del sistema, la cui
inadeguatezza si rivelò assai presto, così da rendere inevitabile, specie a partire dagli anni ’60 del
secolo scorso, il dischiudersi di un ciclo di significativi interventi ablativi e manipolativi della Corte
costituzionale. Si apriva, così, la lunga compromissoria stagione della del “garantismo inquisitorio”,
caratterizzata dal tentativo di innesto di una logica di tutela delle garanzie individuali nel corpo di
un impianto in origine concepito come refrattario a esse: gli esiti manifestamente insoddisfacenti
di tali manovre continuavano a premere verso la necessità di una ricodificazione processuale
penale.
Nel 1962 fu nominata una Commissione ministeriale per la riforma del codice di procedura penale
presieduta da Francesco Carnelutti. Dai lavori della Commissione prese forma un primo testo, la
c.d. “bozza Carnelutti”, frutto delle opinioni personali del Presidente, che tuttavia non ebbe
seguito istituzionale perché ritenuto portatore di idee troppo avanzate e originali.
Il progredire del dibattito condusse al varo della prima delega legislativa per l’emanazione del
nuovo codice di procedura penale, l.108/1974. Nel 1978 fu reso pubblico il testo di un progetto
preliminare di nuovo codice, ispirato ai caratteri del sistema accusatorio, cui tuttavia non fu dato
seguito per il deflagrare dell’emergenza terroristica, che aveva comportato lo stratificarsi di una
legislazione novellistica dalle ispirazioni diametralmente opposte.
Nel decennio successivo il Parlamenti approvò la seconda delega legislativa, la l. 81/1987, sulla cui
scorta un’apposita Commissione ministeriale, presieduta da Giandomenico Pisapia, approvava un
progetto preliminare di seguito, con talune modifiche, divenuto il testo del codice di procedura
penale del 1988.
Il codice, nella sua articolazione in undici libri, risulta idealmente distinguibile in due parti:
- Prima parte, dedicata aspetto “statico” del processo, tratta, in quattro libri, dei soggetti,
degli atti, delle prove, delle misure cautelari personali e reali;
- Seconda parte, dedicata all’aspetto “dinamico”, si occupa, dal quinti all’undicesimo libro,
delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, dei procedimenti speciali, del giudizio,
del procedimento avanti il tribunale in composizione monocratica, delle impugnazioni,
dell’esecuzione, dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere.
Al teso del codice si affianca il corpus delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie
varate con il d.lgs. 271/1989.
5
Norme transitorie: hanno ormai pressoché esaurito la loro funzione.
Norme di coordinamento e di attuazione: mantengono un ruolo non trascurabile nell’economia
delle fonti del diritto processuale penale. Le norme di attuazione vanno al di là di quella che è la
specifica funzione che a tale tipo di regole viene di solito riservata, e cioè agevolare l’operatività
degli istituti previsti dalla normativa principale: esse,nell’ambito dell’apparato introdotto dal
codice del 1988, sembrano adempiere, piuttosto, al compito di colmare lacune e di risolvere
problemi cui la fretta della stretta finale, nascente dalla volontà di chiudere entro una data
determinata il lavoro di redazione del testo propriamente codicistico non aveva consentito di
dedicare l’attenzione dovuta o che, in ogni caso non aveva permesso di portare a soluzione.
Il codice del 1988 non ha avuto vita stabile: sin dai suoi primi mesi di vigore vi si sono abbattute
una miriade di declaratorie di incostituzionalità che, insieme a numerosissime modifiche
novellistiche, ne hanno gravemente destabilizzato l’impianto, accentuandone le incoerenze. Il
sistema attuale può dirsi ancora davvero lontano dal raggiungimento di un suo reale punto di
equilibrio.
6
interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, ma
naturalmente entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme; qualora ciò non sia
possibile, ovvero qualora sussistano dubbi sulla compatibilità della norma interna con la
disposizione convenzionale interposta, l’interprete dovrà promuovere lo scrutinio di
costituzionalità della norma interna elevando a parametro di controllo il nuovo art. 117
comma 1 Cost.; al giudice comune rimarrà, per contro, preclusa la diretta disapplicazione della
disposizione interna ritenuta in contrasto con la fonte convenzionale.
L’interpretazione conforme della norma interna al tessuto convenzionale è un onere del giudice e
presuppone, da parte sua, una specifica attrezzatura culturale, coinvolgente il testo della
Convenzione e la giurisprudenza di Strasburgo che vi dà concretezza nell’esperienza applicativa;
tale attrezzatura culturale si estende alle parti del processo, innestandosi l’interpretazione
conforme, a pieno titolo, negli itinerari di svolgimento del rito.
Capitolo terzo
IL PROCESSO PENALE E LE SUE CARATTERISTICHE
Il proprium del procedimento giudiziario rispetto alla nozione di genere si sostanzia nella presenza
del giudice come soggetto terzo ed imparziale, nonché nel metodo del contraddittorio che informa
di sé l’accertamento giudiziario nel suo complesso e il suo cuore pulsante, costituito dall’adozione
del metodo del contraddittorio nella formazione della prova.
Per comprendere la nozione di contraddittorio, sarà necessario soffermarsi brevemente sul dato
etimologico: vi emerge la nozione del dicere contra, il cui significato allude all’attività del dicere al
cospetto, davanti a qualcuno; e il soggetto al cui cospetto le parti svolgono la loro attività è il terzo
imparziale, il giudice, l’organo a cui le parti chiedono di ius dicere, cioè di pronunciare il diritto per
7
il caso concreto, e che eserciterà il proprio potere-dovere dopo che le parti abbiano, avanti a lui,
interloquito in contraddittorio.
Il contraddittorio mira a garantire che le parti, cioè coloro nella cui sfera giuridica la decisione
esplicherà i suoi effetti, possano interloquire in vista della decisione medesima, nelle sedi
preparatorie della stessa. Il giudice potrà disattendere i risultati dei contributi dialettici delle parti
ma non potrà ignorarli, sicché si designa un legame intimo tra contraddittorio, terzo e decisione
quale atto conclusivo della serie.
Sono queste le caratteristiche di fondo che fanno del processo giudiziario una species, ad alta
specializzazione, del procedimento.
8
- delicta publica la cui perseguibilità viene affidata dapprima all’iniziativa di un qualsiasi
cittadino componente della societas offesa, e solo più tardi all’iniziativa di determinati
soggetti come titolari di un ufficio pubblico.
9
affidata al PM e dell’istruzione formale affidata al giudice istruttore) destinata all’attività di
investigazione e di formazione delle prove attraverso la libera iniziativa del giudice nella ricerca di
esse, e condotta secondo canoni di segretezza, che relegavano l’imputato e il suo difensore in
posizione di assoluta inferiorità, escludendoli anche dalla partecipazione a fondamentali attività di
rilevanza probatoria, quali gli esami testimoniali o i confronti. I caratteri del sistema accusatorio
apparivano a tratti nella fase del dibattimento, che, se pur, imperniato sui contrapposti canoni
della pubblicità e dell’oralità, rimaneva sempre fortemente condizionato dalle risultanze
probatorie acquisite in istruzione secondo i metodi di natura inquisitoria, finendo con
l’adempimento unicamente a una funzione di mero riscontro degli elementi raccolti
precedentemente.
Di fronte ad un sistema processuale siffatto istintiva nasceva l’esigenza di una mediata e profonda
riforma alle “infelici combinazioni” del sistema misto, che finivano con il privilegiare gli schemi
inquisitori delle lunghe istruzioni e degli inconsistenti dibattimenti, sostituisse un meccanismo più
attuale e più aderente alle istanze di un ordinamento democratico ed una più ampia
considerazione per la persona.
La filosofia di fondo del nuovo impianto veniva individuata, dall’art. 2 della legge delega,
nell’attuazione dei caratteri del sistema accusatorio che per la loro maggiore aderenza agli schemi
democratici, nel contesto di una più ampia considerazione per la persona, meglio consentono di
coniugare garanzia ed efficienza. Detti caratteri emergono,proseguiva la relazione al testo
definitivo del codice, attraverso:
- la netta differenziazione di ruolo tra PM e giudice;
- l’eliminazione del segreto negli atti del giudice e nella formazione della prova;
- l’accentuazione dei poteri delle parti e la parità tra queste;
- la valorizzazione del dibattimento e dell’oralità.
I SOGGETTI
Capitolo primo
LE “PERSONE” NELLA STRUTTURA DEL PROCESSO PENALE
1.Premessa.
Sia il “processo” che il “procedimento” si presentano come fattispecie complesse a formazione
successiva.
Così come accade per qualsiasi fattispecie complessa a formazione successiva,anche il “modulo
procedimentale” e quello “processuale” si caratterizzano per essere composti di diversi elementi
tra loro collegati, di cui l’uno rappresenta la conseguenza di quello che lo precede e al tempo
stesso il presupposto di quello che lo segue, e protesi tutti alla realizzazione di un effetto finale.
Tali elementi sono costituiti in primo luogo dalle norme che regolano il procedimento, poi dalle
diverse situazioni soggettive ipotizzate da quelle norme, infine dagli atti compiuti in applicazione di
quelle norme, infine degli atti compiuti in applicazione di quelle norme e in forza di quelle
situazioni. Essenziali è, pertanto, l’individuazione dei titolari di tali situazioni.
Una distinzione occorre operare, a seconda che si tratti di persone che comunque prestano una
qualche attività in seno al processo (es: i testimoni, i periti), ovvero persone che, titolari di
10
situazioni soggettive nate con il processo, entrano a far parte della struttura di esso o ne
costituiscono i termini di riferimento. Soltanto i titolari di queste ultime situazioni, che possiamo
anche chiamare “situazioni legittimanti”, possono considerarsi soggetti processuali.
11
Parlando di “parte” come del soggetto che richiede una decisione giurisdizionale in accoglimento
di una propria tesi il riferimento più immediato corre al pubblico ministero giacchè questi è, in
primo luogo, il soggetto che attraverso il promovimento dell’azione penale domanda al giudice
una decisone che accolga le ragioni dell’accusa.
L’altro al quale va riconosciuta la qualifica di parte è l’imputato: ciò che gli conferisce funzione di
parte del processo è unicamente la colpa che gli viene rivolta dal PM. Il modulo accusatorio
accentua la posizione di “istituzionale antagonismo” dell’imputato rispetto al PM: una posizione
che nasce non appena si delinei la formulazione dell’accusa e che conferisce all’imputato una serie
di diritti e di facoltà processuali per contrastare la tesi del PM, per fare valere le proprie ragioni
difensive,per fare accogliere la propria tesi.
Ovviamente, l’immagine della “parte”, nella sua espressione autentica , viene a delinearsi soltanto
nel contesto di una situazione contrassegnata dalla presenza attuale del soggetto avanti al quale
sia possibile formulare la richiesta di una decisione giurisdizionale, ossia del giudice, e quindi
dall’essere già in sede giurisdizionale, ossia nel’ambito del processo in senso proprio. Ciò implica
che nella fase anteriore, vale a dire nel corse del procedimento per le indagini preliminari, tanto il
PM quanto la persona sottoposta alle indagini non agiscono nella veste di “parti” nel significato
tecnico del termine. Tuttavia, poiché in tale fase essi svolgono pur sempre un’attività finalizzata
alla raccolta degli elementi necessari per suffragare le proprie domande davanti al giudice, va loro
riconosciuto un ruolo che può essere definito di parti potenziali: “parti potenziali” per il processo
in vista dell’assunzione della qualità di parti effettive nel processo.
Parti sono anche:
- la parte civile: alla quale vengono accordati mezzi giuridici processuali per sollecitare una
decisione giurisdizionale che realizzi una pretesa di restituzione o di risarcimento del danno
derivante dal reato;
- il responsabile civile: titolare di mezzi giuridici di difesa concessigli per resistere alla pretesa
della parte civile;
- il civilmente obbligato per la pena pecuniaria : che vanta di diritti di natura difensiva
collegati alla sua posizione processuale di ente giuridico chiamato a rispondere per la pena
della multa o dell’ammenda inflitta al condannato insolvibile al quale è legato da un
particolare rapporto di autorità, direzione o vigilanza.
Capitolo secondo
12
IL GIUDICE
13
Il problema dell’indipendenza del giudice sussiste anche nei confronti dello stesso potere
giudiziario, nel senso che al singolo giudice deve essere consentito di operare al riparo da possibili
condizionamenti e interferenze da parte di altri soggetti appartenenti all’organizzazione della
magistratura, che possano trovarsi in posizione di supremazia. Ancora una volta è la stessa Carta
costituzionale a preoccuparsi di fissare alcuni principi basilari che assicurino questa ulteriore
garanzia di indipendenza. In particolare l’art. 107 comma 3 Cost., pone la regola secondo cui i
giudici si distinguono tra loro unicamente per diversità di funzioni e non per preminenza di grado,
di anzianità o per altro, giacché qualsiasi rapporto di natura gerarchica, da superiore a inferiore,
intaccherebbe la loro indipendenza.
IMPARZIALITA’. Il carattere dell’imparzialità si riferisce anzitutto all’assoluta estraneità e
indifferenza del giudice rispetto alle diverse situazioni che animano l’agire delle parti e alle ragioni
di cui esse sono portatrici nel processo. La decisione deve essere resa da un soggetto in posizione
di “terzietà”, e ciò in applicazione del più elementare principio di ragione obiettiva da cui ogni
decisione deve risultare sorretta.
14
luogo in seguito a concorso (art 106 comma 1 Cost.), al fine di evitare la nomina dei giudici onorari,
detti anche “laici”, per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli.
Vi sono, poi, organi giurisdizionali costituiti da una sola persona, i c.d. giudici monocratici, e altri
costituiti da più persone, i c.d. giudici collegiali. La diversa struttura numerica degli organi della
giurisdizione si giustifica con la maggiore o minor gravità del reato da accertare, in basse alla
considerazione per cui la pluralità di persone offre il vantaggio di una più accorta filtrata attraverso
il contributo valutativo offerto da ciascuna di esse.
15
5.L’incompatibilità del giudice penale.
Su un piano ben distinto rispetto alla sagoma della capacità del giudice si collocano le norme che
regolano le cause di incompatibilità: si tratta di un insieme articolato, mirante a scongiurare che la
funzione giurisdizionale sia esercitata da un giudice che versi in talune situazioni tipizzate tali da
incrinarne l’imparzialità in concreto o la propria immagine concreta di soggetto imparziale.
Secondo quanto ha insegnato la Corte europea dei diritto dell’uomo, il giudice, in uno Stato
democratico, deve non solo essere ma anche apparire imparziale agli occhi dei consociati: da qui
l’esigenza che il sistema fissi una griglia di situazioni integrandosi le quali il giudice persona fisica,
pur possedendo una piena capacità in astratto, diviene incompatibile a svolgere le proprie funzioni
con riguardo alla singola regiudicanda.
Le incompatibilità del giudice possono derivare:
A) da atti da lui compiuti nello stesso processo;
B) da talune qualità concernenti le persone chiamate alla funzione di giudice;
C) dalla posizione di giudice rispetto all’oggetto del processo o alle parti che agiscono nel
processo;
D) da particolari condizioni ambientali createsi in occasione dello svolgimento di un determinato
processo.
A)Con riferimenti agli atti compiuti nello stesso processo, l’art 34 c.p.p. stabilisce che si verifica
incompatibilità:
quando il giudice abbia già pronunciato o abbia concorso a pronunciare una qualsiasi sentenza,
non importa se giudicando sul merito o no, nello stesso processo: i questi casi egli non può
partecipare al processo come giudice negli ulteriori gradi, ivi inclusi il giudizio di rinvio
successivo all’annullamento e il giudizio per revisione, essendo già condizionato dalla decisone
emessa;
quando il giudice abbia emesso il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o abbia
disposto il giudizio immediato o abbia pronunciato decreto di condanna o abbia deciso
sull’impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere: in questi casi, e sempre per il
condizionamento che gli deriva dal provvedimento precedentemente adottato, egli non può
partecipare al processo nel successivo stadio del dibattimento;
quando il giudice abbia esercitato, nel medesimo processo, funzioni di giudice per le indagini
preliminari: in questo caso non può emettere decreto di condanna, né tenere l’udienza
preliminare, né partecipare al giudizio, concetto quest’ultimo che ricomprende non solo il
giudizio celebrato in sede dibattimentale, ma ogni giudizio che pervenga a una decisione di
merito, e dunque anche il giudizio abbreviato. Questa causa di incompatibilità è diretta a
garantire all’imputato un giudice estraneo e diverso rispetto a quello che sia eventualmente
intervenuto nel corso delle indagini preliminari, purché con decisioni che in qualche modo
abbiano richiesto valutazioni sul merito dell’imputazione.
quando taluno nel corso di un procedimento abbia esercitato la funzione di PM; abbia svolto
attività di polizia giudiziaria; abbia prestato ufficio di difensore, di procuratore speciale, di
curatore, di perito, di una delle parti, di testimone, di consulente tecnico: in questi casi, costui
non può esercitare nello stesso procedimento l’ufficio di giudice in quanto gli fa difetto quella
necessaria posizione psicologica così libera da poter accogliere e valutare obiettivamente tutte
le varie esperienze processuali.
Parimenti inidoneo ad esercitare la funzione di giudice è chi abbia proposto denuncia, querela,
istanza, richiesta ovvero abbia deliberato, o concorso a deliberare, l’autorizzazione a procedere.
16
Quelle sin qui elencate sono le ipotesi di incompatibilità delineate dall’art. 34 c.p.p., alle quali altre
se ne aggiungono, in virtù di una lunga serie di sentenze additive della Corte costituzionale fondate
sul principio generale secondo cui il regime delle incompatibilità ricorre in tutti i casi nei quali si
profila l’esigenza di evitare che la valutazione di merito del giudice possa essere condizionata dallo
svolgimento di determinate attività nelle precedenti fasi del procedimento o della previa
conoscenza dei relativi atti processuali.
B)Con riferimento alle qualità concernenti le persone chiamate a rivestire la funzione di giudice,
l’incompatibilità, prevista da norme sia del codice che dell’ordinamento giudiziario, investe:
magistrati che siano tra loro coniugi, parenti o affini sino al secondo grado, i quali non possono
esercitare nello stesso procedimento funzioni giurisdizionali, ancorché separate o diverse (art.
35 c.p.p.);
magistrati che abbiano tra loro vincoli di parentela o affinità sino al secondo grado, ovvero di
coniugio o convivenza, i quali non possono essere parte della stessa corte o dello stesso
tribunale o dello stesso ufficio giudiziario;
magistrati che abbiano tra loro vincoli di parentela o affinità sino al terzo grado, ovvero di
coniugio o convivenza, i quali non possono far parte dello stesso tribunale o della stessa corte
organizzata in unica sezione,salvo che uno dei due magistrati operi esclusivamente in sezione
distaccata e l’altro in sede centrale;
magistrati che abbiano tra loro vincoli di parentela o affinità sino al quarto grado incluso,
ovvero di coniugio o convivenza, i quali non possono far parte dello stesso collegio giudicante
sia nei tribunali che nelle corti;
magistrati preposti alla direzione di un ufficio giudiziario, i quali, in linea di principio, sono
considerati sempre in situazione di incompatibilità con gli altri magistrati dell’ufficio;
magistrati cui i parenti sino al secondo grado o affini in primo grado svolgano attività di polizia
giudiziaria presso un determinato ufficio giudiziario, i quali non possono appartenere al
medesimo ufficio;
magistrati che abbiano vincoli di parentela fino al secondo grado o di affinità in primo grado,
ovvero di vincoli di coniugio o di convivenza con avvocati che esercitino la professione nella
stessa sede giudiziaria.
Sono tutte situazioni idonee a creare possibili influenze tra giudici e sui giudici o possibili
favoritismi secondati da vincoli di parentela o di affinità.
C)Con riferimento alla posizione del giudice rispetto all’oggetto del processo o alle parti che
agiscono nel processo, può derivare l’incompatibilità:
dall’avere il giudice un qualche interesse nel processo, nel senso che egli possa rivolgere a
proprio vantaggio economico o semplicemente morale l’attività giurisdizionale che è
chiamato a svolgere; dall’aver dato consigli o dall’aver manifestato il proprio parere
sull’oggetto del processo fuori dall’esercizio delle funzioni giudiziarie; dall’aver manifestato
indebitamente, nell’esercizio delle funzioni e prima della pronuncia della sentenza il
proprio convincimento sui fatto oggetto dell’imputazione; dall’avere già espresso in altri
procedimenti, anche non penali, valutazioni di merito sui fatti oggetto dell’imputazione e
nei confronti dell’attuale imputato;
dall’essere il giudice, il coniuge o i figli debitori o creditori di alcuna delle parti private o dei
loro difensori; dall’essere il giudice tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una
delle parti private;
17
D)Con riferimento, infine, alle condizioni ambientali createsi in occasione dell’instaurarsi di un
determinato processo, l’incompatibilità sorge allorquando accadimenti locali di particolare
gravità, atti a mettere in pericolo la sicurezza o l’incolumità pubblica o a determinare gravi motivi
di legittimo sospetto sulla non imparzialità dell’organo giudicante, possano compromettere il
sereno svolgimento delle attività processuali.
18
Redatta con atto scritto contenente l’indicazione dei motivi che l’hanno determinata e degli
elementi di prova addotti a sostegno, la dichiarazione va presentata, insieme con i documenti che
vi si riferiscono, nella cancelleria del giudice competente a decidere, mentre una copia viene
depositata nella cancelleria dell’ufficio cui è addetto il giudice ricusato.
La legge processuale pone dei termini entro i quali proporre la dichiarazione di ricusazione:
- nell’udienza preliminare, sino a quando non siano conclusi gli accertamenti relativi alla
costituzione delle parti;
- nel dibattimento, subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della
costituzione delle parti;
- in qualsiasi altro momento, prima che il giudice compia l’atto;
- qualora la causa di ricusazione si sia verificata o sia stata conosciuta dopo la scadenza dei
termini, la dichiarazione può essere proposta entro tre giorni dal verificarsi o dall’avvenuta
conoscenza di essa;
- se la causa è sorta o è divenuta nota durante l’udienza, la dichiarazione di ricusazione va
proposta prima della conclusione dell’udienza stessa.
I requisiti di tempo e di forma richiesti per la dichiarazione di ricusazione vanno rispettati a pena di
inammissibilità.
Una volta proposta la dichiarazione di ricusazione, e prima ancora che si di essa decisa l’organo
competente a valutarla, al magistrato ricusato non è consentito “pronunciare ne concorrere a
pronunciare sentenza”, e ciò al fine di evitare che nelle more della procedura incidentale per la
ricusazione possa concludersi il processo; procedura incidentale per la ricusazione di qualsiasi altra
attività processuale diversa dalla pronuncia della sentenza.
La dichiarazione di ricusazione si ha come non proposta nell’eventualità in cui il magistrato, anche
successivamente a essa, dichiari di volersi astenere e l’astensione venga accolta.
La competenza a decidere sulla ricusazione è devoluta funzionalmente alla corte d’appello, salvo
che la ricusazione investa un giudice della Corte di cassazione, nel quel caso a decidere sarà una
selezione della stessa Corte, diversa da quella di cui fa parte il magistrato ricusato. Non è
consentita dichiarazione ricusatoria nei confronti dei giudici chiamati a decidere sulla ricusazione.
Il giudice al quale la ricusazione è stata proposta può pronunciare l’inammissibilità quando la
dichiarazione provenga da chi non ne aveva il diritto o non siano stati osservati i termini e le forme
richiesti o, ancora, quando i motivi addotti siano manifestamente infondati. La relativa ordinanza,
che deve essere pronunciata, “senza ritardo” con procedura de plano, è ricorribile per cassazione,
e pertanto va comunicata al magistrato ricusato e al PM e notificata alle parti private.
Fuori dei cadi di inammissibilità, il giudice competente a decidere sulla ricusazione può disporre
che il magistrato ricusato si astenga temporaneamente dal compiere qualsiasi attività processuale
o si limiti ai soli atti urgenti. In mancanza di un esplicito provvedimento che disponga in tal senso il
giudice nei cui confronti la ricusazione è stata promossa può continuare a esercitare validamente
le proprie funzioni.
La decisione sul merito della ricusazione va adottata con il rito della camera di consiglio che
consente un adeguato contraddittorio, con eventuale presenza della parte che ha proposto la
ricusazione e dl magistrato ricusato, i quali possono anche presentare memorie.
Accolta la dichiarazione ricusatoria, il relativo provvedimento dichiarerà se e in quale parte
conserveranno efficacia gli atti già posti in essere dal giudice ricusato; questi, comunque, non
potrà più compiere alcun atto del processo.
Per la sostituzione del giudice ricusato trovano applicazione le regole che valgono per l’astensione.
19
Nel caso in cui l’istanza di ricusazione sia stata dichiarata inammissibile o sia stata rigettata, il
giudice continuerà a operare nel pieno della sua capacità, mentre la parte privata che lo aveva
ricusato potrà essere condannata al pagamento di una somma a favore della cassa delle
ammende.
A)Il presupposto per la rimessione è dato dal crearsi di “gravi situazioni locali tali da turbare lo
svolgimento del processo”, in quanto suscettibili di arrecare pregiudizio alla sicurezza o incolumità
pubblica ovvero alla libertà di determinazione delle persone che partecipano al processo, o ancora
tali da determinare “ gravi motivi di legittimo sospetto” (configurabili quando la situazione locale
appaia idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità del
giudice, inteso come l’ufficio giudiziario della sede in cui si svolge il processo).
Relativamente all’ipotesi di “legittimo sospetto” non poche perplessità sono state avanzate in
dottrina, basate sulla considerazione che il concetto appare troppo vago e sfumato, tale da
rendere possibile la formulazione di istanze di rimessione fondate su situazioni, la cui
individuazione finisce col rimanere affidata a un potere discrezionale estremamente ampio e
quindi idoneo a degenerare in un soggettivismo suscettibile di sconfinare nell’arbitrio. E questo in
contraddizione con il carattere eccezionale dell’istituto della rimessione che, interferendo con la
garanzia costituzionale del giudice naturale competente per territorio, dovrebbe essere connotato
da un congruo livello di determinatezza della fattispecie che lo supportano.
Per quanto riguarda le “gravi situazioni locali”, queste devono intendersi come circostanze
ambientali- territoriali di natura extragiudiziaria, riguardanti accadimenti non riconducibili al
dinamico sviluppo dei rapporti propri della dialettica processuale.
20
Cassazione giudice costituito in sede unica, nessun luogo diverso da quella sede potrebbe essere
destinato per la trattazione di un processo di cui essa sia chiamata a conoscere.
Il riferimento al “processo” come momento in cui è possibile la rimessione chiarisce che essa potrà
operare solo nelle fasi propriamente giurisdizionali, una volta concluse le indagini preliminari col
promovimento dell’azione penale da parte del PM. Inapplicabile, dunque è l’istituto durante lo
svolgimento delle predette indagini, mentre ammissibile è un’istanza di rimessione presentata
all’udienza preliminare.
La richiesta di rimessione va depositata insieme con i documenti che vi si inseriscono, nella
cancelleria del giudice, ed entro sette giorni notificata, a cura del richiedente, alle altre parti,
intendendo tale concetto in senso sostanziale, come comprensivo, cioè, anche della persona
offesa alla quale non può disconoscersi un eventuale interesse a opporsi alla sottrazione della
cognizione del reato al giudice naturalmente competente in forza di una richiesta di rimessione
che le appaia pretestuosa e dilatoria.
C)Il giudice, ricevuta la richiesta di rimessione, deve trasmetterla immediatamente alla Corte di
cassazione con i documenti allegati e con eventuali osservazioni proprie. Nessun potere di
valutazione gli è concesso sula fondatezza o meno di essa, sicché egli non può dichiarare
l’inammissibilità nemmeno quando palese sia la pretestuosità dei motivi addotti o manifesta
l’inosservanza delle norme dettate dal codice in materia.
La richiesta di rimessione non sospende automaticamente il processo. Tuttavia, il giudice al
momento della presentazione di essa può disporre con ordinanza la sospensione del processo sino
a quando non sia intervenuta una pronuncia della Corte di cassazione che dichiari inammissibile
che rigetti la richiesta stessa; la sospensione, inoltre, può essere sempre disposta dalla stessa
Corte. Le ragioni che possono giustificare l‘adozione di un provvedimento sospensivo sono da
ravvisare nell’esigenza di scongiurare tempestivamente il pregiudizio imminente e irreparabile che
potrebbe derivare dall’illegittima prosecuzione del processo in costanza del procedimento di
rimessione.
Obbligatoria diventa la sospensione del processo prima dello svolgimento delle conclusioni e della
discussione, con il divieto di pronunciare decreto che disponga il giudizio o sentenza, quando il
giudice abbia avuto notizia della Corte di cassazione che la richiesta di rimessione è stata
assegnata a una delle sezioni di essa, o alle sezioni unite, per la trattazione. La sospensione non
viene disposta quando la richiesta di rimessione non sia fondata su elementi nuovi rispetto a quelli
già posti a fondamento di una precedente richiesta che sia stata rigettata o dichiarata
inammissibile. Quest’ultima circostanza attenua la probabilità che la rinnovata richiesta possa
trovare accoglimento.
La sospensione del processo si protrae fino a che non sia intervenuta pronuncia della Corte di
cassazione di rigetto o di inammissibilità della richiesta; tale sospensione non impedisce il
compimento di atti urgenti.
D)La decisione sulla richiesta di rimessione viene adottata con l’osservanza delle garanzie relative
al contraddittorio previste per il procedimento in camera di consiglio, dopo essere state assunte,
se la Corte do cassazione lo ritiene necessario, le opportune informazioni.
Superato positivamente, sia in fase di preliminare valutazione da parte del presidente della Corte,
sia in fase di verifica da parte della predetta sezione, il vaglio di ammissibilità, la richiesta di
rimessione sarà assegnata a una delle sezioni della Corte o alle sezioni unite, e se ne darà
21
immediata comunicazione al giudice procedente affinché adotti i necessari provvedimenti relativi
alla sospensione del processo.
Se la Corte di cassazione accoglie la richiesta, rimette il processo al altro giudice egualmente
competente per materia che abbia sede in un diverso distretto di corte d’appello determinato
secondo il criterio tabellare indicato dall’art. 111 c.p.p. . Del provvedimento viene data
comunicazione, senza ritardo, sia al giudice designato, sia a quello originariamente procedente, il
quale trasferirà tempestivamente gli atti del processo al nuovo giudice, disponendo, al contempo,
che la decisione della Cassazione sia comunicata al PM e notificata alle parti private.
E)Gli atti posti in essere anteriormente al provvedimento che ha accolto la richiesta di rimessione
sono assistiti da una presunzione, sia pur relativa, di efficacia: il legislatore ritiene che essi,
sebbene realizzati in una sede ufficialmente screditata per il riconoscimento clima di diffidenza in
cui si è operato, si siano usciti indenni; salvo che le parti non avanzino dei dubbi sulla validità di
quegli atti, in quel caso potranno chiederne la reiterazione avanti al giudice designato dalla Corte
di cassazione, il quale provvederà a rinnovarli. Sono assicurati alle parti, gli stessi diritti e le stesse
facoltà che sarebbero loro spettati avanti al giudice originariamente competente.
F)Se venga dichiarata inammissibile o rigettata nel merito la richiesta avanzata dall’imputato,
questi potrà essere condannato al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende:
palese il fine di scoraggiare l’uso pretestuoso dell’istituto.
La richiesta di rimessione rigettata o dichiarata inammissibile per manifesta infondatezza può
essere riproposta solo se suffragata da elementi nuovi, sopravvenuti alla decisione o anche
preesistenti purché ignorati; se dichiarata inammissibile per altri motivi, può essere riproposta
incondizionatamente.
Ove al provvedimento di rimessione sopravvengono fatti modificativi dell’originaria situazione che
facciano venir meno le ragioni per le quali la rimessione stessa era stata richiesta, sia il PM, sia
l’imputato possono chiederne la revoca; così come possono chiedere il trasferimento del processo
ad un altro giudice se quello designato dalla Corte di cassazione profili, a sua volta, anch’esso
suspectus.
9.La sfera di potestà del giudice penale: A) contenuti e specie della giurisdizione penale.
Accanto ai requisiti di capacità del giudice altri se ne pongono, relativi ai contenuti e alle specie
della giurisdizione a esso assegnata, e derivanti dalla mo9lteplicità degli organi giurisdizionali
previsti dall’ordinamento.
Con riferimento ai contenuti della giurisdizione è possibile individuare:
-Giudici con giurisdizione piena: sono quelli la cui potestà di accertamento e di decisione in ordine
a una determinata richiesta si esplica attraverso una completa attività che culmina nell’emissione
di qualsiasi pronuncia in conseguenza del comportamento accertato.
-Giudici con giurisdizione semipiena: sono quelli la cui potestà di accertamento e di decisone
incontra il limite dell’applicabilità della pena in conseguenza del comportamento accertato
( giudice con giurisdizione semipiena è quello dell’udienza preliminare nel procedimento ordinario,
al quale non è attribuito il potere di condannare, potendo egli pronunciare unicamente sentenza
di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio).
-Giudici con giurisdizione limitata o ad acta: si possono individuare in quegli organi la cui potestà
di accertamento e di decisione è circoscritta a singoli atti espressamente indicati dalla legge
(figura tipica, il giudice per le indagini preliminari il quale interviene nel corso del procedimento
22
investigativo per assumere provvedimenti in materia di libertà personale e altri diritti della
persona o di assunzione anticipata di prove).
Con riferimento alle specie della giurisdizione è possibile distinguere tra:
-Giudici ordinari e giudici straordinari, i primi facenti parte dell’organizzazione giudiziaria con
carattere di normalità e di stabilità, gli altri istituiti ad hoc, per determinate regiudicande, in via di
eccezionalità e temporaneità. Dopo alcune esperienze del passato, la Costituzione, all’art. 102
comma 2, ha espressamente posto il divieto di creare giudici straordinari;
-Giudici comuni e giudici speciali, gli uni e gli altri appartenenti alla categoria dei giudici ordinari. I
giudici comuni esercitano la loro potestà in rapporto alla generalità dei reati e degli imputati, i
giudici speciali la esercitano in rapporto a particolari categorie di reati e di imputati. Anche per
quanto riguarda i giudici speciali, l’art. 102 comma 2 Cost. ne vieta l’istituzione e ciò al fine di
riaffermare il principio di “unità della giurisdizione”.
Nel sistema processuale vigente sono giudici comuni:
- Il tribunale, che opera in ambito circondariale e che giudica talora come organo monocratico,
che può essere composto anche di un magistrato onorario, talora come organo collegiale di tre
magistrati togati;
- La corte d’assise, organo collegiale composto di otto magistrati di cui due togati e sei laici: la
partecipazione dei laici al collegio misto costituisce la più importante modalità di partecipazione
diretta del popolo all’amministrazione della giustizia;
- La corte d’appello, organo collegiale che opera i ambito distrettuale, composto di tre magistrati
togati;
- La corte d’assise d’appello, organo collegiale composto, al pari della corte d’assise, di due
magistrati togati e sei laici;
- Il giudice per le indagini preliminari, organo monocratico;
- Il giudice dell’udienza preliminare, organo anch’esso monocratico;
- Il giudice di pace, organo monocratico onorario.
Giudici speciali, previsti dal nostro ordinamento processuale penale sono:
- La Corte costituzionale, organo collegiale composto di quindici membri appartenenti alla stessa
Corte e di sedici membri c.d. aggregati estratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti
per l’elegibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione;
- Il tribunale militare, organo collegiale composto di due magistrati appartenenti all’ordinamento
giudiziario militare e di un militare con funzioni di giudice;
- La corte militare d’appello, organo collegiale composto di tre magistrati appartenenti
all’ordinamento giudiziario militare e di due militari con funzioni di giudici.
Vengono comunemente esclusi dal novero dei giudici speciali gli organi della giurisdizione
minorile, ossia:
- Il tribunale per i minorenni, organo collegiale composto di due magistrati togati e di due membri
laici, un uomo e una donna, scelti tra i cittadini benemeriti dell’assistenza sociale, cultori di
biologia, di psichiatria, di pedagogia, esperti il cui intervento è giustificato dall’esigenza che nel
corso del processo venga opportunamente valutata la personalità degli imputati, in considerazione
della loro giovane età;
- La sezione specializzata della Corte d’appello per i minorenni, organo collegiale composto di tre
giudici togati e di due membri laici, allo stesso modo che il tribunale.
Un ulteriore distinzione che attiene alla specie della giurisdizione individua:
- Giudici di merito, ai quali è demandato un accertamento sia relativamente alle questioni di fatto,
sia relativamente alle questioni di diritto che emergono in un processo;
23
- Giudici di legittimità, ai quali è demandata una valutazione di carattere strettamente giuridico,
volta ad assicurare la corretta applicazione della legge: giudice di legittimità per il nostro
ordinamento è essenzialmente la Corte di cassazione, organo giurisdizionale supremo, regolatore
del diritto, con sede a Roma e con giurisdizione estesa a tutto il territorio dello Stato, divisa in
sezioni che giudicano ciascuna in collegio di cinque membri, ovvero, in particolari circostanze
stabilite dalla legge, a sezioni unite in collegio di nove membri.
10.(Segue): B) la competenza penale: a) competenza per gradi e stati del processo (c.d.
funzionale).
Nell’ambito di ciascuna delle specie di giurisdizione si coglie il concetto di “competenza” del
giudice come ulteriore limite che circoscrive l’area della giurisdizione entro cui egli è tenuto a
procedere in ordine a uno specifico caso; e ciò sul presupposto che una decisione su un
determinato fatto non può essere affidata a più giudici i quali, in vista di tale decisione, esercitino
simultaneamente gli stessi poteri.
In sostanza il concetto di competenza come limite della giurisdizione nasce dalla molteplicità degli
organi che esercitano attività giurisdizionale, previsti dall’ordinamento, e dalla conseguente
esigenza di ripartire tra di essi la relativa potestà.
Secondo i gradi del processo è possibile distinguere:
- giudici di primo grado: tra i giudici comuni, il giudice di pace, il tribunale e la corte d’assise; tra i
giudici speciali, il tribunale per i minorenni e il tribunale militare, mentre la Corte costituzionale si
può considerare giudice di primo e unico grado, in quanto il processo costituzionale si esaurisce in
un grado solo;
- giudici di secondo grado (o d’appello): tra i giudici comuni, il tribunale (in composizione
monocratica) sui provvedimenti del giudice di pace, la corte d’appello sui provvedimenti emessi
dal tribunale, la corte d’assise d’appello sui provvedimenti della corte d’assise; tra i giudici speciali,
la corte d’appello per i minorenni sui provvedimenti emessi dal tribunale per i minorenni, la corte
militare d’appello sui provvedimenti del tribunale militare;
- giudici del grado di legittimità: la Corte di cassazione è l’unico organo la cui potestà
giurisdizionale è limitata alla verifica, sotto il profilo giuridico, del procedimento e delle decisioni
emesse da tutti gli altri giudici, essendo suo compito istituzionale curare l’esatta osservanza della
legge.
Secondo gli stati del processo si possono distinguere:
- giudici per gli stati precedenti il giudizio: sono tra i giudici comuni, quello per le indagini
preliminari e il giudice dell’udienza preliminare; tra i giudici speciali, quello per le indagini
preliminari e il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale per i minorenni e presso il
tribunale militare;
- giudici (dello stato) del giudizio: tra i giudici comuni, il giudice di pace, il tribunale e la corte
d’assise, come organi in primo grado; il tribunale e la corte d’appello nei confronti delle decisioni
rispettivamente di giudice di pace e del tribunale, la corte d’assise d’appello nei confronti delle
decisioni della corte d’assise, come organi in secondo grado; la Corte di cassazione nei confronti
dei provvedimenti di tutti i giudici, come organo del controllo di legittimità.
Tra i giudici speciali, la Corte costituzionale, il tribunale per i minorenni e il tribunale militare, in
primo grado; la corte d’appello per i minorenni e la corte militare d’appello, in secondo grado;
-giudici (dello stato) dell’esecuzione: sono il giudice (propriamente etto) dell’esecuzione, il quale
decide sulle questioni che sorgono relativamente all’esecuzione di un provvedimento
giurisdizionale; il magistrato di sorveglianza come organo di primo grado e il tribunale di
24
sorveglianza come organo sia di secondo grado (nei confronti del magistrato di sorveglianza) che
di primo grado (per le materie per cui ha cognizione in via esclusiva), i quali vigilano
sull’esecuzione di pene detentive e provvedono sulle misure di sicurezza nel periodo esecutivo.
In tema di competenza per gradi e stati, va ricordata la regola secondo cui il giudice che abbia
partecipato a un determinato grado o stato del processo non può intervenire negli ulteriori gradi
o stati, e ciò a evitare possibili preconcetti che turberebbero la serenità e obiettività del giudizio.
12. (Segue): deroghe ai principi relativi alla competenza per ragioni di materia.
Le norme processuali relative alla competenza per materia consentono che i criteri generali
subiscano delle regole, facendo sì che la competenza del giudice inferiore venga assorbita dalla
competenza del giudice superiore, in base a una sua presunta maggiore idoneità tecnico-
professionale che se lo abilita a conoscere reati più gravi, ben a ragione può consentirgli di
conoscerne di meno gravi. Questo fenomeno di verifica quando un giudice di competenza
superiore abbia giudicato erroneamente di un reato che sarebbe stato di un giudice di competenza
inferiore, e l’incompetenza non sia stata rilevata o eccepita entro il termine prescritto.
27
- dal luogo della consegna dell’imputato all’autorità nazionale da parte dell’autorità straniera.
Nell’impossibilità di determinare la competenza nei modi sopra indicati, si farà ricorso in via
sussidiaria, al luogo in cui ha sede l’ufficio del PM che per primo ha iscritto la notitia criminis
nel’apposito registro.
2)La seconda situazione nasce quando il reato sia stato commesso in parte nel nostro Paese e in
parte all’estero: dovendosi esso considerare consumato interamente in Italia, la competenza verrà
determinata seconda le regole generali.
14. (Segue): deroghe ai principi relativi alla competenza per ragioni di territorio.
Al pari della competenza per materia, anche quella per territorio consente che i propri criteri
subiscano delle deroghe. Il processo viene affidato a un giudice egualmente competente per
materia, ma di diversa competenza per territorio.
-Una prima ipotesi riguarda i procedimenti in cui sono coinvolti magistrati. L’art. 11 comma 1
c.p.p. dispone che i procedimenti in cui un magistrato assuma la qualità di imputato ovvero di
persona offesa o danneggiata dal reato, vengano affidati al giudice, di pari competenza per
materia, il cui ufficio sia situato nel luogo nel quale il reato è stato commesso, ma nel capoluogo di
un diverso distretto di corte d’appello. L’individuazione di esso va fatta secondo una regola
tabellare, predeterminata dalla l. 420/1998. Se, poi, il magistrato in un momento successivo a
quello in cui si è verificato il fatto è venuto a esercitare le proprie funzioni nel distretto
determinato secondo il criterio tabellare, la competenza slitta verso il capoluogo di un altro
distretto di Corte d’appello da individuare sempre secondo quel criterio.
- Deroga alla competenza per territorio si ha anche nell’ipotesi di rimessione del processo. Istituto
volto in via diretta e immediata a garantire l’indipendenza e l’imparzialità del giudice, esso si
risolve in uno spostamento di competenza per territorio, operando un trasferimento del processo
dal giudice che dovrebbe essere territorialmente competente, a un giudice diverso.
- Altre eccezioni ai criteri di competenza per territorio sono previste da leggi regolatrici di materie
particolari; così, ad esempio:
per i reati societari contestati a persona sottoposta con provvedimento definitivo a misure di
prevenzione in quanto indiziata di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o similari,
ovvero a persona condannata con sentenza definitiva per il delitto di associazione di tipo
mafioso previsto dall’art. 416-bis c.p., la competenza viene attribuita in ogni caso al tribunale
che ha applicato la misura di prevenzione o ha giudicato dell’associazione mafiosa;
per quanto riguarda i reati commessi a mezzi di rappresentazione cinematografica e teatrale,
la legge 161/192 attribuisce la competenza al giudice del luogo in cui è avvenuta la prima
rappresentazione in pubblico;
per i reati commessi da minori, l’art. 49 del r.d. 12/1941 stabilisce che in ogni sede di corte
d’appello è costituito un tribunale per i minorenni il quale ha giurisdizione su tutto il territorio
della Corte d’appello e i reati imputabili a minori sono di competenza di quel tribunale, quale
che sia il luogo in cui siano stati commessi, nell’ambito del distretto della corte d’appello;
per i reati previsti dal codice della navigazione consumati a bordo di navi e aeromobili non
militari, all’estero, ovvero al di fuori del mare o dello spazio aereo territoriale, la competenza
appartiene al giudice del luogo in cui, dopo essere stato commesso il reato, è avvenuto il primo
approdo, nel territorio dello Stato, della nave o dell’aeromobile sul quale si trovava l’imputato
al momento del fatto, in via sussidiaria, la competenza viene attribuita al giudice del luogo di
iscrizione della nave o di abituale ricovero dell’aeromobile;
28
per i reati in materia di imposte sul reddito e sul valore aggiunto la competenza viene fissata
nel luogo di accertamento dell’illecito.
- Un’altra regola posta in deroga ai normali criteri di attribuzione di competenza per ragioni di
territorio è stata introdotta dai commi 1-bis 1-quarter dell’art. 328 c.p.p. per i procedimenti di
criminalità organizzata nel corso dei quali le funzioni di giudice per le indagini preliminari e di
giudice dell’udienza preliminare vengono esercitate da un magistrato del tribunale del capoluogo
del distretto nel cui ambito ha sede il giudice che sarebbe naturalmente competente, tranne che
specifiche norme non stabiliscano diversamente.
- Un’altra ipotesi peculiare che va a risolversi sostanzialmente in una deroga ai criteri di
ripartizione della competenza per ragioni di territorio si ha quando, non essendo state osservate in
un determinato procedimento le norme che ne assegnano al giudice considerato competente
ratione loci, tale inosservanza non sia stata rilevata nei termini stabiliti. In questo caso, la
competenza rimane radicata in capo all’organo giurisdizionale che, appunto in deroga alle normali
regole, ha conosciuto del reato in ordine al quale non avrebbe dovuto giudicare.
29
possibilità di effettuare una valutazione complessiva della personalità dell’imputato anche ai
fini dell’irrogazione della sanzione;
c) che dei reati per i quali si procede alcuni siano stati commessi allo scopo di eseguirne o
occultarne altri: sono le stesse ipotesi che configurano la circostanza aggravante di cui all’art.
61 n.2 c.p. . Il profilarsi del fenomeno della connessione trova fondamento nell’unicità del
processo volitivo, non potendosi volere il reato- fine se non volendo anche il reato- mezzo, il
che giustifica l’opportunità di un accertamento unitario anche allo scopo di verificare la
possibilità di applicazione dell’aggravante dell’art. 61 n.2 c.p. Per ciò che riguarda il riferimento
ai reati commessi per occultarne altri, il vincolo di connessione si basa su un rapporto di
subordinazione del secondo reato al primo. Ancora una volta, sono situazioni che giustificano il
simultaneus processus tendente anche a rendere applicabile la circostanza prevista dall’art. 61
n.2 c.p.
30
peculiare significato che ha assunto il regime processuale minorile, ispirato a un’accentuata
protezione del soggetto minorenne.
Si sono espressi dubbi in dottrina sulla compatibilità della disciplina della connessione dei
procedimenti con il principio del giudice naturale precostituito per legge, in considerazione della
portata derogatoria che essa ha rispetto alle ordinarie norme sulla competenza. La Corte
costituzionale ha, però, sottolineato che la nozione di giudice naturale viene integrata anche da
tutte quelle disposizioni dettate in deroga alle regole della competenza generale, in forza dei
criteri che razionalmente valutino i disparati interessi posti in gioco dal processo e che l’esigenza
della precostituzione è rispettata allorché l’organo giudicante sia istituito dalla legge in base a
parametri generali fissati in anticipo e non già in vista di singole controversie. Il principio, pertanto,
non risulta violato nei casi nei quali la legge preveda la possibilità di spostamenti di competenza
da un giudice a uno diverso, purché anche questo precostituito, ove tali spostamenti siano
necessari per assicurare il rispetto di altri principi, come quello dell’ordine e della coerenza nella
decisione di cause tra loro connesse.
31
la mancata comparizione in dibattimento, per motivi legittimi, dell’imputato o del difensore;
la necessità di trattare prioritariamente alcuno dei processi per il rischio che imputati di gravi
delitti in stato di custodia cautelare possano esser messi in libertà per scadenza di termini.
Sono tutte circostanze le quali convincono dell’esigenza di evitare che situazioni concernenti
singoli imputati possano coinvolgere le sorti degli altri ritardandone la definizione: al loro
verificarsi si determina nel giudice l’obbligo di disporre la separazione e ricondurre il processo
nella propria sede, rimettendo, ove si fossero riuniti processi di competenze diversi accomunati
per connessione, ciascuno di essi al giudice naturalmente competente; tranne che non si ritenga la
riunione “assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti”: le pretese di rapidità dell’iter
processuale cedono di fronte alle esigenze funzionali dell’accertamento giudiziario.
I provvedimenti sulla riunione e sulla separazione dei processi vengono adottati con ordinanza,
emessa anche d’ufficio, sentite le parti. Tale “audizione” è voluta a tutela dell’interessa che le parti
stesse potrebbero prospettare, ai fini di una più convincente valutazione dei fatti, l’opportunità
che questi vengano giudicati, tutti quanti, con unica sentenza; ovvero vengano ricondotti ciascuno
alla sua naturale sede. In ogni caso la delibazione di quell’interesse rimane affidata alla piena e
insindacabile discrezionalità del giudice sicché il parere espresso dalle parti non impegna sui
contenuti delle decisioni.
32
L’art. 163-bis disp. att. c.p.p. detta regole per l’ipotesi di eventuale inosservanza delle disposizioni
relative alla ripartizione dei procedimenti tra sede principale e sezioni distaccate, o tra diverse
sezioni distaccate, stabilendo che la relativa questione può essere sollevata, d’ufficio dal giudice o
su eccezione delle parti, fino al momenti della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo
grado. Ove sia stata una delle parti a eccepirla, lo stesso giudice monocratico avanti al quale la
decisione è stata posta deve preliminarmente valutarne l’attendibilità, e ciò al fine di evitare che la
prospettazione dell’inosservanza abbia a trasformarsi in un espediente dilatorio finalizzato ad
allungare i tempi del processo. Dopo di che, se ravvisa l’effettiva violazione dei criteri di
ripartizione, o ritiene l’eccezione non manifestamente infondata, rimette gli atti al presidente del
tribunale il quale provvederà, con decreto non impugnabile, alla corretta attribuzione del
processo, potendo anche disporre che, “in considerazione di particolari esigenze una o più udienze
siano tenute nella sede principale o in altra sede distaccata”.
20.Le vicende relative alla potestà del giudice penale: A) il difetto di giurisdizione.
Sulla potestà del giudice possono incidere determinate vicende.
A)Rileva, anzitutto, un possibile difetto di giurisdizione che si colloca nell’ambito dei rapporti tra
giurisdizione comune e giurisdizione speciale: a norma dell’art. 20 c.p.p., il difetto di giurisdizione,
nel contesto processuale penale, si caratterizza come mancanza di potestà del giudice comune di
fronte al giudice speciale o di questo di fronte a quello.
La legge processuale accomuna nella sua previsione sia il “difetto relativo”, sia il “difetto assoluto”
di giurisdizione: il primo, verificabile allorché il giudice comune proceda in ordine a un reato del
quale dovrebbe conoscere un giudice speciale, o viceversa; il secondo allorché qualsiasi organo
della giurisdizione penale, comune o speciale, risulti carente della potestà di giudicare.
Entrambe le situazioni sono rilevabili, anche d’ufficio, in qualsiasi stato e grado del procedimento.
33
- In particolare, se il difetto di giurisdizione viene rilevato nel corso delle indagini preliminari, il
giudice, sia esso comune o speciale, pronuncia ordinanza disponendo la restituzione degli atti al
PM dal quale era stato investito. Ciò non impedisce una possibile diversa valutazione della
situazione, che lo stesso giudice può compiere ove venga successivamente sollecitato un altro suo
intervento, dal momento che l’ordinanza è produttiva di effetti soltanto limitatamente al
provvedimento richiesto, ossia sempreché non intervena un quid novi a modificare lo stato di fatto
processuale e a determinare una diversa decisione. Ai fini del rilevamento del difetto di
giurisdizione nel corso delle indagini preliminari, il PM deve provocare l’intervento del giudice,
anche al di fuori delle ipotesi in cui questi possa esservi presente per altra causa , anche allorché la
carenza di potestà giurisdizionale appaia tanto evidente da non lasciar adito a ombra di dubbio.
- Se il difetto di giurisdizione viene rilevato dopo la chiusura delle indagini preliminari, il giudice
pronuncia sentenza che conterrà anche l’ordine di trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria
cui spetta conoscere del reato, mentre nel caso di difetto assoluto, non essendovi alcun organo
giurisdizionale penale legittimato alla cognitio causae, si limiterà a dichiarare solo il difetto di
giurisdizione. Assolutamente preclusa quando decisione di merito, che se eventualmente adottata
dovrebbe considerarsi tamquam non esset.
L’art. 25 c.p.p. disciplina gli effetti della decisione pronunciata nel giudizio in Cassazione a seguito
di rilevazione dell’esistenza di un difetto di giurisdizione, stabilendo che essa è vincolante nel corso
del processo, tranne che, successivamente, non emergono elementi nuovi tali da comportare una
diversa definizione giuridica del fatto- reato che sia modificativa della giurisdizione.
34
Per ciò che riguarda l’individuazione dell’ “incompetenza che derivi da connessione”, è da ritenere
che questa si determini soltanto nel caso in cui un procedimento che avrebbe dovuto seguire per
attrazione l’iter imposto dalle regole fissate nell’art. 15 c.p.p. rimanga affidato al giudice e
originariamente competente.
Ipotesi differente appare quella in cui procedimenti connessi siano stati erroneamente attribuiti al
giudice di competenza inferiore: è da ritenere che qui l’incompetenza derivi dall’inosservanza delle
normali regole attributive della cognitio causae per ragioni di materia, sicché potrà essere rilevata
in ogni stato e grado del processo, e anche d’ufficio.
-COMPETENZA PER TERRITORIO. L’incompetenza per territorio ha carattere mono rigido di quelle
che regolano l’incompetenza per materia. L’incompetenza per territorio va eccepita dalle parti o
rilevata dal giudice, non già in ogni stato e grado come quella per materia, ma unicamente entro
rigorosi termini prescritti a pena di decadenza: prima che si concluda l’udienza preliminare
ovvero, nel caso in cui questa manchi, durante la fase introduttiva del dibattimento, subito dopo
essere stati compiuti per la prima volta gli accertamenti sulla regolare costituzione delle parti,
momento entro il quale deve essere riproposta anche l’eccezione dedotta e respinta
nell’udienza preliminare. Superati questi limiti temporali interviene la perpetuatio jiurisdicitionis,
per cui la cognizione della causa rimane al giudice originariamente incompetente, anche se i fatti
sui quali può fondarsi la deducibilità del vizio di incompetenza emergano solo in seguito
all’istruzione dibattimentale. Ancora una volta, predominano le esigenze relative all’ordine e alla
speditezza del processo.
-COMPETENZA PER CONNESSIONE. Le regole che disciplinano l’incompetenza per territorio
valgono pure per l’incompetenza derivante da connessione, riguardi essa i criteri di ripartizione
per territorio o quello per materia.
-Nel codice nono sono contenute specifiche norme sull’inosservanza dei criteri di ripartizione
della competenza per stati e gradi (c.d. funzionale), giacché l’individuazione di questo tipo di
competenza è dovuta alla sola elaborazione dottrinale. Trattandosi, comunque, di criteri che
attengono alla capacità che ha l’organo giurisdizionale di esercitare determinate funzioni e non
altre, è da ritenere che una loro eventuale inosservanza vada valutata alla stregua dei vizi
riguardanti la capacità del giudice.
22. (Segue): le decisioni relative all’inosservanza dei criteri di ripartizione della competenza.
La disciplina delle decisioni concernenti le questioni in tema di inosservanza dei criteri di
ripartizione della competenza, adottabili dai giudici nei vari gradi e stati del processo, è articolata
secondo alcune regole.
35
b)in sede di udienza preliminare, l’incompetenza viene dichiarata con sentenza dal giudice il quale
ordina, al contempo, la trasmissione degli atti al PM presso il giudice competente che viene
designato dalla sentenza stessa. Il provvedimento, in questo caso, trova giustificazione nel fatto
che il giudice, a conclusione delle indagini, viene investito dal PM con la richiesta finale che gli
devolve la cognizione piena e il potere decisorio in ordine all’esito di esse;
c)nel dibattimento, il giudice, ove ritenga competente un giudice diverso,emette sentenza
dichiarativa della propria incompetenza, e ordina la trasmissione degli atti al PM presso il giudice
ritenuto competente.
NEL PROCESSO D’APPELLO
Il giudice il quale accerti che in primo grado si è verificata un’ipotesi di incompetenza per difetto,
avendo conosciuto del reato un organo di competenza inferiore rispetto a quello che avrebbe
dovuto conoscerne, emette, non necessariamente su impugnazione di alcuna delle parti, ma anche
d’ufficio, sentenza di annullamento della decisione adottata da quell’organo e ordina la
trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado trattato un processo spettante a un
giudice di competenza inferiore, il giudice dell’appello pronuncia nel merito e in secondo grado:
l’incompetenza per eccesso, in questo caso, è del tutto irrilevante; prevalgono ancora esigenze di
speditezza del processo. Per quanto concerne l’incompetenza per territorio e quella derivante da
connessione, il giudice d’appello, ravvisatane l’esistenza, emanerà sentenza di annullamento e
trasmetterà gli atti al PM presso il giudice competete soltanto se nel giudizio di primo grado siano
stati rispettati i termini per dedurre l’incompetenza e se la relativa eccezione sia stata riproposta
tra i motivi dell’impugnazione; diversamente, giudicherà nel merito come giudice del secondo
grado.
IN SEDE DI GIUDIZIO PER CASSAZIONE
Può venire in considerazione per la prima volta solo l’incompetenza determinatasi allorché il
giudice di competenza inferiore abbia conosciuto di un reato riservato al giudice di competenza
superiore: è questa la valutazione suscettibile di essere rilevata anche d’ufficio, in ogni stato e
grado del processo, mentre le altre ipotesi di incompetenza sono sottoposte ai rigoroso limiti
cronologici che ne consentono la rilevabilità elusivamente non oltre l’ambito degli atti introduttivi
del dibattimento di primo grado. Pertanto, esse non possono trovare ingresso nel giudizio di
cassazione, tranne che, non vengano indicate anche come motivi di ricorso per cassazione.
Se la Corte di cassazione riconosce l’incompetenza annulla la sentenza sottoposta al suo esame
rinviando gli atti al giudice che essa riterrà competente, e la “decisione” è vincolante nel corso del
processo, nel senso che è definitivamente attributiva della competenza in capo all’organo che ne è
stato investito. Tale effetto, viene meno nel caso in cui dopo la sentenza della Cassazione risultino
elementi nuovi idonei a dar luogo a una diversa definizione giuridica del fatto- reato che sposti la
cognitio causae a un giudice di competenza superiore, e ciò in omaggio al principio che riconosce
tale giudice, privilegiandola, una più attitudine sul piano tecnico- professionale. Irrilevante, invece,
la circostanza che i nuovi elementi successivamente emersi possano produrre soltanto una
modifica della competenza per territorio o di quella per connessione, ovvero lo slittamento della
cognizione del processo verso un giudice di competenza inferiore.
23. (Segue): l’inosservanza dei criteri di ripartizione della competenza nell’acquisizione di prove
e nell’adozione di misure cautelari.
36
Regole specifiche in ordine all’acquisizione delle prove e all’adozione di misure cautelari vengono
dettate dagli artt. 26 e 27 c.p.p.
In particolare, per le prove acquisite in situazione di violazione delle regole sulla competenza, è
stabilito che esse mantengono la loro piena efficacia anche se assunte da giudice dichiarato
incompetente per territorio, purché siano state osservate le disposizioni che ne disciplinano la
formazione.
Se siano state acquisite da un giudice che risulti, poi, incompetente per materia, rimangono
pienamente efficaci, a condizione che non si tratti di dichiarazioni ripetibili: in questo caso, la loro
utilizzabilità è consentita soltanto nell’udienza preliminare, al fine di stabilire se il processo debba
o no sfociare in un rinvio a giudizio, dal momento che in dibattimento il giudice competente è in
grado di acquisire personalmente le prove in questione.
Per quel che concerne i provvedimenti cautelari sia personali che reali, essi possono esser disposti
anche da un giudice che al momento della relativa richiesta erroneamente propostagli dal PM si
reputi privo, quale che ne sia il motivo, della competenza a conoscere nel merito. Ciò, però, in via
assolutamente eccezionale e d’urgenza, per garantire le esigenze, di natura cautelare, che tali
provvedimenti sono chiamati a soddisfare e che il ritardo, nell’attesa dell’intervento del giudice
competente, potrebbe frustrare. La disciplina in questo senso emerge dall’art. 27 c.p.p., in cui si
stabilisce che le misure cautelari disposte dal giudice che si dichiari incompetente per qualsiasi
causa, cessano di avere efficacia se entro 20 giorni dalla trasmissione degli atti al giudice ritenuto
competente questi non adotti nuovi provvedimenti. Lo stesso fenomeno di caducazione si verifica
anche ove la causa di incompetenza venga rilevata in un momento successivo all’emanazione del
provvedimento.
37
questo caso, egli disporrà, con ordinanza, la trasmissione degli atti al PM affinché provveda alla
corretta instaurazione del rito con soppressione della fase dell’udienza preliminare.
-durante la fase dibattimentale. Occorre distingue a seconda che sia stata instaurata a seguito di
udienza preliminare oppure no.
Nel primo caso, il giudice, monocratico o collegiale, ove ritenga che a decidere debba essere il
tribunale in composizione diversa, trasmette, con ordinanza, gli atti al giudice a cui va attribuita la
cognitio causae. Essendo già celebrata l’udienza preliminare è logico che il processo passi
direttamente al giudice del dibattimento che deve conoscerne secondo i prescritti criteri di
attribuzione.
Nel caso di dibattimento instaurato a seguito di rito semplificato, il giudice dispone con ordinanza
la trasmissione al PM affinché investa del processo il giudice di quell’udienza. Se così non si
operasse, verrebbe meno una fase processuale in cui l’imputato può esercitare ogni suo diritto in
vista di una possibile conclusione del processo a lui favorevole ancor prima che esso giunga ad un
epilogo dibattimentale. Disciplina analoga a quella appena delineata si ha allorché il giudice
monocratico, sempre in corso di rito semplificato, ritenga che, pur essendo il reato di sua
cognizione, si debba procedere con udienza preliminare.
B) NEL PROCESSO DI APPELLO. Qualora il giudice di appello ritenga che il procedimento doveva
essere attribuito al tribunale in composizione collegiale mentre erroneamente ne ha conosciuto i
tribunale monocratico, pronuncia l’annullamento della sentenza impugnata, disponendo la
trasmissione degli atti al PM presso il giudice di primo grado affinché instauri correttamente il
procedimento avanti all’organo in composizione collegiale. Questa disciplina muove dalla
considerazione che tale modulo procedimentale presenta maggiori garanzie delle quali l’imputato
nel giudizio di primo grado si è visto illegittimamente privato e che è giusto ripristinare.
Se, viceversa, il giudice dell’appello ritiene che a decidere doveva essere il tribunale monocratico e
ne ha conosciuto irregolarmente il collegio, non procede all’annullamento e pronuncia nel merito.
Invero, si presume che il giudizio in primo grado, ancorché inesattamente imbastito secondo le
regole del rito collegiale, tutto sommato sia stato più affidabile, sicché irragionevole sarebbe
reiterarlo in forme meno rassicuranti.
C) IN SEDE DI GIUDIZIO PER CASSAZIONE. Si applicano le stesse norme dettate per la rilevabilità in
appello dell’inosservanza delle disposizioni in tema di composizione del tribunale, sia che si tratti
di erronea attribuzione al giudice monocratico, sia che si tratti di erronea attribuzione al giudice
collegiale. In quest’ultima ipotesi il giudizio in Cassazione deve riguardare una sentenza di primo
grado non appellata o perché impugnata direttamente con ricorso in Cassazione.
Affinché la Corte di cassazione possa pronunciarsi è necessario che le eccezioni relative
all’irregolare attribuzione siano state proposte inutilmente nel giudizio di primo grado, riproposte
altrettanto inutilmente nel processo d’appello e prospettate, infine, come motivi di ricorso per
cassazione.
26. (Segue): l’inosservanza dei criteri di attribuzione nel compimento di atti del procedimento e
nell’acquisizione di prove.
L’art. 33-nonies c.p.p. stabilisce che “l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale
o monocratica del tribunale non determina l’invalidità degli atti del procedimento, né
l’inutilizzabilità delle prove già acquisite”. A condizione, si intende, che siano state rispettate le
specifiche regole che disciplinano il compimento degli atti e l’acquisizione delle prove.
Se il legislatore ha ritenuto di adottare il principio della conservazione degli atti compiuti dal
giudice incompetente, a maggior ragione lo stesso criterio andava seguito nel caso di irregolare
38
attribuzione all’organo giurisdizionale in composizione errata, dal momento che la ripartizione
delle attribuzioni viene vista come organizzazione del lavoro all’interno di un unico ufficio al quale
è demandato giudicare, anche se in diversa figurazione, su fattispecie pur sempre di propria
competenza.
39
connessione. L’esclusione viene giustificata con la considerazione che è opportuno evitare conflitti
tra pubblici ministeri durante le indagini preliminari, lasciando ciascun ufficio del PM libero di
svolgere le indagini per il reato commesso nel proprio territorio. La previsione però è da
considerare superata dall’art. 54-bis c.p.p. che ha fatto venir meno la possibilità di ipotizzare in
materia un ricorso a un’estensione analogica delle regole dettate per i conflitti tra organi
giurisdizionali , che attraverso l’art. 28 comma 3 c.p.p. si voleva evitare.
Al di fuori delle ipotesi appena dette, conflitti di competenza tanto positivi che negativi sono
possibili nel corso delle indagini preliminari, sia pure con cognizione necessariamente limitata allo
stato degli atti. Conflitto positivo si delinea quando più giudici emettano un provvedimento
relativo a un medesimo fatto, richiesto dai rispettivi uffici del PM. Conflitto negativo si profila
quando, dichiaratosi il giudice per le indagini preliminari incompetente a emettere un
provvedimento sollecitatogli dal PM, questi investa del procedimento il PM presso l’organo
giurisdizionale ritenuto competente e il nuovo giudice per le indagini preliminari, a sua volte,
carente di competenza, ritenendo che competente sia il primo giudice.
40
comportino una diversa definizione giudica dalla quale derivi la modificazione della giurisdizione o
lo slittamento della competenza per materia, ma solo verso un giudice superiore. Intangibile
rimane, invece, la determinazione del giudice competente per territorio, anche quando, dovessero
insorgere nel corso del processo nuovi fatti modificativi della sua competenza.
41
30. (Segue): la sospensione del dibattimento in attesa di decisioni su questioni civili o
amministrative.
Una figura che, pur se formalmente il codice non cataloga tra le questioni pregiudiziali, nella
sostanza finisce col rimanervi assimilata, è quella delineata dall’art. 479 c.p.p. in cui viene stabilito
che, “fermo quanto previsto dall’art. 3, qualora la decisione sull’esistenza del reato dipenda dalla
risoluzione di una controversia civile o amministrativa di particolare complessità, per la quale sia
già in corso un procedimento presso il giudice competente, il giudice penale, se la legge non pone
limitazioni alla prova della posizione oggettiva controversa, può disporre la sospensione del
dibattimento siano a che la questione non sia stata decisa con sentenza passata in giudicato”.
Trattasi di una situazione destinata a operare soltanto in fase dibattimentale e la cu configurabilità
in termini di questione pregiudiziale dipende da ben precisi presupposti e limitazioni.
- Anzitutto, si richiede che si sia in presenza di una controversia civile o amministrativa alla cui
risoluzione sia legata la “decisione sull’esistenza del reato”;
- La controversia deve essere di “particolare complessità”, il che vuol dire tale da sconsigliare che
a conoscerne venga chiamato un organo naturalmente destinato a esercitare funzioni
giurisdizionali in materia (penale) diversa da quella (civile o amministrativa) oggetto della
controversia, essendo richiesti accertamenti tali da non potersi compiere agevolmente con i mezzi
propri del rito penale;
- In ordine a quella controversia “sia già in corso un procedimento presso il giudice
competente”: si vuole evitare che di tale procedimento si abbia ad attendere un inizio che
potrebbe anche tardare indefinitamente;
- Per l’accertamento in sede civile o amministrativa la legge non deve porre “limitazioni alla prova
della posizione soggettiva controversa”: in tale eventualità ammettere che il giudice penale
importi la soluzione accolta dal giudice civile, il quale dispone di minori strumenti probatori, o
addirittura, è vincolato da una regola di decisione inversa, implicherebbe il rischio di una sentenza
ingiusta.
Soltanto al realizzarsi di questi presupposti si determina nel giudice penale il potere, il cui esercizio
rimane pur sempre affidato alle sue valutazioni discrezionali di ordinare la sospensione del
dibattimento. Ove egli ritenga di non farlo, risolverà autonomamente le questioni di natura
extrapenale, definendo il giudizio sull’esistenza del reato. La sospensione del dibattimento durerà
sino a che la questione civile o amministrativa non sia stata decisa con sentenza passata in
giudicato. Questa sentenza non esplica effetto di giudicato nel processo penale: gli accertamenti in
essa contenuti saranno, dunque, valutati alla stregua di ogni altro materiale utile sul piano
probatorio. In definitiva, il giudice penale, anche se abbia in precedenza disposto la sospensione
del dibattimento, può disattendere tutto quel che è stato deciso in sede extrapenale; l’unico
vincolo è semmai quello derivante dalla necessità di fornire un’adeguata motivazione.
La sospensione del dibattimento penale può cessare anche prima che sia intervenuta la decisione
in sede civile o amministrativa, e precisamente se, trascorso un anno, il giudizio in questa sede non
si sia ancora concluso. In tal caso, il giudice, su sollecitazione delle parti o ex officio, può revocare
l’ordinanza di sospensione e disporre, contestualmente, la prosecuzione del dibattimento.
42
caso, l’autorità giudiziaria, qualora il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla
risoluzione della questione di legittimità costituzionale e non ritenga che la questione sollevata sia
manifestamente infondata, emette ordinanza con la quale dispone la trasmissione immediata
degli atti alla Corte costituzionale, e sospende il giudizio in corso. Questa pregiudiziale si può
definire come “obbligatoriamente devolutiva”, poiché il giudice, accertata la rilevanza della
questione e ravvisata la non manifesta infondatezza della questione stessa, dovrà
necessariamente arrestarsi e demandare la decisione alla Corte costituzionale, essendo a lui
vietato il giudizio sulla costituzionalità delle leggi.
44
- presso ogni corte d’appello, titolare dell’ufficio del pm è un procuratore generale, coadiuvato da
avvocati generali e da sostituti procuratori generali;
- presso ogni tribunale, titolare dell’ufficio del pm è un procuratore della Repubblica, coadiuvato,
eventualmente, da procuratori aggiunti tra i quali può scegliere il vicario che lo sostituisca in caso
di assenza, impedimento o sede vacante, e da sostituti procuratori, nonché da vice procuratori
onorari, da uditori giudiziari, da ufficiali di polizia giudiziaria o da laureati in giurisprudenza che
frequentino il secondo anno della scuola di specializzazione per le professioni legali, i quali
possono esercitare le funzioni di pm nei procedimenti avanti al tribunale monocratico e relativi
reati per cui la legge stabilisce la pena della reclusione non superiore a 4 anni;
- presso ogni giudice di pace titolare dell’ufficio del pm è il procuratore della Repubblica del
tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace, coadiuvato da sostituti procuratori, da vice-
procuratori onorari e da eventuali delegati.
B)Per ciò che riguarda la giurisdizione speciale
- presso ogni tribunale per i minorenni, titolare dell’ufficio del pm è un procuratore della
Repubblica, coadiuvato da sostituti procuratori;
- presso ogni tribunale militare, titolare dell’ufficio del pm è un procuratore militare della
Repubblica, coadiuvato da sostituti procuratori militari;
- presso la corte militare d’appello, titolare dell’ufficio del pm è il procuratore generale militare,
coadiuvato da avvocati generali militari e da sostituti procuratori generali militari;
- presso la Corte costituzionale, quando sia chiamata a giudicare il Presidente della Repubblica per
i reati di alto tradimento e di attentato alla Costituzione, l’ufficio del pm è costituito da uno o più
commissari eletti dal Parlamento anche tra i propri componenti.
° Per i reati di cognizione della corte d’assise agisce l’ufficio del pm presso il tribunale individuato
secondo le normali regole attributive della competenza per territorio; avanti la corte d’assise
d’appello agisce l’ufficio del pm presso la corte d’appello.
° Regole particolari valgono per i delitti, consumati o tentati, di associazioni di tipo mafioso e di
sequestro di persona a scopo di estorsione, nonché per i delitti commessi avvalendosi delle
condizioni previste dalle norme che puniscono l’attività delle associazioni di stampo mafioso e la
loro agevolazione, per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze
stupefacenti o psicotrope … la trattazione di procedimenti relativi a questi reati è sempre affidata
al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto della corte d’appello
nel cui ambito ha sede il giudice competente, il c.d. procuratore distrettuale, il quale, all’interno
del proprio ufficio di procura, costituisce una c.d. direzione distrettuale antimafia designando i
magistrati ne fanno parte scelti in base a specifiche attitudini ed esperienze professionali.
° Per i medesimi reati e con funzioni di coordinamento delle attività demandate ai procuratori
distrettuali è istituita la c.d. direzione nazionale antimafia, alla quale è proposto il procuratore
nazionale antimafia, coadiuvato da uno o più procuratori aggiunti e da sostituti procuratori,
magistrati scelti sulla base di specifiche attitudini ed esperienze nella trattazione di procedimenti
di criminalità organizzata.
45
Criterio funzionale: è possibile distinguere in relazione ai gradi e agli stati del procedimento. Nel
procedimento di primo grado, i poteri del pm sono esercitati dai magistrati della procura della
Repubblica presso il tribunale; nel procedimento in secondo grado e in quello in Cassazione,
rispettivamente dai magistrati della procura generale presso la corte d’appello e da quelli della
procura generale presso la Corte di cassazione.
Criterio territoriale: le funzioni vengono esercitate dai singoli uffici del pm in considerazione della
loro stabile organizzazione pedissequa degli uffici dei giudici e si estendono nell’ambito della
stessa area territoriale entro la quale è competente il giudice presso cui l’ufficio del pm è istituito.
Criterio materiale: rileva la devoluzione di attribuzione ai magistrati dei diversi uffici del pm non
simmetrica rispetto alla competenza per materia dei giudici, dal momento che per i reati di
cognizione del giudice di pace, per quelli di cognizione del tribunale e per quello di cognizione
della corte d’assise le funzioni vengono svolte dai magistrati di un unico ufficio, la procura della
Repubblica presso il tribunale.
Controllo sulla legittimazione di un determinato ufficio del pm a esercitare in concreto le
attribuzioni di cui è astrattamente investito: viene consentito dall’art. 54- quater c.p.p. alla
persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, nonché ai loro rispettivi difensori. Tali
soggetti, avuta conoscenza dell’instaurazione di un procedimento possono chiedergli di
trasmettere gli atti al pm presso il giudice da essi ritenuto competente, enunciando, a pena
inammissibilità, le ragioni a sostegno della pretesa. Se il pm procedente accoglie la richiesta, entro
10 giorni trasmette gli atti all’omologo ufficio presso il giudice ritenuto competente; in caso
contrario, o se comunque omette di adottare un provvedimento nei 10 giorni, il richiedente, entro
i 10 giorni successivi, può avanzare istanza al procuratore generale presso la Corte d’appello o,
qualora il giudice ritenuto competente appartenga a un diverso distretto, al procuratore generale
presso la Corte di cassazione, affinché determinino, con decreto motivato ed entro 20 giorni dal
deposito della richiesta, quale ufficio del pm dovrà procedere.
La reiterazione di una richiesta precedentemente rigettata è inammissibile, tranne che non sia
fondata su fatti nuovi e diversi.
Attraverso l’instaurazione del meccanismo di controllo appena descritto, il legislatore ha inteso
riaffermare una stretta correlazione tra attribuzioni istituzionali del magistrato del pm e
competenza del giudice, impedendo al primo di spaziare nelle sue investigazioni svincolato da
qualsiasi collegamento con il giudice che, in casi di esercizio dell’azione penale, sarà competente
per la decisione.
In ordine agli atti posti in essere dal pm al di fuori della propria sfera di attribuzioni, il codice
dispone che essi possono essere utilizzati nei casi e nei modi previsti dalla legge. Il riferimento ai
soli atti dell’indagine preliminare si giustifica per il fatto che soltanto in questo momento, in cui
agisce da dominus il pm, possono sorgere problemi di titolarità riconducibili a tale organo, mentre
nei momenti successivi ogni situazione di quel genere andrebbe a confluire in valutazioni
riguardanti la competenza dell’organo giurisdizionale. Gli atti in questione conservano validità nei
casi previsti dalla legge: la precisazione normativa fonda una regola generale di inefficacia dell’atto
posto in essere dal pm al di fuori delle proprie attribuzioni, sotto il profilo della mancanza di
legittimazione del soggetto che lo crea, tranne che la legge non ne permetta l’utilizzabilità.
Se l’atto compiuto dal pm privo di legittimazione può essere ripetuto esso dovrà considerarsi
inefficace.
46
Anche in capo agli uffici del pm possono crearsi situazioni di contrasto riguardanti le loro
attribuzioni. Ciò si verifica, anzitutto, quando un pm, ritenendo che il reato appartenga alla
cognizione di un giudice diverso da quello presso cui egli esercita le sue funzioni, investa delle
indagini preliminari l’ufficio del pm presso il giudice considerato competente. Se quest’ufficio
aderisce, nulla quaestio: condurrà le indagini; se, invece, a sua volta, ritiene che debba procedere
il primo, entrando in contrasto negativo con esso, informa il procuratore generale presso la Corte
di cassazione, qualora appartengono a distretti diversi. Esaminati gli atti, il procuratore generale
determinerà quale ufficio dovrà svolgere le indagini. Analoga disciplina vale per qualsiasi altra
ipotesi di contrasto negativo tra i pm.
Può anche verificarsi, che un magistrato del pm il quale stia procedendo per un determinato fatto
nei confronti di una determinata persona riceva notizia che presso un diverso ufficio sono in corso
indagini preliminari a carico della stessa persona per il medesimo fatto. Se ritiene che la
competenza sia dell’organo giurisdizionale presso il quale egli esercita le proprie funzioni, richiede
senza ritardo al pm dell’altro ufficio la trasmissione degli atti. Se questi accondiscenderà,
ovviamente non sorgerà alcun problema: il procedimento verrà trasferito e proseguirà presso
l’ufficio che ha avanzato la richiesta; se riterrà di dover dissentire, dando vita per ciò stesso a un
contrasto positivo con quell’ufficio, informerà il procuratore generale presso la corte d’appello o il
procuratore generale presso la Corte di cassazione, a seconda che gli uffici in contrasto
appartengano allo stesso distretti o a distretti diversi. Assunte le necessarie informazioni, il
procuratore generale determinerà, con decreto motivato e applicando le regole sulla competenza
del giudice, quale ufficio del pm dovrà procedere, salva restando l’utilizzabilità degli atti
di’indagine compiuti da diversi uffici.
La disciplina dei contrasti tra pm riguarda uffici diversi; le divergenze che dovessero insorgere
all’interno di uno stesso ufficio verrebbero risolti dal titolare nell’ambito dei suoi normali compiti
di organizzazione delle attività dell’ufficio stesso.
6.”Vigilanza”,“avocazione”e “delegazione” nei rapporti tra i diversi uffici del pubblico ministero.
Le regole che disciplinano la sfera di attribuzioni degli uffici del pm subiscono l’incidenza dei
particolari nessi di natura interorganica che legano i predetti uffici, e che sono contrassegnati da
una struttura gerarchica in linea verticale. In quest’ottica si spiegano i rapporti tra i veri uffici del
pm, caratterizzati da un:
- potere di vigilanza: attribuito al pm di grado superiore sugli uffici del pm di grado inferiore
dall’art. 6 d.lgs. 106/2006, il quale stabilisce che “il procuratore generale presso la corte d’appello,
al fine di verificare il corretto e uniforme esercizio dell’azione penale e il rispetto delle norme sul
giusto processo, nonché il puntale esercizio da parte dei procuratori della Repubblica dei poteri di
direzione, controllo e organizzazione degli uffici ai quali sono preposti, acquisisce dati e notizie
dalle procure della Repubblica del distretto e invia al procuratore generale presso la Corte di
cassazione una relazione almeno annuale”.
- potere di avocazione: consente al pm di grado superiore di far proprie le attribuzioni
normalmente demandate all’ufficio del pm di grado inferiore per il compimento di una
determinata attività.
° Avocazione si può avere anche quando il titolare dell’ufficio abbia omesso di provvedere alla
sostituzione, nei casi stabiliti dalla legge, di un magistrati del pm in corso di udienza: il procuratore
generale presso la corte d’appello avocherà il procedimento, designando per l’udienza un
magistrato del proprio ufficio.
47
Un potere di avocare le indagini preliminare quando riguardano reati di criminalità organizzata è
riconosciuto al procuratore nazionale antimafia, che lo esercita nel caso in cui non sia stato
possibile promuovere o rendere effettivo il coordinamento tra i procuratori distrettuali interessati:
disposta l’avocazione, il procuratore nazionale procederà al compimento delle attività investigative
personalmente o tramite un magistrato della direzione nazionale antimafia da lui all’uopo
designato.
Il procuratore generale presso la corte d’appello o il procuratore nazionale antimafia dispongono
l’avocazione, nei casi stabiliti dalla legge, con decreto motivato che in copia deve essere trasmesso
ai procuratori della Repubblica interessati i quali entro 10 giorni dalla ricezione, possono
presentare reclamo al procuratore generale presso la Corte di cassazione; questi, se lo accoglie,
revoca il procedimento di avocazione e ordina la restituzione degli atti.
-potere di delegazione: si configura quando un ufficio del pm trasferisce la potestà di esercitare
determinate funzioni che gli appartengono a un altro ufficio del pm, per il compimento di una
specifica attività. Tipico esempio, si riscontra quando il procuratore generale presso la corte
d’appello, qualora lo reputi opportuno, disponga che al processo in sede di impugnazione
partecipi, quale suo sostituto”, il rappresentante del pm che ha presentato le conclusioni nel
dibattimento in primo grado. Questi, nei limiti della deroga, compie l’attività come se fosse sua
propria, salvo il potere di revoca che l’organo delegante può esercitarne in qualunque momento,
solo che consideri cessata l’opportunità di mantenere il rapporto sostitutivo: la delega, infatti, non
comporta per il soggetto che l’ha concessa, perdita delle sue originarie competenze.
° Delegazione può aversi anche, al di fuori della struttura gerarchicamente organizzata, tra uffici
del pm di pari grado. Ciò si verifica quando, per singoli atti da assumere nella circoscrizione di altro
tribunale, il pm cui spetterebbe il compimento dell’atto, ove non ritenga di procedere
personalmente, deleghi il pm presso il tribunale del luogo.
48
° Ipotesi di sostituzione si ha quando un magistrato del pubblico ministero proponga dichiarazione
di astensione. Il pm ha la facoltà di astenersi dal procedimento quando esistano “gravi ragioni di
convenienza”, ex art. 52 comma 1 c.p.p. La norma non le specifica, ma è logico pensare che i criteri
per la valutazione di tali “ragioni” non debbano essere dissimili da quelle che danno luogo
all’estensione del giudice; in ogni caso, dovrà trattarsi di circostanze che possano incidere sulla
funzione del pm, sì da metterne in discussione la serenità, in considerazione di quel potere- dovere
che egli ha di svolgere accertamenti favorevoli alla persona sottoposta alle indagini.
Se a volersi astenere è uno dei magistrati dell’ufficio, sulla relativa dichiarazione deciderà il titolare
dell’ufficio stesso; se, invece, è proprio il titolare, a decidere sarà il titolare dell’ufficio superiore.
Accolta la dichiarazione di astensione, il magistrato astenuto viene sostituito con un altro
magistrato appartenente al medesimo ufficio.
Se l’astensione riguarda il titolare, questi può essere sostituito con un magistrato del pm
appartenente a un ufficio che sia egualmente competente per materia ma che abbia sede nel
capoluogo del distretto di corte d’appello determinato a norma dell’art. 11 c.p.p., e, dunque, con
un magistrato appartenente a un ufficio del pm costituito presso un giudice territorialmente
diverso da quello cui è affidata la cognitio causae: una necessaria deroga alla regola secondo la
quale le funzioni di pm vengono esercitate dagli uffici istituti presso i giudici competenti.
° Sostituzione può aversi anche quando, per grave impedimento personale, per rilevanti necessità
di servizio o per motivi di opportunità legati alla posizione personale del magistrato non è possibile
o non è conveniente che egli eserciti le attività di pubblico ministero nel corso dell’udienza: ossia,
nel momento più delicato del processo, laddove più intensa deve essere l’autonomia del pm. Il
relativo provvedimento, che elimina una situazione d incompatibilità del magistrato con
l’espletamento delle funzioni, viene adottato dal dirigente dell’ufficio nell’esercizio di un potere-
dovere che appare chiaramente sorretto dall’esigenza di garantire oltre, che la corretta
funzionalità e l’efficienza dell’ufficio stesso, l’obiettività del magistrato d’udienza.
° La sostituzione è prevista anche nel procedimento per le indagini preliminari, quando ricorrono
gli stessi motivi di opportunità, dipendenti dalla posizione personale del magistrato, che
impongono la sostituzione nel corso dell’udienza. Il dirigente può ravvisare la necessità di
sostituire un magistrato del pm anche indipendentemente dall’esistenza di alcuna delle cause
sopra accennate, ma la legittimità di una decisione in tal senso è condizionata da un’adesiva
volontà dell’interessato.
Capitolo quarto
LA POLIZIA GIUDIZIARIA
2.Gli organi della polizia giudiziaria e i soggetti che svolgono funzioni di polizia giudiziaria.
L’ordinamento opera una distinzione tra:
UFFICIALI DI POLIZIA GIUDIZIARIA
- gli appartenenti ai seguenti ruoli e qualifiche del personale della polizia di Stato: ruolo dei
dirigenti, con esclusione dei primi dirigenti che assolvono alla funzione di vice questore vicario;
ruolo dei commissari; ruolo degli ispettori; ruolo dei sovraintendenti; ruolo degli assistenti,
limitatamente alla sola qualifica di assistente capo;
- gli ufficiali superiori e inferiori, gli appartenenti al ruolo dei sovraintendenti e degli ispettori dei
carabinieri e della guardi di finanza, ai quali vanno aggiunti gli appuntati dei carabinieri
limitatamente al periodo in cui assumono il comando effettivo di una stazione e gli appuntati scelti
dei carabinieri e della guardi di finanza con un anno di anzianità nel grado e che abbiano superato
un corso di qualificazione di durata non inferiore a trenta giorni;
- gli appartenenti al ruolo dei sovraintendenti e degli ispettori del corpo di polizia penitenziaria;
50
-gli ufficiali e gli appartenenti al ruolo dei sovraintendenti e degli ispettori del corpo forestale dello
Stato;
- il sindaco nei comuni dove non abbia sede un ufficio della polizia di Stato ovvero un comando dei
carabinieri o della guardia di finanza.
AGENTI DI POLIZIA GIUDIZIARIA
- gli appartenenti al ruolo degli agenti e degli assistenti della polizia di Stato, eccezioni fatta per la
qualifica di assistente capo;
- gli appartenenti al ruolo di appuntati e carabinieri dell’Arma dei carabinieri;
- gli appartenenti al ruolo di appuntati e finanzieri del Corpo della guardia di finanza;
- gli appartenenti al ruolo degli agenti e degli assistenti del corpo di polizia penitenziaria;
- gli appartenenti al ruolo degli agenti e degli assistenti del Corpo forestale dello Stato;
- le guardie delle province e dei comuni, quando siano in servizio e limitatamente all’ambito
territoriale dell’ente di appartenenza.
Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria si possono distinguere in due categorie.
Nella prima rientrano i soggetti destinati a funzioni di polizia giudiziaria stabilmente, con poteri di
intervento attribuiti in via generale ed estesi a qualsiasi reato, in qualsiasi luogo e in qualsiasi
momento.
L’altra è composta di soggetti con funzioni di polizia giudiziaria limitate, forniti di poteri di
intervento, ancorché riferibili a qualsiasi reato, temporalmente o localmente circoscritti o legati
all’espletamento degli incarichi istituzionali.
Oltre alle due sopra indicate la legge configura una terza categoria di soggetti, ai quali vengono
attribuite funzioni di polizia giudiziaria unicamente nei limiti del servizio a cui sono destinati e in
relazione non già a qualsiasi reato, sebbene ad alcune determinate specie di reati. È una classe
composta di pubblici ufficiali, incaricati di pubblico servizio, impiegati in genere, i quali sotto gli
aspetti più diversi, partecipano ad assicurare la tutela di pubblici interessi. A titolo esemplificativo,
si possono ricordare: i comandanti, i funzionari, gli ufficiali, i direttori, gli agenti degli uffici di porto
e aeroporto, limitatamente a determinati reati e a determinate circostanze previsti dal codice di
navigazione; il personale direttivo, i sottoufficiali, i vigili del corpo nazionale dei vigili del fuoco
quando rilevino reati che abbiano attinenza con i loro settori di intervento.
La distinzione in ufficiali e agenti di polizia giudiziaria assume rilevanza sul piano processuale
quando il compimento, nel corso delle indagini preliminari, di determinate attività, solitamente di
particolare delicatezza, venga riservato soltanto agli ufficiali: ad esempio, la ricezione della querela
e della remissione di essa.
51
dipendenze della magistratura. E così, preoccupazione del legislatore è stata quella di cercare di
soddisfare l’esigenza di una dipendenza funzionale la più effettiva possibile della polizia giudiziaria,
ma di escludere categoricamente qualsiasi forma di subordinazione gerarchica.
In questa logica di potenziamento del rapporto funzionale tra i due organismi si sviluppano le
scelte del codice, che configura tre strutture nelle quali sono inseriti i soggetti a cui vengono
attribuiti compiti di polizia giudiziaria:
A)Servizi di polizia giudiziaria. Comprendono “tutti gli uffici e le unità ai quali è affidato dalle
rispettive amministrazioni o dagli organismi previsti dalla legge il compito di svolgere in via
prioritaria e continuativa le funzioni” assegnate dal codice alla polizia giudiziaria. Il riferimento
attiene, in particolare, ai servizi oggi attivati presso le questure, i comandi dei carabinieri, i
comandi della guardia di finanza.
B)Sezioni di polizia giudiziaria istituite presso ogni procura della Repubblica e composte con
personale dei servizi di polizia giudiziaria. La loro struttura prevede soggetti appartenenti alla
polizia di Stato, all’arma dei carabinieri e alla guardia di finanza, che potranno essere affiancati da
personale di polizia giudiziaria appartenente ad altri enti, su richiesta dell’autorità giudiziaria, ove
si presentino particolari esigenze di specializzazione nell’attività di indagine.
C)Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria appartenenti agli altri organi cui la legge fa obbligo
di compiere indagini a seguito di una notizia di reato. Il richiamo investe tutte le persone,
dipendenti da enti pubblici o privati, incaricate di ricercare e di investigare su determinate specie
di reati.
L’ufficio del pm impartisce, di volta in volta, le opportune direttive per l’effettivo coordinamento
investigativo e operativo tra i doversi organismi di polizia.
Circa i rapporti che legano le strutture in cui si articolano gli uffici di polizia giudiziaria, l’ art. 59
c.p.p. disciplina una situazione di subordinazione variamente configurata, a seconda che si tratti
delle sezioni dei servizi di polizia.
Per le sezioni, essendo stabilite che esse dipendono dai magistrati che dirigono gli uffici presso i
quali sono istituite, il vincolo si presenta con particolare accentuazione; per i servizi appare più
attenuato, dal momento che si ipotizza non già una dipendenza del servizio nel suo complesso, ma
soltanto una responsabilità dell’ufficiale preposto ai servizi nei confronti del procuratore della
Repubblica.
Due fondamentali regole vanno tenute in questo discorso.
La prima regola fissa i criteri di disponibilità della polizia giudiziaria da parte dell’autorità
giudiziaria, stabilendo che ogni ufficio della procura della Repubblica dispone della rispettiva
sezione, mentre l’ufficio della procura generale dispone di tutte le sezioni operanti nel distretto di
corte d’appello. È prevista, inoltre, la disponibilità anche da parte dei giudici i quali avvarranno
delle sezioni di polizia giudiziaria istituite presso i corrispondenti uffici della procura.
La seconda regola sottolinea che “le funzioni di polizia sono svolte alla dipendenza e sotto la
direzione dell’autorità giudiziaria” e trova il suo logico completamento nel disposto secondo cui
“gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria sono tenuti a eseguire i compiti a essi affidati”. Una
duplice finalità intende realizzare il legislatore riaffermando che le funzioni di polizia giudiziaria
vengono svolte “alla dipendenza” e sotto “la direzione” dell’autorità giudiziaria: anzitutto, ribadire
il concetto che nell’esercizio dell’attività di investigazione gli uffici di polizia sono soggetti soltanto
ed esclusivamente al potere giudiziario, sicché le prescrizioni che a questo competono non
possono incontrare alcun ostacolo in eventuali proibizioni o imposizioni avversative provenienti
dagli organismi amministrativi ai quali gli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria gerarchicamente
siano legati. Al tempo stesso, chiarisce quello che sarà un dato costante dell’attività di polizia nelle
52
sue previsioni: la necessità di operare pressoché esclusivamente seguendo le direttive dettare
dall’autorità giudiziaria.
Capitolo quinto
GLI AUSILIARI DEL GIUDICE, DEL PUBBLICO MINISTERO E DELLA POLIZIA
GIUDIZIARIA
1.Generalità
Ad affiancare il giudice e il pm nell’espletamento dei loro uffici l’ordinamento pone alcuni soggetti,
ai quali demanda l’esercizio di funzioni giudiziarie a carattere coadiutorio, che vengono
usualmente designati come “ausiliari”. Connotazione tipica dei soggetti ausiliari è il loro delinearsi
come strutture istituzionali dell’apparato giudiziario. Pertanto, impropriamente si attribuisce la
qualifica di “ausiliari” anche a quelle persone alle quali vengono talora affidate mansioni
strumentali, il più delle volte di carattere tecnico, al fine di assumere e utilizzare in processo i
risultati delle operazioni compiute nell’esplicazione di esse.
53
formate all’originale dell’atto da notificare; a procedere alla scelta delle modalità prescritte dalla
legge, osservando la successione dei luoghi e delle persone a cui l’atto deve essere notificato; a
compilare avvisi come importante attività di documentazione, a redigere la c.d. relazione di
notifica, atto rilevante ai fini della prova dell’attività compiuta per eseguire la notificazione e
dell’effettivo controllo sulla regolarità di essa.
Importante anche l’attività che l’ufficiale giudiziario esplica nel servizio del’udienza. In particolare,
egli deve impedire qualsiasi comunicazione tra i testimoni esaminati e tra quelli ancora da
esaminare e tra le persone estranee e i testimoni durante il dibattimento; vigilare affinché i
testimoni non assistano al dibattimento prima di essere stati esaminati; curare l’osservanza delle
disposizioni riguardanti l’accesso del pm nella sala dell’udienza; impedire che l’ordine dell’udienza
venga turbato; eseguire gli ordine del presidente del collegio e, in sua assenza, del pm.
Capitolo sesto
L’IMPUTATO E LA PERSONA SOTTOPOSTA ALLE INDAGINI
1.Generalità.
Quando si parla dell’imputato si vuole sottolineare, in primo luogo, la sua qualità do soggetto
fondamentale, anzi di soggetto “veramente caratterizzatore del processo penale”, dal momento
che l’emanazione di una sentenza e la realizzazione del fenomeno della cosa giudicata, che
rappresentano i momenti tipici della vicenda processuale, non possono mai prescindere dalla
figura dell’imputato. In seno al processo l’imputato si delinea come “parte”: una posizione che
compete ‘naturalmente’ a chi abbia interesse a difendersi da un’accusa, prospettando
contemporaneamente la propria rappresentazione del fatto al giudice chiamato a pronunciare una
decisione nei suoi confronti.
55
Art. 67 c.p.p. configura l’ipotesi disponendo che “in ogni stato e grado del procedimento, quando
vi è ragione di ritenere che l’imputato sia minorenne, l’autorità giudiziaria trasmette gli atti al
procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni”. Siamo di fronte, a una norma
che, oltre ad attribuire al tribunale per i minori la competenza esclusiva a determinare, con le
forme prescritte per il rito minorile, assolve anche la funzione di impedire che l’imputato possa
essere assoggettato a trattamenti traumatizzanti, quali, ad esempio, la custodia in carcere insieme
con detenuti maggiorenni. Naturalmente, se in seguito agli accertamenti compiuti l’imputato
risultasse maggiorenne, gli atti verrebbero trasmessi all’autorità giudiziaria comune.
Art. 69 comma 1 c.p.p. stabilisce che “se risulta la morte dell’imputato, in ogni stato e grado del
processo, il giudice, sentiti il pm e il difensore, pronuncia sentenza a norma dell’art. 129”; a sua
volta l’art. 129 c.p.p. dispone che “in ogni stato e grado del processo il giudice il quale ritiene che il
reato è estinto, lo dichiara d’ufficio con sentenza”. La morte del reo prima della condanna
estingue il reato. Il comma 2 dell’art. 129 c.p.p. aggiunge che “quando ricorre una causa di
estinzione del reato, ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non
l’ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è prevista dalla legge come reato, il
giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta”.
Istintivamente si potrebbe esser portati a ritenere che la morte dell’imputato elimina il soggetto
del rapporto giuridico contro il qual vien fatta valere la pretesa punitiva dello Stato, pertanto la
causa di improcedibilità per morte del reo deve essere applicata con la prevalenza su ogni altra
formula di proscioglimento o di assoluzione proprio per il venir meno del rapporto processuale
penale. Razionalmente, però, non si può non riconoscere che la declaratoria di non colpevolezza
dell’imputato pronunciata pur quando questi sia già deceduto, oltre che obbedire a una
fondamentale logica di giustizia, realizza non trascurabili interessi di natura civilistica facendi capo
a eventuali eredi del defunto.
L’art. 69 c.p.p. richiamando in toto l’art. 129, accoglie la soluzione razionale. Dunque, se pur
ricorrendo la causa estintiva del reato “morte dell’imputato”, dagli atti risulti evidente che il fatto
non sussiste, che l’imputato non lo ha commesso, che non costituisce reato, che non è previsto
dalla legge come reato, il giudice è tenuto a pronunciare sentenza assolutoria applicando la
formula opportuna.
Se, successivamente alla dichiarazione di morte, si riscontra che essa è stata pronunciata
erroneamente, essendo l’imputato ancora in vita, l’eventuale sentenza che abbia pronunciato
l’estinzione del reato è tamquam non esset e si provvederà a promuovere a nuova azione penale
per il medesimo fatto e contro la medesima persona.
56
Sede, i diplomatici e gli inviati della S. Sede e i dignitari della Chiesa in transito verso la Città del
Vaticano, i militari della N.A.T.O di stanza in Italia.
Soggetti privi della legittimazione relativamente a specifiche imputazioni sono i membri del
Parlamento, i consiglieri regionali, i giudici della Corte costituzionale, i componenti del CSM;
costoro non possono esser perseguiti limitatamente ai reati commessi in occasione di opinioni
espresse o di voti dati nell’esercizio delle funzioni che esercitano.
Carenza di legittimità assoluta di legittimazione ad assumere la qualità di imputato si può
sen’altro ritenere che essa si risolve in una esenzione dalla giurisdizione penale, nel senso che il
giudice non potrà mai valutare alcun comportamento del soggetto non legittimato, al fine di
accertarne l’eventuale liceità o illiceità.
Carenza relativa si traduce in un’esenzione parziale della giurisdizione cioè limitata soltanto ai
reati per i quali non è possibile formulare imputazione nei confronti del soggetto. Ciò, però, non
impedisce che l’autorità giudiziaria possa o debba instaurare un regolare processo quanto meno
per verificare se il fatto di cui a quel soggetto si fa carico integri realmente il reato per il quale
viene esclusa la perseguibilità o non ne configuri, uno diverso, legittimamente perseguibile: la qual
cosa non significa vera e propria esenzione dalla giurisdizione.
57
prove consentita al giudice, si profili una situazione idonea a legittimare la pronuncia di una
sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. Si è in presenza, ancora una volta, di una
regola di favor che crea una finzione di capacità processuale nell’esclusivo interesse dell’imputato
del cui apporto difensivo l’ordinamento ritiene si possa anche fare a meno quando si sia già
solidificata nel processo una posizione per lui pienamente vantaggiosa.
58
Eliminando il richiamo all’”indiziato” si è inteso evitare l’attribuzione di una etichetta che potesse
assumere significati sfavorevoli.
Capitolo settimo
LE PARTI EVENTUALI
59
1.Premessa.
Accanto a quelle che vengono usualmente definite le parti necessarie del processo pensale altre
parti si possono presentare, di volta in volta, per integrare concrete fattispecie processuali:
a) quando su un determinato comportamento si richiede un accertamento giurisdizionale che
investa non soltanto l’ambito strettamente penalistico, ma anche quello del diritto civile, con la
possibile conseguente applicazione, oltre che di una sanzione di natura penale, anche di una
sanzione di natura civilistica: ecco, allora, l’intervento della parte civile ed eventualmente del
responsabile civile;
b) quando la decisione giudiziale può investire la sfera giuridica di un soggetto diverso del
responsabile diretto del comportamento processualmente valutabile, in forza di un particolare
rapporto che lega l’uno all’altro: si ha, in questo caso, l’intervento del civilmente obbligato per
la pena pecuniaria.
60
L’interventi nel processo penale del danneggiato trova spiegazione nell’unicità del fatto valutabile
sotto il duplice profilo dell’illiceità penale e dell’illiceità civile, per cui un’unica disamina da parte
dello stesso giudice non solo realizza un’esigenza di economa di giudizi, ma evita il rischio di un
possibile contrasto di decisioni tra due organi giurisdizionali diversi, penale e civile, i cui soggetti di
indagine coincidono relativamente all’accertamento sullo stesso fatto.
Comunque, il soggetto danneggiato dal reato può avanzare le proprie pretese direttamente avanti
al giudice civile, dando vita a un autonomo procedimento per la restituzione e il risarcimento dei
danni. Anzi, il nuovo sistema processualpenalistico mostra di voler accordare preferenza alla
separazione, sin dove sia possibile, dell’accertamento civile dall’accertamento penale, allo scopo di
realizzare quella “massima semplificazione” alla quale quest’ultimo tende.
Posto che i procedimento per il risarcimento o le restituzioni può ben avere vita autonoma. La
relativa azione promossa avanti al suo giudice naturale seguirà il normale iter, del tutto
indipendente rispetto al processo penale; tranne che il danneggiato non preferisca trasferirla in
seno a esso. Il che potrà accadere se sarà ancora permessa la costituzione di parte civile e sempre
che il giudice civile non abbia nel frattempo pronunciato sentenza di merito pur se non passata in
giudicato: imponendo questa limitazione si vuole impedire che su un’identica pretesa si provveda
due volte nella stessa istanza, ancorché in sedi diverse, con duplicazione di pronunce che
potrebbero anche risultare tra loro in antitesi.
Il trasferimento dell’azione civile nel processo penale comporterà l’automatica rinuncia agli atti del
giudizio civile che dovrà essere dichiarato estinto, anche d’ufficio, e l’accertamento concernente i
danni proseguirà definitivamente in sede penale.
Un rapporto di dipendenza del procedimento civile dal processo penale si instaura quando l’azione
per il risarcimento o le restituzioni venga esercitata nella sua sede naturale dopo essere già
proposta avanti al giudice penale e successivamente revocata, e dopo che sia stata pronunciata la
sentenza penale di primo grado. In questi casi. Il provo movimento dell’azione risarcitoria o
restitutoria nel processo penale si intende retrattato, la cognitio causae relativamente ai danni
cagionati dal reato rimane attribuita all’organo della giurisdizione civile, ma il giudizio civile rimane
sospeso sino alla pronuncia della sentenza penale irrevocabile che su esso avrà effetti di cosa
giudicata.
La sospensione del processo civile, e il conseguente effetto vincolante che su questo produce la
sentenza penale irrevocabile, non si hanno quando la parte civile sia stata costretta a esercitare
l’azione davanti al giudice civile per essere stata esclusa dal processo penale: un comportamento
involontario che non può determinare per la posizione del danneggiato il pregiudizio di
un’eventuale pronuncia penale assolutoria preclusiva di un epilogo favorevole per l’azione
risarcitoria. Ulteriori previsioni di esclusione della sospensione del processo civile si incontrano in
altrettante ipotesi in cui il danneggiato, non essendogli consentita una libera scelta circa la sede
nella quale far valere i propri diritti, si trovi a dover optare per quella civile. Ciò accade quando il
processo penale sia costretto a una stati a causa delle condizioni di incapacità dell’imputato;
quando sia svolto col rito abbreviato, in ordine alla cui adozione la parte civile non ha alcun potere
di interloquire; quando vi sta stata applicazione di pena a richiesta delle parti, che non consente
decisione sulla pretesa civile.
61
L’intervento nel processo penale del danneggiato dal reato che avanzi la propria pretesa
risarcitoria o restitutoria si realizza attraverso la “costituzione di parte civile”.
Art. 77 comma 1 c.p.p. stabilisce che “la capacità d’agire della parte civile deve essere riconosciuta
unicamente ai soggetti che hanno il libero esercizio dei diritti, mentre le persone che ne sono prive
possono agire soltanto se rappresentate, autorizzate o assistite nelle forme prescritte per
l’esercizio delle azioni civili”. La legge processuale penale opera, dunque, un rinvio alla
normativa riguardante la capacità dell’attore nel processo civile.
Nel caso in cui manchi la persona alla quale spetta la rappresentanza o l’assistenza del
danneggiato privo di capacità e vi siano ragioni di urgenza, o nel caso in cui vi sia conflitto di
interessi tra l’incapace e il suo rappresentante, il giudice della fase processuale in corso, su
richiesta del pm, di colui che deve essere rappresentato o assistito, dei suoi prossimi congiunto o,
nel caso di conflitto di interessi, dello stesso rappresentante, provvede alla nomina di un curatore
speciale.
Un intervento in via provvisoria è consentito al pm per l’esercizio dell’azione civile nell’interessa
della persona incapace, in caso di assoluta urgenza e sino a quando non subentri colui al quale
spetta la rappresentanza o l’assistenza o il curatore speciale.
La costituzione di parte civile va fatta con dichiarazione, resa anche a mezzo di procuratore
speciale, che deve contenere, pena la sua inammissibilità:
1) la generalità della persona fisica o la denominazione dell’associazione o dell’ente che si
costituisce parte civile e le generalità del suo legale rappresentante;
2) le generalità dell’imputato nei confronti del quale l’azione civile viene esercitata, e qualsiasi
altra indicazione personale che valga a identificarlo;
3) il nome e il cognome del difensore con l’indicazione della procura: ciò in quanto, a norma
dell’art. 100 comma 1 c.p.p., alla parte civile è consentito stare in giudizio solo con il ministero
di un difensore munito di procura speciale, da depositare nella cancelleria del giudice
procedente o da presentare in udienza insieme con la dichiarazione di costituzione;
4) l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda, allo scopo di individuare e circoscrivere
puntualmente la c.d. causa petendi sin dal momento della proposizione dell’azione;
5) la sottoscrizione apposta dal difensore: ciò in conseguenza del fatto che la parte sta in giudizio
non personalmente, ma a mezzo del difensore che la rappresenta e che è legittimato a
compiere gli atti necessari, primo tra tutti proprio quello di costituzione.
La dichiarazione di costituzione della parte civile può farsi nell’udienza, sia preliminare che
dibattimentale, e in questo caso viene presentata all’ausiliare del giudice nell’udienza stessa;
può essere fatta al di fuori dell’udienza, e allora va depositata presso la cancelleria del giudice
competente per la fase in cui essa è destinata a operare e deve essere notificata, a cura del
soggetto che si costituisce, all’imputato e al pm, per consentire loro l’eventuale esercizio del
potere di richiederne l’esclusione.
Il codice prescrive che la costituzione di parte civile avvenga o “per l’udienza preliminare” o,
successivamente, nella fase degli atti introduttivi del dibattimento, sino a quando non siano stati
compiuti gli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti; si tratta di termini imposti a
pena di decadenza. Per ciò che riguarda il primo termine, il legislatore lo individua attraverso
l’espressione “per l’udienza preliminare” e non già “nell’udienza preliminare”. Ciò vuol dire che il
danneggiato non deve attendere necessariamente l’inizio di tale udienza per costituirsi parte
civile, ma non può farlo immediatamente dopo essere venuto a conoscenza della data di
celebrazione di essa. Purché si sia già avuto il promovimento dell’azione penale, mediante la
formulazione dell’imputazione, da parte del pm: prima di quel momento non esistendo ancora un
62
imputato nei cui confronti far valere la pretesa risarcitoria e restitutoria, la costituzione di parte
civile non avrebbe neppure senso.
Art.79 comma 3 c.p.p. dispone che “se la costituzione avviene dopo la scadenza del termine
prescritto per il deposito, in fase di atti preliminari al dibattimento, delle liste dei testimoni, periti e
consulenti tecnici, la parte civile non può avvalersi della facoltà di indicare testimoni, periti,
consulenti”. Il divieto intende evitare l’introduzione in dibattimento di prove a sorpresa.
Una volta avvenuta la costituzione di parte civile dispiega i propri effetti in ogni stato e grado del
processo. In forza di tale regola, che sancisce la c.d. immanenza della costituzione della parte
civile, questa ha il diritto di stare nel processo senza alcuna necessità di rinnovare la costituzione in
relazione alle singole fasi o ai singoli gradi di esso; ciò anche quando non sia più possibile la
condanna penale dell’imputato. In definitiva, fino a quando non venga pronunciata sentenza
irrevocabile, l’azione civile resta inserita nel processo penale e in capo alla parte civile permane il
diritto di continuare a parteciparvi.
63
spiega perché la declaratoria di esclusione dal processo penale non impedisce un giudizio di
risarcimento o di restituzione promosso nella sua naturale sede civile, dall’altro limita la portata
della dichiarazione di ammissione, nel senso che essa non vincola successive deliberazioni, sempre
a opera del giudice penale, sul diritto della parte civile a ottenere il risarcimento o le restituzioni.
Il provvedimento con il quale il giudice decide in materia di esclusione della parte civile viene
adottato con ordinanza che, se emessa in sede di udienza preliminare, non impedisce la
riproposizione della questione nella successiva fase dibattimentale. Se emessa in dibattimento
l’ordinanza è definitiva, giacché nessuna disposizione ne prevede l’impugnabilità la quale è esclusa
in forza del principio della tassativa previsione ex lege delle impugnazioni. Nel caso in cui disponga
il rigetto della richiesta di esclusione, è impugnabile da parte dell’imputato unitamente
all’impugnazione della sentenza: è consentito il controllo da parte del giudice d’appello
relativamente ai presupposti di legittimità formale e sostanziale per l’esercizio dell’azione civile nel
processo penale.
64
- i precettori che insegnano un mestiere o un’arte per i danni cagionati dal fatto illecito degli allievi
o apprendisti, nel tempo in cui si trovano sotto la loro vigilanza;
- i padroni e i committenti per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e dei loro
commessi, nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti;
- i proprietari e gli usufruttuari di veicoli per i danni prodotti dal conducente;
- l’albergatore per la sottrazione, la perdita, il deterioramento di cose appartenenti a clienti;
- l’armatore di nave o l’esercente un aeromobile per danni commessi dall’equipaggio.
Anche l’imputato può assumere la veste di responsabile civile per il fatto dei coimputati, ma solo
nell’eventualità in cui venga prosciolto dalla responsabilità penale o venga pronunciata nei suoi
confronti sentenza di non luogo a procedere, perché sorge per lui “l’obbligo del risarcimento” dei
danni ex delicto e per fatto proprio, che assorbe quello per i danni ex culpa per fatto altrui.
65
giudice, ma non oltre la deliberazione della sentenza di primo grado se essa ha operato per
l’udienza preliminare; non oltre la deliberazione della sentenza del grado successivo se ha operato
per il giudizio”. In ogni caso, la nullità è sanata se il responsabile civile sia egualmente comparso o
abbia rinunciato a comparire; se compaia al solo fine di far dichiarare la nullità della citazione, egli
ha diritto a un termine non inferiore a 5 giorni, per approntare la propria difesa.
Ordinata la citazione del responsabile civile, questi può costituirsi in ogni stato e grado del
processo con dichiarazione proposta anche a mezzo di procuratore speciale. Tale costituzione, che
adempie un onere, in quanto realizza un interesse a intervenire sulla pretesa avanzata dalla parte
civile, si pone come necessario presupposto per la valida presenza del responsabile civile in sede
processuale e per la sua qualificazione come “parte”.
Il responsabile civile può costituirsi prima dell’udienza, preliminare o dibattimentale, nel qual caso
la relativa dichiarazione dovrà essere depositata presso la cancelleria del giudice competente per
la fase processuale in corso; o nell’udienza, e in questo caso la dichiarazione sarà presentata
all’ausiliare che assiste all’udienza stessa.
La dichiarazione di costituzione deve contenere:
a) le generalità della persona fisica o la denominazione dell’associazione o dell’ente che si
costituisce con le generalità del suo rappresentante legale;
b) il nome e il cognome del difensore con l’indicazione della procura, nonché la sottoscrizione del
difensore stesso, considerato che, il responsabile civile deve stare in giudizio con il ministero di
un difensore munito di procura speciale che va depositata nella cancelleria del giudice
procedente o presentata direttamente in udienza insieme con la dichiarazione di costituzione.
Anche per il responsabile civile vige la regola dell’immanenza della sua costituzione la quale
produce i propri effetti in ogni stato e grado del processo.
66
La dichiarazione di intervento volontario del responsabile civile può essere effettuata fuori
dall’udienza, preliminare o dibattimentale, con deposito presso la cancelleria del giudice
competente per la fase in cui è destinata a operare e va notificata, a cura dell’interessato, a tutte
le parti, le quali potrebbero chiederne l’esclusione; per ciascuna di esse la predetta dichiarazione
produrrà effetto dal giorno in cui è stata eseguita la notificazione. Se effettuata durante l’udienza,
la dichiarazione di intervento verrà presentata all’ausiliare che assiste il giudice nell’udienza
stessa. L’intervento volontario del responsabile civile perde efficacia quando la parte civile revochi
la propria costituzione o venga estromessa dal processo per un qualsiasi motivo.
67
Il termine ultimo entro il quale può essere decretata l’esclusione d’ufficio coincide con l’apertura
del dibattimento di primo grado; superato questo momento, il responsabile civile non potrà essere
più estromesso, ed eventuali vizi attinenti alla citazione o all’intervento potranno essere dichiarato
soltanto nella sentenza.
Obbligatoria è l’estromissione dal processo del responsabile civile nel caso in cui si instauri giudizio
abbreviato. Di fronte a un giudizio abbreviato la cui tipizzazione in termini di celerità e di esclusivo
utilizzo dello stato degli atti sbiadisce abbondantemente nel momento in cui si consentono
integrazioni probatorie e anche assunzioni di prove ex officio dal giudice, l’intervento del
responsabile civile, a seguito dell’adesione della parte civile al procedimento speciale, potrebbe
anche apparire accettabile.
L’avvenuta estromissione del responsabile civile non impedisce che nei confronti di questo il
danneggiato possa esercitare l’azione di risarcimento o di restituzione nella competente sede
civile, e ciò per la rilevanza unicamente processuale che la legge attribuisce alla decisione con cui
essa è stata disposta, che lascia impregiudicata ogni valutazione sul merito delle pretese
risarcitorie o restitutorie.
68
La disciplina relativa alle forme e ai termini della citazione, alle modalità della costituzione,
all’eventuale estromissione per carenza di legittimazione o di requisiti formali è modellata sulle
disposizioni dettate con riferimento al responsabile civile.
Capitolo ottavo
LA PERSONA OFFESA DAL REATO E GLI ENTI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI LESI
70
l’ingresso incontrollato nel processo penale di soggetti dall’incerta fisionomia che potrebbero
intralciarne l’andamento, il codice risponde investendo della legittimazione ad adottare iniziative
processuali unicamente gli enti i quali perseguano istituzionalmente finalità di tutela degli interessi
lesi dal reato. A condizione che tali finalità siano state riconosciute in forza di legge, escludendo,
così, la possibilità di individuarle attraverso auto attribuzioni operate, ad esempio, in base a
norme statutarie interne riguardanti le attività degli enti o delle associazioni, o a meri
provvedimenti di natura amministrativa.
A scongiurare il rischio di interventi inopportuni, due limitazioni la norma processuale pone:
a) che il riconoscimento ex lege della qualità di enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato
sia avvenuto anteriormente alla commissione del fatto per cui si procede.
Questa limitazione è stata dettata sia per assicurare l’ingresso nel procedimento solo a enti che
non siano sospettabili di occasionale istituzione e che offrano maggiori garanzie di serietà; sia
perché di regola la tutela degli interessi collettivi lesi dal reato potrà trovare un centro di
riferimento già costituito.
b) che si tratti di organismi senza scopo di lucro.
Questa seconda limitazione è legata al fatto che la presenza nel procedimento degli enti
esponenziali viene subordinata dalla legge al consenso della persona offesa, e tende a prevenire il
benché minimo sospetto di una strumentalizzazione e di mancanza di spontaneità di tale consenso
per manovre non trasparenti tanto da parte di chi lo presta, quanto da parte di chi li richiede.
I diritti e le facoltà accordati agli enti e associazioni rappresentativi di interessi colpiti dal reato
possono essere esercitati in qualsiasi stato e grado del procedimento.
4.(Segue): l’assenso dell’offeso alla partecipazione al procedimento degli enti e delle associazioni
rappresentativi di interessi lesi dal reato.
La partecipazione al procedimento degli enti è assoggettata al previo assenso dell’offeso, e ciò per
impedire presenze che potrebbero risultare a questi non gradite: le loro strategie processuali
potrebbero non essere convergenti, disturbandosi a vicenda; e il soggetto direttamente
interessato ha il diritto di pretendere che le proprie mosse non vengano ostacolate.
Nell’eventualità in cui l’offeso sia deceduto in conseguenza del reato, la legittimazione a prestare
l’assenso apparterrà ai prossimi congiunti.
Al fine di evitare che il procedimento abbia a un certo momento, a risultare eccessivamente
ingombrato, il codice dispone che a un solo ente, o associazione, possa essere consentito, dalla
persona offesa, di intervenirvi, pena l’inoperatività del consenso eventualmente prestato a più. In
presenza di una pluralità di persone offese dal reato, ferma restando la necessità del consenso da
parte di ciascuna di esse a un ente solo, il numero degli enti che potranno accedere al processo
sarà commisurato al numero delle persone offese.
Art. 92 comma 3 c.p.p., per la prestazione del consenso dispone che “essa sarà valida soltanto se
fatta attraverso atto pubblico o scrittura privata autenticata”.
Una volta consesso, l’assenso è suscettibile di revoca che può essere effettuata in qualsiasi
momento, sin dagli stati più avanzati dell’iter processuale, e, pur attraverso atto pubblico o
scrittura privata autenticata, essendo apparsa al legislatore non sufficientemente univoca una
revoca presunta.
71
5.(Segue): l’intervento nel procedimento degli enti e delle associazioni rappresentativi di
interessi lesi dal reato.
Affinché gli enti o le associazioni cui siano state riconosciute finalità di tutela degli interessi colpiti
dal reato possono trovare valido ingresso nel procedimento penale, è necessario che presentino
un “atto di intervento” nel quale devono contenersi:
- le indicazioni necessarie a identificare l’ente o l’associazione, la sede, le disposizioni legislative
che riconoscono le finalità di tutela degli interessi lesi, le generalità del legale rappresentante;
- l’indicazione del procedimento al quale si richiede d’intervenire con la sommaria esposizione
delle ragioni che giustificano l’intervento;
- le generalità del difensore con l’indicazione degli estremi della procura a esso conferita e la sua
sottoscrizione.
Tutti i requisiti sono imposti a pena di inammissibilità dell’atto.
Insieme con la richiesta di intervento vanno presentate la dichiarazione di assenso prestato dalla
persona offesa e la procura del difensore, se conferita con atto pubblico o con scrittura privata
autenticata.
Dall’indicazione degli elementi prescritti per l’atto di interventi si evince che per fare valere i diritti
e le facoltà di cui sono titolari gli enti esponenziali devono avvalersi dell’opera del difensore.
L’atto di intervento va proposto all’autorità avanti alla quale il procedimento si trova nel momento
in cui l’ente esponenziale chiede di parteciparvi. Così, nella fase delle indagini preliminari l’atto si
proporrà presso l’ufficio dello stesso pm; nella fase dell’udienza preliminare o del giudizio, presso
l’ufficio del giudice competente. Se la presentazione avviene fuori udienza e in un momento in cui
le parti non assistono alla vicenda processuale, l’atto di intervento deve essere notificato a
ciascuna di esse al fine dell’instaurazione del contraddittorio, e comincerà a essere produttivo di
efficacia dal giorno in cui è stata effettuata l’ultima delle notificazioni.
Il termine ultimo concesso agli enti e alle associazioni per intervenire nel procedimento penale
coincide con il compimento delle attività di verifica della costituzione delle parti in sede di atti
introduttivi del dibattimento.
72
° Se l’intervento si è realizzato nel corso degli atti introduttivi del dibattimento, ci si può opporre
subito dopo il compimento per la prima volta dell’accertamento relativo alla costituzione delle
parti.
Tutti i termini vanno osservati a pena di decadenza.
Il potere di decidere spetta all’organo giurisdizionale competente per la fase in cui l’opposizione è
stata proposta, e cioè al giudice per le indagini preliminari, al giudice dell’udienza preliminare o al
giudice del dibattimento, i quali devono provvedere, senza ritardo, con ordinanza ad hoc,
disponendo se ritengano fondati i motivi dell’opposizione, l’estromissione dell’ente.
Oltre che su sollecitazione di parte, la decisione di escludere dal procedimento eventuali figure
esponenziali può essere adottata dal giudice d’ufficio, non appena accerti l’inesistenza in esse dei
requisiti di legittimazione voluti per l’esercizio dei diritti e delle facoltà di cui si pretendono titolari.
Capitolo nono
IL DIFENSORE
4.Il difensore delle altre parti, dell’offeso del reato, degli enti rappresentativi di interessi lesi,
Una specifica disciplina detta il codice a proposito di difesa:
° DELLE PARTI PRIVATE: la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per
la pena pecuniaria devono stare in giudizio col ministero di un difensore; questi può compiere e
ricevere, nell’interesse della parte, tutti gli atti del procedimento che la legge ad essa
espressamente non riservi. La posizione soggettiva in cui opera configura il difensore delle parti
private diverse dall’imputato come non soltanto legittimato a compiere atti nell’interesse del
rappresentato, ma anche destinatario di atti che non siano espressamente riservati alla parte.
Esula dalla sfera delle attività consentite al difensore il compimento di atti strettamente personale.
La presenza del difensore delle parti private comporta automatica elezione presso di lui, per ogni
effetto processuale, del domicilio delle parti stesse.
° DELLA PERSONA OFFESA DAL REATO: il riconoscimento di diritti e di facoltà in favore della
persona offesa dal reato implica che a tale soggetto venga assicurata la possibilità di avvalersi
dell’opera di un difensore che lo assista in tutti gli atti il cui compimento costituisce esercizio di
quei diritti o di quelle facoltà. Il difensore della persona offesa potrà svolgere solo funzioni di
assistenza tecnica, dal momento che la legge non gli attribuisce poteri di rappresentanza.
° DEGLI ENTI RAPPRESENTATIVI DI INTERESSI LESI: l’estensione dei diritti e delle facoltà di cui
gode l’offeso agli enti e alle associazioni con finalità di tutela degli interessi lesi dal reato richiede
la presenza nel procedimento penale anche di difensori di tali figure soggettive.
Da sottolineare, che mentre alla persona offesa è consentito stare nel procedimento pur senza
difensore, la cui assistenza è meramente facoltativa, per ciò che riguarda gli enti esponenziali, la
presenza del difensore è necessaria, al pari che per le parti private, essendo essi autorizzati a stare
in giudizio, unicamente, col ministero di un difensore munito di procura speciale. La ratio della
diversa disciplina viene individuata quando si osserva che l’ingresso nel procedimento penale
degli enti abbisogna di un vero e proprio atto di formale intervento e della manifestazione,
attraverso tale atto, di tutti i requisiti che l’intervento stesso legittimino, sicché il rapporto si
instaura alla stregua di parametri normativi i quali implicano un tecnicismo che è la presenza del
difensore a poter adeguatamente assicurare. Al contrario, la posizione della persona offesa dal
reato si modella su parametri naturalistici.
74
difensore dovrebbe essere pienamente efficace, purché si possa inequivocabilmente stabilire che
essa proviene dall’imputato.
Art. 96 comma 3 c.p.p.: “se la persona si trova in stato di fermo, di arresto o di custodia cautelare,
alla nomina del suo difensore può provvedere anche un prossimo congiunto”. La Corte,
individuando la ratio della disposizione nell’esigenza di agevolare l’intervento del difensore e di
fiducia a preferenza di quello d’ufficio tutte le volte in cui l’interessato si trovi in difficoltà e non
possa provvedere personalmente, ha ritenuto che, sussistendo tale presupposto, la nomina da
parte dei prossimi congiunti possa essere effettuata anche al di fuori delle situazioni
espressamente indicate dall’art. 96 comma 3 c.p.p. L’interessato potrà, pur sempre, in un
momento successivo, ratificare la nomina fatta dal congiunto o sostituirla attraverso una
designazione effettuata personalmente.
La nomina del difensore di fiducia è da considerarsi valida ed efficacia sin dal momento in cui è
stata fatta dall’imputato secondo le modalità prescritte. È da questo momento che si dispiegano i
suoi effetti e non da quello in cui l’autorità giudiziaria ne abbia avuta concreta ed effettiva
conoscenza. La stessa nomina è sorretta dal principio dell’immanenza: intervenuta durante una
fase del processo, mantiene efficacia in ogni suo stato e grado, a meno che non risulti
espressamente circoscritta a quella fase o non sopraggiunga un’esplicita contraria manifestazione
di volontà dell’imputato, comunicata ritualmente all’ufficio giudiziario procedente, per effetto
della quale il difensore di fiducia perde tale sua qualità.
La legge limita a due il numero di difensori che l’imputato ha diritto di nominare, con la
conseguenza che l’eventuale designazione di ulteriori difensori si considera priva di effetto sino a
quando non siano state revocate le precedenti che risultino in eccedenza rispetto al numero
stabilito o non sia intervenuto un fatto concludente idoneo a far desumere il venir meno del
rapporto fiduciario con i due difensori nominati precedentemente.
75
7.Designazione del difensore d’ufficio dell’imputato.
Quando l’imputato non abbia provveduto a nominare un difensore fiduciario, o ne sia rimasto
privo, per una qualsiasi causa, sopperisce la designazione del c.d. “difensore d’ufficio”.
Il codice, al fine di garantire l’effettività della difesa d’ufficio predispone un meccanismo selettivo
del difensore ufficioso, che sia idoneo a evitare scelte discrezionali specialmente da parte di
soggetti, quali il pm o gli organi di polizia giudiziaria, che si trovino in contrapposizione dialettica
rispetto all’imputato. I criteri di nomina vengono stabiliti dal consiglio dell’ordine forense,
attraverso un apposito ufficio centralizzato, in base a elenchi e tabelle di difensori predisposti.
Sarò, poi, il predetto ufficio a comunicare il nominativo di un difensore all’autorità giudiziaria o alla
polizia giudiziaria che ne avranno fatto richiesta. Quando, poi, si rende necessaria la sostituzione
con un difensore d’ufficio di un difensore, fiduciario o officioso, precedentemente nominato ma
non reperito, o che non sia comparso o che abbia abbandonato la difesa il pm e la polizia
giudiziaria dovranno richiedere il nominativo del professionista all’ufficio centralizzato del
consiglio dell’ordine forense, salvo il potere, in caso di urgenza, di designarne automaticamente
uno che sia immediatamente reperibile, ma con un provvedimento motivato che dia conto delle
ragioni dell’urgenza. Il difensore d’ufficio ha l’obbligo di prestare il patrocinio, tranne che non
ricorrano giustificati motivi, valutabili caso per caso, per astenersene. Una volta designato il
difensore d’ufficio, il suo nominativo viene comunicato tempestivamente all’imputato insieme con
l’avvertimento che egli ha il diritto di scegliere, in qualsiasi momento, un difensore di fiducia, la cui
eventuale nomina produrrà la revoca de jure dell’incarico affidato al difensore ex officio.
76
difensore. La nomina del difensore delle altre parti non è sorretta automaticamente dal principio
di immanenza durante tutto l’iter processuale, giacché essa, mancando nella procura un’esplicita
manifestazione di volontà diversa, si intende effettuata limitatamente a un “determinato grado del
processo”.
Numero di difensori consentito alle altre parti private al fine di evitare un eccessivo
affollamento del processo è parso opportuno limitare la difesa di esse a un solo difensore.
Il difensore della persona offesa viene nominato seguendo le forme previste per quelle del
difensore di fiducia dell’imputato, mentre il difensore degli enti e delle associazioni rappresentativi
di interessi lesi va nominato seguendo le regole stabilite per il difensore delle parti private diverse
dall’imputato.
11.Abbandono, rifiuto della difesa e violazione dei doveri di lealtà e di probità da parte del
difensore.
La normativa processuale prefigura l’eventualità di abbandono o di rifiuto della difesa, ai quali
ricollega determinati effetti negativi: precisamente, l’applicazione di sanzioni disciplinari nei
confronti del professionista che se ne sia reso responsabile.
Ogni comportamento che possa integrare ipotesi di abbandono della difesa o di rifiuto della difesa
d’ufficio o di violazione dei doveri di essere segnalato, dall’autorità giudiziaria che l’abbia rilevato,
al consiglio dell’ordine forense al quale compete l’attivazione di un eventuale procedimento di
natura disciplinare.
Art. 105 comma 3 c.p.p.: “nei casi di abbandono o di rifiuto motivati da violazione dei diritti della
difesa, quando il consiglio dell’ordine li ritiene comunque giustificati, la sanzione non è applicabile,
anche se la violazione dei diritti della difesa è esclusa dal giudice”. La regola deve essere intesa
come riaffermazione della libertà e del’autonomia di valutazioni e di giudizi che vanno garantiti al
difensore nell’attuazione dei propri compiti e nei confronti di chiunque, anche del giudice.
Le conseguenze derivanti dall’assenza, dovuta all’abbandono, del difensore si atteggiano
diversamente a seconda che investano la posizione dell’imputato o quella degli altri soggetti.
Nel caso dell’imputato si determina una stasi processuale in attesa che venga ripristinata la figura
del difensore o attraverso una nomina fiduciaria o attraverso una designazione d’ufficio, poiché in
caso contrario la prosecuzione del processo andrebbe incontro a una sanzione di invalidità.
77
Per quanto riguarda le altre parti e i soggetti a esse assimilabili, l’eventuale venir meno della
presenza dei loro difensori non ha alcuna incidenza sullo svolgimento delle attività processuali, la
cui immediata prosecuzione è assicurata.
Egualmente obbligata a riferire all’ordine forense, ai fini di un possibile provvedimento
disciplinare, è l’autorità giudiziaria in tutti i casi di riconosciuta violazione dei doveri di lealtà e
probità da parte del difensore nel corso del procedimento.
Capitolo decimo
IL CONSULENTE TECNICO, L’INVESTIGATORE PRIVATO, L’INTERPRETE
2.L’investigatore privato.
Figura di ausiliare sconosciuta in passato alle esigenze del processo penale è introdotta dal codice
attuale è l’investigatore privato. Soggetto abilitato ad attività legislativamente circoscritte
nell’ambito di operazioni non applicanti un esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione
della libertà individuale, l’investigatore privato subiva, fino a ieri, il divieto di eseguire indagini e
ricerche o di raccogliere informazioni su fatti oggetto di accertamenti da parte della polizia
giudiziaria. Il nuovo modello processuale ne valorizza il ruolo e ne fa diventare indispensabile le
presenza nel momento in cui, riconoscendo alle parti il “diritto alla prova” e autorizzando la parte
privata a “difendersi provando”, le garantisce ogni iniziativa che possa rendere quanto più efficace
la realizzazione di quel diritto.
La normativa processuale penale prefigura l’utilizzabilità dell’investigatore privato nel contesto
della funzione difensiva, coprendole con le garanzie di libertà riconosciute ai difensori e ai
consulenti tecnici e con la garanzia del segreto professionale, opponibile anche agli organi di
polizia, in deroga alla norma che obbliga gli investigatori privati “ad aderire a tutte le richieste a
essi rivolte dagli ufficiali o dagli agenti di pubblica sicurezza o di polizia giudiziaria”.
3.L’interprete.
La presenza dell’interprete nel processo penale assurge a duplice rilevanza, dal momento che egli
può operare sia come possibile ausiliare della parte privata, sia in funzione delle esigenze di
comprensione linguistica legate a tutto il contesto processuale e non solo alla posizione difensiva
della parte.
Art. 143 comma 1 c.p.p.: “l’imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere
gratuitamente da un interprete al fine di poter comprendere l’accusa contro di lui formulata e di
eseguire il compimento degli atti cui partecipa”. Questa disposizione configura il ricorso come
oggetto di un diritto individuale dell’imputato volto a consentirgli quella partecipazione cosciente
al procedimento che è parte ineliminabile delle garanzie di difesa. Diritto che trova oggi il più
significativo riconoscimento nell’art. 111 Cost., in forza del quale “nel processo penale, la legge
assicura che la persona accusata di un reato sia assistita da un interprete se non comprende o non
parla la lingua impiegata nel processo”.
Condivisibile l’opinione giurisprudenziale secondo cui condizione fondamentale per l’esercizio del
diritto a essere assistito da un interprete è che l’imputato dichiari espressamente o dimostri di non
sapersi esprimere in italiano o di non capirlo.
Dopo aver posto la regola secondo cui “la prestazione dell’ufficio d’interprete è obbligatoria”, e ciò
al fine di assicurare l’effettività del diritto all’assistenza dell’interprete riconosciuto all’imputato, il
codice fissa dei limiti soggettivi all’espletamento di tale ufficio, configurando delle cause di
incapacità e di incompatibilità che ne impediscono l’assunzione a pena di nullità.
Incapacità ad assumere l’ufficio di interprete può essere determinata o da cause di inidoneità
naturale (tra queste rientrano la minore età, lo stato di interdizione legale o giudiziale,
l’inabilitazione, l’infermità di mente), o da cause di indegnità ( tra queste l’interdizione anche
79
temporanea dai pubblici uffici o l’interdizione o sospensione dall’esercizio di una professione o di
un’arte, la sottoposizione a misure di sicurezza personali o a misure di prevenzione.
Incompatibilità con l’ufficio di interprete investe le persone che non possono essere assunte
come testimoni, le persone che hanno facoltà di astenersi dal rendere testimonianza, le persone
chiamate a prestare ufficio di testimoni, di periti o di consulenti tecnici nello stesso procedimento
o in un procedimento connesso. L’incompatibilità nasce dall’avvertita preoccupazione che
determinate posizioni processuali non garantiscano sufficientemente circa la possibilità di un
obiettivo espletamento dell’ufficio di interprete, nell’interesse della situazione difensiva
dell’imputato.
Parimenti improntata all’esigenza di assicurare un’efficace opera di sussidio alla parte è la
disciplina della ricusazione e dell’astensione dell’interprete, qualora ricorrano le stesse cause
determinatrici dell’incapacità e dell’incompatibilità: in altri termini, si è voluto concedere
all’imputato e allo stesso ausiliare lo strumento per scongiurare possibili rischi di una poco valida
collaborazione in conseguenza di uno stato di fatto ritenuto non sufficientemente idoneo a
favorire il corretto adempimento dei doveri inerenti all’ufficio di interprete.
GLI ATTI
Capitolo primo
PROFILI GENERALI
1.Premessa
Con il termine fatto si indica un avvenimento che si verifica nella realtà e che consiste in un
fenomeno naturale o in un comportamento umano, di solito positivo ma anche negativo. In questo
quadro anche l’omissione può assurgere a fatto, qualora una norma ricolleghi a essa un effetto
giuridico.
L’avvenimento che caratterizza il fatto giuridico può consistere in un fenomeno naturale o in un
comportamento umano. Ed è su questa distinzione che poggia la tesi secondo la quale il
comportamento umano avente rilevanza giuridica costituirebbe sempre un atto giuridico, mentre
il fatto giuridico in senso stretto definirebbe solo il fatto della natura produttivo di conseguenze
giuridiche.
Sono atti giuridici solo i comportamenti umani volontari; deve essere, invece, qualificato fatto
giuridico in senso stretto anche il comportamento umano che l’ordinamento valuta senza
accertare che lo accompagni il requisito della volontarietà
80
L’impegno del legislatore a un uso tecnico e differenziato dei termini del procedimento e processo
giustifica il riferimento agli atti, e non agli atti processuali, della disciplina contenuta nel libro
secondo. In concreto, tale impegno non è stato rispettato. Esemplificativa, in tal senso, la lettura di
alcune norme:
° Art. 109 c.p.p. che, a pena di nullità, impone l’uso della lingua italiana per gli atti del
procedimento: nessuno potrebbe mai pensare che, formulata l’imputazione e con l’inizio del
processo, si possa liberamente optare per l’uso di una diversa lingua.
° Art. 177 c.p.p. che fissa il principio di tassatività delle nullità, riferendolo agli “atti del
procedimento”: a nessuno verrebbe in mente di dire che tale principio cessa di avere vigore con
l’inizio del processo.
Nonostante l’impegno a tenere distinti i due concetti e a servirsene in modo appropriato, il
legislatore usa frequentemente il termine procedimento come sinonimo di processo. Un ulteriore
conferma testuale di quanto sostenuto si coglie nell’art. 3 il quale, disciplinando le questioni
pregiudiziali di stato, prevede che il giudice penale sospenda il “processo” e che la sentenza che ha
deciso la questione abbia efficacia di giudicato “nel procedimento penale”.
81
notizia di un reato e l’informativa indirizzata al pm. È possibile,pertanto, che vi sia procedimento
prima ancora che sulla scena processuale facciano il loro ingresso l’imputato, il pm, il giudice.
Assai più agevole l’individuazione dell’ultimo atto del procedimento. Gli artt. 648 e 650 indicano,
infatti, il momento in cui diventano irrevocabili ed esecutivi le sentenze e i decreti penali.
82
Art. 114 comma 6-bis: vieta la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà
personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi o ad altro mezzo
di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta. Le due norme, nonostante fanno riferimento
al divieto di pubblicazione dell’immagine, hanno un diverso oggetto di tutela:
- comma 6: mira alla protezione del minore in quanto tale, impedendo qualsiasi forma di
pubblicità atta a consentirne l’identificazione.
- comma 6-bis: mira a proteggere la dignità della persona e a far cessare la concezione
spettacolare delle operazioni di polizia. Il divieto in esame prescinde da limiti temporalmente
prestabiliti e rimette all’apprezzamento dell’interessato l’autorizzazione alla pubblicazione della
propria immagine.
Rientra nella nozione di pubblicazione qualunque mezzo di diffusione dell’immagine destinata a
raggiungere un numero indefinibile di soggetti: la carta stampata, i ciclostilati, le trasmissioni
televisive, le riprese cinematografiche e qualunque altro strumento che il progresso tecnologico
potrà rendere idoneo a tale scopo.
Una sanzione disciplinare potrebbe accompagnare l’intervento sanzionatorio penale qualora la
violazione del divieto di pubblicazione sia commessa da impiegati dello Stato o di altri enti pubblici
o da chi eserciti una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato.
Capitolo secondo
GLI ATTI DEL PROCEDIMENTO DAL PUNTO DI VISTA SOGGETTIVO
1.Premessa.
Il codice non consente che l’atto possa essere realizzato da qualsiasi soggetto e con le modalità
che più gli aggradano; al contrario, fissa, in astratto, un preciso modello in cui indica quale
soggetto deve compiere l’atto e a quali modalità di forma, di tempo e di luogo costui si deve
attenere.
Nella fattispecie astratta di un atto si trovano, in primo luogo, indicazioni sui soggetti chiamati a
compierlo. In proposito, la dottrina parla di legittimazione, indicare l’idoneità di un soggetto a
porsi come titolare dell’atto.
84
D)ALTRI PROVVEDIMENTI: possono essere adottati dal giudice senza l’osservanza di speciali
formalità e anche, salva diversa prescrizione, oralmente: si pensi ai provvedimenti relativi alla
pubblicità dell’udienza che sono dati oralmente e senza formalità.
La categoria in esame è disciplinata dall’art. 125 comma 6, il quale non limita la previsione di
assenza di formalità ai provvedimenti ordinatori e regolamentari, ma la riferisce a tutti i
provvedimenti diversi dai tre tipici già trattati.
L’art 128 dispone che gli originali dei provvedimenti del giudice siano depositati in cancelleria
entro 5 giorni dalla deliberazione e che l’avviso in deposito con l’indicazione del dispositivo sia
comunicato al pm e notificato a tutti colori hanno diritto di impugnazione.
L’omissione dell’avviso di deposito determina la nullità di ordine generale.
85
4.(Segue): l’immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità.
Art. 129 c.p.p.: “in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non
sussiste o che l’imputato non l’ha commesso o che il fatto no costituisce reato o non è previsto
dalla legge come reato o che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo
dichiara d’ufficio con sentenza”.
L’art. 129 opera in ogni stato e grado del processo. Esso, invece, non opera durante la fase delle
indagini preliminari: in questa fase, considerata la competenza ad acta riservata al giudice, le
situazioni previste dall’art. 129 determinano l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato
ovvero per gli altri casi previsti dall’art. 411; soluzione che può realizzarsi solo su impulso del pm.
Particolare attenzione merita l’ipotesi in cui ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli altri
atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che i fatto non
costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato: dispone l’art. 129 comma 2, che in tal
evidenza, il giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula
prescritta.
Deve darsi la precedenza al proscioglimento nel merito anche nelle situazioni descritte dall’art.
530 comma 2 e cioè quando manchi, sia insufficiente, o sia contraddittoria la prova che il fatto
sussista, che l’imputato lo abbia commesso, che il fatto costituisca reato o che il fatto sia previsto
dalla legge come reato.
Evidenza rende operante la previsione dell’art. 129 comma 2; deve risultare dagli atti; il che
significa che le prove che giustificano il proscioglimento nel merito debbono essere state già
acquisite nel momento in cui interviene il fatto estintivo.
Il proscioglimento nel merito può essere disposto anche quando la causa estintiva sia
rappresentata dalla morte dell’imputato. A tale conclusione è possibile pervenire sulla base
dell’indicazione fornita dall’art. 69 comma 1, il quale afferma che “se risulta la morte
dell’imputato, in ogni stato e grado del processo il giudice pronuncia sentenza a norma dell’art.
129”.
86
6.(Segue): i poteri coercitivi.
Ovvie ragioni di funzionalità e di immagine impongono che il compimento degli atti ai quali il
giudice procede avvenga in modo sicuro e ordinato. Perché si possa pervenire a questo risultato,
l’art. 131 attribuisce al giudice il potere di chiedere l’intervento della polizia giudiziaria e, se
necessario, dalla forza pubblica. Tale potere costituisce chiara espressione del legame tra autorità
giudiziaria e polizia giudiziaria.
Per l’esercizio di questi poteri coercitivi non è richiesta una particolare formalità: possono essere
esercitati anche oralmente. Le formalità sono richieste, invece, per in caso in cui il giudice ritenga
di disporre:
1)accompagnamento coattivo dell’imputato: disciplinato dall’art.132 il giudice con decreto
motivato può ordinare che l’imputato sia condotto alla sua presenza, se occorre anche con la
forza. L’atto si risolve in un’innegabile restrizione della libertà personale resa necessaria
dall’indispensabile acquisizione di un contributo probatorio.
L’art. 132 precisa che l’accompagnamento coattivo è possibile solo nei casi previsti dalla legge. Tali
casi sono quelli indicati dall’art. 399 e dall’art. 390; da essi si ricava che per il compimento dell’atto
deve essere necessaria la presenza dell’imputato e che questi non sia comparso e non abbia
addotto un legittimo impedimento.
Art.132 comma 2: “l’accompagnamento coattivo dell’imputato non può durare oltre il
compimento dell’atto previsto e di quelli consequenziali per i quali perduri la necessità della sua
presenza; in ogni caso l’imputato non può essere trattenuto oltre le 24 ore”.
2)accompagnamento coattivo di altre persone: disciplinato dall’art. 133 “le altre persone a cui
si riferisce la rubrica sono il testimone, il perito, la persona sottoposta all’esame del perito diversa
dall’imputato, il consulente tecnico, l’interprete o il custode di cose sequestrate”. Anche per
costoro l’accompagnamento coattivo è ancorato a rigidi presupposti. Occorre che questi soggetti
siano regolarmente citati convocati e che abbiano omessi di comparire nel luogo, giorno e ora
stabiliti: in questo caso il giudice, con ordinanza, può anche condannarli al pagamento di una
somma da euro 51 a euro 516 a favore della cassa delle ammende nonché alle spese alle quali la
mancata comparizione ha dato causa. Tale condanna è revocata con ordinanza quando il giudice
ritenga fondate le giustificazioni addotte in seguito dall’interessato.
Per il resto, si applicano le disposizioni riguardanti l’accompagnamento coattivo dell’imputato.
87
- di informativa: con l’art. 106 si impone al pm di informare, senza ritardo, il giudice civile o
amministrativo, che ha redatto denuncia di reato, delle richieste formulate a conclusione delle
indagini preliminari;
- di informazione: l’art. 129 prevede che quando esercita l’azione penale, il pm informi:
a) l’autorità da cui dipende l’imputato che sia impiegato dello Stato o di altro ente pubblico;
b) l’ordinamento della diocesi a cui appartiene l’imputato che sia un ecclesiastico o un religioso del
culto cattolico;
c) il procuratore generale presso la Corte dei conti, ove si proceda per un reato che ha cagionato
un danno per l’erario.
8.Gli atti dell’imputato, delle altre parti private e della persona offesa dal reato.
Gli atti di questi soggetti non assumono forme esclusive. Essi, infatti, rivestono forme comuni agli
atti del pm.
Per essi è prevista, prevalentemente, la forma di richiesta. Ne sono esempi:
1) con riguardo alla persona sottoposta alle indagini e all’imputato: la richiesta di procedere con
incidente probatorio; la richiesta di applicazione della pena;
2) con riguardo alla parte civile: la richiesta di rendere provvisoriamente esecutiva la condanna alle
restituzioni e al risarcimento; la richiesta di pubblicazione della sentenza di condanna;
3) con riguardo alla persona offesa: la richiesta rivolta al pm di promuovere un incidente
probatorio rivolta al procuratore; la richiesta indirizzata al pm di proporre impugnazione ad ogni
effetto penale;
4) con riguardo agli enti e alle associazioni rappresentativi di interessi lesi dal reato: la richiesta di
rivolgere domande ai testimoni, ai periti, ai consulenti tecnici e alle parti private e la richiesta di
nuovi mezzi di prova; la richiesta di dare lettura degli atti contenuti nel fascicolo per il
dibattimento.
Analogamente a quanto detto per gli atti del pm, anche quelli delle parti private possono
assumere la forma delle conclusioni e del consenso.
Un ulteriore forma che possono assumere gli atti dei soggetti è quello delle memorie: atti
attraverso i quali è possibile illustrare questioni di fatto e di diritto. Il pm sarà il destinatario delle
memorie che i difensori hanno diritto di presentare anche nel corso delle indagini preliminari.
Gli atti dei soggetti privati possono assumere, ancora la veste della rinuncia o della revoca.
88
Non è detto che l’ausiliario possegga le necessarie competenze per l’uso della stenotipia o di altro
mezzo meccanico: in questo caso, egli, con l’autorizzazione del giudice, può farsi assistere dal
personale tecnico, anche esterno all’amministrazione dello Stato. Lo stesso personale, sotto la
direzione dell’ausiliario, è chiamato a provvedere alla riproduzione fonografica o audiovisiva.
Alla trascrizione in caratteri comuni del verbale redatto con il mezzo della stenotipia si procede
non oltre il giorno successivo a quello in cui sono stati impressi i nastri, che, insieme alla
trascrizione, sono uniti agli atti del processo. Con il consenso delle parti il giudice può disporre che
non si provveda alla trascrizione della riproduzione fonografica che è unita agli atti del
procedimento, così come la registrazione audiovisiva.
Art. 136 comma 1: “il verbale contiene la menzione del luogo, dell’anno, del mese, del giorno e
dell’ora in cui è cominciato e chiuso, le generalità delle persone intervenute, l’indicazione della
cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire, la
descrizione di quanto l’ausiliario ha fatto o ha constatato o di quanto è avvenuto in sua presenza
nonché le dichiarazioni ricevute da lui o da altro pubblico ufficiale che egli assiste”.
Comma 2: “per ogni dichiarazione è indicato se è stata resa spontaneamente o previa domanda e,
in tal caso, è riprodotta anche la domanda; se la dichiarazione è stata dettata dal richiedente, o se
questi si è avvalso dell’autorizzazione a consultare note scritte, ne è fatta menzione”.
Specifica attenzione merita la documentazione dell’interrogatorio di persona in stato di
detenzione art. 141-bis: “se l’interrogatorio non si svolge in udienza, la documentazione deve
avvenire, integralmente e a pena d’inutilizzabilità, con mezzi di produzione fonografica o
audiovisiva; oppure, ma solo in caso d’indisponibilità di questi ultimi mezzi o di personale, con le
forme della perizia o della consulenza tecnica”.
Trattandosi di un atto pubblico, il verbale fa piena prova, sino a querela di falso, della provenienza
del documento e dei fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui
compiuti. Il verbale, non è esso stesso fonte di prova, di modo che è implicita a libera valutazione
di quanto è in esso racchiuso.
La legge attribuisce compiti specifici al pubblico ufficiale addetto alla cancelleria. Tale funzionario,
infatti, è chiamato:
a rilasciare attestazioni o certificazioni degli atti che riceve;
a effettuale l’ autenticazione della sottoscrizione di atti per i quali il codice prevede questa
formalità e delle copie, estratti e certificati di singoli atti richiesti all’autorità giudiziaria
procedente.
89
polizia giudiziaria, ma nei soli casi di atti di indagine o provvedimenti che la stessa polizia
giudiziaria è delegata a compiere o è tenuta ad eseguire.
° Pure la polizia penitenziaria può fungere da organo della notificazione. Ciò accade nei
provvedimenti con detenuti e in quelli davanti al tribunale della libertà, in cui il giudice può
disporre che le notificazioni siano eseguite dalla polizia penitenziaria del luogo in cui i destinatari
sono detenuti.
Oggetto della notificazione è l’atto, che deve essere portato a conoscenza per intero, tranne che la
legge ne consenta la notifica per estratto.
Al doppio risultato di eliminare del tutto il tipico procedimento notificatorio e di fa ottenere la
sicura conoscenza dell’atto al soggetto al quale sarebbe spettata la notificazione, pervengono:
a) la consegna della copia dell’atto all’interessato da parte della cancelleria;
b) la lettura dei provvedimenti alle persone presenti nonché gli avvisi che sono dato dal giudice
verbalmente agli interessati in loro presenza.
Per la loro perfezione, si esige:
1) che, quando la notifica non può essere eseguita in mani proprie del destinatario, l’ufficiale
giudiziario o la polizia giudiziaria consegnino la copia dell’atto da notificare, fatta eccezione per
il caso di notificazione al difensore o al domiciliatario, dopo averla inserita in busta che
provvedono a sigillare trascrivendovi il numero cronologico della notificazione e dandone atto
nella relazione in calce all’originale e alla copia dell’atto;
2) che, in caso di consegna di copie, il pubblico ufficiale addetto alla cancelleria annoti
sull’originale dell’atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta;
3) che nel caso di lettura dei provvedimenti e di avvisi dati dal giudice verbalmente sia fatta
menzione nel verbale e che le comunicazioni, gli avvisi e ogni altro biglietto o invito consegnati
non in busta chiusa a persona diversa dal destinatario rechino le indicazioni strettamente
necessarie.
Art. 149, si occupa delle notificazioni urgenti a mezzo del telefono o del telegrafo. Da un lato,
dispone che la notificazione venga eseguita mediante telegramma solo quando non sia possibile
procedere a mezzo di telefono, dall’altro, limita il ricorso a tali forme di notificazione ai casi urgenti
e alla condizione che si tratti di avvisare o convocare persone diverse dall’imputato.
Art. 149 comma 4 prevede che la comunicazione telefonica ha valore di notificazione sempre che
dalla stessa sia data immediata conferma al destinatario mediante telegramma.
Sempre mirante al risultato della maggiore semplificazione delle forme appaiono dettate:
- la norma che, per le notificazioni a persone diverse dall’imputato, fa salva la possibilità di
impiegare mezzi tecnici innominati che garantiscono la conoscenza dell’atto;
- la norma che, per le notificazioni richieste dalle parti private, consente che esse siano
sostituite dall’invio di copia dell’atto effettuata dal difensore mediante lettera
raccomandata con avviso di ricevimento;
- la norma che, per le notificazioni e le comunicazioni al pm, indica il modo della consegna di
copia dell’atto nella segreteria;
- la norma che prevede che le notificazioni possano essere eseguite anche col mezzo degli
uffici postali, nei modi stabiliti dalle relative norme speciali.
Particolari forme di semplificazione ha ravvisato la giurisprudenza nell’uso del telefax o del
telefono cellulare.
90
11.(Segue): i modi.
il codice detta varie norme intese a disciplinare le modalità tramite le quali debbano essere
eseguite le notificazioni.
1)Notificazioni e comunicazioni al pubblico ministero: vanno eseguite, anche direttamente dalle
parti o dai difensori, mediante consegna di copia dell’atto nella segreteria.
2)Notificazioni alla persona offesa: si eseguono mediante consegna di copia alla persona stessa;
se ciò non è possibile, la notificazione viene eseguita nella casa di abitazione o nel luogo in cui essa
esercita abitualmente l’attività lavorativa, mediante consegna a un a persona che conviva anche
temporaneamente o, in mancanza, al portiere o a chi ne fa le veci. Qualora questi luoghi non siano
conosciuti, la notificazione è eseguita nel luogo dove la persona offesa ha temporane4a dimora o
recapito, mediante consegna a una delle predette persone. Il portiere, o chi ne fa le veci,
sottoscrive l’originale dell’atto notificato e l’ufficiale giudiziario deve dare notizia al destinatario, a
mezzo di lettera raccomandata con l’avviso di ricevimento, dell’avvenuta notificazione, i cui effetti
decorrono dal ricevimento della raccomandata. La copia, in nessun caso, può essere consegnata a
persona minore degli anni 14 o in stato di manifesta incapacità di intendere e di volere. Se non è
stato possibile eseguire la notificazione nei modi indicati, l’atto è depositato nella casa del comune
dove la persona offesa ha l’abitazione o dove la stessa esercita abitualmente la sua attività
lavorativa.
Se non ignoti i luoghi sinora indicati, la notificazione deve essere eseguita mediante deposito
del’atto nella cancelleria.
Per l’ipotesi in cui la persona offesa abiti all’estero e dagli atti risulti notizia precisa del luogo di
residenza o di dimora, è prescritto che essa venga inviata, mediante raccomandata con avviso di
ricevimento, a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. Decorsi 20 giorni dalla
ricezione della raccomandata senza che sia stata effettuata l’elezione di domicilio, la notificazione
viene eseguita mediante deposito dell’atto nella cancelleria.
3)Notificazione della prima citazione al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata
per la pena pecuniaria: è eseguita con le forme dettate per la prima notificazione all’imputato non
detenuto.
4)Notificazioni a pubbliche amministrazioni, a persone giuridiche, a enti privi di personalità
giuridica: si osservano le forme stabilite per il processo civile.
5)Notificazioni alla parte civile, al responsabile civile e alla persona civilmente obbligata per la
pena pecuniaria costituiti in giudizio: sono eseguite presso i difensori. Se il responsabile civile e la
persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria non sono costituiti, devono dichiarare o
eleggere il proprio domicilio nel luogo in cui si procede, con atto ricevuto dalla cancelleria del
giudice competente. In mancanza di tale dichiarazione o elezione le notificazioni sono eseguite
mediante deposito nella cancelleria.
6)Notificazioni all’imputato detenuto anche per causa diversa dal procedimento per il quale
deve eseguirsi la notificazione o internato in un istituto penitenziario: sono eseguite nel luogo di
detenzione, mediante consegna di copia alla persona. Ove venga rifiutata la ricezione, se ne fa
menzione nella relazione di notifica e la copia è consegnata al direttore dell’istituto o a chi ne fa le
veci.
7)Notificazioni all’imputato non detenuto (A):
a)prima notificazione: è eseguita nei modi indicati dall’art. 157, già riferiti in sede di esame delle
notificazioni alla persona offesa. A quanto detto, si deve aggiungere che lo stesso art. 157 impone:
91
-che l’autorità giudiziaria ordini la rinnovazione della notificazione qualora accerti che la copia è
stata consegnata alla persona offesa e ritenga quindi probabile che l’imputato non abbia avuto
effettiva conoscenza dell’atto notificato;
-che la consegna alla persona convivente, al portiere o a chi ne fa le veci venga effettuata in plico
chiuso;
-che qualora le persone indicate nel comma 1 manchino o non siano idonee o si rifiutino di
ricevere la copia, prima di far luogo al deposito di cui al comma 8, si proceda nuovamente alla
ricerca dell’imputato, tornando nei luoghi indicati nei commi 1 e 2.
b)notificazioni all’imputato in servizio militare: se lo stato militare in servizio attivo risulta dagli atti,
la notificazione va eseguita nel luogo in cui l’imputato risiede per ragioni di servizio, mediante
consegna alla persona. All’impossibilità di effettuare la consegna si sopperisce con la notifica
dell’atto presso l’ufficio del comandante, il quale informa immediatamente l’interessato
dell’avvenuta notificazione con il mezzo più celere.
c)notificazioni all’imputato in caso d’irreperibilità: si eseguono nei modi indicati dall’art. 159. Il
ricorso a tale modalità di notificazione presuppone che sia stato impossibile eseguirla con le
modalità stabilite dall’art. 157 e che non abbiano avuto migliore risultato le nuove e obbligatorie
ricerche dell’imputato particolarmente nel luogo di nascita, dell’ultima residenza anagrafica,
dell’ultima dimora, in quello dove egli abitualmente esercita la sua attività lavorativa e presso
l’amministrazione carceraria centrale. Risultato vano anche questo nuovo tentativo, l’autorità
giudiziaria emette decreto d’irreperibilità, con il quale, nominato un difensore all’imputat6o che
ne sia privo, ordina che la notificazione sia eseguita mediante consegna di copia al difensore, che
assume la veste di rappresentante dell’irreperibile.
Con il decreto di irreperibilità, il processo può andare avanti senza che l’imputato ne abbia notizia.
Esso se emesso dal giudice o dal pm nel corso delle indagini preliminari, cessa di avere efficacia
con la pronuncia del provvedimento che definisce l’udienza preliminare o, quando questa manchi,
con la chiusura delle indagini preliminari;
° se emesso dal giudice per la notificazione degli atti introduttivi dell’udienza preliminare oppure
dal giudice o dal pm per la notificazione del provvedimento che dispone il giudizio, cessa di avere
efficacia con lo pronuncia della sentenza di primo grado;
° se emesso dal giudice di secondo grado o da quello di rinvio, cessa di avere efficacia con la
pronuncia della sentenza.
B)Notificazioni successive alla prima: sono disciplinata in modo da evitare che, per ogni atto, si
ripetano le ricerche necessarie per la prima. È previsto che le notificazioni successive sono
eseguite mediante consegna ai difensori, sempre che manchi la dichiarazione di domicilio
dell’imputato e il difensore immediatamente non si rifiuti di accettarle. È altresì previsto che la
persona sottoposta alle indagini, al suo primo intervento in un atto compiuto dal giudice, dal pm o
dalla polizia giudiziaria, sia invitata a dichiarare quel dei luoghi presceglie per le notificazioni,
oppure, in alternativa, a eleggere un domicilio. Tale invito è accompagnato dall’avvertimento che
grava sull’imputato l’onere di comunicare i mutamenti del domicilio dichiarato o eletto e che in
mancanza di tale comunicazione o nel caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le
notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore.
L’invito a dichiarare o eleggere domicilio va effettuato in un altro momento, qualora manchi il
presupposto di un primo intervento in un atto compiuto dal giudice, dal pm o dalla polizia
giudiziaria. In questa ipotesi il suddetto avviso va formulato con l’informazione di garanzia o con il
primo atto notificato per disposizione dell’autorità giudiziaria. Analoga dichiarazione o elezione di
domicilio deve essere fatta dall’imputato detenuto che deve essere scarcerato per causa diversa
92
dal proscioglimento definitivo e dall’essere scarcerato per causa diversa dal proscioglimento
definitivo e dall’imputato che deve essere dimesso da un istituto per l’esecuzione di misure di
sicurezza.
8)Notificazioni all’imputato latitante o evaso: sono eseguite mediante consegna di copia al
difensore.
9)Notificazioni all’imputato interdetto o infermo di mente: oltre che nei confronti dell’interdetto
e dell’incapace, le notificazioni vanno anche eseguite, rispettivamente al tutore o al curatore
speciale.
10)Notificazioni ad altri soggetti: ne tratta l’art. 167 con riferimento ai soggetti diversi da quelli fin
qui elencati: a essi le notificazioni vanno eseguite a norma dell’art. 157 commi 1,2,3,4 e 8 e, nei
casi di urgenza, a norma dell’art. 149.
11)Notificazioni a persona diversa dall’imputato: le notificazioni vanno effettuate per via
telematica all’indirizzo di posta elettronica certificata.
12)Notificazioni all’imputato all’estero: l’art. 169 detta la disciplina per il caso in cui si conosca la
dimora o la residenza all’estero della persona nei cui confronti si deve procedere. È fatto obbligo al
giudice o al pm di inviarle raccomandata con avviso di ricevimento, contenente l’indicazione
dell’autorità che procede, il titolo del reato con la data e il luogo in cui è stato commesso, nonché
l’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato.
12.(Segue): le nullità.
La funzione essenziale alla quale assolve la notificazione giustifica l’impegno del legislatore a
tutelare i momenti ritenuti prevalenti nel procedimento notificatorio. La tutela approntata dal
legislatore si traduce nella nullità della notificazione in numerosi casi:
atto notificato in modo incompleto, fuori dei casi nei quali la legge consente la notificazione
per astratto;
incertezza assoluta sull’autorità o sulla parte privata richiedente, oppure sul destinatario
(esempio, firma indecifrabile dell’autorità che ha posto in essere l’atto);
relazione della copia notificata mancante della sottoscrizione di chi l’ha eseguita;
violazione delle disposizioni riguardanti la persona a cui deve essere consegnata la copia;
omissione dell’avvertimento nei casi previsti dall’art. 161 commi 1,2, e 3 e notificazione
eseguita mediante consegna al difensore;
omissione dell’affissione o della comunicazione prescritta dall’art. 157 comma 8;
mancanza sull’originale dell’atto notificato della sottoscrizione della persona indicata nell’art.
157 comma 3;
inosservanza delle modalità prescritte dal giudice nel decreto che abbia determinato la
mancata conoscenza dell’atto da parte del destinatario.
Capitolo terzo
GLI ATTI DEL PROCEDIMENTO DAL PUNTO DI VISTA FORMALE
94
l’ultimo giorno; che quando è fissato soltanto il momento finale, le unita di tempo stabilite per il
termine si computano intere e libere; che il termine indicato dalla legge per fare dichiarazioni,
depositare documenti o compiere altri atti in un ufficio giudiziario, si considera scaduto nel
momento in cui, secondo i regolamenti, l’ufficio viene chiuso al pubblico”.
Per esaurire l’esame del quadro normativo, un cenno deve essere fatto:
- al prolungamento dei termini di comparazione. Di questo istituto ne tratta l’art. 174, il quale,
con riferimento ad atti dell’autorità giudiziaria al cui compimento l’imputato deve o può
presenziare, disciplina l’ipotesi che la residenza o il domicilio dichiarato o eletto da quest’ultimo si
trovi fuori del comune in cui ha sede l’autorità procedente: per assicurare al soggetto convocato la
possibilità materiale di presenziare è stabilito che “il termine per comparire è prolungato del
numero di giorni necessari per il viaggio”, calcolando un giorno per ogni 500 o per ogni 100
chilometri di distanza, secondo che sia possibile o meno l’uso dei mezzi pubblici di trasporto.
Diversa è la situazione del residente all’estero: i limiti e i parametri precedenti cedono il posto a un
calcolo affidato al giudice, il quale dovrà tener conto della distanza o dei mezzi di comunicazione
utilizzabili.
- alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale. Di questo secondo istituto si occupa
la l. 742/1969, secondo la quale “il decorso dei termini processuali relative alle giurisdizioni
ordinarie ed a quelle amministrative è sospeso di diritto dal 1° agosto al 15 settembre di ciascun
anno, e riprende a decorrere dalla fine del periodo di sospensione. Ove il decorso abbia inizio
durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo”.
La regola esposta conosce, però, varie eccezioni, elencate nell’art. 2 della l. cit.:
1) la prima riguarda i procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare, e scatta
qualora essi o i loro difensori rinunziano alla sospensione dei termini;
2) la seconda concerne le indagini preliminari nel procedimenti relativi a imputati in stato di
custodia cautelare per reati di criminalità organizzata, ivi compresi i termini per le impugnazioni in
materia di misure cautelari personali e reali;
3) la terza riguarda il caso di una prescrizione del reato che maturi durante la sospensione o nei
successivi 45 giorni o l’ipotesi di una custodia cautelare i cui termini scadono durante il medesimo
periodo o siano prossimi a scadere, e scatta con l’ordinanza motivata non impugnabile con la
quale il giudice dichiara l’urgenza del processo: dalla data di notificazione dell’ordinanza, quindi, i
termini processuali decorrono anche nel periodo feriale;
4) la quarta concerne il compimento, nel corso delle indagini preliminari, di atti urgenti, e scatta
con l’ordinanza motivata con la quale il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pm o
della persona sottoposta alle indagini o del suo difensore, enuncia le ragioni dell’urgenza e la
natura degli atti da compiere: anche qui i termini decorreranno dalla data di notificazione
dell’ordinanza;
5) la quinta riguarda l’assunzione, durante la fase degli atti preliminari al dibattimento, degli atti
urgenti di cui all’art. 467;
6) la sesta attiene alla necessità, prospettatasi nel corso del dibattimento, di assumere prove nel
periodo feriale, e consente di procedere a norma dell’art. 467.
4.(Segue): la decadenza.
La decadenza è invocata per contrassegnare la perdita di un potere a causa del mancato esercizio
di esso, protratto per un certo periodo di tempo, da parte del titolare. La decadenza non
costituisce una specie d’invalidità del atti processuali: mentre la nullità e l’inammissibilità
95
presuppongono un atto al quale ineriscono, la decadenza, invece, riguarda un atto che non è stato
ancora compiuto e indica, anzi, la perdita del potere di compierlo.
In molte norme si parla di termini che vanno rispettati a pena di decadenza, ma nulla si dice
sull’atto compiuto a termine scaduto. In altre norme, invece, si tace sulla natura del termine,
mentre si qualifica il vizio che colpisce l’atto compiuto dopo il decorso del tempo prestabilito. E
così: l’art. 41 comma 1 impone al giudice di dichiarare inammissibile la dichiarazione di ricusazione
presentata senza l’osservanza dei termini previsti dall’art. 38, il quale, a sua volta, stabilisce che la
dichiarazione di ricusazione può essere proposta, nell’udienza preliminare, fino a che non siano
conclusi gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti.
Solo in poche norme è possibile rintracciare una duplice indicazione: una relativa alla
qualificazione del termine, l’altra rivolta a sanzionare in modo esplicito l’attività compiuta a
scadenza maturata. Si considera, per esempio, l’art. 458 comma 1, che abilita l’imputato a
chiedere il giudizio abbreviato, depositando la richiesta nella cancelleria del giudice per le indagini
preliminari, con la prova dell’avvenuta notifica al pm, entro 15 giorni dalla notificazione del
decreto di giudizio immediato, a pena di decadenza; e si guardi al comma 2 dello stesso articolo,
che pone a carico del giudice l’obbligo di fissare l’udienza se la richiesta è ammissibile.
96
provvedimento emesso nei suoi confronti e abbia volontariamente rinunciato a proporre
impugnazione. Solo quando la verifica dà esito positivo, il giudice respinge la richiesta di
restituzione; quando, invece, l’esito è negativo, il giudice deve concedere la restituzione. In
quest’ultimo caso, non si tiene conto, ai fini della prescrizione del reato, del tempo intercorso tra
la notificazione della sentenza contumaciale o del decreto di condanna e la notificazione alla parte
dell’avviso di deposito dell’ordinanza che concede la restituzione.
Questo itinerario, volto a intensificare le garanzie a favore del condannato in contumacia, è stato,
da ultimo, arricchito dall’intervento del giudice costituzionale. La Corte costituzionale, infatti, con
la sentenza 317/2009, ha riconosciuto all’imputato contumace, che non abbia avuto cognizione
del procedimento a suo carico, il diritto di essere restituito nel termine per proporre impugnazione
anche quando l’impugnazione stessa sia già stata proposta dal difensore.
I soggetti legittimati sono tenuti a presentare la richiesta per la restituzione, a pena di decadenza,
entro 10 giorni da quello nel quale è cessato il fatto costituente caso fortuito o forza maggiore. In
ogni caso la restituzione non può essere concessa più di una volta per ciascuna parte in ciascun
grado del procedimento, con la precisazione che lo sbarramento opera in modo autonomo per la
parte e per il suo difensore, trattandosi di soggetti legittimati differenti.
Competente a decidere sulla richiesta di restituzione è il giudice che procede al tempo della
presentazione della stessa; se non è stata ancora esercitata l’azione penale, competente a
decidere sulla richiesta è il giudice per le indagini preliminari. Se sono stati pronunciati sentenza o
decreto di condanna, la decisione sulla richiesta è affidata al giudice che sarebbe competente sulla
impugnazione o sull’opposizione. Il procedimento si conclude con l’emanazione di un’ordinanza,
che sarà ricorribile per cassazione, ove rigetti la richiesta di restituzione.
Sarà impugnabile soltanto l’ordinanza che concede la restituzione nel termine per la proposizione
dell’impugnazione o dell’opposizione.
Ricca di conseguenze è l’ipotesi di accoglimento della richiesta di restituzione nel termine per
impugnare: il giudice deve ordinare la scarcerazione dell’imputato detenuto e adottare tutti i
provvedimenti necessari per far cessare gli effetti determinati dalla scadenza del termine.
97
quest’ultimo di delegare il giudice per le indagini preliminari del luogo dove la prova deve essere
assunta.
Un limite al compimento di atti fuori del territorio si ricava dal fatto che al giudice italiano solo
eccezionalmente è consentito il compimento diretto e personale di atti all’estero, nel rispetto della
normativa pattizia.
Art. 145- bis n. att. c.p.p. dispone che il presidente della Corte d’appello, qualora le esigenze di
sicurezza richiedano aule di udienza protette, che manchino nella sede giudiziaria competente,
individua tali aule nell’ambito del distretto e, qualora non vi sia disponibilità in questo, su
indicazione fornita dal Ministro della giustizia, nel distretto di Corte d’appello più vicino.
98
legge”. Assurge a causa dell’invalidità de qua unicamente la mancata osservanza delle disposizioni
dettate espressamente a pena di nullità.
99
1) In primo luogo quelle previste dalla lett. a, e cioè la violazione delle disposizioni concernenti le
condizioni di capacità del giudice e il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito
dalle leggi di ordinamento giudiziario. La previsione è completa dall’art. 33 comma 2, in forza del
quale non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione dei
giudici agli uffici giudiziari e alle sezioni, sulla formazione dei collegi e sull’assegnazione dei
processi a sezioni e giudici, nonché le disposizioni sull’attribuzione degli affari penali al tribunale
collegiale o monocratico.
2) L’art. 179 considera insanabili anche le nullità concernenti l’iniziativa del pm nell’esercizio
dell’azione penale e quelle derivanti dalla omessa citazione dell’imputato o dall’assenza del suo
difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza.
3) Per concludere il tema, va precisato che l’art. 179 elenca in modo tassativo solo le nullità
generali che vengono elevate ad assolute. Non è detto però, che al di fuori dall’ambito delle nullità
generali non possano esistere altre ipotesi di nullità assolute. A questo allude l’art. 179 comma 2
quando dispone che sono altresì insanabili e sono rilevate di ufficio in ogni stato e grado del
procedimento le nullità definite assolute da specifiche disposizioni di legge. Accanto alla categoria
delle nullità generali- assolute si pone quella delle nullità speciali- assolute, che ricomprende i casi
in cui i caratteri dell’assolutezza sono contenuti nel corpo della stessa normativa che prevede la
nullità.
B)Nullità relativamente assolute. Sono tutte le nullità generali non dichiarate espressamente
assolute dall’art. 179. Più precisamente l’art. 180 stabilisce “salvo quanto disposto dall’art. 179, le
nullità previste dall’art. 178 sono rilevate anche d’ufficio, ma non possono più essere rilevate né
dedotte dopo la deliberazione della sentenza di primo grado o, se si sono verificate nel giudizio,
dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo”. L’art. 180 crea una graduatoria
all’interno delle nullità generali, in coerenza con la scelta già operata dall’art. 179. Solo le assolute
godono del privilegio di una rilevabilità, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento.
Tutte le altre, pur condividendo con le prime la rilevabilità anche officio iudicis, sono assoggettate
a tempi di rilevazione più ridotti: la deliberazione della sentenza di primo grado, per le nullità che
si sono verificate nelle fasi che hanno preceduto l’apertura del dibattimento; la deliberazione della
sentenza del grado successivo, per le nullità che si sono verificate nel giudizio.
Per comodità espositiva è bene elencare le nullità relativamente assolute.
Esclusa tutta la lett. a dell’art. 178, restano, con riguardo alla lett. b, le nullità concernenti la
partecipazione del pm al procedimento; con riguardo alla lett. c, tutte le nullità ad essa riferibili,
con le sole eccezioni di quelle derivanti dall’omessa citazione dell’imputato e dall’assenza del suo
difensore nei casi in cui né è obbligatoria la presenza.
C)Nullità relative. Sono quelle che, non rientrando nell’art. 178, non possono aspirare alla
qualifica di nullità generali e non possono, quindi, concorrere alla bipartizione di queste in assolute
e relativamente assolute. Per questo tipo di nullità il sistema appresta un regime molto differente
dalle altre nullità: sia per il modo, sia per il tempo della loro rilevazione.
Circa il modo della rilevazione, le nullità relative non possono essere rilevate d’ufficio dal giudice,
ma solo su eccezione di parte.
Circa il tempo della rilevazione, le nullità relative vanno incontro a sanatoria qualora non siano
eccepite nei momenti processuali analiticamente fissati dall’art. 181. Più precisamente:
le nullità concernenti gli atti delle indagini preliminari e quelli compiuti nell’incidente
probatorio e le nullità concernenti gli atti dell’udienza preliminare devono essere eccepite
prima che il giudice dell’udienza preliminare dichiari chiusa la discussione e proceda alla
deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il
100
giudizio. Quando manca l’udienza preliminare, le stesse nullità devono essere eccepite entro il
termine previsto dall’art. 491 comma 1 per la trattazione delle questioni preliminari, e cioè
subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamenti della costituzione delle parti.
Le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio ovvero gli atti preliminari al
dibattimento devono essere eccepite entro il termine previsto dall’art. 491 comma 1. Entro il
medesimo termine, o con l’impugnazione della sentenza di non luogo a procedere, devono
essere riproposte le nullità eccepite a norma del primo periodo del comma 2, che non siano
state dichiarate dal giudice.
Le nullità verificatesi nel giudizio devono essere eccepite con l’impugnazione della relativa
sentenza.
11.(Segue): i congegni predisposti dal sistema per prevenire le nullità o per rimediare ad esse.
L’intento di liberare il processo dagli effetti nocivi delle nullità ha indotto il legislatore a inserire nel
sistema congegni, già sperimentati, per mezzo dei quali si cerca non solo di rimediare alle nullità,
ma anche di prevenirle.
° Un primo congegno è posto a carico delle parti ed è disciplinato dall’art. 182 comma 2 “quando
la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento o, se ciò
non è possibile, immediatamente dopo. Non si può consentire la riserva del paracadute a chi,
assistendo al compimenti di un atto, nulla eccepisca su eventuali irregolarità che si consumano in
sua presenza; dopo il compimento dell’atto non c’è più spazio per ripensamenti, tranne che il
compimento dell’atto non sia frazionabile e non esista la materiale possibilità di intervenire prima
del suo compimento. In tal caso la denuncia di nullità deve essere egualmente tempestiva: deve
intervenire immediatamente dopo il compimento dell’atto.
Può accadere che l’atto nullo sia compiuto in assenza delle parti e che, quindi, non possa essere
utilizzata l’attività preventiva posta a loro carico per salvare l’atto. In un’evenienza del genere,
l’ordinamento reagisce mediante le sanatorie che ne surrogano l’elemento viziato e attribuiscono
a esso la stessa rilevanza dell’atto perfetto.
Con riferimento alle nullità relativamente assolute e a quelle relative, può darsi che il congegno
della sanatoria legato alla scadenza di un termine non funzioni, in quanto una nullità sia comunque
dedotta prima di tale momento. Tutto lascerebbe pensare al giudice non resto che dichiarare la
nullità. Ma non è così: il sistema attraverso l’art. 183 dedicato alle “sanatorie generali”, impone al
giudice una duplice indagine.
La prima indagine è diretta a verificare il comportamento tenuto dalla parte interessata, al fine di
riscontrare l’eventuale esistenza di una rinuncia espressa a eccepire la nullità o di rintracciare
un’eventuale accettazione degli effetti dell’atto: in questi casi sarebbe illogico, oltre che
antieconomico, procedere all’annullamento dell’atto.
La seconda indagine affidata al giudice mira ad accertare se la parte si è avvalsa della facoltà al cui
esercizio l’atto omesso o nullo è preordinato: se si è prodotto l’evento che l’atto mirava a
realizzare, non ha alcun senso procedere all’annullamento di un atto che, nonostante sia viziato,
ha ugualmente raggiunto il suo scopo.
Le due indagini potrebbero risolversi negativamente,confermando l’esistenza di una nullità non
sanata. A questo punto, il giudice deve accertare nel deducente l’assenza d’impedimenti al diritto
di eccepire il vizio dell’atto.
Sempre in attuazione del principio di economia processuale, un’altra sanatoria è dedotta dall’art.
184 comma 1, con riferimento alle nullità di una citazione o di un avviso o delle relative
comunicazioni e notificazioni: esse sono sanate se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato
101
a comparire. Perché la norma operi occorre che un atto per quanto invalido, ci sia: la previsione,
dunque, non si estende sino a coprire le ipotesi in cui l’atto sia stato del tutto omesso, non
potendosi sanare ciò che non esiste.
13.L’inesistenza.
La categoria dell’inesistenza scaturisce dal contemporaneo operare del principio di tassatività delle
cause di nullità e del principio della generale sanabilità delle nullità. L’operare del primo principio
rende subito palese che sarebbe tecnicamente inconcepibile, oltre che profondamente iniquo,
lasciare senza tutela imperfezioni dell’atto più gravi di quelle per le quali è prevista la nullità
assoluta.
L’operare del secondo principio rende altrettanto palese che costituirebbe una forzatura sul piano
formale, e una ingiustizia sul piano sostanziale, estendere il regime di sanatoria delle nullità
assolute agli atti che risultano viziati in maniera più grave.
Oggi i sicuri casi d’inesistenza sono pochi, anche se non è possibile immaginare tutte le situazioni
che la realtà processuale può prospettare. Due casi, di’inesistenza della sentenza sono quelli in cui
l’atto sia compiuto a non iudice o manchi del requisito psichico minimo della coscienza e volontà.
Altro caso sicuro d’inesistenza viene considerato quello in cui la sentenza sia pronunciata contro
soggetti penalmente incapaci, perché esenti dalla giurisdizione.
La categoria dell’inesistenza non è riferibile solo alla sentenza. Certo, l’inesistenza di un atto
anteriore finisce per travolgere la stessa sentenza, ma ciò non esclude che il vizio colpisca un atto
102
anteriore ad essa: si pensi ad un atto che sia frutto di una volontà fisicamente coartata o sia stato
compiuto in una situazione di forza maggiore o in uno stato di piena incoscienza; ad un atto, cioè,
che non è in alcun modo riferibile all’autore apparente.
14.L’inammissibilità.
Il compimento di un atto dopo la decadenza del temine non esaurisce il terreno su cui attecchisce
l’inammissibilità. Il sistema pone altre cause d’inammissibilità legandole ora al mancati rispetto di
un requisito di forma dell’atto, ora alla mancanza di contestualità dell’atto con altro atto, ora a un
mancato adempimento successivo al compimento di un atto, ora ad un comportamento tenuto
successivamente al compimento di un atto.
L’elencazione delle cause di inammissibilità consente di rilevare una mancanza di omogeneità fra
le stesse cause a un costante riferimento di esse agli atti di parte.
Se quest’ultimo profilo non presenta problemi, essendo pacifico che l’inammissibilità colpisce solo
gli atti di parte, il profilo della non omogeneità delle cause d’inammissibilità richiede, invece, di
accertare se esso possa incidere, negandolo sul principio di tassatività. Il codice non enuncia in
modo esplicito per l’inammissibilità lo stesso principio di tassatività fissato dall’art. 173 comma 1
per la decadenza e dall’art. 177 per la nullità.
Anche per l’inammissibilità vige il principio di tassatività, dal momento che il codice aggancia la
sanzione de qua sempre a cause tipiche ben individuabili, e non lascia spazi per disinvolte
declaratorie di questa specie di invalidità.
L’esame delle norme che si occupano dell’inammissibilità consente ulteriori svolgimenti. Un dato
che possiamo subito acquisire riguarda il ruolo del giudice: l’inammissibilità è rilevabile d’ufficio; di
regola, sino al formarsi del giudicato. Diciamo “di regola”, in quanto, pur non essendo prevista
alcuna sanatoria dell’inammissibilità, il sistema anticipa a una fase anteriore al giudicato il limite
temporale per la rilevazione del vizio.
Un’ultima questione attiene alla riproponibilità o meno dell’atto colpito da declaratoria
d’inammissibilità. La dottrina è profondamente divisa circa la regola generale. Il sistema si limita a
trattare l’argomento con riferimento alla richiesta di remissione, in ordine alla quale prevede che
l’ordinanza che la rigetta o la dichiara inammissibile per manifesta infondatezza “non impedisce
che questa sia nuovamente proposta purché sia fondata su elementi nuovi”. La richiesta dichiarata
inammissibile per motivi diversi dalla manifesta infondatezza può essere sempre riproposta.
LE PROVE
Capitolo primo
LE PROVE, IL PROCEDIMENTO PROBATORIO E IL PROCESSO
1.Premessa.
Posto un thema, le prove sono gli strumenti impiegati per verificarlo secondo le regole del giusto
processo. La prova è, quindi, il mezzo di cui si avvalgono le parti e il giudice per rappresentare nel
processo un episodio compreso in un tema e ricostruito in vario modo nel corso delle indagini
preliminari. Posto un tema di prova in ordine a fatti enunciati nell’imputazione e ricostruiti nel
103
corso delle indagini preliminari, saranno la perizia o la testimonianza (o qualsiasi altro mezzo) a
verificare la consistenza di questi fatti e a rappresentarli nel processo.
Questa verifica si realizza nei modi e nei tempi imposti dalla legge. È la legge, infatti, che disciplina
il procedimento probatorio, dall’ammissione all’utilizzazione del mezzo di prova.
Il procedimento probatorio ha inizio dalla necessaria posizione del tema di prova. Esso è costituito
dai fatti principali enunciati nell’imputazione. Può comprendere, però, anche la posizione di
successivi temi di prova: sono quelli riguardanti la specificazione dei fatti principali e l’indicazione
dei fatti secondari; sono quelli relativi, ad esempio, all’attendibilità della persona sottoposta ad
esame.
104
La posizione, originaria e successiva, degli altri possibili temi di prova comprende fatti e circostanze
che non ripercorrono i risaputi itinerari dell’imputazione e che non attengono alle modalità della
condotta, alle proiezioni dell’elemento psicologico ed alla decifrazione dell’evento.
105
normativamente. Di esse va misurata l’idoneità all’accertamento e ne vanno sperimentate
specifiche modalità d’assunzione. Sono prove atipiche l’individuazione fotografica e le riprese
video filmate.
Sua questa piattaforma va intessuta la trama dell’ammissibilità dei mezzi atipici di prova e dei
mezzi atipici di ricerca della prova. Di questa prova deve essere vagliata l’ammissibilità ex ante, nel
momento della richiesta del mezzo di prova o del mezzo di ricerca della prova. La prova, in quanto
atipica, deve essere ammessa come tale.
-Queste forme garantiscono effettivamente le esigenze del processo e il diritto delle parti?
Il giudice può assumere la prova atipica se essa risulta idonea ad assicurare l’accertamento dei
fatti. Il procedimento probatorio comprende, perciò, una fase non presa in considerazione per
l’acquisizione delle prove espressamente previste dalla legge. E ne sono evidenti le ragioni. Per
le prove tipiche la funzionalità all’accertamento dei fatti è scontata: costituisce la ratio essendi
della previsione normativa. Per le prove atipiche l’astratta idoneità alla rappresentazione dei
fatti è tutta da appurare e va delibata nel processo, prima ancora di postularne la concreta
adeguatezza con riferimento al puntuale tema posto dalle parti o proposto dal giudice.
Importante è la prescrizione contenuta nell’art. 189 volta a vietare l’impiego di strumenti idonei a
piegare la capacità di autodeterminazione dei soggetti fonte di informazione nel processo: “il
giudice può assumere la prova se non pregiudica la libertà morale della persona”. Sempre a norma
dell’art. 189 “il giudice deve sentire le parti sulle modalità di assunzione della prova”. Se le parti
non hanno alcuna voce in capitolo sulle modalità di acquisizione delle prove tipiche debbono
averla in relazione alla prova atipica. È la stessa richiesta della prova atipica a fare della parte il
soggetto più adatto a fornire utili indicazioni circa il modo di introdurla nel processo.
107
di formazione della prova. Sulle opposizioni formulate nel corso dell’esame dei testimoni, dei
periti, dei consulenti tecnici e delle parti private il presidente decide immediatamente e senza
formalità.
d) la rinuncia all’assunzione della prova già ammessa può avvenire solo con il consenso della parte
che non ha richiesto l’acquisizione della prova.
108
L’altro limite attiene alle eventuali deroghe al principio del contraddittorio nella formazione della
prova: esse devono essere disciplinate dal legislatore ordinario seguendo alcune tassative
indicazioni. Spetta alla legge regolare “i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in
contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per
effetto di provata condotta illecita”.
109
b) in merito all’utilità della prova richiesta: sono inammissibili le prove manifestamente
superflue. La prova è superflua quando verte sullo stesso oggetto di altra prova da acquisire in
contraddittorio.
c) Con riferimento alla rilevanza della prova richiesta: sono inammissibili le prove
manifestamente irrilevanti. La prova è inammissibile quando è estranea all’oggetto del
processo.
L’ipotesi della reintroduzione della quaestio per un riesame della legalità della prova richiesta è la
più semplice. In questi casi si tratta solo di correggere un provvedimento di ammissione viziato fin
dall’origine essendo stata ammessa una prova vietata dalla legge.
Le altre due ipotesi sono più complesse. Si tratta di verificare la preesistente utilità o rilevanza di
una prova, alla stregua delle sopravvenute acquisizioni dell’istruzione dibattimentale. Può darsi,
infatti, che gli sviluppo di questa istruzione rendano manifestamente inutile o irrilevante la prova
precedentemente ammessa. Una condizione va, però rispettata: nessuna revoca è possibile se le
parti non sono previamente sentite.
Art. 495 comma 2: “l’imputato ha diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti
costituenti oggetto della prova a carico; lo stesso diritto spetta al pm in ordine alle prove a carico
dell’imputato sui fatti costituenti oggetto della prova a discarico”. Indubbia è l’inammissibilità della
controprova illegale. Non è, poi, controprova, perché non è coordinata al fatto oggetto della prova
a carico o discarico, la controprova irrilevante. È difficile ipotizzare una controprova superflua:
appurata la non manifesta superfluità della prova a carico o a discarico non deve procedersi a
ulteriori valutazioni per l’ammissione della controprova. Acquisirla è un atto dovuto per il giudice
che procede e un diritto per la parte che ne ha fatto richiesta.
110
ripetizione degli atti; nelle situazioni di dichiarazione resa da persona residente all’estero e
solo nel caso di assoluta impossibilità di procedere al suo esame dibattimentale.
B) L’eventuale introduzione dei verbali di prove di altro procedimento penale non condiziona il
diritto alla prova. Resta ferma il diritto delle parti di ottenere l’esame delle persone di cui
vengono acquisite le dichiarazioni. Questa la sequenza: la parte deve innanzitutto chiedere
l’acquisizione del verbale della dichiarazione resa in altro procedimento; se si tratta di verbali
di dichiarazioni di persone delle quali la stessa parte o altra parte chiede la citazione, questa è
autorizzata solo dopo che in dibattimento il giudice ha ammesso l’esame.
111
15.L’onore dell’allegazione e l’onere della prova.
Onere dell’allegazione onere che incombe in primo luogo sul protagonista di diritto sostanziale,
sull’imputato, portatore di un particolare interesse e con le maggiori possibilità di disporre dei fatti
rappresentativi a sé sfavorevoli.
Onere della prova se ne parla con riferimento alle possibili iniziative della parte nel pre-
dibattimento.
Onere di allegazione e onere della prova si risolvono, nella fase saliente del procedimento
probatorio, nella posizione del tema di prova e nella successiva sua verifica.
Dopo questa premessa è bene ricordare:
Che l’onere della prova può incombere sull’imputato e non sull’indagato, in quanto la prova
può essere elaborata nel corso del processo. L’onere della delegazione può incombere oltre
che sull’imputato anche sull’indagato. L’informazione dell’indagato serve a trasferire agli
organo che svolgono l’indagine preliminare un patrimonio di conoscenze a disposizione del
privato. Serve esclusivamente a questo e può ovviamente comprendere gli elementi favorevoli
all’indagato ancora non acquisiti.
L’onere dell’allegazione e l’onere della prova sono incompleti. La posizione del tema di prova e
l’acquisizione della prova possono avvenire ex officio, prescindendo dall’eventuale allegazione
o dalla possibile richiesta probatoria della parte.
L’onere della prova è un onere esclusivamente formale. Non fissa alcuna regola di giudizio,
improntata al rischio della prova mancata.
17.Le deviazioni dal sistema: i poteri ex officio nella posizione del tema di prova e
nell’ammissione dei mezzi di prova.
Il tema di prova viene normalmente posto dalle parti; ma può anche essere posto alle parti dal
giudice dell’udienza preliminare, dal giudice monocratico o dal presidente del collegio. In queste
situazioni a dare una svolta alla regiudicanda provvede il giudice con l’indicazione di temi nuovi o
più ampi, utili per la completezza dell’esame.
Di un potere ex officio nell’assunzione dei mezzi di prova si parla con riferimento alle ipotesi in cui,
terminata l’acquisizione delle prove, risulta assolutamente necessario disporre l’assunzione di
nuovi mezzi di prova.
Si tratta di un potere soltanto integrativo da coordinare con l’onere incompleto spettante alle
parti, o si è in presenza di un vero e proprio potere suppletivo, da esercitare anche nei casi di
assoluta inerzia delle parti?
- L’ipotesi del potere integrativo è stata soppiantata da un orientamento giurisprudenziale di
segno diverso. Secondo l’art. 507 “il giudice può intervenire ex officio terminata l’acquisizione
delle prove”. L’acquisizione delle prove nel corso dell’istruzione dibattimentale sarebbe, perciò, il
presupposto del potere attribuito al giudice. Solo l’elaborazione della prova legittimerebbe
l’iniziativa del giudice del dibattimento. Secondo la giurisprudenza meno recente, una volta
conclusa la verifica a opera delle parti sarebbe stato possibile l’intervento del giudice per integrare
il contraddittorio; nell’intento, cioè, di colmare gli spazi insufficientemente esplorati o di
sviluppare i temi di indagine affiorati nel corso dell’esame diretto dei testimoni e delle parti. Con
due ben precisi limiti: l’integrazione avrebbe dovuto essere assolutamente necessaria e perciò
decisiva in base alle prove già acquisite e poteva avvenire soltanto con l’assunzione di mezzi di
prova, non disposti in precedenza, e perciò nuovi.
- L’ipotesi del potere suppletivo muove da altre premesse perché non considera l’iniziativa ex
officio del giudice del dibattimento residuale rispetto all’attività delle part, o eccezionale in ordine
alle situazioni ancora da verificare. Questa seconda ipotesi:
a) esclude che l’effettiva acquisizione delle prove a opera delle parti sia un presupposto del potere
istruttorio del giudice. Secondo le Sezioni unite l’art. 507 si preoccupa solo di indicare il momento
iniziale per l’esercizio di tale potere e non di fissarne un presupposto.
113
b) tende a valorizzare gli atti comunque a disposizione del giudice penale, onde trarre dagli stessi
le indispensabili indicazioni per l’assunzione dei nuovi mezzi di prova. La rilevabilità ex actis del
mezzo di prova da assumere diventa la sola condizione imposta all’iniziativa del giudice. Una
condizione che serve almeno a evitare incontrollabili iniziative giudiziarie. Al giudice, in buona
sostanza, non è dato avvalersi dell’art. 507 per verificare sola una propria ipotesi ricostruttiva sulla
base dei mezzi di prova non dotati di concludenza. Il valore dimostrativo della prova da assumere
deve invece imporsi con evidenza.
c) ripercorrere gli itinerari della ricerca della verità reale, in base ad una direttiva della legge delega
che attribuisce al presidente il potere di indicare alle parti temi nuovi o incompleti utili alla ricerca
della verità, e al giudice il potere di disporre l’assunzione di mezzi di prova.
18.(Segue): dal superamento delle regole di esclusione della prova al ripristino della disciplina
originaria.
La legge delega (nella direttiva n. 76) e il c.p.p. (nell’art. 500 comma 3) prevedevano una
particolare regola di esclusione della prova, con riferimento agli atti utilizzati per le contestazioni
nel corso dell’esame dei testimoni e delle parti. La legge delega prevedeva il divieto di acquisizione
probatoria dell’atto delle indagini preliminari fissando le tassative ipotesi di utilizzabilità dell’atto.
Il codice prevedeva il divieto in forma diretta, puntando su una precisa regola di esclusione: la
dichiarazione utilizzata per la contestazione non può costituire prova dei fatti in essa affermati. E
tale specifico divieto era l’espressione di un più generale divieto, afferente a tutti gli atti delle
indagini preliminari e legato alla disciplina del doppio fascicolo.
Accanto a queste regole il testo originario del codice ipotizzava alcune eccezioni. L’atto delle
indagini preliminari poteva essere acquisito al fascicolo per il dibattimento, e costituire quindi
prova, in particolari situazioni dell’atto irripetibile, dell’atto garantito o dell’atto assunto in
determinate circostanze di tempo e di luogo. In queste ipotesi erano proprie le peculiari
caratteristiche dell’atto a legittimarne l’acquisizione nel fascicolo per il dibattimento:
a) l’impossibilità di ripetere l’atto delle indagini preliminari finiva per renderne inevitabile
l’utilizzazione nel dibattimento;
b) l’intervento della difesa nell’atto delle indagini preliminari serviva ad anticipare una garanzia
propria del dibattimento;
c) le circostanze fissate dal vecchio art. 500 comma 4 conferivano all’atto una spiccata potenzialità
probatoria.
Le eccezioni alla regola di esclusione della prova non erano giustificate, esse troveranno la loro
possibile spiegazione in situazioni destinate o adeguate a ridurre lo scarto fra l’atto delle indagini
preliminari e la prova.
Con la sentenza 255/1992 la Corte costituzionale rovesciò questo rapporto regola- eccezioni. La
separazione fra le due fasi delle indagini preliminari e del dibattimento fu calibrata dal principio di
non dispersione dei mezzi di prova. Un principio di cui non vi è traccia nella Costituzione e che la
Corte estrasse per amplificazione proprio dalle deroghe sopra enunciate. Di qui un vera e propria
trasformazione del sistema.
La normativa del giusto processo ripropone l’impianto originario del codice; ripristina le regole di
esclusione della prova; riduce drasticamente le ipotesi di precostituzione della prova attraverso
l’acquisizione dell’atto delle indagini preliminari.
114
19.La prova come risultato probatorio: la prova diretta e gli indizi.
Quando si dice che il giudice non ha raggiunto, oppure ha raggiunto, la prova sul fatto oggetto
dell’imputazione facciamo riferimento a situazioni diverse, filtrate dai differenti modelli di
conoscenza e rappresentazione giudiziale del fatto. Si tratta delle prove dirette e delle prove
indirette.
Diretta prova che pertiene al fatto- reato e consente la conclusione sulla sussistenza o
insussistenza di tale fatto.
Indiretta la prova che attiene a un fatto diverso da quello oggetto di prova e, se isolato, non
determina alcuna premessa rilevante ai fini della decisione.
Una prova diretta per eccellenza è quella relativa al reato commesso in udienza. La percepisce lo
stesso giudice del dibattimento registrando un episodio avvenuto in sua presenza. In questi casi vi
è una perfetta coincidenza fra il fatto e la prova, intesa quale risultato conosciuto e apprezzato dal
giudice. È diretta la prova se il tema e il mezzo di prova si riferiscono alla stesso fatto principale
oggetto dell’imputazione. Può parlarsi, perciò, di prova diretta nel caso in cui il tema enuclei
l’intero capo d’imputazione e il mezzo di prova si incarichi di rappresentare questo fatto. Ma può
parlarsi di prova diretta anche nel caso in cui il tema riproduca solo in parte il capo d’imputazione:
nell’ipotesi in cui riproduca il fatto principale, in qualcuno dei suoi elementi specifici, ed il mezzo di
prova si impegni a rappresentare questa più ridotta realtà.
Nella prova indiretta l’accertamento approda alla rappresentazione di un fatto diverso da quello
specificamente enucleato nel capo d’imputazione. La prova non coincide con la conoscenza
giudiziale del fatto principale, in ognuno o in qualcuno dei suoi elementi, ma attiene a un fatto
secondario dal quale dovrebbe dedursi la prova del fatto principale, in ognuno o in qualcuno dei
suoi elementi. La prova indiretta si appunta su una circostanza indiziante e si avvale di un
procedimento critico . è questo il motivo per cui possiamo classificare la prova indiretta come
indizio o come prova critica.
Questa operazione logica è possibile nel solo caso in cui gli indizi siano gravi, precisi e concordanti.
La formula intende anzitutto ribadire che se l’indizio è isolato non può assumere significativa
rilevanza ai fini della decisione. La pluralità del indizi costituisce l’indispensabile premessa per la
verifica del fatto oggetto dell’imputazione. E si deve trattare di effettiva pluralità di indizi e non di
indizi combinati fra di loro secondo un doppio o triplo passaggio inferenziale. È questo il caso
dell’indizio mediato; dell’indizio, cioè, che discende da un altro indizio.
Gravita degli indizi può darsi che il tema di prova abbia per oggetto la stessa circostanza
indiziante, grave perché consistente ai fini del complessivo accertamento; e può darsi che la
circostanza sia dotata di una rilevante contiguità logica con il fatto ignoto. In questi casi sarà la
verifica del tema a convalidare l’indizio . può anche darsi che il tema di prova abbia per oggetto il
fatto dell’imputazione, in ognuno o in qualcuno dei suoi elementi. In questi casi, saranno proprio le
variabili dell’elaborazione probatoria a fare emergere l’indizio nella sua consistente portata e in
tutta la sua gravità.
Precisione degli indizi è sufficiente che l’inferenza avvenga alla stregua di un canone di
probabilità, con riferimento alla connessione verosimile degli accadimenti, la cui normale
sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza.
Concordanza degli indizi la pluralità degli indizi non basta; è una premessa indispensabile del
processo indiziario ma non è ancora sufficiente. Per la compiuta verifica del fatto occorre che fra
gli indizi si stabilisca un collegamento non occasionale e occorre, soprattutto, che l’operazione
logica della coordinazione globale degli indizi nasca dallo loro oggettiva confluenza in un’unica
115
direzione. È necessario che gli indizi si muovano nella stessa direzione; siano logicamente dello
stesso segno.
Pluralità e concordanza degli indizi sono un connotato essenziale della prova indiziaria; implicano
una preventiva analisi di ogni singolo, decifrato nella sua gravità e nella sua precisione, e
comportano una successiva sintesi di tutti questi indizi, da raffrontare e armonizzare in un’unica
direzione.
116
Art. 526 comma 1: “il giudice non può utilizzare ai fini della motivazione prove diverse da quelle
legittimante acquisite nel dibattimento”. Il raccordo fra convincimento del giudice e obbligo di
motivare in fatto appare sancito con sufficiente precisione e rinviene significativi addentellati nelle
disposizioni relative ai requisiti e alla redazione della sentenza. L’art. 546 comma 1 lett. e impone
“la concisa esposizione dei motivi di fatto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle
prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice
ritiene non attendibili le prove contrarie”. L’art. 544 disciplina i tempi della motivazione
prescrivendo la regola della motivazione contestuale al dispositivo.
Completa il quadro, la regola di giudizio contenuta nell’art. 526 comma 1- bis: “la colpevolezza
dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è
sempre volutamente sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore”.
Capitolo secondo
I MEZZI DI PROVA
2.La testimonianza.
Questa prova è costruita dalla narrazione di un fatto, appartenente all’esperienza di chi è
comunque informato dell’avvenimento, e si appunta sulle circostanze ritenute in concreto
necessarie per valutare la credibilità del teste.
La testimonianza deve essere acquisita in presenza delle parti del contraddittorio. L’osservanza del
principio sancito dall’art. 111 comma 4 Cost. non preclude l’operatività di qualche deroga
costituzionale tollerata. Lascia salvi, i casi di acquisizione dei verbali di prove di altro procedimento
penale non seguita dall’ammissione del testimone; fa salve le deroghe al contraddittorio per la
prova, consentire dalle parti, o rese necessarie dall’impossibilità di ripetere l’atto delle indagini
preliminari, o giustificate da accertata violenza o subornazione nei confronti della fonte di prova.
Ammessa la testimonianza, una volta vagliata la rilevanza del tema di prova, possono variare
soltanto le condizioni per l’esame del testimone: nel corso dell’udienza preliminare, nell’incidente
probatorio e nell’istruzione dibattimentale spetta, invece al pm e ai difensori esaminare e contro
esaminare.
118
Il giudice deve escludere la testimonianza indiretta su fatti appresi da persone vincolate dal
segreto professionale o dal segreto d’ufficio.
Un analogo divieto era previsto per gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria in ordine al
contenuto delle dichiarazioni in qualsiasi forma acquisite dal testimone. Questa deroga
individuava la propria giustificazione nell’esigenza di garantire il principio di oralità della prova:
l’esame del testimone non poteva essere soppiantato dall’audizione dell’agente o ufficiali di polizia
giudiziaria che aveva raccolto le dichiarazioni. Con la sentenza 24/1992 la Corte costituzionale
aveva ritenuto tale divieto “un’eccezione sfornita di ragionevole giustificazione in quanto gli
appartenenti alla polizia giudiziaria hanno capacità di testimoniare come ogni persona e nei loro
confronti non è prevista alcuna incompatibilità”.
La costituzionalizzazione del principio del contraddittorio nella formazione della prova ha imposto
una rimodulazione dell’art. 195 comma 4. Il divieto, così, è stato reintrodotto con un limite: esso
vale solo per le sole dichiarazioni acquisite con le modalità documentate in un verbale. Non
funziona con riferimento alle altre dichiarazioni assunte dagli organi di polizia al di fuori di
qualunque rapporto dialettico formale interno al procedimento, ovvero acquisite e documentate
attraverso modalità diverse da quelle richiamate all’art. 195 comma 4.
119
Consiglio dei ministri circa l’effettiva esistenza del segreto. La conferma del segreto impedirà
all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione delle notizie coperte dal segreto e imporrà
l’improcedibilità dell’azione penale per l’esistenza di un segreto di Stato. La mancato conferma
da parte del Presidente del Consiglio dei ministri schiuderà la via all’assunzione della
testimonianza.
Nessun tipo di segreto può coprire fatti, notizie o documenti concernenti reati volti
all’eversione dell’ordinamento costituzionale.
B)Ricorre la seconda situazione, quella cioè dell’esenzione dal dovere di deporre, nei casi di
testimonianza dei prossimi congiunti, dei soggetti vincolati dal segreto professionale e degli
informatori della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza.
Secondo la Corte costituzionale la ratio della facoltà di astensione dei prossimi congiunti
consiste nella tutela del sentimento familiare e punta su un’alternativa di cui il sistema deve
tener conto: mentire o nuocere ad un congiunto.
Un obbligo di segretezza incombe sui soggetti che, per ragione del proprio stato o ufficio, della
propria professione o arte, risultano depositari di segreto. Solo una giusta causa scriminerebbe
le loro rivelazioni e senz’altro giusta potrebbe apparire la causa delle rivelazioni, con
riferimento ad un incombente dovere di deporre. Occorre plasmare la giusta causa della
rivelazione del segreto in funzione di interessi meritevoli di tutela (nell’esercizio dell’attività
professionale).
Il giudice se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa per esimersi dal deporre sia infondata,
provvede agli accertamenti necessari. Se la dichiarazione risulta effettivamente infondata, ordina
che il teste deponga.
Il segreto professionale del giornalista riceve una più circoscritta tutela. Non basta il fondato
rifiuto di indicare i nomi delle persone dalle quali il giornalista ha avuto notizie di carattere
fiduciario per esimersi quest’ultimo dal deporre. Occorre che dette notizie non siano
“indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede” o che, siano tuttavia
compiutamente riscontrabili senza procede all’identificazione della fonte della notizia.
Un ulteriore ipotesi è prevista con riferimento agli informatori della polizia giudiziaria e dei
servizi di sicurezza. Il giudice non può obbligare gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria e il
personale dei servizi di sicurezza a rivelare i nomi degli informatori. Non può obbligarli, ma se
perviene ugualmente all’identificazione di questi informatori non gli resta che assumerli come
testimoni.
Nessuna esenzione dal dovere è concepibile quando l’informazione della polizia giudiziaria o
dei servizi di sicurezza concerna reati diretti all’eversione dell’ordinamento costituzionale.
120
difficili comparazioni con le altre emergenze processuali), l’ipotesi di falsità implica complesse
valutazioni (sulla base di più ampie acquisizioni probatorie).
Resta, comunque, esclusa la possibilità di procedere all’arresto in udienza del testimone per reati
concernenti il contenuto della deposizione: sia essa falsa o reticente.
121
Ecco le regole da tenere presenti:
la posizione di testimone della persona imputata di un reato collegato o in un processo
connesso è ritagliata dall’art. 64, che disciplina l’interrogatorio nel corso delle indagini
preliminari;
prima che abbia inizio l’interrogatorio, la persona deve essere avvertita che ha la facoltà di non
rispondere, ma se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri,
assumerà, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone;
tale avvertimento è condicio sine qua non per la successiva utilizzazione delle dichiarazioni sul
fatto altrui. In mancanza di questo avvertimento la persona interrogata in sede di indagini
preliminari non potrà assumere in dibattimento la veste di testimone;
il diritto al silenzio è coordinato a distinte ipotesi di connessione. I coimputati accusati del
medesimo reato conservano in pieno il diritto al silenzio. Gli imputati che si trovano nelle
condizioni previste dall’art. 12 lett. c) e nelle ipotesi contemplate dall’art. 371 comma 2 lett. b)
conservano il diritto al silenzio solo in relazione al fatto proprio e non anche in relazione al
fatto altrui;
la richiesta dell’esame può essere avanzata tanto dal pm, quanto dall’imputato e dalle altre
parti private. L’esame è disposto d’ufficio nei casi in cui l’audizione dell’imputato del reato
collegato o nel procedimento connesso serva per un’ulteriore verifica del tema di prova su cui
ha deposto un teste de auditu;
la citazione dei soggetti da esaminare innesca i meccanismi processuali previsti con riferimento
ai testimoni: i soggetti citati hanno l’obbligo di presentarsi e possono essere sottoposti
all’accompagnamento coattivo;
a differenza di quanto avviene per i testimoni, è prescritta per i soggetti da esaminare
l’assistenza di un difensore di fiducia o d’ufficio. Tale assistenza difensiva è esclusa per il
dichiarante nei cui confronti è stata pronunciata sentenza irrevocabile di assoluzione per non
aver commesso il fatto;
l’imputato per un reato connesso o collegato non può essere obbligato a deporre sui fatti per i
quali è stata pronunciata condanna nei suoi confronti. Salve le ipotesi in cui abbia confessato la
sua responsabilità, all’esame vanno estese le formule della cross examination.
9.Il confronto.
Il confronto ha luogo nei casi di disaccordo fra due o più persone sui fatti e circostanze importanti.
Presuppone, quindi, che siano già stati acquisiti i risultati di precedenti interrogatori o esami, che
queste acquisizioni svelino insanabili contrasti e contraddizioni, e che i soggetti del confronto
confermino le loro dichiarazioni.
Nei casi di incidente probatorio il confronto fa riferimento alle testimonianze e agli esami resi in
precedenti incidenti probatori o agli interrogatori assunti dal pm nel corso delle indagini
preliminari. Al dibattimento il confronto mutua esperienze più circoscritte. Il disaccordo potrebbe
emergere dagli stessi verbali degli atti assunti nell’incidente probatorio. In questi casi sarebbe
l’esame e il controesame dibattimentale a verificare l’effettiva tenuta del disaccordo su fatti e
circostanze importanti; salvo a riverificare queste divergenze con il confronto da spingere fino al
punto di consentire alle parti ed ai testimoni reciproche contestazioni.
122
10.La ricognizione personale.
Si tratta di un mezzo basato sul ricordo e sulla precedente esperienza del soggetto chiamato a
effettuare il riconoscimento. Disposta e controllata dal giudice la ricognizione affida le sue chances
alla puntuale osservanza di talune condizioni, che dovrebbero eliminare rischi di erronei ricordi o
di distorte esperienze.
Gli atti preliminari sono costituiti da una serie di informazioni proveniente da chi deve eseguire il
riconoscimento e raccolte dal giudice, che è tenuto a verbalizzare a pena di nullità. Alcune di
queste informazioni corrono lungo il filo della testimonianza perché implicano la narrazione di un
fatto che appartiene all’esperienza del soggetto chiamato alla ricognizione e che comprende anche
la descrizione della persona da riconoscere. Le altre informazioni si appuntano sulle circostanze
che possono influire sull’attendibilità del riconoscimento.
Art. 214 comma 2: “la ricognizione implica la mimetizzazione della persona da riconoscere fra
almeno due persone il più possibile somiglianti, ma non esige normalmente l’occultamento della
persona chiamata a riconoscere, a meno che la stessa possa subire intimidazione o altra influenza
dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione”. L’operazione si svolge in due tempi:
il giudice invita la persona sottoposta a ricognizione a scegliere il suo posto fra le persone
appositamente preparate, curando che si presenti nelle stesse condizioni in cui sarebbe stata
vista dalla persona chiamata alla ricognizione;
il giudice chiede a quest’ultima se riconosce taluno dei presenti e la invita a indicare chi abbia
riconosciuto e a precisare se ne sia certa.
Le possibili risposte all’interpello del giudice svelano, secondo i casi, il contrasto o l’identità fra le
due esperienze del ricognitore: fra l’esperienza passata e l’esperienza attuale, legata ai contenuti
della ricognizione. Ricorre la prima situazione quando la persona chiamata alla ricognizione
escluda di riconoscere qualcuno dei presenti; ricorre la seconda situazione quando il ricognitore
punti sul riconoscimento di qualcuno dei presenti.
123
disposizioni dell’art. 213, in quanto applicabili”. Le condizioni per elaborare la prova sono quelle
previste per le ricognizioni personali.
Anche per tali forme di ricognizione valgono le regole circa le possibili cause di nullità
dell’acquisizione probatoria.
12.L’esperimento giudiziale.
Con questo mezzo di prova viene riprodotta una situazione, collegata ai fatti dell’imputazione,
sulla base di una descrizione o di una supposizione. L’ esperimento giudiziale è ammesso quando
occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo e consiste nella
ripetizione delle modalità di svolgimento del fatto stesso. La buona riuscita dell’esperimento è
affidata all’ordinanza che lo dispone e ai provvedimenti che regolano lo svolgimento delle
operazioni. Dipende dalla capacità del giudice e dalle direttive impartite affinché l’esperimento si
svolga in modo da non offendere sentimenti di coscienza e da non esporre al pericolo l’incolumità
delle persona o la sicurezza pubblica.
Due prescrizioni occorre tenere in particolare conto.
A)La prima è legata alla centralità del dibattimento. Collocato l’esperimento giudiziale nell’area
del dibattimento ne diventa scontata la pubblicità. Secondo gli artt. 218 e 219 l’esperimento
giudiziale può essere eseguito tanto in udienza quanto fuori dell’aula d’udienza.
B)L’altra prescrizione su cui bisogna meditare è quella relativa alla possibile designazione di un
esperto, con la stessa ordinanza che dispone l’esperimento giudiziale o con un provvedimento
successivo. Con la designazione dell’esperto il giudice non modifica l’essenza dell’esperimento,
ma tende a fissarne i particolari esecutivi.
13.La perizia.
Art. 220: “il giudice dispone la perizia quando occorre svolgere indagini o acquisire dati e
valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche”. L’esistenza di
un particolare tema di prova, costituisce il presupposto per la perizia: che può assumere le
dimensioni della perizia collegiale, nell’ipotesi di operazioni peritali particolarmente complesse o
coordinate a differenti discipline; che non può essere volta a stabilire l’abitualità, la professionalità
nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato.
L’incarico peritale attiene alle possibili indagini di competenza del perito e ai possibili dati da
acquisire. Si tratta di distinguere attività profondamente diverse. L’incarico peritale potrebbe
essere conferito per un indagine e non per una valutazione; ovvero potrebbe riguardare né
l’indagine, né la valutazione, ma soltanto l’acquisizione dei dati.
Art. 226 comma 2: “il giudice pone i quesiti sentiti i periti, i consulenti tecnici, il pm e i difensori
presenti”. Il quesito diventa il frutto di un incontro sul tema della prova peritale. Attraverso
l’interpello del giudice, si valorizza il patrimonio di conoscenze di coloro che a vario titolo
intervengono per il conferimento dell’incarico.
124
Per i casi di rinnovazione di una perizia, già dichiarata nulla il giudice cura che il nuovo incarico sia
affidato ad altro perito. Il riaffida mento dell’incarico allo stesso perito rispetta l’impegno alla
rinnovazione dell’atto nullo; accelera i tempi della nuova elaborazione peritale, ma non garantisce
certo l’originalità del giudizio, difficilmente modificabile da chi già si è espresso nel precedente
elaborato dichiarato nullo.
Il perito ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, salvo che ricorra un motivo di astensione. Il perito
può astenersi o essere ricusato prima che siano esaurite le formalità di conferimento dell’incarico.
La dichiarazione di astensione o di ricusazione può essere presentata successivamente nei casi in
cui i motivi siano sopravvenuti o siano conosciuti dopo il conferimento dell’incarico.
Il perito può essere sostituito per un triplice ordine di ragioni:
- se per cause a lui imputabili non fornisce il proprio parere nel termine fissato dal giudice;
- se non ottiene la proroga del termine richiesta per rispondere ai quesiti;
- se svolge negligentemente l’incarico affidatogli.
La sostituzione è disposta con ordinanza e può comportare per il perito sostituito, la condanna al
pagamento di una somma a favore della cassa delle ammende.
125
2)La seconda fase delle operazioni peritali riguarda l’attività del perito.
L’ipotesi più semplice è quella che si risolve nell’immediata risposta ai quesiti. Le altre ipotesi sono
quelle, per la complessità ei quesiti o per la particolare complessità degli accertamenti, richiedono
tempi più lunghi. Il codice cerca di circoscriverli in modo accettabile: prevede un termine massimo
di 90 giorni entro il quale il perito dovrà rispondere ai quesiti; prevede possibili deroghe al termine
fino alla complessiva durata di sei mesi. Nelle ipotesi contemplate dall’art. 124- bis le operazioni,
se pur idonee a incidere sulla libertà personale, dovranno essere eseguite in modo da non
contrastare con espressi divieti di legge. L’eventuale ricorso a strumenti di coercizione fisica dovrà
essere proporzionato allo scopo e dovrà protrarsi per il tempo strettamente necessario
all’esecuzione dell’atto peritale.
3)La terza e ultima fase è destinata all’enunciazione del parere, ed eventualmente, alla
presentazione di una relazione scritta. Secondo l’impostazione codicistica questa fase va gestita
attraverso scelte idonee a esaltare il contraddittorio per la prova e non già sulla prova. Chiare, sul
punto, le indicazioni del codice.
L’art. 468 non subordina al potere discrezionale del presidente del collegio la citazione dei periti. Il
presidente del tribunale o della corte di assise:
su richiesta della parte autorizza la citazione dei periti indicati nelle liste;
dispone in ogni caso d’ufficio la citazione del perito, esaminato nell’incidente probatorio.
L’art. 501 estende all’esame dei periti le regole relative all’esame dei testimoni. Pertanto ai periti
le domande devono essere rivolte direttamente dal pm e dal difensore. I periti possono essere
sottoposto al controesame. E valgono per i periti le disposizioni relative alle contestazioni, con
riferimento al parere raccolto nel verbale o alla relazione a suo tempo presentata e in merito alle
indagini effettuate, alle valutazioni espresse e ai dati acquisiti.
L’art. 511 comma 3 spiega in modo sufficientemente chiaro il rapporto fra perizia e perito. La
lettura della relazione peritale è disposta solo dopo l’esame del perito. Il che vuol dire che:
la relazione peritale può diventare prova solo dopo l’esame del perito;
prima di diventare prova questa relazione costituisce la piattaforma utilizzabile dalle parti per
formulare domande e muovere contestazioni;
solo l’omessa richiesta dell’esame del perito comporta l’automatica lettura della relazione
peritale.
126
nel corso delle operazioni peritali i consulenti possono proporre al perito specifiche indagini e
possono formulare osservazioni e riserve;
esaurite le operazioni peritali, un intervento dei consulenti tecnici è possibile nel solo caso in
cui la nomina degli stessi sia avvenuta successivamente.
B)Fuori dei casi di perizia: quando nessuna perizia è stata ancora disposta e il consulente tecnico
deve gestire in prima persona l’accertamento tecnico. In queste situazioni sarà il costante e diretto
rapporto con la parte a orientare il consulente nella direzione che riterrà opportuni.
Fuori dei casi di perizia, ogni parte può nominare fino a due consulenti.
È variegato il catalogo dei possibili interventi del consulente tecnico sganciati dall’effettuazione di
una perizia:
nel corso delle indagini preliminari possono avvalersi di questa collaborazione sia il pm,
quando procede ad accertamenti, rilievi segnaletici, descrittivi o fotografici e ad ogni
operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze, sia i difensori delle parti
private, quando svolgono investigazioni per ricercare e individuare elementi di prova a favore
del proprio assistito.
Durante l’udienza preliminare può disporre l’audizione del giudice, anche su sollecitazione di
parte: a condurre l’esame dei consulenti sarà lo stesso giudice su un tema di evidente
decisività per la sentenza di non luogo a procedere;
Nell’ambito dell’istruzione dibattimentale. A designare i contenuti provvede l’art. 233,
affidando ai consulenti il compito di esporre i propri pareri anche a mezzo di apposite
memorie.
C)Per segnare il passaggio da un’attività di consulenza fuori dei casi di perizia a un’attività di
consulenza nell’ambito dell’elaborazione peritale. Quando sia disposta perizia, ai consulenti già
nominati sono riconosciuti i diritti e le facoltà analizzati sub A). il numero dei consulenti deve
essere ovviamente adeguato alla nuova situazione processuale. Non vale più il limite dei due
consulenti, ma ciascuna parte può nominare un numero di consulenti pari a quello dei periti.
127
giudizio sulla personalità e i documenti proveniente dall’imputato introducono specifici motivi di
ammissibilità della prova in base a speciali parametri di rilevanza.
Un discorso a parte meritano i verbali di prove degli altri procedimenti, ivi inclusi quelli riguardanti
procedimenti penali stranieri. Essi vanno considerati alla stregua di documenti poiché formati ab
externo rispetto al processo nel quale se ne pretende l’acquisizione.
Per la possibile acquisizione dei verbali delle prova di altro procedimento:
I. è indispensabile che queste prove siano state formate nell’incidente probatorio o nel corso del
dibattimento; che siano state, insomma, assunte con le garanzie che valgono a configurarle
come vere e proprie prove;
II. è indispensabile per l’acquisizione dei verbali di prove assunte nel giudizio civile, che lo stesso
sia stato definito con sentenza passata in giudicata;
III. è previsto che suddetti verbali siano utilizzati solo nei casi confronti degli imputati i cui
difensori abbiano partecipato alla loro assunzione, o nei cui confronti fa stato la sentenza
civile;
IV. è necessario il consenso dell’imputato se si tratta di verbali di dichiarazioni non garantite,
perché rese fuori dell’incidente probatorio o del dibattimento.
Nessun limite fissa il codice in merito all’acquisizione della documentazione degli atti irripetibili,
sempre che l’impossibilità di ripetizione dipenda da fatti e circostanze non solo sopravvenuti, ma
anche imprevedibili. Spetta, in ogni caso, al giudice la parola definitiva sull’effettiva irripetibilità
degli atti trasmessigli con il fascicolo per il dibattimento.
128
Capitolo terzo
I MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA
1.Premessa.
I mezzi di ricerca della prova sono gli strumenti di cui si serve l’autorità giudiziaria per individuare e
assicurare al processo cose, tracce, documenti e ogni altro elemento utile per provare i fatti che si
riferiscono all’imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena. Sono strumenti
indispensabili per la ricerca probatori, ma non sono di per sé strumenti di convincimento. Servono
alla prova ma non al giudizio.
Le condizioni cui la norma subordina l’ammissione delle prove non disciplinate forniscono
sufficienti indicazioni per una ricerca della prova attenta ai valori costituzionali e alla tutela delle
libertà fondamentali. Che il rispetto di tali condizioni valga, insomma, a compensare
adeguatamente il difetto di tipicità del mezzo di ricerca della prova in concreto richiesto. Sappiamo
che queste condizioni:
- puntano sull’idoneità del mezzo ad assicurare l’accertamento dei fatti;
- escludono iniziative pregiudizievoli alla libertà morale della persona;
- implica l’intervento delle parti per organizzare le modalità di assunzione delle prove.
I mezzi tipici di ricerca della prova sono: ispezioni, perquisizioni, sequestri e intercettazioni.
Identica la sanzione prevista dal codice per le ipotesi di ispezioni, perquisizioni, sequestri,
intercettazioni, eseguiti in violazione delle prescrizioni: i risultati conseguiti non possono essere in
alcun modo utilizzati.
I mezzi di ricerca della prova non hanno un’esclusiva valenza processuale. Nello studio dei mezzi di
ricerca di prova bisogna tener conto delle prescrizioni fissate per le indagini preliminari.
2.Le ispezioni.
Attraverso questi mezzi di ricerca della prova l’autorità giudiziaria percepisce direttamente
elementi utili alla ricostruzione del fatto. Con l’attribuzione di questo potere all’autorità
giudiziaria il legislatore ha inteso sottolineare come si tratti di un’attività riconducibile alla sfera di
competenza non solo del giudice ma anche del pm.
L’ispezione è disposta con decreto motivato quando occorre accertare le tracce e gli altri effetti
materiali del reato. Se il reato non ha lasciato tracce o effetti materiali, l’autorità giudiziaria
descrive lo stato attuale dei luoghi e, se possibile, quello preesistente, assicurando anche di
individuare modo, tempo e cause delle eventuali modificazioni. Nel corso delle ispezioni l’autorità
giudiziaria può, inoltre, disporre che vengano effettuati rilievi segnaletici, descrittivi, fotografici ed
eventuali di altre operazioni tecniche.
Il riferimento alla possibilità di compiere operazioni tecniche, può far sorgere problemi di
coordinamento con gli accertamenti tecnici disposti dal pm ex art. 359. La distinzione tra le due
attività ha un suo preciso significato: i rilievi e le operazioni tecniche, posti in essere nel corso delle
ispezioni, sono diretti alla mera osservazione e selezione di dati obiettivi; i rilievi e le operazioni,
compiuti nel corso dell’accertamento tecnico, implica invece un’approfondita attività di
elaborazione dei dati e di valutazione degli stessi.
L’ispezione può avere ad oggetto persone, luoghi o cose.
Ispezione personale è l’atto diretto a osservare la persona o parti di essa, onde rilevare le tracce
o gli altri effetti materiali del reato. Oltre che dal magistrato, può essere eseguita da un medico.
L’operazione è eseguita nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto, contestando
all’interessato di farsi assistere da persone di fiducia.
129
Ispezione locale ha di solito per oggetto il luogo in cui è stato commesso il fatto: anch’essa
tende all’accertamento delle tracce e degli altri effetti materiali del reato e può appagarsi
dell’osservazione generale dell’ambiente in cui il fatto è svolto.
All’ispezione locale viene spesso assimilato il sopralluogo. Se effettuato in fase di indagini
preliminari, il sopralluogo costituisce atto irripetibile. Il difensore può assistere all’ispezione a
iniziativa della polizia giudiziale, ma non ha alcun diritto di essere preventivamente avvertito o di
far ritardare l’operazione per consentire la sua partecipazione.
130
4.I sequestri probatori.
I sequestri consistono in un vincolo posto dal magistrato procedente alla libera disponibilità
della cosa. Con riferimento ai diversi scopi che possono essere alla base del provvedimento sono
individuabili tre tipi di sequestri: probatorio, preventivo e conservatorio. Solo la prima forma di
sequestro rientra fra i mezzi di ricerca della prova. Le altre due ipotesi di sequestro rientrano fra le
misure cautelari reali.
Il sequestro come mezzo di ricerca della prova ha per oggetto il corpo del reato e le cose pertinenti
al reato.
Nei casi di sequestro del corpo del reato non è indispensabile offrire la dimostrazione della
necessità del sequestro in funzione dell’accertamento dei fatti, atteso che l’esigenza probatoria del
corpus delicti è in re ipsa. Nei casi di sequestro di cose pertinenti al reato diventa essenziale una
specifica dimostrazione della necessità del sequestro, in considerazione del rapporto solo indiretto
tra la cosa e l’illecito.
Identico è l’oggetto del sequestro preventivo, ma il fine di quest’altro provvedimento è del tutto
diverso. Il sequestro preventivo delle cose pertinenti al reato è volto a interrompere l’iter
criminoso e a prevenire la consumazione di nuovi reati. Posto in essere come mezzo di ricerca
delle prove, insomma, ai fini esclusivamente processuali.
La differenza fra i due tipi di sequestro assume una particolare rilevanza in relazione alla durata
della misura. Il sequestro preventivo può essere revocato solo se non vi è più pericolo che la libera
disponibilità del bene possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato o agevolare la
commissione di altri reati. La durata del sequestro probatorio è strettamente legata, invece, alle
esigenze dell’accertamento, ai fini di prova. Ne consegue che le cose sequestrate ai sensi dell’art.
253 dovranno essere restituite a chi ne abbia diritto anche prima della sentenza.
Restano salve, ovviamente, le possibili conversioni del sequestro probatorio in sequestro
conservativo o in sequestro preventivo.
Alla conversione in sequestro conservativo il giudice perviene nelle ipotesi in cui subentri la
fondata preoccupazione circa la dispersione delle garanzie per il pagamento delle somme dovute
all’erario dello Stato o per le obbligazioni civili derivanti dal reato.
Alla conversione in sequestro preventivo il giudice approda nelle ipotesi in cui alle originarie
funzioni probatorie della misura si sostituiscono le funzioni preventive, prospettate dal pm e
coordinate al pericolo circa la libera disponibilità del bene.
131
quando si tratta di atti coperti dal segreto di Stato o dal segreto inerente al loro ufficio o
professione ( e lo dichiarino per iscritto).
Se l’autorità giudiziaria ha motivo di dubitare della fondatezza della dichiarazione circa il segreto
d’ufficio, e ritiene di non procedere senza acquisire gli atti per i quali è stato profilato il vincolo del
segreto, dispone i necessari accertamenti. Se la dichiarazione risulta infondata l’autorità giudiziaria
dispone il sequestro. Quando la dichiarazione concerne un segreto di Stato l’autorità giudiziaria
ne chiede conferma al Presidente del Consiglio dei ministri.
Il sequestro va disposto anche se il bene si trovi nella disponibilità materiale di un terzo.
Le cose sequestrate sono normalmente affidate in custodia alla cancelleria o alla segreteria.
Quando ciò non è possibile l’autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in luogo diverso,
nominando un altro custode.
La restituzione delle cose sequestrate è disciplinata dalle seguenti regole:
- nel corso delle indagini preliminari la restituzione è disposta dal pm con decreto motivato. Se il
pm non ritiene di accogliere la richiesta di restituzione, la trasmette al giudice per le indagini
preliminari che decide con ordinanza, se non vi è dubbio sull’appartenenza delle cose a suo tempo
sequestrate. Se questo dubbio sussiste il giudice penale rimette la soluzione della controversia al
giudice civile;
- nel corso del processo la restituzione è disposta dal giudice che decide con ordinanza se non vi è
dubbio sull’appartenenza delle cose sequestrate. Se questo dubbio sussiste il giudice penale
rimette la soluzione della questione al giudice civile;
- quando non è necessario mantenere il sequestro ai fini della prova, le cose vanno restituite a chi
ne abbia diritto anche prima della sentenza. Se il sequestro è mantenuto, è il passaggio in
giudicato della sentenza a segnare il tempo della restituzione.
132
I dati riguardanti al traffico telefonico sono conservati dal gestore per 24 mesi dalla data della
comunicazione cui si riferiscono; quelli relativi al traffico telematico, per 12 mesi; quelli
concernenti le chiamate senza risposta, per 30 giorni. Questi termini sono improrogabili e
inderogabili, anche con riferimento ai reati più gravi.
133
Di qualche altra prescrizione occorre tenere il dovuto conto:
le intercettazioni devono essere registrate e delle relative operazioni è redatto verbale nel
quale viene trascritto sommariamente il contenuto delle comunicazioni intercettate. Nel
registro, devono essere annotati secondo un ordine cronologico i decreti che dispongono le
intercettazioni;
le operazioni possono essere compiute esclusivamente per mezzo degli impianti istallati presso
la Procura della Repubblica. Quando si procede a intercettazione di comunicazione
informatiche o telematiche è possibile utilizzare impianti privati.
I verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi al pm e depositati in segreteria per
il tempo fissato dal pm, salvo che il giudice non riconosca necessaria una proroga;
Se dal deposito delle registrazioni può derivare un grave pregiudizio per le attività
investigative, il pm può essere autorizzato dal giudice a ritardarlo, fino alla chiusura delle
indagini preliminari;
Dopo il deposito le parti, tempestivamente avvisate, hanno facoltà di esaminare gli atti e di
ascoltare le registrazioni;
L’acquisizione delle conversazioni e le successive trascrizioni delle registrazioni sono gli
epiloghi garantiti di un’attività investigativa impostata nel segno della clandestinità e della
sorpresa;
Le trascrizioni, una volta assunte nella perizia, sono inserite nel fascicolo per il dibattimento.
134
Irrilevanti dopo aver sentito le parti, il giudice dispone l’integrale distruzione delle
intercettazioni.
Rilevanti sempre dopo l’udienza camerale, deve richiedere l’autorizzazione all’utilizzo della
Camera di appartenenza. Qualora l’assenso fosse negato, il giudice deve provvedere alla
distruzione della documentazione delle intercettazioni in questione; sempreché ciò non comporti
un pregiudizio nei confronti dei terzi, non parlamentari, casualmente intercettati.
Nessun utilizzo può essere fatto dei documenti, dei supporti, degli atti concernenti dati e contenuti
di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, illegalmente formati o
acquisiti. Questi sono avviati alle operazioni di distruzione dopo che se ne sia accertata l’effettiva
illiceità. A questa verifica e alla successiva, eventuale, distruzione provvede, entro 48 ore dalla
richiesta del pm, il giudice per le indagini preliminari all’esito di un’udienza in camera di consiglio
in cui è garantita la partecipazione necessaria dei soggetti interessati. Delle operazione di
distruzione è redatto un verbale nel quale, oltre che dei soggetti coinvolti, occorre dare conto delle
circostanze inerenti l’attività di formazione, acquisizione e raccolta del materiale distrutto, con la
sola esclusione del suo contenuto.
MISURE CAUTELARI
Capitolo primo
CONSIDERAZIONI INTRODUTTIVE
136
cautelare e può essere diretto anche contro la persona non colpita da indizi nei casi in cui si vuole
ottenere da questa un contributo di carattere probatorio ai fini dell’accertamento dei fatti.
L’arresto ed il fermo non vi rientrano perché, producendo soltanto effetti provvisori legati alla
convalida penale, trovano la loro sede più adeguata nell’ambito delle indagini preliminari.
Non vi rientrano neppure le varie forme di sequestro penale, in quanto esse hanno una funzione
non cautelare, bensì essenzialmente probatoria in quanto intese all’acquisizione del materiale di
prova per l’accertamento dei fatti e poi, eventualmente, alla confisca.
Capitolo secondo
LE MISURE CAUTELARI PERSONALI
1.Le disposizioni generali in tema di misure cautelari personali: il principio di legalità e la riserva
di giurisdizione.
Il titolo relativo alle misure cautelari personali si apre con un capo dedicato alle regole generali che
governano tutta la materia delle restrizioni alle libertà della persona, creando così le condizioni per
poter procedere ad una sistemazione unitaria della complessa disciplina delle misure cautelari nel
processo penale.
Si parla di limitazioni alle “libertà della persona”, e non alla libertà personale., per sottolineare che
la regolamentazione riguarda tutte le misure restrittive e non solo quelle che si riferiscono alla
libertà dell’individuo intesa come “libertà fisica di movimento”.
Art. 272 c.p.p.: “le libertà della persona possono essere limitate con misure cautelari soltanto a
norma delle disposizioni del presente titolo”.
Il principio di legalità così sancito riveste una duplice funzione:
- stabilisce che il potere di imporre delle restrizioni alla libertà della persona ha fondamento solo
nella legge;
- specifica che tale restrizione nel processo penale può avvenire per finalità di ordine cautelare nei
limiti e alle condizioni fissati dalle disposizioni di legge contenute nel titolo primo del libro quarto
del c.p.p.
Il soggetto a cui è attribuito l’esercizio dei poteri di restrizione delle libertà è esclusivamente
l’organo giurisdizionale. Stabilisce, infatti, l’art 279 che tutti i provvedimenti restrittivi, ed in
particolare l’applicazione, la revoca e le modifiche di essi, sono di competenza del giudice che
procede nel momento in cui i provvedimenti vengono richiesti ovvero devono essere d’ufficio
adottatati.
Se in tale momento non pende nessun processo penale la competenza spetta al giudice per le
indagini preliminari; all’organo, cioè, che nel nuovo modello processuale è istituzionalmente
chiamato, a garanzia dei diritti del cittadino, a svolgere una funzione giurisdizionale pur in assenza
di un esercizio di azione penale. L’art. 91 n. att. c.p.p. specifica chi è il giudice competente nel
corso del dibattimento e dopo la sentenza.
Quando il giudice ritiene di essere incompetente per qualsiasi causa e riconosce sussistenti le
esigenze cautelari dispone la misura anche con lo stesso provvedimento con cui si dichiara
incompetente. In tal caso, la misura cessa di avere effetto se, entro 20 giorni dalla ordinanza di
trasmissione degli atti, il giudice competente non provvede a norma degli artt. 292, 317 e 321. Il
termine decorre dalla data del provvedimento di trasmissione, a nulla rilevando l’organo al quale
gli atti stessi siano inviati.
137
Il pm procedente ha solo un potere di richiesta in ordine all’adozione delle misure cautelari ed ha
bisogno dell’assenso scritto del procuratore della Repubblica, ovvero del procuratore aggiunto o
del magistrato appositamente delegati a meno che egli non formuli la sua richiesta in occasione
della richiesta di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo di indiziato. Ritiene la
giurisprudenza che la mancanza di assenso scritto da parte del procuratore della Repubblica non
sia condizione di validità della richiesta di applicazione di misure cautelari personali, presentata dal
magistrato dell’ufficio del pm, assegnatario del procedimento e della conseguente ordinanza
cautelare.
In vista delle esigenze connesse con le indagini, e quindi al di fuori di ogni finalità di tipo
propriamente cautelare, la legge concede agli ufficiali e agli agenti di polizia giudiziaria il potere di
procedere all’arresto o al fermo della persona indiziata di un delitto. Al pm il comma 1 dell’art. 384
attribuisce solo il potere di disporre il fermo. Facoltà di arresto vie4ne concessa anche ai privati nei
casi in cui l’arresto stesso è previsto come obbligatorio per la polizia giudiziaria.
Tutti i suddetti provvedimenti limitativi della libertà personale sono provvisori e perdono di
efficacia se non vengono convalidati ovvero se non è richiesta la convalida entro le 48 ore. Organo
competente per la convalida è esclusivamente il giudice.
138
dimostrare che tale responsabilità, fondando, nel frattempo, una qualificata probabilità di
colpevolezza.
Con l’introduzione nell’art. 273 del comma 1- bis in forza del quale “nella valutazione dei gravi
indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli artt. 192 commi 3 e 4, 195 comma 7, 203 e
271 comma 1”, i due diversi ambiti di significato degli indizi, anche se continuano a non incidere,
tuttavia si avvicinano notevolmente. Resta, comunque, al di fuori dal campo delle misure cautelari
la necessità che gli indizi siano gravi, precisi e concordanti, come imposto, invece, ai fini della
valutazione della prova della responsabilità.
Periculum libertatis
L’accertata sussistenza del requisito del fumus commissi delicti, è elemento indispensabile man
non sufficiente a legittimare l’applicazione di una misura cautelare. Al tal fine è necessario il
verificarsi della seconda condizione generale: il pericolo che la persona destinataria della misura,
lasciata libera, possa pregiudicare le esigenze connesse all’accertamento ritenute meritevoli di
protezione.
L’art. 274 disegna il quadro di tali esigenze indicando una triplice direzione.
A) Nella prima rientrano le finalità probatorie. Si tratta del parametro più tipico per misurare le
esigenze che possano portare all’applicazione di una misura cautelare. La salvaguardia delle
finalità di accertamento dai rischi di dispersione e inquinamento del materiale probatorio deve
però rapportarsi non solo a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la
genuinità della prova ma anche a specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini sui fatti
per i quali si procede. Il pericolo di inquinamento è stato ravvisato anche nelle ipotesi in cui le
indagini siano già concluse, ma si debba proteggere l’acquisizione della prova e la conservazione
della sua genuinità.
B) Nella seconda direzione sono comprese le situazioni di cautela finale. Si tratta delle esigenze di
evitare il rischio che l’imputato si sottragga all’esecuzione dell’eventuale sentenza di condanna
emessa a suo carico a conclusione del processo. La fuga o il pericolo di fuga assume la rilevanza ai
fini cautelari soltanto quando riguarda processi in cui il giudice ritiene che possa essere irrogata
una pena superiore ai due anni di reclusione.
Il riferimento all’irrogazione di una pena superiore al due anni di reclusione non rileva, secondo la
giurisprudenza, quando si tratta di misure cautelari in relazione ad un mandato d’arresto europeo,
in quanto il rinvio alle disposizioni dell’art. 274 comma 1 lett. b c.p.p. comporta l’obbligo per il
giudice di motivare congruamente soltanto in ordine alla sussistenza di un concreto pericolo di
fuga.
C) La figura più discussa è quella che riguarda la terza. Si tratta del pericolo che l’imputato lasciato
libero possa commettere una serie di gravi fatti criminosi tassativamente elencati dalla norma:
“gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine
costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si
procede”.
La valutazione della “gravità” del delitto è rimessa al libero apprezzamento del giudice non
risultando suggerito alcun parametro normativo. Il requisito del “pericolo” va stabilito sulla base
della situazione concreta e va riferito a precisi indici normativi riguardanti le specifiche modalità e
circostanze del fatto e la personalità dell’imputato desunta da suoi specifici comportamenti o
precedenti penali.
139
Condizione stabilita dagli artt. 280 e 287 c.p.p.
Essa rappresenta un limite oggettivo al potere coercitivo del giudice in funzione della delimitazione
di un’area protetta di libertà della persona invalicabile rispetto ad ogni istanza di tipo cautelare.
Art. 289: “salvo quanto disposto dai commi 2 e 3 del presente articolo e dall’art. 391, le misure
previste in questo capo possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la
legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni”.
La clausola di riserva riguarda:
1) la previsione secondo cui la custodia in carcere può essere disposta soltanto per delitti per i
quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni e per il delitto di
finanziamento illecito dei partiti, salvo che si tratti di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad una
misura cautelare;
2) l’ipotesi in cui il giudice, in sede di convalida dell’arresto, ritiene di disporre una misura
coercitiva nei confronti della persona arrestata nella situazione descritta dal comma 2 dell’art. 381
c.p.p. ovvero per uno dei delitti per i quali l’arresto è consentito anche fuori dai casi di flagranza. In
tal caso il limite segnato dall’art. 280 può essere superato.
Per l’applicabilità della misura è sempre richiesta la sussistenza delle due sopra indicate condizioni
generali del fumus commissi delciti e del periculum libertatis.
Per le misure interditive, l’art. 287 stabilisce che, “salvo quanto previsto a disposizioni per delitti
per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre
anni”.
La norma contiene una clausola di riserva che consente ampie deroghe. Queste si riferiscono
soprattutto alle ipotesi in cui a causa del nesso funzionale che lega la misura applicabile al tipo di
reato addebitato appare opportuno superare il limite di sbarramento.
140
Si tratta di una regola che contribuisce a dare al principio di proporzionalità anche quel significato
secondo il quale non si deve far pagare all’imputato un prezzo che egli non sarà chiamato
probabilmente a sostenere neanche dopo la condanna.
L’attuale testo dell’art. 275 comma 2- bis, da un canto, stabilisce chiaramente la rilevanza delle
condizioni di concessione della sospensione condizionale della pena ai fini della valutazione di
proporzionalità della misura, dall’altro , limita inopinatamente tale rilevanza alla sola cusotdia
cautelare, escludendo quella interpretazione giurisprudenziale che tendeva a far rientrare anche la
sospensione condizionale tra le cause impeditive di tutte le misure cautelari di cui al citato art. 273
comma 2.
Nonostante questo effetto limitato, la nuova disposizione riconsegna al giudice un potere di
valutazione che man mano si era andato assottigliando. Ai fini del giudizio di proporzionalità egli
deve non solo ponderare il fatto e predire la sanzione che potrà essere irrogata in caso di
condanna, ma deve anche vagliare la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge per la
concessione della sospensione condizionale della pena nel caso in cui il pm richieda l’applicazione
della custodia cautelare. La valutazione va fatta non soltanto nel momento dell’imposizione della
misura, ma anche quando si deve decidere del suo mantenimento ai sensi dell’art. 299 c.p.p.,
quando sono diventati più intensi e più articolati i materiali probatori.
Fissato così il quadro generale dei principi che guidano il giudice nella scelta della misura
coercitiva, esaminiamo ora il catalogo delle deroghe, con l’avvertenza che esso è stato
recentemente oggetto di ripetuti interventi da parte della corte costituzionale.
In primo luogo, balza per spessore traumatico il secondo periodo della disposizione contenuta
nell’art. 275 comma 3 c.p.p. La predetta disposizione stabilisce che, in presenza di gravi indizi di
colpevolezza in ordine a delitti particolarmente gravi, si applica la custodia cautelare in carcere,
salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari.
Stabilendo un rapporto tra i reati che destano allarme sociale e necessità della misura carceraria,
tale disposizione svuota di significato la discrezionalità del giudice in tema di misure cautelari
attraverso lo sbarramento di una duplice presunzione legale. La prima, iurus tantum, concernente
la sussistenza delle esigenze cautelari, e quindi la necessità di imporre la misura: il giudice può non
disporla quando risultino acquisiti agli atti elementi che dimostrano l’insussistenza dell’esigenza
cautelare. La seconda, iuris et de iure, riguardante la valutazione di adeguatezza: l’unica misura
adeguata è la custodia in carcere, senza alternativa e senza neanche future possibilità di ottenere
l’affievolimento della misura applicata. Il giudice non può disporne una meno grave, neanche se
l’avesse richiesta lo stesso pm.
Si tratta di un’inversione dell’impegno di motivazione nel disporre la misura: il giudice, soltanto
nell’ipotesi di rigetto della richiesta di applicazione della misura, deve esporre i motivi che negano
la presenza di qualsiasi esigenza cautelare nel caso concreto. Una volta esclusa quest’ultima
possibilità, e quindi dato per sussistente il periculum libertatis, la scelta è normativamente
obbligata: la custodia in carcere.
La portata “dirompente” della previsione contenuta nel’art. 275 comma 3 è stata
progressivamente ridimensionata da ripetuti interventi della Corte costituzionale, che ha
censurato la norma con riferimento alla maggior parte delle ipotesi di presunzione legale di
adeguatezza della custodia cautelare in carcere in essa contenute.
La Corte ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 275 comma 3 nella parte in cui non fa salva l’ipotesi in
cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze
cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. È stata, inoltre, dichiarata
costituzionalmente illegittima, nei medesimi termini, l’omologa presunzione assoluta nei confronti
141
della persona gravemente indiziata di taluno dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina, previsti dal comma 3 del medesimo art. 12.
Si instaura così un regime a doppio binario: un binario più rigido con riferimento ad alcuni delitti
per i quali continua a vigere in toto la disciplina predisposta dall’art. 275 comma 3 c.p.p. nella sua
formulazione originaria; un binario meno rigido, per i delitti per i quali il giudice non è obbligato a
disporre la custodia cautelare in carcere, ma può scegliere una misura diversa.
Il regime cautelare “speciale” di cui all’art. 275 comma 3 metterebbe in crisi i principi di
adeguatezza e graduazione, che regolano l’esercizio del potere cautelare, rovesciando il principio
del “minor sacrificio necessario” sottostante alla formulazione originaria della predetta norma, in
forza della quale è conferito ordinariamente al giudice della cautela il potere- dovere di
distinguere i diversi fatti riconducibili alla medesima figura di reato e la differente intensità delle
esigenze di tutela, ai fini della scelta della misura meglio rispondente al caso concreto.
Una speciale valutazione di adeguatezza sulla misura cautelare personale emerge pure dall’ art.
275 comma 2-ter che vuole che siano sempre disposte tali misure “quando, all’esito dell’esame
condotto a norma del comma 1- bis, risultano sussistere esigenze cautelari previste dall’art. 274 e
la condanna riguarda uno dei delitti previsti dall’art. 380 comma 1, e questo risulta commesso da
soggetto condannato nei 5 anni precedenti per delitti della stessa indole”.
Un altro particolare vincolo normativo riguardante l’inadeguatezza della custodia in carcere è
contenuto nell’art. 274 comma 4. Tale disposizione, in considerazione di caratteristiche personali
dell’imputato, presume l’inadeguatezza della custodia in carcere, che non può essere disposta né
mantenuta; il giudice dovrà individuare la misura più adeguata tra le rimanenti, valutando altresì la
possibilità di disporre la custodia presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ove le
esigenze cautelai di eccezionale rilevanza lo consentano.
Non può, inoltre, essere disposta l custodia cautelare in carcere, salvo che sussistano esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza, quando imputato sia persona che ha superato l’età di 70 anni.
Un ulteriore ed esplicito divieto di applicazione della custodia cautelare è sancito dal comma 4- bis
dell’art. 275 in relazione ad imputati affetti da “AIDS conclamata o da grave deficienza
immunitaria accertate ai sensi dell’art. 286- bis comma 2, o da altra malattia particolarmente
grave” per effetto della quale le condizioni di salute di tale soggetti risultino incompatibili con lo
stato di detenzione e siano comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione
carceraria. Il suddetto divieto subisce tuttavia alcune deroghe. L’art. 275 comma 4-ter, prevede
infatti che, ove sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza e l’adozione della custodia
cautelare presso idonee strutture penitenziarie non risulti possibile “senza pregiudizio per la salute
dell’imputato o di quella degli altri detenuti”, il giudice dispone la misura degli arresti domiciliari
“presso un luogo di cura o di assistenza o di accoglienza” o, trattandosi di soggetti affetti da AIDS
conclamata o da grave deficienza immunitaria, presso le unità operative o gli altri luoghi indicati
dalla stessa norma. Inoltre, pur in presenza delle situazioni appena menzionate, il giudice potrà
comunque disporre la custodia cautelare in carcere qualora “il soggetto risulti imputato o sia stato
sottoposto ad altra misura cautelare per uno dei delitti previsti dall’art. 380, relativamente a fatti
commessi dopo l’applicazione delle misure disposte ai sensi dei commi 4-bis e 4-ter”; in tali
l’imputato dovrà essere condotto in un istituto dotato di un reparto attrezzato per la cura e
l’assistenza necessarie.
La disposizione contenuta nel comma 4- quinquies di tale articolo esclude la possibilità di adottare
o mantenere la custodia cautelare in carcere quando la malattia si trova in una fase così avanzata
da non rispondere più, secondo le certificazioni del servizio sanitario penitenziario o esterno, ai
trattamenti disponibili e alle terapie curative”.
142
Con riferimento al principio di adeguatezza è da mettere in evidenza la previsione di cui all’art. 89
del d.p.R. 309/1990, il quale prevedeva il divieto della custodia in carcere per i soggetti
tossicodipendenti o alcool dipendenti sottoposti al programma di recupero, salvo la sussistenza di
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. Tale articolo, accorda la preferenza alla misura degli
arresti domiciliari, stabilendo che, nel caso in cui debba essere emanato un provvedimento
applicativo della misura cautelare in carcere nei confronti di persona tossicodipendente o alcool
dipendente che abbia in corso un programma terapeutico di recupero presso i servizi pubblici per
l’assistenza ai tossicodipendenti o nell’ambito di una struttura privata autorizzata, il giudice
dispone gli arresti domiciliari qualora l’interruzione del programma possa pregiudicare la
disintossicazione dell’indagato, sempre che non sussistano esigenze cautelari di eccezionale
rilevanza. Il provvedimento è subordinato alla prosecuzione del programma terapeutico in una
struttura residenziale e in ogni caso in cui sussistano particolari esigenze cautelari. Gli arresti
domiciliari vengono parimenti disposti, previa revoca della misura della custodia in carcere,
qualora una persona tossicodipendente o alcool dipendente sottoposta a quest’ultima misura
intenda seguire un programma di recupero presso i servizi pubblici per l’assistenza ai
tossicodipendenti o nell’ambito di una struttura privata autorizzata, sempre che non sussistano
esigenze cautelari di eccezionale rilevanza.
Nell’ambito del principio di adeguatezza, l’art. 276 c.p.p. detta una particolare norma di
specificazione diretta a regolare le conseguenze derivanti dalla inosservanza delle prescrizioni che
accompagnano le singole misure cautelari. La disposizione riguarda tutte le misure coercitive o
interdittive cui normalmente ineriscono degli specifici obblighi che il giudice dispone al fine di
rendere più adeguato il provvedimento restrittivo.
La disposizione in parola stabilisce che in caso di inosservanza delle prescrizioni imposte dal
provvedimento cautelare il giudice può sostituire o cumulare la misura applicata con un’altra più
grave. La valutazione viene affidata al potere discrezionale del giudice e si incentra sulla gravità
della violazione con riferimento all’entità, ai motivi e alle circostanze. Un’eccezione a questa
regolo è contemplata dal comma 1-ter dell’art. 276 il quale stabilisce l’automatica sostituzione
degli arresti domiciliari con la custodia cautelare nel caso di violazione del divieto di allontanarsi
dalla propria abitazione o da altro luogo di privata dimora. In proposito la Corte costituzionale
parla di presunzione di inadeguatezza degli arresti domiciliari che però non priva il giudice “del
potere di apprezzare la trasgressione in concreto realizzata al fine di verificare quei caratteri di
effettiva lesività alla cui stregua ritenere integrata la violazione assunta dalla norma a presupposto
della sostituzione”. La disposizione dell’art. 276 prevede, inoltre, al comma 1-bis che, qualora
l’imputato si trovi nelle condizioni di cui all’art. 275 comma 4-bis e nei suoi confronti sia stata
disposta una misura diversa dalla custodia cautelare in carcere, la trasgressione delle prescrizioni
inerenti a tale diversa misura può determinare l’applicazione in via sostitutiva della custodia
cautelare in carcere. In tal caso il giudice disporrà che l’imputato venga condotta in un istituto
dotato di un reparto attrezzato per la cura e l’assistenza necessarie.
Se l’inosservanza riguarda le prescrizioni inerenti ad una misura interdittiva, il giudice può disporne
la sostituzione o il cumulo anche con una coercitiva.
Correlata pure con il principio di adeguatezza si presenta la disposizione generale prevista dall’art.
277 che riafferma una valore assoluto di civiltà: la preminenza della tutela della personalità
dell’individuo. L’art. 277, al fine di escludere che la misura cautelare possa assumere una carattere
vessatorio, stabilisce la regola che le modalità di esecuzione delle misure devono salvaguardare i
diritti della persona il cui esercizio non risulti incompatibile con le esigenze cautelari del caso
concreto. La regola, oltre alla riaffermazione di un principio generale di garanzia dei diritti della
143
persona sottoposta a procedimento penale, ha il preciso scopo di fissare un limite al potere
discrezionale del giudice nella determinazione del quadro delle prescrizioni apponibili alla misura
concretamente disposta.
L’osservanza del principio di adeguatezza implica non solo la scelta della misura più idonea al
raggiungimento degli scopi cautelari del caso specifico, ma anche la ricerca delle modalità
applicative più rispettose della garanzia del soddisfacimento di tutti i diritti della persona che in
concreto non risultino di essere incompatibili con gli accennati scopi.
144
essa conviventi o comunque legate da relazione affettiva o di mantenere una determinata distanza
da tali luoghi o da tali persone. Il giudice può, inoltre, vietare all’imputato di comunicare,
attraverso qualsiasi mezzo, con le suddette persone. Se, però, la frequentazione dei luoghi di cui
sopra è necessaria per motivi di lavoro ovvero per esigenze abitative, il giudice prescrive le relative
modalità e può imporre limitazione.
5)DIVIETO E OBBLIGO DI DIMORA: il con il divieto si prescrive all’imputato di non entrare in
contatto con un determinato luogo senza l’autorizzazione del giudice. L’utilità si coglie
considerando l’allontanamento dell’imputato dal luogo dove si svolgono le indagini come idoneo
al fine di prevenire l’inquinamento della prova o anche la commissione di reati di cui
indubbiamente il luogo del fatto può essere occasione.
Con l’obbligo di dimora il giudice prescrive all’imputato di non allontanarsi senza autorizzazione
dal territorio del comune di abituale dimora. Con il provvedimento che dispone l’obbligo di dimora
il giudice indica l’ufficio di polizia al quale l’imputato deve presentarsi e dichiarare il luogo di
abitazione. Il giudice può progressivamente restringere gli spazi di libertà disponendo che
l’imputato dichiari all’autorità di polizia gli orari e i luoghi in cui sarà quotidianamente reperibile o
che lo stesso non si allontani dall’abitazione in alcune ore del giorno, quando ciò non comporta un
“pregiudizio per le normali esigenze di lavoro”. Tale prescrizione appare sostanzialmente
omogenea a quella prevista per gli arresti domiciliari laddove è disposto che il giudice possa
autorizzare l’imputato ad astenersi, nel corso della giornata, dal luogo d’arresto per il tempo
strettamente necessario per provvedere ad indispensabili esigenze di vita ovvero per esercitare
un’attività lavorativa. Ma diversi ne risultano i presupposti, richiedendosi per quest’ultima
l’esistenza di “indispensabili esigenze di vita” oppure di una “situazione di assoluta indigenza”,
mentre per l’altra si fa esclusivo riferimento a “normali esigenze di lavoro”.
Per i tossicodipendenti o alcool dipendenti, che abbiano in corso un programma terapeutico di
recupero in una struttura autorizzata, il giudice deve disporre i controlli necessari per accertare
che il programma di recupero prosegua.
Tutte le prescrizioni imposte dal giudice vanno comunicate alle autorità di polizia competenti che
vigilano per l’osservanza di essere e che, in caso di trasgressione, ne fanno rapporto al pm.
6)ARRESTI DOMICILIARI: costituiscono uno status detentionis equiparato alla custodia cautelare,
impongono all’imputato di non allontanarsi dalla propria abitazione o da altro luogo di privata
dimora ovvero da un luogo pubblico di cura o di assistenza, ovvero, ve istituita, da una casa
famiglia protetta. Il giudice dispone il luogo degli arresti domiciliari, in modo da assicurare
comunque le prioritarie esigenze di tutela della persona offesa dal reato. Se appare necessario, il
giudice può anche disporre, con lo stesso o con un altro provvedimento, limiti o divieti di
comunicare con persone diverse da quelle che coabitano con l’imputato o che lo assistono.
Il controllo sulle prescrizioni disposte dal giudice è effettuato, anche d’ufficio, dal pm o dalla polizia
giudiziaria. Quando gli arresti domiciliari sono disposti in sostituzione della custodia in carcere, il
giudice può non disporre l’accompagnamento e autorizzare l’imputato a raggiungere il luogo
dell’arresto. Il giudice può altresì disporre che il controllo dell’imputato agli arresti domiciliari
avvenga mediante strumenti tecnici. Nel caso in cui l’imputato neghi il consenso all’adozione di tali
strumenti, il giudice dispone nello stesso provvedimento che sia applicata la custodia in carcere. Il
comma 5-bis dell’art. 284 stabilisce il divieto di concedere gli arresto domiciliari a che, nei 5 anni
precedenti, sia stato condannato per il delitto di evasione.
7)CUSTODIA CAUTELARE IN CARCERE: la misura alla quale il giudice ricorre per ordinare che
l’imputato venga catturato ed immediatamente condotto in un istituto di custodia a disposizione
dell’autorità giudiziaria. Se la misura deve essere eseguita nei confronti di un imputato in stato di
145
infermità di mente tale da escludere o da scemare grandemente la capacità di intendere o di
volere, il giudice dispone in luogo della custodia in carcere il ricovero presso il servizio psichiatrico
ospedaliero. Il provvedimento con cui è ordinato il ricovero deve contenere le disposizioni
opportune per prevenire il pericolo di fuga dell’imputato e può permanere solo fino a quando dura
lo stato di infermità.
L’art. 286-bis comma 3 stabilisce che, quando ricorrono le condizioni di salute di cui al suddetto
art. 275 comma 4-bis ovvero esigenze terapeutiche nei confronti di persona che si trovi in tali
condizioni, se codeste esigenze non possono essere soddisfatte nell’ambito penitenziario il giudice
può disporre il ricovero provvisorio, per il tempo necessario, in un’adeguata struttura del Servizio
sanitario nazionale, adottando i provvedimenti idonei ad evitare il pericolo di fuga. Una volta poi
cessate le esigenze del ricovero, il giudice, chiamato a provvedere, potrà, a seconda dei casi, o
ripristinare la custodia cautelare in carcere o disporre gli arresti domiciliari.
Prima del trasferimento nel luogo di custodia, la persona destinataria della misura non può essere
sottoposta ad alcuna limitazione di libertà se non a quella che risulti strettamente necessaria, per
durata e per modalità, alla sua traduzione. Al fine di garantire la puntuale conoscenza del
provvedimento da parte dell’imputato l’art. 94 comma 1-ter n.att. c.p.p. dispone che l’autorità
giudiziaria trasmetta copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario nel quale la
misura deve essere eseguita, affinché ne inserisca copia nella cartella personale del detenuto e ne
illustri a questi i contenuti secondo le modalità dettate dal comma 1-bis del suddetto art. 94.
8)CUSOTIDA PRESSO UN ISTITUTO A CUSTODIA ATTENUATA PER DETENUTE MADRI: art. 275
comma 4 “se la persona da sottoporre a custodia cautelare sia donna incinta o madre di prole di
età non superiore a sei anni, ovvero padre, qualora la madre sia deceduta o assolutamente
impossibilitata a dare assistenza alla prole, il giudice può disporre la custodia presso un istituto a
custodia attenuata per detenute madri, ove le esigenze cautelari di eccezionale rilevanza lo
consentano”.
146
Il provvedimento può riguardare soltanto una parte di quelle attività e può essere adottato al di
fuori dei limiti di cui all’art. 287 c.p.p., qualora si proceda per un delitto contro la pubblica
amministrazione. La misura deve essere preceduta dall’interrogatorio della persona a pena di
nullità relativamente assoluta. Essa non può applicarsi agli uffici elettivi di diretta investitura
popolare.
3)DIVIETO TEMPORANEO DI ESERCITARE DETERMINATE ATTIVITA’ PROFESSIONALI O
IMPRENDITORIALI: il giudice interdice temporaneamente l’esercizio, in tutto o in parte, di attività
relative a determinate professioni, imprese o uffici direttivi delle persone giuridiche e delle
imprese. La misura può essere applicata anche al di fuori dei limiti di cui all’art. 287 c.p.p. quando
si tratti di delitti contro l’incolumità pubblica o contro l’economia pubblica, l’industria e il
commercio o si tratti di delitti previsti dalle disposizioni penali in materia di società o di consorzi.
147
l’indicazione, se è possibile, del luogo in cui si trova l’imputato o la persona sottoposta ad indagini
costitusicono gli ulteriori elementi che contribuiscono alla perfezione dell’atto- ordinanza.
Tutti i suddetti requisiti sono richiesti a pena di nullità, ad eccezione di quello concernenti la
sottoscrizione dell’ausiliario del giudice, il sigillo dell’ufficio e l’indicazione del luogo in cui può
trovarsi l’imputato. Per stabilire il regime di invalidità che si applica all’atto bisogna rifarsi agli artt.
178 e seguenti. Le ipotesi in esame non rientrano in nessuna delle previsioni di cui all’art. 178 e
non rappresentano un’inosservanza di disposizione concernente né l’intervento né tanto meno
l’assistenza e la rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private di cui alla lett. c del citato
articolo. Sicché è necessario desumere che si tratti di nullità relativa disciplinata dagli artt. 181 e
seguenti, ma di una nullità relativa di genere particolare, per disposizione della prima parte del
comma 2 dell’art. 292, essa è rilevabile anche d’ufficio.7
Per sottolineare l’obbligo del giudice di dar conto della valutazione espressa sul materiale
probatorio presentato dal pm a norma dell’art. 291 e dalla difesa a norma dell’art. 327-bis, detta,
con il comma 2-ter dell’art. 292, una ulteriore disposizione con la previsione di una sanzione di
nullità. Questa volta, non si tratta di nullità rilevabile d’ufficio. In mancanza di un’espressa
indicazione legislativa la previsione di nullità non può non rientrare nel sistema generale: nullità
relativa, dunque, rilevabile a istanza di parte.
148
Un effetto di natura processuale è quello previsto all’art. 165 c.p.p. sulle notificazioni all’imputato
latitante o evaso. Al fine esclusivo di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pm, può
disporre l’intercettazione di conversazioni o comunicazioni telefoniche e di altre forme di
telecomunicazione, sempre nei limiti e con le modalità stabilite dagli artt. 266 e 267.
Un importante adempimento successivo all’esecuzione del provvedimento cautelare personale
nel corso delle indagini preliminari è l’interrogatorio della persona destinataria della misura,
affidato, fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento, al giudice che ha deciso in ordine
all’applicazione della misura medesima.
Il giudice deve provvedervi immediatamente, e comunque non oltre 5 giorni dall’inizio
dell’esecuzione, nel caso in cui sia imposta la misura della custodia cautelare in carcere; entro 10
giorni qualora sia disposta altra misura cautelare, coercitiva o interdittiva. L’interrogatorio non è
dovuto qualora la custodia venga disposta dopo la sentenza di condanna.
Art. 294 comma 1-ter: prevede il dovere del giudice per le indagini preliminari di interrogare la
persona in stato di custodia cautelare entro il termine di 48 ore se il pm ne fa richiesta.
Rispetto a quello assunto dal pm, che ha finalità soprattutto investigative, l’interrogatorio ha scopi
di controllo e di garanzia, in quanto diretto a consentire, attraverso il contatto diretto tra giudice e
imputato, l’immediata verifica della ritualità e della fondatezza del provvedimento cautelare,
nonché della permanenza delle condizioni di applicabilità della misura.
In tale quadro si spiega la nuova formulazione del comma 6 dell’art. 294 che, per evitare il rischio
di impieghi discorsivi della custodia cautelare, esclude la possibilità che l’interrogatorio
investigativo del pm preceda l’interrogatorio di garanzia del giudice. Il rischio non può essere
evitato nel caso di detenuto in stato di arresto o di fermo, per il quale l’art. 388 prevede il
preventivo interrogatorio del pm rispetto all’eventuale intervento del giudice in sede di convalida,
o nel caso di un uso atipico di strumenti processuali quali il colloquio investigativo, le sommarie
informazioni di polizia o l’accompagnamento coattivo.
Il termine assegnato dalla legge per l’interrogatorio condotto dal giudice è consegnato in forma
perentoria: “immediatamente e comunque non oltre 5 giorni dall’inizio dell’esecuzione della
custodia e non oltre dieci giorni dall’esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione ,
sempre che naturalmente il giudice non vi abbia già provveduto in sede di convalida dell’arresto o
del fermo”.
Nel caso in cui la persona da interrogare sia assolutamente impedita, il giudice ne dà atto in un
decreto motivato e i termini ricominciano a decorrere dalla data nella quale lo stesso giudice
riceve comunicazione della cessazione dell’impedimento o comunque ne accerta la cessazione.
L’interrogatorio va documentato integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di
riproduzione fonografica o audiovisiva; ad esso può partecipare il pm e deve intervenir eil
difensore; ad entrambi va dato avviso della data del compimento dell’atto.
Il verbale dell’interrogatorio va depositato. Il verbale viene trasmesso al pm e i difensori hanno
diritto di prenderne visione ed estrarne copia. Quando la misura è stata disposta dalla Corte
d’assise o dal tribunale collegiale, all’interrogatorio procede il presidente o il giudice da lui
delegato.
Costituendo il primo momento di contatto della persona sottoposta misura cautelare con il
giudice, l’interrogatorio rappresenta pure il primo atto di controllo della sussistenza e della
permanenza delle esigenze cautelari e delle condizioni generali di applicabilità della misura
previste dagli artt. 273, 274 e 275. Il giudice deve pure verificare la sussistenza della condizione
relativa ai limiti di pena previsti per le misure coercitive e interdittive.
149
Sulla base dei risultati emersi il giudice può ordinare anche d’ufficio la revoca o la sostituzione
della misura disposta. Egli può anche disporre, se non è in grado di decidere allo stato degli atti,
accertamenti sulle condizioni di salute o sulle condizioni o qualità personali del soggetto
sottoposto alla misura.
L’art. 302 stabilisce la perdita di efficacia immediata della misura cautelare personale se
l’interrogatorio non si svolge entro i termini previsti nell’art. 294 commi 1 e 1-bis. La misura
cautelare dopo la liberazione del detenuto, può essere nuovamente disposta dal giudice, su
richiesta del pm e previo interrogatorio, quando continuano a sussisterne le condizioni generali di
applicabilità.
150
Ad una presunzione di compatibilità è ispirata la disposizione dell’art. 298 comma 2, laddove
esclude la sospensione della misura nel caso di pena espiata in regime di misure alternative alla
detenzione.
Una regola, infine, la c.d. “regola di congelamento” dei tempi dibattimentali, è fissata per
calcolare i termini della custodia cautelare. I giorni impiegati per le udienze e per la deliberazione
della sentenza emessa in primo grado o in sede di impugnazione vengono computati
esclusivamente ai fini ella durata complessiva prevista dal comma 4 dell’art. 303. Ciò vuol dire che
i tempi necessari per le udienze e per la deliberazione della sentenza non vengono per legge
calcolati nei termini di fase, giudizio di primo grado e giudizio di impugnazione, bensì soltanto nei
termini complessivi previsti dal comma 4 dell’art. 303; termini complessivi che possono peraltro
essere superati nel caso in cui sia intervenuto un provvedimento di sospensione per la complessità
del dibattimento o del giudizio abbreviato concernenti uno dei reati elencati nell’art. 407 comma2.
151
in stato di custodia cautelare o quando è richiesto della proroga del termine per le indagini
preliminari o dell’assunzione di incidente probatorio o quando procede all’udienza preliminare o al
giudizio”. Se la revoca o la sostituzione delle misure è richiesta dal pm o dall’imputato, il giudice
deve decidere con ordinanza, entro 5 giorni dal deposito della richiesta. Per il mancato rispetto del
termine la legge non prevede conseguenze definibili in termini di perdita di efficacia della misura.
Prima che il giudice decida, d’ufficio o su richiesta dell’imputato, deve acquisire il parere del pm,
che ha due giorni di tempo per rispondere. Nel caso di mancata risposta nel termine il giudice
provvede ugualmente.
Con la disposizione dell’art.299 comma 3-ter è pure attribuita al giudice la facoltà, prima di
provvedere, di assumere l’interrogatoria della persona sottoposta alle indagini. L’interrogatorio
diventa obbligatorio nel caso in cui l’istanza di revoca o di sostituzione delle misure coercitive o
interdittive sia basata su elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati.
Spetta in ogni caso al giudice il potere di disporre, in ogni stato e grado del procedimento, qualsiasi
accertamento che egli reputi opportuno per stabilire le condizioni di salute e altre qualità
personali del soggetto sottoposto alla misura. Per tali accertamenti l’art. 299 comma 4-ter
stabilisce modalità e termini. In primo luogo prevede che gli accertamenti stessi vengano svolti al
più presto e comunque non oltre 15 giorni dalla ricezione della richiesta. Se essa poi risulta
fondata sulle condizioni di salute indicate nell’art. 275 comma 4-bis o se tali condizioni siano state
segnalate dal servizio sanitario penitenziario o risultino in altro modo gli atti, è previsto in
particolare che nomini immediatamente e comunque non oltre il termine di 5 giorni, previsto dal
precedente comma 3, un perito che, tenuto conto del parere del medico penitenziario, deve
riferire entro 5 giorni dall’accertamento, ridotti a due in caso di urgenza.
L’ultima parte della disposizione in esame stabilisce la sospensione del decorso del termine di 5
giorni concesso al giudice per l’emanazione del provvedimento durante il periodo previsto dalla
legge per gli accertamenti.
11.L’estinzione delle misure per effetto della pronuncia della sentenza, della scadenza del
termine imposto per le esigenze probatorie e dell’omesso interrogatorio.
Le vicende estintive delle misure cautelari si differenziano da quelle di revoca per l’automatismo
dell’effetto che si ricollega al verificarsi dei fatti contemplati nelle varie previsioni normative.
Si tratta, di figure che tendono a garantire il diritto assoluto della persona sottoposta alla misura
cautelare di riacquistare lo stato di libertà in presenza di determinati eventi. Ciò non significa che
si possa prescindere da un provvedimento del giudice.
Le disposizioni degli artt. 300, 301 e 302 c.p.p. prevedono, rispettivamente, tre vicende estintive
delle misure:
1)PRONUNCIA DI UNA SENTENZA: riguarda il verificarsi di situazioni incompatibili con il protrarsi
della misura. Si può trattare un di una pronuncia liberatoria o di una sentenza di condanna.
Art. 300: “le misure perdono immediatamente efficacia se per il fatto per il quale sono state
applicate e nei confronti della stessa persona è disposta l’archiviazione o è pronunciata sentenza
di non luogo a procedere o di proscioglimento”.
Quando è emessa una sentenza di condanna le misure perdono di efficacia nella duplice ipotesi in
cui: a) la pena irrogata è dichiarata estinta o condizionalmente sospesa; b) la durata della custodia
già subita risulta uguale o superiore alla quantità di pena applicata.
Se la sentenza di condanna segue ad una di proscioglimento o di non luogo a procedere per lo
stesso fatto e nei confronti della medesima persona, il giudice può sottoporre il condannato ad
una misura coercitiva.
152
2)LA SCADENZA DEL TERMINE IMPOSTO PER LE ESIGENZE PROBATORIE: si riferisce alla garanzia
connessa alla fissazione di un termine di durata della misura disposta per finalità cautelari di
natura prettamente istruttoria. Stabilisce in proposito l’art. 301 che tale misura perde
immediatamente di efficacia se alla scadenza il termine non risulta rinnovato. La rinnovazione
risponde alla necessità di salvaguardare le esigenze del processo, soprattutto nell’ipotesi in cui la
complessità delle indagini non consente una predeterminazione sicura dei tempi di svolgimento
delle relative attività. Essa è concessa dal giudice con ordinanza, su richiesta del pm, sentito il
difensore della persona da assoggettare alla misura , e può essere disposta per più di una volta. Se
la custodia cautelare è disposta a tutela delle esigenze probatorie, la sua durata non può essere
superiore a 30 giorni, a meno che il giudice non abbia fissato un termine di durata inferiore. Tale
limitazione non si applica quando si tratta dei reati per il cui accertamento siano richieste
investigazioni particolarmente complesse per la molteplicità dei fatti e delle persone coinvolte o di
quelli per il cui accertamento sia richiesto il compimento di atti di indagine all’estero. Anche il
termine per la custodia cautelare in carcere può essere prorogata, su richiesta del pm e previo
interrogatorio dell’imputato, per non più di due volte ed entro il limite complessivo di 90 giorni
qualora il giudice ritenga fondate le ragioni che hanno impedito il compimento delle indagini per le
cui esigenze la misura era stata disposta.
3)OMESSO INTERROGATORIO DELLA PERSONA IN STATO DI CUSTODIA CAUTELARE: attua una
precisa direttiva della legge delega ed attiene all’omissione dell’interrogatorio della persona
sottoposta a custodia cautelare. La ratio della scarcerazione per il mancato interrogatorio è
soltanto quella di garantire all’imputato il diritto di difendersi in stato di libertà . soddisfatta questa
condizione, nessun impedimento sussiste alla remissione del provvedimento di custodia. Tale
remissione è possibile anche se l’imputato non si presenta senza addurre un giustificato motivo. Lo
stesso trattamento si applica alle misure cautelari personali coercitive non custodiali ed a quelle
interdittive.
12.L’estinzione della custodia cautelare per scadenza dei termini di durata massima.
Nell’ambito delle fattispecie estintive delle misure cautelari particolarmente rilievo assume il
decorso dei termini di durata massima della custodia cautelare come strumento diretto ad attuare
la garanzia imposta dall’ultimo comma art. 13 Cost., di fissare un limite insuperabile oltre il quale
le ragioni di libertà dell’imputato prevalgono sulle esigenze del processo.
Al raggiungimento dell’obiettivo di stabilire la caducazione automatica del titolo di custodia sono
preordinate le disposizioni degli artt. 303 ss. c.p.p. che definiscono una articolato e complesso
sistema di termini, sospensioni e proroghe.
I termini vanno computati secondo le regole generali stabilite nell’art. 172 c.p.p.: scadono nel
giorno corrispondente a quello del mese o dell’anno di inizio della misura. Essi sono fissati in modo
autonomo per ogni stato e grado del procedimento e con riferimento alle gravità del reato
misurata sulla base della quantità di pena astrattamente stabilita dalla legge.
Per comodità di lettura si possono distinguere:
A)TERMINI INTERMEDI: sono previsti, per entità e decorrenza, in collegamento con la fase delle
indagini preliminari e con il giudizio di primo grado e dei gradi successivi. Per ogni passaggio di fase
o grado comincia a decorrere il nuovo termine in maniera assolutamente indipendente da quello
fissato per la fase o per il grado precedente, salvo un aumento dei termini della fase
dibattimentale fino a sei mesi.
- Con riferimento alla fase delle indagini preliminari: è stabilita la caducazione del titolo d
custodia se non sia stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio o l’ordinanza con cui il
153
giudice dispone il giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 438 o non sia stata pronunciata la sentenza
di applicazione della pena su richiesta delle parti, entro tre mesi, sei mesi o un anno quando si
procede per un delitto per il quale la legge stabilisce come massimo la pena, rispettivamente, fino
a sei anni, superiore a sei anni, o non inferiore a 20 anni o l’ergastolo o, quando si tratta dei delitti
di cui all’art. 407 comma 2,superiore a sei anni.
- Con riferimento al giudizio di primo grado: la caducazione del titolo è disposta se non sia stata
pronunciata la sentenza di condanna nei termini di sei mesi, di un anno o di un anno e sei mesi,
quando di procede per un delitto per il quale è stabilita, come massimo, la pena fino a sei anni,
superiore a sei anni e fino a 20 anni, superiore a vent’anni o la pena dell’ergastolo.
- Con riferimento al giudizio abbreviato: l’effetto caducatorio del titolo custodiale si determina se
dall’emissione dell’ordinanza con cui il giudice dispone il giudizio abbreviato o dalla sopravvenuta
esecuzione della custodia sono decorsi i seguenti termini senza che sia stata pronunciata sentenza
di condanna:
tre mesi quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della
reclusione non superiore nel massimo a sei anni;
sei mesi quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione
non superiore nel massimo a 20 anni;
nove mesi quando si procede per un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo
o la pena della reclusione superiore nel massimo a 20 anni.
-Con riferimento al giudizio di appello: sono fissati come termini di caducazione del titolo, in
relazione alla mancata pronuncia della sentenza di condanna in grado di appelli, nove mesi, un
anno, un anno e sei mesi, quando la sentenza di primo grado ha applicato la pena,
rispettivamente, fino a tre anni, a dieci anni e superiore a dieci anni o l’ergastolo.
- Con riferimento al periodo successivo alla sentenza di condanna in grado di appello e fino al
raggiungimento della sua irrevocabilità: valgono gli stessi termini di cui al punto precedente. Se
però vi è stata condanna in primo grado oppure l’impugnazione è stata proposta soltanto dal pm,
si applicano esclusivamente i termini di durata complessiva di cui al comma 4 dell’art. 303. Nel
caso in cui un procedimento a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di
cassazione o per altra causa sia rinviato ad altro giudice o regredisca a una fase o a un grado di
giudizi diversi, dalla data del provvedimento che dispone il rinvio o il regresso o dalla sopravvenuta
esecuzione della custodia ricominciano a decorrere i termini suindicati per la fase o per il grado in
cui il procedimento viene a trovarsi. Ciò significa che è esclusa qualsiasi possibilità di recupero per i
termini intermedi di custodia sofferti precedentemente al rinvio o al regresso. È, invece, previsto il
recupero dei periodi di custodia cautelare sofferti in fasi o in gradi diversi dalla fase o dal grado in
cui il procedimento è regredito ai fini del computo del termine finale.
I termini intermedi valgono non solo quando la custodia cautelare sia stata sofferta in Italia, ma
anche quando essa sia stata sofferta all’estero, in esecuzione del mandato d’arresto europeo.
Tutti i termini intermedi prima che vengono a scadere possono essere prorogati: la proroga è
disposta con ordinanza del giudice, su richiesta del pm e sentito il difensore, in due casi:
a) quando in ogni stato e grado del procedimento è disposta perizia sulle condizioni di mente
dell’imputato i termini sono prorogati per il periodo di tempo assegnato per l’espletamento
della perizia e l’ordinanza e ricorribile in Cassazione nelle forme previste dall’art. 311.
b) quando, nel corso delle indagini preliminari, sussistono gravi esigenze cautelari che rapportate
alla particolare complessità degli accertamenti o a nuove indagini rendano indispensabile il
protrarsi della custodia in mancanza di un parametro stabilito dalla legge, è il giudice che fissa
discrezionalmente il periodo di proroga in considerazione della necessità prospettata dal pm in
154
contraddittorio con il difensore. La proroga può essere rinnovata una sola volta, ma in ogni caso i
termini ordinari previsti non possono essere superati di oltre la metà. L’ordinanza è appellabile.
B)TERMINI COMPLESSIVI: sulla base dell’art. 303 comma 4, la somma totale dei periodi di
custodia cautelare non può superare i due anni, quattro anni o sei anni secondo che si proceda per
un delitto per il quale la legge stabilisce, rispettivamente, la pena della reclusione non superiore
nel massimo a sei anni, a 20 anno o la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo
a 20 anni.
Nel calcolo della durata complessiva della custodia vanno computati sia le eventuali proroghe, sia i
tempi impiegati per le udienze e per la deliberazione della sentenza nel giudizio di primo grado e
nel giudizio sulle impugnazioni; tempi che normalmente non vengono calcolati per i termini
intermedi di durata della custodia cautelare. Non rientrano nel computo dei termini di durata
massima della custodia i periodi di tempo in cui opera la sospensione.
I termini, previsti dall’art. 303, possono essere sospesi:
1)per il tempo in cui il dibattimento è sospeso o rinviato:
per impedimento dell’imputato o del suo difensore;
su richiesta del’imputato o del suo difensore, e sempre che la sospensione o il rinvio non stati
determinati da motivi di acquisizione probatoria o di connessione di termini a difesa;
a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della mancata partecipazione di
uno o più difensori che rendono privo di assistenza uno o più imputati;
durante la pendenza dei termini stabiliti dall’art. 544 comma 2 e 3.
2) nel giudizi abbreviato, durante il tempo in cui l’udienza è sospesa o rinviata per taluno dei casi
sopra menzionati.
3) per il tempo in cui siano tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o
nel giudizio sulle impugnazioni, quando si tratta di dibattimenti o di giudizi abbreviati
particolarmente complessi per qualcuno dei reati elencati dall’art. 407 comma 2. In quest’ultimo
caso la sospensione è disposta a richiesta del pm.
C)TERMINI FINALI: art. 304 comma 4 “la durata della custodia non può superare i due terzi del
massimo della pena temporanea prevista per il reato contestato o ritenuto in sentenza. A tal fine
la pena dell’ergastolo è equiparata alla pena massima temporanea”. Si trattava di un limite
assoluto, non dilatabile né da proroghe, né da sospensioni e neanche da decorrenze ex novo, che
consacrava un principio di proporzionalità tra custodia e pena, certamente più idoneo a porre
l’imputato al riparo dai rischi di una dissimulata custodia senza termini e sostanzialmente più
rispettoso della prescrizione di garanzia dettata dall’ultimo comma dell’art. 13 Cost.
Il legislatore del 1995 con la legge n. 332, ritenendo troppo lungo detto termine, ha dettato, con le
disposizioni dei commi 6 e 7, una nuova disciplina dei limiti massimi di custodia cautelare. Con la
prima disposizione ha commisurato i nuovi termini ne doppio di quelli intermedi previsti dall’art.
301 commi 1,2 e 3 c.p.p., senza che si tenga conto però dell’ulteriore termine previsto dall’art. 303
commi 1 e 3-bis, e nell’aumento della metà di quelli complessivi salvo i vecchi limiti dei due terzi
del massimo della pena risultino più favorevoli all’imputato.
Nel computo di tali termini, dispone il comma 7, non si tiene conto del tempo in cui il dibattimento
rimane sospeso o rinviato a causa della mancata presentazione, dell’allontanamento o della
mancata partecipazione di uno o più difensori. La sospensione non opera per i termini relativi alla
durata complessiva della custodia cautelare.
155
13.La liberazione dell’imputato e decorrenza dei termini e i provvedimenti conseguiti.
Con la scadenza dei termini massimi di custodia cautelare l’imputato riacquista automaticamente
il diritto alla rimessione in libertà.
Art. 306 c.p.p.: “nel caso in cui il titolo di custodia perda efficacia il giudice deve disporre
l’immediata liberazione della persona sottoposta alla misura”.
È irrilevante la fase o il grado in cui è pervenuto il processo nel momento della pronuncia
dell’ordinanza di liberazione. Una volta che si sia verificata la caducazione del titolo di custodia per
scadenza del termine massimo relativo ad un determinato stato o grado processuale, il passaggio
ad uno stato o grado successivo non innesca il meccanismo del decorso del nuovo termine, ma
lascia permanere la situazione di carenza di legittimazione della custodia e di dovere del giudice di
rimettere in libertà l’imputato.
Nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini, l’art. 307, consente al giudice di
disporre le altre misure cautelari di cui decorrono i presupposti, qualora ritenga che permangono
le condizioni e le esigenze che avevano determinato il provvedimento di custodia cautelare. Ciò
significa che la persona liberata per decorrenza dei termini massimi di custodia cautelare può
essere sottoposta ad una o più misure cautelari diverse dalla custodia in carcere e dagli arresti
domiciliari, se ne ricorrono le condizioni. Pure la stessa custodia cautelare può essere ripristinata
quando sopraggiungono fatti nuovi che la rendano indispensabile in base ai criteri generali fissati
nell’art. 275. Secondo la disposizione del comma2 dell’art. 307, i fatti nuovi che possono
consentire al giudice di disporre la custodia cautelare sono i seguenti:
a) se l’imputato dolosamente trasgredisce le prescrizioni inerenti alla misura imposta in
sostituzione della custodia cautelare che ha perduto efficacia per scadenza del termine di durata
massima e sempre che risulti qualcuna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274;
b) se intervenuta sentenza di condanna di primo grado o di secondo grado; risulti, cioè, che
l’imputato si sia dato alla fuga o sussiste un concreto pericolo che vi si dia, pericolo che non può
essere desunto dalla sola gravità della pena inflitta con la sentenza, ma va accertato in concreto, e
perciò con riferimento a elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso
specifico, la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce, senza che sia necessaria
l’attualità dei suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o anche solo a un tentativo di fuga.
Per consentire una risposta di coercizione immediata nei confronti dell’imputato che approfitti
dell’affievolimento della misura per darsi alla fuga, l’art. 307 comma 4 prevede una particolare
figura di fermo di polizia giudiziaria. Le condizioni sono:
- che si tratti di persona liberata per scadenza dei termini di custodia cautelare a cui sia stata
applicata una misura in via sostitutiva;
- che tale persona abbia violato le prescrizioni imposte o ricorra l’ipotesi prevista dal comma 2;
- che risulti il tentativo di fuga.
La disposizione in esame, per un verso, esige qualcosa in più del semplice “pericolo di fuga”, per
un altro verso, non richiede né l’accertamento dei gravi indizi di realtà né le limitazioni di pena
applicabili al delitto per il quale si procede.
Le modalità e le garanzie del procedimento di convalida sono quelle ordinarie previste dalle
disposizioni sul fermo di indiziati di delitto. Il giudice per le indagini preliminari, su richiesta del pm,
può anche disporre con il provvedimento di convalida la misura della custodia cautelare quando
ritiene che “ne ricorrono le condizioni”. Se il giudice per le indagini preliminari del luogo dove il
fermo è stato eseguito non è il giudice competente in base alle regole generali, gli atti vanno
trasmessi a quello competente e la misura disposta cessa di avere effetto se, entro 20 giorni
dall’ordinanza, il giudice competente non provvede.
156
14.L’estinzione delle misure diverse dalla custodia cautelare per decorrenza dei termini di
durata massima.
La disciplina della decorrenza dei termini massimi della custodia cautelare rappresenta pure un
parametro per la determinazione dei tempi di durata relativi alle misure diverse dalla custodia.
L’art. 308 distingue tra misure coercitive e misure interdittive.
Misure coercitive esso stabilisce un raccordo integrale con tutte le modalità e gli effetti del
decorso dei termini previsti dall’art. 303 per la custodia cautelare, disponendo semplicemente che
le misure coercitive diverse dalla custodia perdono efficacia quando è trascorso un periodo di
tempo pari al doppio dei termini previsti dall’art. 303. Tranne, dunque, la diversità di estensione
temporale, la disciplina dei termini della custodia cautelare si applica completamente a tutte le
altre misure coercitive.
misure interattive il comma 2 dell’art. 308 stabilisce come regola generale la perdita di
efficacia con il decorso del termine di due mesi dall’inizio della loro esecuzione. Il particolare
prevede che in caso di misure disposte per esigenze probatorie il giudice può disporre la
rinnovazione fino al limite massimo fissato nel comma 1 per le misure coercitiva: cioè, il decorso di
un periodo di tempo pari al doppio dei termini di durata massima della custodia cautelare.
Alla scadenza dei termini la persona sottoposta alla misura interdittiva riacquista
automaticamente il diritto all’esercizio pieno delle proprie facoltà e il giudice deve disporre con
ordinanza tutti i provvedimenti che ritiene necessari per determinare l’immediata cessazione della
misura stessa.
15.I mezzi d’impugnazione dei provvedimenti cautelari personali: il riesame delle misure
coercitive.
Le ordinanze che decidono su una misura cautelare personale possono essere impugnate
mediante:
Riesame è previsto soltanto contro i provvedimenti che dispongono le misure coercitive ed è
riservato esclusivamente all’imputato e al suo difensore.
Appello è stabilito nei confronti di tutti i provvedimenti emessi in materia di misure cautelari
personali ed è connesso sia all’imputato e al suo difensore sia al pm.
Ricorso per cassazione è normalmente diretto contro le decisioni emesse in sede di riesame o
d’appello, ma può essere proposto dall’imputato e dal suo difensore anche direttamente,
“saltando” il riesame contro il provvedimento che dispone ma misura coercitiva (ricorso per
saltum).
Il riesame (art. 309) può essere richiesto anche per il merito, entro 10 giorni dall’esecuzione o
dalla notificazione del provvedimento con cui viene disposta la misura coercitiva, salvo che il
provvedimento stesso sia stato emesso in sede di appello su impugnazione proposta dal pm. Se
l’imputato è latitante il termine decorre dalla consegna della copia al difensore. Quando
l’esecuzione della misura sopravviene, la decorrenza del termine resta fissata a tale momento se
l’imputato prova di non aver avuto tempestiva conoscenza del provvedimento.
Per il difensore la legge prevede un autonomo potere di richiesta di riesame che va esercitato
sempre entro i 10 giorni dalla notifica dell’avviso di deposito dell’ordinanza che dispone la misura.
La richiesta, che può contenere i motivi, ma può essere anche immotivata, va presentata
all’organo competente a decidere su di essa: il tribunale, in composizione collegiale, del luogo
dove ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello nella cui
circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha disposto la misura, designato nella pratica
forense come “tribunale della libertà”.
157
Il presidente ne fa dare immediato avviso all’autorità procedente, la quale, entro il giorno
successivo e comunque non oltre il quinto giorno, trasmette gli atti che il pm aveva presentato a
fondamento della richiesta della misura cautelare, nonché tutti gli elementi sopravvenuti a favore
della persona sottoposta alla misura. Il pm può presentare anche elementi sopravvenuti a sfavore
dell’indagato raccolti dopo l’emissione dell’ordinanza custodiale. Il termine previsto per il suddetto
adempimento deve ritenersi decorrente dal giorno stesso della presentazione della richiesta di
riesame.
La prescrizione degli atti che vanno a costituire il fascicolo del tribunale della libertà serve, da un
lato, a delimitare il terreno probatorio sul quale si appunta il contraddittorio, dall’altro, ad evitare
di costringere il pm ad una anticipata discovery nel corso delle indagini preliminari.
PROCEDIMENTO
Il procedimento si svolge secondo le forme previste dall’art. 127 c.p.p.
Il presidente fissa la data dell’udienza e ne fa dare avviso, almeno 3 giorni prima, al pm,
all’imputato e al suo difensore. L’inosservanza di tale termine produce una nullità generale a
regime intermedio che impone la rinnovazione dell’atto.
L’udienza viene tenuta senza la presenza del pubblico. Prima dell’inizio della discussione, chi ha
proposto la richiesta può enunciare anche motivi nuovi davanti al giudice del riesame, facendoli
risultare nel verbale di udienza.
Art. 309 comma 8: “fino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria, con facoltà
per il difensore di esaminarli e di estrarne copia”. È consenti che all’udienza partecipi il pm che ha
richiesto la misura anziché quello presso il tribunale della libertà. Entro il termine di 10 giorni dalla
ricezione degli atti, dispone l’art. 309 comma 9, il tribunale deve emettere la decisione.
Essa può essere:
a) d’inammissibilità della richiesta, se questa si presenta viziata per inosservanza di requisiti,
soggettivi e oggettivi, di forme e di termini previsti specificamente dalla legge come condizioni
leggittimatrici del giudizio di merito;
b) di annullamento dell’ordinanza, che dispone la misura, se risultano vizi di legittimità attinenti
ai presupposti e alla forma del provvedimento impugnato che ne impongono la dichiarazione
di nullità;
c) di conferma o di riforma della suddetta ordinanza, se valutati i risultati probatori acquisiti nel
procedimento di riesame, nella prospettiva di un bilanciamento tra le esigenze cautelari e i
criteri di adeguatezza e proporzionalità previsti in generale per l’emissione del provvedimento
restrittivo, appare più appropriato mantenere, modificare o revocare la misura applicata.
Per rimanere la natura di “mezzo di gravame” assolutamente devolutivo del riesame, la legge
stabilisce espressamente che il giudice nell’esprimere il proprio convincimento può tener conto:
- nel caso di annullamento o di riforma favorevole all’imputato, anche di motivi diversi da quelli
enunciati dalla parte;
- nel caso di conferma, anche di ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del
provvedimento che ordina la misura, con la conseguenza che la motivazione dell’ordinanza del
tribunale della libertà integra e completa l’eventuale carenza di quella del giudice per le indagini
preliminari ed allo stesso modo la motivazione insufficiente del giudice del riesame ben può
ritenersi integrata da quella del provvedimento impugnato.
La disposizione in verità lascia sommerso un punto fondamentale.
Dalla formulazione della norma che disegna l’ambito dei poteri di decisione del giudice del riesame
non emerge con sufficiente chiarezza il divieto di modificare il contenuto della misura cautelare in
158
senso più sfavorevole all’imputato. anzi, la proposizione linguistica afferma che il tribunale può
annullare il provvedimento impugnato o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per
motivi diversi da quelli enunciati, lasciando cos’ intendere che sussisterebbe pure la possibilità di
uno spazio per una decisione sfavorevole purché non fondata su motivi diversi.
Il dubbio può essere superato o facendo riferimento all’applicazione analogica del principio del
divieto di reformatio in peius per l’appello del solo imputato, o interpretando la proposizione
sopra riportata nel senso di norma di specificazione del contenuto del provvedimento modificativo
adottabile dal giudice del riesame; nel senso, cioè, di disposizione che precisa il tipo di
provvedimento che il giudice può emettere quando non ritenga di confermare il provvedimento
coercitivo: può annullarlo o riformarlo in senso favorevole all’imputato anche per motivi diversi.
L’ultima comma dell’art. 309, stabilisce che se l’autorità giudiziaria procedente non trasmette gli
atti entro i 5 giorni previsti nel coma 5 dell’articolo in esame o se la decisione di riesame non
interviene nel termine prescritto di 10 giorni, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde
efficacia.
L’effetto caducatorio della misura conseguente al mancato adempimento della trasmissione degli
atti al Tribunale entro il termine di 5 giorni previsto nel comma 5, si realizzerebbe quando entro il
suddetto termine gli atti non siano pervenuti al tribunale medesimo.
Per quanto riguarda il termine di 10 giorni, il riferimento è alla data della deliberazione del
provvedimento da parte del tribunale del riesame attestata dal deposito in cancelleria del
dispositivo e non alla data di deposito dell’ordinanza completa di tutti i suoi elementi e quindi
anche della motivazione.
A norma dell’art. 101, poi, la data da cui comincia a decorrere il termine può subire spostamenti
nelle due situazioni previste nei commi 3 e 4 dell’art. 127 c.p.p.
Comma 3: si verifica quando l’imputato che ha deciso di essere sentito personalmente si trova
detenuto o internato in un luogo posto fuori dal circondario del tribunale competente. In tal caso,
il magistrato di sorveglianza “senza ritardo assume le dichiarazioni dell’imputato, previo
tempestivo avviso al difensore, e trasmette gli atti al tribunale con il mezzo più celere”. Dal
momento in cui gli atti pervengono al tribunale comincia a decorrere il termine per la decisione.
Comma 4: si verifica quando l’imputato che ha avanzato la richiesta di essere sentito sia detenuto
nel luogo ove ha sede il tribunale e l’udienza sia rinviata per un legittimo impedimento
dell’imputato stesso. In tal caso, il termine decorre nuovamente dalla data in cui il giudice ha
notizia della cessazione dell’impedimento.
159
L’identità sia dell’organo, che è chiamato a decidere sull’impugnazione, sia dei termini e delle
forme di questa può tornare utile negli eventuali errori di intitolazione commessi dalle parti, al fine
di consentire l’applicazione della regola generale prevista dall’art. 568 comma 5: “l’impugnazione
è ammissibile indipendentemente dalla qualificazione ad essa data dalla parte che l’ha proposta”.
Anche le modalità di svolgimento del procedimento di appello sono simili a quelle del riesame.
Sono previsti:
l’avviso immediato all’autorità giudiziaria procedente che deve trasmettere al tribunale, entro
il girono successivo, l’ordinanza appellata e gli atti su cui essa si fonda;
il deposito degli atti in cancelleria fino al giorno dell’udienza, con facoltà attribuita al difensore
di ottenere copia;
il rinvio alle forme dettate dall’art. 127;
il termine d 20 giorni dal ricevimento degli atti per la pronuncia della decisione.
Per il resto valgono le norme generali stabilite per il giudizio di appello, ivi compresa quella
concernente l’effetto devolutivo che limita la cognizione del giudice dell’impugnazione ai punti
della decisione investiti dai motivi proposti.
Contro le decisioni emesse in sede di riesame e in sede di appello è proponibile ricorso per
cassazione, entro il termine di 10 giorni decorrenti dalla comunicazione o dalla notificazione
dell’avviso di deposito del provvedimento impugnato.
La presentazione del ricorso non sospende, in via generale, l’esecuzione della decisione che
dispone in ordine alla applicazione della misura. Il rinvio al rito camerale di cui all’art. 127, rende
applicabile la regola stabilita dal comma 8 dello stesso articolo: “il ricorso non sospende
l’esecuzione dell’ordinanza”.
In deroga, però, a questa regola vigente per le decisioni camerali, il comma 3 dell’art. 310 detta
una disposizione ispirata da favor libertatis: “l’esecuzione della decisione con la quale il tribunale,
accogliendo l’appello del pm, dispone una misura cautelare è sospesa fino a che la decisione non
sia divenuta definitiva”.
Legittimati alla presentazione del ricorso sono l’imputato, il suo difensore e il pm, che ha richiesto
l’applicazione della misura o che ha sede presso il tribunale del riesame. Ne resta escluso il
procuratore generale presso la Corte di appello, salvo che sia stato egli stesso a chiedere
l’applicazione della misura cautelare. Soltanto ai primi due soggetti è attribuito anche il diritto di
proporre, in sostituzione del riesame, ricorso per violazione di legge contro l’ordinanza che
dispone una misura coercitiva.
L’utilità di tale ricorso per saltum può essere intravista in una scelta difensiva diretta ad evitare il
sindacato di merito, e quindi i relativi poteri integrativi, del tribunale della libertà e ad investire
direttamente la Corte di cassazione al fine di poter ottenere un più proficuo controllo dei vizi di
legittimità, soprattutto della motivazione.
La proposizione del ricorso per saltum è causa d’inammissibilità della richiesta di riesame.
A differenza dei due precedenti rimedi, che prevedono la presentazione della domanda nella
cancelleria del giudice dell’impugnazione, il ricorso va proposto invece nella cancelleria del giudice
che ha emesso la decisione o, nel caso di ricorso per saltum, in quella del giudice che ha emesso
l’ordinanza che dispone la misura coercitiva. Insieme al ricorso vanno contestualmente depositati i
motivi.
Anche per il procedimento in Cassazione, come per il riesame e per l’appello, è stabilito il rinvio al
rito camerale disciplinato dall’art. 127 c.p.p. La previsione dell’udienza, gli avvisi alle parti della
data in cui essa si svolgerà, richiesti da tale rito, e la possibilità concessa al ricorrente di enunciare
160
nuovi motivi prima dell’inizio della discussione, a norma del comma 4 dell’art. 311, assicurano la
pienezza del contraddittorio.
La Corte deve decidere entro 30 giorni dalla ricezione degli atti da parte dell’autorità giudiziaria
procedente.
Come per l’appello, anche per il ricorso in Cassazione la scadenza del termine fissato per emettere
la decisione non comporta alcuna sanzione di carattere processuale.
161
tale ipotesi è posto dalla legge a parametro dell’ingiustizia della custodia, sempre che però,
l’imputato non vi abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave.
Su tale impianto normativo è intervenuta la Corte costituzionale, la quale, pronunciandosi sull’art.
314 nella parte in cui condiziona espressamente il rimedio della riparazione alla circostanza che
l’imputato sia stato prosciolto nel merito dalle impugnazioni, ne ha dichiarato l’illegittimità. E ciò
perché, spiega la Corte, se un sacrificio della libertà personale vi è stato durante la fase della
custodia cautelare, il meccanismo solidaristico della riparazione non può che attivarsi anche per
tale caso, quale che sia stato l’esito del giudizio, e pertanto anche ove sia mancato il
proscioglimento nel merito. Ove la durata della custodia cautelare abbia ecceduto la pena
successivamente irrogata in via definitiva, l’ordinamento ha imposto al reo un sacrificio
direttamente incidente sulla libertà che travalica il grado di responsabilità personale. La sentenza,
però, ha per oggetto la sola ipotesi in cui la pena definitivamente inflitta all’imputato, o oggetto di
una preclusione processuale che la sottragga a riforma nei successivi gradi di giudizio, risulti
inferiore al periodo di custodia cautelare sofferto. Resta, quindi, escluso il riconoscimento
dell’indennizzo in fattispecie nelle quali la mancata corrispondenza tra detenzione cautelare e
pena eseguita o eseguibile consegua a vicende posteriori, connesse al reato o alla pena.
Situazioni formali (art. 314 comma 2) laddove si fa riferimento esclusivamente all’illegittimità
del provvedimento di custodia, a prescindere dal risultato finale di proscioglimento o di condanna
all’imputato. Il diritto alla riparazione, in questo caso, spetta dunque a chi, anche condannato,
risulta, da decisione irrevocabile, che sia stato sottoposto a custodia cautelare senza che
sussistessero o permanessero le condizioni di applicabilità.
Nelle due situazioni, il diritto alla riparazione spetta anche a quelle persone nei cui confronti sia
stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere ovvero sia stato emesso il provvedimento di
archiviazione. Se quest’ultimo tipo di provvedimento è stato disposto per morte del reo, il diritto
alla riparazione opera anche in favore degli eredi dell’indagato, ma soltanto qualora nella sentenza
irrevocabile di assoluzione pronunciata nei confronti dei coimputati risulti l’insussistenza del fatto
a lui addebitato.
Per effetto di due pronunce della Corte costituzionale, l’istituto della riparazione per ingiusta
detenzione deve ritenersi operante:
- per la sentenza 310/1996: anche per la detenzione ingiustamente patita a causa di erroneo
ordine di esecuzione;
- per la sentenza 109/1999: per la detenzione subita a causa di arresto in flagranza o di fermo di
indiziato di delitto.
Quindi, tale istituto opera in presenza di una oggettiva lesione della libertà personale, comunque
ingiusta alla stregua di una valutazione ex post: ciò accade, più in particolare, nel caso in cui vi sia
stata un’ingiusta detenzione in esecuzione di un ordine di carcerazione inizialmente legittimo ma
che andava revocato.
Per quanto riguarda le forme del procedimento, l’art. 102 c.p.p. dispone che la domanda va
presentata nella cancelleria della corte d’appello nei cui distretto è stato emesso il provvedimento
di archiviazione o è stata pronunciata la sentenza che ha definito il procedimento. Se la sentenza
è stata emessa dalla Corte di cassazione, è competente la corte d’appello nel cui distretto è stata
pronunciata la decisione impugnata.
Il termine massimo, previsto a pena di inammissibilità, è di due anni dal giorno in cui la sentenza di
proscioglimento o di condanna è divenuta irrevocabile, la sentenza di non luogo a procedere è
divenuta inoppugnabile o è stata effettuata la notificazione del provvedimento di archiviazione alla
persona nei cui confronti è stato pronunciato.
162
La misura della riparazione è rimessa alla valutazione discrezionale del giudice competente, con un
limite massimo elevato dalla originaria somma di lire cento milioni a un miliardo
Per tutto ciò che non viene espressamente previsto è fatto rinvio alla disciplina sulla riparazione
dell’errore giudiziario.
Art. 102-bis c.p.p.: la registrazione nel posto di lavoro della persona licenziata a causa della sua
sottoposizione ad una misura di custodia cautelare, qualora venga pronunciata in suo favore
sentenza di assoluzione, di proscioglimento o di non luogo a procedere ovvero venga emesso
provvedimento di archiviazione.
163