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Procedura Penale - Tonini

Diritto Processuale Penale


Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli
186 pag.

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Procedura penale – Tonini

Parte Prima, Evoluzione Storica del Processo Penale – Le fonti (nelle sole parti affrontate al corso)

Sulla base di quanto inteso da Califano per procedura civile, quando si parla di procedura penale si allude ad un
insieme di regole per l’esercizio della giurisdizione penale. Ci viene quindi da chiedere cosa siano le regole, il
motivo per cui vengono create: le regole sono uno strumento di reazione al crimine, vengono quindi create, sulla
base di un interesse sociale, per porre un argine e comportamenti ad esso assimilabili. Altro interrogativo
riguarda il processo penale, o meglio il suo scopo. Questo processo regola i poteri, non i diritti, ed il suo scopo,
almeno da quanto deducibile da “il mistero del processo”, pur essendocene in astratto molteplici, è rivestito
dagli atti in cui si concretizza l’azione; ma sostanzialmente cosa intendiamo? Sicuramente lo scopo non è quello
di cercare la verità intesa in senso assoluto, né tanto meno in senso storico; paradossalmente nemmeno quello
di sancire il “giusto”. Per riprendere le parole riportate ne “Il mistero del processo penale”, di fatto non ha
scopo, se proprio vogliamo trovarlo dobbiamo dire che ha uno di per sé. Il processo penale è uno di quelli in cui
si risente di più la crisi della giustizia: un problema da sempre in atto nel nostro paese, essendoci in esso una
forte conflittualità tra le parti che lo compongono, oltre alle sempre nuove situazioni culturali che
inevitabilmente condizionano l’esercizio della giurisdizione. Importante da analizzare è il rapporto che intercorre
tra diritto processo e sicurezza, in quanto tale nesso regola l’ordinamento. In primis dobbiamo dire che il diritto
rappresenta la forma democratica per il controllo sociale, mentre il processo è un luogo di accertamento del
fatto e tende alla individuazione della responsabilità dell’autore di quel determinato fatto: si tratta di due
concetti che esistono e funzionano in base alla comunità, o meglio in base alla percezione che questa ha della
sicurezza, concetto legato da un rapporto di strumentalità reciproca con quello di efficienza (come deducibile
dall’uso che si è fatto del decreto sicurezza emanato qualche anno fa in risposta all’attività criminosa che vedeva
protagoniste persone straniere, perlopiù di nazionalità rumena). Questo rapporto si è manifestato nel corso del
tempo in diversi modelli processuali, dei contenitori globali caratterizzati da una certa duttilità a seconda dei
casi:

1. Sistema Inquisitorio, caratterizzato dalla presenza di due principi strumentali l’uno rispetto all’altro: il
principio di autorità, in virtù del quale l’accertamento della verità si realizza conferendo potere al
giudice, ed il principio di cumulo delle azioni processuali, in virtù del quale c’è una c.d. confusione,
confluendo in un unico soggetto, ovviamente il giudice. Messi insieme questi principi possiamo rilevare
delle caratteristiche che avrà il processo basato su questo modello: esso sarà avviato dal giudice in
seguito alla la richiesta d’ufficio del pubblico ministero; anche la ricerca delle prove avverrà d’ufficio ad
opera del giudice, senza alcun limite alla loro ammissibilità; si svolgerà in segreto e per iscritto, sulla
base delle dichiarazioni verbalizzate, ed il soggetto imputato non solo verrà inteso quale “presunto”
colpevole (non innocente fino a prova contraria), ma sarà soggetto anche a carcerazione preventiva. È
un modello le cui caratteristiche sono immutabili nel tempo.
2. Accusatorio, si fonda invece sul principio dialettico, del contraddittorio, prevedendo quindi uno scontro
tra le parti per accertare la verità, difatti al suo interno almeno in generale, si analizzano le prove
ricercate dalle parti assieme al giudice. Ancora, per quanto riguarda le caratteristiche, queste sono
invece mutabili nel tempo: tra queste ricordiamo prima di tutto che esso inizia stavolta per iniziativa di
parte, si svolge oralmente e sussiste un principio di separazione delle funzioni (accusa e difesa) delle
azioni oltre che delle fasi; l’imputato è presunto innocente e per questi è prevista, solo in via
eccezionale, la carcerazione preventiva.
3. Misto, raccoglie caratteristiche comuni ad entrambi i modelli poc’anzi analizzati. Il legislatore sceglie poi
quale dei modelli utilizzare in base al caso in esame.

Il codice del 1988 rappresenta il primo nuovo codice di procedura penale: esso, rispetto a quello del ‘30, si
presenta in maniera più articolata e dettagliata, ancor di più in seguito alle varie modifiche fatte verso la fine
degli anni 90 (fondamentale é la legge Carotti del 1999) che ne hanno modificato addirittura la struttura. Il
codice nasce con una caratteristica di fondo che richiama i principi accusatori, oggi la cosa è cambiata, è
difficile trovare un’unica traccia che prosegua per tutto lo scritto considerato che il legislatore è stato
costretto in seguito ai cambiamenti intercorsi a passare da un modello all’altro. Nonostante ciò, in un’ottica
generale possiamo però dire che il modello a cui il nostro codice tende è quello accusatorio, espressione di
un regime politico garantista, essendo ora infatti l’interesse di fondo quello di accertare il fatto, per poi
determinare la responsabilità di un soggetto. Così facendo si supera definitivamente il modello inquisitorio a
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cui era vocato codice del ‘30, riflesso di un regime totalitario, che aveva già avuto un’iniziale battuta
d’arresto con l’avvento della costituzione; il modello inquisitorio era infatti generalmente riconosciuto nel
lasso di tempo intercorso tra il 1930 e il 1988, quando poi è stato tramutato in accusatorio. Fu una svolta
epocale, ma allo stesso tempo traumatica sotto diversi aspetti, infatti il nuovo codice fu costretto ad
affrontare diversi problemi: di natura teorica, organizzativa e psicologica.

1. Il primo problema era di natura teorica. Il legislatore assume un modello accusatorio puro, totalmente
opposto a quello inquisitorio: provvede infatti non solo a riconoscere una serie di garanzie mediante il
principio di oralità ed immediatezza, ma afferma anche l’inutilizzabilità a titolo di prove delle attività e/o
dichiarazioni rese prima del dibattimento, e quindi durante le indagini preliminari (e pertanto
esclusivamente in esse non é necessario contraddittorio), ciò ne comporterebbe quindi la loro perdita e
la conseguente messa un discussione dei principi cardine di questo modello. Il problema è quindi
evidente: verificandosi ciò, desumiamo che l’idea di modello accusatorio puro, comportando
necessariamente i principi di oralità e immediatezza, è così rigida da poter funzionare effettivamente
solo in via teorica e non nella pratica, per questo la prof. Bene definisce la visione del modello
processuale accusatorio come di tipo teorico.
2. Il secondo problema è più banale ed è di tipo organizzativo: la mancanza di strutture attrezzate ci ha
accompagnato per un ventennio e con il codice si vuole risolverla, garantendo una nuova operatività
all’apparato organizzativo.
3. Terzo ed ultimo problema si pone dal punto di vista psicologico: gli avvocati e i magistrati avevano fino
all’88 affrontato il processo con una mentalità inquisitoria, che fu dovuta mettere da parte per
accoglierne un’altra di natura accusatoria tutto ad un tratto. Essi non poterono evitare di accorgersi che
ciò comportasse per loro anche una perdita di potere: non fu facile per loro abituarsi, specialmente per
quanto riguardava la categoria degli avvocati, i quali non erano più solo il difensori, ma assunsero anche
una nuova funzione di natura investigativa, avente lo scopo di raccogliere prove a favore del suo
assistito.

Il codice dell’88 venne emanato l’anno successivo sulla base dei principi e dei criteri riportati nella legge
delega n.81 dell’87, fondamentalmente riportati all’art. 2 (Il c.p.p. deve attuare i principi della Costituzione e
adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al
processo penale ed inoltre deve attuare in esso i caratteri del sistema accusatorio, secondo 105 principi ed i
criteri elencati) da cui tra l’altro possiamo dedurre anche cosa si intenda per “accusatorio”: massima
semplificazione del processo, applicazione del metodo orale, partecipazione dell’accusa e della difesa su basi
di parità in ogni stato e grado del procedimento. Questi principi, pur essendo fondamentali, in seguito a
eventi gravi ed eclatanti, sono stati modificati negli anni a venire, nel tentativo di rispondere a questi
attacchi esterni il cui primo esempio furono le stragi che videro morire Falcone e Borsellino (recentemente
ciò è avvenuto in seguito agli attacchi di terrorismo del 2001, essendo necessari strumenti nuovi rispetto a
quelli tradizionali per affrontarle): dinnanzi all’inerzia del legislatore intervenne la Corte Costituzionale, con
due sentenze, la n. 254 e la n. 255 del 92, dichiarando l’illegittimità di una serie di norme ed andando a
ledere il principio dell’inutilizzabilità delle dichiarazioni fatte in fase preliminare. Così facendo innescò un
meccanismo culturale molto importante che produsse la legge n. 332 del 1995, con cui furono introdotti
profili di tutela del contraddittorio nelle fasi precedenti al dibattimento cui seguì la legge del 97 n. 267;
successivamente con la sentenza n. 361 del 98 la Corte Costituzionale pose un punto di assestamento,
estendendo le norme valevoli per il testimone all’imputato che rende dichiarazione le fatti altrui. Il
legislatore costituente, subito dopo la modifica del codice nel ‘99 finì poi per cristallizzare il tutto andando a
riscrivere quanto individuato a partire dalla legge delega nel 111 Cost., riformandolo ed aggiungendo dei
commi inizialmente non previsti che hanno esplicitato quanto in realtà la Carta Costituzionale già diceva in
tema di giusto processo, sia esso civile amministrativo tributario o penale: la riserva di legge in materia
processuale, imparzialità del giudice, parità delle parti e ragionevole durata dei processi. Per quanto
riguarda la materia penale ex art. 111.3 i principi inerenti al relativo processo sono: i diritti dell’accusato, in
cui rientra l’importantissimo diritto a confrontarsi con l’accusatore, e il principio del contraddittorio, sia esso
inteso tanto oggettivamente quanto soggettivamente.

• Per quanto concerne i diritti dell’accusato ne dobbiamo analizzare diversi: in primo luogo la persona
sottoposta alle indagini deve essere informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa

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nel più breve tempo possibile (=ciò non significa “immediatamente”, bensì “non appena l’avviso
all’indagato è compatibile con l’esigenza di genuinità e di efficacia delle indagini”) in modo che non
solo gli sia garantito di poter raccogliere elementi a suo discarico disponendo efficientemente del
tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa, ma anche perché contestualmente
così facendo sarà concesso al pubblico ministero di poter compiere atti a sorpresa per svolgere
indagini efficaci. Importantissimo diritto che ha l’accusato è quello a confrontarsi con l’accusatore,
in virtù del quale l'imputato ha infatti il diritto di interrogare o di far interrogare davanti al giudice le
persone che rendono dichiarazioni a suo carico. Ancora, ricordiamo che egli ha inoltre diritto di
prova e può pertanto ricorrere ai mezzi che ritiene più opportuni a patto che siano ammissibili;
infine può farsi assistere da un interprete se non parla o comunque non comprende la lingua in cui
si svolge il procedimento, anche se si parla di processo.
• Passiamo ora ad analizzare il principio del contraddittorio c.d. in senso forte e cioè in relazione alla
materia della prova: esso viene usato in due significati differenti, poiché la norma costituzionale ne
coglie a volte l’aspetto oggettivo e a volte l’aspetto soggettivo. Si parla infatti di:
a) Contraddittorio in senso oggettivo, quando si fa riferimento al metodo di accertamento
giudiziale dei fatti;
b) Contraddittorio in senso soggettivo, quando si fa riferimento al diritto dell’imputato a
confrontarsi con il suo accusatore.

Alla luce di ciò, oggi il processo penale risulta orientato essenzialmente a tre principi fondamentali:

• Il principio di separazione delle funzioni. Avente una funzione di garanzia, impone che il giudice
abbia soltanto il compito di dirigere l’assunzione delle prove e di decidere, senza cumulare in sé
l’ulteriore potere di svolgere indagini, e che il Pubblico Ministero si limiti a ricercare le prove e senza
cumulare in sé il potere di assumerle. Così facendo viene assicurata una maggiore dialettica tra
accusa e difesa, le quali espongono le proprie ragioni in una situazione di tendenziale equilibrio
sotto il controllo del giudice che si trova in una posizione di imparzialità (perché il suo compito non
è quello di indagare, bensì di decidere sulla base delle richieste formulate dalle parti).
• Il principio della netta ripartizione delle fasi processuali, sancisce che il procedimento debba vedersi
susseguire le indagini preliminari svolte dal PM, l’udienza preliminare e il dibattimento a tutela dei
valori del sistema accusatorio: in primo luogo, si vuole che la prova utilizzabile nella decisione in
dibattimento sia quella che viene assunta nel pieno contraddittorio delle parti, e cioè davanti al
giudice e alla presenza del Pubblico Ministero e del difensore dell’imputato, ergo la prova assunta
prima del dibattimento è inutilizzabile; in secondo luogo, si vuole tutelare il diritto dell’imputato a
che un giudice controlli la necessità del rinvio a giudizio e, quindi, la fondatezza dell’accusa
formulata dal PM, questo perché il rinvio a giudizio costituisce una sofferenza per l’imputato
innocente ed è per lui fonte di spese processuali, e pertanto costituisce un danno da evitare. A tal
fine è predisposta una udienza preliminare, nella quale il giudice esamina gli atti raccolti dal
Pubblico Ministero e decide se rinviare a dibattimento l’imputato o pronunciare una sentenza di
non luogo a procedere.

Prima di andare ad analizzare il principio della semplificazione del procedimento, per completezza espositiva
dobbiamo soffermarci brevemente sulle singole fasi del procedimento ordinario poc’anzi citate: indagini
preliminari, udienza preliminare e dibattimento.

Il procedimento si apre con le indagini preliminari, in cui il p.m. svolge funzioni investigative funzionalizzate a
ricercare elementi di prova e a individuare il colpevole: materialmente egli può disporre perquisizioni, sequestri,
accertamenti tecnici, in ipotesi gravi anche il fermo e, ove lo ritenga opportuno, potrà richiedere al Giudice per
le Indagini preliminari (GIP), l’altra figura centrale nelle indagini preliminari, di disporre nei confronti
dell’imputato misure coercitive come la custodia in carcere o gli arresti domiciliari. Va fatta però una
precisazione: il giudice nel disporre tali misure non assume assolutamente funzione investigativa, egli ha solo il
compito di decidere sulle richieste delle parti. Tornando alla figura del p.m., centrale in questa fase, egli non può
di regola assumere prove direttamente utilizzabili per la decisione finale, ma ove sia necessario farlo (ad es. gravi
condizioni di salute che potrebbero portare alla morte del testimone), tanto lui quanto l’indagato, possono farne
domanda al giudice e qualora questi la accolga le prove saranno assunte dinnanzi a lui in una udienza, c.d.
incidente probatorio, con le stesse modalità del dibattimento e quindi mediante c.d. esame incrociato, ad
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esempio dei testimoni: le dichiarazioni saranno poi verbalizzate e passibili di essere utilizzate in dibattimento ai
fini della decisione. Fatta questa parentesi, torniamo alle indagini preliminari, al momento della loro conclusione
esattamente: una volta concluse, il p.m. alla luce degli elementi raccolti deve scegliere entro precisi termini se
chiedere al GIP il rinvio a giudizio o l’archiviazione, nel pieno rispetto dell’art. 112 Cost. in cui si sancisce il
principio dell’obbligatorietà dell’azione penale: dal momento in cui gli elementi raccolti non siano idonei a
sostenere l’accusa in giudizio e quindi la notizia di reato sia infondata, il p.m. richiederà al GIP di archiviare il caso
in esame. Ovviamente il GIP dovrà poi decidere in merito alla questione postagli: qualora accolga l’archiviazione,
la disporrà senza problemi; se invece opterà per un rigetto, dovrà svolgersi un’azione in camera di consiglio al
cospetto di p.m. e difensore dell’imputato, in modo che egli possa effettuare una minuziosa funzione di controllo
al termine del quale disporrà alternativamente uno dei tre provvedimenti legislativamente previsti e quindi o
l’archiviazione del caso in esame, o una serie di necessarie ulteriori indagini a carico del p.m. da svolgersi entro
precisi termini, oppure in ultima battuta, la c.d. imputazione coatta, qualora ritenga che gli elementi forniti
nell’udienza gli siano sufficienti per disporre un rinvio a giudizio nei confronti dell’imputato. Nell’altro caso
invece, qualora il p.m. abbia deciso di richiedere rinvio a giudizio al GIP dovrà comunicare la conclusione delle
indagini all’indagato e al suo difensore, in modo che questi conoscano il reato addebitato e possano esercitare i
diritti loro garantiti: quindi il p.m., se non intende chiedere l’archiviazione, presenta richiesta di rinvio a giudizio
e formula l’imputazione. Ovviamente qualora il caso venga archiviato, il processo non ha luogo, se invece ci sia
richiesta di rinvio a giudizio e venga formulata l’imputazione si apre una nuova fase: l’udienza preliminare. Essa,
fissata in giorno preciso dal giudice dell’udienza preliminare (GUP), si svolge in contraddittorio, ma senza che sia
presente il pubblico, ed ha lo scopo di verificare la fondatezza dell’accusa formulata dal P.M.: come abbiamo
poc’anzi detto, per l’imputato innocente il rinvio a giudizio comporta ovviamente dei danni non solo economici,
ma anche morali e per questo viene aperta questa fase in via preventiva in modo che il GUP, esaminando gli atti
raccolti dal Pubblico Ministero, possa accertare se ci sia effettivamente necessità di rinviare a giudizio, e quindi a
dibattimento, l’imputato. Esaminiamo i due distinti casi:

1. In presenza elementi inidonei a sostenere l’accusa in dibattimento il GUP pronuncia una sentenza di non
luogo a procedere e si esaurisce il procedimento.
2. Se esistono elementi idonei a sostenere l'accusa in dibattimento, il GUP emana il decreto che dispone il
giudizio su e suddivide l'originario fascicolo delle indagini in due distinti fascicoli, in ossequio alla regola
secondo cui l'organo giudicante deve decidere sulla base delle prove assunte nel contraddittorio tra le
parti e non deve essere influenzato dalle prove raccolte in segreto. Un primo fascicolo per il
dibattimento contiene i verbali degli atti assunti contraddittorio ed i verbali degli atti non ripetibili
assunti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, che potranno essere conosciuti dal giudice ed
essere letti in dibattimento ai fini della decisione; l'altro fascicolo denominato del pubblico ministero ha
un contenuto residuale e pertanto vi saranno ricompresi i verbali degli atti assunti dal quest'ultimo,
dalla polizia giudiziaria e dal difensore e sarà conosciuto soltanto dalle parti e non dal giudice, non
essendo gli atti in esso contenuti di regola utilizzabili per la decisione dibattimentale, anche se in casi
eccezionali sono utilizzabili come prova del fatto rappresentato.

Conclusasi anche questa fase, dal momento in cui il GUP accerti che sia necessario rinviare a giudizio l’imputato
si aprirà il dibattimento: in esso il contraddittorio è garantito mediante il c.d. esame incrociato, in cui le
domande sono poste direttamente dal p.m. e dai difensori ed il presidente del collegio giudicante ha il potere di
ammetterle o meno, essendo insignito del compito di assicurare la lealtà dell’esame e la correttezza delle
contestazioni, oltre a quello di rivolgerle direttamente ed indicare temi di prova nuovi o più ampi utili alla
completezza dell’esame. Quando è terminata l'assunzione delle prove richieste dalle parti, il giudice può
ordinare anche d'ufficio che siano assunti nuovi mezzi di prova.

Fatta questa necessaria parentesi, possiamo ora passare al terzo principio fondamentale alla base del processo
penale odierno: il principio della semplificazione del procedimento. La scelta del nuovo codice nasce anche da un
punto di vista strutturale, orientato alla semplificazione: oltre al percorso ordinario, composto da indagini
preliminari udienza preliminare e dibattimento, vengono posti dei percorsi alternativi, i c.d. riti alternativi o
speciali, che comportino una serie di vantaggi, o meglio di snellimenti processuali, prevedendo un salto delle fasi
che generalmente si sarebbero verificate in modo da arrivare in tempi più ridotti al dibattimento. Prima c’era
una sola possibilità, si saltava la fase preliminare e si arrivava direttamente al dibattimento, ora invece si hanno
più alternative, potendo essere saltate, oltre alla fase preliminare, anche altre fasi. I riti, costruiti secondo la

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logica dello snellimento processuale, hanno subito un battuta d’arresto, perché per alcuni rendevano il nostro
processo simile a quello nord americano “alla Perry Mason”, anche se in realtà per la prof. Bene non è così. I riti
sono suddivisibili in due categorie diverse: una prima categoria ricomprende quei riti atti a porre una deflazione
dibattimentale (giudizio abbreviato, l’atteggiamento, per decreto, sospensione del decreto con messa alla
prova); la seconda invece include quelli che lo anticipano (giudizio immediato e giudizio direttissimo).
Fondamentale è la figura dell’imputato, il cui consenso o addirittura la sua confessione permettono di procedere
con il relativo rito. Per ragioni di economia processuale nel ‘99 il giudice unico togato di primo grado si
sostituisce al pretore, che viene assorbito nel GIP mentre il PM va verso la pretura della repubblica.

Parte Seconda, Profili generali del procedimento penale

P2, C1 – I soggetti del procedimento penale

Prima di andare analizzare effettivamente quelle che sono i soggetti del procedimento penale, Tonini si sofferma
prima su una serie di definizioni fondamentali per comprendere al meglio il tema del capitolo. Prima di tutto
Tonini fa una distinzione tra procedimento penale e processo penale: non si tratta in alcun modo di due sinonimi
e ciò può essere tranquillamente dedotto dal codice di procedura penale.

➢ Il procedimento penale consta di una serie cronologicamente ordinata di atti diretti alla pronuncia di
una decisione penale, ciascuno dei quali, in quanto validamente compiuto, fa sorgere il dovere di porre
in essere il successivo ed, al contempo, esso stesso è realizzato in adempimento di un dovere posto dal
suo antecedente. Da questa definizione ricaviamo che il procedimento penale ricomprende tre elementi
fondamentali: prima di tutto il fatto che gli atti devono essere compiuti rispettando una determinata
sequenza temporale; inoltre in secondo luogo tutti questi atti hanno la finalità di accettare l'esistenza di
un fatto penalmente illecito e il fatto che possa essere attribuito ad una persona; infine in terzo luogo il
compimento di un atto del procedimento fa sorgere in un altro soggetto il dovere di compiere un altro
successivo, fino a quando non si arrivi alla decisione definitiva, che potrà essere una sentenza di
condanna o di proscioglimento se viene percorsa l'estensione massima del procedimento oppure sarà
un decreto e ordinanza di archiviazione del procedimento si arresta prima che venga formulata un
imputazione. Più precisamente quando facciamo riferimento alla nozione di procedimento penale
ordinario, ci stiamo riferendo ad un iter che si articola in tre fasi, più ampia rispetto al processo penale:
le indagini preliminari, l'udienza preliminare ed il giudizio.
➢ Il processo penale riveste un ruolo strumentale all'applicazione della legge penale (la quale come
sappiamo indica i fatti che costituiscono reato e le sanzioni previste per coloro che li commettono) ed è
finalizzato ad accertare i fatti storici che costituiscono il reato, o meglio che integrino la fattispecie
penale, ad identificarne gli autori e a conoscere la personalità di quest'ultimi in modo da potergli
comminare una sanzione proporzionata. Come poc’anzi accennato, la nozione di processo penale è più
ristretta rispetto a quella di procedimento penale, indicandone una porzione: con essa si è infatti soliti
indicare esclusivamente la fase dell’udienza preliminare e del giudizio, tenendo fuori la fase delle
indagini preliminari, che essendo meramente procedimentale, è da ricomprendere nell’altra fattispecie.
Pertanto quando facciamo riferimento all’asserto “in ogni stato e grado del processo”, facciamo
riferimento esclusivamente all’udienza preliminare ed al giudizio, escludendo le indagini preliminari;
quando invece facciamo riferimento all’asserto “in ogni stato e grado del procedimento”, le terremo
invece in considerazione assieme al processo. Alla luce di ciò, quando parliamo di “stato”, stiamo
facendo riferimento ad una fase, invece per “grado” stiamo facendo riferimento al momento in cui il
giudice prende cognizione dell’oggetto su cui dovrà pronunciarsi (ergo, in primo esame - in appello - in
sede di ricorso in Cassazione). Quando parliamo di processo penale facciamo riferimento a quella serie
di atti necessitati e cronologicamente ordinati che ha come atto iniziale l’azione penale. Deduciamo
quindi che esso, come ogni cosa, ha un momento iniziale ed uno finale: esso finisce dal momento in cui
non sia più possibile impugnare la sentenza, essendo questa divenuta irrevocabile, e comincia con
l’esercizio dell’azione penale, quell’atto (ex art. 405.1 c.p.p.) posto dal p.m. che si presenta
sostanzialmente come l’istanza rivolta al giudice di decidere sull’imputazione, ovvero l’addebito di
responsabilità di un fatto storico di reato, i cui elementi sono: 1) enunciazione in forma chiara e precisa
del fatto storico di reato addebitato all’imputato 2) l’indicazione degli articoli di legge che si ritiene siano
stati violati 3) le generalità della persona alla quale è addebitato il reato. L’esercizio dell’azione penale
determina due effetti: in primo luogo il giudice sarà obbligato a pronunciarsi riguardo a quel dato fatto
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storico indicato nell’imputazione ed in secondo luogo lo fissa irrevocabilmente quale oggetto del
processo.

Possiamo ora approcciarci preliminarmente al mondo dei soggetti: essi vengono qualificati dal codice con
chiarezza, ma di tale qualificazione non se ne da una precisa definizione. Il libro primo qualifica come soggetti del
procedimento penale: il giudice, il pubblico ministero, la polizia giudiziaria, l’imputato, la parte civile, il
responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria, la persona offesa ed il difensore essendo tutti
titolari di poteri di iniziativa nel procedimento tali da far sorgere in un altro soggetto il diritto dovere di compiere
un atto successivo; non avendo tali poteri di iniziativa infatti, testimoni e periti non saranno soggetti del
processo, ma dei meri partecipanti. SOGGETTO ≠ PARTE: deve accogliersi una nozione ampia di parte, alla luce
della quale può considerarsi parte non solo colui che ha chiesto al giudice di decidere in merito ad un
imputazione (P.M.), ma anche colui contro il quale questa decisione è chiesta (imputato). Stiamo in questo caso
deducibilmente parlando di due parti necessarie, abbiamo anche delle parti eventuali tra cui possiamo
ricondurre quella della parte civile, ovvero il danneggiato che chiede risarcimento del danno all’imputato per il
pregiudizio conseguito al fatto penalmente rilevante da lui compiuto: dal momento in cui la parte civile non
avesse richiesto risarcimento, il processo avrebbe comunque avuto giuridica esistenza, cosa che non si può
affatto dire se fosse venuta a mancare invece una delle due parti necessarie poc’anzi citate.

Secondo l’ordine seguito dal codice la prima figura da analizzare nell’alveo dei soggetti è il giudice. Tonini
comincia la sua trattazione fornendoci una duplice concezione in merito al concetto di giurisdizione, affermando
che quest’ultimo non solo si riferisce alla funzione svolta da un organo, ovvero quella di applicare la legge ad
opera di un giudice terzo, ma anche all’organo stesso che la svolge, ovvero il giudice indipendente e imparziale
che impersona il potere dello Stato. La giurisdizione è impersonata da più organi, ciascuno dei quali ha una
competenza limitata: il giudice può essere infatti ordinario o speciale.

Organo Giudiziario o Giudice Organo Giudiziario o Giudice Speciale


Ordinario
Competenza Generale, giudicano tutte le persone Speciale, giudicano solo alcune
categorie di persone
Composti da Magistrati ordinari, facenti parte Magistrati speciali, non facenti parte
dell’ordinamento giudiziario ed ai dell’ordinamento giudiziario ed ai
quali la costituzione garantisce quali la costituzione garantisce
indipendenza e autonomia oltre ad indirettamente, facendo rinvio alla
una serie di garanzie come legge ordinaria per la
l’inamovibilità funzionali al corretto regolamentazione della materia,
svolgimento della loro attività. indipendenza e autonomia.

Questa preliminare classificazione va ovviamente estesa al mondo penalistico.

I Giudici Penali Ordinari I Giudici Penali Speciali


Di primo grado • Il tribunale in • Giudici militari in tempo di
composizione collegiale o pace, competenti per i soli
monocratica, composti reati posti in essere dalle
rispettivamente da 3 ed 1 forze armate previsti dalla
magistrato togato; legge militare e naturale,
• La Corte d’Assise, purché richiamati nel
composta da 2 magistrati codice penale militare.
togati e 6 giudici popolari; Anch’essi godono
• Il giudice di Pace, 1 dell’indipendenza, ma dal
magistrato non togato; 1981.
• Il tribunale per i
minorenni, composto da 2
magistrati togati e 2
esperti in materia di

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psicologia/pedagogia e
materie analoghe.

D’Appello • La Corte d’Appello, 2 • Corte d’Appello militare.


magistrati togati e 6 giudici
popolari;
• Sezione della Corte
d’Appello per i minorenni,
composto da 3 magistrati
togati e 2 esperti in
materia di
psicologia/pedagogia e
materie analoghe.
In ultima istanza • Corte di Cassazione, unica • Corte di Cassazione, pur
con sede in Roma si trattandosi di un giudice
pronuncia per sentenze ordinario.
presumibilmente
illegittime, quindi senza
andare nel merito, valuta
se ci siano inosservanze di
legge o se il giudice abbia
motivato correttamente.

Altro importantissimo giudice penale speciale è la Corte Costituzionale che, dal 1989 grazie ad un’apposita
modifica, è tenuta a pronunciarsi in tema di delitti di alto tradimento e di attentato alla Costituzione commessi
dal presidente della Repubblica. Essa sarà composta dai 15 suoi attuali componenti ed altri 16, c.d. aggregati,
estratti a sorte da una rosa posta ogni 9 anni dal Parlamento stesso.

Tonini dopo aver fatto questa classificazione si sofferma sul terzo significato che può assumere il termine
giurisdizione secondo la dottrina, essendo strumentale per la sua comprensione un preliminare sguardo alle due
categorie della magistratura: esso può indicare l’insieme di regole che permettono di distinguere in termini di
competenze i procedimenti della magistratura ordinaria da quella speciale.

N.B.

➢ Quando la Costituzione o la legge ordinaria parlano di autorità giudiziaria, fanno riferimento sia al
giudice che al p.m. quali organi;
➢ In termini di persone fisiche, il termine magistrato è usato per indicare indifferentemente quello
requirente o quello giudicante ed in alcuni casi anche entrambi… sarà poi la legge stessa a precisarlo
quando lo ritiene opportuno.

Per quanto riguarda la magistratura, la Costituzione parla di ordine giudiziario e non di potere: questo perché
vuole sancire una netta distinzione con l’esecutivo ed il legislativo che, a sua differenza, invece di avere una
prevalente funzione di garanzia, partecipano alla funzione di indirizzo politico. Il tutto si svuota però di senso dal
momento in cui la Carta stessa finisce per considerare implicitamente anch’esso come un potere dello Stato,
affermandone l’autonomia e l’indipendenza caratteri che non possono essere in alcun modo però affiancati al
legislativo e all’esecutivo.

Potere Legislativo Potere Esecutivo Potere Giudiziario


Emana Le leggi. Gli atti amministrativi + i Le sentenze con cui
regolamenti. applicare la legge, a cui il
giudice è soggetto, al
caso concreto.
È Imparziale? No, perché compie scelte No, perché segue Si, ex art. 111.2 della
di natura politica l’indirizzo politico del Costituzione. Se non lo
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nell’approvare le leggi. Parlamento. sarà, potrà essere
ricusato.
È Indipendente? No, perché si tratta di un No, perché deve avere la Si, ciò è garantito dal
organo eletto dai fiducia del Parlamento. CSM.
cittadini.
È soggetto a controlli? Si, la legge è sottoposta al Si, l’atto amministrativo è Si e no. Infatti non sono
controllo di legittimità ad sottoposto al controllo previsti controlli esterni,
opera della Corte dei giudice ordinario o o meglio non esistono,
Costituzionale. amministrativo. altrimenti andrebbe a
mancare l’indipendenza.
Ci sono però dei controlli
interni fatti dai giudici
stessi, nel corso dei
diversi gradi di giudizio.

Abbiamo poc’anzi citato l’art. 111 della Costituzione: quest’ultimo pur non essendo ab origine presente nella
Carta Costituzionale ne è oggi diventato uno dei baluardi, trattando la tematica del giusto processo. Le regole sul
giusto processo sono a loro volta contenute nelle norme sulla giurisdizione e ciò significa ovviamente che tra le
due c’è una forte interdipendenza, non potrà esistere l’una senza l’altra. SENZA UN PROCESSO GIUSTO NON C’È
GIURISDIZIONE. Non è pertanto sufficiente che la Costituzione garantisca al cittadino di poter essere giudicato da
un giudice indipendente dagli altri poteri dello Stato, ma dovrà anche garantire lo svolgimento della sua
funzione. Il giusto processo quindi, non è nient’altro che un metodo oggettivo di esercizio della funzione
giurisdizionale ricomprendente al suo interno una serie di elementi indefettibili: il principio del contraddittorio,
l’imparzialità del giudice e la parità delle parti.

La funzione giurisdizionale può essere scomposta in tante piccole parti, tante quante sono gli organi: la
competenza è quindi quella parte della funzione giurisdizionale svolta dal singolo organo individuata per
approssimazioni successive che tengono conto della materia, ovvero del titolo di reato, del territorio, ovvero del
locus commissi delicti, e della funzione che deve essere svolta in una determinata fase o grado del procedimento
e della eventuale connessione con altri procedimenti. Possiamo quindi distinguere tre tipi di competenza, in
base al criterio adoperato: la competenza per materia, la competenza per territorio e la competenza funzionale
e la competenza per connessione. Analizziamole.

La competenza per materia può essere ripartita in base al criterio qualitativo, relativo al tipo di reato, e in base al
criterio quantitativo, relativo alla pena edittale: dal momento in cui la legge faccia riferimento al criterio
quantitativo, bisogna tener presente quanto sancito all’art. 4 c.p.p. ai sensi del quale vengono fornite delle
regole generali per individuare la competenza [la quale andrà stabilita tenendo conto alla pena massima stabilita
dalla legge per ciascun reato consumato o tentato, non tenendo conto della continuazione, della recidiva e delle
circostanze del reato, fatta eccezione delle circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di
specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale]. Per quanto riguarda invece la
ripartizione tra i diversi organi, essa sarà divisa tra Corte d’Assise, Tribunale per i Minorenni, Giudice di pace e
Tribunale. Nel dettaglio (dettato):

• Tribunale per i Minorenni. È competente per i reati commessi dai minori di anni 18, pertanto per
stabilire la competenza, che è esclusiva, si deve prendere in considerazione l'età che l'imputato aveva
all'epoca dei fatti che gli vengono contestati.
• Corte d’Assise. È competente a giudicare i più gravi fatti di sangue e i più gravi delitti politici, materie per
cui non si richiedono particolari conoscenze tecnico-giuridiche trattandosi di avvenimenti che possono
essere valutati dal soggetto in quanto cittadino e non come giudice in carriera. Recentemente la vasta
gamma di materie di sua competenza è stata ampliata con un apposita legge: alle tradizionali rinvenibili
dalle lettere a-d dell’art. 5 c.p.p. [a. delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della
reclusione non inferiore nel massimo a ventiquattro anni, come ad esempio l’omicidio volontario o la
strage, fatta eccezione per i delitti, comunque aggravati, di tentato omicidio, di rapina di estorsione e di
associazioni di tipo mafioso anche straniere, e i delitti, comunque aggravati, previsti dal T.U. sugli

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stupefacenti; b. per i delitti consumati di omicidio del consenziente, istigazione al suicidio di omicidio
preterintenzionale; c. per ogni delitto doloso se dal fatto è derivata la morte di una o più persone,
escluse le ipotesi di morte o lesioni come conseguenza non voluta di altro delitto, rissa e omissione di
soccorso; d. delitti di ricostituzione del partito fascista, delitti di genocidio e delitti che concernono la
personalità dello stato, sempre che per tali delitti si è stabilita la pena Della reclusione non inferiore Nel
massimo a 10 anni], ne vennero aggiunte di nuove alla lettera d-bis [-delitti consumati o tentati di
associazione per delinquere non mafiosa, finalizzata a commettere Delitti di riduzione in schiavitù, tratta
di persone, acquisto alle nazioni di schiavi, di favoreggiamento pluriaggravato dell'immigrazione
clandestina - delitti consumati o tentati di riduzione in schiavitù, di tratta di persone, di acquisto e
alienazione di schiavi -delitti con finalità di terrorismo, sempre che per tali delitti si è stabilita la pena
Della reclusione non inferiore nel massimo a 10 anni].
• Giudice di pace. È un giudice non professionale, nominato a tempo determinato una volta che il
candidato abbia conseguito la laurea in giurisprudenza e venga superato l'esame di abilitazione alla
professione forense, o in alternativa vengano soddisfatti i presupposti alternativi previsti dalla legge,
senza quindi la necessità di vincere il concorso in magistratura. Il giudice di pace è competente a
conoscere una serie di fattispecie attribuitegli qualitativamente, in genere seguendo il criterio costituito
dalla tenuità della sanzione e dalla semplicità dell'accertamento: sostanzialmente si tratta di reati che
costituiscono espressioni di microconflittualità individuale, essenzialmente riconducibili a due categorie,
ovvero i reati procedibili a querela [come le percosse, la diffamazione, la minaccia semplice e le lesioni
colpose ecc.] ed i reati procedibili d'ufficio [la somministrazione di bevande alcoliche a minorenni o
infermi di mente, atti contrari a pubblica decenza, determinazione in altri di stato di ubriachezza].
• Tribunale, in via residuale è competente per tutte quella materie che non sono attribuibili ai precedenti
organi citati ed inoltre ha una competenza qualitativa a giudicare i reati che sono previsti in modo
specifico da singole norme di legge e che presuppongono una certa conoscenza tecnica da parte del
magistrato giudicante. Ancora, è competente a giudicare i reati a mezzo cinema, stampa, radio e
televisione. Il tribunale può essere collegiale o monocratico e la loro disciplina è stata modificata negli
anni 2000: oggi il tribunale collegiale, composto da tre giudici, risulta essere competente alla luce di un
criterio tanto qualitativo che soggettivo ex art. 33bis essenzialmente per quasi tutti i reati riconducibili
all’associazione per delinquere comune o mafiosa, lo scambio elettorale politico-mafioso, i delitti
concernenti le armi, i reati in materia di aborto e i reati commessi dai pubblici ufficiali contro la P.A.; per
quanto concerne il tribunale monocratico, composto da un solo giudice, è attribuita la cognizione di
delitti aventi un notevole tasso di pericolosità sociale come ad esempio quelli inerenti alla produzione e
al traffico illecito di sostanze stupefacenti previsti dall'art. 73 del relativo T.U., a meno che non
sussistano le aggravanti in esso previste ed inoltre i delitti per cui il massimo edittale è pari a dieci anni
per cui non è competente il giudice di pace. Il giudice singolo con questa legge si vede aumentata infatti
la sua competenza, considerato che prima poteva farlo solo per quei reati, per cui non fosse già
competente il giudice di pace, aventi un massimo edittale di 4 anni cosa che per Tonini comporterebbe
un appiattimento della sua personalità tanto da condurlo a prendere decisioni in balia dell’esposizione
sociale che lo caratterizza e della piazza, cosa che in materia penale non va in alcun modo permessa.

La competenza funzionale, in dottrina, viene intesa come la competenza a svolgere determinati funzioni o atti in
una determinata fase o grado del procedimento.

Per quanto riguarda la competenza per territorio dobbiamo analizzare l’art. 8 c.p.p. nella sua interezza:

1. Al primo comma si afferma che essa è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato: il locus
commissi delicti, in modo da poter garantire un effettivo controllo sociale, una facile individuazione
delle prove e di ridurre i disagi per parti e testi.
2. Al secondo comma si precisa che, dal momento in cui dal fatto commesso derivi la morte di una o più
persone è competente il giudice del luogo dove è avvenuta l’azione o omissione.
3. Al terzo comma si precisa invece che se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo
in cui ha avuto inizio la consumazione, anche se dal fatto è derivata la morte di una o più persone.
4. Infine, al quarto ed ultimo comma si afferma che se si tratta di delitto tentato, è competente il giudice
del luogo in cui è stato compiuto l'ultimo atto diretto a commettere il delitto.

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Se sia impossibile individuarla seguendo tali regole generali, è prevista una disciplina suppletiva ex art. 9 c.p.p. ai
sensi della quale: ex 9.1 in primo luogo è competente il giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta una parte
dell'azione o dell'omissione; oppure, ex 9.2, se non è noto il luogo indicato nel comma 1, la competenza
appartiene successivamente al giudice della residenza, della dimora o del domicilio dell'imputato; infine, in via
del tutto residuale, se nemmeno ex 9.2 è possibile individuare la competenza, questa appartiene al giudice del
luogo in cui ha sede l'ufficio del pubblico ministero che ha provveduto per primo a iscrivere la notizia di reato nel
registro previsto dall'articolo 335 c.p.p. Oltre a questa disciplina suppletiva, sarà anche possibile far riferimento
ai criteri sanciti in materia dalle leggi speciali. Tonini si sofferma poi su un importante deroga che avviene in
tema di competenza per territorio dal momento in cui, assumendo il magistrato la qualità di imputato, indagato,
persona offesa o danneggiata dal reato, risulti essere competente per territorio una giurisdizione dove lui
esercitava al momento del fatto andando così inevitabilmente ad intaccare il requisito dell’imparzialità del
giudice: ex art. 11 c.p.p. date le circostanze la competenza viene attribuita non per territorio, ma per materia al
giudice che ha sede nel capoluogo del distretto di corte d’Appello, alla luce di una tabella prevista dalla legge n.
420 del 1998.

La competenza per connessione, allude al collegamento che può sovvenire tra procedimenti della Corte d’Assise
e del Tribunale nel caso in cui:

1. Il reato per cui si procede è stato commesso da più persone in concorso tra loro oppure se più persone
hanno posto in essere una serie di condotte indipendenti che lo hanno causato;
2. Una persona venga imputata per ipotesi di più reati con una sola azione od omissione o di reato
continuato [più azioni od omissioni volte allo stesso disegno criminoso];
3. Si proceda per più reati commessi strumentalmente ad altri o per occultarli.

Quando vi è connessione un solo giudice è competente, tale competenza viene individuata ex art. 15 c.p.p. ai
sensi del quale fra i giudici competenti per materia, la Corte d’Assise prevale sul tribunale: dal momento in cui
però ci siano ad esempio due Corti d’Assise egualmente competenti per materia, ma diversamente competenti
per territorio, prevarrà il giudice competente per il reato più grave, nel rispetto dei criteri sanciti ex art. 16.3
c.p.p., se saranno di pari gravità prevarrà il giudice competente per il reato commesso prima. Se invece la
connessione riguardi due provvedimenti del tribunale, uno collegiale e l’altro monocratico, ovviamente sarà di
competenza del primo ex art. 33quater c.p.p. Vi è però una fondamentale deroga a queste regole generali: in
presenza di procedimenti contro imputati minorenni, costoro devono essere sempre giudicati dal tribunale ad
essi preposto e quindi, ex art. 14 c.p.p. la connessione non opera fra procedimenti relativi ad imputati che al
momento del compimento del fatto erano minorenni e procedimenti relativi ad imputati maggiorenni. In
conclusione, per quanto riguarda la connessione di procedimenti di competenza dei giudici ordinari e speciali,
risulta competente ex art. 13 c.p.p. la Corte Costituzionale; per quei procedimenti connessi per cui è competente
il giudice di pace ed il giudice ordinario, prevale il superiore. Fatto questo discorso, dobbiamo ricordare che la
connessione dei procedimenti può comportare due fenomeni al soddisfacimento di alcune condizioni:

➢ Solitamente, il giudice ex art. 17 c.p.p., dall’alto dei suoi poteri discrezionali, opta per la riunione dei
procedimenti, per motivi di economia processuale oltre che di ricostruzione chiara e puntuale delle
prove e dei rapporti tra i vari fatti di reato, a patto che essi: siano pendenti nella stessa fase e nello
stesso grado, che siano di competenza dello stesso giudice, che siano in qualche modo collegati anche
dal punto di vista probatorio ed infine che non sia determinato un ritardo nella loro definizione.
➢ Va ricordato che in luogo alla precedente, ex art. 18 c.p.p., è posto al giudice il dovere di ricorrere alla
separazione obbligatoria dei procedimenti, in modo da garantire una maggior difesa all’imputato, dal
momento in cui: sia possibile già dall’udienza preliminare decidere in merito alla posizione
dell’imputato, si debba sospendere il procedimento, l’imputato non sia comparso in procedimento e gli
vada rinnovata la citazione, il difensore non sia comparso in procedimento per motivi legittimi, ancora
se per un imputato l’istruzione dibattimentale è già stata conclusa mentre per altri deve continuare ed
infine se stiano per scadere i termini di custodia cautelare in relazione a reati come quelli di criminalità
organizzata e simili ed occorra definire con urgenza la fase o il grado per evitare la scarcerazione
prevista. Va ricordata un’eccezione: seppur sussistano tali condizioni, ma il giudice ritenga che sia
assolutamente necessaria una riunione, piuttosto che una separazione, per l’accertamento dei fatti
potrà procedere in tal senso. Fuori dai casi di separazione obbligatoria, la separazione dei procedimenti

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tra loro connessi è facoltativa e può pertanto essere disposta su accordo di parte dal momento in cui il
giudice ritenga che si possa procedere più speditamente nel processo.

Tutto questo discorso inerente alla competenza è funzionale all’individuazione del soggetto investito dal
potere giurisdizionale sul fatto di reato, quello che la stessa costituzione ex art. 25.1 definisce giudice
naturale in ossequio al relativo principio. L’art. 25.1 sancisce che nessuno può essere distolto dal giudice
naturale e precostituito per legge, nel senso che nessuno, sia esso un organo amministrativo legislativo o
giudiziale, può essere allontanato da questi permettendogli di fatto di cambiarlo a suo piacimento dopo la
realizzazione del reato: la competenza del giudice può essere determinata prima che il fatto si realizzi solo
dalla legge, da nessun atto subordinato ad essa né tanto meno da un soggetto, in ossequio al principio di
riserva di legge e al principio del divieto di retroattività, ed il suo contenuto non deve concedere in alcun
modo al giudice di potersi avvalere di una qualche discrezionalità. Non ci resta che analizzare cosa si intenda
con l’aggettivo naturale conferito al giudice: tradizionalmente, si usa questo termine per indicare un
qualcosa di preesistente alla legge stessa e che quest’ultima deve tutelare, una caratteristica che il giudice
ha secondo l’ordinamento materialmente una sorta di idoneità ad accertare il fatto di reato nel rispetto alla
legge e dei diritti dell’imputato. La dottoressa Alesci ha sottolineato la preminenza della precostituzione
rispetto alla naturalità: la precostituzione come idoneità a giudicare su di una fattispecie astratta di reato,
prima ancora che si concretizzi, mentre la naturalità rinvia le norme sulla competenza.

Essendo il potere giurisdizionale diffuso, inevitabilmente si andranno a creare, in ogni stato e grado del
processo, conflitti tra i diversi organi che lo esercitano: avremo quindi conflitti di giurisdizione e conflitti di
competenza.

➢ I conflitti di giurisdizione intervengono tra un giudice ordinario ed un giudice speciale o tra più
giudici speciali;
➢ I conflitti di competenza intervengo invece tra giudici ordinari.

Essi possono essere denunciati dal pubblico ministero presso uno dei giudici in conflitto o dalle parti private, ma
essi possono anche essere rilevati d'ufficio dal giudice mediante ordinanza che viene poi trasmessa alla Corte di
Cassazione, con la copia degli atti necessari alla decisione, in modo che questa possa poi, in camera di consiglio,
pronunciarsi con sentenza vincolante indicando quale giudice è competente a procedere. Il giudice che non lo
sarà invece, avendo inosservato le regole in materia, dovrà dichiarare la sua incompetenza entro i termini
previsti. Sulla scia dei tre tipi di competenza, ne avremo altrettanti per quanto riguarda l’incompetenza.
Analizziamo i singoli casi.

Per quanto riguarda l’incompetenza per materia, laddove venga ravvisata, occorre distinguere l’incompetenza
per eccesso e l’ incompetenza per difetto.

➢ La incompetenza per eccesso, si ha nei casi in cui è il giudice più importante a giudicare per un caso
meno importante: ciò avviene ad esempio quando la Corte d'Assise giudica su una materia del
giudice di pace. In questo caso si ritiene che se tale incompetenza non viene ravvisata fino alla
conclusione del dibattimento, in seguito non è più possibile farla comunque valere. Ergo, bisogna
farla valere dall’inizio per farla valere.
➢ La incompetenza per difetto, si ha invece nei casi opposti ai precedenti quindi quando è il giudice
meno importante a pronunciarsi sul caso più importante: ciò avviene ad esempio quando è il
tribunale a decidere per una materia della Corte d'Assise, quale ad esempio tratta e commercio di
schiavi. In questo caso la competenza la si può far valere fin quando la sentenza non è diventata
irrevocabile, quindi non più impugnabile con i mezzi ordinari di impugnazione oppure sono decorsi
termini per proporre impugnazione.

Nei altri casi di incompetenza per territorio e per connessione, pur essendo rispettata quella che è la
competenza per materia, si hanno comunque conflitti minori tra i giudici, come ad esempio quando a giudicare
non è la Corte d'Assise di Napoli ma la Corte d'Assise di Roma, si ritiene che, se non viene fatta valere la
competenza fino al dibattimento non è più possibile successivamente farlo.

Poi un importante deroga riguarda la competenza per connessione, in quanto in questi casi, a prescindere da
qualsiasi regola, anche quelle della competenza, il tribunale per i minorenni è tribunale specializzato per cui il
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minore, deve essere sempre giudicato dinnanzi al tribunale per i minorenni e quindi in questo caso questo può
essere anche disposta la separazione dei procedimenti.

Per quanto riguarda i conflitti interni alla gerarchia del tribunale: semplicemente se giudica la composizione
collegiale invece di quella monocratica, vengono rimandati gli atti a quest’ultimo e viceversa.

Tonini fa un richiamo poi alle sezioni distaccate del tribunale, ovvero quegli uffici collocati all’interno del
circondario del tribunale per rendere più agevole ai cittadini l’accesso agli organi che amministrano la giustizia
che, in adempimento ad un apposita legge emanata nel 2011, sono stati soppresse in grande numero
determinando così una vera e propria revisione della geografia giudiziaria.

La capacità del giudice, ovvero quel complesso di indispensabili requisiti stabiliti dalla legge che il giudice deve
avere per poter esercitare legittimamente la propria funzione, sussiste dal momento in cui siano rispettati una
serie di requisiti. Infatti se questi non vengono rispettati, possono talvolta essere causa di nullità. Procediamo
per gradi. La capacità può essere generica o specifica:

➢ Quando parliamo di capacità generica, facciamo riferimento a quel presupposto che consente al giudice
di esercitare la propria funzione in piena legittimità e quindi il conseguimento della laurea in
giurisprudenza ad esempio. Dal momento in cui questo presupposto manchi, sarà disposta nullità
assoluta.
➢ Quando parliamo invece di capacità specifica, facciamo riferimento ad un diverso tipo di presupposto,
ovvero all’idoneità del giudice a giudicare il fatto e quindi a costituirsi regolarmente nell’ambito di un
dato processo. Dal momento in cui questo presupposto manchi, ex art. 33.2 c.p.p., non sarà disposta
nullità alcuna.

Ex art. 33.3 dal momento in cui vengano violate le regole sulla ripartizione tra tribunale collegiale e monocratico,
ciò non darà luogo ad alcuna nullità processuale. È quindi chiaro che, in questo modo, il legislatore ha quindi
voluto evitare che violazioni riguardanti regole sul funzionamento interno dessero luogo a nullità processuali.

Tonini affronta poi la tematica dell’imparzialità ed apre il suo discorso affermando che questa assume connotati
diversi a seconda del modello processuale assunto dall’ordinamento:

➢ dal momento in cui l’ordinamento assuma un modello processuale inquisitorio, i giudici hanno una sorta
di carisma sacrale e per definizione sono imparziali ed impossibile contestare loro di non esserlo in
realtà;
➢ se invece l’ordinamento assume un modello processuale accusatorio, i giudici devono concretamente
essere imparziali, apparire tali, essendo possibile per le parti contestarne una mancanza che
determinerà una loro ricusazione in extrema ratio se non saranno prima loro ad astenersi.

Fatta questa premessa, Tonini prosegue affermando che il codice di procedura penale in tema di tutela
dell’imparzialità del giudice era palesemente molto carente: per questo la Consulta, nel corso degli anni 90, con
diverse sentenze ha provveduto a fornire le garanzie mancanti, cristallizzate poi dal legislatore alle soglie del
2000 con l’inserimento dell’art. 111 nella Costituzione, in cui si recita espressamente che il giudice deve essere
non solo imparziale, ma anche terzo. La prof. Bene e la dottoressa Alesci hanno dedicato diverse lezioni a questi
due concetti, dimostrando che non si tratta di due sinonimi, né di un’endiadi: come afferma Tonini la terzietà
implica che non ci può essere trasferimento di funzioni tra p.m. e giudice, essendoci quindi una netta
separazione delle carriere, invece l’imparzialità attiene allo stato mentale di impregiudicatezza del giudice.
L’imparzialità, ricollegandoci al discorso fatto da Tonini, non è assolutamente una dote innata del giudice, né
tanto meno una qualità carismatica della quale egli sarebbe dotato per aver vinto un concorso, bensì per essere
“effettiva”, come la storia ci insegna, deve essere fondata su una serie di principi, tra cui rientrano non solo
l’impregiudicatezza e la terzietà, ma anche la soggezione del giudice alla legge, la separazione tra le funzioni
giurisdizionali e quelle che sono tipiche di una parte, l’equidistanza dalle parti e la presenza di garanzie
procedimentali. Analizziamole nel dettaglio.

1. La soggezione del giudice alla legge: con questo principio si vuole sottolineare che non è sufficiente
proteggere il cittadino contro l'arbitrio del potere esecutivo del potere legislativo, ma occorre altresì

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tutelarlo contro l'arbitro del giudice e, per fare ciò, sono necessarie leggi precise e certe che
impediscano al giudice di essere influenzato dall'esterno o dall'interno.
2. La separazione tra le funzioni giurisdizionali e quelle che sono tipiche di una parte: l'imparzialità è
fondata sulla separazione delle principali funzioni processuali in soggetti distinti, ovvero l'accusa, la
difesa e il giudice, se quest'ultimo cumula i poteri dei precedenti la sua funzione decidente rischia di
essere sviata dagli ulteriori poteri che gli sarebbe chiamato ad esercitare, facendo venir meno
l'imparzialità. Detto in parole povere… Con questo principio si vuole sottolineare che, dal momento in
cui il giudice cumuli i poteri di una parte, sia essa l’accusa o la difesa, dal loro esercizio ne potrebbe
risultare sviata la sua funzione decidente, non essendo più imparziale.
3. La terzietà: come poc’anzi accennato, non è un sinonimo di imparzialità né con essa costituisce un
endiadi. Essa concerne lo status, ossia il piano ordinamentale, ed implica che non ci possa essere
trasferimento di funzioni tra p.m. e giudice, avendosi quindi una netta separazione delle carriere, invece
l’imparzialità attiene allo stato mentale che il giudice deve avere nel processo, alla luce del quale non
devono esserci legami tra di lui e le parti. Stiamo quindi parlando dell’impregiudicatezza, che andremo
ora ad analizzare.
4. L’impregiudicatezza: Affinché il giudice sia propriamente imparziale deve trovarsi in una condizione di
impregiudicatezza appunto rispetto alla questione da decidere, si tratta quindi di uno stato mentale, di
un atteggiamento interiore, definito dalla Corte Costituzionale come l'assenza di un pregiudizio rispetto
all'oggetto del procedimento ovvero la responsabilità dell'imputato. È chiaro quindi che mancherà
impregiudicatezza dal momento in cui il giudice si sia già pronunciato sulla responsabilità di un imputato
per un dato reato.
5. L’equidistanza dalle parti: affinché il giudice sia imparziale quest'ultimo dovrà essere super partes,
equidistante dalle parti, cosa che sovviene quando è assente qualsiasi legame attuale o potenziale tra
questi, inteso come persona fisica, ed una delle parti, o dalla questione da decidere.
6. La presenza di garanzie procedimentali: affinché l'imparzialità sia effettivamente garantita,
l'ordinamento deve prevedere garanzie procedimentali che attribuiscono alle parti il diritto di farla
accertare come avviene nel nostro in cui sono esperibili la ricusazione, o ancor prima l'astensione del
giudice, e la rimessione del processo.

Dal momento in cui manchi il requisito dell’impregiudicatezza, ci sarà incompatibilità ed il giudice non potrà
pronunciarsi in merito ad un dato procedimento: dal punto di vista operativo l'impregiudicatezza del giudice può
essere apprezzata fin dal momento della formazione dell'organo giudicante, per questo motivo le situazioni da
cui essa si denota costituiscono criteri di organizzazione preventiva della funzione giurisdizionale, in modo da
assicurare l'imparzialità della stessa. Tali situazioni di pregiudizio, sono previste dal codice come causa di
incompatibilità agli art. 34 e 35 e dalle leggi sull’ordinamento giudiziario:

1. l’aver pronunciato la sentenza in un precedente grado del medesimo procedimento,


2. l'aver emesso il provvedimento conclusivo dell'udienza preliminare,
3. l’aver emesso il decreto penale di condanna, l’aver disposto il giudizio immediato,
4. l'aver deciso sull'impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere.
5. Continuando nell’analisi dell’art. 34.3, la situazione pregiudicante può consistere nel fatto che il
magistrato, designato a giudicare, abbia esercitato nel medesimo procedimento una qualche funzione
che deve restare distinta da quello del giudice come le funzioni del pubblico ministero della polizia
giudiziaria del difensore del testimone del perito del consulente tecnico del denunciante e del
querelante.
6. Ex art. 35 c.p.p. la situazione pregiudicante può consistere anche nel fatto che un parente o un affine
fino al secondo grado del magistrato designato a giudicare, abbia già esercitato nel medesimo
procedimento sia la funzione di giudice sia altre funzioni separate o diverse.

Inoltre per la Corte Costituzionale, sarebbe incompatibile anche il giudice che abbia già pronunciato una
valutazione sulla responsabilità dell'imputato in relazione al medesimo fatto.

Dal momento in cui tali cause di incompatibilità non vengono accertate preventivamente al momento della
formazione dell'organo, diventano motivi di astensione ex art. 36 e di ricusazione ex art. 37 del giudice, essendo
venuta meno la sua imparzialità.

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Il giudice, in prima battuta, resosi conto della situazione di incompatibilità, è obbligatoriamente tenuto a
dichiarare la sua astensione: questa dichiarazione verrà sottoposta al presidente dell’organo giudicante al quale
egli appartiene che, soltanto una volta accertata l’incompatibilità verificatasi, determinerà l’astensione a tutti gli
effetti del giudice facendo così venir meno il suo dovere di pronunciarsi che non può automaticamente
verificarsi. L’astensione sarà rilevata non solo se sussiste una delle situazioni elencate agli art. 34 e 35 e alle leggi
di ordinamento giudiziario, ma anche e specialmente, ex art. 36 c.p.p. lettere a – g, qualora abbia un legame con
le parti o con l’oggetto della decisione [precisamente: a. se il giudice ha interesse nel procedimento o se una
delle parti private o un difensore è un suo o del coniuge o dei figli debitore o creditore; b. se sussistono in capo
al giudice dei rapporti di tutela, curatela, procura o è datore di lavoro di una delle parti private o se in capo al
difensore, o se egli ha rapporti di parentela con il procuratore o il curatore di una delle parti c. se il giudice ha
dato consigli o manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento fuori dell'esercizio delle funzioni
giudiziarie; d. se vi è inimicizia grave fra il giudice o un suo prossimo congiunto e una delle parti private; e. se
qualcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge è offeso o danneggiato dal reato o dalla parte privata;
f. se un prossimo congiunto del giudice o del coniuge svolge o ha svolto funzioni di pubblico ministero; g. se si
trova in taluna delle situazioni di incompatibilità stabilite dagli articoli 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento
giudiziario], o quando, ex art. 36 c.p.p. lettera h, vi siano “gravi ragioni di convenienza”, una clausola di chiusura,
ovvero se la ragione incide sulla libertà di autodeterminazione del giudice, dal momento in cui non lo faccia, si
procederà a ricusarlo su istanza di parte, fatta eccezione per motivi ascrivibili all’alveo di situazioni riconducibili
alla lettera h per non pregiudicare il prestigio della magistratura.

Dopo aver analizzato astensione e ricusazione del giudice, va analizzato il caso della rimessione del processo che
si ha essenzialmente per circostanze gravi legate a motivi ambientali. In questi casi viene pregiudicata
l'imparzialità dell'intero ufficio giudicante territorialmente competente e per questo è previsto lo spostamento
della competenza per territorio ad un altro organo giurisdizionale, situato presso quel capoluogo del distretto di
Corte d'Appello che individuato in base all'articolo 11, ad opera di una decisione della Corte di Cassazione per i
soli casi effettivamente acclarati ex art. 45 su richiesta dell’imputato, dal pubblico ministero presso il giudice che
procede e dal procuratore generale presso la Corte d’Appello. La rimessione può essere prevista a patto che
vengano rispettate delle condizioni tradizionalmente in due casi, poi in seguito ad una riforma fatta nel 2002 ne
è stato aggiunto un terzo. Prima di analizzarli, vediamo però quale deve essere la situazione sussistente, affinché
possa aversi rimessione: dovranno essere presenti gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del
processo non altrimenti eliminabili ovvero la situazione deve essere grave e cioè occorre che sia presente un
obiettiva situazione di fatto che lasci fondatamente presagire un esito non imparziale e non sereno del giudizio;
deve essere locale, e cioè non diffusa sull'intero territorio nazionale; deve essere esterna rispetto al processo e
cioè non deve consistere in un fenomeno connesso alla dialettica processuale ed infine deve essere non
eliminabile con gli strumenti a disposizione del potere esecutivo. Procediamo quindi analizzando i casi in cui è
prevista la rimessione:

1. Casi in cui è pregiudicata la sicurezza e l'incolumità pubblica per la presenza di guerriglie urbane;
2. Casi in cui è pregiudicata la libera determinazione delle persone che partecipano al processo, siano essi
giudici popolari o testimoni intimiditi ad esempio da associazioni mafiose mediante fenomeni di vera e
propria quartazione fisica o psichica;
3. Infine il terzo caso di remissione inserito nel 2002 con un'apposita legge, consiste in gravi situazioni
locali che determinano motivi legittimo sospetto, si fa quindi riferimento ad una grave oggettiva
situazione locale idonea a giustificare la rappresentazione di un concreto pericolo di non imparzialità
dell'intero ufficio giudicante della sede in cui si svolge il processo. Oggetto di tutela in questo caso è
un’imparzialità sostanziale, che può essere messa in pericolo quando la pressione dell'ambiente sul
giudice, ad un osservatore esterno, appare idonea a compromettere la sua serenità nella decisione
indispensabile per valutare il caso in esame.

Per quanto concerne le questioni pregiudiziali alla decisione penale, facciamo riferimento a quei casi in cui un
giudice penale si trova a dover decidere all'interno della causa una questione attinente all'ambito ad esempio
civile: in questo caso la decisione non avrà valenza anche in ambito civile ed egli deve ovviamente attenersi alle
regole probatorie al modus operandi civile per decidere sulla questione. Molto importante è il caso che riguarda
le vicende di stato di famiglia e cittadinanza, ha autosufficienza parziale in quanto dovrà sempre tenere conto di
quelle che sono le pronunce decise in ambito civile.

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Passiamo ora ad analizzare un altro importante soggetto del procedimento penale, il Pubblico Ministero (c.d.
p.m.) con cui si sta ad indicare il complesso uffici pubblici che nel processo penale rappresentano l’interesse
generale dello Stato alla repressione dei reati: si tratta quindi di un organo frazionato in tanti uffici, ciascuno dei
quali svolge la sua funzione, di norma, soltanto davanti all’organo giudiziario presso cui è costituito [vi sono delle
eccezioni, le vedremo più avanti]. E proprio in merito alle funzioni, procediamo nell’analizzarle ripercorrendo
non solo il codice penale, ma anche la legge dell’ordinamento giudiziario:

1. In primis, ex art. 73 ord. giur., il p.m. deve controllare non solo che le leggi vengano osservate, ma anche
che l’amministrazione della giustizia venga svolta prontamente e regolarmente, che i diritti dello Stato
delle persone giuridiche e degli incapaci siano tutelati;
2. In secondo luogo, sempre ex art. 73 ord. giur., il p.m. deve svolgere tutte le indagini necessarie per
valutare se deve chiedere il rinvio a giudizio o l’archiviazione;
3. Poi, sempre ex art. 73 ord. giur., fa eseguire i giudicati ed ogni altro provvedimento del giudice nei casi
previsti dalla legge;
4. Ancora, ex art. 50 c.p.p., ha il dovere di esercitare l’azione penale in tutti i casi in cui non debba esserci
archiviazione.

Il pubblico ministero svolge nel procedimento penale la funzione di parte pubblica, difatti si fa portatore degli
interessi generali dello Stato-Comunità o meglio della collettività lesa dal reato posto in essere: il magistrato che
ne fa parte gode di uno status davvero particolare, oltre a godere infatti di piena indipendenza è inamovibile e
viene nominato in seguito a pubblico concorso, ciò non toglie però che potranno essergli mossi anche dei
provvedimenti disciplinari da parte del CSM. Egli è costituzionalmente obbligato a porre in essere l’azione penale
e la principale differenza rispetto alla posizione del giudice sta nel fatto che il suo ufficio ha alcune
caratteristiche dell’organizzazione gerarchica, del tutto assenti all’interno degli uffici del giudice.

Per quanto riguarda i rapporti che il p.m. ha con il potere politico, Tonini ci da una visione d’insieme e distingue
praticamente il suo ruolo in un sistema totalitarista e in uno garantista per poi passare a quello che è il nostro
caso:

➢ Nel sistema totalitarista, non vige il principio di separazione dei poteri e il p.m. finisce per diventare un
mero mezzo di espressione del potere politico dittatoriale dominante;
➢ Nel sistema garantista invece, essendo invece fondati sul principio di separazione dei poteri il p.m. può
essere visto come espressione di tre distinte realtà. a) O come rappresentante della società, come
accadeva ai tempi della Rivoluzione Francese e tutt’ora negli USA essendoci un comune sentire da parte
dei suoi componenti; b) O come rappresentate del potere esecutivo, come accadeva ai tempi del
Consolato o dell’Impero o del regime fascista in Italia, determinandosi così una trasformazione del p.m.
da magistrato un mero funzionario dell’esecutivo da cui dipende la propria carriera; c) infine, può essere
inteso come rappresentate della legge, come è avvenuto nell’Italia del secondo dopoguerra,
determinandosi così una netta separazione del p.m. dal mondo politico ed una vera e propria
vincolatività alla legge.

Volendo dare uno sguardo alla nostra attuale situazione, il p.m. viene tutt’ora considerato alla luce dell’ideologia
dei padri costituenti: si parla di un magistrato con garanzie di indipendenza simili a quelle dei giudici, idoneo a
quella che è la non piena divisione tra esecutivo e legislativo ed alla grande disomogeneità ideologica presente
sul territorio.

Tonini procede analizzando i rapporti che il p.m. ha all’interno dell’ufficio: come poc’anzi accennato, questo
magistrato si distingue dal giudice, perché nel suo ufficio può essere riscontrata un’organizzazione gerarchica
che assume dei connotati peculiari in ossequio al contemperamento di due esigenze, ovvero quella di garantire
la sua indipendenza e allo stesso tempo anche una buona organizzazione dell’ufficio della pubblica accusa. Come
possiamo desumere dall’evoluzione legislativa che c’è stata in materia i rapporti che il p.m. ha all’interno
dell’ufficio sono cambiati: esattamente si è passati da un sistema di “personalizzazione delle funzioni” ad un
altro definito di “gerarchia attenuata”. Analizziamoli e capiamo cosa effettivamente sia cambiato dagli anni ’80
fino alla recente riforma dell’ordinamento giudiziario avvenuta negli anni 2000.

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➢ Secondo il sistema della “personalizzazione delle funzioni”, il titolare dell’ufficio designava il magistrato
in modo automatico secondo un sistema tabellare fondato su dei criteri predeterminati, come si faceva
per il giudice inizialmente. Una volta designato, il magistrato aveva una grande autonomia funzionale,
poiché il titolare gli dava direttive generali per l’organizzazione dell’ufficio tralasciando lo svolgimento
del processo che quindi poteva procedere in ossequio a quanto egli riteneva opportuno. Ciò non
toglieva però che fosse possibile essere revocati, erano infatti previsti dei casi tassativi dalla legge in cui
ciò sarebbe potuto eventualmente verificarsi.
➢ Con il passaggio al sistema della “gerarchia attenuata”, c’è stata una vera e propria rivoluzione
copernicana: in deroga al principio dell’automaticità poc’anzi esposto, il titolare dell’ufficio, o meglio il
Procuratore della Repubblica, dall’alto della sua competenza esclusiva, non designa, bensì, ex art. 2.1
d.lgs. n. 106 del 2006, o esercita personalmente l’azione penale o la assegna ad un magistrato mediante
provvedimento c.d. di assegnazione che, prevedendo espressamente i criteri generali o particolari, non
gli permetterà di avere tutta quell’autonomia funzionale che aveva in precedenza, ma lo limiterà nel
suo agire. Dal momento in cui tali criteri non vengano rispettati, o si presenti un contrasto con chi li ha
posti, il magistrato si vede revocata l’assegnazione, a meno che non riesca a risolvere il disaccordo con
il procuratore della repubblica. Il potere direttivo si attenua se il magistrato del P.M. a cui è stato
assegnato il procedimento si trovi in udienza, in cui, come sappiamo, egli gode di piena autonomia: dal
momento in cui però il titolare dell’ufficio denoti qualche incongruenza [interesse privato da parte sua,
grave impedimento o esigenze di servizio] pur essendo nel corso dell’udienza, dall’alto della gerarchia
esistente, dovrà sostituirlo, con o senza il suo consenso, altrimenti si procederà per avocazione ex art.
53 c.p.p. Affronteremo poi nel dettaglio i casi. Procedendo nell’analisi dei singoli aspetti di gerarchia
dobbiamo ricordarne altri due, uno in tema di misure cautelari ed un altro in tema di rapporti con gli
organi di informazione: in relazione al primo caso il magistrato del PM, quando intendere chiedere al
giudice una misura cautelare personale o reale deve, ex art. 3.1/2 d.lgs. n. 106 del 2006, ottenere
l’assenso scritto del Procuratore della Repubblica, come è analogamente previsto per disporre il fermo;
in merito invece al secondo argomento, il Procuratore della Repubblica, ex art. 5 d.lgs. n. 106 del 2006,
è tenuto a mantenere personalmente i rapporti con gli organi d’informazione, inoltre ogni informazione
inerente alle attività della Procura deve essere fornita attribuendola in modo impersonale all’ufficio ed
escludendo ogni riferimento ai magistrati assegnatari del procedimento, è per questo che è vietato ai
singoli magistrati del Pubblico Ministero di rilasciare dichiarazioni agli organi d’informazione. In
conclusione l’art. 5 afferma che il procuratore della repubblica è tenuto annualmente a render conto al
consiglio giudiziario di condotte contrarie a quanto disposto.

Ogni ufficio del P.M., di regola, è competente a svolgere le sue funzioni solo presso l’organo giudiziario davanti a
cui è costituito ex art. 51.3 c.p.p., come poc’anzi accennato ci sono però delle eccezioni a tale assunto. Tonini
parla infatti di rapporti TRA uffici: esattamente tra il procuratore generale e la Corte di Cassazione, in merito alla
sorveglianza e alla conseguente promozione di azioni disciplinari contro i magistrati requirenti o giudicanti
dinnanzi al CSM oppure in merito alla risoluzione di contrasti positivi [quando due uffici stanno svolgendo
indagini a carico della stessa persona in merito allo stesso fatto e ciascuno di essi ritenga esclusiva la propria
competenza] o negativi [quando due uffici, ex art. 54, durante le indagini preliminari negano la competenza per
materia o per territorio presso il quale ciascuno di essi esercita le funzioni, ritenendo la competenza di altro
giudice] verificatisi tra uffici del P.M. appartenenti a differenti distretti, oppure tra il procuratore generale e la
Corte d’Appello, in merito alla sorveglianza dei magistrati requirenti e al conseguente potere di dirimere
eventuali contrasti tra loro in termini di competenza oppure, nei casi tassativamente previsti, di avocarli. Prima
di passare ad analizzare il potere di avocazione, dobbiamo però ricordare che anche i rapporti tra uffici hanno
risentito della riforma dell’ordine giudiziario avutasi nel 2006: infatti, ex art. 6 del d.lgs. n. 106, il procuratore
della repubblica presso la corte d’appello è tenuto a raccogliere tutte le informazioni possibili dalle singole
procure per assicurarsi del corretto ed efficiente funzionamento dell’azione penale, dei principi sul giusto
processo, dell’esercizio dei singoli poteri attribuiti al procuratore generale nell’esercizio delle loro funzioni.
Poc’anzi abbiamo accennato il potere di avocazione. Affrontiamolo. Si tratta di quel potere che consente
all’organo superiore di avocarsi a quello inferiore nello svolgimento di una data attività, come ad esempio le
indagini preliminari: alla luce di ciò, possiamo affermare che il codice lo attribuisce al procuratore generale
presso la corte d’appello che quindi può avocare il magistrato del p.m. dal momento in cui sussista
tassativamente o la mancanza di un’attività doverosa da parte sua oppure se vi sia per sua inerzia si rischi una
stasi del procedimento. Ovviamente l’avocazione, che può essere obbligatoria o facoltativa, va fatta a mezzo
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provvedimento motivato e trasmesso al CSM e al magistrato avocato nel caso voglia porre eventuali reclami.
Sempre su questa scia, dobbiamo parallelamente analizzare, il caso dell’astensione del magistrato del p.m.:
[diversamente da come accade per il giudice che può astenersi o essere ricusato per gli stessi motivi] questi,
essendo una parte, seppur pubblica, perché mossa da relativo interesse e dal conseguente obbligo di lealtà, può
astenersi, ma in mancanza di quest’ultima non può essere ricusato, bensì verrà sostituito dal capo dell’ufficio e,
dal momento in cui non si provveda a far ciò, sovverrà un caso di avocazione obbligatoria da parte di un
magistrato appartenente all’ufficio del procuratore generale presso la Corte d’Appello. Procediamo per gradi.
Come deducibile dal codice all’art. 52, in alcuni casi il magistrato del p.m. non può più continuare ad occuparsi
del procedimento assegnatogli: difatti, in casi di particolare gravità, in cui sussistano ragioni di convenienza
appunto gravi, egli, alla luce dell’interesse pubblico da lui rappresentato e dagli obblighi che ne discendono, ha
formalmente la facoltà di astenersi, ma sostanzialmente si tratta di un vero e proprio obbligo che se non
osservato sarà fonte di illecito disciplinare. L’art. 53 prevede inoltre uno strumento di rimozione, anche in
udienza, del magistrato del p.m. dal momento in cui egli non si sia astenuto, pur avendo un interesse privato nel
procedimento (in relazione agli stessi casi tipizzati alle lettere a-b-d-e dell’art. 36 c.p.p.) lontano da ciò che egli
rappresenta: stiamo parlando della sostituzione, che opera a prescindere del suo consenso, in virtù della quale,
sarà sostituito dal capo dell’ufficio, laddove tale procedura non venga eseguita ci troveremo davanti ad un caso
di avocazione obbligatoria da parte del procuratore generale presso la Corte d’Appello di un magistrato
appartenente all’ufficio. Merita un accenno il dovere di lealtà processuale a cui abbiamo fatto poc’anzi
riferimento: come abbiamo detto il pubblico ministero ha qualità di parte pubblica, in quanto rappresentante di
un interesse generale, della collettività, pertanto in quanto tale discende per lui un vero e proprio obbligo di
lealtà processuale: la parte privata, come sappiamo, cerca solo prove favorevoli a sé e non ha l’obbligo di far
conoscere alle altre qualcosa che possa dar loro giovamento, non ha quindi tale obbligo di lealtà processuale
come il pubblico ministero che invece, essendo una parte pubblica, deve obbligatoriamente ricercare le prove in
genere, non solo favorevoli alla sua di posizione, ma anche a quella dell’indagato, e consegnarle entro i tempi
previsti in base a quanto sancito dall’art. 358 c.p.p.

Tonini, in ultima battuta, si dedica alle procure distrettuali, alla procura nazionale antimafia e antiterrorismo: egli
afferma che la struttura tradizionale degli uffici del pubblico ministero andava ad intralciare con le indagini degli
inquirenti in merito a delitti del genere, specialmente quelli legati alla criminalità organizzata mafiosa, anche se
in realtà il codice auspicava ad una collaborazione tra loro. Il codice detta infatti che le indagini debbano
considerarsi collegate nel caso dei reati per cui è prevista la connessione dei procedimenti ex art. 12 c.p.p.,
ancora nel caso dei reati commessi in occasione di altri ed infine anche per quei reati le cui prove derivano,
anche in parte, dalla stessa fonte: da tale collegamento si invitava a far nascere un coordinamento tra i vari
uffici, in modo da potersi scambiare tra loro atti e informazioni, ma il più delle volte, per “gelosia” dice Tonini,
ciò non è avvenuto tanto che il legislatore puoi ha ritenuto opportuno, dal momento in cui ciò non fosse
avvenuto, prevedere una sanzione mediante l’istituto dell’avocazione. Il problema venne affrontato da diversi
magistrati, ma la soluzione che alla fine venne adottata dal Parlamento fu quella di Paolo Borsellino: ridurre il
numero delle procure legittimate a svolgere indagini in materia di associazione a delinquere mafiosa e di istituire
una procura nazionale antimafia. Tonini prosegue poi parlando della Procura Distrettuale Antimafia, l’ufficio
della procura della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di Corte d’Appello nel cui ambito
ha sede il giudice competente, a cui sono attribuite le funzioni di Pubblico Ministero in primo grado in relazione
ai delitti di criminalità organizzata mafiosa e assimilati: all’interno della procura nazionale antimafia è costituita
una direzione distrettuale antimafia, la c.d. D.D.A., che non è altro se non il gruppo, o pool, di magistrati che
hanno chiesto di dedicarsi esclusivamente ai procedimenti attinenti alla criminalità organizzata mafiosa. Questa
organizzazione fa si che le indagini sulla criminalità mafiosa siano attribuite alle ventisei procure distrettuali e
non alle oltre centosessanta procure della Repubblica presso i tribunali: ergo il numero ridotto di uffici
competenti ad indagare permette che vi sia un coordinamento tra gli stessi. Tonini in conclusione parla della
procura nazionale antimafia e antiterrorismo, che è un solo ufficio, con sede a Roma, composto da venti
magistrati del pubblico ministero nominati dal CSM sentito il procuratore nazionale, nominato anch’esso dal
CSM in seguito ad un accordo col ministro della Giustizia. Il procuratore nazionale antimafia ha compiti di
controllo che gli permettono di verificare se sia effettivo il coordinamento tra i singoli uffici del PM ed inoltre ha
poteri sia di impulso nei confronti dei procuratori distrettuali, sia di controllo sull’attività degli organi
centralizzati di polizia giudiziaria. Della sua attività non risponde a organi del potere politico, egli è sotto la mera
sorveglianza del procuratore generale presso la Corte di Cassazione e, ovviamente, del CSM. Non può compiere
direttamente indagini ed è escluso che il procuratore nazionale antimafia abbia un potere gerarchico sui ventisei
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procuratori distrettuali, ma può esercitare un controllo penetrante che può giungere sino all’avocazione delle
indagini nei confronti di quella procura distrettuale che abbia violato il dovere di coordinamento.

Tonini annovera poi tra i soggetti del procedimento penale la polizia giudiziaria. lo Stato infatti per tutelare
l'ordine e la legalità si serve di 4 corpi di polizia, ovvero la polizia di stato l'Arma dei Carabinieri a cui è stato
recentemente accorpato il corpo forestale la Guardia di Finanza e il corpo di Polizia Penitenziaria, che in
presenza di determinati presupposti svolgono funzioni di polizia giudiziaria e di polizia di sicurezza. Ovviamente
si tratta di due cose diverse e, per arrivare a capire effettivamente in cosa differiscono, bisogna fare delle
premesse per quanto le riguarda contenutisticamente:

➢ La polizia di sicurezza è una sottospecie della polizia amministrativa ed ha il compito di prevenire il


compimento di reati, in modo da tutelare la collettività dai pericoli e dalle turbative che ne possono
derivare;
➢ La polizia giudiziaria, ex articolo 55 del Codice di Procedura Penale, è vocata alla repressione dei reati e
quindi deve raccogliere tutti gli elementi necessari per accertare il reato e per rendere possibile lo
svolgersi del processo penale.

La differenza è quindi chiara la polizia di sicurezza mira a prevenire i reati mentre quella giudiziaria mira a
reprimerli: dal momento in cui la polizia svolga la funzione di prevenzione, salvo rare eccezioni, non gode di
poteri coercitivi atti a limitare le libertà fondamentali, dal momento in cui però venga a conoscenza del fatto che
sia stato commesso un reato può operare in funzione di polizia giudiziaria facendo uso dei poteri coercitivi. La
funzione di polizia giudiziaria è svolta sotto la direzione del Pubblico Ministero e sotto la sorveglianza del
procuratore generale presso la Corte d'Appello: ciò significa in primo luogo che, dal momento in cui il
procuratore generale presso la Corte d'Appello si renda conto che siano state trasgredite alcune delle regole
previste da colui che svolge le funzioni di polizia giudiziaria potrà dare inizio ad un procedimento disciplinare nei
suoi confronti; in secondo luogo significa poi che c'è una vera e propria dipendenza funzionale da parte della
polizia giudiziaria nei confronti del Pubblico Ministero. Inoltre, colui il quale svolge funzioni di polizia, sia essa
giudiziaria o di sicurezza, dipende organicamente dal potere esecutivo: o meglio dipenderebbe dal corpo di
appartenenza e, per suo tramite, dal ministro presso cui esso stesso è incardinato. Essendoci quindi una
dipendenza funzionale dal pubblico ministero ed una dipendenza organica dal potere esecutivo, c'è il rischio che
le direttive dell'autorità giudiziaria siano ostacolate da direttive in senso contrario provenienti dagli organi del
potere esecutivo mettendo in serio pericolo la raccolta delle prove che, così facendo, non sarebbero ricercate
con la dovuta solerzia. Per evitare questi pericoli, sono presenti degli strumenti volti a rafforzare la direzione
funzionale spettante all’autorità giudiziaria, in modo da attuare il principio costituzionalmente sancito all'articolo
109 secondo cui l'autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. Il codice di procedura penale
distingue tre strutture che svolgono funzioni di polizia giudiziaria, pur restando i singoli ufficiali ed agenti sotto la
dipendenza organica del corpo di appartenenza, che si caratterizzano per il diverso grado di dipendenza
funzionale dall'autorità giudiziaria.

Le sezioni di polizia giudiziaria I servizi di polizia giudiziaria


Grado di dipendenza Maggiore Minore
Si tratta di organi costituiti presso gli uffici del organi costituiti presso i corpi di
Pubblico Ministero di primo grado appartenenza (si tratta della squadra
mobile presso le questure)
Si compongono di ufficiali e agenti della Polizia di Stato, a prescindere dalla loro
dei Carabinieri, della Guardia di denominazione composizione si
Finanza ed inoltre possono considerano servizi tutti gli uffici e le
essercene alcuni appartenenti ad unità ai quali è affidato dalle
altre amministrazioni quando vi sono rispettive amministrazioni il compito
particolari esigenze di di svolgere in via prioritaria e
specializzazione continuativa le funzioni di polizia
giudiziaria, ergo
Svolgono funzioni di polizia giudiziaria esclusivamente, di polizia giudiziaria in via prioritaria
sotto la dipendenza del capo del e continuativa, il tutto sotto la
singolo ufficio del pubblico direzione del p.m. che dirige le

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ministero, che dirige e coordina le indagini preliminari dando un
attività disponendo direttamente del incarico impersonalmente all’ufficio.
personale della sezione
Il potere direttivo dell’autorità è rafforzato mediante strumenti che è rafforzato mediante strumenti che
incidono sulla carriera sulla mobilità incidono sulla carriera sulla mobilità
e sulle promozioni del personale e sulle promozioni del personale
appartenente alle sezioni appartenente ai servizi

Gli organi di polizia giudiziaria che non sono ricompresi nelle sezioni o nei servizi, restano comunque sotto la
dipendenza funzionale della magistratura, si tratta ex articolo 57 comma 3 di altri uffici: si dà una definizione in
negativo, essendo questi ultimi differenti dalle sezioni e dei servizi. Per quanto riguarda il potere disciplinare,
spettante la magistratura, è azionabile dal Procuratore Generale presso la Corte d'Appello e vi sarà soggetto non
solo il personale delle sezioni dei servizi, ma anche qualsiasi altra persona che abbia la qualifica di ufficiale o
agente di polizia giudiziaria. Ovviamente saranno oggetto del potere disciplinare tutti gli illeciti che riguardino
l'espletamento dei compiti di polizia giudiziaria. Importante da analizzare è il potenziamento delle attività
investigative che si è avuto con il decreto legge antiterrorismo nel 2005 che è stato poi convertito in legge con
cui è stata disposta una complessa manovra normativa avente ad oggetto l'attività della polizia giudiziaria: da un
lato ha provveduto a potenziarne le sue capacità investigative fornendo degli strumenti ulteriori specializzati in
relazione alle indagini svolte [facendo ad esempio in modo che, come notiamo dall'articolo 5 del suddetto
decreto legge, per le esigenze connesse e indagini antiterrorismo il Ministro dell'Interno deve costituire apposite
unità investigativa interforze, formate da esperti ufficiali e agenti delle varie forze di polizia, di cui poi il pubblico
ministero è tenuto ad avvalersi] e dall’altro l’ha privata di tutte quelle funzioni che non solo l’hanno svuotata di
significato, ma che l’hanno allontanata dalla sua funzione originaria [la polizia giudiziaria doveva infatti ad
esempio sostituirsi all’ufficiale giudiziario, cosa che non è più prevista]. In ultima battuta Tonini si sofferma su
una suddivisione in termini di competenze generali e limitate per quanto concerne gli ufficiali e gli agenti di
polizia giudiziaria.

Polizia giudiziaria con competenze generali Polizia giudiziaria con competenze limitate
I soggetti elencati ex art. 57.1 c.p.p. possono avere I soggetti previsti ex art. 57.3 c.p.p. possono avere una
una competenza generale per tutti i reati: competenza limitata a determinati reati: si tratta di
1. Persone qualificati dall’ordinamento o tutte le persone che sono investite della funzione di
dall’amministrazione; polizia giudiziaria da una legge o un regolamento, nei
2. Gli ufficiali ed i sottoufficiali dei Carabinieri, limiti del servizio cui tali persone sono destinate e
3. Gli ufficiali ed i sottoufficiali della Guardia di secondo le rispettive attribuzioni (= nel rispettivo
Finanza, ordinamento). Detta persona svolge di regola compiti
4. Gli ufficiali ed i sottoufficiali del corpo di di polizia amministrativa nella quale è compresa la
Polizia Penitenziaria, prevenzione di determinati reati, se però nel
5. Gli ufficiali ed i sottoufficiali del corpo compimento di tale funzione e giunge una notizia di
Forestale, uno di quei reati che deve prevenire scatta la funzione
6. In via residuale, il Sindaco di polizia giudiziaria come accade ad esempio agli
addetti al servizio di polizia municipale.

Ancora per quanto riguarda i soggetti del procedimento penale dobbiamo analizzare la figura dell’imputato.
Procediamo per gradi. All'inizio del procedimento penale le indagini possono svolgersi o contro ignoti o contro
un indagato: contro un indagato, dal momento in cui il denunciante sappia contro chi sporgere denuncia, contro
ignoti, se invece, cosa che accade più spesso, il denunciante non abbia idea di chi possa essere il responsabile del
reato. Questa denuncia che verrà poi trasmessa al pubblico ministero il quale ordinerà alla segreteria di scriverla
nel registro delle notizie di reato, sia essa contro un indagato o contro ignoti. Nel caso della denuncia contro un
indagato il discorso è quanto mai fine a se stesso, invece per quanto riguarda la denuncia contro ignoti vanno
fatte delle precisazioni: in questo caso, una volta scritta la denuncia nell’apposito registro, se al termine delle
indagini gli elementi raccolti consentano di addebitare il reato alla responsabilità di una determinata persona,
allora il pubblico ministero ordinerà alla segreteria di iscrivervi accanto il nome del soggetto a cui attribuirlo : ex

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c.p.p. questi è definito persona sottoposta alle indagini preliminari, anche se nella prassi è chiamato "indagato".
Quando parliamo quindi di indagato non stiamo facendo riferimento all'imputato, si tratta di due distinte
qualità: la qualità di imputato, differentemente da quella dell’indagato che viene assunta per il soggetto
sottoposto alle indagini preliminari ancora in corso, viene assunta, ex art. 60 c.p.p., soltanto in relazione al
momento conclusivo delle indagini, nei confronti della persona alla quale è attribuito il reato, essendoci prove
sufficienti contro di lui, o con l'imputazione formulata dal Pubblico Ministero e conseguente richiesta di rinvio a
giudizio o con l'atto avente omologa funzione che insatura il singolo procedimento (rito) speciale, o ancora, nel
caso del procedimento dinnanzi al tribunale monocratico, quando è emanato il decreto di citazione a giudizio.
Tale qualità, ex art. 60.2 c.p.p., verrà poi conservata in ogni stato e grado del processo, fino a che la sentenza di
proscioglimento o di condanna sia divenuta irrevocabile o esecutivo il decreto penale di condanna e potrà
essere, ex art. 60.3 c.p.p., infine riassunta in caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere o qualora La
Corte d'Appello disponga la revisione del processo. Il codice pone quindi questa fondamentale distinzione tra
indagato e imputato e ciò avviene principalmente per due ragioni: in primis perché vuole che il pubblico
ministero prenda una posizione definitiva sull'addebito soltanto al termine delle indagini preliminari e
conseguente richiesta di rinvio a giudizio sulla base di una suffragata base probatoria; in secondo luogo perché,
vuole trasparire una totale neutralità e mancanza di pregiudizi nei confronti del soggetto ancora sottoposto ad
indagine seppur possa comunque attribuirgli un addebito provvisorio, ma sempre a fini di garanzia del suo stesso
diritto di difesa. Tale suddivisione quindi viene fatta a fini prevalentemente garantistici e a prova di ciò c'è il fatto
che, ex articolo 61 comma 1/2 c.p.p., entrambi vengono equiparati sotto il punto di vista dei diritti di difesa
anche se non totalmente, essendo le indagini preliminari segrete per le successive fasi dell'udienza preliminare
del giudizio in contraddittorio, e dal punto di vista degli aspetti pregiudizievoli. In base a quanto minuziosamente
regolamentato dal c.p.p. agli articoli 64 e 65, l'indagato va interrogato personalmente da vari soggetti ad
esempio dal giudice nell'udienza preliminare oppure, riportando l'esempio ripreso da Tonini, dal Pubblico
Ministero nelle indagini preliminari. Molto importanti sono in quest'ambito le regole e gli avvisi. Per quanto
concerne le regole generali dell’interrogatorio esse sono riportate all’art. 64 c.p.p. ed essenzialmente fanno
riferimento al fatto che l’indagato debba rilasciare dichiarazioni soltanto se egli abbia liberamente deciso di
renderle e dal momento in cui gli sia lasciata piena facoltà di autodeterminarsi. Fra gli avvisi che vengono fatti
prima dell’interrogatorio, va ricordato: ex art. 64.3 lettera a, recentemente modificato nel 2001, che le
dichiarazioni dell’indagato potranno essere utilizzate nei suoi confronti e quindi potranno essere base per una
qualche sua responsabilità [dal momento in cui l’avviso non sia fatto, oppure sia incompleto, saranno
inutilizzabili]; o ancora, ex lettera b, che avrà ha la facoltà di non rispondere a sua scelta alle domande postegli,
ben informato del fatto che però il procedimento seguirà comunque il suo corso [dal momento in cui l’avviso
non sia fatto, oppure sia incompleto, saranno inutilizzabili]; inoltre, in seguito alla legge n. 63 del 2001, ex art.
64.3bis secondo periodo, qualora questi risponda su fatti che fanno emergere responsabilità nei confronti di altri
soggetti assumerà l'ufficio di testimone [stavolta, dal momento in cui l’avviso non sia fatto, oppure sia
incompleto, saranno non solo inutilizzabili le dichiarazioni fatte, ma il soggetto non assumerà neanche la
qualifica di testimone finché la sentenza non sia divenuta irrevocabile]. Ex art. 65 sono inoltre riportate altre
regole, c.d. sul merito: in virtù di esse, il pubblico ministero prima di rivolgere domande all'indagato deve
comunicargli in forma chiara e precisa il fatto di reato che gli è attribuito indicando quindi quali sono gli elementi
di prova e le fonti da cui esistessi sono stati ricavati, il tutto però a meno che ciò non comporti un pregiudizio per
le indagini difatti in tal caso non sarà tenuto a farlo essendoci esigenze superiori di tutela. Fatto ciò che è
indicato in questi articoli, il p.m. può procedere con le domande all’indagato che, essendogliene data la
possibilità, potrà rimanere in silenzio, ed in tal caso il suo gesto verrà appositamente verbalizzato, oppure
rispondere, ammettendo i fatti a lui sfavorevoli oppure mentendo al riguardo. Proprio in merito alla possibilità di
mentire vanno fatte delle precisazioni: paradossalmente, mentendo, l’indagato, non sempre è perseguibile per
legge, non solo perché non ha la data qualifica [quella di testimone un testimone o un possibile testimone] che
gli permetterebbe di integrare le fattispecie di falsa testimonianza e di false informazioni al p.m., ma
specialmente poiché esiste una causa di non punibilità ex art. 384.1 c.p., che gli consente di affermare il falso a
patto che sia costretto a salvare se stesso da un grave pregiudizio nella libertà o nell’onore, qual è
effettivamente una sanzione penale. Tale esimente non vale però dal momento in cui il soggetto, abusando del
diritto di difendersi, finisca per sviare la Giustizia penale integrando o la c.d. “simulazione di reato”, affermando
che un reato è stato compiuto quando invece non lo è stato, oppure integrando il reato di calunnia, accusando di
un reato qualcuno che invece non lo ha posto in essere. Tonini nella sua analisi dei soggetti del procedimento
prosegue segnando una netta distinzione tra le figure dell’imputato e dell’indagato e quella del testimone:
quest'ultimo infatti si trova in una situazione diversa rispetto ad essi, considerato che ha l'obbligo di dire la
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verità, mentre gli altri hanno diritto al silenzio e non sono punibili se mentono. Il testimone va inoltre distinto
dalla persona informata idoneamente definita come c.d. possibile testimone.

TESTIMONE PERSONA INFORMATA


Chi è? Quella persona che, a conoscenza Quella persona che, a conoscenza
dei fatti, si trova a deporre dinnanzi di fatti utili ai fini delle indagini, si
al giudice trova a deporre dinnanzi al p.m.
Viene informato di dover dire la Dal momento in cui non lo faccia, Dal momento in cui non lo faccia,
verità… commette il reato di falsa commette il delitto di false
testimonianza informazioni

È chiaro quindi che la persona informata ha una posizione sostanzialmente analoga a quella del testimone e, per
questo, Tonini ritiene che sarebbe meglio definirla possibile testimone, anche perché, così facendo si andrebbe a
chiarire che l'indagato è incompatibile con gli obblighi di natura testimoniale anche nel corso delle indagini
preliminari.

Nel corso della deposizione può accadere che il testimone renda, più o meno consapevolmente, “dichiarazioni
auto indizianti” o “auto incriminanti”, cioè dalle quali emergono indizi di reità a suo carico: a seguito di ciò, ex
art. 63.1, l’autorità procedente deve interrompere l’esame ed avvertire la persona che, a seguito delle
dichiarazioni da lui rese, potranno essere svolte indagini nei suoi confronti e quindi invitarla a nominare un
difensore. Attenzione: le dichiarazioni rilasciate fino a quel momento non possono essere utilizzate contro la
persona che le ha rese, bensì a suo favore o contro altre persone in modo da impedire che il testimone continui
a parlare peggiorando la situazione e da obbligare l’autorità procedente a bloccare la deposizione attivando le
garanzie difensive. Il codice inoltre si preoccupa del fenomeno dell’elusione della qualità dell’indagato, o meglio
che le norme garantiste sull’interrogatorio possano essere eluse da un inquirente (PM o polizia giudiziaria) che
interroghi un indagato senza riconoscergli tale qualità e, quindi, senza rispettare il suo diritto di non rispondere.
Ai sensi dell’art. 632 c.p.p. se una persona ascoltata come testimone o persona informata (possibile testimone)
doveva essere sentita fin dall’inizio in qualità di imputato o di persona sottoposta alle indagini, le sue
dichiarazioni non possono essere utilizzate per evitare abusi da parte dell’autorità inquirente.

Come ormai chiaro il procedimento penale è finalizzato ad accertare un fatto di reato e quindi materialmente
anche chi lo ha posto in essere: può però accadere che, nel corso delle indagini, ci si trovi di fronte ad una
persona fisica non sapendo con certezza se gli si possa attribuire quel dato avvenimento, pertanto è necessario
procedere ad identificarla. La verifica dell'identità dell'imputato comporta due accertamenti diversi:
l'accertamento dell'identità fisica e l'accertamento dell'identità anagrafica, su cui hanno inciso le modifiche
operate dal decreto legge antiterrorismo poi convertito in legge nel 2005.

• Accertamento dell'identità fisica. In questo caso, si tratta materialmente di stabilire se l'indagato


coincide con l'autore del fatto illecito, pertanto l'accertamento si potrà pervenire se si prova che la sua
impronta digitale (o quella genetica) corrisponda con quella rilevata sul locus commissi delicti. Tale
tipologia di accertamento sarà richiesta anche dal momento in cui il medesimo soggetto abbia in tempi
diversi fornito diverse generalità, oppure dal momento in cui quei procedimenti che si svolgevano
contro ignoti si orientano poi contro un determinato soggetto. Non sussiste quindi un diritto
dell'indagato a non essere identificato: egli è oggetto di prova e deve sopportare il compimento di
qualsiasi ricognizioni personali, prelievo di impronte digitali ed, ex articolo 349 comma 2-bis, prelievo di
materiale biologico quale capelli e saliva ove necessario. Una volta operato con successo l'accertamento
dell'identità fisica il processo nei confronti dell'indagato può svolgersi anche se non si ha una chiara
identità anagrafica ex articolo 66 comma 2, ma dovrà invece essere concluso, ex art. 129, con sentenza
di assoluzione dal momento in cui sussistano delle fondate incertezze in merito l'accertamento dia
risultati incerti.
• Accertamento dell'identità anagrafica: quando facciamo riferimento a questo tipo di accertamento, si
tratta di attribuire un nome a un volto o a un impronta digitale o genetica e il principale strumento per
pervenirvi è l'interrogatorio, fatto, appunto, nei confronti dell'indagato, da parte del pubblico ministero
o della polizia giudiziaria, sull'identità personale del soggetto il quale è tenuto a rispondere in merito,

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essendo informato dagli stessi del fatto che, dal momento in cui si rifiuterà di dare le sue generalità o lo
farà in maniera falsa, sarà sanzionato penalmente.

il giudice deve valutare se l'imputato per infermità mentale non sia in grado di partecipare coscientemente al
procedimento penale e quindi accettare se effettivamente non sia capace di esercitare il proprio diritto
personalissimo di autodifesa che, in quanto tale, non può essere esercitato né dal tutore né dal suo curatore
nominato per rappresentarlo. Quando si è accertato, se necessario mediante perizia, che questi non è in grado di
farlo, il giudice prima di decidere di sospendere o meno il procedimento deve fare delle valutazioni preliminari:
analizziamole, tenendo conto che la legge n.103 c.d. riforma Orlando del 2017 ha portato modifiche in materia.

Partendo dal presupposto che il giudice, in via preliminare, deve valutare se nei confronti dell'imputato può
pronunciare una sentenza di proscioglimento in giudizio o una sentenza di non luogo a procedere in udienza
preliminare: dal momento in cui sia possibile prosciogliere l'imputato, perché innocente o perché sussistono
condizioni di improcedibilità o una totale mancanza di incapacità di intendere e di volere al momento in cui è
stato compiuto il fatto di reato, il giudice, pur essendo l'imputato incapace processualmente in quel momento,
non deve sospendere il procedimento penale, ma deve emanare sentenza di proscioglimento. Nel caso opposto,
dal momento in cui il giudice rilevi un’imputabilità o una semi-imputabilità dell’imputato e senta di dover
emanare una sentenza di condanna dovrà verificare se il soggetto possa coscientemente partecipare al
procedimento penale: dal momento in cui lo sia, invece di sospendere direttamente il procedimento, in base a
quanto sancito con la riforma Orlando, dovrà capire se l’incapacità del soggetto sia reversibile o meno e quindi
decidere, a seconda del caso, cosa fare.

Incapacità apparentemente Incapacità irreversibile, non Incapacità irreversibile, pericolosa


reversibile pericolosa
Ex art. 71.1, il procedimento viene Ex art. 72 bis, il giudice revoca nel momento in cui venga rilevata
sospeso e viene nominato un l’eventuale ordinanza di quest'ultima e sia necessario
curatore speciale. Ogni 6 mesi va sospensione e pronuncia sentenza applicare una misura di sicurezza
verificata l’incapacità del soggetto, di non luogo a procedere (se in diversa dalla confisca, come nel
così dal momento in cui risulti in u.p.) o di non doversi procedere (se caso precedente, il giudice ogni sei
grado di partecipare al processo o in dib.). Dal momento in cui si mesi deve disporre ulteriori
sarà revocata l’ordinanza di accerti che sia venuto meno lo accertamenti, poiché l'applicazione
sospensione, o eventualmente sarà stato di incapacità o che sia stato di quest'ultima ex articolo 72 bis è
pronunciata sentenza di erroneamente dichiarato l’azione ostativa della pronuncia alla
proscioglimento o di non luogo a penale contro di lui sarà esercitata. sentenza di non luogo a procedere
procedere. o di non doversi procedere.

Ancora in tema di soggetti del procedimento penale, dobbiamo ovviamente fare riferimento alla figura del
difensore. Come costituzionalmente sancito all'articolo 24 la difesa è un diritto inviolabile in ogni Stato e grado
del procedimento: ovviamente in questo caso facciamo riferimento alla difesa penale e quindi a quella forma di
tutela che permette all'imputato di ottenere il riconoscimento della propria piena innocenza o comunque di
essere condannato ad una sanzione non più grave di quella applicabile secondo la legge. È chiaro quindi che
sono titolari del diritto di difesa le parti ed alcuni fra i soggetti del procedimento penale, ai quali è consentito di
esercitarlo sia personalmente sia per mezzo del difensore: dal momento in cui il soggetto lo eserciti
personalmente parleremo di autodifesa, se invece il soggetto lo eserciti per mezzo di un difensore parleremo di
difesa tecnica. Tonini si sofferma principalmente sulla difesa tecnica e quindi sulla figura del difensore: questi ha
una particolare competenza tecnico giuridica e determinate qualifiche di tipo penalistico privatistico e
processuale attribuitegli in seguito ad un esame di abilitazione, che gli consentono di essere rappresentante
tecnico della parte la quale, ove privata, è tenuta per legge ad avvalersene. Quindi la rappresentanza tecnica è il
potere conferito, a mezzo procura ad litem resa oralmente o per iscritto, al difensore di compiere quegli atti
processuali che il codice riferisce alla parte a condizione che non siano personali, per conto, e quindi
nell'interesse, del cliente. Se nel procedimento debbano essere posti in essere atti personali e non possa essere
presente la parte assistita, non è sufficiente la rappresentanza tecnica del difensore: è quindi necessario che la
parte stessa conferisca al difensore, in modo da consentirgli a tutti gli effetti di agire a suo nome, anche una
rappresentanza volontaria con procura speciale a compiere un determinato atto la quale dovrà a pena di
inammissibilità contenere la determinazione dell'oggetto per cui è conferita, dei fatti ai quali si riferisce ed
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essere rilasciata per atto pubblico o scrittura privata autenticata dal difensore medesimo. Stesso discorso non si
può fare per gli atti personalissimi, per i quali ovviamente non vi può essere rappresentanza volontaria,
pertanto ad esempio l'imputato non potrà in alcun modo a far sostenere l'interrogatorio al suo difensore. Per
quanto riguarda il rapporto che c'è tra cliente e il difensore sicuramente ha natura fiduciaria e ciò significa che
egli ha diverse facoltà: il difensore può infatti rifiutare la nomina prima dell'accettazione del mandato a patto
che lo comunichi immediatamente a colui che l'ha effettuata e all'autorità che procede poiché solo dal momento
in cui ci sarà tale comunicazione la non accettazione avrà effetto; se invece il difensore accetta il mandato, può
comunque rinunciare in un secondo momento a patto sempre che lo comunichi a chi lo ha nominato e
all'autorità procedente, stavolta però la rinuncia avrà effetto dal momento in cui la parte non risulti assistita da
un nuovo difensore, e pertanto, fino a quel momento, sarà ancora tenuto a rappresentare la parte. Per quanto
concerne invece i rapporti difensore-imputato la rappresentanza assume più i connotati di una forma di
assistenza, nel senso che l'imputato può sempre compiere personalmente gli atti che non siano per legge
riservati al difensore ex art. 99.1, e quindi autodifendersi, consentendogli ad esempio di essere presenti agli atti
più importanti del processo oltre che di togliere effetto all'atto compiuto dal difensore prima che in relazione
all'atto stesso sia intervenuto un provvedimento Come stabilito dall'articolo 99 comma 2. Tonini riprende anche
in questo caso un paragone in merito al sistema totalitario al sistema garantista: il sistema totalitario come
sappiamo il difensore ha l'obbligo di collaborare con la giustizia anche contro l'interesse dell'assistito, mentre nel
sistema garantistico non è assolutamente così e quindi seppur ha un dovere di lealtà e probità assicura dialettica
processuale punto fatto questo preliminare riferimento Tonini fa una differenza tra quello che è il ruolo del
Pubblico Ministero e quindi i suoi doveri deontologici e quelli del difensore di parte privata: come sappiamo il
pubblico ministero ha, essendo una parte pubblica, il dovere di riportare qualsiasi tipo di prova sia essa favore o
a sfavore della parte, il difensore, essendo invece una parte privata, non ha tale obbligo e quindi può a riportare
in giudizio tutte quelle prove, ovviamente vere, che gli sono favorevoli rispetto alla richiesta che intende
rivolgere al giudice. Andando più nell'aspetto pratico l'imputato, ex articolo 96 comma 1, ha il diritto di farsi
assistere da non più di due difensori, c.d. di fiducia, nominati liberamente da lui stesso ex articolo 96 comma 2 in
uno dei tre alternativi modi in esso sanciti, senza autentica di sottoscrizione: o con dichiarazione scritta oppure
orale resa dall'indagato all'autorità procedente; con dichiarazione scritta consegnata l'autorità procedente dal
difensore ho ancora con dichiarazione scritta trasmessa all'autorità procedente con raccomandata. Dal
momento in cui l'indagato si trovi in stato di fermo arresto o custodia cautelare, la nomina può essere fatta da
un suo prossimo congiunto finché poi non provvederà lui stesso a farlo. Ex articolo 97 del Codice di Procedura
Penale dal momento in cui l'imputato non abbia nominato un difensore di fiducia o ne sia rimasto privo, si
provvede comunque a fornirglielo mediante l'istituto della difesa d'ufficio, in ossequio al principio della necessità
della difesa tecnica in favore dell'imputato in virtù del quale l'imputato non potrebbe esercitare in alcun modo
una qualche autodifesa esclusiva neanche se per ipotesi fosse un avvocato. Tornando al difensore d'ufficio, per
quanto riguarda la sua designazione il pubblico ministero o la polizia giudiziaria devono richiedere il suo
nominativo ad un apposito ufficio presso l'ordine Forense di ciascun capoluogo di Corte d'Appello, essendo
questo tenuto a conservare un elenco dei soggetti che volontariamente vi si sono iscritti per dedicarvisi, così una
volta che tale ufficio abbia adempiuto al suo obbligo di comunicazione, lo stesso magistrato o ufficiale di polizia
ne danno avviso al difensore in modo da assicurare l'effettività della difesa. La funzione della difesa d'ufficio è
essenzialmente quella di garantire il contraddittorio e quindi una situazione di eguaglianza dal momento in cui il
soggetto sia rimasto privo di difesa per i più svariati motivi, andando perfino in alcuni casi contro quello che è il
principio dell'irrinunciabilità della difesa tecnica. una volta nominato il difensore d'ufficio Ciò non toglie che
l'assistito abbia piena libertà di scelta della linea difensiva di fatti e gli ex articolo 99 comma 2 può anche togliere
effetto dell'atto compiuto dal difensore d'ufficio e perfino nominarne uno di fiducia facendo cessare le sue
funzioni Ciò non toglie che comunque per quanto posto in essere Egli ha diritto di essere retribuito Oltre che
sanzionato dal momento in cui abbandoni la difesa. Pur non essendo possibile che il difensore di fiducia
abbandoni il suo assistito, è ammesso dal Codice di Procedura Penale che questi, alla stregua del difensore di
fiducia, nomini per iscritto un suo sostituto per qualsiasi motivo ed ovviamente nel rispetto delle limitazioni
previste. Anche l'offeso può ovviamente nominare un difensore e questo nelle medesime forme semplificate
previste per il difensore dell'imputato: si tratta in questo caso di una rappresentanza che ha somiglianze e
differenze con quella dell'imputato difatti in primis l'offeso può nominare un difensore che lo rappresenti, ma
conserva comunque il potere di esercitare nel procedimento quei diritti e quelle facoltà espressamente
riconosciutegli dalla legge anche personalmente non agendo però non in qualità di difensore, differentemente
dall'imputato; ed inoltre l'offeso non può differentemente dall'imputato togliere effetto ad un atto proprio del
difensore, o meglio l'unico modo che ha per evitare una difesa tecnica non gradita sarebbe quello di revocarlo e
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nominarne un altro. Non resta ora che analizzare il difensore delle parti private diverse dall'imputato come la
parte civile, responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria che, ex articolo 100,
stanno in giudizio col ministero di un difensore: ci troviamo in questo caso dinanzi a un'ipotesi di
rappresentanza tecnica in senso stretto, conferita mediante procura speciale con autenticazione della firma da
parte di un notaio oppure dallo stesso difensore nominato per quel processo e valida per un solo grado, a meno
che non si è espressa diversa volontà, in modo da poter agire compiendo e ricevendo per conto della parte
rappresentata a tutti gli atti del procedimento che dalla legge non sono a essa espressamente riservati. Anche in
questo caso se nel procedimento debbano essere posti in essere atti personali e non possa essere presente la
parte assistita, non è sufficiente la rappresentanza tecnica del difensore: è quindi necessario che la parte stessa
conferisca al difensore, in modo da consentirgli a tutti gli effetti di agire a suo nome, anche una rappresentanza
volontaria con procura speciale a compiere un determinato atto la quale dovrà a pena di inammissibilità
contenere la determinazione dell'oggetto per cui è conferita, dei fatti ai quali si riferisce ed essere rilasciata per
atto pubblico o scrittura privata autenticata dal difensore medesimo.

In base a quanto sancito dalla legge n. 217 del 1990, poi sostituita dal testo unico spese di giustizia nel 2002, è
stato istituito il patrocinio a spese dello stato in favore delle persone che hanno un reddito annuo non superiore
a €11.500 in modo da consentirgli di fare istanza per vedersi assicurata difesa tecnica nel procedimento penale.
Considerato che il loro reddito è molto basso sarebbe infatti compromessa la loro libertà di scelta in merito
all'avvocato che deve difenderli e quindi lo Stato provvede a pagare per loro quanto dovuto non solo
all'avvocato, ma anche per quanto riguarda le diverse spese processuali.

Tonini procede poi affrontando l'articolo 106 in cui è prevista la possibilità che la difesa di più imputati sia
assunta da un unico difensore comune, purché però le posizioni non siano tra loro incompatibili: stiamo quindi
parlando della c.d. incompatibilità del difensore, la quale non deriva dalla diversità tra le affermazioni dei diversi
imputati o tra le loro posizioni processuali, ma sussiste dal momento in cui ci sia un nesso di interdipendenza in
base al quale un imputato abbia effettivamente interesse a sostenere una tesi difensiva sfavorevole a quella di
un altro. Quando l’autorità giudiziaria rilevi la sussistenza di situazioni del genere, la deve indicare esporne i
motivi e fissare un termine per rimuoverla nei due modi possibili, e quindi o mediante la rinuncia da parte del
difensore o mediante la revoca dello stesso da parte dell’imputato: dal momento in cui ciò non venga fatto entro
i termini previsti, il giudice la dichiara e provvede sostituire il difensore incompatibile con uno d'ufficio.
Continuando nell' analisi dell'articolo 106 è importante ricordare il comma 4 bis, in virtù del quale il difensore
non può assistere più imputati che abbiano reso dichiarazioni riguardanti la responsabilità di un altro imputato o
nello stesso procedimento o in un procedimento che sia connesso o collegato, in modo da evitare che il
difensore si renda veicolo di uno scambio di informazioni tra gli imputati tali da indurli a conformare le rispettive
affermazioni.

Come abbiamo poc'anzi accennato il difensore che abbandoni o rifiuti la difesa è soggetto a sanzione disciplinare
conferita ex art. 105 esclusivamente dal Consiglio dell'Ordine forense, dal momento in cui l'autorità giudiziaria
comunichi a quest'ultima il verificarsi di casi del genere o di violazioni di lealtà e probità o anche ipotesi di
incompatibilità presunta, a meno che ex comma 3 tali comportamenti siano motivati da violazioni del diritto di
difesa e il consiglio dell'Ordine ritenga giustificato il comportamento del difensore.

In ultima battuta Tonini affronta le garanzie previste dal legislatore per il libero esercizio dell'attività difensiva, in
modo da garantire al difensore la possibilità di svolgere la propria attività di patrocinio e consulenza i favore del
cliente senza subire alcun condizionamento. Abbiamo garanzie di carattere generale e garanzie di carattere
speciale: tra le prime annoveriamo sicuramente ex art. 200 c.p.p. la tutela del segreto professionale, in virtù del
quale il difensore non può essere in alcun modo obbligato a deporre su quanto ha conosciuto nell’esercizio del
proprio ministero; per quanto concerne invece le seconde, esse fanno essenzialmente riferimento alla tutela del
loro ufficio, del rapporto che hanno con i loro clienti in modo da poter liberamente organizzare le proprie
strategie difensive e vanno analizzate più nel dettaglio.

• In primo luogo nell’ufficio del difensore sono vietate le ispezioni le perquisizioni e i sequestri, salvo
espressa previsione di legge e, pertanto, devono essere effettuate con modalità particolari da osservarsi
a pena di inutilizzabilità quando: i difensori risultano essere imputati, tali atti devono essere disposti
limitatamente ai fini dell’accertamento del reato loro attribuito; per rilevare le tracce o altri effetti
materiali del reato, con quali modalità è stato commesso: ad esempio la rapina in uno studio legale; per
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ricercare cose o persone specificamente predeterminate, che siano nascoste in uno studio legale; il
sequestro di carte o documenti relativi all’oggetto della difesa è vietato, salvo in relazione ad oggetti che
costituiscano corpo del reato. Tali atti devono non possono essere delegati e quindi devono
necessariamente essere compiuti soltanto da un giudice o da un p.m., previo avviso ed autorizzazione a
procedere a pena di nullità del presidente del consiglio dell’ordine degli avvocati.
• Inoltre nell'ufficio del difensore non è consentita l'intercettazione relativa conversazione comunicazione
dei difensori, consulenti tecnici e loro ausiliari, né a quelle tra i medesimi e le persone da loro assistite.
• Sui colloqui per esigenze difensive è fatto, come poc’anzi citato, divieto di intercettazioni, ed inoltre è
previsto il divieto di sequestro sulla corrispondenza tra imputato e il proprio difensore a pena di
inutilizzabilità, a meno che non sia essa stessa il corpo del reato.
• Il codice assicura che l'imputato possa avere colloqui con il difensore immediatamente al fine di
concordare le strategie difensive e più In generale di esercitare il proprio diritto alla difesa in funzione
dell'interrogatorio e prima di esso e, se questi non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere
gratuitamente da un interprete.

Sempre per quanto riguarda i soggetti del procedimento, dobbiamo fare riferimento alla persona offesa dal
reato e alla parte civile difatti la realizzazione del reato comporta sì l’offesa di un bene giuridico, ma potrebbe
aver anche in concreto causato un danno.

Procediamo per gradi ed analizziamo prima la figura della persona offesa, alla quale il codice attribuisce la
qualifica di soggetto del procedimento e contestualmente anche di parte dal momento in cui nella veste di
danneggiato eserciti l'azione risarcitoria costituendosi parte civile. Solitamente si qualifica la persona offesa
come il soggetto che è risultato offeso dal compimento del reato, il codice di procedura penale prevede però
anche un'ipotesi di persona offesa di creazione legislativa ex art. 90 comma 3, in virtù del quale qualora una
persona passi a miglior vita in conseguenza del reato è previsto che le sue facoltà ed i diritti previsti dalla legge
siano esercitate dai prossimi congiunti. In questa categoria rientrano sicuramente i poteri sollecitatori
dell'attività delle autorità inquirente, in virtù del quale la persona offesa può appunto sollecitare l'attività
formando memorie ecc., ed anche i diritti di informativa in virtù del quale la persona offesa ha il diritto di
ricevere informazioni necessarie al fine di esercitare i propri poteri nel procedimento penale sin dal primo
contatto con le autorità giudiziarie in una lingua ad egli comprensibile, per quanto concerne la loro iscrizione nei
registri delle notizie di reato o anche della data ora e luogo in cui si svolgeranno l’udienza preliminare, o ancora
messo a conoscenza che gli verrà notificato il decreto che dispone il giudizio, ed ovviamente della possibilità di
avvalersi di una difesa tecnica a proprie spese o a quelle dello Stato, il tutto allo scopo di mettere l’offeso in
grado di valutare se gli convenga costituirsi parte civile. Ovviamente le persone offese che si avvalgono di un
difensore hanno anche poteri di partecipazione al procedimento:

• mera partecipazione ai pochi atti di indagine per i quali è ammessa la sua presenza oppure possono
essere comportamenti attivi consistenti nell’espletamento delle investigazioni difensive [= tali indagini,
come vedremo, sono compiute dal difensore personalmente o per mezzo di un sostituto, di un
consulente tecnico di parte o di un investigatore privato con lo scopo di ricercare e individuare elementi
di prova che poi possono essere presentati al Pubblico Ministero o anche direttamente al giudice].
• Ancora, altro potere partecipativo consiste nella possibilità che la persona offesa ha di chiedere per
scritto al Pubblico Ministero di promuovere un incidente probatorio [qualora la richiesta sia accolta il
difensore della persona offesa sarà preavvisato, potrà parteciparvi e chiedere al giudice di rivolgere
domande alle persone sottoposte all’esame].
• La persona offesa può inoltre essere sentita come testimone in dibattimento o come possibile
testimone durante le indagini preliminari.

Poi la persona offesa ha dei poteri di controllo sulla eventuale inattività del PM, di tipo prettamente penalistico
in modo da tutelare il suo interesse ad ottenere il rinvio a giudizio dell’imputato: materialmente grazia questi
poteri è consentito all’offeso di mettersi in contatto col giudice per le indagini preliminari e presentargli le
proprie conclusioni quando il Pubblico Ministero abbia chiesto al giudice la proroga delle indagini o
l’archiviazione. Ergo la persona offesa di regola non ha poteri di azione penale, bensì soltanto il potere di attivare
il controllo del giudice in due casi, nei quali si palesa l’inerzia del PM.

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Ultima cosa da ricordare per quanto riguarda la persona offesa è che il codice parla di una loro vulnerabilità e in
materia Prevede due differenti qualifiche al fine di garantire determinate protezioni ove sussistenti: si tratta del
minorenne, ove leso da reati di violenza alla persona, e della persona che si trova in situazione di particolare
vulnerabilità, ove sia in astratto leso qualsiasi reato e siano rispettati i requisiti oggettivi e soggettivi ex art.
90quater, il cui esame deve svolgersi infatti con l'assistenza di un esperto in psicologia o psichiatria, ed in
determinati casi sarà addirittura sottoposto a registrazione fonografica o audiovisiva, in strutture diverse dal
tribunale eventualmente con vetro specchio con impianto citofonico.

Procediamo ora analizzando la parte civile, essendo ben possibile che un reato oltre a costituire un offesa ad un
bene giuridico provochi in concreto un danno ed in tal caso colui che lo avrà commesso è obbligato al
risarcimento e, ove possibile, a restituire la cosa sottratta. Il danno risarcibile può manifestarsi nelle forme del
danno patrimoniale e del danno non patrimoniale:

➢ Il danno patrimoniale consiste nella privazione o diminuzione del patrimonio nelle forme del danno
emergente e del lucro cessante e viene quantificato per equivalente pecuniario, in modo tale da
ripristinare la situazione economica e patrimoniale preesistente prima che il danneggiato subisce un
danno per mezzo del compimento del reato;
➢ Il danno non patrimoniale, denominato comunemente danno morale, consiste appunto nelle sofferenze
fisiche e psichiche patite a causa del reato. Non potendo quest’ultime in alcun modo essere quantificate
per equivalente, considerato che non è possibile ripristinare la situazione anteriore, il danno viene
calcolato con modalità di tipo satisfattivo e quindi giudice in via equitativa determina una cifra di denaro
che possa compensare le sofferenze patite. Va però fatta una precisazione: tradizionalmente il danno
non patrimoniale risarcibile è quello che o è previsto in modo espresso dalla legge o che può essere
ricavato dalla lesione di diritti costituzionalmente sanciti, come ad esempio avviene con il danno
biologico in cui viene effettivamente leso il diritto alla salute sancito all'articolo 32 che viene risarcito in
proporzione all’invalidità arrecata.

Alla luce di quanto detto, la persona che subisce un danno, patrimoniale o non patrimoniale, conseguentemente
ad un reato può essere definita danneggiato dal reato ed ha diritto ad un risarcimento che può essere richiesto
mediante esplicita azione di condanna, posta in essere o indipendentemente dal giudizio penale o nel giudizio
penale stesso: in quest'ultimo caso il danneggiato sarà tenuto a costituirsi parte civile nel processo penale,
ovviamente nel rispetto della normativa e dei limiti previsti [ non è Infatti possibile esperire all'interno del
processo penale azioni civili incidentali diverse da quelle dal risarcimento del danno o dalla restituzione]. Spesso
accade che la stessa persona rivesta sia la qualifica di persona offesa dal reato sia la qualifica di persona
danneggiata dal reato: nonostante siano rari i casi in cui un individuo ha soltanto una delle due qualifiche la
differenza tra i due è fondamentale in termini di suddivisione dei loro rispettivi poteri, basti pensare
semplicemente al fatto che l'essere persona offesa dal reato comporta la qualità di soggetto del procedimento
con tutti i diritti e le facoltà che ne conseguono ex articolo 90, mentre l'essere soltanto danneggiato del reato e
non anche persona offesa non fa assumere tale qualifica né tanto meno il regime giuridico che ne consegue
[pertanto, detto in breve al danneggiato dal reato in quanto tale non spettano i diritti e le facoltà della persona
offesa].

Passiamo ora ad analizzare le due regole per l’esercizio dell’azione penale, ricavabili dal codice e non
espressamente previste.

1. L'azione civile resta ospite nel processo penale, quindi mantiene la sua natura facoltativa e disponibile [il
danneggiato può revocarla quando vuole] e, inoltre, il giudice penale nell’accertare i danni nel
condannare al risarcimento l'imputato colpevole non può andare oltre i limiti della domanda e cioè della
quantità del risarcimento richiesto dalla parte civile.
2. L’azione civile segue la regolamentazione del processo penale, quindi per quanto è al di fuori dalla sua
natura civilistica, i poteri del comportamento processuale della parte civile sono disciplinati dal Codice di
Procedura Penale e quindi sussistono varie deroghe rispetto alla regolamentazione originaria. Tonini ne
riporta alcune.
a) Le prove sono ricercate dal PM, mentre la parte civile, pur conservando un autonomo potere di
ricerca e ammissione di prove, può affidarsi all’iniziativa del Pubblico Ministero avendo così minori
oneri;
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b) C’è il dovere da parte della parte civile di rispondere secondo verità qualora sia citata come
testimone, cosa che nel processo civile non è contemplata considerato che le parti non possono
essere chiamate a deporre come testimoni con l’obbligo di verità;
c) Un aspetto simile alla procedura civile, invece, si denota nella possibilità che ha la parte civile di
farsi pagare una provvisionale entro i limiti in cui sia già stata acquisita prova del danno, e tale
condanna è immediatamente esecutiva in primo grado.

In definitiva il danneggiato che eserciti l’azione civile nel processo penale incontra, in prevalenza, vantaggi
considerato che non anticipa le spese del procedimento e non deve affannarsi a ricercare le prove, ed inoltre
gode dei tempi più ristretti della Giustizia penale rispetto a quella civile. Vi sono però anche degli svantaggi per la
parte civile: egli si trova in primo luogo in un procedimento nel quale l’iniziativa e le scelte fondamentali
spettano al PM, ed in secondo luogo l'effetto di giudicato di quella sentenza di assoluzione se afferma
l'innocenza dell'imputato con le formule ampie previste dall'articolo 652 impedisce al giudice civile di
condannare al risarcimento del danno. Per quanto concerne la dichiarazione di costituzione di parte civile deve
essere fatta mediante una apposita dichiarazione resa per iscritto e sottoscritta dal difensore della parte civile
che deve contenere a pena di inammissibilità: le generalità della persona fisica che intende costituirsi parte
civile; le generalità dell’imputato nei cui confronti viene esercitata l’azione civile; il nome e il cognome del
difensore e l’indicazione della procura a questi rilasciata; l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda,
in modo da consentire al giudice di valutare la sussistenza del titolo per costituirsi parte civile e la sottoscrizione
del difensore. In merito ai termini per la costituzione civile, che produce effetti in ogni stato e grado del
procedimento, ne abbiamo uno iniziale ed uno finale ed entrambi sono perentori: quello iniziale scatta all’inizio
dell’udienza preliminare, mentre quello finale è fissato al momento in cui il giudice accerta la regolare
costituzione delle parti prima del dibattimento.

Va inoltre ricordato che la costituzione di parte civile può essere tanto esclusa quanto revocata, analizziamo i
singoli casi:

➢ L'esclusione della costituzione di parte civile viene disposta, su richiesta motivata del PM, con ordinanza
dal giudice, non impugnabile, dal momento in cui non sussistano i presupposti sostanziali e requisiti
formali per la sua Costituzione;
➢ La revoca della costituzione di parte civile può essere espressa o tacita. Sarà espressa se effettuata con
dichiarazione resa dalla parte civile personalmente o da un suo procuratore speciale o con atto scritto
depositato in cancelleria e notificato alle altre parti, mentre sarà tacita qualora la parte civile non
presenti le proprie conclusioni scritte in dibattimento al momento della discussione finale o qualora ove
essa promuova l'azione civile davanti al giudice civile.

Il codice di procedura penale prevede che il danneggiato dal reato possa compiere altre due scelte in alternativa
a quella di costituirsi parte civile: egli può infatti o restare inerte, non esercitando alcuna azione né in sede
penale né in sede civile, rischiando in questo caso che il giudice penale assolva l’imputato con una formula
ampia, che acquista la forza di giudicato; oppure può esercitare l’azione di danno davanti al giudice civile in
modo tempestivo, cioè prima che il giudice penale abbia pronunciato sentenza di primo grado, nel qual caso
l’azione civile può svilupparsi senza subire sospensioni, parallelamente al processo penale. In questo caso una
eventuale assoluzione dell’imputato nel processo penale non ha la forza del giudicato e cioè non vincola il
giudice civile né gli impedisce, eventualmente, di condannare l’imputato-convenuto al risarcimento del danno.
Tonini conclude poi il sottoparagrafo affermando che, essenzialmente, l'orientamento prevalente prevede una
netta separazione dell'azione civile rispetto a quella penale che quindi si andrebbero a svolgere parallelamente;
l'altro orientamento, paradossalmente meno seguito, considerato che comporta dei vantaggi alla parte civile che
si costituisce, prevede l'esercizio dell'azione civile nell'ambito del procedimento penale.

In via residuale, Tonini parla brevemente di altri soggetti presenti raramente procedimento penale: gli enti
rappresentativi di interessi lesi dal reato, il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena
pecuniaria e gli enti responsabili in via amministrativa per i reati commessi da loro rappresentanti o dirigenti.

• Quando parliamo di enti rappresentativi di interessi lesi dal reato facciamo riferimento ad una serie di
associazioni che rappresentano un individuo nel giudizio, assumendo la qualità di accusatori al fianco del
pubblico ministero a patto che rispettino una serie di requisiti [l’ente deve essere riconosciuto dalla
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legge e ciò deve essere stato fatto prima della commissione del reato; l’ente deve inoltre essere
rappresentativo dell’interesse leso dal reato ed infine, ove identificabile, è necessario il consenso della
persona offesa]: infatti, come specifica Tonini, si tratta di una persona offesa di creazione politica, difatti
ex art. 91 c.p.p., costoro possono esercitare, in ogni stato e grado del procedimento i diritti e le facoltà
attribuiti alla persona offesa dal reato.
• Il responsabile civile è invece il soggetto obbligato a risarcire il danno causato dall’autore: il codice di
procedura penale fa espresso richiamo a questo istituto civile, c.d. Responsabilità per fatto altrui,
caratterizzato dal fatto che è chiamato a rispondere del danno non chi lo ha causato, bensì chi è per loro
responsabile come ad esempio i padroni e i committenti nei confronti di quanto fatto dai loro
dipendenti nell’esercizio delle incombenze a cui sino adibiti.
• Abbiamo poi la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, la quale può diventare
eventualmente una parte del processo penale dal momento in cui debba rispondere in termini
economici del reato posto in essere da un reo insolvibile.
• Va infine analizzato il caso degli enti responsabili in via amministrativa per i reati commessi da loro
rappresentanti o dirigenti: in questo caso coloro che ricoprono posizioni di vertice degli organi
amministrativi, se commettono di reati non saranno responsabili personalmente, ma lo saranno gli enti
a cui fanno capo.

P2, C2 – Gli Atti

Quando abbiamo definito il procedimento penale, lo abbiamo definito come quella serie di atti finalizzati
all’emanazione di una decisione: andiamo quindi a vedere di cosa parliamo quando facciamo riferimento agli
atti, rifacendoci ovviamente alla disciplina posta al secondo libro del c.p.p., esattamente agli articoli 109 e
seguenti. In base a quanto previsto dal titolo primo, tutti gli atti del procedimento penale a pena di nullità
devono essere scritti in italiano, anche se, dal momento in cui il cittadino italiano appartenga ad una minoranza
linguistica riconosciuta, potrà richiedere per gli atti riguardanti egli stesso di eseguirli nella madrelingua.
Abbiamo anche qui la classica suddivisione tra atti a forma vincolata e atti a forma libera: ovviamente, saranno
assimilabili tra i primi quelli più importanti e tra i secondi quello che lo sono, ma in maniera minore. Ogni atto va
sottoscritto a mano, non saranno poi in alcun modo ammesse firme poste meccanicamente o con segni diversi
dalla scrittura e, ove richiesto, esso dovrà riportare il giorno, il mese, l’anno e il luogo della sua formazione a
pena di nullità [a meno che non siano deducibili]. Gli atti del procedimento vanno preservati e, pertanto, non
possono essere pubblicati, sussiste infatti ex art. 114 un vero e proprio divieto in merito, esteso poi anche alle
immagini: tuttavia gli atti possono essere rilasciati, totalmente o in parte, su richiesta e a spese degli interessati
stessi una volta autorizzati, al termine del procedimento, a meno che non si tratti di quelli sottoposti a segreto
investigativo. Possono inoltre richiedere delle copie di tali atti all’autorità giudiziaria il magistrato del P.M. e il
ministro dell’interno, perfino in deroga al segreto investigativo se gli atti sono relativi ad una indagine
preliminare, in modo da garantire a pieno l’esercizio delle loro funzioni, volte rispettivamente a svolgere le
indagini e prevenire i delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, ciò non toglie però che l’autorità
giudiziaria si rifiuti con decreto motivato irrisolvibile processualmente. Con questo divieto infatti non si vuole
impedire la conoscenza di tali atti, bensì la loro divulgazione nelle fasi delle indagini preliminari e dell’udienza
preliminare [nessun problema si ha infatti per gli atti di dibattimento], in ossequio ad un vero e proprio
bilanciamento fatto tra diritto di cronaca diritto alla riservatezza e giusto processo; vanno però ricordate delle
limitazioni per quanto concerne i processi a porte chiuse che possono essere pubblicati dopo 10 anni dalla
sentenza irrevocabile secondo la disciplina degli archivi di stato. Come poc’anzi accennato, ex art. 114 sussiste
un divieto di pubblicazione anche per quanto riguarda le immagini: sono oggetto di tale tutela principalmente i
minorenni che siano testimoni persone offese o danneggiati dal reato, di cui oltre all’immagine non potranno
essere divulgate, nemmeno indirettamente, neanche le generalità, fino al raggiungimento della maggiore età o a
meno che non sia il tribunale stesso a disporlo nel suo interesse o il minore, raggiunti i sedici anni, a volerlo. Il
comma 6-bis estende tale divieto di pubblicazione dell'immagine anche alla persona privata della libertà
personale, ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi o ad altro mezzo di coercizione
fisica, salvo che essa stessa vi consenta.

Va fatto inoltre un breve riferimento all’art. 119 che ammette, apponendo però una determinata disciplina
idonea alle loro condizioni psico-fisiche, la partecipazione ad atti del procedimento penale del sordo del muto e
del sordomuto. Altro breve riferimento va fatto all’art. 120 che ammette, la presenza di testimoni ad atti del

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procedimento che, essendo a conoscenza di fatti oggetto di prova oltre che persone di fiducia dei soggetti
interessati allo svolgimento del relativo, siano chiamati appunto a garantirne l’integrità e la correttezza
testimoniando ove necessario.

Quando parliamo di atti rientrano ovviamente nella categoria, ex art. 121, quelli che servono a filtrare le pretese
delle parti all’interno del procedimento: le c.d. memorie e le c.d. richieste delle parti.

• Le memorie hanno contenuto meramente argomentativo e finalizzate ad illustrare questioni di fatto o di


diritto;
• Le richieste delle parti generalmente stanno ad indicare ogni tipo di domanda rivolta al giudice al fine di
ottenere una decisione entro 15 gg e senza ritardo, salvo specifiche disposizioni di legge, altrimenti può
essergli fatta un’istanza di responsabilità in virtù della quale dovranno pronunciarsi entro 30 gg
altrimenti integreranno gli estremi del diniego di giustizia per cui potranno essere perseguiti civilmente.

Ruolo fondamentale è però rivestito dagli atti, nelle forme dei provvedimenti, del giudice emanati a seconda di
quando la legge dispone: la sentenza, ovvero il provvedimento conclusivo dello stato processuale caratterizzato
da un dispositivo e obbligatoriamente da una motivazione a pena di nullità con cui il giudice adempie al dovere
di decidere che gli è posto a seguito dell’esercizio dell’azione penale; l’ordinanza, ovvero quel provvedimento
propulsivo emanato dal giudice per superare determinate questioni caratterizzata anch’essa dall’obbligo di
motivazione a pena di nullità; ed infine il decreto che, emesso in camera di consiglio per tutelare l’indagato, va
motivato soltanto se la legge lo precisa espressamente, non esiste infatti l’obbligo in quanto il tutto si svolge
senza contraddittorio differentemente dai casi precedenti in cui è presupposto. Inoltre, proseguendo nell’analisi
del codice di procedura penale, va ricordato tra gli atti del giudice la declaratoria che egli è tenuto
obbligatoriamente ed immediatamente ad emanare ex art. 129 in presenza a date cause di non punibilità
rinvenute nel corso del giudizio: infatti in ogni suo stato e grado, il giudice è tenuto ad emanare d’ufficio, non
essendo necessario il contraddittorio, una sentenza qualora rilevi uno dei seguenti casi:

1. L’assenza di responsabilità dell’imputato, poiché il fatto non sussiste;

2. L’estinzione del reato, poiché il fatto non costituisce reato;

3. La mancanza di una condizione di procedibilità, poiché il fatto non è previsto dalla legge come reato.

L’art. 129.2 impone una gerarchia tra le formule di proscioglimento: quando esiste una causa di estinzione del
reato e risulta evidente che sussistano i presupposti per cui il fatto non sia addebitabile all’imputato il giudice
deve preferire la sentenza di piena assoluzione se non pronunciata in giudizio, oppure la sentenza di non luogo a
procedere se ci troviamo ancora in udienza preliminare.

Ancora per quanto riguarda il giudice dobbiamo ricordare che egli, per il sicuro e ordinato compimento degli atti
ai quali procede, ha dei poteri coercitivi materialmente espressi mediante ulteriori atti tra cui ricordiamo ad
esempio l’accompagnamento coattivo dell’imputato o di altre persone (indagato, perito, testimone, consulente
tecnico, l’interprete ed il custode di cose sequestrate) che, di natura cautelare, risulta essere strumento
necessario in determinati casi per acquisire un contributo probatorio in modo da evitarne l’inquinamento, una
fuga, o peggio una reiterazione del reato essendo il soggetto costretto a presentarsi dinnanzi al giudice a pena di
condanna al pagamento di spese processuali.

Nel caso in cui qualche provvedimento risulti essere limitativo della libertà personale, ex art. 111.6 Cost., sono
sempre ricorribili in Cassazione per violazione di legge.

L’art. 130 c.p.p. prevede la procedura di correzione degli errori materiali in camera di consiglio e ad opera del
giudice autore dell’atto in esame, a patto che siano rispettati 4 requisiti: a) devono essere oggetto di correzione i
soli atti del giudice riferibili al modello delle sentenze, del decreto e delle ordinanze b) l’errore non deve essere
causa di nullità dell’atto c) l’errore deve essere materiale, quindi deve esserci incongruenza tra quanto il
pensiero del giudice e la sua realizzazione d) la correzione dell’errore non deve causare una modifica essenziale
dell’atto.

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In alcuni casi, tra cui rientra ad esempio quello dell’udienza preliminare, il procedimento può svolgersi, ex art.
127, anche in camera di consiglio: in questi casi, dovrà ovviamente essere fissata mediante decreto la data in cui
il consiglio si svolgerà e, individuate le parti, le persone interessate ed i loro relativi difensori dovrà esser loro
notificato il tutto almeno dieci giorni prima a pena di nullità. In questo caso il contraddittorio sarà soltanto
eventuale, perché la partecipazione di soggetti poc'anzi citati è facoltativa: nonostante ciò il giudice, o ad ogni
modo il presidente del collegio, ha comunque l'obbligo di ascoltare a pena nullità tutti coloro che intervengono
in udienza, con particolare attenzione alla figura dell'imputato e del condannato in stato di detenzione, per poi
pronunciarsi mediante ordinanza.

Gli atti del procedimento penale devono essere documentati, in modo che se ne possa conservare una traccia,
mediante verbale redatto dall'ausiliario che assiste il giudice o il Pubblico Ministero contenente: luogo anno
mese giorno e, quando occorre l'ora in cui è cominciato e quella in cui si è chiuso, oltre alle generalità delle
persone intervenute, la descrizione di quanto avvenuto in sua presenza assieme alle dichiarazioni ricevute ed
ovviamente domanda e risposta. il verbale così redatto può avere anche valore probatorio a discrezione del
giudice. Andando più nel dettaglio, dobbiamo andare a vedere in che modalità effettivamente può essere svolto
il verbale: abbiamo un verbale in forma integrale [il tutto viene scritto mediante la stenotipia in modo da
velocizzare o a mano passo passo], un verbale in forma riassuntiva con o senza riproduzione fonografica qualora
non siano disponibili strumenti di riproduzione o ausiliari tecnici [il fatto viene riscritto nei suoi fatti essenziali e
gli si allega una registrazione] ed infine la riproduzione audiovisiva [utilizzata o qualora sia indispensabile in
mancanza di mezzi, o qualora ci si trovi davanti a casi di particolare vulnerabilità ed obbligatoriamente qualora si
debba interrogare un detenuto].

Ovviamente, gli atti del procedimento penale vanno notificati ai loro destinatari [il difensore, l’imputato
detenuto sia esso sul territorio italiano o all’estero e non detenuto (in tal caso dovrà ovviamente eseguire
dichiarazione ed elezione di domicilio, dal momento in cui non lo trovino scatta tutta una disciplina al fine di
individuarlo e dal momento in cui non ci si riesca, viene emanato decreto di irreperibilità con cui designa un
difensore che la riceverà al suo posto), la persona offesa, la parte civile, il responsabile civile, il civilmente
obbligato per la pena pecuniaria ed altri] e ciò solitamente avviene ad opera dell’ufficiale giudiziario, ma talvolta
ciò rientra anche nelle competenze della polizia penitenziaria o giudiziaria, su apposita disposizione dell’autorità
giudiziaria, del giudice, del P.M. o delle parti private: tradizionalmente, ex art. 161 la notifica avviene a mezzo
copia dell’atto in esame presso il domicilio dichiarato eletto o determinato a tal fine, ma è possibile farla a
mezzo posta anche telematicamente o tramite P.E.C. e, dal momento in cui risulti nulla, ci sarà ovviamente
necessità di compierla nuovamente. Una volta espletata tutta la procedura formale della notifica, che consta
materialmente in una consegna finalizzata a far conoscere effettivamente l’atto al soggetto tanto che da quel
momento si presumerà che questi ne abbia legale conoscenza, si redige appositamente un verbale, o meglio una
relazione in cui si descrive quanto posto in essere dall’autorità agente.

Tonini, in ultima battuta, si sofferma sulla traduzione degli atti orali e scritti che viene effettuata dall’interprete
obbligatoriamente, anche se il giudice il Pubblico Ministero o la polizia giudiziaria ha personale conoscenza della
lingua o del dialetto da interpretare, in determinate ipotesi previste espressamente dalla legge: essenzialmente
qualora sia necessaria una persona che conosca una lingua diversa da quella italiana adatta al caso in esame o
non essendo l’imputato a conoscenza di quest’ultima, oppure se una persona nelle stesse condizioni di
quest’ultimo voglia o debba fare una dichiarazione, o ancora in situazioni in cui si abbia a che fare con una
persona sorda, muta o sordomuta che non sappia leggere o scrivere (in queste ipotesi, eccezionalmente, la
qualità di interprete può essere assunta da un prossimo congiunto della persona interessata) ed infine quando
occorra tradurre uno scritto in lingua straniera o in un dialetto non facilmente intelligibile. L’interprete,
nell’esercitare la sua funzione deve non solo necessariamente rispettare l’obbligo di verità, infatti se compie
interpretazioni mendaci o afferma fatti non conformi al vero commette falsa testimonianza, ma è tenuto
obbligatoriamente anche a conservare il segreto su tutti gli atti che si compiano per suo mezzo o in sua
presenza. Il suo ruolo non può inoltre essere svolto da soggetti che risultino incompatibili con l’istituto di
testimone, in modo da evitare che si cumulino in capo all’interprete distinte funzioni processuali quali quella di
imputato, di giudice, di Pubblico Ministero, di ausiliario del giudice o del Pubblico Ministero, di difensore, di
testimone o di perito. Dal momento in cui effettivamente sussistano situazioni di incompatibilità con l’ufficio di
interprete, come ad esempio minore età, interdizione, inabilitazione e infermità di mente interdizione dai

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pubblici uffici o sospensione dall’esercizio della professione sottoposizione a misure di sicurezza personali, sarà
giustificata la sua ricusazione e gli atti da questo compiuti saranno fonte di nullità.

L’invalidità degli atti

Dal momento in cui non ci sia corrispondenza tra gli atti e il modello legale previsto, essi, venendo praticamente
meno i requisiti formali, saranno invalidi e, quindi, sostanzialmente, non idonei alla produzione degli effetti tipici
dettati dal Legislatore. Va fatta però attenzione: in materia penale, in ossequio al principio di tassatività,
l’inosservanza della legge processuale sarà causa di invalidità soltanto quando una norma espressamente si
ricollega ad una delle quattro tipologie previste dal codice, dal momento in cui ciò non sovvenga, e quindi la
difformità rilevata rispetto al modello legale non rientri in una delle cause di invalidità previste dalla legge, l’atto
sarà irregolare e potenzialmente fonte di provvedimento disciplinare. Abbiamo poc’anzi fatto riferimento ai
quattro tipi di invalidità prevista dal codice, precisamente esse sono:

Inammissibilità Decadenza Nullità Inutilizzabilità


Impedisce al giudice di Comporta invalidità È un vizio che colpisce È un invalidità che
esaminare nel merito una dell’atto che sia stato l’atto del procedimento colpisce direttamente il
richiesta presentata da eventualmente compiuto che sia stato compiuto valore probatorio di un
una parte, quando la dopo che è scaduto un senza l’osservanza di atto, difatti il giudice non
richiesta stessa non ha i termine perentorio. determinate disposizioni può basarsi su di esso per
requisiti previsti dalla stabilite espressamente emettere una decisione.
legge. dalla legge, appunto, a
pena di nullità.
Analizziamole ora singolarmente.

L’inammissibilità è una causa di invalidità che colpisce atti di parte o di chi si fa parte ed è tale da impedire al
giudice di valutarli validamente, poiché, oggettivamente, quest’ultimi non rispettano i requisiti previsti dalla
legge (c.d. a pena di inammissibilità) riguardanti o il tempo entro il quale deve essere compiuto l’atto, il suo
contenuto, ancora un suo aspetto formale o la legittimazione al suo compimento. Per quanto riguarda il regime
giuridico dell’inammissibilità, dobbiamo prima di tutto ricordare che essa può essere rilevata sia su istanza di
parte al giudice, che sarà quindi chiamato a pronunciarsi in merito con sentenza o ordinanza senza entrare nel
merito, oppure può esserlo d’ufficio fino a che la sentenza non sia divenuta irrevocabile, considerato che il
codice non prevede un termine entro cui la domanda può essere posta, salvo rare eccezioni in cui ce ne sia uno
anteriore.

Procedendo con le altre cause d’invalidità, Tonini tratta poi la decadenza con cui si manifesta la perdita del
potere di porre in essere un atto a causa del mancato compimento dello stesso entro un termine prestabilito:
questo termine si chiama perentorio e l’atto eventualmente compiuto oltre esso è giuridicamente invalido. Non
esistono solo termini perentori, infatti Tonini parla anche di termini ordinatori, più per completezza espositiva
che altro, poiché essi non sono per niente funzionali rispetto al discorso delle cause di invalidità: dal momento in
cui nel porre in essere un atto tali termini vengano superati non si incorrerà nella sua invalidità, non ci saranno
conseguenze processuali, ma, trattandosi di una mera irregolarità, al massimo il soggetto potrà subire
conseguenze di tipo disciplinare, ove non abbia giusti motivi che lo abbiano portato ad agire in quella maniera.
Dobbiamo quindi tenere comunque a mente la distinzione fondamentale che c’è con quelli ordinatori, ma
soffermarci sui termini perentori essendo il loro stesso superamento fonte d’invalidità: essi infatti prescrivono il
compimento di un atto entro e non oltre un determinato periodo e qualora quest’ultimo sia superato, non potrà
essere prorogato ed il soggetto perderà il potere di compiere validamente l’atto. Si tratta di una conseguenza
ovviamente grave, ed alla luce di tale gravità, nel pieno rispetto del principio di tassatività, saranno perentori i
soli termini stabiliti a pena di decadenza dalle legge.

Tonini procede poi facendo la distinzione tra i termini processuali dilatori e acceleratori, potendo questi essere
tanto perentori quanto ordinatori a seconda che il legislatore precisi o meno la loro perentorietà.

➢ Termini dilatori, o anche liberi, servono a prescrivere che un atto non possa essere compiuto prima del
loro decorso in modo da garantire che uno o più soggetti processuali abbiano il tempo per prepararsi al

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compimento di un determinato atto lasciandogli così il tempo necessario per organizzare la propria
difesa.
➢ Termini acceleratori servono invece a sancire un limite temporale entro cui un determinato atto deve
essere compiuto, in modo da garantire svolgimento del procedimento un celere il suo ragionevole
durata in ossequio all'articolo 111 comma 2 della Costituzione.

È quindi chiaro che se ad essere inosservati siano i termini ordinatori ci troveremo dinnanzi ad una mera
situazione di irregolarità eventualmente sanzionabile, mentre dal momento in cui ad essere violati siano i
termini perentori avremo un caso ben più grave, l’invalidità dell’atto: invalidità che, ad un’attenta lettura del
codice, è riconducibile all’inammissibilità. Possiamo quindi dedurre che qualora venga adottato un atto una volta
decorsi i termini perentori le conseguenze processuali saranno due: non solo il soggetto perderà la possibilità di
emanare l’atto essendo decaduto il suo diritto, ma l’atto stesso sarà anche soggetto alla sanzione
dell’inammissibilità.

Esiste un rimedio eccezionale chiamato restituzione nel termine che consente di riassegnare alle parti la
possibilità di esercitare un potere che si era estinto per l'inutile decorso di un termine processuale previsto a
pena di decadenza. Il codice prevede due differenti istituti, uno di carattere generale ed uno di carattere
particolare:

➢ Quello di carattere generale permette la restituzione in un termine processuale previsto a pena di


decadenza, quando la parte e prova di non averlo potuto osservare per caso fortuito o forza maggiore,
insomma eventi naturali o comunque fatti umani che concretino un impedimento invincibile: quindi il
soggetto, sia esso il p.m., le parti private, il difensore, l’imputato o l’indagato, essendo stato
oggettivamente impossibilitato a rispettarli è legittimato a chiedere la restituzione dei termini e sui di lui
graverà l’onere della prova dovendo dimostrare proprio la sua condizione di sopravvenuta impossibilità.
➢ Quello di carattere speciale è previsto nei confronti del decreto penale di condanna, sul presupposto
che l'imputato può avere avuto conoscenza soltanto presuntiva e non effettiva del procedimento o del
provvedimento.

Questi due istituti prevedono alcune norme procedurali comuni: i soggetti legittimati devono fare richiesta di
restituzione entro 10 giorni nel caso del rimedio generale e 30 giorni nel caso di quello speciale a pena di
decadenza, su tale richiesta è chiamato generalmente a decidere il giudice che procede al tempo della
presentazione della stessa. Egli sarà tenuto, in ossequio ad una recente sentenza della Corte di Cassazione, a
procedere senza contraddittorio [a meno che il relativo procedimento incidentale si inserisco in un
procedimento principali in corso di svolgimento con il rito camerale, nel qual caso recepisce le forme del
procedimento principale] a mezzo ordinanza motivata passibile anche di impugnazione e dal momento in cui tale
richiesta venga concessa non potrà esserlo per più di una volta per ciascuna parte in ciascun grado di
procedimento. Dettò ciò, passiamo ad analizzare il rimedio speciale previsto nei confronti del decreto penale di
condanna: in questo caso, sostanzialmente, il P.M., laddove possa comminare una sanzione pecuniaria, può
esercitare l'azione penale chiedendo al GUP l'emissione di un decreto di condanna nei confronti dell'imputato
evitando così tanto l'udienza preliminare quanto il dibattimento. Perchè tale istituto possa essere propriamente
esercitato e si faccia opposizione al termine decorso dovranno inoltre sussistere due requisiti: in primis, il
decreto dovrà rispettare il requisito oggettivo dell'irrevocabilità ed in secondo luogo dovrà essere rispettato
anche un requisito soggettivo in virtù del quale la richiesta dovrà essere posta dall'imputato o dal suo difensore.
Ovviamente in questo caso il giudice può tanto approvare quanto rigettare la richiesta, ma sostanzialmente se
l'imputato non abbia avuto tempestiva conoscenza gli verrà riconosciuto tale beneficio mediante ordinanza; dal
momento in cui invece non lo sia potrà proporre ricorso in Cassazione.

Per quanto riguarda la nullità la prima cosa da dire è che, come deducibile dalla definizione che ne abbiamo dato
(è un vizio che colpisce l’atto del procedimento che sia stato compiuto senza l’osservanza di determinate
disposizioni stabilite espressamente dalla legge appunto a pena di nullità), anche per essa vale il principio di
tassatività, poi sancito espressamente anche ex art. 177 c.p.p.: alla luce di ciò sussiste un vero e proprio divieto
di analogia. Andando più nel dettaglio, in base alle modalità di previsione la nullità può essere suddivisa in
generale speciale:

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• Le nullità di ordine generale sono previste per ampie categorie di inosservanze e sono indicate ad
esempio ex art. 178 c.p.p. alla lettere a-c, anche se essenzialmente possiamo dire che vi rientrano
inosservanze che toccano i soggetti principali del processo.
• Le nullità di ordine speciale, sono invece chiamate così perché sono previste per determinate
inosservanze del codice e ne può essere d’esempio il 109.3 in merito alle inosservanze relative alla
lingua degli atti del procedimento.

La nullità può essere ulteriormente frazionata in diverse sottocategorie in base al regime giuridico:

• Abbiamo una nullità assoluta, che concerne le inosservanze più gravi o meglio quegli atti insanabili e
rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento. Tali atti ex art. 179, sono quelli espressamente
indicati all’art. 178 alle lettera a-c dove si fa rispettivamente riferimento: in primo luogo agli atti
compiuti da un giudice privo di capacità generica all’esercizio della funzione giurisdizionale, poi ad alcuni
casi assimilabili alla sua lettera b, dove si fa riferimento ad atti compiuti in assenza del p.m. ed infine a
quegli atti derivanti dalla omessa citazione dell'imputato o dall'assenza del suo difensore nei casi in cui
ne è obbligatoria la presenza. È quindi chiaro che essenzialmente, le nullità generali sono assolute: ciò
non toglie che possano esserlo anche le speciali, ma solo se la specifica norma lo prevede.
• Abbiamo una nullità intermedia che, ex art. 180 c.p.p., concerne le inosservanze di media gravità,
riguarda una sfera più ampia di soggetti, è rilevabile anche d’ufficio, però entro dei limiti, ed è sanabile.
Si tratta, come deducibile dall’art. 180, di “altre nullità” generali definite intermedie perché accumunate
da caratteristiche sia delle nullità assolute sia di quelle relative. Fra queste ad esempio rientrano le
inosservanze delle disposizioni attinenti alla partecipazione del pubblico ministero al procedimento,
come ad esempio la lesione del contradditorio nei suoi confronti o il non aver richiesto il suo parare
quando necessario.
• Abbiamo infine la nullità relativa che, ex art. 181, ricomprendono tutte quelle nullità speciali non
assimilabili a quelle assolute e a quelle intermedie e materialmente oltre a poter essere eccepite solo
dalle parti entro brevi termini sono sanabili. Si tratta di nullità speciali, tranne quelle eccezionalmente
considerate assolute.

Per quanto riguarda invece la deducibilità di tali nullità, ex art. 182 è sancito che quest’ultime non possono
essere eccepite dalla parte che non ha interesse o ha concorso a crearle. Come sancito ex art. 185 la nullità di un
atto inficia anche sugli atti consecutivi e dipendenti da quello nullo in ragione della c.d. estensione della nullità:
spesso nei confronti di tali atti viene posta in essere una sanatoria, ovvero un fatto giuridico ulteriore e
successivo rispetto all’atto viziato che, affiancato a quest’ultimo, lo rende equivalente all’atto valido. Abbiamo
sanatorie generali e sanatorie speciali: quelle generali si applicano alle nullità di tipo intermedio o relativo e non
alle assolute ex art. 179.1 e giungono al loro obiettivo qualora la parte interessata rinunci ad eccepire la nullità
espressamente o tacitamente; quelle speciali si applicano dal momento in cui la parte interessata è comparsa o a
rinunciato a comparire volontariamente e personalmente, anche non avendo piena consapevolezza del vizio. Per
quanto riguarda invece la dichiarazione di nullità, essa fa progredire il procedimento fino allo stato o al grado in
cui è stato dichiarato nullo l’atto. Tonini si sofferma poi sulla possibilità di rinnovare l’atto nullo: Se è dichiarato
nullo un atto di prova provvede alla sua rinnovazione il giudice del grado di giudizio in cui la nullità è stata
dichiarata, indipendentemente dal grado in cui tale vizio si era prodotto. Se è nullo un atto propulsivo allora la
dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento al grado di giudizio in cui è avvenuto il vizio in
questione e la relativa rinnovazione sarà di competenza della giurisdizione di tale grado.

Passiamo in ultima battuta ad analizzare l’ultima causa d’invalidità fornitaci dal c.p.p.: l’inutilizzabilità.

Quando parliamo di inutilizzabilità dobbiamo tener conto di due distinte accezioni che il termine ha:

1. In primo luogo esso indica il vizio di cui un atto può essere affetto;
2. In secondo luogo invece illustra il regime giuridico al quale l'atto viziato è sottoposto.

Tonini si sofferma essenzialmente sulla seconda accezione del termine inutilizzabilità, quindi sul regime giuridico
che l'atto seguirà qualora sia viziato: il non poter essere messo a fondamento di una decisione sia essa presa dal
giudice, dal pubblico ministero o dalla polizia giudiziaria. Da questa preliminare osservazione, notiamo quindi

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che l'inutilizzabilità non va a colpire l'atto in sé dal punto di vista formale, ma ne colpisce il suo aspetto
sostanziale, o più precisamente il suo valore probatorio.

Adottando una visione d’insieme, è opportuno classificare diversi tipi di inutilizzabilità: assoluta e relativa,
generale e speciale ed infine, la più importante, patologica e fisiologica. Analizziamole.

Inutilizzabilità assoluta Inutilizzabilità relativa


quando il giudice non può in alcun modo basarsi quando un atto può essere utilizzato solamente nei
sull’atto per emettere un qualsiasi provvedimento. confronti di determinate persone o essere a
fondamento di determinate categorie, saranno infatti
previste per quelle contro cui non potrà essere
utilizzato.

Inutilizzabilità speciale Inutilizzabilità generale


si riferisce a categorie di inosservanza delineate nella si riferisce a categorie di inosservanza delineate nel
specie: quindi si avrà per quei soli casi in cui una genere. Classico esempio di inutilizzabilità generale è
norma del codice combini espressamente tale quella patologica, di contro un’ipotesi di quella
sanzione per l’inosservanza di condizioni previste ai speciale sarà la fisiologica.
fini dell'acquisizione di una data prova.

Analizziamo entrambe queste due cause di invalidità, tenendo conto di ciò: in primis, esse si distinguono dal
punto di vista del fondamento normativo e della regolamentazione, possiamo però dire che tra loro c’è un punto
di incontro per quanto attiene al principio di tassatività, dovendo essere entrambe, assieme alle sanzioni che ne
derivano, necessariamente previste per legge a pena di nullità come recita il principio direttivo n.7 della legge
delega n. 81 del 1987.

➢ L’inutilizzabilità patologica, conseguente ad alcuni tra i vizi più gravi del procedimento probatorio, è
disciplinata dall’art. 191.1 ai sensi del quale essa deriva dall’acquisizione contra legem delle prove. Più
propriamente esso parla molto genericamente dell’acquisizione di prove in violazione di precisi divieti
posti dalla legge: alla luce del principio di tassatività, oltre che della rubrica stessa dell’articolo e dalla
Relazione al progetto preliminare, deduciamo che tale invalidità sussista esclusivamente qualora sia
stata violata una norma processuale e quindi il relativo divieto probatorio da essa sancito. È pertanto
giustificato invalidare quanto sia stato acquisito viziatamente dal giudice, essendosi questo servito di
poteri istruttori vietati dalla legge processuale stessa; dal momento in cui invece le prove siano state
acquisite illecitamente, o meglio in violazione di una legge penale sostanziale, saranno utilizzabili come
anche le modalità di assunzione di una prova a meno che non sia espressamente previsto. Per quanto
riguarda il regime giuridico l’inutilizzabilità di un atto può essere dichiarata dal giudice sia su istanza di
parte che, ex art. 191.2, d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento e non sarà in alcun modo
possibile sanarla né tanto meno rinnovarla, essendo stata la prova assunta in violazione di una norma
processuale. Trovandoci in questo caso in un classico esempio di inutilizzabilità generale, sarà più
complicato rilevarla: il giudice molto spesso, riconoscendo che l’inutilizzabilità segua il principio di
tassatività e che la legge non esplichi effettivamente quali siano i divieti probatori da cui deriverebbe
[non avendo il legislatore delegato tradotto in disposizione il principio secondo cui devono essere
previsti per legge non solo le cause di invalidità, ma anche le relative sanzioni che ne discendono],
rimette il tutto all’interprete il quale è tenuto di volta in volta, a verificare con attenzione se dalle norme
processuali derivi uno “specifico divieto” o se si tratti di “specifici divieti probatori” in modo poi da poter
poi eventualmente applicare il 191 dal momento in cui sia sottratto in modo assoluto al giudice il potere
di ammettere, assumere o valutare quella prova. Secondo alcuni, differentemente da quanto pensano
altri, potrebbero addirittura sussistere anche dei divieti impliciti derivanti dai principi generali del
sistema atti a tutelare un bene giuridico di importanza fondamentale; si ha divisione anche per quanto
concerne le prove assunte in violazione dei diritti fondamentali, per chi legge vada inteso anche come
costituzione possono essere utilizzate, per altri che invece non credono sia possibile assimilare le due
cose, l’inutilizzabilità deriverebbe esclusivamente dalla violazione di divieti probatori espressamente
sanciti dal codice.
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Prima di andare ad analizzare l’inutilizzabilità fisiologica, dobbiamo soffermarci su quella derivata in virtù della
quale l’illegittimità di una prova si estenderebbe ad un’altra essendo quest’ultima rinvenuta grazie alla
precedente: secondo Tonini, per alcuni, non esisterebbe non essendoci alcuna previsione di legge al riguardo,
per altri invece sarebbe ammissibile l’estensione essendoci un nesso, un’interdipendenza, tra perquisizione e
sequestro.

➢ L’inutilizzabilità fisiologica è una conseguenza del principio della separazione delle fasi del
procedimento, difatti come sappiamo il giudice ex art. 526 c.p.p., salvo casi eccezionali, può utilizzare ai
fini della deliberazione dibattimentale soltanto le prove legittimamente acquisite in tale fase essendo in
quest’ultima ammesso il contraddittorio nella formazione della prova. Andare a considerare prove
raccolte nel corso delle indagini preliminari significherebbe servirsi di materiale che di regola, non è
sottoposto ad alcun contraddittorio, a meno che non si svolga un’incidente probatorio, e ciò sarebbe
ingiusto e pertanto la prova ricavata in questi termini sarà diversa da quella legittimamente acquisita. A
tutela del principio del contraddittorio, dal momento in cui vengano acquisiti dagli atti prove in sua
assenza, solo per essi sarà prevista la loro inutilizzabilità in modo da evitare che fondino la decisione del
giudice in fase di dibattimento [e pertanto un eventuale inosservanza dei divieti il lettura degli atti
compiuti in segreto prima del dibattimento comportano inutilizzabilità degli stessi ai fini della
decisione]. È deducibile quindi che ci troviamo dinnanzi ad un caso di inutilizzabilità speciale, un filtro
per selezionare gli elementi di prova che possono essere posti a base della decisione dibattimentale. Va
inoltre ricordato che essa è dettata dalle caratteristiche del processo e non può essere rilevata in fasi
successive al procedimento.

Altre due cause di invalidità, non previste però dal codice essendo state elaborate dalla dottrina e dalla
giurisprudenza, sono l'inesistenza e l'abnormità.

➢ Per quanto concerne l’inesistenza, essa è stata creata da dottrina e giurisprudenza per andare a colmare
quei vuoti di tutela che si sono inevitabilmente verificati in seguito ad un’eccessivamente rigorosa
applicazione del principio di tassatività delle invalidità. Si tratta infatti sostanzialmente di una deroga a
tale principio e comporta che l’atto in esame non esista in senso giuridico: in quest’ottica una sentenza
non potrà giuridicamente diventare irrevocabile, o meglio lo sarà apparentemente, ed il suo giudicato
sarà solo apparente, inoltre, anche dopo che la sentenza sia diventata apparentemente irrevocabile,
l’esistenza potrà essere fatta valere dal soggetto [l’inesistenza supera anche il giudicato, derogandolo].
Abbiamo parlato di sentenze, perché essenzialmente Tonini fa riferimento ad esse ricordando due casi
comunemente riconosciuti in cui essa opera: il primo caso è quello della carenza di potere
giurisdizionale del giudice, nelle ipotesi in cui una sentenza penale sia emessa da un organo della
pubblica amministrazione; mentre il secondo fa invece riferimento al caso in cui la sentenza sia
pronunciata o contro un imputato totalmente incapace, essendo coperto da immunità, o nei confronti
di persona inesistente.
➢ Per quanto concerne l’abnormità, anch’essa è stata creata da dottrina e giurisprudenza per andare a
risolvere anomalie gravi dettate stavolta da un’eccessiva osservanza del principio di tassatività delle
impugnazioni. In questo caso, l’atto abnorme, che è ovviamente del giudice, si presenta come un
qualcosa avente ad oggetto materie avulse dall’intero ordinamento processuale (c.d. abnormità
strutturale) [che Tonini definisce “singolari, strane, eccentriche rispetto al sistema posto dal codice” e
pertanto] tale da esplicarsi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste al di là di ogni
ragionevole limite (c.d. abnormità funzionale), ed in quanto tali, non passibili di impugnazione: si
trattava quindi di un vuoto di tutela colmato appunto dall’abnormità, una causa d’invalidità non
tipizzata che giustifica immediato ricorso in Cassazione entro i termini ordinari previsti, nel pieno
rispetto della regola del giudicato, decorrenti dalla conoscenza effettiva dell’atto stesso e non di quella
legale considerato che quest’ultima potrebbe effettivamente mancare.

Parte Seconda, Profili generali del procedimento penale

P2, C3 – Principi generali sulla Prova

Prima di andare a vedere nel dettaglio i mezzi di prova, dobbiamo fare delle preliminari precisazioni strumentali
alla loro piena comprensione. Tonini prima di tutto ci mette davanti alla netta differenza che la tematica della
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prova ha a seconda del sistema processuale scelto: infatti nel sistema inquisitorio, la tematica della prova è
scarsamente regolamentata, poiché essendo tutti i poteri attribuibili alla figura del c.d. giudice inquisitore che,
come sappiamo, può servirsi di ogni mezzo pur di accertare la verità, disciplinarla significherebbe limitarlo nel
raggiungimento dei suoi scopi; stessa cosa non può dirsi del sistema processuale accusatorio, in cui invece la
materia è dettagliatamente regolata, basti pensare al nostro codice in cui vi è dedicato un intero libro, in modo
che i poteri processuali di ricerca, ammissione, assunzione e valutazione siano equamente divisi tra accusa,
difesa e giudice per evitare che nessuno ne abusi, come potrebbe invece accadere nel caso del sistema
processuale inquisitorio… Andando più nello specifico, nel caso del sistema accusatorio mentre alle parti è
attribuito il potere di ricercare le prove, di chiederne l’ammissione e di contribuire alla formazione delle stesse,
al giudice è riservato il potere di decidere l’ammissione e di emettere una valutazione sulle prove e proprio in
relazione ad essi dobbiamo soffermarci effettivamente su come si svolge. Il giudice esercita il suo potere
decisionale mediante la sentenza, composta da dispositivo e motivazione, con cui non fa altro che porre in
essere un ragionamento di natura sillogistica articolato in tre fasi: accertamento del fatto storico, individuazione
della norma penale incriminatrice e giudizio di conformità.

1. Accertamento razionale del fatto storico. Non essendovi una situazione certa in merito al fatto storico,
bensì un conflitto tra accusa e difesa, la prima cosa che il giudice nell’esercizio del suo potere
decisionale è tenuto ad accertare se l’imputato lo ha commesso ricostruendolo mediante l’uso
ovviamente di principi razionali, di prove e fatti realmente accaduti che trovino in esse fondamento, per
poi motivare la propria ricostruzione. Il giudice materialmente fa un giudizio sul fatto, poiché valuta se il
fatto storico così come descritto nell’imputazione esiste, oppure se esso si sia verificato in termini
diversi.
2. Individuazione della norma penale incriminatrice. Il giudice dopo aver accertato che l’imputato abbia
posto in essere il fatto storico, procede interpretando la norma incriminatrice al fine di ricavarne e
quindi ricostruire il fatto tipico punibile per poi motivare la propria ricostruzione. Si tratta quindi in
questo caso di un accertamento giuridico, avendo ad oggetto delle norme e perché si usa il metodo
dell’interpretazione per avere un chiaro ed esatto significato delle stesse tale da poter permettere un
altrettanto precisa ricostruzione del fatto tipico.
3. Giudizio di Conformità. Infine il giudice, dopo aver accertato che l’imputato abbia posto in essere il fatto
storico e ricavato il fatto tipico punibile dalla norma penale incriminatrice, mediante c.d. giudizio di
conformità valuta se appunto c’è conformità tra i due andando quindi così a completare la parte della
sentenza dedicata alla motivazione. Abbiamo fin qui parlato della motivazione ma, come sappiamo, la
sentenza ex art. 546 si compone anche del dispositivo in cui sostanzialmente il giudice trae le
conseguenze dal giudizio di conformità ordinando: in caso di conformità tra i fatti la condanna
l’imputato, oppure, nel caso in cui invece essa manchi, la sua assoluzione ricorrendo ad una delle
formule previste dal codice ex art. 530.

Detto ciò è opportuno soffermarsi sul termine prova, potendo questo avere diverse declinazioni.

Prova come Fonte di Prova come Mezzo Prova come Elemento Prova come Prova come
Prova di Prova di Prova risultato oggetto di prova
probatorio
Saranno fonti di prova, Il mezzo di prova è L’elemento di prova è Ciò che il giudice con cui
potendo da essi trarre lo strumento l’informazione che si ha ottenuto materialmente si
informazioni utili per attraverso cui si ricava dalla fonte di valutando in base sta ad indicare il
ricostruire un fatto acquisisce nel prova quando ancora ai criteri di fatto da
passato, persone cose processo un non è stata valutata credibilità e provare… quelli
e luoghi in cui il reato elemento dal giudice. attendibilità dell’imputazione,
inevitabilmente lascia funzionale alla l’elemento di della punibilità
segni. decisione. prova. della
determinazione
della pena, ad
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esempio.

Come abbiamo già detto, il fatto storico di reato essendosi verificato nel passato ed essendo irripetibile potrà
essere conosciuto solo grazie alle tracce che ha lasciato: è quindi proprio di tali tracce, o meglio delle prove, che
il giudice si serve per ricostruire il fatto di reato. Le prove sono quindi lo strumento principe per il giudice, il
quale sostanzialmente grazie ad un ragionamento c.d. inferenziale da un fatto noto “di oggi” riesce a capire se è
realmente esistito e in che modalità è avvenuto un fatto “del passato”.

Abbiamo due tipi di prove, la prova rappresentativa e la prova indiziaria (c.d. indizio/prova critica) ovviamente
diverse tra loro.

Prova Rappresentativa Prova Indiziaria


Fa riferimento a… Quel ragionamento che dal fatto Quel ragionamento che da un fatto
noto ricava per rappresentazione provato (c.d. circostanza indiziante)
l’esistenza del fatto da provare. desume l’esistenza di un ulteriore
fatto da provare utilizzando
un’inferenza basata su una massima
di esperienza o su una legge
scientifica.
Consiste in… Una valutazione sull’affidabilità della Un’applicazione di una massima
fonte [su quanto il dichiarante sia d’esperienza o di una legge
stato sincero, attento allo scientifica alla circostanza indiziante,
svolgimento del fatto e in grado di in modo che possa essere ricavato un
comprendere il significato degli ulteriore fatto da provare. Quindi
elementi fattuali, se abbia precedenti rispetto alla prova rappresentativa
penali] e sull’attendibilità della cambia non l’oggetto da provare, che
rappresentazione [su quanto la può essere tanto il fatto principale
rappresentazione resa dalla fonte sia quanto uno secondario, ma la
idonea a descrivere il fatto avvenuto] struttura del procedimento logico:
operata di regola attraverso lo per provare il fatto non se ne avrà
strumento dell’esame incrociato. più la sua rappresentazione ad opera
Frutto di queste due operazioni è il della fonte di prova, ma stavolta esso
risultato probatorio, infatti poi il sarà indotto da un altro fatto
giudice valuta quanto della mediante l’applicazione di una regola
rappresentazione fornita è d’esperienza o scientifica. Il fatto che
accettabile razionalmente per poi si abbiano due tipologie di prove
darne conto nella motivazione significa semplicemente che la
specificando i risultati acquisiti e i responsabilità dell’imputato può
criteri adottati. essere provata sia mediante
testimone che indizi.

Avendo fatto una preliminare distinzione tra l’applicazione della massima d’esperienza e la regola scientifica,
vanno analizzati più nel dettaglio i due singoli casi.

Massima d’esperienza Regola scientifica


Volendole definire… Sono regole di comportamento Sono quelle leggi che esprimono
che esprimono quello che avviene una relazione certa o
nella maggior parte dei casi. statisticamente significativa tra
due fatti della natura. Sono dette
infatti universali, ad esse possiamo
contrapporne però anche di
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probabilistiche.
Volendo analizzare le loro • Non sono sperimentabili, • Sperimentabili, in quanto
caratteristiche… deduciamo che in quanto il reato è un si tratta di fenomeni
sia nella formulazione di una fatto per sua natura non scientifici misurabili
regola di esperienza, sia nella sua ripetibile né misurabile quantitativamente e
applicazione, il giudice deve essere quantitativamente. ripetibili dagli scienziati
estremamente cauto. • Non sono Generali, in mediante procedure che
quanto le regole del verificano la misura dei
comportamento umano fenomeni e la validità
ammettono eccezioni; né della legge. Da ciò deriva
sono autonome dai casi che siano…
dai quali sono tratte • Generali, in quanto non
perché da questi sono ammettono eccezioni o
ricavate. comunque il margine di
• Non sono controllabili, errore è esattamente
perché non ci sono tecnici conosciuto.
del diritto in grado di • Controllabili, perché la
seguire, con procedure loro formulazione è
comunemente accettate, sottoposta alla critica
il nascere di una regola ed della comunità degli
il suo livello di generalità. esperti.

Qualora alla circostanza indiziante nota sia applicata una massima d’esperienza al fine di trarne come
conseguenza l’esistenza del fatto da provare [che ne sarà quindi antecedente causale], sostanzialmente il giudice
avrà preliminarmente ragionato in base al principio secondo cui per casi simili vi è un identico comportamento…
individuando quindi una regola di comportamento con cui si esprime quanto avviene nella maggior parte dei casi
e che, in quanto tale, permette di accertare l’esistenza di un fatto con una probabilità più o meno ampia, quindi
non con certezza assoluta. Il giudice deve ovviamente formulare le regola in base a quella che ritiene la migliore
esperienza e non in base a scelte personali arbitrarie, e, nel caso in cui se ne abbiano diverse, deve scegliere in
modo corretto quale è applicabile al caso concreto, tenuto conto delle sue particolarità.

Qualora invece alla circostanza indiziante nota sia applicata una regola scientifica, sostanzialmente il giudice,
considerato che è di fronte a materie che richiedono specifiche competenze tecniche scientifiche o artistiche,
deve affidarsi a persone che le abbiano in modo che questi stessi possano valutare quale legge scientifica [o c.d.
della natura] sia applicabile ad un determinato fatto, al fine di individuarne le cause. La legge scientifica dà
maggiore sicurezza, ma restano comunque margini di opinabilità, poiché si tratta di scegliere la legge scientifica
che deve essere applicata al caso di specie, valutare in quale modo deve essere applicata e individuare i fatti ai
quali applicarla… ad ogni modo possiamo distinguere le leggi scientifiche universali e le leggi scientifiche
probabilistiche, a seconda che abbiano o meno un elevato grado di predittività.

A prescindere da se il procedimento logico si basi su di una regola di esperienza oppure su una legge scientifica,
affermandosi ex art. 192.2 che l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano
gravi, precisi e concordanti, si deduce chiaramente l’impossibilità, il divieto, di accertare il fatto di reato
mediante un solo indizio. Si tratta quindi di una regola giuridica di valutazione, in virtù della quale non sarà mai
sufficiente un solo indizio per accertare un fatto di reato… dovranno quindi non solo essercene diversi, ma
dovranno anche essere:

Gravi Precisi Concordanti


La gravità attiene al grado di Gli indizi non devono essere Gli indizi devono convergere tutti
convincimento, è grave pertanto suscettibili di altre diverse verso la medesima conclusione,
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l’indizio che è resistente alle interpretazioni. pertanto non devono esservi
obiezioni e quindi ha un’elevata elementi contrastanti e l’accusa
persuasività e cioè un ampio grado deve eliminare ogni ragionevole
di probabilità. dubbio.

Va precisato che gli indizi devono essere gravi precisi e concordanti solo quando tendano a dimostrare
l’esistenza di un fatto, pertanto se l’oggetto della prova è un fatto incompatibile con la ricostruzione del fatto
storico indicata nell’imputazione allora sarà sufficiente anche un solo indizio: è questo il caso dell’alibi, quel
ragionamento attraverso cui si evince che l’imputato non poteva essere a quell’ora sul luogo del delitto, perché
in quello stesso momento si trovava altrove… insomma in un luogo non solo diverso, ma anche ben distante tale
da non potergli permettere di potervi essere contemporaneamente e quindi di porre in essere il reato… ergo,
ove l’alibi sia attendibile, si tratterà a tutti gli effetti di una prova critica c.d. negativa con cui si smonta
sostanzialmente l’esistenza dei fatti indicati dall’accusa… un unico indizio tale da affermare con assoluta certezza
che il fatto non si è verificato così come indicato dal pubblico ministero.

Ergo, partendo dall’osservazione di un fatto in base alla migliore esperienza o scienza si ipotizza che esso sia
stato provocato da una determinata condotta e proprio per questo, in un’ottica di parità, alla luce di alcuni diritti
loro conferiti, le parti, tanto personalmente quanto ricorrendo all’ausilio di esperti come i consulenti tecnici,
possono, o più precisamente devono, anch’esse poter prospettare le loro ricostruzioni in merito ricercando e
introducendo nel processo prove volte a dimostrare una diversa ipotesi ricostruttiva: ove la controparte riesca a
dimostrare l’infondatezza della ricostruzione avversaria, la validità in concreto della regola utilizzata viene meno
e l’esistenza del fatto non è più probabile.

Il procedimento probatorio consta di diversi momenti tra cui annoveriamo quello della ricerca, dell’ammissione,
dell’assunzione e della valutazione della prova e ad ognuno di questi corrisponde un relativo potere processuale.
Prima di vederli nel dettaglio dobbiamo fare delle preliminari precisazioni. In un sistema processuale accusatorio
come il nostro, tali poteri in materia di prova risentono del principio della separazione delle funzioni processuali
e vengono dettagliatamente regolati dalla legge, in modo che vengano equamente distribuiti tra accusa, difesa e
giudice e che nessuno tra questi possa abusarne e proprio per questo si parla di un principio di legalità
processuale in materia probatoria: più precisamente mentre alle parti è attribuito il potere di ricercare le prove e
di chiedere l’ammissione del relativo mezzo di prova, oltre a contribuire alla formazione delle stesse ponendo le
domande nell’esame incrociato, invece al giudice è riservato il potere di deciderne l’ammissione e di emettere
una valutazione sulle prove. In quest’ottica tra le parti vi è una piena parità d’armi alla luce della quale accusa e
difesa possono propriamente fare richieste in contraddittorio tra loro, spetterà poi al giudice imparziale valutare
il loro operato e quanto ricavato. Unitamente al procedimento probatorio va esaminato anche il concetto di
diritto alla prova, trattandosi di due facce della stessa medaglia, perché le diverse fasi del procedimento
probatorio non sono altro che il riflesso dei diversi poteri processuali: con diritto alla prova si tratta di
un’espressione sintetica che comprende il potere spettante a ciascuna delle parti di ricercare le fonti di prova,
chiedere l’ammissione del relativo mezzo, partecipare alla sua assunzione ed ottenere una valutazione del
risultato al momento delle conclusioni. Andiamo a vederle più nel dettaglio.

• La ricerca della prova, o più precisamente delle fonti di prova, spetta esclusivamente alle parti… perché
non solo essendo il nostro un sistema accusatorio c’è bisogno che ciò sia così affinché possa funzionare
correttamente, ma anche per il semplice fatto che nessuno sia migliore della parte stessa nell’indicare
elementi tali da convincere il giudice. Quando parliamo di parti, più precisamente ex art. 326 c.p.p. ci
riferiamo in primo luogo al p.m., su cui incombe l’onere della prova sulla reità dell’imputato e poi anche
all’imputato stesso, in modo che questi possa confutare le tesi dell’accusa e provare o la sua innocenza
o comunque che i fatti non si siano svolti come indicato nell’imputazione.
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• L’ammissione della prova, o più precisamente del mezzo di prova, deve essere chiesta dalle parti al
giudice che poi provvederà ad ammetterla o meno senza ritardo, a sua discrezione, mediante ordinanza
di accoglimento o di rigetto motivata. Il giudice, ex art. 190.1 ammetterà la prova ove si abbiano quattro
criteri: la pertinenza [la prova deve essere pertinente, cioè tendere a dimostrare l’esistenza del fatto
storico], la non violabilità di un divieto posto per legge [la prova non deve essere vietata dalla legge], la
non superfluità [la prova non deve essere sovrabbondante] e la rilevanza [la prova deve essere
rilevante, il suo probabile risultato deve essere idoneo a dimostrare l’esistenza del fatto da provare] che
basterà siano anche dubbie, pertanto più precisamente e cioè la non manifesta irrilevanza e superfluità.
In virtù dell'art. 495.2 la parte avversa, ove siano stati ammessi i mezzi di prova richiesti dall'accusa,
gode del c.d. diritto alla prova contraria e pertanto ha diritto all'ammissione della prova che ha per
oggetto il medesimo fatto ed è finalizzata a dimostrare che non è avvenuto o che si è verificato con una
differente modalità [letteralmente, ha diritto all’ammissione delle prove indicate a discarico sui fatti
costituenti oggetto delle prove a carico] tra l'altro anche con un mezzo di prova differente… stesso
diritto spetterà anche al p.m., in ordine però alle prove a carico dell’imputato sui fatti costituenti
oggetto delle prove a discarico. Il diritto alla prova contraria è sancito perfino costituzionalmente ex art.
111.3 che, con riferimento al solo imputato, proclama il diritto di ottenere la convocazione e
l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro
mezzo di prova a suo favore, a patto che però quest’ultimi, come sottolinea Tonini, superino il vaglio
giudiziale di ammissibilità. Il diritto ad ottenere l’ammissione della prova incontra limitazioni in casi
come i delitti di associazione mafiosa, violenza sessuale e pedofilia; oppure anche in ogni caso in cui
l’esame testimoniale richiesto riguarda una persona offesa in condizione di particolare vulnerabilità… In
queste situazioni se la parte voglia risentire in dibattimento il dichiarante che si sia già espresso in sede
di incidente probatorio, sarà possibile rinnovare l’esame soltanto se esso riguardi fatti o circostanze
diverse oppure, anche sugli stessi fatti, ma alla luce di particolari esigenze. Nella fase dell'ammissione
della prova il giudice di regola ha soltanto il potere di decidere se ammettere o meno il mezzo di prova
chiesto da una delle parti, pertanto non può, come sancito ex articolo 190 comma 1, introdurne uno
d'ufficio... infatti al comma successivo è ammesso che la legge disciplini dei casi eccezionali in cui ciò
possa aversi, per supplire essenzialmente all'inerzia delle parti ed essendo in gioco un diritto inviolabile
quale la libertà personale che diventerebbe altrimenti contrariamente alla sua natura un qualcosa di
disponibile.
• L’assunzione della prova avviene, se si tratta di dichiarazioni rese in dibattimento, con il metodo
dell’esame incrociato e le parti vi partecipano attraverso la diretta formulazione delle domande al
dichiarante, domande che devono essere fatte in ossequio a quanto sancito ex art. 499 c.p.p.: più
precisamente essere dovranno essere inerenti a fatti specifici, senza ledere il rispetto della persona che
ove necessario può anche ricorrere a documenti redatti dal testimone, saranno inoltre vietate le
domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte oltre a quelle che invece le risposte tendano
a suggerirle… Durante l'esame, il presidente [come vedremo, siamo davanti ad un organo giudicante
collegiale, che per comodità e chiamato giudice dal legislatore, presieduto appunto da quest’ultimo… si
tratta di due diverse personalità, il presidente può fare eventuali domande alle parti, mentre l’organo
collegiale ha un compito di mero chiarimento dei punti incerti], anche d’ufficio, è tenuto ad intervenire
per assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell'esame e la
correttezza delle contestazioni, ordinando, se occorre, l'esibizione del verbale nella parte in cui le
dichiarazioni sono state utilizzate per le contestazioni. L’esame incrociato è comunemente ritenuto il
miglior modo per capire se il dichiarante sta rispondendo secondo verità… se infatti viene usato
correttamente, questo strumento facendo cedere il dichiarante dinnanzi alle provocazioni consente
quindi di smascherarlo tanto intenzionalmente quanto inconsciamente [a contrario, sarà credibile il
dichiarante che non cederà alle provocazioni poste mediante domande e contestazioni]. Ad ogni modo,
dobbiamo ricordare che nell’esame incrociato ex art. 188 c.p.p. non possono essere utilizzati, neppure
con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di
autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Dobbiamo inoltre ricordare
il termine acquisizione che viene usato dal codice in materia di prova in senso stretto se si tratta di
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prove precostituite e cioè formate prima o fuori del dibattimento come documenti o documentazioni,
ma anche in senso lato per ricomprendere anche l’ammissione e l’assunzione della prova non
precostituita e quindi formatasi in dibattimento come la dichiarazione. Il legame tra assunzione e
acquisizione è sottile: l’assunzione riguarda le modalità concrete mediante cui si acquisisce il risultato
probatorio.
• La valutazione della prova, in ossequio al diritto che le parti hanno di poter proporre una propria
valutazione degli elementi di prova al giudice, si tramuta in un dovere nei confronti di quest’ultimo, il
quale deve dare una valutazione logica dell’elemento di prova raccolto e ex art. 192.1 contestualmente
darne conto motivando la sua scelta, anche qualora si sia avvalso del principio del libero convincimento,
indicando non solo i risultati acquisiti, ma anche i criteri adottati, le prove poste alla sua base e le ragioni
per cui non sono attendibili le prove contrarie. Dal momento in cui infatti si ritenga che il ragionamento
fatto dal giudice non segua i canoni logici né tanto meno quelli processuali, e che quindi il principio del
libero convincimento sia stato travisato, sarà concessa la possibilità di impugnare mediante appello o
ricorso per cassazione l’atto con cui il giudice stesso si è pronunciato.

Chi investiga deve prendere in considerazione e valutare ogni possibile alternativa ricostruzione del fatto
oggetto del processo, perché colui che deve ricostruire la causa utilizza il suo bagaglio di conoscenze
interrogandosi su quella che pare la causa maggiormente plausibile considerato che di regola la legge scientifica
viene fatta funzionare a ritroso. Ovviamente nella decisione rientrano i criteri della logica caratteristici del
momento della valutazione.

Poco fa abbiamo fatto brevemente riferimento all’onere della prova, ora passiamo ad analizzarlo
dettagliatamente. L’onere della prova materialmente è l’effetto di quanto affermato ex art. 27.2 Cost: questa
disposizione è molto particolare, essendo costituita da un’unica formula di natura polivalente… pertanto
affermandosi che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva si fa riferimento non solo
ad una regola di trattamento dell’imputato, che quindi non deve vedersi anticipata la pena fino al momento in
cui sia effettivamente comminata [quindi potranno esserci misure cautelari], ma anche ad una regola probatoria,
o meglio alla regola probatoria per eccellenza, quella della presunzione d’innocenza in virtù del quale appunto
l’imputato va considerato presunto innocente e non presunto colpevole [effetto tra l’altro sancito anche ex art.
2728 c.c. in tema di prova contro le presunzioni legali]. Per diverso tempo, molti ritennero che questa formula
polivalente fosse imprecisa, poi, in seguito alle pronunce della Corte Costituzionale n. 348 e 349 del 2007,
affermandosi che le norme interne devono essere interpretate in aderenza al dettato della Convenzione Europea
ed essendoci proprio un suo articolo che trattava della presunzione d’innocenza, l’affermazione di tale principio
è stata generalmente riconosciuta. Come si ricava proprio dal disposto costituzionale dell’art. 27, avendo la
presunzione d’innocenza carattere relativo (= valida fino a prova contraria), almeno in prima battuta, l’onere
della prova, come già accennammo, ricadrà sulla parte che sostiene la reità dell’imputato e quindi nei confronti
del p.m. il quale dovrà prima fare un addebito provvisorio e poi uno definitivo riportando quindi tutta quella
serie di elementi costitutivi del reato tali da convincere il giudice. Successivamente qualora l’onere della prova
sia soddisfatto dall’accusa, spetterà poi all’imputato stesso il c.d. onere della prova contraria e quindi il diritto di
confutare le tesi dell’accusa e dimostrare o la sua innocenza mediante prove, ovviamente favorevoli alla difesa
ed anche di natura negativa ove possibile come ad esempio l’alibi, tali da far apparire agli occhi del giudice non
credibile né tanto meno attendibile quanto addotto dal p.m. o comunque che i fatti siano avvenuti in maniera
diversa rispetto a quanto egli aveva indicato nell’imputazione.

L’onere della prova individua la parte sulla quale ricadono le conseguenze del non aver convinto il giudice
dell’esistenza del fatto affermato ed ha due accezioni: si parla infatti di onere sostanziale della prova e onere
formale della prova. Analizziamoli.

Onere sostanziale della prova Onere formale della prova


Sancito ex articolo… 2697 c.p.p.: chi vuole far valere un 190.1 c.p.p.: le prove sono
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diritto in giudizio deve provare i ammesse a richiesta di parte.
fatti a suo fondamento, dove per Sancisce quindi il principio
provare si intende convincere il dispositivo, derogabile ove sia la
giudice dell’esistenza del fatto legge stessa a prevederne dei casi
storico affermato dalla parte in cui è il giudice a doverlo fare
stessa. Quindi… d’ufficio come ad esempio l’art.
70.1 e 195.2. Quindi…
Volendolo definire… è il dovere di convincere il giudice è il dovere che le parti hanno di
dell’esistenza del fatto affermato chiedere al giudice di ammettere il
dalla parte. Quindi… mezzo di prova. Quindi…
È soddisfatto quando… il giudice ritiene esistente il fatto. il giudice ammette il mezzo di
Pertanto… prova. Pertanto…
Individua… la parte sulla quale cade lo la parte sulla quale cade lo
svantaggio di non aver convinto il svantaggio di non aver convinto il
giudice dell’esistenza del fatto giudice della mancata ammissione
affermato. del mezzo di prova.

Il fatto che sia stato soddisfatto l’onere formale, non comporta che ciò sia avvenuto anche a livello sostanziale:
quest’ultimo sarà effettivamente soddisfatto dalla parte soltanto dopo che quest’ultima abbia convinto il giudice
dell’esistenza del fatto storico da essa affermato, difatti giuridicamente un fatto non provato equivale ad uno
inesistente. Qualora l’onere formale non sia rispettato ciò non comporterà l’inevitabile rigetto della domanda,
anche se ciò è comunque altamente probabile, poiché un‘altra parte potrebbe chiedere l’ammissione di quel
dato mezzo di prova… ed il giudice a prescindere da ciò sarà comunque tenuto, in virtù del principio
dell’acquisizione della prova, a valutare l’idoneità a dimostrare l’esistenza del fatto oggetto di prova. Per
completezza, ricordiamo che qualora invece sarà l’onere sostanziale a non essere rispettato, il giudice opterà
sicuramente per un rigetto [Tonini afferma che trattandosi di un onere sostanziale, se la parte, pubblica o privata
che sia, non lo osserverà si troverà in una situazione di svantaggio, considerato che il giudice opterà per un
rigetto… ovviamente qualora invece la parte soddisferà l’onere e quindi provvederà a fornire delle prove la sua
richiesta verrà accolta]. I poteri esercitabili dal giudice d’ufficio costituiscono una eccezione al potere dispositivo
delle parti sulla prova, quindi toccano l’onere della prova in senso formale, mentre non incidono sull’onere
sostanziale. Non ci resta che vedere brevemente il fatto notorio e il fatto pacifico, essendo essi entrambi
attinenti all’onere della prova.

Fatto notorio Fatto pacifico


È un fatto di pubblica conoscenza in un dato territorio È un fatto di conoscenza non pubblica, affermato da
che, in quanto tale, rientra anche nelle conoscenze una parte ed ammesso esplicitamente o
del giudice senza che le parti chiedano l’ammissione implicitamente dalla controparte. Anch’esso non ha
di un mezzo di prova. Occorre ovviamente che il fatto bisogno di essere provato ed il giudice può utilizzarlo
sia indubitabile e incontestabile. direttamente come elemento di prova per la sua
decisione.

Le prove hanno quindi sostanzialmente il compito di convincere il giudice che il dato fatto storico esposto dalla
parte sia realmente esistito: in relazione a ciò, bisogna capire però quale sia lo standard probatorio o meglio il
quantum di prova necessario affinché il giudice si convinca. Sicuramente in ambito processuale penale non può
valere lo stesso discorso che si fa in quello civile, in virtù del quale lo standard probatorio viene individuato con
la regola, o meglio criterio, del “più probabile che no” e quindi sostanzialmente in relazione al fatto che una
ricostruzione appaia più probabile rispetto ad altre: stavolta, come è stato tra l’altro espressamente codificato
nel 2006 a favore dell’orientamento giurisdizionale prevalente modificando l’art. 533.1 c.p.p. relativo alla
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sentenza di condanna, lo standard probatorio viene individuato con la regola, o meglio criterio, del “ragionevole
dubbio”… infatti colui che accusa ha l’onere di provare la reità dell’imputato in modo da eliminare ogni
ragionevole dubbio dove ragionevole = comprensibile da una persona razionale [non potrà trattarsi, pertanto, di
un dubbio meramente psicologico, possibile o congetturale, percepito soggettivamente dal giudice] e la prova
che lascerà residuare un ragionevole dubbio sarà equiparata ad una mancata prova. Nel processo penale, la
regola del ragionevole dubbio ha una doppia valenza: si tratta infatti allo stesso tempo di una regola probatoria
e di una regola di giudizio.

➢ Il ragionevole dubbio in quanto regola probatoria, disciplina nel quantum l’onere della prova a carico del
p.m. ex art. 533.1;
➢ Il ragionevole dubbio in quanto regola di giudizio, impone al giudice un determinato comportamento in
caso vi sia un ragionevole dubbio in merito alla reità dell’imputato ovvero quello di ritenerla non
provata e di assolverlo.

La particolarità del processo penale è che il dubbio va a favore dell’imputato anche quando questi ha l’onere
della prova, e cioè quando egli deve convincere il giudice dell’esistenza di un fatto favorevole: difatti, ex art.
530.3 se vi è la prova che il fatto è stato commesso in presenza di una causa di giustificazione o di una causa
personale di non punibilità oppure vi è dubbio sull’esistenza delle stesse, il giudice pronuncia sentenza di
assoluzione. Sebbene l’art. 530.3 non riporti l’aggettivo “ragionevole”, è pacifico che esso debba essere letto
congiuntamente all’art. 533.1 così come modificato nel 2006. Pertanto l’imputato avrà soddisfatto l’onere della
prova delle scriminanti se avrà fatto sorgere nel giudice un dubbio ragionevole sulla propria reità e ciò è
giustificabile perché nel processo penale non vi è una sostanziale equivalenza tra le posizioni soggettive
contrapposte: è soltanto l’imputato che può ricevere dalla decisione un pregiudizio nel suo diritto più
importante, quello della libertà personale. Inoltre l’imputato, se pure ha l’onere di provare i fatti a sé favorevoli,
tuttavia non ha quei poteri coercitivi di ricerca delle fonti di prova al massimo potrebbe dichiarare l’esistenza di
un fatto estintivo, per poi lasciare spazio alle autorità competenti per le indagini [p.m. e polizia giudiziaria] che
invece le hanno nel nostro sistema in modo che non si formi un convincimento favorevole all’imputato… egli ha
tuttavia l’onere di indicare con sufficiente precisione i fatti e di introdurre almeno un principio di prova, se
invece si limita a indicare in modo impreciso fatti che soltanto lui poteva conoscere, impedendo all’accusa di
condurre le indagini per accertarli, allora non adempie al suo onere della prova, seppur minimo, perché non fa
sorgere un dubbio ragionevole.

Per quanto riguarda l’ambito di applicabilità delle norme sulla prova, bisogna effettivamente capire se esse siano
estendibili o meno a tutte le singole fasi del procedimento penale: come sappiamo, esse sono caratterizzanti del
dibattimento e dell’incidente probatorio, tutto sta a capire se possano essere estese anche alla fase delle
indagini preliminari e dell’udienza preliminare. Tonini ritiene che, essendo la regolamentazione delle prove
collocata al libro III e facendo quest’ultimo parte della sezione “statica” del codice di procedura penale in cui
viene sostanzialmente enunciata una disciplina generale, concernente quindi aspetti comuni all’intero
procedimento, sia possibile estendere la l’applicabilità delle norme generali sulla prova a tutte le singole fasi del
procedimento a meno che non vi sia una espressa o tacita incompatibilità tra le stesse e un singolo atto da
compiere in una data fase.

Diamo un veloce sguardo a tre fondamentali principi cardine nel processo penale in tema di prove: il principio di
oralità, il principio di immediatezza e il principio del contraddittorio.

• Il principio di oralità, impone che il dibattimento sia svolto con la comunicazione del pensiero mediante
la pronuncia di parole destinate ad essere udite: parleremo di oralità in senso pieno, soltanto quando
coloro che ascoltano possono porre domande ed ottenere risposte a viva voce dal dichiarante… infatti
non potendo essere consentito ciò all’imputato che ascolta, qualora un documento scritto venga letto

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oppure una registrazione riprodotta, si parlerà di c.d. oralità fittizia e non verrà rispettato il suo diritto
ad avere un confronto con il dichiarante.
• Il principio di immediatezza è attuato quando vi è un rapporto privo di intermediazioni tra l’assunzione
della prova e la decisione finale sull’imputazione: così facendo si vuole non solo che il giudice prenda
direttamente contatto con la fonte di prova, ma anche che sia lo stesso giudice che ha assunto la prova
a decidere, al fine di permettere una valutazione di prima mano sulla credibilità e sull’attendibilità del
dichiarante.
• Il principio del contraddittorio in senso forte esige la partecipazione delle parti alla formazione della
prova: esse come sappiamo si formano in modo dialettico e quindi l’oralità, permettendo il massimo
della dialettica processuale, può dirsi funzionale al contraddittorio. Come deducibile ex art. 111.4
[letteralmente, “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della
prova”], il metodo dialettico è inteso come miglior forma per accertare la verità e pertanto il giudice di
regola deve decidere soltanto con prove che siano state raccolte in contraddittorio tra le parti. Vi
possono essere situazioni nelle quali è attuato il contraddittorio, ma non l'immediatezza e ciò accade ad
esempio quando durante le indagini preliminari si svolge l'incidente probatorio: in tal caso il
contraddittorio è assicurato, in quanto l’interrogatorio avviene mediante esame incrociato ad opera del
Pubblico Ministero e del difensore dell'indagato… tuttavia se le dichiarazioni verbalizzate sono lette nel
successivo dibattimento il principio dell'immediatezza non è rispettato. Come deducibile anche da
questo caso, non sempre, nella realtà, è possibile attuare in modo assoluto i tre principi menzionati (essi
alla fine sono meramente strumentali a ricercare quello che è il corretto risultato nel rispetto delle
garanzie fondamentali, è impossibile che grazie ad essi però si giunga ad una verità assoluta), ed è per
questo che sono state previste alcune eccezioni: basti pensare ad esempio all’art. 111.5, in cui si afferma
che il principio del contraddittorio in tema di formazione delle prove è eccezionalmente derogabile in
alcuni tassativi casi previsti dalla legge o per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di
natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita.

Il giudice quando accerta se vi è corrispondenza tra fatto storico e norma di legge a volte è tenuto a risolvere
questioni civili o amministrative pregiudiziali a quella di natura penale in esame: in questi casi il codice penale di
regola afferma che il giudice penale ha il potere di risolvere ogni questione da cui dipende la decisione sia
sull'esistenza del reato sia sulla applicazione di una norma processuale, vanno fatte però delle precisazioni...
quando la questione pregiudiziale ha per oggetto una controversia sullo stato di famiglia di cittadinanza allora il
giudice è vincolato ai limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, quando invece la questione pregiudiziale ha un
qualsiasi altro oggetto il giudice penale non ha alcun vincolo e quindi può tranquillamente applicare soltanto le
regole probatorie del processo penale e ciò perché quest'ultimo tende ad ottenere risultati aderenti alla verità e
quindi non è tenuto in alcun modo ad accettare quello che è il rapporto giuridico sottostante ad essa.

Tonini, dopo aver attentamente analizzato il procedimento probatorio, procede approfondendo la figura del
giudice assieme a quella dello storico e a quella dello scienziato, perché gli studiosi, senza che si giunga ad una
soluzione definitiva e univoca, si dividono in merito al ritenere a quale delle ultime due assomigli il primo nel
decidere. Ad un approccio disincantato, il giudice sembrerebbe svolgere un ragionamento diverso da quello fatto
dallo storico e dallo scienziato considerato che si serve essenzialmente di norme processuali per scandire i
momenti della sua decisione: Tonini afferma infatti al massimo che quello dello storico e quello dello scienziato
sono due diversi metodi di accertamento posti a disposizione del giudice.

Lo storico Lo scienziato
È… Colui che ricostruisce come si è Colui che esamina un fatto
svolto un fatto non ripetibile, ripetibile, passibile quindi essere
avvenuto nel passato e che ha osservato nuovamente con la
cessato di esistere tale da poter finalità di ricavare le leggi della
essere conosciuto soltanto natura o c.d. scientifiche che ne
attraverso le tracce che ha lasciato regolano lo svolgimento: egli
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nel mondo reale o nella memoria individua una categoria di fatti,
degli uomini. Lo strumento di cui si studia i rapporti che intercorrono tra
serve sono quindi le prove, loro e ricava quindi le leggi valide
rappresentative o indiziarie che fino a quando non si dimostreranno
siano. Ergo… errate. Ergo…
È diverso dal giudice perché… 1. In primo luogo la sua in questo caso è diverso proprio
attività è libera, non l’oggetto della conoscenza: lo
vincolata ad alcuna regola scienziato esamina un fatto della
legale. natura ripetibile, mentre il giudice
2. Inoltre accerta i fatti che a esamina un fatto umano passato e
lui sembrano utili per non ripetibile. Inoltre i fenomeni
ricostruire un macro fisici o chimici obbediscono a leggi
evento servendosi dei della natura che sono uniformi,
criteri più vari, non un mentre il singolo comportamento
fatto singolo al fine di umano è libero e non determinato
valutare la responsabilità da leggi.
penale di una persona in Infine mentre lo scienziato può
relazione ad una dichiarare che un problema al
imputazione, ricorrendo momento non è risolvibile con dati
all’unico criterio di controllabili e misurabili, il giudice
valutazione previsto dalla non può non decidere al termine di
legge come per il giudice. un processo.
3. Ancora, il metodo di Ad oggi nel processo penale dell’era
ricerca delle prove è libero tecnologica, il giudice si trova spesso
[può utilizzarne anche di dinnanzi sia al metodo scientifico
rubati o illecite], non [quando va applicata una legge
essendo essi fissati dalla scientifica ad un fatto provato] che a
legge come per il giudice. quello storico [quando il fenomeno
4. Ancora, la sua attività non è avvenuto nel passato formulando
ha limiti di tempo, non un’ipotesi che poi viene applicata a
deve garantire la fatti avvenuti in passato ricercando
ragionevole durata del conferme o smentite] ed è tenuto
processo penale come il ad accoglierli nei limiti imposti dalla
giudice. legge.
La scienza e il diritto penale si dividono due mondi diversi, ma coesistenti: quello dell’essere, regolato dalle leggi
scientifiche, e quello del dover essere, composto dai doveri legali e cioè le leggi penali.

Le leggi scientifiche Le leggi penali


Cosa sono? sono regole che si ricavano sono regole di produzione dei fatti,
dall’accadere dei fatti, lo scienziato perché tendono a imprimere agli
si limita a conoscerle come esistenti accadimenti una direzione che essi
in natura. da soli non prenderebbero senza che
fosse imposta una sanzione giuridica.
Qual è il loro fondamento? è una relazione tra fatti della natura, sta nei valori sui quali si basa la
sono vere o false. società civile, i comportamenti che
esse distinguono sono leciti o illeciti.

Tutto ciò si riflette nei rapporti tra giudice e scienziato: quest'ultimo può riferire al giudice soltanto qual è a suo
avviso la probabilità statistica generale tra causa e effetto con cui non si andrà però a indicare la causa di eventi
singoli, perché questi sono indistinguibili all'interno di un campione statistico… e spetterà quindi al giudice
valutare la probabilità logica di un singolo accadimento e se la persona che ha posto in essere quel determinato
fatto è rimproverabile penalmente: non è infatti sufficiente provare la causalità generale, o statistica, ma occorre
anche provare la causalità individuale. È chiaro quindi che il giudice non può delegare allo scienziato il tema
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dell’accertamento del fatto e della responsabilità penale, ma al tempo stesso deve esporre in motivazione
perché ritiene attendibile la prova sulla quale fonda la sua decisione e non attendibili le prove contrarie: per far
questo egli deve utilizzare le leggi scientifiche e le regole della logica e dell’esperienza comune.

Analizziamo velocemente l’evoluzione del concetto di scienza:

• In base all’ideologia positivista era illimitata [avendo ogni singola legge scientifica un valore generale e
assoluto], completa [essendo la legge scientifica idonea a spiegare interamente l’andamento di un
fenomeno] e infallibile [perché era unica e non poteva sbagliare se mai potevano sbagliare gli scienziati].
• In base all’ideologia post-positivista era limitata [di un singolo fenomeno possono essere colti solo
alcuni aspetti tali da essere rappresentati mediante una legge scientifica], incompleta [la legge va
aggiornata e modificata di volta in volta in modo che possa rappresentare i nuovi aspetti individuati di
volta in volta] e fallibile [la legge ha un tasso di errore ed esso va ricercato].
• Volendo dare una definizione di scienza accettabile ai fini della sua applicazione nel processo penale si
potrebbe definirla come quel qualcosa che ha ad oggetto i fatti della natura, ordinata secondo un
insieme di regole generali delle scientifiche collegate sistematicamente tra loro in modo da costituire
un sistema di principi tendenzialmente unitario e tale da accogliere un metodo controllabile dagli
studiosi nella formulazione delle regole, nella verifica e nella smentibilità delle stesse di natura empirica,
in cui quindi riproducendo fenomeni naturali e misurando i loro effetti la legge indica le relazioni
quantitative che legano una causa ad un effetto. Attualmente si è però consapevoli che da un numero
finito di esperimenti non si possono ricavare regole assolute, lo scienziato quindi usa l'induzione, ma sa
che non è risolutiva e che quindi sulla base delle esperienze si possono formulare soltanto delle
congetture che poi devono essere controllate, verificate: esiste un’asimmetria tra verificabilità e
falsificabilità, nonostante infatti vi siano continue conferme una teoria non sarà mai certa mentre la sola
smentita basta falsificarla. Tonini parla infatti del falsificazionismo, sostanzialmente ciò che si verifica
quando non verificandosi le conseguenze che si credeva sarebbero verificate in relazione ad un dato
fenomeno, viene provato che una regola comunemente accettata non sia valida per spiegarne
l’esistenza. La scienza ha quindi un carattere provvisorio, progredisce attraverso l’avvicendarsi di teorie
ritenute migliori di altre preceduti da periodi di scienza normale in cui si ritiene che alcune di esse siano
valide: il fatto che la scienza non sia assoluta, non significa che non esista la verità… si tratta infatti di
due cose diverse, ma strettamente legate per il semplice motivo che, ad oggi, la scienza, ovviamente
nella sua concezione non assoluta, sia uno strumento preziosissimo per il processo penale con cui può
essere accertata la verità almeno in un’ottica attuale considerato che nel futuro potrebbero esserci delle
smentite.

In ultima battuta, va analizzato l’acceso dibattito che concerne la prova del rapporto di casualità tra condotta ed
evento. Come sappiamo, il nesso di causalità è sancito dall’art. 40.1 del codice penale [il quale letteralmente
recita “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l'evento dannoso o
pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione”] ed è
sostanzialmente il legame intercorrente tra la condotta dell’agente e l’evento dannoso verificatosi che il giudice
è tenuto ad accertare… l’accertamento della sussistenza di tale nesso non è però sempre facile: in alcuni casi
esso sembra non necessita di alcuna prova, in altri invece ciò è necessario. Su come tale accertamento debba
svolgersi, diverse sono state le teorie, ad oggi però, quasi all’unanimità, si ritiene che quella da sposare sia la
teoria della condicio sine qua non in virtù del quale una condotta è causa di un evento, se eliminandola
mentalmente quest’ultimo non si verifichi: il problema è che non sempre il metodo dell’eliminazione mentale
appare risolutivo, perché la teoria della condicio sine qua non per poter funzionare correttamente richiede che si
conosca la legge scientifica in base alla quale una determinata condotta provoca un determinato evento. Difatti,
col passare del tempo e l’avanzare del progresso tecnologico che ha portato anche il nascere di nuovi reati è
stato inevitabile che si intervenisse con un correttivo tale da poter permettere di servirsi della teoria facendola
funzionare a pieno: prima sostanzialmente si applicava una legge scientifica, ma ciò avveniva talmente in

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maniera automatica che non ci si faceva caso, adesso invece aggiungendo il correttivo della c.d. sussunzione di
leggi scientifiche di copertura il giudice deve provare il nesso di causalità dal punto di vista concreto sulla base di
una legge e non più di una mera intuizione. Così facendo però, non tutti i problemi sono stati risolti: a furia di
fare riferimento alle leggi si è finito per sottrarre al giudice qualsiasi margine di valutazione che inevitabilmente
si sentiva vincolato ai risultati della perizia degli esperti. Inoltre un secondo problema era dettato dal fatto che le
leggi sulla base del quale il giudice avrebbe dovuto valutare la presenza del nesso di causalità offerte dalla
scienza non erano solo universali, ma perlopiù probabilistiche: così facendo si rischiava nella maggior parte dei
casi di condannare degli innocenti, cosa che ovviamente non poteva essere in alcun modo permessa… per
questo si è giunti alla sentenza Franzese pronunciata a SS.UU. dalla Cassazione in cui si è affermato che è
possibile condannare soltanto se, effettuato un giudizio in concreto, alla luce di tutte le risultanze processuali e
delle peculiarità del singolo caso, l’esistenza del fatto e della responsabilità dell’autore risultano provate oltre
ogni ragionevole dubbio, pertanto sarà sempre necessario un giudizio di alta probabilità logica. Ergo, il giudice
deve ritenere provato oltre ogni ragionevole dubbio che nel singolo caso concreto sottoposto alla sua attenzione
esiste un rapporto di causalità tra condotta ed evento… non si parlerà più di una probabilità statistica, ma logica:
la probabilità logica può essere ricostruita essenzialmente come la possibilità di inquadrare, alla luce delle
risultanze processuali [e quindi delle prove per esclusione], il caso nell'area di funzionamento della legge di
copertura o nel campo di validità della massima di esperienza. Con questa sentenza, si ebbe una vera e propria
rivoluzione copernicana: il giudice da questo momento ha praticamente potuto ritenere inesistente il nesso
causale nonostante la legge scientifica applicabile esprima una probabilità vicina alla certezza. Tra l’altro va
ricordato che con questa sentenza è stato prospettato il c.d. modello bifasico di accertamento della causalità: in
una prima fase, si cerca tra le diverse leggi scientifiche quella applicabile al caso concreto ricorrendo anche alla
falsificazione… poi identificata quella che spiega il fenomeno, il giudice non deve accertare l’esistenza del
rapporto di causalità in base alla percentuale di validità statistica della legge in astratto, ma procedere in
concreto… in modo da capire se quel fenomeno verificatosi può essere concretamente spiegato da quella legge,
nella seconda fase dell’accertamento del nesso di causalità ricorrendo anche in questo caso alla falsificazione per
verificare se abbiano operato fattori causali alternativi. La soluzione posta da questa rivoluzionaria sentenza, pur
osteggiata da altri tradizionali orientamenti, è comunque quasi all’unanimità accolta e consente quindi di
affrontare con strumenti migliori le sempre nuove sfide che pone la scienza.

P2, C4 – I mezzi di Prova

I mezzi di prova sono quegli strumenti che permettono di acquisire un elemento di prova. Non prevedendo il
codice di procedura penale alcuna tassatività, possiamo averne sia di tipici che di atipici a seconda che siano o
meno regolamentanti per legge nelle loro modalità di assunzione.

➢ I mezzi tipici di prova, regolamentati quindi per legge, sono 7 e vengono espressamente indicati dal
codice e sono: la testimonianza, l’esame delle parti, i confronti, le ricognizioni, gli esperimenti giudiziali,
la perizia affiancata dalla consulenza di parte e i documenti. Li vedremo a breve nel dettaglio.
➢ I mezzi atipici di prova, non regolamentati dalla legge, vengono di volta in volta prescritti dal giudice il
quale, sentite le parti che ne hanno fatto richiesta di assunzione indicandone appunto le modalità, è
tenuto a fare una valutazione al termine del quale mediante ordinanza impugnabile decide se rigettarla
o meno: il giudice accoglierà la richiesta di assunzione del mezzo di prova atipico solo qualora siano
rispettati i due requisiti indicati ex art. 189 dell’idoneità ad assicurare l’accertamento dei fatti e tale da
non pregiudicare la libertà morale della persona.

Il sistema così come appena delineato è conforme al c.d. principio di legalità della prova, in base al quale
quest’ultima è uno strumento di conoscenza disciplinato dalla legge: sono sì previsti degli strumenti tipici, ma
allo stesso tempo è sempre la legge stessa ad ammettere che siano previste delle valvole di sicurezza a patto che
ciò sia fatto nel rispetto di quanto da essa dettato. Ad oggi è infatti comunemente accettato che questi
strumenti non siano un mezzo per aggirare la legge, ma per integrare il sistema probatorio e ciò è ulteriormente
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appurato dal principio di non sostituibilità da esso stesso deducibile in virtù del quale è palesemente vietato
l’aggiramento di quelle forme probatorie poste a garanzia dei diritti dell’imputato o dell’attendibilità
dell’accertamento. Va precisato che in base al principio di non sostituibilità delle caratteristiche essenziali di una
prova già regolate dalla legge, possono essere ammesse prove atipiche se all'interno di un mezzo tipico sono
inserite componenti atipiche che non eludono elementi legali del mezzo tipico ed inoltre non possono essere
ammesse prove atipiche se vengono inseriti all'interno di un mezzo tipico componenti atipiche le quali
contrastino con elementi legali del mezzo tipico.

Si discute se sia o meno possibile parlare di mezzi di ricerca della prova atipici:

➢ secondo un orientamento minoritario ciò non sarebbe possibile, perché quest'ultimi, essendo posti in
essere prevalentemente durante le indagini preliminari senza previo contraddittorio con la difesa,
renderebbero impossibile l'attuazione dell'articolo 189 dal momento in cui questi impone che il giudice
senta le parti sulle modalità di assunzione della prova prima di decidere con ordinanza sulla richiesta di
ammissione;
➢ secondo un orientamento maggioritario invece ciò sarebbe possibile, infatti anche le SS.UU. della
Cassazione hanno fermato che possano configurarsi mezzi di ricerca della prova atipici… a tal fine però
occorre dare un interpretazione adeguatrice dell'articolo 189, alla luce di quale qualora si tratti di mezzi
di ricerca della prova atipici bisognerà configurare un contraddittorio successivo sull’utilizzabilità degli
elementi acquisiti e quindi non uno anticipato sulla loro ammissione nel corso delle indagini.

Come già accennato, procediamo analizzando i singoli mezzi di prova tipici partendo dalla testimonianza.
Preliminarmente Tonini fa una distinzione tra testimonianza e esame delle parti, un altro mezzo di prova tipico:
mentre il testimone ha l’obbligo penalmente sanzionato di presentarsi al giudice e di dire la verità, invece
l’imputato, quando si offre all’esame incrociato, non ha nessuno di questi due obblighi… non a caso quindi vi è
incompatibilità tra la qualità di testimone e quella di imputato. Viene quindi da chiedersi come si possa
assumere la qualità di testimone: essa può essere assunta dall’individuo che ha conoscenza dei fatti oggetto di
prova, a patto che, come vedremo, al tempo stesso non rivesta una delle qualifiche tali da renderla
incompatibile a testimoniare, una volta che egli stesso sia stato chiamato d’ufficio o su richiesta di parte a
deporre davanti ad un giudice nel procedimento penale. Il testimone, come già abbiamo detto, ha l’obbligo di
presentarsi al giudice ex art. 198 e di dire la verità nel rispondere alle domande che gli sono poste, ma inoltre è
tenuto anche ad attenersi alle prescrizioni date dal giudice per le esigenze processuali: si tratta ovviamente di
obblighi penalmente sanzionati qualora non rispettati… dal momento in cui infatti il testimone non si presenti
senza un legittimo impedimento il giudice potrà non solo disporne l’accompagnamento coattivo mediante
polizia giudiziaria presso l’organo competente, ma anche comminargli una pena pecuniaria nonché al
pagamento delle pene processuali per sopperire ai danni causati dal suo comportamento… mentre dal momento
in cui taccia ciò che sa, affermi il falso o neghi il vero commetterà il delitto di falsa testimonianza.

In virtù dell’art. 188 e 64 c.p.p. è fatto esplicito divieto di utilizzare, neppure con il consenso del testimone,
metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di
valutare i fatti: tra questi metodi possiamo ad esempio ricordare la tortura, la narcoanalisi, la macchina della
verità e l’ipnosi che sono quindi severamente vietati. Questo divieto probatorio vale nei confronti della persona
quando essa viene in rilievo come fonte di prova dichiarativa, quindi quando essa riveste interesse probatorio
per quanto dice… difatti qualora questi non collaborasse fornendo quanto che si cerca, ciò non esisterebbe a
prescindere: con riferimento all’imputato, questi deve essere moralmente libero di scegliere se e come
contenutisticamente rendere la dichiarazione stesso discorso per quanto riguarda invece gli altri soggetti da esso
diversi e quindi vengono alla luce tutta una serie di fondamentali principi costituzionali. Questo divieto
probatorio vale nei confronti della persona anche quando essa viene in rilievo come fonte di prova reale, quindi
qualora invece la persona rivesta interesse probatorio non per ciò che dice, ma per ciò che è, vengono stavolta in
questione gli atti di indagine, i mezzi di prova e di ricerca della prova che mirano ad ottenere elementi diversi
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dalle dichiarazioni che già esistono in natura a prescindere dalle attività di indagine: gli elementi vengono
raccolti mediante perquisizioni sequestri identificazioni perizie consulenze tecniche, il tutto ovviamente va fatto
tutela della libertà personale dei soggetti che come sappiamo può essere però limitata per legge nei casi e modi
previsti.

Il soggetto quando pone in essere la testimonianza, sta facendo quella che comunemente è nota come
deposizione, che viene posta in dibattimento con le forme dell’esame incrociato ex art. 498 e 499. Importante da
ricordare è l’art. 194.1/3 c.p.p.: il teste è esaminato sui fatti che costituiscono oggetto di prova mediante
domande che devono necessariamente essere pertinenti (= devono riguardare sia i fatti che riferiscono
all’imputazione, sia i fatti dai quali dipende l’applicazione di norme processuali come l’accertamento
dell’attendibilità di una dichiarazione) ed avere ad oggetto fatti determinati (= infatti il testimone, di regola, non
può esprimere valutazioni né apprezzamenti personali a meno che non sia possibile scinderli dalla deposizione
dei fatti ed infine non può deporre su “voci correnti nel pubblico”). Va inoltre ricordato che ex art. 194.2 l'esame
può estendersi anche ai rapporti di parentela e di interesse che intercorrono tra il testimone e le parti o altri
testimoni, nonché alle circostanze il cui accertamento è necessario per valutarne la credibilità. Altri limiti
riguardano le informazioni relative alla personalità dell’imputato e della persona offesa: ex art. 194.1 le
deposizioni sulla moralità dell’imputato sono ammesse ai soli fini di qualificare la personalità dello stesso in
relazione al reato e alla pericolosità; le domande che riguardano la persona offesa dal reato incontrano due
limiti, che devono compensare esigenze opposte e quindi da un lato tutelare la dignità dell’offeso e dall’altro
consentire l’esercizio del diritto alla prova spettante alle parti; la deposizione sui fatti che servono a definire la
personalità della persona offesa è ammessa soltanto quando il fatto dell’imputato deve essere valutato in
relazione al comportamento di quella persona; le domande aventi ad oggetto la vita privata o la sessualità della
persona offesa dal reato sono di regola vietate sono consentite se sono necessarie alla ricostruzione del fatto.

Continuando nella nostra analisi in tema di testimonianza, non possiamo non accennare alla testimonianza
indiretta. Prima di andare nel cuore della tematica, dobbiamo fare una preliminare precisazione funzionale alla
comprensione della stessa: il testimone può avere una conoscenza diretta o indiretta dei fatti da provare, a
seconda che egli ne abbia avuto una personale percezione mediante i 5 sensi oppure li abbia appresi per conto
di una rappresentazione altrui avutasi a voce per iscritto o con altri mezzi quali immagini o gesti. Possiamo
quindi parlare di testimonianza indiretta quando il fatto da provare non è stato personalmente percepito dal
testimone narrante, al quale è stato meramente riportato da altre fonti e per questo il fatto da provare nella
terminologia anglosassone è noto come conosciuto “hearsay”, per sentito dire: infatti, come sancito ex art.
195.1 c.p.p., nei casi di testimonianza indiretta il teste si riferisce per la conoscenza dei fatti ad altre persone…
dove per altre persone si parla quindi del soggetto da cui si è sentito dire il fatto da provare, o meglio il c.d. teste
di riferimento diretto o indiretto il quale può a sua volta averlo percepito personalmente o per conto di altri,
caso quest’ultimo di valore probatorio davvero basso rispetto al primo che si verifica anche molto più
frequentemente. Per la testimonianza indiretta, differentemente dal caso in cui il soggetto abbia avuto una
percezione personale del caso da provare, non va provata solo l’attendibilità di quanto detto e la credibilità del
testimone diretto, ma, oltre a questa, anche quella del testimone indiretto per questo il codice prevede due
condizioni di utilizzabilità delle testimonianze indirette ex art. 195 c.p.p. che dovranno quindi affinché esse siano
utilizzabili:

1. ln primo luogo ex art. 195.7 il testimone indiretto deve INDICARE FISICAMENTE la persona o la fonte da
cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame, a pena di inutilizzabilità della testimonianza
indiretta. Tonini sottolinea che indicare ≠ individuare, essendo il primo termine più preciso del secondo.
2. In secondo luogo ex art. 195.1 quando una delle parti chiede di sentire nel processo il teste diretto, il
giudice è obbligato a disporne la citazione, a pena di inutilizzabilità della testimonianza indiretta. Se
viceversa nessuna delle parti ha chiesto la citazione, la testimonianza indiretta è utilizzabile anche senza
che si faccia luogo all'esame del teste diretto. Va ricordato inoltre che in via eccezionale la

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testimonianza indiretta è utilizzabile quando l’esame del testimone diretto risulti impossibile per morte,
infermità o irreperibilità… in questi casi verrà però valutata con particolare cura dal giudice, magari
ricercando eventuali riscontri con altri elementi di prova, rendendo la mancata deposizione del teste
diretto più difficile il controllo sulla attendibilità di quanto si è appreso per “sentito dire”. Inoltre il
codice permette al giudice di disporre la citazione d’ufficio del testimone diretto se essa non è stata
richiesta da alcuna parte, non si tratta ad ogni modo di un obbligo quindi la valutazione può essere fatta
a prescindere da ciò.

Sostanzialmente il giudice deve valutare la credibilità e l’attendibilità di ciascuna delle dichiarazioni in base agli
esiti dell’esame incrociato del singolo dichiarante e del riscontro operabile con gli altri risultati probatori già
acquisiti.

Sempre in ambito di testimonianza indiretta, va ricordato l’esplicito divieto ex art. 62 di farla sulle dichiarazioni
dell’imputato o dell’indagato rese in un atto del procedimento: questo perché la prova delle dichiarazioni rese
dall’imputato e dall’indagato deve ricavarsi unicamente dal verbale dal quale risulta che egli sia stato avvisato
del fatto di avere la facoltà di non rispondere, il quale deve essere redatto e utilizzato con le forme ed entro i
limiti previsti per le varie fasi del procedimento, altrimenti non assumeranno alcun rilievo… è chiaro quindi che
tale divieto è stato introdotto per evitare che fossero surrettiziamente introdotti nel processo elementi non
risultanti dalla documentazione formale dell’atto. Per quanto concerne l’ambito di tale divieto dobbiamo ancora
una volta fare riferimento all’art. 62, per capire a chi e a cosa esso si riferisca, nei confronti di chi operi e cosa
riguardi: esso, avendo natura oggettiva, si riferisce pertanto a chiunque riceva le dichiarazione sia esso un
qualsiasi testimone o la polizia giudiziaria; per quanto concerne invece cosa a cui si riferisce, si fa ovviamente
riferimento ad una dichiarazione, ma non una qualsiasi ovviamente, una c.d. in senso stretto che abbia ad
oggetto contenuto narrativo sia che costituiscano espressioni di volontà o meri comportamenti; ancora, per
quanto concerne invece rispetto a chi tale divieto opera, anche stavolta facciamo riferimento a delle
dichiarazioni, più precisamente quelle rese nel corso del procedimento da intendersi come “in occasione di un
atto tipico”; infine, per quanto concerne invece cosa il divieto riguarda, anche stavolta facciamo riferimento a
delle dichiarazioni, più precisamente a quelle che abbiano valenza di prove. Per quanto concerne ancora
l’ambito del divieto di testimonianza indiretta dobbiamo fare un focus sulla figura della polizia giudiziaria: in base
all’art. 195.4 è infatti previsto che quest’ultima non possa in alcun modo deporre sulle sommarie informazioni
assunte da testimoni o imputato connessi nel corso delle indagini, sia sul contenuto di denunce, querele e
istanze presentate oralmente, sia ancora sulle dichiarazioni spontanee o su delega del p.m. rese dall’indagato,
questo in ossequio al principio del contraddittorio secondo cui le dichiarazioni rese in segreto durante le indagini
non posso essere di regola utilizzate e quindi anche per evitare che si aggiri la regola dell’inutilizzabilità [se infatti
la polizia avesse posto in essere una testimonianza indiretta, quest’ultima avrebbe potuto veicolare in
dibattimento e rendere così utilizzabile una deposizione resa fuori del contraddittorio]… in forza di una
pronuncia della Corte Costituzionale, anche qualora non siano stati verbalizzati i suddetti atti il divieto opera
comunque a meno che non si siano verificate delle situazioni di eccezionalità ed urgenza tali da rendere
impossibile l’adempimento in cui la testimonianza indiretta è ugualmente ammessa. Ciò non toglie però che la
polizia giudiziaria possa porre in essere testimonianze indirette…è infatti espressamente previsto ex art. 195.4
che possa deporre fuori dalle ipotesi espressamente previste, cioè: quando sia chiamata a riferire su
dichiarazioni che abbia acquisito fuori dall’esercizio delle proprie funzioni nel procedimento penale; o quando sia
chiamata a riferire sulle dichiarazioni prive di contenuto narrativo che rilevano esclusivamente come fatti quali
ad esempio un grido; o quando sia chiamata a riferire sulle dichiarazioni che costituiscono corpo del reato come
ad esempio la calunnia; o quando sia chiamata a riferire sulle dichiarazioni rese da possibili testimoni percepite
nel corso di attività tipiche come identificazioni, ricognizioni formali, sequestri, o nel corso di attività atipiche
come appostamenti o pedinamenti.

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Abbiamo poc’anzi fatto riferimento a situazioni tali da rendere il soggetto incompatibile con la qualifica di
testimone: queste situazioni sono appunto dette di incompatibilità e sono dettate ex art. 197 c.p.p. appunto
dall’incompatibilità della qualifica di testimone con un determinato procedimento ed hanno natura eccezionale,
difatti non sono altro che casi da contrapporre a ciò che generalmente è previsto dal codice stesso all’art. 196
ovvero la c.d. capacità di testimoniare che è quindi tipica di ogni persona, tanto da poter essere infatti assunti
come testimoni anche l’infermo di mente e il minorenne... casi in cui però il giudice dovrà valutare con
particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l’attendibilità della dichiarazione, in modo da poter
verificare l’idoneità fisica o mentale del soggetto chiamato a deporre ordinando ex art. 196.2 gli opportuni
accertamenti con i mezzi consentiti dalla legge, come ad esempio una perizia o un esperimento giudiziale.
Volendo quindi propriamente definire l’incompatibilità a testimoniare, possiamo definirla come quella
condizione in cui si troverà una persona che, pur essendo capace di deporre, non potrà farlo legittimamente a
causa della posizione assunta in un procedimento o a causa dell’attività ivi esercitata. Tali situazioni di
incompatibilità a testimoniare, come desumibile dalle lettere a b c e d dell’art. 197, sono riconducibili a due
ordini di ragioni.

• Le prime tre lettere, vogliono escludere che determinate persone abbiano un obbligo penalmente
sanzionato di dire il vero ed infatti non è loro concesso di testimoniare, bensì gli si da la possibilità di
dare un contributo conoscitivo, privo appunto dell’obbligo di dire il vero, mediante un altro mezzo di
prova ovvero l’esame delle parti… Esse precisamente sono…
a) imputati concorrenti nel medesimo reato: tale incompatibilità opera a prescindere dalla riunione o
separazione dei procedimenti e cessa per il singolo imputato con l’irrevocabilità della sentenza che lo
riguarda. In questa ipotesi il legislatore reputa che l’imputato non corra rischi, perché non può essere
processato una seconda volta per il medesimo fatto storico di reato.
b) imputati in procedimenti legati da una connessione debole c.d. teleologica, ovvero quando i reati per
cui si procede sono stati commessi per eseguire o per occultare gli altri, oppure gli imputati in
procedimenti probatoriamente collegati. Tale incompatibilità presenta due eccezioni e quindi i soggetti
menzionati saranno compatibili e pertanto potranno deporre in qualità di testimoni, qualora: o in primo
luogo sia intervenuta nei loro confronti una sentenza irrevocabile, oppure in secondo luogo se nel corso
dell’interrogatorio rendano dichiarazioni su fatti altrui, e cioè concernenti la responsabilità di altri
imputati collegati o connessi teleologicamente… in questo caso però la compatibilità sarà solo parziale,
perché limitata ai fatti altrui oggetto delle precedenti dichiarazioni e pertanto su fatti diversi da
quest’ultimi l’incompatibilità con la qualifica di teste resta [di questa particolare possibilità gli imputati
devono essere avvertiti dagli inquirenti al momento dell’interrogatorio e in ogni caso la loro
testimonianza sarà particolare perché circondata da garanzie, prima tra tutte l’assistenza difensiva].
c) il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria: non potranno essere assunte
come testimoni nel medesimo processo in cui rivestono tale veste, ma potranno rendere dichiarazioni
su loro consenso o richiesta in qualità di parti e senza alcun obbligo di dire il vero.
• l’ultima lettera, la d esattamente, invece vuole escludere, non essendo psichicamente terze rispetto agli
atti compiuti, la possibilità di deporre a persone che abbiano svolto nel medesimo procedimento le
funzioni del giudice, del p.m. o loro ausiliario come ad esempio il cancelliere o il segretario, o altre
funzioni ritenute incompatibili con quelle di testimone come ad esempio il difensore che abbia svolto
attività di investigazione difensiva e coloro che hanno formato la documentazione dell’intervista,
incompatibilità che sarà però relativa solo a quanto effettivamente abbiano svolto o comunque
documentato.

Il testimone gode di un fondamentale privilegio, quello contro l’autoincriminazione: tale privilegio consente al
testimone di non ottemperare in via del tutto eccezionale a quello che il generale obbligo di rispondere secondo
verità alle domande nel corso dell’esame incrociato, qualora abbia accidentalmente formulato affermazioni con
cui si auto incolpasse di qualche reato. In questi casi infatti il testimone, qualora fosse stato obbligato a

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rispondere secondo verità, si sarebbe ingiustamente trovato davanti ad un bivio che in un modo o nell’altro
sarebbe sfociato in un processo contro di lui (o per il reato di cui si era involontariamente incolpato oppure per
falsa testimonianza) e per questo, in ossequio anche al principio costituzionale secondo cui non è possibile
incriminare se stessi, oggi il codice prevede tale privilegio ex art. 198.2. Alla luce di tale privilegio, il testimone ha
quindi il diritto di non rispondere a tutte le domande concernenti determinati fatti purché da questi possa
emergere una sua qualche responsabilità penale [la semplice responsabilità civile o amministrativa non
comportano infatti il privilegio] per un reato compiuto in passato, e quindi, allo stesso tempo, non potrà in alcun
modo anche essere costretto a deporre dal giudice in merito, a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese.
Chi interroga il teste non ha l’obbligo di informarlo che può non rispondere, né è tanto meno vietato alle parti
fargli domande autoincriminanti: non sempre esse sanno che la risposta porterebbe a incriminarlo, ma, in ogni
caso, il testimone è libero, se crede, di rispondere. Il teste durante l’esame incrociato, al momento in cui riceve
la domanda autoincriminante, qualora voglia avvalersi di tale privilegio dovrà però farlo presente ed ovviamente
giustificare la sua azione senza che venga obbligato a fornire troppi dettagli… il giudice valuterà poi le
giustificazioni adottate e, qualora le ritenga infondate, può rinnovare al testimone l’avvertimento che ha
l’obbligo di dire la verità. Se il testimone dà risposte autoincriminanti dobbiamo analizzare una precisa disciplina
fornita dal codice stesso ex art. 63: l’autorità procedente, e cioè in questo caso il giudice, deve per prima cosa
interrompere l’esame, poi deve avvertire il soggetto che, a seguito di tali dichiarazioni, potranno essere svolte
indagini nei suoi confronti ed infine deve invitarlo a nominare un difensore. Quanto al valore probatorio delle
precedenti dichiarazioni, il codice prevede una inutilizzabilità soggettivamente relativa: cioè possono essere
usate nel procedimento in cui sono rese ma non in quello che si aprirà nei confronti del dichiarante, in modo che
sia tutelato il privilegio contro l’autoincriminazione. Va infine ricordato quanto sancito ex art. 63.2, in virtù del
quale qualora vengano rese dichiarazioni da un testimone che avrebbe dovuto essere sentito come indagato o
imputato, dovendo essere questo avvertito della facoltà di non rispondere, il codice commina inutilizzabilità
assoluta delle dichiarazioni rese da tale soggetto tanto nei suoi confronti quanto in quelli altrui.

Tonini procede poi analizzando la figura del testimone prossimo congiunto dell’imputato, ovvero quei soggetti
familiari dell’imputato a cui è concesso di poter testimoniare solo a patto che siano loro stessi a volerlo… difatti il
codice prevede che i prossimi congiunti dell’imputato non possano in alcun modo essere obbligati a deporre
come testimoni, essendo ritenuto l’interesse alla giustizia da mettere in secondo piano rispetto ai sentimenti
familiari. Materialmente i prossimi congiunti sono gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, i fratelli, le sorelle, gli
affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti però gli affini non si considereranno qualora il coniuge sia morto e non ci
sia prole. Dal punto di vista della regolamentazione, andando più nel dettaglio, il codice impone che il testimone
prossimo congiunto dell’imputato sia avvisato dal giudice della facoltà di astenersi dal rendere la deposizione:
qualora l’avviso sia omesso, la dichiarazione resa è affetta da nullità relativa; mentre nel caso in cui il prossimo
congiunto decida di non astenersi e, quindi, deporre come testimone, egli andrà incontro all’obbligo di verità e
non potrà più rifiutarsi di rispondere alle singole domande. Va poi precisato che vi sono delle persone c.d.
assimilate ai prossimi congiunti, a cui quindi è estesa la facoltà di astensione senza limiti qualora si tratti di un
soggetto legato all’imputato da vincolo di adozione; oppure la facoltà di astensione sia estesa limitatamente ai
fatti verificatisi o appresi durante la convivenza qualora si tratti di un soggetto, pur non essendo coniuge
dell’imputato, come tale conviva o abbia convissuto con esso; il coniuge separato dell’imputato; la persona nei
cui confronti sia intervenuta sentenza di annullamento, scioglimento o cessazione degli effetti civili del
matrimonio o unione civile con l’imputato. I prossimi congiunti, e i loro equiparati, non possono astenersi e,
quindi, sono obbligati a deporre quando hanno presentato denuncia, querela o istanza oppure essi o un loro
prossimo congiunto siano offesi dal reato.

Prima che inizi l’esame incrociato, il giudice avverte il testimone dell’obbligo di dire la verità e delle conseguenze
penali che si verificheranno qualora non lo rispetti mentendo o essendo reticente, successivamente il testimone
stesso legge la formula con la quale si impegna a dire “tutta la verità” e a non nascondere nulla di quanto è a sua

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conoscenza per poi fornire su invito le sue generalità. Dopo tutto ciò, comincia l’esame incrociato: quando nel
suo corso appaia che il testimone violi l’obbligo di rispondere secondo verità il codice prescrive una precisa
disciplina, in virtù del quale ex art. 207 soltanto il giudice può rivolgergli l’ammonimento, quindi tale potere non
è previsto per le parti che possono però sollecitare quest’ultimo ad esercitarlo. Andando ad analizzare quella che
è la condotta posta in essere dal testimone nell’ambito della violazione dei suoi obblighi, egli può
sostanzialmente agire in due modi… o rifiutando di rispondere oppure rendendo dichiarazioni contraddittorie,
incomplete o contrastanti con le prova già acquisite. Analizziamoli singolarmente, in modo da capire cosa il
giudice è tenuto a fare in relazione al loro verificarsi.

• Qualora il testimone si rifiuti di rispondere, il giudice provvede ad avvertirlo sull’obbligo di deporre


secondo verità e qualora continui a rifiutarsi, disporrà l’immediata trasmissione degli atti al Pubblico
Ministero affinché proceda a norma di legge in modo che si possa dar inizio alle indagini preliminari e
quindi comprendere se effettivamente sussista falsa testimonianza nella forma della reticenza;
• Qualora il testimone renda dichiarazioni contraddittorie, incomplete o contrastanti con le prove già
acquisite, il giudice sarà tenuto a rinnovargli l’avvertimento dell’obbligo di dire il vero… qualora poi il
p.m. non chieda immediatamente la copia del verbale di udienza, al termine del dibattimento il giudice,
qualora ravvisi degli indizi del reato di falsa testimonianza, con la decisione che definisce la fase
processuale in cui il testimone ha prestato il suo ufficio, ne informa il Pubblico Ministero
trasmettendogli i relativi atti. In ogni caso è fatto divieto di arrestare in udienza il testimone per reati
concernenti il contenuto della deposizione, cioè per falsa o reticente testimonianza.

Il mezzo di prova tipico della testimonianza, va inevitabilmente a impattare con quanto sancito in tema di
segreto professionale: prima di andare a fondo nella tematica, va chiarito che il segreto è un qualcosa che non
può essere portato all’altrui conoscenza, solitamente assimilabile alla vita privata di un singolo soggetto avente
l’interesse a che ciò resti riservato. Tornando alla disciplina del codice di procedura penale, che va analizzata in
combinato disposto con quanto sancito dal codice penale ex art. 622, abbiamo due tipi di professionisti… quelli
comuni e quelli qualificati:

➢ i professionisti comuni sono quelli che, non avendo alcuna particolare qualifica, qualora rivestano la
qualifica di testimone avranno l’obbligo di deporre nel processo penale anche se, al di fuori di questo,
sono tenuti al segreto professionale, difatti quest’ultimi sono sì penalmente tenuti a non rivelare i fatti
segreti dei quali sono venuti a conoscenza per ragione della propria professione, arte, stato o ufficio
quando ciò possa nuocere al cliente, ma alla sola condizione che non vi sia una giusta causa, condizione
che è pienamente rispettata qualora vi sia un processo in corso ed egli sia stato chiamato a
testimoniare;
➢ i professionisti qualificati, viceversa, sono quelli che, ex art. 200, in virtù della loro peculiare qualifica
privatistica, possono rivestire la qualifica di testimone con la contestuale facoltà di non rispondere a
quelle domande la cui risposta comporti la violazione dell’obbligo del segreto professionale, segreto che
stavolta è detto qualificato, proprio perché concerne i soli professionisti indicati espressamente nel
codice alla norma di riferimento. La loro posizione è quindi diversa da quella dei professionisti comuni:
hanno, come deducibile anche dall’art. 622 c.p., un potere dovere che li porta a non rispondere qualora
una domanda loro posta possa far venire alla luce un segreto svelatogli dal cliente andandolo a
pregiudicare… un potere dovere che qualora violato, anche per giusta causa, comporterà la sua
imputabilità per violazione del segreto professionale. Il legislatore ritiene in questi casi che il segreto
professionale debba prevalere sull’interesse della giustizia ad accertare i reati, essendo il primo frutto di
valori costituzionali superiori ai secondi. Perché si possa però applicare questa disciplina, ex art. 200
dovranno essere soddisfatte due esigenze: la prima esigenza è che occorre, naturalmente, che quel
determinato fatto oggetto del segreto sia stato appreso dai professionisti qualificati in ragione del
proprio ministero, ufficio o professione… in secondo luogo è necessario, inoltre, che quel determinato
professionista, pur indicato all’art. 200 c.p.p., non abbia comunque un obbligo giuridico di riferire quel
fatto all’autorità giudiziaria, vedi ad esempio i medici che lavorano negli ospedali pubblici, che hanno
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l’obbligo di denuncia in virtù della funzione pubblica che svolgono. Quando il teste eccepisce il segreto,
il giudice può provvedere agli accertamenti necessari e se ritiene infondata l’eccezione ordina al
testimone di deporre. Procediamo ora analizzando le singole categorie di professionisti qualificati
elencati all’art. 200:
1. i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano… basti
pensare al segreto imposto al sacerdote dal sacramento della confessione anche quando non sia stata
stipulata alcuna intesa tra lo Stato e la singola confessione religiosa;
2. gli avvocati, gli investigatori privati autorizzati alle indagini processuali, i consulenti tecnici, i notai e
perfino i praticanti avvocati;
3. i medici e i chirurghi, i farmacisti, le ostetriche e ogni altro esercente una professione sanitaria;
4. gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre
determinata dal segreto professionale… si tratta ovviamente di una clausola di chiusura in cui includere
tutte le altre categorie di soggetti non assimilabili a quelle precedentemente citate.

Tonini ci tiene a sottolineare il fatto che l’art. 200 c.p.p. non è tassativo: soltanto la legge può estendere il
segreto professionale, e ciò è avvenuto ad esempio in relazione ai consulenti del lavoro, ai commercialisti, ai
ragionieri e agli assistenti sociali.

Va poi fatto un discorso a parte per quanto concerne il segreto professionale dei giornalisti che è stato concesso,
seppur con certi limiti: può essere mantenuto solo relativamente ai nomi delle persone dalle quali è stata
appresa una notizia di carattere fiduciario; può essere opposto soltanto dai giornalisti professionisti iscritti
nell’albo professionale; il giornalista è comunque obbligato a indicare al giudice la fonte delle sue informazioni
quando le notizie sono indispensabili ai fini della prova del reato per cui si procede, e la loro veridicità può essere
accertata soltanto attraverso l’identificazione della fonte di notizia. Nei casi nei quali il giornalista può
conservare il segreto sulla fonte, perché la notizia non riguarda l’esistenza di un reato ma di una sua circostanza,
la notizia stessa non è utilizzabile nel processo a causa del divieto che riguarda la testimonianza indiretta.

Analizziamo in ultima battuta rispettivamente le categorie del segreto d’ufficio e del segreto di Stato, per poi
passare al segreto sugli informatori di polizia.

➢ Il segreto d’ufficio è posto per garantire il buon funzionamento della pubblica amministrazione, vincola
il pubblico ufficiale e l’incaricato di un pubblico servizio e viene meno nei casi nei quali vi è un obbligo
giuridico di riferire la notizia all’autorità giudiziaria, cioè quando i pubblici ufficiali hanno un obbligo di
denuncia. Una particolare specie di segreto d’ufficio è il segreto di Stato, che copre ogni notizia la cui
diffusione sia idonea a recare danno alla integrità dello Stato democratico, alla difesa delle istituzioni
poste dalla Costituzione a suo fondamento, al libero esercizio delle funzioni degli organi costituzionali e
alla difesa militare dello Stato. Quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio oppone il
segreto di Stato, la valutazione sulla fondatezza dell’eccezione è sottratta al giudice ed è attribuita al
Presidente del consiglio dei Ministri: se quest’ultimo non conferma il segreto entro sessanta giorni il
giudice ordina al testimone di deporre, viceversa se il Presidente conferma il segreto al giudice è
sottratto definitivamente il potere di valutare la fondatezza dell’eccezione e, se la prova è essenziale per
la definizione del processo, egli deve dichiarare di non doversi procedere ovviamente per l’esistenza del
segreto di Stato.
➢ Abbiamo poi il segreto sugli informatori di polizia, che consente di non rivelare i nomi degli informatori
della polizia giudiziaria e dei servizi di sicurezza: legittimati ad opporlo sono sia gli ufficiali che gli agenti
di polizia giudiziaria, sia dell’esercito, i quali possono mantenere segreti non solo i nomi degli
informatori, ma tutto quello che affermano di aver “sentito dire” da loro non può essere acquisito né
utilizzato, se non quando l’informatore sia stato esaminato.

I segreti d’ufficio, di Stato e di polizia ex art. 204 non possono essere opposti per fatti concernenti reati diretti
all’eversione dell’ordinamento costituzionale.

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Avendo esaurito tutti gli argomenti connessi alla testimonianza, non ci resta che passare ad un nuovo mezzo di
prova tipico: l’esame delle parti, di cui proprio quest’ultime si servono per contribuire all’accertamento dei fatti
nel processo penale rilasciando delle dichiarazioni. Bisogna fare una precisazione: queste dichiarazioni vengono
poste dalle parti non in qualità di testimone, ma appunto in qualità di parti… difatti le rilasciano soggetti che
sono incompatibili con tale qualità. Volendo dare un preliminare sguardo alla disciplina di tale mezzo di prova
tipico, dobbiamo distinguerne una regolamentazione di carattere generale, valevole ovviamente per tutti i
soggetti dichiaranti, ed una speciale variabile a seconda del soggetto dichiarante.

Per quanto riguarda la regolamentazione generale, tutti i soggetti dichiaranti:

• non hanno l’obbligo di rispondere secondo verità ed in maniera completa;


• godono della facoltà di non rispondere;
• le loro dichiarazioni saranno rese secondo le norme sull’esame incrociato, quindi le domande saranno di
regola poste dal p.m. e dai difensori delle parti private;
• domande che tra l’altro devono riguardare i fatti oggetto di prova.

Per quanto riguarda la regolamentazione speciale, come abbiamo già detto, varia a seconda del soggetto
dichiarante… abbiamo infatti tre diverse discipline: una concernente l’imputato chiamato a deporre nel proprio
procedimento in merito al fatto attribuitogli; un’altra riguardante le parti diverse dall’imputato e quindi il
responsabile civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e la parte civile che non debba essere
esaminata come testimone; ed infine una particolare autonoma e completa disciplina concernente gli imputati in
procedimenti connessi o collegati, chiamati a testimoniare per fatti di altrui responsabilità.

1. L’esame dell’imputato, ex art. 208, sostanzialmente consta delle dichiarazioni rilasciate dall’imputato su
sua richiesta o consensualmente alle proposte altrui nell’ambito del proprio processo in merito al fatto
attribuitogli: qualora infatti decida di non renderle, ciò non potrà essere valutato a suo sfavore dal
giudice, potendosi trattare di una strategia difensiva, anche se sostanzialmente non si soddisfa l’onere
della prova. Come abbiamo già detto, la qualifica di imputato è incompatibile con quella di testimone e
pertanto l’imputato nel rilasciare dichiarazioni non è tenuto a dire il vero, può mentire e non ricadere in
alcuna conseguenza penale, in virtù del fatto che, non solo la falsa testimonianza è un reato proprio [e
in quanto tale realizzabile solo da chi ha la qualifica di testimone], ma anche che della causa di
giustificazione ex art. 384 c.p. che permette al soggetto di porre in essere reati per salvarsi da un grave
ed inevitabile pregiudizio della propria libertà o del proprio onore ed essere appunto giustificati.
Sebbene mentire non costituisca reato [a meno che non incolpi di un reato un’altra persona sapendola
innocente (calunnia) o se affermi falsamente essere avvenuto un reato che nessuno ha commesso
(simulazione di reato)], ciò comporta però almeno nella maggior parte dei casi una fondamentale
conseguenza dal punto di vista processuale: l’imputato potrebbe perdere di credibilità nei confronti del
giudice e non essere appunto creduto nelle prossime dichiarazioni che rilascerà… per questo il difensore
esorta spesso l’imputato più che a mentire a restare in silenzio, avendo tutto il diritto di avvalersi del
c.d. diritto a restare silenzioso, in modo da poter avere più probabilità di mantenere la propria
credibilità e sperare di trovare giovamento dal suo comportamento… difatti esercitare questo diritto,
che sostanzialmente consente all’imputato di non rispondere ad una qualsiasi domanda postagli nel
corso dell’esame, lascia maggiori margini di credibilità, ma comunque comporta un pericolo per
l’imputato essendo la sua condotta messa a verbale e quindi passibile di essere valutato come
argomento di prova dal giudice il quale potrebbe pensare che egli stia nascondendo qualcosa. Infine,
l’imputato ha anche il privilegio di poter affermare di aver “sentito dire” qualcosa senza essere vincolato
alle condizioni di utilizzabilità della testimonianza indiretta: egli, infatti, può non indicare la fonte da cui
ha indirettamente appreso l’esistenza del fatto e la sua dichiarazione essere utilizzata comunque…
ovviamente però non è detto che essa sia ritenuta attendibile.
2. L’esame delle parti private diverse dall’imputato, e quindi il responsabile civile, il civilmente obbligato
per la pena pecuniaria e la parte civile che non debba essere esaminata come testimone, si svolge con le
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medesime regole dell’esame dell’imputato, salvo un particolare: questi soggetti non hanno il privilegio
sul “sentito dire”, valendo le regole ordinarie e quindi se vogliano rendere su tali fatti dovranno indicare
fisicamente da chi o da cosa ne sono venuti a conoscenza e dovrà essere obbligatoriamente chiamata in
giudizio il teste diretto, qualora una parte ne abbia fatta richiesta… quindi anche tali soggetti devono
chiedere o comunque acconsentire all’esame, non hanno l’obbligo penalmente sanzionato di dire la
verità né tanto meno di rispondere. Va però sottolineato che con solo riguardo all’obbligo di verità,
qualora la parte civile sia chiamata a deporre in qualità di testimone, per lei varrà essendo il suo
contributo così importante per la ricerca della verità da non poter essere in alcun modo trascurato.
3. L’esame di persone imputate in procedimenti connessi o collegati. Prima di andare ad analizzare questa
categoria, Tonini fa un quadro storico della precedente situazione ad essi relativa: prima il codice del
1988 non consentiva, in maniera assoluta, all’imputato di assumere la qualità di testimone,
neutralizzando così il diritto a confrontarsi con l’accusatore… in seguito però a delle successive riforme il
regime previgente è stato attenuato proprio per garantire la tutela di tale diritto, introducendo una
“fittizia possibilità”, perché sostanzialmente è un dovere che l’imputato in procedimenti connessi o
collegati con un altro procedimento detto principale, ha di deporre come testimone esclusivamente se
abbia reso dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità altrui e limitatamente ad esse.
L’imputato connesso o collegato, ovvero l’imputato di quel procedimento che ha rispetto a quello
principale un rapporto di connessione ex art. 12 c.p.p. o di collegamento probatorio a prescindere che i
rispettivi procedimenti siano riuniti o separati, può infatti contribuire all’accertamento dei fatti con
quattro differenti strumenti di prova aventi ognuno una propria disciplina. Ergo analizziamo i relativi
contributi: l’esame degli imputati concorrenti nel medesimo reato e situazioni assimilate, l’esame degli
imputati connessi o collegati teleologicamente, la testimonianza assistita prima della sentenza
irrevocabile e la testimonianza assistita degli imputati giudicati.
a) esame degli imputati concorrenti nel medesimo reato e situazioni assimilate. Gli imputati concorrenti,
connessi al procedimento principale ex art. 12.a, risultano incompatibili con la qualifica di testimone,
fino a che nei loro confronti non sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile. Essi in linea generale
godono delle stesse garanzie che sono riconosciute all’imputato principale, se non per il fatto che,
essendo chiamati a rendere dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilità altrui, ex art. 210 hanno
l’obbligo di presentarsi anche senza il loro consenso all’esame, difatti qualora non si presenti il giudice
ne disporrà il c.d. accompagnamento coatto, esame che tra l’altro è fatto o su richiesta di parte oppure
eccezionalmente d’ufficio; mentre per tutto il resto sono assimilati alla figura base dell’imputato e
pertanto avranno la facoltà di non rispondere, sia per quanto riguarda domande sul fatto di reato
addebitatogli che per quelle riguardanti i fatti commessi dall’imputato del procedimento principale in
cui è esaminato, e può mentire impunemente, salvo le ipotesi di calunnia e simulazione di reato.
b) esame degli imputati collegati o connessi teleologicamente. Quest’ultimi non abbiano reso in
precedenza dichiarazioni concernenti la responsabilità dell’imputato e sono connessi al procedimento
principale ex art. 12.c. In base alla peculiare disciplina posta ex art. 210 essi hanno il dovere di
presentarsi all’esame, che tra l’altro è fatto o su richiesta di parte oppure eccezionalmente d’ufficio,
godono del diritto al silenzio e non hanno l’obbligo di rispondere secondo verità almeno fin quando non
divengono compatibili con la qualifica di testimone ex comma 6 dal momento in cui abbiano reso
dichiarazioni concernenti la responsabilità altrui… in seguito a ciò, l’imputato collegato o connesso
teleologicamente, viene però assunto a testimone assistito dovendo essere appunto assistito da un
difensore, come vedremo a breve. Prima di passare ad analizzare questa ipotesi, dobbiamo però
ricordare che c’è stata una differente interpretazione nella giurisprudenza dell’art. 210.6 secondo cui a
far scattare il mutamento di veste del dichiarante sarebbe la sola volontà di rispondere, a cui conseguirà
immediatamente ed obbligatoriamente l’espletamento di tutte le formalità connesse alla testimonianza
e quindi la comunicazione del giudice a dover rispondere secondo verità e la conseguente impegnativa a
farlo del teste, però, in base a quanto riportato da Tonini, ritenerla giusta e condivisibile sarebbe
impossibile considerato che, pur semplificando lo svolgimento dell’esame del dichiarante, andrebbe a

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trascurare la sistematica codicistica. Le dichiarazioni rilasciate dagli imputati collegati o connessi e dal
c.d. testimone assistito, potranno essere valutate come prova soltanto se vi siano riscontri con gli altri
elementi raccolti: ciò significa quindi che il giudice è tenuto a sottoporli ad un rigoroso riscontro di tipo
c.d. originario, come poi affermato anche ex art. 192.3, in modo da poterne confermare l’attendibilità,
questo perché la figura dell’imputato, sia esso principale o connesso, essendo quella che più ha da
perdere alla fine di un processo penale conclusosi a suo sfavore, potrebbe effettivamente mentire o
addirittura vendicarsi nei confronti di un complice per ottenere un vantaggio o comunque uno
svantaggio minore. Il fatto che quindi tali dichiarazioni possano essere valutate come prova soltanto se
vi siano riscontri con gli altri elementi raccolti è una condizione per l’impiego, la quale opera però di pari
passo con il libero convincimento del giudice: difatti qualora il riscontro abbia avuto esito positivo e la
dichiarazione sia ritenuta attendibile, il giudice dovrà poi verificare se quest’ultima potrà ritenersi utile a
ricostruire il fatto storico in un determinato modo. Dobbiamo però fare delle precisazioni, in merito al
riscontro operato dal giudice: in base a quanto deducibile dall’art. 192.3, si tratterebbe di un riscontro
estrinseco considerato che deve avere ad oggetto altri elementi di prova, delle concrete circostanze
fattuali per loro natura esterne rispetto alle dichiarazioni rese… per la giurisprudenza però, essendone
previsto uno estrinseco, deve esserci anche un riscontro precedente ad esso di natura intrinseca alla
dichiarazione stessa volto ad appurare la credibilità del dichiarante. In conclusione quindi,
sinteticamente, il riscontro può essere definito come quell’elemento di prova che serve a confermare
l'attendibilità di una dichiarazione nella parte in cui addebita la responsabilità di un reato all'imputato
connesso collegato.

Prima di analizzare le due categorie di testimonianza assistita, a cui è stato già fatto un accenno, facciamo un
discorso generale: come abbiamo già detto, con una riforma datata 2001, alcuni soggetti inizialmente
incompatibili a testimoniare, ovvero gli imputati in un procedimento connesso o collegato, sono stati invece
praticamente costretti a testimoniare e sono state previste per loro una serie di garanzie come ad esempio
l’istituto della testimonianza assistita in virtù del quale l’imputato in un procedimento connesso è sì tenuto a
deporre, ma deve farlo essendo obbligatoriamente assistito da un legale di fiducia, oppure in sua mancanza di
uno d’ufficio, in ragione del collegamento tra il reato, che gli è addebitato, e quello che è oggetto del
procedimento nel quale è chiamato a deporre. Abbiamo quindi due tipi di testimonianza assistita a seconda che
sia stata o meno emanata una sentenza nei confronti degli imputati connessi o collegati al procedimento e di
conseguenza due categorie di testimoni assistiti… i testimoni assistiti prima della sentenza irrevocabile e quelli
che Tonini definisce imputati giudicati, per cui vige una disciplina generale, riguardante entrambi, ed una
particolare, specifica e diversa per ognuno di essi. Dando uno sguardo veloce alla disciplina generale, valevole
per entrambe le categorie di testimoni assistiti, facciamo riferimento a quanto disposto dal codice: in primo
luogo, ex art. 198, essi hanno l’obbligo di presentarsi al giudice ed hanno la facoltà di non rispondere soltanto sui
fatti diversi da quelli per i quali si procede o si è proceduto a loro carico; in secondo luogo ex art. 197bis essi
devono, come abbiamo più volte detto, essere assistiti da un difensore di fiducia o d’ufficio, ancora, le
dichiarazioni rese non possono essere utilizzate contro di loro nel procedimento a loro carico, nel procedimento
di revisione della sentenza di condanna e in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto oggetto dei
procedimenti e delle sentenze suddette; ancora, tali dichiarazioni potranno essere utilizzate soltanto in presenza
di riscontri che ne confermino l’attendibilità. Tonini precisa infine che, trattandosi di imputati, nei loro confronti
non vige l’art. 63 e pertanto qualora rilascino dichiarazioni auto indizianti, non verranno interrotti ed avvertiti
dei pericoli in cui potrebbe incorrere né della conseguente possibilità di nominare un difensore che tra l’altro è
già presente. Passiamo ora alle singole discipline particolari.

c) Per quanto concerne la testimonianza assistita prima della sentenza irrevocabile, ex art. 197bis.2, facciamo
riferimento a quella categoria di testimonianza riguardante il solo imputato collegato/connesso
teleologicamente nei confronti del quale non sia stata emanata ancora alcuna sentenza. I presupposti che fanno

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scattare l’obbligo di deporre come testimone sono diversi: in primo luogo l’imputato deve essere avvisato che
qualora renda dichiarazioni su fatti riguardanti la responsabilità altrui per un reato connesso o collegato con
quello a lui addebitato, assumerà l’ufficio di testimone ed in secondo luogo, dovrà ovviamente aver reso tali
dichiarazioni non importa se consapevolmente o meno… qualora quindi sussistano entrambe, il soggetto
inizialmente incompatibile diventerà compatibile con la qualità di testimone però condizionatamente, dovendo
appunto sussistere le suddette condizioni, e parzialmente, in quanto essa sarà limitata ai singoli fatti dichiarati,
ed in virtù di esse sarà obbligato ad essere assistito da un difensore nella sua deposizione. Ancora, per quanto
concerne questi testimoni assistiti, come deducibile dalla regolamentazione generale godono del privilegio
contro l’autoincriminazione con riferimento a reati diversi da quelli che sono oggetto del procedimento a suo
carico… gode però anche di un ulteriore singolare privilegio, in virtù del quale può non rispondere sui fatti che
concernono la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti.
Procediamo per gradi… poiché l’obbligo testimoniale è limitato ai fatti altrui già dichiarati, l’unico caso il cui
l’escussione del teste assistito potrebbe inerire alla propria responsabilità è l’ipotesi nella quale le precedenti
dichiarazioni vertano su fatti inscindibili. È proprio in relazione a tale ipotesi peculiare che il legislatore ha
riconosciuto al teste assistito la facoltà di non rispondere sul fatto proprio: occorre concludere, allora, che
quando i fatti sono inscindibili, la facoltà di non rispondere si estende inevitabilmente anche al fatto
altrui…Tuttavia, se il teste assistito decide di rispondere, egli ha un obbligo di verità penalmente sanzionato: in
sostanza, rispondendo, perde la facoltà di mentire.

d) Per quanto concerne la testimonianza assistita degli imputati giudicati, ex art. 197bis.1, facciamo riferimento
a quella categoria di testimonianza riguardante l’imputato collegato/connesso nei confronti del quale è stata
emanata una sentenza di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento, ed è divenuta irrevocabile.
L’imputato giudicato è praticamente un testimone permanente, difatti può essere chiamato a testimoniare
sempre in qualità di testimone assistito in un procedimento collegato o connesso anche qualora non abbia mai
reso dichiarazioni su fatti altrui o non sia stato avvisato delle conseguenze relative a se lo avesse fatto. Più
precisamente la posizione dell’imputato connesso o collegato dopo che la sentenza è diventata irrevocabile
dipende dalla formula con cui essa termina… dopo due importanti pronunce della Corte Costituzionale, occorre
infatti distinguere 3 diverse situazioni: abbiamo infatti il caso degli imputati connessi o collegati dopo che sono
stati condannati o dopo che è stata applicata loro la pena su richiesta; il caso degli imputati prosciolti in modo
irrevocabile con formule diverse dalla assoluzione perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto
ed infine il caso degli imputati assolti con formula piena per non aver commesso il fatto o perché il fatto non
sussiste. Analizziamoli.

Gli imputati connessi o collegati Gli imputati prosciolti in modo Gli imputati assolti con formula
dopo che sono stati condannati o irrevocabile con formule diverse piena per non aver commesso il
dopo che è stata applicata loro la dalla assoluzione perché il fatto fatto o perché il fatto non sussiste
pena su richiesta (c.d. non sussiste o per non aver
patteggiamento) commesso il fatto
1. Testimoni permanenti; 1. Testimoni permanenti; Vanno trattati in modo simile al
2. Avranno l’obbligo di verità 2. Obbligo di verità testimone comune, trovandosi in
penalmente sanzionato; penalmente sanzionato; una situazione di assoluta
3. Inutilizzabilità contra se 3. Inutilizzabilità contra se indifferenza rispetto ai fatti
delle dichiarazioni rese; delle dichiarazioni rese; oggetto del procedimento
4. Godono del privilegio 4. Non godono del privilegio pertanto:
contro 1. Devono essere esaminati
contro
l’autoincriminazione su senza l’assistenza di un
l’autoincriminazione sul
fatti diversi da quelli difensore e senza che sia
giudicati, non hanno però fatto proprio coperto indispensabile un
privilegio sul giudicato; dalla sentenza riscontro esterno;
5. Assistenza difensiva irrevocabile, ma su fatti 2. Resta ferma
diversi da quello per cui si
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6. Riscontri. è proceduto a loro carico; l’inutilizzabilità contra se
5. Assistenza difensiva e delle dichiarazioni rese;
Riscontri. 3. Ha l’obbligo di verità sul
fatto proprio coperto dalla
sentenza irrevocabile e
pertanto gode del
privilegio contro
l’autoincriminazione su
fatti diversi da quello per
cui si è proceduto a loro
carico.

Ergo, salvo ipotesi totalmente assolutorie, gli imputati/indagati in procedimenti connessi o collegati non possono
mai essere testimoni, solo TESTIMONI ASSISTITI.

L’articolo 197 non menziona la sentenza di non luogo a procedere ai provvedimenti che determinano la
cessazione delle incompatibilità a testimoniare, pertanto gli imputati connessi per concorso nel medesimo reato
che siano stati oggetto di tale sentenza sono radicalmente incompatibili con la qualifica di testimone e pertanto
verranno esaminati ai sensi dell'articolo 210 ... Per quanto concerne invece gli imputati collegati o connessi
teleologicamente qualora siano stati oggetto di tale sentenza saranno compatibili come testimoni, c.d. assistiti
ovviamente, ma soltanto qualora abbiamo reso dichiarazioni sul fatto altrui precedute dall'avvertimento che ciò
sarebbe accaduto dal momento in cui lo avessero fatto, altrimenti anche in questo caso si ricorrerà all'esame
delle parti così come sancito all'art. 210.

Per quanto concerne invece la situazione conseguente il procedimento di archiviazione, l'articolo 197, pur
riferendosi solamente agli imputati connessi o collegati va esteso anche agli indagati in forza dell'articolo 61 che
come sappiamo prevede la clausola di equiparazione per cui imputato e indagato vanno appunto equiparati...
pertanto nei confronti dell'indagato che sia stato oggetto di un provvedimento di archiviazione e che sia stato
ascoltato in un procedimento connesso o collegato rispetto a quello archiviato, vale quanto detto dell'imputato
prosciolto con sentenza di non luogo a procedere come poi ritiene anche la corte costituzionale a scapito della
recente giurisprudenza di legittimità che aveva varie idee tutte però contrastanti... è stata costretta infatti a
pronunciarsi la Cassazione a SS.UU., la quale ha posto fine ai conflitti presenti affermando che le persone nei
confronti della quale sia stata disposta archiviazione, perdendo la qualifica di indagato in seguito alla conclusione
delle indagini, sfuggirebbero all'ambito applicativo dell'incompatibilità a testimoniare così come sancita ex art.
197 ritenendo che quest'ultimo, alla luce di una interpretazione letterale, si rivolga alle sole persone in pendenza
delle indagini a loro carico... quindi, essendosi concluse le indagini ed avendo loro perso la qualifica di indagato,
essi dovranno essere sentiti come testimone comune. Per Tonini questo escamotage non è condivisibile: per lui
va preferita ad un'interpretazione letterale una di carattere sistematico, in modo da non lasciare senza tutele
l'archiviato considerato che in qualunque momento e per motivi anche blandi potrebbero essere riaperte le
indagini.

Come abbiamo già accennato, la testimonianza assistita ha un carattere peculiare: il legislatore nell’elaborare
l’art. 197 sembra averla camuffata come un qualcosa di volontario, quando invece si tratta sostanzialmente di un
dovere che l’imputato ha di deporre che va ottemperato anche coattamente. Difatti, come sostiene la dottrina,
la natura volontaria si denoterebbe in primo luogo dal fatto che l’indagato è avvisato di avere la facoltà di non
rispondere ad alcuna domanda e che se renderà dichiarazioni sui fatti altrui assumerà l’ufficio di testimone ed
ancora perché il teste in questione gode del privilegio contro l’autoincriminazione… il punto è che una volta che
siano stati integrati i presupposti, l’imputato è praticamente costretto a presentarsi come testimone assistito e

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quindi si perde quel presumibile, fittizio, carattere di volontarietà per fare spazio ad una testimonianza che è e
resta coatta.

Tonini in ultima battuta si sofferma su due peculiari figure quella del collaboratore di giustizia e quella del
testimone di giustizia, solo inizialmente assimilabili in termini di regolamentazione: imputati e condannati
possono infatti assumere una di queste due qualifiche ed ottenere una serie di misure di protezione a patto che
la relativa regolamentazione sia rispettata. Analizziamole.

Il collaboratore di giustizia, in base alla disciplina sancita con la legge n. 45 del 2001, è quel soggetto che abbia
manifestato la volontà di collaborare per un delitto di tipo terroristico mafioso o assimilato… spesso quest’ultimi
proprio per aver collaborato si trovano in situazioni difficili e per questo è prevista la loro ammissione a misure
di protezione, a patto però che tali situazioni però siano di grave ed attuale pericolo, oltre a dei benefici in
termini di misure cautelari e definitive. Andando più nello specifico, tale collaborazione si presenta quindi come
un adempimento da parte del collaboratore il quale entro 180 giorni deve fornire tutte le informazioni utili alla
ricostruzione non solo dei fatti e delle circostanze sui quali è interrogato, ma anche di altri fatti di maggiore
gravità ed allarme sociale di cui è conoscenza, ma anche informazioni utili all’individuazione e alla cattura dei
loro autori nonché all’individuazione di denaro beni ed ogni altra utilità di cui dispongono lui ed altri membri
appartenenti ai gruppi criminali. Tutte queste dichiarazioni vengono poi verbalizzate nel c.d. verbale della
collaborazione, che viene poi sottoscritto dal collaboratore il quale così facendo si impegna per il futuro ad
essere anche ascoltato nuovamente, qualora ce ne sia bisogno per una qualche riconducibilità delle tematiche in
esse trattate, a pena di perdere i benefici che conseguono dalla collaborazione.

Il testimone di giustizia, che con la riforma avvenuta nel 2018 con la legge n. 6 è stato nettamente distinto dal
collaboratore di giustizia ed ha ora una propria regolamentazione in linea a quelle che sono le sue esigenze
soggetto, è quel soggetto che, non riportante condanne per delitti dolosi o preterintenzionali… non
avvantaggiato dall’essersi relazionato con il contesto delittuoso… ammissibilmente autore di comportamenti
penalmente rilevanti a causa dell’assoggettamento posto nei suoi confronti… mai sottoposta a misure di
prevenzione, all’aver reso dichiarazioni di fondata attendibilità intrinseca e rilevanti per le indagini o per il
giudizio si trovi in una situazione di grave concreto e attuale pericolo rispetto al quale le ordinarie misure di
sicurezza non sono adeguate. Per tali soggetti la legge fornisce protezione preferibilmente nel luogo di origine
con misure di sostegno economico e di reinserimento, ed inoltre gli consente di essere assistiti da un referente
che funge da sostegno psicologico nei rapporti con l'istituzione avente il compito di accompagnarlo fin
dall'inserimento nel piano provvisorio di protezione in tutto il suo percorso. Sempre in base a quanto sancito
dalla legge, nei loro confronti vanno adoperati incidente probatorio ed esame a distanza.

Avendo esaurito tutti gli argomenti connessi all’esame delle parti passiamo ad una nuova categoria di mezzi di
prova tipici, tutti caratterizzati dal fatto che il giudice ha un vero e proprio potere di direzione nell’assunzione
della prova, mentre le parti, non potendo procedere con l’esame incrociato, in relazione a tali atti hanno il
compito residuale di controllare che siano regolarmente svolti: il confronto, le ricognizioni e gli esperimenti
giudiziali.

Il confronto, ex art. 211, consiste nell’esame congiunto di due persone, siano esse testimoni o parti [imputati o
indagati che possono avvalersi del diritto al silenzio ed altre parti private], già esaminate o interrogate quando vi
è disaccordo tra di esse su fatti e circostanze importanti ed è fatto in modo da vagliare le dichiarazioni
contrastanti e all’esito dello stesso ricostruire meglio il fatto raccontato da uno dei protagonisti oppure svuotare
di credibilità una dichiarazione. È chiaro quindi che i presupposti sono due: il disaccordo tra due o più persone su
fatti e circostanze importanti ed il loro già avvenuto esame o interrogatorio. Il confronto può essere disposto in
diversi momenti: nella fase delle indagini preliminari quando siano già raccolte dichiarazioni, in udienza
preliminare, in dibattimento, in appello, nel giudizio di rinvio e revisione ed infine nell’incidente probatorio. Per

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quanto concerne l’ammissione del confronto, segue la disciplina generale: è di regola chiesto dalle parti, ma
eccezionalmente può aversi anche d’ufficio e dovrà rispettare i requisiti della manifesta rilevanza [quindi dovrà
esserci disaccordo tra le parti] e della pertinenza [quando il disaccordo riguardi fatti e circostanze importanti].
Per quanto concerne le modalità in cui il confronto avviene, esse sono alquanto peculiari, perché, come abbiamo
già detto, questo mezzo di prova si caratterizza per il fatto che il giudice, o il p.m. nelle indagini, ha un potere
propulsivo oltreché direttivo nell’assunzione della prova, mentre le parti, non potendo procedere con l’esame
incrociato, in relazione a tali atti hanno il compito residuale di controllare che siano regolarmente svolti:
materialmente il giudice richiama ai soggetti le precedenti dichiarazioni discordanti, chiede se le confermano ed
ove il disaccordo persista li invita alle reciproche contestazioni… il tutto è ovviamente verbalizzato, perfino il
contegno tenuto dalle parti potendo essere utile verificare l’eventuale imbarazzo dei soggetti derivato dalle
contestazioni.

La ricognizione, è un mezzo di prova che può essere esperito nei confronti di esseri umani ex art. 213, cose ex
art. 215, voci suoni o quant’altro può essere oggetto di percezione sensoriale ex art. 216, ad opera di una
persona, il c.d. ricognitore, sia esso un testimone o anche un imputato, che li abbia percepiti con i propri sensi in
modo che possa riconoscerli. In modo da non compromettere l’attendibilità del riconoscimento, il codice
prescrive in maniera minuziosissima come devono svolgersi gli accertamenti: l’atto, sia esso volto al
riconoscimento di persone o cose, può essere compiuto nel corso del dibattimento o nell’incidente probatorio,
ed anche in questo caso il giudice ha un particolare potere direttivo che si manifesta sia dagli atti preliminari alla
ricognizione, sia nel corso della stessa. Per quanto concerne il riconoscimento di persone e si svolge nel rispetto
del contraddittorio tra le parti e si apre ex art. 213 con l’invito da parte del giudice nei confronti del c.d.
ricognitore a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda, poi passa alle domande e gli chiede,
se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento… se, prima e dopo il fatto per cui si procede,
abbia visto, anche se riprodotta in fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere… ed infine se quest’ultima
gli sia stata indicata o descritta o se vi siano altre circostanze che possano influire sull’attendibilità del
riconoscimento, per poi mettere a verbale il tutto assieme agli adempimenti previsti, a pena di nullità della
ricognizione. In assenza del ricognitore che è fatto allontanare, ex art. 214 il giudice dispone che siano presenti
almeno due persone, i c.d. distrattori, il più possibile somiglianti, anche nell’abbigliamento, alla persona
sottoposta a ricognizione e li invita a scegliere il suo posto rispetto alle altre persone. Introdotto nuovamente il
ricognitore il giudice procede poi chiedendogli se riconosce taluno dei presenti ed in caso affermativo, lo invita a
indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certo e, ove ce ne sia necessità per evitare eventuali
conseguenti intimidazioni, potrà perfino disporre che l’atto sia compiuto senza che la persona sottoposta a
ricognizione possa vederlo. Ovviamente il verbale, deve riportare a pena di nullità anche informazioni relative
alle modalità di svolgimento della ricognizione sempre ai fini dell’attendibilità del riconoscimento. Per quanto
concerne il riconoscimento di cose ex art. 215 l’atto si svolge analogamente a quello per le persone, con la sola
differenza che vengono però procurati almeno due oggetti simili a quelli da riconoscere.

L’esperimento giudiziale, ammesso quando occorre accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un
determinato modo, consiste nella riproduzione, per quanto possibile, della situazione in cui il fatto si afferma o si
ritiene possa essere avvenuto e nella ripetizione delle modalità di svolgimento dello stesso. Il fatto è ovviamente
irripetibile, difatti sostanzialmente con questo esperimento non si fa altro che valutare la verosimiglianza di
come è ricostruito, come dice Tonini mettendo in movimento cose e persone: le operazioni ex art. 219 sono
ovviamente dirette dal giudice, il quale può anche d’ufficio designare un esperto per l’esecuzione di quelle tra
esse che richiedono specifiche conoscenze. Esso può essere disposto tanto in dibattimento quanto nelle indagini
preliminari ricorrendo all’incidente probatorio, si basa sulle metodologie proprie delle sperimentazioni
scientifiche e sicuramente non è tale da riprodurre con assoluta fedeltà le condizioni in cui il fatto si è svolto,
nonostante ad oggi ci si serva sulla base delle prove raccolte e secondo le regole fisiche governanti il mondo
reale per ricostruire il fatto, ove sussistano ovviamente i requisiti, di animazioni fatte a computer.

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Avendo esaurito tutti gli argomenti connessi a confronto ricognizioni e esperimenti giudiziali passiamo ad una
nuova categoria di mezzi di prova tipici, quella delle prove per esperti, che ricomprende la perizia e la consulenza
tecnica di parte... prima però di andare a fondo nella loro trattazione, dobbiamo fare una serie di considerazioni
preliminari strumentali ad una loro piena comprensione per quanto concerne la prova scientifica ed il relativo
concetto di scienza.

La prova scientifica rientra nel novero di prova critica pertanto essa, partendo da un fatto dimostrato, utilizza
una legge scientifica per accertare l’esistenza di un ulteriore fatto da provare. Essa trova ingresso nella vicenda
processuale proprio attraverso il mezzo di prova della perizia e della consulenza tecnica, che vengono
rispettivamente svolte dal perito [un equivalente del CTU nel processo civile] nominato d’ufficio dal giudice e dal
consulente tecnico di parte nominato dalle parti appunto. Passando al concetto di scienza, come abbiamo già
detto nel precedente capitolo, ha avuto un’evoluzione singolare e a seconda della concezione scelta ovviamente
vi sono delle conseguenze:

L’ideologia positivista L’ideologia post-positivista


La scienza secondo… Era tradizionalmente illimitata È oggi ritenuta limitata, completa
completa e infallibile e fallibile
Pertanto… Il giudice disposta la perizia, avrebbe Ciascuna parte del processo
poi posto alla base della sua decisione penale ha il c.d. diritto alla prova,
la valutazione fatta dal perito, senza in virtù del quale le è concesso di
dare motivazione alcuna. Considerato mettere in dubbio l’ipotesi
che sarebbe bastato provare formulata da un’altra parte o dal
l’interconnessione tra la legge perito nominato dal giudice.
scientifica e il fatto storico, senza Al fine di garantire tale diritto,
motivare quindi l’attività svolta, la anche in relazione alla prova
prova scientifica sembrava diversa scientifica, occorre inserire nuovi
dalle altre sottoposte al regime strumenti che consentono di
ordinario e ciò ha portato il legislatore dimostrare l’eventuale falsità di
a modificare i metodi di esercizio una determinata conclusione.
della stessa orientandosi verso…

La scienza quindi entra nel processo penale grazie alle prove c.d. scientifiche, di cui ne è esempio la perizia… la
quale ad oggi non è più il risultato di un’operazione svolta in segreto dal perito su richiesta del giudice, bensì è
diventata dal 1988 in poi un mezzo di prova che si svolge in contraddittorio, difatti quest’ultimo si instaura tra
perito e parti fin dal conferimento dell’incarico. Ad ogni modo quest’ultima, come deducibile ex art. 220 [la
perizia è ammessa quando occorre compiere una valutazione che richieda specifiche competenze tecniche,
scientifiche o artistiche], è comunque svolta su ordine del giudice, qualora questi non sia esperto della materia in
oggetto e quindi inadeguato a fare valutazioni in merito, dal perito da lui stesso nominato, avente invece tutte le
competenze tecniche scientifiche o artistiche necessarie tali da, sostanzialmente percependo dettagli che
all’altro sfuggirebbero ed individuata la legge ed applicatala al caso concreto, fornirgli una valutazione che possa
essergli d’aiuto per la decisione. Sostanzialmente quindi con tale strumento non si fa altro che integrare le
conoscenze del giudice con quelle del perito, il cui apporto è obbligatorio dal momento in cui il primo non riesca
da sé, e quindi alla luce del proprio bagaglio conoscitivo, ad identificare ed applicare la legge scientifica. Dal
momento in cui occorra fare valutazioni per cui sono richieste particolari competenze è esperibile anche un altro
mezzo di prova… la consulenza tecnica di parte, la quale può essere tanto esperita all’interno della perizia ex art.
220.d quanto al di fuori dei casi di perizia ex art. 223. Analizziamole.

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La perizia è disposta dal giudice su richiesta di parte o anche d’ufficio nel dibattimento per motivare la sentenza
alla luce di un sapere specialistico… durante le indagini preliminari invece la perizia può essere disposta
tranquillamente dal gip, ma dovrà essere svolta nelle forme dell’incidente probatorio su richiesta del P.M. e
dell’indagato, quando la persona le cose o i luoghi da esaminare siano soggetti a modificazione non evitabile o
quando la perizia durerà più di 60 gg. Come abbiamo già accennato, il giudice stesso, non in grado di fare da solo
valutazioni in merito al fatto in esame poiché privo delle necessarie competenze, nel rispetto di precisi vincoli,
sceglie un perito il quale gli fornisca quelle valutazioni sul dato probatorio che possano aiutarlo, ma non
vincolarlo, nel prendere la decisione: dovrà individuarlo tra quelli iscritti negli appositi albi oppure, in via del
tutto eccezionale e motivando congruamente la sua scelta, potrà optare per qualcuno che non lo sia a patto che
comunque sia fornito di una particolare competenza tecnica. Il perito deve trovarsi in una situazione terzietà e
l’impregiudicatezza, altrimenti potrebbe essere ritenuto incompatibile o incapace in virtù di apposite cause c.d.
di incapacità ed in incompatibilità, pertanto non potrà svolgere il suo ufficio qualora sia stato citato come
testimone, è inoltre obbligato a prestare il suo ufficio in ogni caso con l’unica eccezione che sussistano motivi di
astensione. Ancora, per il conferimento dell’incarico, deve inoltre presentarsi in udienza ed impegnarsi ad
adempiere al proprio ufficio secondo verità rispondendo alle domande che il giudice, una volta sentite anche le
parti e i loro consulenti tecnici, gli porrà in via definitiva, i consulenti possono poi assistere allo svolgimento della
perizia, presentare al giudice osservazioni e riserve oltre a proporre indagini specifiche per questo si tratta di un
mezzo garantito specialmente a livello di contraddittorio. In relazione alla sua attività, il perito gode di poteri di
direzione e impulso tuttavia resta sotto il controllo del giudice che può anche autorizzarlo a prendere parte
all’esame delle parti o all’assunzione delle prove: può chiedere notizie all’imputato, all’offeso e ad altre persone
informate per ottenere elementi da utilizzare ai soli fini dell’accertamento peritale ed inoltre può essere assistito
da ausiliari di fiducia per lo svolgimento di attività che non implichino valutazioni e apprezzamenti. Il perito, al
termine della sua attività, è tenuto a fare una relazione c.d. peritale in forma orale oppure per iscritto, se il
giudice acconsente, in modo da indicarne i risultati ottenuti: nella prassi il giudice acconsente sempre alla
relazione peritale scritta e per recuperare il contraddittorio sulla prova scientifica, il perito potrà poi
eventualmente su richiesta di parte essere sottoposto all’esame incrociato. Va ricordato infine che, ex art. 220.2
vi è il c.d. divieto di perizia criminologica, pertanto la perizia non può assolutamente avere ad oggetto la
personalità dell’imputato e le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche né tanto meno mirare anche
tendenzialmente ad individuare l’abitualità o professionalità del reato per il semplice fatto che esse potrebbero
andare a condizionare il giudizio sulla reità dell’imputato violando palesemente il principio della presunzione
d’innocenza… ciò non toglie però che avutasi la sentenza potrà aversi tale perizia, come spesso accade in
relazione all’esecuzione della pena o della misura di sicurezza.

Come abbiamo già accennato, dal momento in cui occorra fare valutazioni per cui sono richieste particolari
competenze, può aversi oltre alla perizia o invece ad essa anche la consulenza tecnica di parte che è espressione
della difesa tecnica e mezzo di prova scientifica, tecnica o artistica. La consulenza tecnica di parte può essere
fatta all’interno o fuori dalla perizia: si tratta di due mezzi di prova, il primo espressamente per volontà del
legislatore mentre il secondo per volontà della Consulta, e consente alle parti di nominare dei propri consulenti
tecnici in numero non superiore a quello dei periti oppure in luogo ad essi. Essendo quindi due le consulenze
tecniche di parte, occorre quindi distinguere tra due diverse categorie di consulenti tecnici di parte a seconda
che il loro operato avvenga all’interno e fuori dei casi di perizia.

Consulenti tecnici di parte all’interno della perizia Consulenti tecnici di parte fuori dei casi di perizia
Quando è stata disposta la perizia, ex art. 225 Possono essere nominati da ciascuna parte ex art.
possono essere nominati dalle parti in numero non 233 a prescindere dal fatto che sia stata disposta
superiore a quello dei periti. perizia, per fornire al giudice elementi utili per la
decisione in modo da convincerlo.
Per quanto riguarda la loro disciplina essa è ricavabile In merito alla loro disciplina quindi:
con analogia con quella del perito, tranne le • Possono svolgere investigazioni difensive per
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differenze che il codice esplicitamente pone… ricercare ed individuare elementi di prova;
pertanto: •Possono conferire con le persone che
• Le parti private possono nominarlo anche possono dare informazioni;
non dagli albi, invece il PM deve • Possono visionare, previa autorizzazione, il
generalmente farlo in relazione ad essi; materiale che l’autorità giudiziaria ha posto
• Non hanno obbligo di verità, ma ovviamente sotto sequestro.
se mentiranno le loro dichiarazioni • Vi è incompatibilità tra testimone e
potrebbero essere ritenute poco attendibili; consulente tecnico, pertanto qualora sia
• Possono assistere al conferimento stato chiamato a testimoniare non potrà
dell’incarico e presentare al giudice richieste, rivestire tale ufficio;
osservazioni e riserve; • Sono sentiti in dibattimento mediante esame
• Possono assistere allo svolgimento della incrociato su domande del p.m. e del
perizia svolgendo specifiche indagini; difensore, mentre in udienza preliminare in
• Possono prendere visione della relazione base alle domande poste dal giudice.
peritale, nonché della cosa dell’oggetto e del
luogo della perizia.

Avendo analizzato sia la perizia che la consulenza tecnica di parte, bisogna capire come esse vengono valutate
essendo comunque obiettivamente difficile valutare una prova scientifica: Tonini taglia la testa al toro ed
afferma che pur essendoci dei pericoli, essi possono essere tranquillamente aggirati applicando le regole
ordinarie in tema di valutazione delle prove… pertanto la prova scientifica deve essere valutata con i controlli
che si applicano alle altre prove e quindi in parole povere il giudice, nella motivazione della sentenza, deve
esporre, fuggendo i tecnicismi del perito in ossequio al brocardo peritus peritorum, perché ritiene attendibile la
prova scientifica posta a fondamento della decisione presa e perché invece non pensi lo stesso delle prove
contrarie, in modo quindi da dimostrare che effettivamente abbia considerato tutte le differenti ricostruzioni
tecniche e di averle accettate o scartate sulla base di un convincimento oggettivo. È chiaro quindi che la prova
posta a fondamento della sentenza emanata, a differenza delle altre, lo abbia convinto grazie a quanto
dimostrato nel corso dell’eventuale esame incrociato richiesto dalle parti: il perito che infatti nel corso di
quest’ultimo riesca a dimostrare l’applicabilità della legge scientifica da lui individuata al caso concreto, ha molta
probabilità di essere ritenuto attendibile dal giudice che sposerà le sue conclusioni. Sostanzialmente quindi il
giudice deve fare una valutazione sull’affidabilità del metodo scientifico adoperato dal perito o dal consulente, o
meglio deve necessariamente verificare se il risultato della prova scientifica appare coerente con le altre prove
raccolte nel processo… in particolare deve verificare la validità dell’opinione che l’esperto ha espresso, se la sua
teoria possa essere verificata o smentita, se è conosciuto tasso di errore relativo alla teoria proposta, se tale
teoria è ancora attuale o è stata revisionata o aggiornata.

Quando tra gli esperti di accusa e difesa vi è un conflitto non superabile, il giudice deve far riferimento ai criteri
Daubert provenienti da una sentenza della Corte Suprema USA accolta dalla nostra Cassazione: la verificabilità
del metodo [una teoria è scientifica se può essere controllata mediante esperimenti], la falsicabilità [la teoria
scientifica deve aver subito tentativi di smentita i quali se hanno esito negativo la confermeranno e
permetteranno di individuarne i limiti], la sottoposizione al controllo della comunità scientifica [il metodo deve
essere stato reso noto in riviste specializzate in modo da essere controllato dagli esperti] e la conoscenza del
tasso di errore [al giudice va comunicato per ogni metodo proposto il rispettivo tasso di errore accertato o
potenziale].

Può accadere che nel corso della perizia si renda necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà
personale dell'indagato o di altre persone. Con la sentenza della Corte Costituzionale n. 238 del 96 si afferma che
l'esigenza di acquisire la prova di un reato costituisce un valore primario, tuttavia l'accertamento non deve
violare la dignità della persona umana o porre in pericolo la vita l'integrità fisica o la salute dell'interessato. Un
altro importante riferimento normativo e la legge numero 85 del 2009 la quale tratta delle ipotesi in cui è
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necessaria una perizia che prevede prelievi e accertamenti medici coattivi: qualora l'interessato sia
consenziente non scatta la necessità di tutelare la libertà personale a prescindere dalla gravità del reato per il
quale si procede indipendentemente e dal requisito di indispensabilità ai fini probatori; qualora invece
l'individuo non presti il proprio consenso, il nuovo articolo 224 bis precisa la tipologia di reato in relazione in
quali attività del genere possono essere disposte, ovvero delitto doloso o preterintenzionale o ancora quello
consumato o tentato ed infine quello per il quale la legge stabilisce la pena dell'ergastolo o della reclusione
superiore nel massimo a tre anni, in questo caso la perizia risulta assolutamente indispensabile per la prova dei
fatti e l'esecuzione coattiva concerne il prelievo di capelli peli o di mucosa del cavo orale su persone viventi ai fini
della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici. Non possono in alcun caso essere disposte
operazioni che possono mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica o la salute della persona o del nascituro o che
possono provocare sofferenze di non lieve entità (riferimento all’art. 5 c.c.). Le operazioni peritali sono eseguite
nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto e, a parità di risultato, sono scelte le tecniche meno
invasive. La perizia coattiva viene disposta con ordinanza motivata, che contiene la nomina del perito,
l’enunciazione del giorno, dell’ora, e del luogo fissati per la comparizione dello stesso. Inoltre, il provvedimento
deve contenere a pena di nullità: le generalità della persona da sottoporre all’esame ed elementi di
identificazione; indicazione del reato per cui si procede con descrizione sommaria del fatto; indicazione del
prelievo o dell’accertamento da effettuare e delle ragioni che lo rendono indispensabile per la prova dei fatti;
avviso della facoltà di farsi assistere da un difensore o da persona di fiducia; avviso che, in caso di mancata
comparizione per legittimo impedimento, può essere ordinato l’accompagnamento coattivo; indicazione di
luogo, giorno e ora per il compimento dell’atto e delle relative modalità. L’ordinanza è notificata all’interessato,
all’imputato e al suo difensore ed alla persona offesa almeno 3 giorni prima dell’esecuzione della perizia. La
persona sottoposta ad accompagnamento coattivo non può essere trattenuta oltre il compimento dell’atto
previsto e di quelli consequenziali per cui è necessaria la sua presenza. Non può comunque essere trattenuta
oltre le 24h. Si ha nullità speciale intermedia qualora l’ordinanza che dispone la perizia non rechi il contenuto
tassativo previsto, mentre si ha nullità assoluta qualora il difensore dell’imputato non assista alla perizia.
Qualora la persona da sottoporre a perizia sia una persona estranea al procedimento la nullità è relativa. Al di
fuori delle ipotesi di nullità, si ha il vizio dell’inutilizzabilità.

Avendo esaurito tutti gli argomenti connessi alle prove per esperti o c.d. scientifiche passiamo ad analizzare
l’ultimo dei mezzi di prova tipici indicato da Tonini, quello della prova documentale. Quando parliamo di prova
documentale stiamo essenzialmente facendo riferimento ad un documento, ovvero quella rappresentazione di
un fatto incorporata su un supporto in modo analogico o digitale che consta di 4 elementi:

1. Il fatto rappresentato… è tutto ciò che può essere oggetto di prova e pertanto comprende fatti, persone,
cose ed anche i contenuti di pensiero espressi nelle dichiarazioni di scienza o di volontà.
2. La rappresentazione… è la riproduzione di un fatto attraverso parole, immagini, suoni o gesti ad opera
dell’uomo o mediante strumento di registrazione.
3. L’incorporamento… è quell’operazione mediante cui la rappresentazione è fissata su di una base
materiale. Il codice afferma che esso avviene attraverso scrittura, fotografia, fonografia, cinematografia
e della possibilità che possa aversi in qualsiasi altro modo… in maniera sintetica possiamo però dire che
essenzialmente i metodi di incorporamento sono essenzialmente quello analogico e quello digitale.
a. Attraverso il metodo analogico, la rappresentazione è incorporata su di una base materiale
mediante grandezze fisiche variabili con continuità… pertanto la rappresentazione esisterà solo in
relazione a quella data base materiale in cui è incorporata e ne sono un esempio scrittura e
fotografia.
b. Attraverso il metodo digitale, la rappresentazione è incorporata su di una base materiale mediante
grandezze fisiche variabili con discontinuità… il dato che contiene l’informazione è denominato
informatico ed è composto dalla sequenza di bit. Il documento informatico ha la caratteristica di
essere dematerializzato pertanto esso esiste indifferentemente dal supporto fisico sul quale è

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incorporato, anche se per la sua esistenza richiede comunque l’incorporamento su una base
materiale quale un hard disk ad esempio. La caratteristica del documento informatico è che può
essere trasferito velocemente da un supporto all’altro rimanendo identico.
4. La base materiale… è quel qualcosa che sia idoneo a conservare la rappresentazione al fine di riprodurla
quando occorra e quindi ad esempio un foglio di carta, un nastro magnetico o anche un supporto
informatico. Occorre quindi distinguere il documento tradizionale ed il documento informatico:
a. Il documento tradizionale è quella rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base
materiale con metodo analogico e quindi uno scritto o anche una fotografia;
b. Il documento informatico è quella rappresentazione di un fatto che è incorporata su di una base
materiale con metodo digitale e quindi un documento informatico.

Va chiarito che il codice non da alcuna definizione di documento, ci dà però degli elementi per poterla ricavare…
Tonini parla infatti di un requisito positivo ed uno negativo:

• Requisito positivo… per potersi parlare di documento bisogna avere uno scritto o un oggetto comunque
idoneo per la rappresentazione;
• Requisito negativo… per potersi parlare di documento l’oggetto rappresentato deve essere un atto o un
fatto differente dagli atti processuali compiuti nel procedimento.

Quando parliamo di documento, non facciamo riferimento alla documentazione… si tratta di due cose diverse:
difatti, il termine documentazione è utilizzato se l’oggetto rappresentato è un atto del medesimo procedimento.
Detto in parole povere, la documentazione rappresenta gli atti processuali compiuti in un dato procedimento: ad
esempio, la forma di documentazione di un atto del procedimento è il verbale… per atto del procedimento
intendiamo l’atto che persegue le finalità del procedimento e che è compiuto dal giudice, dal P.M., dalla polizia
giudiziaria e dai difensori. Passando al documento, stiamo invece facendo riferimento a qualcosa che
rappresenta un fatto o un atto differente dall’atto processuale compiuto nel procedimento nel quale il
documento è acquisito, quasi estraneo al procedimento e comunque posto in essere non in sua finalità come ad
esempio il diario della persona offesa, o anche documenti transfrontalieri per cui è posta apposita disciplina.

Il documento spesso contiene dichiarazioni, sorgerebbe quindi spontaneo credere che esso abbia valore
probatorio: non è stato però così semplice arrivarci, difatti vi era un orientamento dottrinale secondo cui il
documento contenente una dichiarazione non fosse utilizzabile come prova del fatto narrato, in quanto
palesemente contrario al principio di oralità… tale orientamento è stato però smentito definitivamente dalla
Corte Costituzionale che nel 1992 si è pronunciata con la sentenza n. 142, interamente dedicata alla tematica,
affermando che, non ponendo l’art. 234 alcuna distinzione tra rappresentazione di fatti e rappresentazione di
dichiarazioni, il documento contenente una dichiarazione potesse costituire prova del fatto in essa
rappresentato. Quindi il documento può essere ammesso come prova ed ha valore probatorio. Ad ogni modo
occorre tuttavia fare però un richiamo al limite costituzionale posto ex art. 111.4, il quale sancisce il principio del
diritto dell’imputato a confrontarsi con l’autore della dichiarazione anche se quest’ultima è contenuta in un
documento.

La prova documentale può essere valutata dal giudice nella sua attendibilità e credibilità, esclusivamente
qualora sia noto l’autore del documento stesso a cui eventualmente porre ex art. 194.2 delle domande a ciò
finalizzate… occorre pertanto individuarlo altrimenti, qualora sia ignoto, o come dice Tonini non identificabile,
non sarà possibile una verifica del genere essendo non solo impossibile ricercare gli elementi di prova che
servono a valutare la credibilità, ma anche perché sarà palesemente violato il diritto dell’imputato a confrontarsi
con il suo accusatore. Ad un primo approccio Tonini definisce anonima quella rappresentazione della quale non è
identificabile l’autore… essendo quindi l’autore del documento non identificabile, il documento può definirsi
anonimo ed il codice prevede per esso un’apposita disciplina secondo cui: nel solo caso in cui si sia in presenza di
una dichiarazione anonima, essa è inutilizzabile; mentre se invece il documento contiene una rappresentazione

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diversa dalla dichiarazione, come ad esempio una foto, il codice non dà regolamentazione, per cui possono
essere utilizzati; ancora, mentre se il documento è misto e quindi contenente sia una dichiarazione sia una
rappresentazione differente da quest’ultima, esso sarà utilizzabile in quella parte di rappresentazione che non
consiste in una dichiarazione. Il codice prevede inoltre che il documento, se ne deve essere provata la
provenienza, può essere sottoposto alle parti private o ai testimoni: da ciò è deducibile che il documento cessi di
essere anonimo quando il suo autore ne riconosca la paternità e che da questo momento, essendo appunto
riconosciuto, esso diviene quindi utilizzabile. Un caso peculiare è quello dell’assenza della sottoscrizione oppure
della sottoscrizione illeggibile o di fantasia: si tratta in tal caso di un documento c.d. formalmente anonimo, per
cui occorre riconoscimento affinché possa avere valore probatorio… difatti la mancata sottoscrizione col proprio
nome dimostra che l’autore non abbia voluto impegnare la propria responsabilità nel fare una determinata
dichiarazione, o peggio che volesse nascondere qualcosa. Il codice prevede due eccezioni al divieto di utilizzare il
documento anonimo e quindi contenente dichiarazioni anonime: sono utilizzabili quelle dichiarazioni che
costituiscono corpo del reato, il quale deve sempre essere acquisito al procedimento ex art. 235, o che
comunque provengono dall’imputato ex art. 240.1 anche se sarà difficile dimostrarne l’attendibilità considerato
il modus in cui egli ne è venuto in possesso.

Occorre brevemente soffermarsi sulla disciplina che il codice prevede per determinati documenti: esso tratta
infatti in modo approfondito di documenti di cui è vietata l’acquisizione e documenti di cui è obbligatoria
l’acquisizione.

➢ È vietata l’acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico
introno ai fatti di cui si tratta nel processo, documenti concernenti la moralità delle persone. Per quanto
riguarda i documenti sul giudizio di personalità dell’imputato e della persona offesa, sono
tassativamente indicati all’art. 236 e sono: certificati casello giudiziale, documentazione esistente presso
gli uffici del servizio sociale e della magistratura di sorveglianza, sentenze irrevocabili del giudice italiano
e del giudice straniero.
➢ È invece obbligatoria l’acquisizione dei documenti che costituiscono corpo del reato qualunque sia la
persona che li abbia formati o li detenga ex art. 235 e qualsiasi documento proveniente dall’imputato
che ne è anche l’autore, anche se è sequestrato presso altri o da altri prodotto ex art. 237.

Tonini procede poi soffermandosi sulla possibilità di utilizzare atti di altri procedimenti: è infatti possibile
acquisire le prove che sono state raccolte in un altro procedimento penale o civile… ex art. 238 si ricava che gli
atti di un altro procedimento, sono formalmente considerati un documento e seguono un regime di utilizzabilità
simile a quello che vige per la documentazione degli atti assunti fuori dal dibattimento.

Andando più a fondo nella disciplina, sempre a partire dall’art. 238 è facile dedurre che ci sia un diverso regime a
seconda che gli atti assunti nel procedimento a quo siano ripetibili o non ripetibili in quello ad quem…

➢ Per quanto riguarda gli atti non ripetibili i verbali ad essi relativi sono utilizzabili in due ipotesi:
accertamenti tecnici non ripetibili o casi di ripetibilità sopravvenuta, dovuta a circostanze non
prevedibili nel momento in cui l’atto è stato compiuto (verbali di sommarie informazioni rese da un
possibile testimone successivamente deceduto).
➢ In relazione agli atti ripetibili nel procedimento ad quem l’art. 238 effettua una ulteriore distinzione tra i
verbali di dichiarazioni a loro volta suddivisibili in base alla sede in cui esse sono assunte e quelli di prove
non dichiarative.
• I verbali delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini sono utilizzabili se l’imputato vi consente o,
in mancanza, se la persona è esaminata nel procedimento ad quem nei limiti della disciplina delle
contestazioni previste;
• I verbali delle dichiarazioni assunte in incidente probatorio o in dibattimento sono utilizzabili sia
nelle due ipotesi appena menzionate sia in assenza di tali condizioni, se il difensore dell’imputato
del procedimento ad quem ha partecipato all’assunzione della prova;
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• Le dichiarazioni rese in un giudizio civile concluso con sentenza irrevocabile sono utilizzabili contro
l’imputato se nei suoi confronti fa stato la sentenza civile.
• Le prove NON dichiarative ripetibili e che provengano dal procedimento a quo risultano utilizzabili
nel procedimento ad quem soltanto se si tratta di dati raccolti nell’incidente probatorio, nel
dibattimento o nel giudizio civile concluso con sentenza irrevocabile.

La possibilità di utilizzare prove o atti di un altro procedimento incontra un limite generale: difatti le parti del
procedimento ad quem hanno il diritto di ottenere l’esame della persona le cui dichiarazioni sono state
acquisite, purché l’atto sia ripetibile. Anche le sentenze irrevocabili ex art. 238bis possono essere acquisite ai fini
di prova di un fatto in esse accertato, a condizione che però vi siano riscontri esterni atti a confermarne
l’attendibilità e naturalmente le parti sono ammesse a provare ovviamente il contrario: questo istituto venne
introdotto nel 1992 con un’apposita legge finalizzata alla repressione della criminalità mafiosa, in modo che si
potesse avere una semplificazione probatoria evitando che all’interno di ogni processo per i reati-scopo si
dovesse provare nuovamente l’esistenza del reato associativo e quindi risparmiare tempo.

In ultima battuta e concludendo l’esame dei mezzi di prova, Tonini analizza la disciplina relativa ai documenti
illeciti che può essere essenzialmente sintetizzata in un’inutilizzabilità rafforzata più obbligo di distruzione per i
documenti provenienti da spionaggio e dossieraggio illeciti… definiamo queste due accezioni per poi passare alla
relativa disciplina.

➢ Con spionaggio illecito indichiamo i dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi a traffico
telefonico e telematico, illegalmente formati o acquisiti;
➢ Con dossieraggio illecito indichiamo documenti formati attraverso la raccolta illegale di informazioni.

In relazione a questi due documenti il PM deve disporre l’immediata secretazione e custodia in luogo protetto, è
inoltre vietato effettuarne copie, pertanto come deducibile sono inutilizzabili e successivamente è disposta la
procedura di distruzione. Secondo la giurisprudenza costituzionale, la distruzione è un rimedio d’emergenza,
indispensabile per tutelare il diritto alla riservatezza contro indebite diffusioni mediatiche di informazioni
delicate. Le operazioni di distruzione si svolgono nel contraddittorio tra le parti: difatti entro 24h dalla richiesta
del PM viene fissata un’udienza in camera di consiglio da svolgersi nei 10 gg. successivi a ciò preposta ed almeno
tre giorni prima del suo svolgimento, previo avviso alle parti quest’ultime possono nominare un difensore di
fiducia. Nel caso di corpo del reato, il verbale sostitutivo del corpo del reato è un surrogato di quel corpo del
reato che deve essere distrutto e costituisce una prova sostitutiva. La detenzione consapevole del materiale
illegale in relazione al quale sia già stata disposta la distruzione costituisce reato.

P2, C5 – I Mezzi di ricerca della prova (libro)

Il codice definisce mezzi di ricerca della prova le ispezioni, le perquisizioni, i sequestri e le intercettazioni di
comunicazioni e, da quanto deduciamo dalla Relazione al progetto preliminare, sono ovviamente diversi dai
mezzi di prova.

Mezzi di prova Mezzi di ricerca della prova


Si caratterizzano In quanto offrono al giudice Per il fatto che non sono di per sé
risultanze probatorie fonte di convincimento, ma
direttamente utilizzabili in sede di rendono possibile acquisire cose
decisione. materiali, tracce o dichiarazioni
dotate di attitudine probatoria.
In seguito all’esperimento dei Si forma l’elemento probatorio. Entra nel procedimento un
elemento probatorio che preesiste
allo svolgersi del mezzo stesso.
Possono essere assunti/disposti Soltanto davanti al giudice nel Dal giudice, dal Pubblico Ministero
dibattimento o nell’incidente e, in alcune ipotesi, dalla polizia

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probatorio. giudiziaria durante le indagini
preliminari.
Conoscibilità per le parti Possono essere assunti, in via si basano, di regola, sul fattore
eccezionale, durante le indagini sorpresa e, perciò, non consentono
preliminari soltanto con la piena il preventivo avviso al difensore
garanzia del contraddittorio dell’indagato quando sono compiuti
mediante l’istituto dell’incidente durante le indagini.
probatorio.

Dobbiamo fare un discorso a parte per quanto riguarda i mezzi di ricerca della prova informatica, i quali
necessitano di un'apposita regolamentazione oggi per la maggior parte tracciata dalle norme del codice
modificata nel 2008 da un'apposita legge. Prima di questa legge l'ispezione la perquisizione e il sequestro di un
sistema o di un supporto informatico venivano ritenuti dei mezzi atipici di ricerca della prova, con la riforma la
situazione si è ribaltata: ad oggi non si può più parlare di mezzi atipici essendo stato ricondotti nell'alveo dei
mezzi tipici di ricerca della prova sia la perquisizione che l'ispezione e il sequestro di ogni sistema supporto
informatico con opportuni adeguamenti. Più che adeguamenti si tratta di 5 garanzie fondamentali che
dovrebbero essere attuate in ognuno dei mezzi di ricerca della prova: il dovere di conservare inalterato il dato
informatico originale nella sua genuinità; il dovere di impedire l'alterazione successiva del dato originale; il
dovere di formare una copia che assicuri la conformità del dato informatico acquisito rispetto a quello originale;
il dovere di assicurare la non modificabilità della copia del documento informatico ed infine la garanzia
dell'installazione dei sigilli informatici sui documenti acquisiti. Purtroppo questa legge non è stata sistematica,
difatti, a causa della fretta con la quale è stata approvata, il Parlamento si è dimenticato di un'altra delle
garanzie che, devono essere necessarie tutte contemporaneamente nel caso di un mezzo di ricerca della prova
informatica. Tali lacune non trovano alcuna giustificazione se non hai la sommarietà dell'approccio alla
problematica del documento informatico e pertanto, in casi come questo, spetta alla giurisprudenza intervenire
e risolvere i problemi che ne derivano. Procediamo ora analizzando nel dettaglio ispezioni, perquisizioni,
sequestri e le intercettazioni di conversazioni.

Le ispezioni, ex articolo 244, sono un mezzo di ricerca della prova disposto dalle autorità giudiziaria che consiste
nell'osservare e descrivere [essendo questa la sua finalità] persone luoghi e cose allo scopo di accertare le tracce
e gli altri effetti materiali del reato. Se il reato non abbia lasciato tracce o effetti materiali, oppure se questi siano
scomparsi, l'autorità giudiziaria, ove possibile, individua il modo il tempo e le cause di eventuali modificazioni
disponendo rilievi ed operazioni tecniche in relazione anche a sistemi informatici o telematici (adottando tutte le
misure dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e impedire l'alterazione) e addirittura, ove
necessario, impiegando poteri coercitivi nel rispetto di una serie di formalità tra cui quella di disporli con decreto
motivato. Procediamo ora analizzando le due diverse tipologie di ispezione deducibili ex art. 244: l'ispezione
personale e l'ispezione di luoghi o cose.

➢ L'ispezione personale, ex art. 245, ha ad oggetto il corpo di un essere umano vivente o porzioni di esso,
in qualunque parte sia essa visibile o meno e, andando a privare l’uomo di libertà costituzionali
espressamente sancite, vanno rispettate una serie di regole nel porle in essere: in primo luogo, prima
che le ispezioni vengano realizzate, l’interessato deve essere avvertito del potersi avvalere nel loro corso
di un difensore di fiducia qualora questi sia reperibile ed idoneo; inoltre esse devono svolgersi nel pieno
rispetto della dignità e per quanto possibile anche del pudore; un medico può sostituirsi all’autorità
giudiziaria, che in questo caso potrà astenersi dall’assistere alle operazioni.
➢ L'ispezione di luoghi o cose, ex art. 246, le persone che hanno nelle loro disponibilità il luogo devono in
primo luogo ricevere una copia del decreto che autorizza la suddetta operazione e devono
necessariamente essere presenti durante il loro svolgimento tanto che l’autorità giudiziaria, potendo
esercitare la forza pubblica, può anche coattivamente andare a recuperare il soggetto allontanatosi.

Fatta questa preliminare classificazione, dobbiamo ricordare che nelle fasi dell’udienza preliminare o del
dibattimento l’ispezione sia essa personale o comunque riguardante luoghi o cose è disposta dal giudice;
durante le indagini preliminari invece, laddove sussista una situazione di urgenza, è compiuta su iniziativa della
stessa polizia giudiziaria sotto la forma di accertamenti e rilievi esclusivamente sulle persone. È inoltre concesso
anche al p.m. procedere ad un ispezione e potrà farlo personalmente o delegando la polizia giudiziaria allo
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scadere dei termini previsti, purché avvisi con 24h di anticipo il difensore dell’indagato: tali condizioni non
opereranno più [si procede prima del termine e non si avvisa] motivando il tutto a pena di nullità, dal momento
in cui si pensi che, avendosi casi di assoluta urgenza, il ritardo possa pregiudicare la riuscita dell’operazione
stessa, oppure se si abbia il sospetto che possano essere pregiudicati eventuali raccoglimenti delle prove.

Procediamo ora analizzando le perquisizioni che, ex art. 247, consistono nel ricercare una cosa da assicurare al
procedimento o una persona da arrestare. Anche qui avremo diversi tipi di perquisizione: personale, locale e
informatica.

➢ La Perquisizione Personale è disposta quando si ritiene fondatamente che un soggetto occulti sulla
persona il corpo del reato o le cose ad esso pertinenti aventi la funzione quindi di provarlo. In questo
caso, essendo violati dei diritti costituzionalmente sanciti bisogna seguire una precisa normativa: in
primo luogo alla persona deve essere consegnata una copia del decreto con l’avviso di poter ricorrere ad
un difensore di fiducia purché sia reperibile ed idoneo, altrimenti gliene sarà affiancato uno d’ufficio.
➢ La Perquisizione Locale è disposta quando si ritiene fondatamente che tali cose si trovino in un preciso
luogo o che in esso si possa arrestare l’imputato o l’evaso. Anche in questo caso, essendo violati dei
diritti costituzionalmente sanciti bisogna seguire una precisa normativa: in primo luogo alla persona
interessata e a colui che abbia il luogo nelle sue disponibilità, ove presenti, deve essere consegnata una
copia del decreto assieme all’avviso di poter farsi assistere o rappresentare dalla persona di fiducia
purché sia reperibile ed idoneo, altrimenti gliene sarà affiancato uno d’ufficio. Stavolta, differentemente
dal caso dell’ispezione, l’interessato può farsi rappresentare dalla persona di fiducia. Quanto rinvenuto
da tale perquisizione, se costituisce corpo del reato o vi è comunque pertinenza, ex art. 252, va
sottoposto a sequestro; se si trova la persona ricercata si procede al suo arresto o fermo.
➢ La Perquisizione Informatica è disposta quando si ritiene fondatamente che dati, informazioni,
programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato si trovino in un sistema informatico o
telematico e che pertanto, essendo di facile coartazione, debbano essere presi provvedimenti idonei ad
assicurarne la conservazione dell’originale impedendone anche successive modificazioni o alterazioni.

Dal momento in cui si cerchi una cosa determinata, ex art. 248, è prevista una modalità meno invasiva della
perquisizione: difatti l’autorità giudiziaria si limita inizialmente ad invitare il soggetto alla consegna e qualora
questo la consegni non ci sarà bisogno di procedere alla perquisizione, a meno che non sia ritenuto necessario ai
fini delle indagini conoscere anche il luogo in cui la res si trovava.

Le perquisizioni possono essere disposte dal giudice nelle fasi dell’udienza preliminare e nel dibattimento o dal
p.m., personalmente o mediante delega ad un ufficiale di polizia giudiziaria, durante le indagini preliminari in
entrambi i casi con decreto motivato tale da attestare la presenza di indizi sufficienti per procedere in tal senso o
personalmente o mediante delega ad un ufficiale della polizia giudiziaria. In ultima battuta Tonini ricorda che
anche la polizia giudiziaria può disporre di propria iniziativa delle perquisizioni, siano esse locali o personali, ma
soltanto in casi in cui si abbia flagranza di reato o nel caso di evasione: in questo caso l’indagato dovrà essere
informato della possibilità di essere assistito da una persona di fiducia, la quale potrà intervenire all’atto; l’intera
perquisizione verrà verbalizzata e trasmessa al p.m. del luogo in cui essa è stata eseguita in modo da decidere se
convalidarla o meno nelle successive 48h ove ricorrano i presupposti necessari. Fin qui abbiamo parlato di
perquisizioni presso indagati, ma ciò non toglie che possano avvenire anche presso i loro stessi difensori: è infatti
prevista in merito una disciplina ad hoc.

Abbiamo poi il sequestro probatorio. Il codice prevede tre diverse forme di sequestro, ma solo quello probatorio,
differentemente da quello preventivo e conservativo, è collocabile tra i mezzi di ricerca della prova, essendo gli
altri delle misure cautelari come deducibile dalla relazione al progetto preliminare data la loro maggiore
incisività sui diritti soggettivi. Nonostante si tratti di cose diverse, tutti questi tipi di sequestro hanno una
peculiare caratteristica comune: creano un vincolo di indisponibilità su una cosa mobile o immobile attraverso
uno spossessamento coattivo. Fatte queste premesse, andiamo ad analizzare nel dettaglio il caso del sequestro
probatorio.

Il sequestro probatorio, ex articolo 253 c.p.p., consiste nell'assicurare una cosa mobile o immobile al
procedimento mediante lo spossessamento coattivo della cosa e la creazione di un vincolo di indisponibilità sulla
medesima in modo da conservare immutate le sue caratteristiche al fine dell'accertamento dei fatti, quindi in
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altre parole per finalità probatorie. Purché possa essere compiuto sequestro probatorio dovranno essere
soddisfatti necessariamente dei requisiti: prima di tutto un requisito naturalistico in virtù del quale la cosa
sequestrata deve essere un bene materiale, in secondo luogo va rispettato anche un requisito giuridico in virtù
del quale la cosa sequestrata deve essere il corpo del reato o comunque un qualcosa di inerente ad esso ed
infine la cosa sequestrata deve essere necessaria per l'accertamento dei fatti. Passando al profilo della
regolamentazione, il sequestro è un atto a sorpresa ed in quanto tale chi lo pone in essere non è tenuto ad
avvisare prima l'interessato, né l'indagato: una volta giunti presso di loro, ove presenti, essi si vedranno
consegnata la copia del decreto di sequestro e dovranno essere obbligatoriamente informati del fatto che
possano farsi assistere dal loro difensore di fiducia ed il sequestro sarà mantenuto fino a quando esisteranno le
esigenze probatorie con limite massimo alla sentenza irrevocabile, dopodiché la cosa sequestrata va restituita a
meno che non sia stata confiscata. Il sequestro probatorio può essere convertito in preventivo o conservativo,
dal momento in cui venga emesso un provvedimento autonomo rispondente ai requisiti e alle finalità del nuovo
tipo di sequestro che sarà emesso dal giudice su richiesta del soggetto rispettivamente legittimato. Nelle fasi
dell'udienza preliminare e del dibattimento il sequestro sarà ovviamente disposto dal giudice con decreto
motivato, mentre nel corso delle indagini preliminari spetterà di regola al pubblico ministero farlo, essendo in
casi di urgenza compito alla polizia giudiziaria provvedere di propria iniziativa in modo da adempiere all'obbligo
di curare e conservare le tracce o le cose pertinenti al reato fino al suo eventuale intervento, oppure, qualora
egli non intervenga, gli trasmetteranno il verbale del sequestro in modo che possa eventualmente, ove ne
ricorrano i requisiti, convalidarlo sempre con decreto motivato nelle successive 48h. Contro tale decreto di
convalida del sequestro o contro lo stesso decreto che dispone il sequestro, o l'indagato o la persona alla quale
le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre richiesta di
riesame al Tribunale collegiale del capoluogo della provincia nella quale ha sede l'ufficio che ha emesso il
provvedimento, in modo da discutere la questione relativamente alla legittimità o al merito del provvedimento
in modo da decidere se mantenere o meno il sequestro. Dal momento in cui la cosa da sequestrare si trovi nella
disponibilità di persone tenute al segreto professionale d'ufficio o di Stato, l'autorità giudiziaria non può disporre
il sequestro in via immediata, ma deve chiedere preliminarmente la consegna della cosa da ricercare: dinnanzi a
tale richiesta la persona tenuta al segreto ha un immediato dovere di esibizione e di consegna, a cui può però
opporre un rifiuto, ma soltanto qualora dichiari per iscritto l'esistenza di un segreto inerente alla propria
professione o al proprio ufficio. Difatti in merito alla decisione sull'esistenza del segreto spetterà ad un giudice
penale decidere se si tratti di un segreto professionale o di ufficio, o addirittura il Presidente del Consiglio dei
Ministri se si tratta di un qualcosa soggetto a segreto di stato. È inoltre possibile che venga esperito sequestro
presso le banche, qualora l'autorità giudiziaria voglia esaminare atti documenti e corrispondenza o dati
informatici per rintracciare cose da sottoporre a sequestro o per accertare altre circostanze utili alle indagini,
pertanto l'autorità giudiziaria è tenuta a richiedere di esibire o di consegnare il tutto e qualora opponga alla
banca un rifiuto essa potrà procedere personalmente alla perquisizione. Altro caso da ricordare è quel tipo di
sequestro che può essere posto presto coloro che forniscono servizi postali, telegrafici, telematici o di
telecomunicazione per quanto concerne la corrispondenza, in quanto l'autorità giudiziaria ritenga che possa
essere spedita dall'imputato o comunque a lui diretta, oppure se tale corrispondenza possa avere una qualche
relazione con il reato, ovviamente tali elementi devono essere consegnati senza aprirli o alterarli e senza
prendere conoscenza del loro contenuto. Ancora un altro caso da ricordare è quello deducibile dalla legge n. 48
del 2008 è il sequestro di un computer o di un documento informatico: va precisato che il sequestro probatorio
non riguarda personalmente l'oggetto, bensì il documento informatico che da loro ne è tratto sotto forma di
copia clone che diventerà quindi così oggetto del sequestro. Ultimo caso da ricordare è quello del sequestro di
dati informatici presso fornitori di servizi informatici, telematici e di telecomunicazioni per quanto riguarda i dati
da loro detenuti mediante copia da parte dell'autorità giudiziaria con una procedura che assicuri la conformità
dei dati acquisiti a quelli originali e la loro immodificabilità la cui tutela e ordinata al loro stesso fornitore. Le cose
sequestrate sono affidate in custodia alla cancelleria o la segreteria: quando ciò non è possibile, o comunque
non è opportuno farlo, l'autorità giudiziaria dispone che la custodia avvenga in un luogo diverso determinandone
i modi e nominando un altro custode il quale, dal momento in cui si tratta di dati informazioni programmi
informatici, sarà anche tenuto a impedire l'alterazione o l'accesso da parte di terzi, a meno che non sia
diversamente disposto.

Proseguiamo ora analizzando il caso delle intercettazioni, che possono essere disposte in merito a conversazioni
o comunicazioni. Nel codice paradossalmente non si trova alcuna definizione di intercettazione, poiché tale
situazione mette in luce una limitazione che dovrebbe essere effettivamente prevista per legge: come sappiamo
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infatti l'articolo 15 della carta costituzionale sancisce che la libertà sia inviolabile, ma che effettivamente qualche
limitazione possa essere effettuata purché sia la legge a disporla. Si tratta in questo caso non solo di una riserva
di legge rinforzata dal momento che comunque devono essere stabilite garanzie con le norme che prevedono le
limitazioni alla libertà e segretezza della corrispondenza delle comunicazioni, ma si ritiene tradizionalmente che
tale articolo opponga anche una riserva di giurisdizione ritenendo la giurisprudenza costituzionale che soltanto
con un provvedimento del giudice l'intercettazione possa essere autorizzata. Il problema sulla definizione di
intercettazione è stato risolto dalla giurisprudenza di legittimità che ne ha fornita una, da cui è possibile
ricavarne anche i suoi requisiti: l'intercettazione è quella captazione ottenuta mediante strumenti tecnici di
registrazione del contenuto di una conversazione o di una comunicazione segreta in corso tra due o più persone,
quando l'apprensione medesima è operata da parte di un soggetto che nasconde la sua presenza agli
interlocutori; i requisiti saranno quindi comunicazione conversazione segreta, strumenti di captazione, terzietà e
clandestinità. Procediamo alla loro analisi.

• La comunicazione o la conversazione deve essere segreta e pertanto i soggetti devono comunicare tra
loro osservando modalità aventi il preciso intento di escludere estranei dal contenuto;
• Il soggetto che intercetta deve usare strumenti di captazione idonei a superare le cautele elementari,
permettendogli di registrare quanto detto tra i due soggetti;
• Per quanto riguarda l'ultimo requisito il soggetto captante deve essere assolutamente estraneo, terzo, al
colloquio e deve operare in modo clandestino.

L’intercettazione può essere compiuta soltanto per iniziativa del pubblico ministero e su autorizzazione del
giudice per le indagini preliminari nei casi e nei modi previsti dalla legge e potrà avere oggetto: conversazioni o
comunicazioni telefoniche e altre forme di telecomunicazione ex articolo 266, oppure il flusso di comunicazioni
relativo a sistemi informatici o telematici ex articolo 266 bis, ed infine, ex articolo 266 comma 2, le
comunicazioni e conversazioni tra presenti meglio note come intercettazioni ambientali [pertanto non saranno
intercettazioni il pedinamento mediante GPS non aventi ad oggetto una comunicazione, oppure anche
l'acquisizione di tabulati del traffico telefonico ho anche la registrazione fonografica occultamente seguita da
uno degli interlocutori].

Come poc'anzi accennato l'articolo 15 della Costituzione pone una riserva di giurisdizione e, in ossequio a
quest'ultima, le intercettazioni devono essere autorizzate dal giudice per le indagini preliminari con decreto
motivato (come poi ribadisce anche l'articolo 267 del Codice di Procedura Penale), anche se nella prassi lo
strumento della motivazione è stato svalutato considerato che spesso e volentieri il giudice stesso, invece di
andare a riportare i requisiti necessari previsti dal legislatore nel rispetto della riserva di legge, si limitava a
riportare i motivi posti dal soggetto legittimato a richiederle, ovvero il pubblico ministero che procede alle
indagini, insomma una motivazione per relationem (poi appurata dalla Corte di Cassazione a SS.UU. solo per
determinati casi). Per quanto concerne proprio i requisiti necessari per disporre all'intercettazione, il legislatore
li sancisce in base al tipo di reato oggetto del singolo procedimento e possono essere raggruppati nelle categorie
dei reati intercettabili, del quantum di prova e dei termini di durata. Prima di andare a vedere ciò nel dettaglio
dobbiamo ricordare il cambiamento epocale che ha subito la disciplina delle intercettazioni in seguito al d.lgs n.
216 del 2017 emanato dal Governo sulla base della delega contenuta nella c.d. Riforma Orlando: si trattava
sostanzialmente di bilanciare diverse esigenze e quindi di garantire contestualmente non solo efficienza
investigativa ma anche riservatezza delle persone coinvolte dalle operazioni di intercettazione e libertà di
stampa con il commesso diritto all'informazione. L'entrata in vigore di queste disposizioni era originariamente
prevista per il 26 luglio 2018, però è stata posticipata con il decreto legge numero 91 del 2018 in corso di
conversione ed è prevista per le operazioni di intercettazione relative a provvedimenti autorizzativi emessi dopo
il 31 marzo 2019. La novità più importante che si rileva dalla modifica, riguarda la regolamentazione del
captatore informatico con cui è possibile svolgere non solo intercettazioni tra presenti, ma anche vere e proprie
perquisizioni all’interno di un dispositivo collegato in rete: si tratta di uno strumento ormai fondamentale per la
buona riuscita delle indagini, considerato che la criminalità organizzata adotta tecniche di elusione sempre più al
passo i tempi tanto da non permettere alcun accesso alle loro comunicazioni mettendo fuori gioco le tradizionali
intercettazioni c.d. passive. Detto ciò passiamo ad analizzare i requisiti per disporre le intercettazioni che, come
abbiamo detto, vengono sanciti in base al tipo di reato oggetto del singolo procedimento e possono essere
raggruppati nelle categorie dei reati intercettabili, del quantum di prova e dei termini di durata. Procediamo per
gradi analizzando i singoli casi. In primo luogo con il d.lgs. n. 216 bisogna distinguere tra: procedimenti per reati

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comuni, procedimenti per reati di criminalità organizzata o equiparati e procedimenti per i più gravi reati contro
la P.A. commessi dai pubblici ufficiali.

Requisiti concernenti Requisiti concernenti Requisiti concernenti


procedimenti per reati procedimenti per reati di procedimenti per i più
comuni criminalità organizzata o gravi reati contro la P.A.
equiparati commessi dai pubblici
ufficiali
Reati intercettabili ex art. 266.1 si tratta sia di ex art. 13 d.l. 1991 n.152, Delitti dei pubblici ufficiali
fattispecie di una qualche • delitti di contro la pubblica
gravità (delitti dolosi o criminalità amministrazione puniti
preterintenzionali puniti con organizzata; con pena della reclusione
una pena > nel max di 5 • la minaccia col non inferiore nel max a 5
anni), quanto di altre meno mezzo del anni, determinata a norma
gravi, ma comunque odiose, telefono; dell’art. 4 c.p.p.
il cui svolgimento, anche • il terrorismo
telematico ex art. 266bis, anche
implica che possano essere internazionale;
scoperte medianti tali mezzi • i delitti contro la
(calunnia, minaccia, usura libertà individuale.
ecc.).
Requisiti probatori. gravi indizi di reato ex art. Risultano attenuati: non Si riprende quanto detto in
Purché possano 267 che constatino gravi, ma sufficienti indizi tema di requisiti
essere disposte l’effettiva commissione di di reato + intercettazioni concernenti procedimenti
intercettazioni, uno dei reati predetti + come strumento per reati di criminalità
dovranno sussistere.. indispensabilità delle necessario, ma non organizzata o equiparati
intercettazioni indispensabile rinviandovi l’art.6.1 del
d.lgs. n. 216
Termini di durata Max 15 giorni, prorogabili di Max 40, prorogabili di altri Si riprende quanto detto in
altri 15 dal giudice con 20 dal giudice o anche dal tema di requisiti
decreto se sussistano ancora p.m. per urgenza a mezzo concernenti procedimenti
le precedenti condizioni provvedimento da per reati di criminalità
convalidare organizzata o equiparati
rinviandovi l’art.6.1 del
d.lgs. n. 216
Intercettazioni perfino presso il domicilio perfino presso il domicilio Si riprende quanto detto in
ambientali potranno privato, ove soltanto però si privato, anche se non si tema di requisiti
essere esplicate abbia fondato motivo di abbia fondato motivo di concernenti procedimenti
credere che al suo interno si credere che al suo interno per reati di criminalità
stia svolgendo l’attività si stia svolgendo l’attività organizzata o equiparati
criminosa criminosa rinviandovi l’art.6.1 del
d.lgs. n. 216
Uso del captatore Mediante inserimento su un sempre mediante Unica differenza rispetto ai
informatico è dispositivo elettronico inserimento su un requisiti per i reati di
concesso nel portatile, ma ciò deve essere dispositivo elettronico criminalità organizzata o
domicilio privato motivato attraverso portatile, per i reati ex art. equiparati si ha in merito a
apposito decreto nei minimi 51 comma 3bis/quater; ciò: esso sarà ammesso
particolari, ripotando il qualora invece si tratti di soltanto ove però si abbia
motivo per cui siano reati non inclusi in tali fondato motivo di credere
insufficienti i mezzi commi bisognerà motivare che al suo interno si stia
tradizionali e tutta una serie come mai si ritenga esserci svolgendo l’attività
di informazioni in merito a un fondato motivo di criminosa.
tempo e luogo di attivazione credere che si stia
del microfono. svolgendo l’attività
criminosa.
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Il d.lgs. n. 216 del 2017 (riforma Orlando) ha profondamente modificato le intercettazioni anche dal punto di
vista del procedimento esecutivo, per il semplice fatto che voleva porre fine ad un fenomeno dilagante negli
anni ottanta: la pubblicazione di intercettazioni in piena violazione non solo del relativo articolo del codice per
cui era addirittura prevista una pena, ma anche di principi fondamentali come quello alla riservatezza e
dell’onorabilità delle persone accusate o estranee alla vicenda. Con questo d.lgs., sulla base di alcune circolari
emanate tra 2016 e 2017 dalle principali procure italiane, il legislatore ha mosso i suoi passi verso una soluzione
ed ha realizzato una serie di strumenti volte al conseguimento dell’obiettivo voluto. Analizziamoli.

• Strumento processuale fondamentale è stato quello della “selezione all’origine”, in virtù del quale
andava fatta una cernita, in prima battuta da polizia giudiziaria + p.m. e poi, in secondo luogo e
definitivamente, dal giudice, delle sole comunicazioni ricavate dalle intercettazioni che fossero rilevanti
per poi trascriverle.
• Inoltre abbiamo anche uno strumento tecnico, una archivio riservato presso il p.m. in cui conservare
tutte le intercettazioni i verbali e le annotazioni.
• Infine va ricordato un ultimo strumento, stavolta strettamente giuridico: esso consiste nella distinzione
tra deposito presso la segreteria del p.m. e il tradizionale inserimento nel fascicolo delle indagini ad
opera del GUP.

Questi strumenti insieme costituiscono un congegno quanto mai complesso, rimesso al corretto comportamento
degli operatori e del funzionamento delle norme sulla deontologia professionale dei medesimi che non porta
però ad una soluzione totale: questo perché non sono state sanzionate, nemmeno civilmente, le aggressioni alla
presunzione di innocenza dell’indagato, un principio che, seppur fondamentale, non è minimamente menzionato
nella riforma Orlando. Fatto questo introduttivo discorso, procediamo ora analizzando nel dettaglio il
procedimento di esecuzione delle intercettazioni seguendo la classificazione che abbiamo fatto poc’anzi
delineato avente ad oggetto reati comuni, reati di criminalità organizzata o equiparati e i più gravi reati contro la
P.A. commessi dai pubblici ufficiali.

Per quanto riguarda i reati comuni, di regola ex Articolo 267.1 l'unico soggetto legittimato a chiedere al giudice
per le indagini preliminari autorizzazione a disporre le intercettazioni è il pubblico ministero: questi rivolgendosi
a quest'ultimo dovrà poi elencare i presupposti che ritiene a fondamento della sua richiesta, la quale potrà tanto
essere accolta mediante decreto motivato, quanto rigettata. In casi urgenti le intercettazioni possono essere
disposte anche dal pubblico ministero, sempre mediante decreto motivato che dovrà entro 24h essere rinviato
al giudice in modo da permettergli di convalidarli entro 48 ore (in caso di mancata convalida intercettazione Non
può essere proseguita ed i risultati non possono essere utilizzati). Il decreto con cui vengono disposte le
intercettazioni deve regolare le modalità e la durata delle operazioni. che possono essere svolte dal pubblico
ministero personalmente o avvalendosi di un ufficiale di polizia giudiziaria: per quanto riguarda le modalità
stiamo facendo riferimento non solo ai numeri telefonici ai dispositivi da controllare, ma anche ai mezzi di cui ci
si dovrà servire per svolgere ovvero gli impianti installati nella procura della repubblica A meno che non siano
sufficienti idonei o sussistono eccezionali ragioni di urgenza si ricorrerà al impianti di pubblico servizio presso la
polizia giudiziaria. Ciò premesso, nella prassi le operazioni di intercettazione sono distribuite presso i seguenti
uffici: la captazione è compiuta presso l'operatore telefonico, la registrazione è svolta presso la Procura della
Repubblica o l'altro ufficio indicato dal pubblico ministero qualora questo sia inidoneo con decreto motivato ed
infine l'ascolto che viene effettuato presso gli uffici di polizia giudiziaria con redazione di verbali sommari. Come
sappiamo per quanto riguarda le intercettazioni esse devono avere un limite ben preciso: per quanto riguarda i
reati comuni pari a 15 giorni prorogabili dal momento in cui sussistano particolari situazioni di altri 15, mentre
negli altri casi devono durare massimo 40 giorni con la possibilità di poter essere prorogati per altri 20. Le utenze
intercettabili sono una categoria quanto mai varia e in base a quanto previsto dal Codice. possono esserlo quelle
degli indagati ai testimoni e a persone che pur estranei ai fatti possono essere destinatari di comunicazioni
provenienti da indagati o da testimoni.

Disposte le intercettazioni e realizzatele, ex art. 268 c.p.p. va redatto un verbale, anche sommariamente ex
comma 2 [realizzando il c.d. verbale sommario o brogliaccio], di quanto ricavato: la polizia giudiziaria provvede in
prima battuta a fare una selezione tra conversazioni rilevanti e non rilevanti ai fini delle indagini per l’oggetto o i
soggetti coinvolti, non potendo trascrivere le seconde ex comma 2bis anche se si tratti di dati sensibili, ma
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esclusivamente le prime al massimo indicando data ora e dispositivo utilizzato. Quanto ritenuto irrilevante è
comunque appuntato a mezzo annotazione ed il tutto viene girato al p.m., in constante collaborazione con la
polizia giudiziaria, in modo che possa anche lui procedere dal canto suo ad una selezione, ammettendo in alcuni
casi anche la c.d. trascrizione coatta nel caso in cui ritenga rilevante quanto ritenuto irrilevante dai precedenti in
tema di dati non sensibili oppure necessario quanto ritenuto inutile dai precedenti in tema di dati sensibili.
Terminate le intercettazioni, verbali e registrazioni vanno trasmesse al p.m. e presso l’archivio riservato, istituto
con la riforma Orlando, dove saranno custodite secondo una rigidissima regolamentazione in tema di segreto in
virtù della quale vanno costantemente annotati i relativi accessi ad esso: dal momento in cui però le indagini
risultino molto complesse il p.m. potrà differire la trasmissione degli atti presso l’archivio, permettendo così alla
polizia giudiziaria di continuare ad esercitare le proprie funzioni e valutare le risultanze, il tutto però va fatto nel
pieno rispetto del vincolo del segreto materiale regolamentato in concreto dal pubblico ministero.

Al termine delle operazioni, entro 5 giorni eventualmente prorogabili qualora il caso sia particolarmente grave, il
pubblico ministero è tenuto ai fini della decisione del giudice ad effettuare il deposito di una serie di documenti,
tra cui: annotazioni, verbali, registrazioni, decreti di autorizzazione convalida o proroga delle intercettazioni ed
infine un elenco delle comunicazioni che gli ritiene rilevanti ai fini di prova. Dopo aver depositato il tutto il
pubblico ministero dovrà comunicarlo ai difensori delle parti, in modo che possano prenderne visione o
comunque ascoltarle: una volta ricevuto l'avviso i difensori entro 10 giorni, prorogabili dal giudice di altri 10 in
casi gravi o complessi, potranno accedere all'archivio riservato al fine di esaminare gli atti, prendere visione
dell'elenco delle intercettazioni ritenute rilevanti dal pubblico ministero ed eventualmente di ascoltarle ma
senza poterne fare una copia oppure potranno chiedere l'acquisizione delle comunicazioni che considerano loro
stessi rilevanti ai fini di prova non comprese nell'elenco formato dal pubblico ministero ed infine possono
chiedere l'eliminazione delle comunicazioni Ivi indicate che ritengono inutilizzabili o di cui è vietata la
trascrizione anche sommariamente verbale in quanto irrilevanti. Eventuali richieste verranno poi depositate
nella segreteria del pubblico ministero che le trasmetterà al giudice, con possibilità di integrarle fino a che questi
si pronunci. Il codice ha previsto un caso in cui la conoscibilità in favore del difensore fa cadere il segreto Interno
nei confronti di questi mentre verso l'esterno le intercettazioni restano segrete fino a che non vengono acquisite
al fascicolo delle indagini. ciò accade in via definitiva con ordinanza di acquisizione del giudice è in via provvisoria
con lato del pubblico ministero con cui il medesimo dopo che la misura cautelare è stata eseguita inserisci i
verbali delle intercettazioni rilevanti nel fascicolo delle indagini.

Passiamo quindi alla fase della decisione del giudice sulle richieste delle parti, una tematica in cui principalmente
si denotano le innovazioni rispetto al passato adoperate con la riforma Orlando: il giudice per le indagini
preliminari si vede attribuita una vera e propria competenza funzionale, difatti, fissata la c.d. udienza di stralcio,
sarà chiamato a decidere in camera di consiglio a mezzo ordinanza, entro un termine ordinatorio di 5 giorni,
quali parti dell’intercettazione stralciare.

Durante l'udienza preliminare le parti possono chiedere che siano inseriti nel fascicolo delle indagini le
conversazioni o comunicazioni intercettate che non siano state acquisite in precedenza. Infatti Può accadere che
nelle registrazioni valutate come non rilevanti al momento delle indagini appaiano successivamente decisive ai
fini della sentenza di non luogo a procedere. Ove il giudice accolga la richiesta di inserimento del fascicolo delle
indagini si applicano in quanto compatibili le norme sul cd incidente di stralcio previsto agli articoli 268 ter e
quater.

Dobbiamo analizzare la normativa speciale per le intercettazioni utilizzate al fine di emettere le misure cautelari:
è possibile che infatti i verbali delle intercettazioni vengano utilizzati in via del tutto strumentale all’emissione di
una misura cautelare. Il pubblico ministero quindi farà esplicita richiesta al giudice e, nel rispetto della privacy,
dovrà riprodurre soltanto se ce ne sia il bisogno i brani essenziali riportati nei verbali e sarà segreta, ma una volta
che sarà eseguita la misura il difensore ha diritto di conoscere gli elementi in base al quale è stata disposta e fare
relativo verbale. Anche il giudice nell’accettare eventualmente tale richiesta dovrà, ove necessario, riprodurre
soltanto se ce ne sia il bisogno i brani essenziali riportati nei verbali e nel trasmettere l’ordinanza di esecuzione
dovrà restituire al p.m. quanto ritenuto irrilevante o inutilizzabile. Dopo che sia stata eseguita la misura
cautelare devono essere depositatati gli atti presentati al giudice, ma depurati delle intercettazioni non rilevanti
o inutilizzabili.

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Fatta questa deviazione, torniamo all’ordinario procedimento. Una volta depositate in base alla riforma
Orlando le intercettazioni, su richiesta di parte al giudice vanno trascritte in modo che se ne possa poi
tranquillamente ricavare una copia.

In alcuni casi le intercettazioni non possono essere utilizzate e vanno di conseguenza distrutte oltre che
verbalizzate relativamente qualora costituisca corpo del reato: qualora siano state eseguite fuori dai casi previsti
dall’art. 266 o in violazione di un divieto di intercettazione; qualora non siano state osservate le disposizioni
previste ex art. 267-268 1.3 in tema di presupposti, forme del provvedimento, registrazione ed esecuzione
presso gli impianti della procura; qualora riguardino comunicazioni di persone vincolate al segreto professionale;
ed infine intercettazioni ricavate mediante captatore informatico al di fuori dei limiti e del tempo concesso.

Di regola i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali
sono state disposte, a meno che non risultano indispensabili per l'accertamento dei diritti per i quali è
obbligatorio l'arresto in flagranza ex articolo 270 comma 1. Una norma speciale è prevista in tema di captatore
informatico, difatti ex articolo 270 comma 1 bis, i risultati delle intercettazioni ambientali con il captatore
informatico non possono essere utilizzate per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il
decreto di autorizzazione.

Dal momento in cui l'autorità giudiziaria acquisisca occasionalmente tramite di intercettazioni comunicazioni
appartenenti ai servizi segreti, in base all'articolo 270 bis introdotto nel 2017 con un'apposita legge, il pubblico
ministero deve disporre immediata segretazione e custodia in un luogo protetto dei documenti supporti ed atti
ottenuti, per poi chiedere il Presidente del Consiglio dei Ministri se esse siano coperte da segreto di Stato: se la
risposta sia positiva la tutela giudiziaria non potrà utilizzare le notizie coperta segreto altrimenti, in caso
contrario, sì.

Le intercettazioni possono essere poste in essere anche nei confronti dei parlamentari, ovviamente nel rispetto
della disciplina sancita dalla legge n. 140 dei 2003 modificata da varie sentenze della Corte Costituzionale. Ad
oggi essenzialmente riconosciamo 3 tipi di intercettazioni in relazione ai parlamentari: intercettazioni dirette e
indirette, che per essere disposte necessitano di una preventiva autorizzazione a procedere dalla camera di
appartenenza appena di inutilizzabilità dell'atto; intercettazioni causali, in cui sostanzialmente il parlamentare
entra nell'area di ascolto in via del tutto accidentale e per questo non è ontologicamente possibile munirsi
preventivamente di alcuna autorizzazione. Molto importante da ricordare l'articolo 6 della legge numero 140:
esso è applicabile solo nel caso in cui le intercettazioni del parlamentare siano causali e sancisce che il GUP
qualora ritenga irrilevanti i verbali del registrazione delle conversazioni intercettate nel corso dei procedimenti a
carico di terzi alle quali abbia preso parte un parlamentare, sentite le parti, a tutela della riservatezza ne decide
in camera di consiglio la distruzione; viceversa se invece li considera rilevanti deve chiedere alla camera a cui
parlamentare appartiene un'autorizzazione per potersene servire: dal momento in cui l'autorizzazione non
venga concessa quanto ricavato dalle intercettazioni non sarà utilizzabile nei confronti del parlamentare
coinvolto, ma potrà esserlo nei confronti dei terzi, qualora invece l'autorità giudiziaria intenda utilizzare tali
risultati non nei confronti del parlamentare ma nei confronti di altri non sarà ovviamente necessario alcun
autorizzazione alla camera di appartenenza.

L'agente segreto attrezzato per il suono realizza una registrazione fonografica occultamente d'Intesa con la
polizia giudiziaria: per la Corte Costituzionale la registrazione in oggetto costituisce documentazione l'altro
un'indagine sia che si tratti ipotesi in cui la polizia ascolti la conversazione contestualmente al momento in cui
avviene sia che l'ascolti in un secondo momento Quindi differita mente una volta che il soggetto la fonicamente
memorizzato. con riferimento alla ascolto contestuale La Corte Costituzionale ha parlato di una sorta di
intercettazione mascherata mentre quello di ferito non sarebbe una vera e propria intercettazione ma una mera
registrazione.

Talvolta le intercettazioni possono essere poste in essere preventivamente per prevenire reati molto gravi
sempre sotto il controllo del Pubblico Ministero. Andiamo quindi ad analizzare quelli che sono i presupposti di
tali intercettazioni:

1. Tra i presupposti Generali articolo 226 comma 1 delle disposizioni attuative del codice di procedura
penale, tali intercettazioni sono disposte quando sia necessario acquisire notizie per quanto riguarda la

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prevenzione dei delitti di criminalità terroristica o mafiosa ed assimilati. I soggetti che la possono
richiedere sono il Ministro dell'Interno o su sua delega i responsabili di servizi centrali di polizia
Carabinieri Guardia di Finanza e dia. Il soggetto che concede l'autorizzazione è il procuratore della
Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto in cui si trova il soggetto da sottoporre a
controllo o se non è determinabile nel distretto in cui sono ammesse le esigenze di prevenzione.
2. Tra i presupposti speciali ricordiamo l'articolo 4 del decreto legge numero 144 del 2005 modificato poi
nel 2012 da un'apposita legge in base al quale dalle intercettazioni sono disposte qualora siano
indispensabili per la prevenzione di attività terroristiche o di sovversione di ordinamento costituzionale
e di soggetti legittimati a chiederla sono il Presidente del Consiglio dei Ministri direttore di servizi segreti
ed eventualmente l'autorizzazione sarà concessa dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello di
Roma.

Non ci resta ora che analizzare la regolamentazione delle intercettazioni preventive, le quali, in base a quanto
stabilito dalle disposizioni attuative del codice di procedura penale, possono durare massimo 40 giorni, a meno
che non vengono prorogate dal giudice per Massimo altri 20, e quanto da loro dedotto deve essere oggetto di
verbale sintetico poi depositato presso il procuratore della repubblica che ha autorizzato l'attività entro 5 giorni
dal termine delle stesse, in modo che questi, qualora ne verifichi la conformità, ne disponga l'immediata
distruzione. In ogni caso gli elementi acquisiti non potranno comunque essere utilizzati all'interno del
procedimento penale fatti salvi i fini investigativi.

In ultima battuta Tonini si dedica ai nuovi strumenti della Tecnica e quindi ai tabulati telefonici e alle
videoriprese.

Per quanto riguarda l'acquisizione dei tabulati telefonici è disciplinata dall'articolo 132 del codice della Privacy,
modificato poi dalle diverse disposizioni di legge intervenute successivamente, e può avvenire entro i termini
previsti con decreto motivato del p.m., andando a violare un diritto fondamentale, quello alla riservatezza,
costituzionalmente sancito. La versione attuale della norma prevede che siano conservati dal fornitore per
differenti periodi di tempo i dati di tre tipi di traffico telefonico: le chiamate senza risposta, i dati del traffico
telematico ed i rimanenti dati del traffico telefonico in senso stretto. i termini di conservazione danno luogo di
una normativa ordinaria per i reati comuni e Luna speciale per i reati gravi.

Termini ordinari per i reati comuni Termini speciali per i reati gravi
• chiamate senza risposta vanno conservati per è di 6 anni, in modo da permettere l’accertamento e la
30 giorni dalla data delle chiamata; repressione di reati come terrorismo, mafia, omicidio
• i dati del traffico telematico, vanno conservati volontario, sequestro di persona ai fini di estorsione,
per 1 anno dalla data della comunicazione; armi, stupefacenti, tratta di persone ecc.
• i rimanenti dati del traffico telefonico in senso
stretto, vanno conservati per 2 anni dalla data
della comunicazione.

Non ci resta che analizzare la tematica delle videoriprese, ovvero quelle registrazioni effettuate attraverso
strumenti tecnici di captazioni visiva di quanto accade in un luogo, sia adesso pubblico o una privata dimora,
all'insaputa di chi vi si trova in quel momento. Se l'attività è svolta da soggetti privati si ritiene che la videoripresa
sia un documento utilizzabile nel procedimento penale, purché non rientri nell'ipotesi di documento illegale,
quindi non si pongono particolari problemi come invece accade se a porle in essere quale atto di indagine nel
processo penale sono soggetti pubblici non essendoci un’espressa disciplina legislativa ed avendo provveduto a
ricostruirla la Corte di Cassazione a SS.UU. e la Corte Costituzionale. In primis la Corte Costituzionale nel 2002 ha
affermato che occorra distinguere tra la ripresa di immagini aventi per oggetto comportamenti comunicativi,
quindi persone dialoganti, e comportamenti non comunicativi, quindi persone in movimento. La ripresa di
comportamenti comunicativi costituisce una forma di intercettazione pertanto ne segue la disciplina: dal
momento in cui essa sia effettuata nel domicilio dovrà applicarsi l'articolo 266 comma 2 del codice di procedura
penale, in virtù del quale nei casi di un intercettazione ambientale sarà consentita soltanto se vi è fondato
motivo di ritenere che al suo interno si stia svolgendo l'attività criminosa, mentre in tutti gli altri luoghi si seguirà
la disciplina ordinaria, in virtù del quale non sarà necessario il requisito poc'anzi citato. La ripresa di
comportamenti non comunicativi, segue una disciplina diversa a seconda del luogo in cui essa viene posta in
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essere e, di tali luoghi, la Corte di Cassazione a SS.UU. ha posto una tripartizione tra luoghi domiciliari, luoghi
riservati e luoghi pubblici.

a) nei luoghi domiciliari, essendo questi ultimi annoverabili nell'area protetta dall'articolo 14 della
Costituzione in cui sancisce l'inviolabilità del domicilio anche qualora il domiciliato sia assente, deve
esserci una disciplina legislativa espressa che regoli i casi e i modi in cui tale diritto fondamentale
possa essere compresso mediante un provvedimento motivato dall'autorità giudiziaria: pertanto in
assenza di questa, le videoriprese effettuate al loro interno risulteranno senz'altro vietate appena di
inutilizzabilità ex articolo 191 c.p.p.;
b) nei luoghi riservati, come ad esempio le toilette dei locali pubblici, il diritto persiste soltanto se il
titolare è presente sul luogo: non trattandosi però di luoghi che hanno ad oggetto il domicilio, il
diritto a cui facciamo riferimento è quello di riservatezza, costituzionalmente sancito all'articolo 2,
che è comunque tutelato ma in maniera minore rispetto a quello dell'inviolabilità del domicilio e
pertanto, in quanto tale, una sua limitazione è ammessa, quindi possono effettuarsi video riprese al
loro interno, ma il tutto deve essere disposto dal p.m. attraverso un provvedimento dell'autorità
giudiziaria fornito di una congrua motivazione per poi essere utilizzato come prova atipica in
dibattimento;
c) nei luoghi pubblici non è configurabile alcuna aspettativa di riservatezza con riferimento alle
immagini e, pertanto, le videoriprese possono essere effettuate anche dalla polizia giudiziaria di
propria iniziativa e si tratta di un atto non ripetibile che in dibattimento potresti utilizzato come
prova atipica.

Nel 2008 la Corte Costituzionale si è pronunciata ed ha distinto ulteriormente le videoriprese di mere immagini
effettuate nei luoghi domiciliari: a parer suo, affinché possa dirsi effettiva la tutela del domicilio ex articolo 14
della Costituzione un comportamento, non solo deve essere tenuto in luoghi di privata dimora, ma occorre che
esso in concreto sia anche riservato (= e cioè non possa essere liberamente osservato dagli estranei con
particolari accorgimenti). Qualora questo secondo requisito manchi le videoriprese saranno sottoposte al regime
previsto per quelle effettuate nei luoghi pubblici e, pertanto, potranno essere disposte anche dalla polizia
giudiziaria di propria iniziativa e saranno utilizzabili come prova atipica in dibattimento.

Infine restano fuori dalla materia di intercettazioni di video riprese effettuate con impianti di videosorveglianza
messi in opera da soggetti pubblici o privati, difatti relative registrazioni rientrano nella categoria dei documenti
e possono essere acquisite al processo penale in base all'articolo 234 del Codice di Procedura Penale.

P2, C6 – Le Misure Cautelari

Tra l'inizio del procedimento penale ed il momento in cui viene emanata la sentenza può passare un periodo di
tempo anche molto ampio, questo specialmente per la complessità delle indagini o per l'esigenza di accertare il
fatto di reato con il rispetto del diritto di difesa. In questo frattempo possono ovviamente sorgere pericoli per lo
svolgersi del procedimento penale, specificamente per l'accertamento dei fatti e per l'efficacia della sentenza,
per questo sono state istituite le misure cautelari che, disposte dal giudice su richiesta del p.m., comportano, in
un'ottica di bilanciamento, una limitazione di alcune libertà fondamentali tutelate non solo dalla costituzione,
ma anche dalle convenzioni internazionali. Le misure cautelari sono quindi sostanzialmente degli atti, o meglio
dei provvedimenti, provvisori e direttamente esecutivi volti ad evitare il pericolo di accertamento del fatto
storico [in seguito all’inquinamento delle prove], il pericolo di esecuzione della sentenza [in seguito alla fuga
dell’indagato/imputato] e l’aggravamento delle conseguenze del reato [in seguito a pericoli di reiterazione del
reato deducibili ex art. 274 sulle esigenze cautelari]. Le misure cautelari hanno una serie di principali
caratteristiche che le distinguono dagli altri provvedimenti: strumentalità, urgenza, prognosi di colpevolezza allo
stato degli atti, immediata esecutività, provvisorietà, previsione per legge, giurisdizionalità e impugnabilità.
Analizziamole.

• Le misure cautelari si caratterizzano per la strumentalità al procedimento penale essendo esse


funzionali all'accertamento del reato, ad assicurare l'esecuzione della sentenza definitiva e ad evitare
l'aggravarsi delle conseguenze del reato o la commissioni di ulteriori reati. Pertanto possiamo ricavare
da ciò che ex art. 27.2 Cost. è sancito il principio di presunzione di non colpevolezza, in virtù del quale il

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soggetto non può essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva e quindi la misura cautelare
applicatagli non può in alcun modo anticipare la pena.
• Le misure cautelari si caratterizzano per l’urgenza, perché nascono e vengono attuate essenzialmente in
virtù dell’esigenza di frenare quanto prima le particolari situazioni di pericolo grave e gli effetti che ne
conseguono poc’anzi citate: tali esigenze sono tassativamente previste per legge ex art. 274 c.p.p. ed il
giudice non può pertanto disporre misure cautelari rispondenti ad altre che se ne discostino.
• Le misure cautelari si caratterizzano inoltre per la prognosi di colpevolezza allo stato degli atti: mentre
per disporre le intercettazioni (che sono mezzi di ricerca della prova e cioè che non sono esistessi fonti
di convincimento ma strumenti per ricercare elementi di prova) il presupposto che deve aversi concerne
gravi indizi di reità, nelle misure cautelari invece concerne gravi indizi di colpevolezza, perché già
conosciamo il reato che è stato commesso. Bisognerà quindi capire appunto se ci sono gravi indizi di
colpevolezza nei confronti di un soggetto, pertanto potranno essere applicate quando, alla luce di una
prognosi allo stato degli atti [il tutto si basa su materiale probatorio suscettibile di essere modificato
successivamente in relazione ai nuovi elementi raccolti da accusa e difesa], si accerti, grazie ad elementi
di fatto e motivando il tutto adeguatamente, che gli elementi di prova fino a quel momento raccolti, se
confermati in dibattimento, condurranno alla pronuncia di una sentenza di condanna.
• Le misure cautelari si caratterizzano inoltre per l’immediata esecutività poiché, essendo stabilite per
evitare i pericoli, devono essere, a rigore di logica, eseguite quanto prima ad opera del p.m. anche
coattivamente contro la volontà del soggetto interessato e contemporaneamente ad una loro
impugnazione.
• Le misure cautelari si caratterizzano per la provvisorietà, perché da un lato il provvedimento cautelare
con cui sono emesse non condiziona la decisione finale del giudice ed anche perché, dall’altro, tale
provvedimento è revocabile o modificabile, tanto in melius quanto in peius, in attesa della sentenza
definitiva. Quindi sono provvisorie perché perdurano soltanto durante il tempo di attesa della sentenza
definitiva, per evitare che appunto dei pericoli possono impedire l'accertamento dei fatti e l'efficacia
della sentenza.
• Le misure cautelari si caratterizzano per la previsione per legge, perché la Costituzione all'articolo 13
stabilisce mediante riserva di legge assoluta che la libertà personale è sì inviolabile, ma che può essere
sacrificata soltanto nei modi e modalità stabilite dalla legge per i fini legittimi del processo penale.
• Le misure cautelari si caratterizzano per la giurisdizionalità, perché solo il giudice può di regola disporle
mediante provvedimento. Attenzione: non si tratta di una riserva di giurisdizione assoluta, infatti in casi
determinati il p.m. e polizia giudiziaria potranno disporre le c.d. misure precautelari, come fermo e
arresto in flagranza, che dovranno essere convalidate dal giudice altrimenti l’indagato sottoposto a
fermo ad esempio dovrà essere liberato.
• Le misure cautelari si caratterizzano per l’impugnabilità, perché possono essere impugnate in dettaglio
mediante ricorso al Tribunale del riesame e ex art. 111.7 Cost è inoltre previsto, in presenza di una
violazione di legge, ricorso per Cassazione per tutti quei provvedimenti non impugnabili ab origine
limitativi della libertà personale.

In relazione alle misure cautelari c’è ovviamente una profonda differenza tra sistema accusatorio e sistema
inquisitorio: nel sistema inquisitorio non vi è presunzione di innocenza, l’imputato è ritenuto colpevole, tra
l’altro sulla base di requisiti evanescenti, ancor prima che il giudice si pronunci e la misura cautelare
esclusivamente prevista è quella della custodia preventiva in carcere che, non solo anticipa la sua pena, ma è
assunta come un mezzo per farlo confessare sia dal p.m. che dal giudice stesso; nel sistema accusatorio invece è
tutto all’esatto contrario, vi è presunzione d’innocenza e pertanto il soggetto non è ritenuto colpevole fino a
quando non sia il giudice a dichiaralo tale, pertanto neanche la misura cautelare non è un modo per farlo
confessare o per anticipare la sua pena, bensì uno strumento dalle molteplici sfaccettature idoneo a garantire un
equo e sereno svolgimento del procedimento penale, previsto tassativamente dalla legge, richiesto dal p.m., ma
disposto effettivamente dal giudice in base al caso in esame. Inoltre in un sistema accusatorio come il nostro, in
cui sono frequenti le modifiche inerenti a tale tematica, il criterio guida è quello del minor sacrificio della libertà
personale: infatti la compressione della libertà personale dell'indagato o dell'imputato deve essere contenuta
nei limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari riconoscibili concretamente, per questo il codice
dell'88 prevede la custodia cautelare in carcere come extrema ratio e pertanto, ove possibile, a quest'ultima
devono esserne sempre preferite altre, volendo anche cumulando tra loro misure meno incisive. Ergo quando
parliamo di extrema ratio alludiamo al fatto che forme di restrizione più intensa, come quella della custodia
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cautelare in carcere saranno adottate solo quando le esigenze processuali o extraprocessuali non potranno
essere soddisfatte mediante misure di minore incisività.

Per quanto concerne il principio di riserva di legge e di giurisdizione, già incontrati quando abbiamo assunto tra i
caratteri distintivi delle misure cautelari la giurisdizionalità e la previsione per legge, dobbiamo fare un accurato
discorso. Per quanto riguarda il principio di riserva di legge, ex art. 13.2 Cost. si afferma che nonostante la libertà
personale sia caratterizzata dall'inviolabilità essa possa essere eccezionalmente limitata nei soli casi previsti dalla
legge, pertanto in base a tale disposizione, è la legge a dover precisare i casi, in cui ciò può avvenire: detto fatto,
l'articolo 272 c.p.p. in attuazione della riserva posta ex art. 13.2 Cost. non solo precisa i casi in cui è possibile
restringere tale libertà, o meglio a norma delle disposizioni del presente titolo in tema di misure cautelari
personali, ma anche i modi in cui ciò può avvenire. Per quanto riguarda il principio di riserva di giurisdizione,
anch’esso è previsto ex art. 13.2 laddove si afferma che nonostante la libertà personale sia caratterizzata
dall'inviolabilità essa possa essere eccezionalmente limitata nei soli casi previsti dalla legge mediante atto
motivato dell’autorità giudiziaria, dove per autorità giudiziaria si intende GIUDICE e quindi esclusivamente questi
sarà ritenuto competente a disporre misure cautelari: tale riserva di giurisdizione si ritiene pacificamente attuata
anch’essa ex art. 272 c.p.p., in cui si afferma che il giudice che procede, in quanto terzo e imparziale, è chiamato
a disporre delle misure cautelari su richiesta del P.M. al quale spetterà il compito di convincerlo a prevederla
trasmettendogli i verbali necessari da cui dedurre i presupposti a fondamento della stessa. Una volta eseguita o
notificata la misura l’imputato ha diritto di essere sentito dal giudice nell’interrogatorio di garanzia
determinando così anche la possibilità per il suo difensore di capire e conoscere quanto formulato e perché dal
P.M. posticipando il contraddittorio.

Essendo il nostro un sistema accusatorio, è prevista una vasta gamma di misure cautelari in modo da configurare
quella della custodia cautelare come extrema ratio, da irrogarsi soltanto quando le altre, anche se cumulate, non
risultino adeguate. A livello strutturale, le misure cautelari possono essere suddivise in personali o reali, a
seconda che interessino la libertà personale o alla libertà di determinazione nei rapporti familiari e sociali
oppure qualora riguardino un singolo bene mobile o immobile disponendone il divieto di farne uso di cui un
tipico esempio sono il sequestro preventivo e il sequestro conservativo, che vedremo dopo. Analizzeremo infatti
prima le misure personali e quelle in cui sono a loro volta distinguibili: coercitive, interdittive e misure di
sicurezza.

Le misure cautelari coercitive, enunciate in ordine crescente in termini di gravità dal divieto di espatrio alla
custodia in carcere ed a loro volta suddivisibili in obbligatorie e custodiali. Tra le obbligatorie ricordiamo:

• il divieto di espatrio, con cui si impone al soggetto di non uscire dal territorio nazionale se non sia stato
autorizzato dal giudice;
• l’obbligo di presentarsi alla polizia giudiziaria nei giorni e nelle ore prescritte dal giudice;
• il divieto di dimora con cui si impone all'imputato di non dimorare in un determinato luogo o di non
accedervi senza l'autorizzazione del giudice;
• l’obbligo di dimora prescrive all'imputato di non allontanarsi da quest’ultima senza autorizzazione del
giudice;
• l’allontanamento dalla casa familiare, il giudice prescrive all'imputato di lasciare immediatamente la
casa familiare non farvi rientro non accedervi senza autorizzazione [si ricorda anche una misura
precautelare di questo tipo, che va assunta d’urgenza in anticipo di quest’ultima in seguito ad un
apposita legge emanata nel 2013 per contrastare il femminicidio];
• il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa ex art. 282ter introdotto nel 2009,
prevede che l’imputato non debba avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla
persona offesa, dai prossimi congiunti di questa o da persone ad essi legate affettivamente o con essi
conviventi;

Passando alle custodiali, esse comportano appunto una situazione di custodia dalla quale derivano due
conseguenze:
1. in primis la configurabilità del diritto di evasione qualora non sia rispettata la legge da osservare in
quei casi di custodia, ove l'imputato si allontani dal luogo di custodia,

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2. in secondo luogo il periodo trascorso in custodia sarà conteggiato come esecuzione della pena
detentiva finale.

Detto ciò possiamo annoverare tra le misure custodiali:

• gli arresti domiciliari, in virtù dei quali, qualora non sia vietato concederli, i soggetti non possono
lasciare la loro abitazione, o un altro luogo pubblico di cura o di assistenza. Strumentale all’esercizio di
tale misura cautelare è il braccialetto elettronico, che non è quindi una misura cautelare di per sé, ma
una sua modalità di esecuzione considerato che pone una procedura di controllo mediante mezzi
elettronici o strumenti tecnici.
• custodia in carcere, è la più incisiva e viene disposta dal giudice in modo che l’imputato vi sia
immediatamente condotto. Oggi, purtroppo, un punto di crisi del sistema penale è riscontrabile nel
fatto che, nella pratica, gli imputati sottoposti a tale misura non sono distinti da chi sta scontando la
pena detentiva dovuta a sentenza definitiva. Ad ogni modo, se l'imputato necessita di cure specialistiche
che non possono essere fatte in luogo di detenzione, il giudice ne dispone la custodia cautelare in luogo
di cura e, dal momento in cui essa consti di una infermità mentale e l'imputato non sia socialmente
pericoloso, invece dispone il ricovero presso il servizio psichiatrico ospedaliero.

Le misure cautelari interdittive, comprimono determinate facoltà connesse ad uno status civile o professionale
di un soggetto, lasciandone intatta la libertà personale e vengono applicate solo per quei delitti per cui la pena
prevista dalla legge è l’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo a tre anni. Constano in una serie di
divieti, riconducibili a 3 tipi:

• sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale;


• sospensione dall’esercizio di un pubblico ufficio o servizio;
• divieto di esercitare determinate professioni, imprese o uffici direttivi.

Le misure di sicurezza, qualora applicate provvisoriamente diventano una misura cautelare, potendo ex art. 312
c.p.p. essere assunte a titolo di provvedimento cautelare. Esse sono eseguite nei confronti di soggetti indicati
come incapaci di intendere e di volere al momento del fatto, purché sussistano una serie di presupposti: in
primis dovranno sussistere gravi indizi di commissione del fatto, l’imputato dovrà essere socialmente pericoloso
ed infine non dovranno essere applicabili in concreto le cause di giustificazione di non punibilità o di estinzione
del reato. Tale applicazione a titolo di provvedimento cautelare ha per oggetto:

• il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario (OPG), qualora l’imputato sia affetto da vizio totale di
mente;
• il ricovero in una casa di cura e custodia (CCC) per l’imputato semi-infermo di mente;
• altrimenti, la libertà vigilata.

Affinché le misure cautelari personali possano essere applicate, in base a quanto il c.p.p. stesso afferma al 273,
dovranno essere rispettate ben tre condizioni, definite appunto da Tonini di applicabilità: la gravità del delitto; la
punibilità in concreto del delitto e la presenza di gravi indizi di reità.

• Per quanto concerne la gravità del delitto, per potersi avere misura cautelare il fatto dovrà avere una
certa gravità e pertanto esse potranno essere poste per i soli delitti, o meglio nelle tre categorie poste
dalla legge stessa [1. Delitti che comportano pena fino a 3 anni, per cui non può aversi custodia in
carcere 2. Delitti che comportano pena superiore a 3, ma inferiore a 5 anni, per cui vanno applicate
misure diverse dalla custodia in carcere 3. Delitti che comportano pena a 5 anni o all’ergastolo
consentiranno la custodia in carcere], e quindi non per le contravvenzioni (per cui se proprio dovrà
esserne applicata qualcuna, non sarà personale, ma reale);
• Per quanto concerne la punibilità in concreto, per potersi avere misura cautelare il delitto posto in
essere deve poter essere effettivamente punibile e quindi non dovranno essere presenti elementi
ostativi di ciò quali le cause di giustificazione o di non punibilità o di estinzione del reato;
• Per quanto concerne i gravi indizi di reità, per potersi avere misura cautelare dovranno necessariamente
sussistere. Si parla di indizi al plurale e in senso ampio, perché possano essere in essi ricomprese oltre
alle prove critiche [indica quel procedimento logico mediante il quale da un fatto noto si desume
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l’esistenza di un fatto noto da provare mediante l’applicazione di massime di esperienza o di leggi
scientifiche], anche quelle rappresentative della responsabilità dell’indagato: dunque sostanzialmente
l’indizio in materia cautelare indica un elemento conoscitivo acquisito durante le indagini, a prescindere
dalla sua natura di prova rappresentativa o critica. A tali indizi si aggiunge l’aggettivo qualificativo gravi:
secondo la precedente edizione del codice, si parlava di sufficienti indizi, adoperando la locuzione gravi
indizi si fa riferimento quindi ad un qualche aumento, ma di cosa effettivamente? Alla luce di quanto
affermato parlare di gravi indizi di reità significa parlare del quantum, dello standard, di prova, sia essa
rappresentativa o critica, che serve a legittimare la misura cautelare: quindi parlare di gravi indizi,
significa che ora per aversi misura cautelare dovrà aversi un quantum di prova più elevato, rafforzato,
rispetto alla precedente disciplina. Il principio costituzionale della presunzione d’innocenza, gioca un
ruolo fondamentale sul quantum di prova richiesto per l’applicazione della misura cautelare: come
sappiamo, alla base delle misure cautelari, dovrà esserci un giudizio prognostico che, sulla base di
quanto assunto allo stato degli atti, verifichi se, qualora fossero confermati tali elementi raccolti
dall’accusa in dibattimento, possa pervenirsi ad una condanna e quindi alla decisione che accerti la
colpevolezza dell’indagato. Affinché ciò avvenga occorrerà ben altro però rispetto al fumus boni iuris,
poiché dovrà aversi anche una certa gravità degli elementi a carico dell’indagato, sia pure allo stato degli
atti: ritenendo gravi tali elementi l’accusa dovrà provare la reità, in quanto colpevolezza, come molto
probabile per potersi legittimamente attribuire una misura cautelare all’imputato. L’esistenza dei gravi
indizi è quindi connessa agli elementi fino a quel momento raccolti, alla base probatoria: come
sappiamo ai fini dell’applicazione della misura cautelare il p.m. deve farne apposita richiesta al giudice e
quest’ultima deve includere quegli elementi che lo hanno portato ad agire, in modo che il giudice possa,
dopo una loro attenta valutazione (c.d. giudizio su gravi indizi), decidere se disporla o meno. Trovandoci
nelle indagini preliminari, bisognerà capire quanto sia possibile applicare i principi sulle prove alle
misure cautelari essendo essi caratteristici principalmente del dibattimento, in ossequio al principio di
immediatezza in virtù del quale il momento della formazione della prova deve essere lo stesso rispetto a
quello in cui il giudice prende la decisione: gli orientamenti sono diversi, per alcuni sarebbe possibile
applicare i principi delle prove alle misure cautelari e per altri no, analizziamoli.
1. Secondo un primo orientamento, la collocazione della materia delle prove nel terzo libro sarebbe
indice del fatto che sia una materia estendibile a tutto il procedimento penale, essendo i primi 4
libri, ma specialmente il terzo di cui viene fatta una vera e propria esaltazione, una parte generale
ed in quanto tale atta a disporre per tutto il procedimento penale e quindi anche per il tema delle
misure cautelari. In base ad un argomento sistematico, le norme sulle prove appaiono applicabili
durante le indagini a meno che non siano, espressamente o implicitamente, incompatibili con la
regolamentazione del singolo atto da compiere in una determinata fase. Questo orientamento è
preferito da Tonini.
2. Un secondo orientamento ritiene, invece, che il rinvio esplicito contenuto nelle disposizioni circa le
misure cautelari a determinate disposizioni che regolano le prove sia invece sintomatico del
contrario, cioè che siano applicabili soltanto per quelle norme in cui vi è espressamente rinvio ad
essi. Detto quindi in poche parole, il rinvio espresso ad alcune norme in materia di prove potrebbe
indurre a ritenere a contrario che solo quelle espressamente richiamate siano applicabili.
A prescindere da quale dei due orientamenti voglia essere preferito, resta però un dato
incontrovertibile: in primo luogo non sono utilizzabili in dibattimento alcuni atti per gli sbarramenti
degli art. 526 e 514; ancora il materiale valutabile nel giudizio cautelare non costituirebbe una prova
formata nel contraddittorio tra le parti ex art. 111.4 Cost, considerato che il contraddittorio è solo
successivo all’esecuzione della misura cautelare essendo data solo in secondo momento la
possibilità al difensore di conoscere gli atti alla base del provvedimento emanato; ed inoltre, come
se non bastasse, non è garantito il diritto costituzionalmente sancito ex art. 111.3 Cost. all’indagato
secondo cui questi ha il diritto di interrogare o far interrogare persone che rendano dichiarazioni a
suo carico, considerato che, l’incidente probatorio, trovandoci nelle indagini preliminari, non è
concesso per ragioni di questo tipo. Da queste parole, risulta evidente che il 111, come afferma
Tonini, non sia ancora pienamente attuato.

Trattiamo ora la tematica delle esigenze cautelari, fino ad ora solo preliminarmente accennate. Perché il giudice
disponga una misura cautelare personale su richiesta del p.m. non solo dovranno essere rispettate le condizioni
generali di applicabilità poc’anzi delineate (gravità del delitto, punibilità in concreto, gravi indizi di reato), ma
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dovrà esistere in concreto una delle esigenze cautelari tassativamente indicate dalla legge esattamente ex art.
274. Tale tassatività ha uno scopo ben preciso: evitare che la misura cautelare anticipi l’applicazione della
sanzione penale in ossequio al principio della presunzione di innocenza ex art. 27.2 della Costituzione. Le
esigenze cautelari ex art. 274 quindi sono: il pericolo di inquinamento della prova, il pericolo di fuga e il pericolo
che vengano commessi determinati reati. Analizziamole nello specifico, tenendo conto che esso dovrà essere
contestualmente pericolo concreto e attuale, quindi sempre materialmente individuabile dal giudice.

• Il pericolo di inquinamento della prova: il pubblico ministero deve dimostrare la richiesta di


provvedimento cautelare, pertanto esso dovrà essere motivato in maniera precisa in modo da
dimostrare la concreta presenza di un attuale pericolo in merito all'acquisizione in sé della prova,
essendone possibile un occultamento, o in merito ad una possibile acquisizione non genuina delle
prove, potendo verificarsi una loro alterazione, circostanze che vanno espressamente indicate a pena di
nullità e tra cui, ex l. n. 332 del 1995, non rientra il silenzio.
• Il pericolo di fuga: sussisterà dal momento in cui il soggetto, a cui è stata computata una pena superiore
a due anni di reclusione, si è dato alla fuga oppure ci sia pericolo concreto e attuale che lo faccia.
• Il pericolo che vengano commessi determinati reati: sarà possibile applicare misura cautelare coercitiva
dal momento in cui vi sia pericolo concreto e attuale (desunto mediante specifiche modalità del fatto e
dalla pericolosità dell’imputato deducibile a sua volta dalla gravità del fatto, dai precedenti penali e da
comportamenti o atti concreti) di reiterazione di gravi delitti con l'uso di armi o di altri mezzi di violenza
personale, gravi delitti diretti contro l'ordine costituzionale, delitti di criminalità organizzata o delitti
della stessa specie di quello per il quale si procede.

Una volta che il giudice abbia accertato che siano state rispettate le condizioni generali di applicabilità e che
sussista almeno una delle esigenze cautelari tassativamente previste ex art. 274 c.p.p., dispone la misura
cautelare con ordinanza motivata avendo potere discrezionale. Va ricordato che il suo parere è vincolato tanto
stanzialmente, quanto formalmente da una serie di limiti: dal punto di vista formale, il giudice non può disporre
una misura più grave di quella richiesta dal pubblico ministero, mentre dal punto di vista sostanziale, il giudice ha
il potere-dovere di scegliere la misura cautelare meno afflittiva possibile, e quindi nel pieno rispetto del principio
del minor sacrificio e pertanto anche della presunzione d’innocenza, in base ai criteri indicati ex art. 275 c.p.p., o
meglio accertando se gli elementi di prova ricavati dal caso concreto rispettino i principi di adeguatezza,
proporzionalità e di gradualità.

• In ossequio al principio di adeguatezza, sancito ex art. 275.1 c.p.p., la misura cautelare da applicare deve
essere adeguata alla natura e al grado delle esigenze cautelari presenti in concreto. È chiaro ormai che il
nostro sistema preveda una vasta gamma di misure cautelari diverse tra loro alla luce del principio della
pluralità graduata (secondo cui le m.c. sono connotate da diversi gradi di incidenza sulla libertà
personale), per questo dovrà essere attuata quella più idonea al caso in esame, in modo che vi sia una
corrispondenza funzionale tra la misura da attuare e il pericolo che si vuole evitare.
• In ossequio al principio di proporzionalità, sancito ex art. 275.2 c.p.p., la misura cautelare da applicare
deve essere proporzionata alla gravità del fatto e della sanzione che potrà essere irrogata e quindi non
dovrà in alcun modo essere limitata la libertà personale più di quanto strettamente necessario. Alla luce
di ciò il legislatore ha indicato espressamente ex art. 275.2bis c.p.p., quando la pena sarà scontata fuori
dal carcere mediante appositi divieti: abbiamo infatti il divieto di custodia cautelare, mediante arresti
domiciliari o carcerazione che è imposto al giudice dal momento in cui sia prevista sospensione
condizionale della pena, ed il divieto di carcerazione cautelare, qualora all’esito del giudizio la pena
definitiva irrogata non superi i tre anni ed in quanto tale sospesa in attesa di misure alternative
[attenzione, questo divieto non vale sempre: nel caso in cui l’indagato abbia trasgredito le misure
cautelari, qualora si abbiano ad oggetto delitti più gravi o di violenza personale, o quando gli arresti
domiciliari non possono essere disposti per inidoneità del domicilio e nessun’altra misura sia adeguata].
Detto in poche parole, il giudice sarà quindi tenuto nuovamente a fare un giudizio prognostico atto a
valutare se effettivamente, in sede dibattimentale, vi sarà una decisione di condanna e se la pena
detentiva potrà essere condizionalmente sospesa o sarà contenuta nel limite di tre anni.
• In ossequio al principio di gradualità, sancito ex art. 275.3 c.p.p., la misura cautelare da applicare deve
essere graduata in modo tale da applicare la custodia in carcere solo come extrema ratio e quindi
quando ogni altra misura risulti inadeguata. L’art. 275.3 c.p.p. è stato modificato nel 2015 con una legge

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apposita, rafforzando così questo principio: un primo rafforzamento è previsto dal momento in cui oggi,
il nuovo comma 3, sancisce che le misure coercitive o interdittive diverse dal carcere possano essere
applicate cumulativamente dal giudice in modo da fornire a quest’ultimo un ventaglio ancora più vasto
di provvedimenti cautelari volti a ridurre le condanne al carcere; un secondo rafforzamento è previsto
dal momento in cui oggi, il nuovo comma 3bis, sancisce che il giudice nel disporre la carcerazione
cautelare debba indicare le specifiche ragioni per cui ritiene non idonea nel caso concreto la misura
degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e ciò trova corrispondenza con l'obbligo di
motivazione sancito a pena di nullità ex art. 292.2 lettera c-bis e costituisce un applicazione di quel
principio del minore sacrificio necessario per la libertà personale. Come deducibile dal codice, vi sono
delle eccezioni al principio di gradualità: infatti per determinati delitti di violenza l’adeguatezza della
custodia in carcere è oggetto di presunzione in alcuni casi assoluta, per cui quindi non è ammessa prova
contraria, oppure in alti casi relativa, per cui quindi è ammissibile prova contraria. Analizziamole.
1. La prima presunzione c.d. di sussistenza delle esigenze cautelari comporta che, in presenza dei gravi
indizi dei delitti previsti dall'articolo 275 comma 3, si considera esistente almeno una delle esigenze
cautelari contemplate dal 274 in virtù di una presunzione relativa, alla luce della quale pertanto
potrà essere anche ammessa in realtà un’insussistenza dell’esigenza cautelare. La giurisprudenza
costituzionale con la sentenza n. 265 del 2010 ha infatti affermato che le presunzioni relative come
quella in oggetto, sono ammesse quando sono suggerite da alcuni aspetti ricorrenti di determinati
reati.
2. La seconda presunzione opera qualora, in presenza di gravi indizi di colpevolezza dei reati ex art.
275 comma 3, ad essere ritenuta adeguata dal legislatore è stata solo la custodia cautelare in
carcere. Questa presunzione è stata costruita in alcuni casi come assoluta, in altri come relativa,
analizziamoli.
a) Il legislatore, in ossequio a quanto affermato dalla Corte Costituzionale, ha previsto nel nuovo
comma 3 la presunzione assoluta di adeguatezza della carcerazione cautelare per i soli delitti di
associazione sovversiva, terroristica e mafiosa pertanto in presenza di tali reati, senza alcuna
possibilità di assumere prova contraria, non potrà essere assunta una misura cautelare diversa
da questa. Va però precisato che tale presunzione assoluta ha come presupposto una
presunzione relativa in merito all’esistenza di almeno un’esigenza cautelare, pertanto dal
momento in cui quest’ultima venga meno, verrà meno anche quella assoluta.
b) Per tutti gli altri reati previsti dall’art. 275.3 non rientranti nella associazione terroristica
suggestiva e mafiosa, si presume relativamente l'adeguatezza della custodia della carcerazione
in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza. L’adeguatezza verrà meno dal momento in
cui siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari e quando in
relazione al caso concreto si dimostri che anche se esistenti possono essere soddisfatte con
altre misure.

Il codice prevede inoltre che vi siano situazioni incompatibili con la custodia in carcere, ricordiamo
in primo luogo ex art. 275 comma 4-quinquies: il soggetto che, affetto da malattia si trovi in una
fase così avanzata da non poter rispondere più ai trattamenti disponibili e alle terapie curative, ed
inoltre dal momento in cui sussistano i casi tipizzati della donna incinta, della madre di prole di età
fino a 6 anni con lei convivente, del padre in analoghe condizioni qualora la madre sia
assolutamente impossibilitata ad assistere la prole ed infine della persona che abbia superato i 70
anni di età. Tale incompatibilità viene meno esclusivamente dal momento in cui sussistano esigenze
cautelari di particolare rilevanza.

In merito all'applicazione delle misure cautelari personali dobbiamo distinguere due fasi, prima di procedere ad
una loro attenta analisi dobbiamo tener conto che esse hanno delle caratteristiche comuni: in primo luogo in
esse il giudice ha un potere di controllo limitato, all’indagato non è riconosciuto il diritto alla prova ed il giudice è
tenuto a pronunciarsi solo alla luce di atti e documenti scritti senza poter sentire a viva voce alcun testimone. Va
inoltre ricordato che queste due fasi in seguito a delle riforme del 2015 e del 2017, pur non essendo state
mutate radicalmente, sono state adattate mediante dei correttivi da esse stesse introdotti volti a rafforzare il
contraddittorio.

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1. La prima fase ha inizio con la richiesta di provvedimento cautelare del P.M. al GIP, che poi deciderà o
meno se adottare o meno una qualche misura cautelare a sorpresa nei confronti dell’imputato/indagato
mediante ordinanza. Il P.M., essendo una parte pubblica e rappresentando l'interesse dello stato alla
repressione del reato, ha l'obbligo di fornire al GIP tutti gli elementi su cui la sua richiesta si fonda e
quindi i verbali delle indagini preliminari da lui raccolti e selezionati con l’aiuto della polizia giudiziaria. In
base ad un correttivo introdotto nel 1995 con apposita legge il P.M. ha l’obbligo di presentare al giudice
anche gli elementi a favore dell'imputato, oltre a quelli a sfavore di cui abbiamo poc’anzi parlato, e le
eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate, in modo da ampliare le conoscenze del giudice
consentendogli, dopo aver valutato la sussistenza dei presupposti della misura richiesta, di poter
propriamente pronunciarsi in merito alla sua adozione e alle modalità in cui essa debba o non debba
essere assunta. Sempre con questa legge, fu affermato e poi precisato nel 2015 un secondo correttivo in
virtù del quale il giudice ha sì potere decisionale, ma è tenuto a motivare l’ordinanza con cui dispone la
misura cautelare esponendo non solo le specifiche esigenze, ma anche gli specifici indizi ed elementi di
fatto a fondamento di essa ed il tutto deve essere frutto di una sua autonoma valutazione, nel senso che
nell’esporre le sue ragioni dovrà prediligere cadenze simili a quelle della sentenza dibattimentale e non
fornire una motivazione per relationem ricopiando meramente, o come dice Tonini appiattendo, quanto
posto dal Pubblico Ministero a fondamento della richiesta postagli, essendo spesso accaduto ciò nella
prassi. Alla luce di ciò, pur trovandoci nelle indagini preliminari bisognerà che gli indizi e gli elementi
siano idonei (c.d. idoneità degli elementi), ovvero gravi precisi e concordanti, solo successivamente,
nella fase dibattimentale, si vedrà se saranno anche completi, considerato che effettivamente,
trovandoci nella fase delle indagini, è molto improbabile che lo siano. Il giudice è tenuto inoltre a
motivare le intercettazioni, riportandone i brani essenziali, soltanto qualora sia necessario esporre
esigenze cautelari ed indizi da esse stesse ricavabili, alla luce tra l’altro di un terzo correttivo introdotto
nel 2017 che gli consente di sfoltire quanto già raccolto dal P.M. per poi rinviarglielo e far in modo che
sia conservato nell’apposito archivio riservato.
2. La seconda fase si apre nel momento in cui la misura personale è eseguita e si conclude con
l’interrogatorio davanti al giudice che ha deciso per l’applicazione della misura stessa, per questo Toni
dice che essa si caratterizza per qualche forma di contraddittorio: non solo il giudice deve interrogare
l'indagato sottoposto a custodia o altre misure, ma il difensore ha anche il diritto di esaminare i verbali
degli atti. Procediamo però per gradi. L’ordinanza con cui il giudice ha disposto la misura cautelare è
eseguita, su incarico del P.M., dalla polizia giudiziaria che consegna all’imputato la copia del
provvedimento e, se è disposta la carcerazione cautelare o l’arresto domiciliare, con esso gli rilascia
anche una comunicazione scritta in lingua a lui comprensibile di tutti i diritti e facoltà che gli spettano in
seguito alla situazione in cui verte ex art. 193 del d.lgs. n. 101 del 2014 [a) della facoltà di nominare un
difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; b)
del diritto di ottenere informazioni in merito all'accusa; c) del diritto all'interprete ed alla traduzione
di atti fondamentali; d) del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; e) del diritto di
accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento; f) del diritto di informare le autorità consolari e
di dare avviso ai familiari; g) del diritto di accedere all'assistenza medica di urgenza; h) del diritto di
essere condotto davanti all'autorità giudiziaria non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione,
se la misura applicata è quella della custodia cautelare in carcere ovvero non oltre dieci giorni se la
persona è sottoposta ad altra misura cautelare; i) del diritto di comparire dinanzi al giudice per
rendere l'interrogatorio, di impugnare l'ordinanza che dispone la misura cautelare e di
richiederne la sostituzione o la revoca] e successivamente provvede prontamente ad informare, ove
nominato, il suo difensore di fiducia o quello d’ufficio in modo da garantirgli di comunicare con loro sin
dal primo momento e frattanto redige un verbale che sarà poi immediatamente trasmesso al giudice
che ha emesso l’ordinanza e al pubblico ministero. Qualora invece il destinatario del provvedimento non
sia rintracciabile, verrà emesso sempre un verbale, ma di c.d. vane ricerche, da trasmettere sempre al
P.M. e al GIP il quale, qualora le investigazioni saranno esaurienti, dichiarerà lo stato di latitanza del
soggetto che volontariamente si sottrae al provvedimento impostogli. Come abbiamo poc’anzi
accennato questa fase si caratterizza per le forme di contraddittorio in esse presenti: una volta che la
misura è stata eseguita, conferito il verbale al p.m. e al GIP, questi è tenuto a svolgere il c.d.
interrogatorio di garanzia [così chiamato perché ha funzione difensiva] nei confronti della persona a cui
è stata eseguita la misura ed è consentito al suo difensore, grazie ad un avviso, di conoscere gli elementi
appositamente depositati che hanno portato il GIP stesso a disporre nei confronti del suo assistito la
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misura cautelare. È fatto esplicito divieto al p.m. di sentire l’individuo in stato di misura cautelare,
essendo il giudice primo attore in tema di interrogatorio di garanzia che dovrà svolgersi entro un
termine breve, ovvero entro 5 giorni da quando è stata eseguita la misura in carcere e 10 negli altri casi,
a pena di decadenza della misura: sarà infatti sempre lui a decidere al fine di tale interrogatorio se
confermare la misura oppure eventualmente modificarla o revocarla, ciò non toglie però che dopo
l’interrogatorio di garanzia il p.m. possa procedere con il c.d. interrogatorio investigativo. Ovviamente
bisogna dare tempestiva comunicazione del compimento dell’interrogatorio di garanzia sia al P.M., in
modo che possa esercitare le sue funzioni, e al difensore che, a differenza del precedente, dovrà
necessariamente intervenire all’atto in cui, ex art. 294.4 c.p.p., sarà il GIP, posti i relativi avvisi l’addebito
e gli elementi di prova, a porre le domande tenendo conto del fatto che, solo dal momento in cui la
persona soggetta a misura si trovi in carcere, il tutto dovrà essere registrato fonograficamente o
audiovisivamente, a pena di inutilizzabilità.

Procediamo ora analizzando le vicende successive, ovvero quei casi indicati dal codice in cui le misure cautelari
personali applicate possono essere modificate: la revoca e la sostituzione, sia essa in melius o in pelius.

• La revoca, ex articolo 299.1 c.p.p., deve essere immediatamente disposta quando si accerti che le
condizioni generali di applicabilità risultino mancanti anche per fatti sopravvenuti, oppure quando si
accerti che siano venute meno completamente le esigenze cautelari. La parola chiave è “Mancanti”.
• La sostituzione in melius della misura o la sua applicazione con modalità meno gravose, deve essere
disposta, ex articolo 299.2, quando le esigenze cautelari, pur non essendo venute meno, risultano
attenuate o quando la misura non appare più proporzionata all'entità del fatto o alla sanzione che si
ritiene possa essere inflitta. La parola chiave è “Attenuati”. Per quanto riguarda gli aspetti
procedimentali, occorre sottolineare che di regola, sia la revoca che la sostituzione in meglio possono
essere disposte dal giudice a richiesta dell'imputato o del pubblico ministero ex articolo 299 comma 3,
mentre eccezionalmente possono esserlo anche d'ufficio nel corso dell'interrogatorio di garanzia oppure
in udienza o istituzioni ad esse equiparate, essendo la libertà personale un diritto indisponibile. Prima di
emanare il provvedimento, ex articolo 299.3bis, il giudice deve sentire il Pubblico Ministero in ossequio
di un principio generale del nostro sistema processuale e, dal momento in cui questi, non sia presente in
udienza deve essere avvisato che ha due giorni per far eventualmente conoscere giudice il suo parere
anche se quest'ultimo non sarà vincolante per la sua decisione. Dal momento in cui venga richiesta una
revoca o una sostituzione in melius della misura cautelare per un delitto contro commesso con violenza
alla persona, ex art. 299.3/4bis, la persona offesa deve esserne avvisata: qualora il tutto avvenga al di
fuori dell’udienza o situazioni assimilate deve esserne informato, a pena di inammissibilità, il difensore
della persona offesa e qualora sia assente lo dovrà essere quest’ultimo se abbia fornito apposito
domicilio in modo che entrambi, ove ne sentano necessità, potranno presentare memorie entro i
termini previsti allo scadere dei quali il giudice è tenuto a pronunciarsi. Va inoltre ricordato che qualora
la persona offesa ne abbia fatta esplicita richiesta, gli saranno immediatamente comunicati con l’ausilio
della polizia giudiziaria ulteriori avvisi ex art. 90ter, da aggiungere ai precedenti ex art. 299 in merito ai
provvedimenti di scarcerazione e di cessazione della misura cautelare, all’evasione dell’imputato in
stato di custodia cautelare e alla volontaria sottrazione dell’internato all’esecuzione della misura di
sicurezza detentiva. L’art. 90ter specifica che tali ulteriori avvisi dovranno esser dati quando vi siano
elementi di fatto da cui desumere la possibilità di azioni ritorsive contro l’imputato, il condannato o
l’internato in stato di libertà.
• La sostituzione in peius della misura o la sua applicazione con modalità più gravose, può essere disposta,
ex articolo 299.4, soltanto dal giudice su richiesta del P.M. [non d’ufficio] quando le esigenze cautelari,
pur non essendo venute meno, risultano aggravate o quando l’individuo in stato di misura cautelare
abbia trasgredito la misura prevista. La parola chiave è “Aggravati”. In questi casi il giudice sostituisce la
misura applicata con un'altra più grave, o ne dispone l'applicazione con modalità più gravose, o ancora,
applica congiuntamente un’altra misura coercitiva o interdittiva mediante provvedimento applicativo
diverso, esattamente segreto, perché la nuova misura disposta può esserlo a sorpresa stavolta.

Le misure cautelari personali si possono estinguere: esistono infatti essenzialmente due cause di estinzione,
quelle ope iudici e quelle ope legis, che, una volta accertate, operano automaticamente in modo da far
immediatamente cessare la misura stessa, specialmente se si tratta di custodia cautelare in carcere [infatti in

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questo caso il soggetto, essendo immediata la cessazione, una volta che si sia conosciuto il provvedimento, viene
separato dai detenuti ed accompagnato senza mezzi di coercizione presso una sezione della casa circondariale
nell’attesa che vengano sbrigate le carte per la sua scarcerazione].

1. Per quanto concerne le cause di estinzione ope iudici, quindi di giudizio, sussistono dal momento in cui il
giudice emani un provvedimento con cui accerta il modificarsi dei presupposti applicativi come ad
esempio avviene con quello che dispone la revoca (quindi quest’ultima qualora disposta dal giudice
mediante provvedimento diventerà una causa di estinzione della misura cautelare).
2. Per quanto concerne le cause di estinzione ope legis, quindi di diritto, sussistono dal momento in cui la
misura cautelare perde di efficacia al verificarsi di determinati eventi previsti dalla legge, precisamente:
quando per il medesimo fatto e nei confronti della medesima persona oggetto di misura, sia intervenuto
nel frattempo un provvedimento, anche non definitivo, che esclude l'addebito come ad esempio una di
non luogo a procedere [udienza preliminare], una di archiviazione [indagini preliminari] od una sentenza
di proscioglimento [dibattimento]; poi ancora quando sia decorso il termine massimo di durata della
singola misura cautelare prima della definizione del procedimento con sentenza di condanna
irrevocabile; ancora quando una misura disposta per esigenze probatorie non si è rinnovata entro il
termine fissato dal giudice; sovviene inoltre estinzione della misura, qualora questa sia disposta e non
venga sottoposto ad interrogatorio dal giudice entro i termini previsti; oppure quando, disposta la
misura dal giudice dichiarato incompetente non è poi riassunta non è confermata al giudice dichiarato
competente nel termine previsto di 20 giorni; quando a seguito di una condanna la pena irrogata è stata
dichiarata estinta o è stata condizionalmente sospesa ed infine quando a seguito di una condanna la
pena irrogata è uguale inferiore alla custodia cautelare già subita.

Passiamo ora ad analizzare la disciplina dei termini in tema di misure cautelari, essendo tra le principali loro
cause di estinzione: difatti, ove vengano superati i c.d. termini massimi, il giudice mediante provvedimento dovrà
disporre la cessazione degli effetti o la liberazione per l’individuo che ne era oggetto.

Il termine massimo, posto a garanzia dell’art. 13.5 [la legge deve stabilire i limiti massimi della carcerazione
preventiva] e dell’art. 27.2 [presunzione di innocenza, la misura cautelare non deve anticipare la pena] Cost., è il
termine entro cui il giudice deve disporre la cessazione degli effetti o la liberazione e nei reati più gravi, per cui è
previsto ergastolo o pena detentiva superiore a 20 anni, i termini massimi di custodia cautelare coprono l'arco di
tempo dall'esecuzione della misura coercitiva, dal fermo o dall'arresto, fino alla sentenza di condanna
irrevocabile. I termini massimi si dividono in intermedi e termine massimo complessivo.

a) Abbiamo un termine intermedio, ossia un termine che si ha solo in una determinata fase o grado del
procedimento. Essendocene diversi (un primo [da quando è stata eseguita la misura nel corso delle
indagini fino al provvedimento che dispone il giudizio abbreviato o fino alla sentenza di
patteggiamento], un secondo [dal rinvio a giudizio fino alla sentenza di condanna di primo grado],
un terzo [dalla pronuncia di condanna di primo grado fino a quella di secondo grado] ed un quarto
termine intermedio [dalla pronuncia di condanna di secondo grado fino a quando la sentenza
diventa irrevocabile] secondo una disciplina molto farraginosa e complessa posta dal codice stesso
agli art. 303 a 308) è possibile che più termini intermedi siano all'interno dello stesso procedimento,
ma essi sono autonomi tra di loro (es. terminata una fase e cominciata un'altra, inizia il nuovo
termine intermedio anche se il precedente non é ancora concluso).
b) Il termine massimo complessivo si riferisce invece all'intero procedimento e indica il termine max.
entro cui deve esservi sentenza di condanna irrevocabile ed opera a prescindere dai singoli termini
intermedi.

Un prolungamento dei termini massimi intermedi e complessivi è costituito dai termini finali: questi sono invece
dei termini comprensivi della sospensione, oltre cui la custodia non può protrarsi e per questo definiti appunto
finali.

Vi sono poi tre cause sospensive generali del decorso dei termini, con cui il giudice mediante ordinanza provvede
appunto a sospendere, in soddisfazione di determinate esigenze, il decorrere dei termini determinando quindi
una loro stasi.

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1. La prima causa sospensiva generale, è prevista (ma non per ragioni istruttorie o concessione di termini a
difesa) nei soli casi di sospensione o rinvio del dibattimento dell'udienza preliminare o di giudizio
abbreviato per impedimento dell'imputato del suo difensore oppure su richiesta di questi ultimi.
2. La seconda causa sospensiva generale, concerne le ipotesi di sospensione o rinvio del dibattimento
dell'udienza preliminare del giudizio abbreviato per mancata presentazione, all'allontanamento o alla
mancata partecipazione di uno più difensori in maniera tale da far trovare privo di assistenza uno o più
imputati
3. La terza e ultima causa sospensiva generale, scatta nel giudizio ordinario o nel rito abbreviato durante la
pendenza dei termini per la redazione della motivazione ai sensi dell' articolo 544 Commi 2 e 3 del
Codice di Procedura Penale.

Abbiamo poi una causa sospensiva speciale che, chiamata sospensione per complessità, viene disposta dal
giudice su richiesta del p.m. per i dibattimenti e per i giudizi abbreviati relativi a delitti di criminalità organizzata
terrorismo e similari qualora l'accertamento risulti particolarmente complesso, ed opera durante il tempo in cui
sono tenute le udienze o si delibera la sentenza nel giudizio di primo grado o nel giudizio sulle impugnazioni.

Inoltre, va ricordato, ex articolo 304 comma 6, il c.d. termine finale sussidiario che opera soltanto se più
favorevole rispetto ad altri termini finali ed è pari a due terzi del massimo della pena temporanea prevista per il
reato contestato o ritenuto in sentenza.

Le misure cautelari personali hanno tra le loro caratteristiche peculiari l’impugnabilità, pertanto possono essere
impugnate, o meglio possono esserlo i provvedimenti con cui sono applicate modificate o revocate, esperendo
in via incidentale, e quindi parallelamente al procedimento penale, uno dei tre mezzi d’impugnazione ex art.
309-311 c.p.p.: riesame, appello e ricorso in Cassazione. Procediamo analizzandoli singolarmente, tenendo conto
della loro caratteristica comune più importante: esse, profondamente riformate nel 2015 con la legge n. 47, non
hanno efficacia sospensiva sul provvedimento che limita la libertà personale, pertanto questo continua a
produrre effetti nel corso del procedimento.

• Il riesame è un controllo sia di merito che di legittimità su una misura applicata ab initio. Procediamo
però per gradi. Il riesame, ex art. 309 c.p.p., è ammesso, di regola, soltanto qualora, su richiesta
dell’imputato o del suo difensore [assolutamente no da parte del p.m.], si voglia impugnare ab initio, e
quindi per la prima volta in assoluto, un provvedimento cautelare. Si tratta di un mezzo di impugnazione
completamente devolutivo che permette a chi impugna di ottenere sia un controllo di merito che uno di
legittimità della misura adottata dal tribunale [c.d. delle libertà o del riesame], il quale, entro termini
brevi perentori (a pena di inefficacia della misura coercitiva), valuta i presupposti della misura coercitiva,
tenendo conto sia di quanto conosciuto dal giudice che ha emanato il provvedimento sia dei documenti
che le parti hanno presentato successivamente al tribunale [alla luce di un limitato potere conoscitivo,
può basarsi solo sui documenti effettivamente fornitigli da p.m. e parti private, senza la minima
possibilità di fare audizioni o indagini], senza essere vincolato né dai motivi dedotti dall'imputato né da
quelli posti alla base del provvedimento cautelare stesso. Infatti il tribunale può riformare il
provvedimento per motivi diversi da quelli indicati dall'imputato o dal difensore e può confermare il
provvedimento, ma per ragioni diverse da quelle adotte. Dal punto di vista procedimentale, la richiesta
di riesame, che potrà tanto essere motivata quanto no, deve essere presentata presso la cancelleria del
tribunale della libertà dall'imputato o dal suo difensore entro il termine di 10 giorni a pena di
inammissibilità, decorrenti rispettivamente per l'imputato dall'esecuzione o dalla notificazione del
provvedimento e per il difensore dalla notifica dell'avviso di deposito dell'ordinanza che dispone la
misura. Fatto ciò viene fissata la data dell’udienza, che si svolgerà in camera di consiglio: tra l’altro,
entro il termine perentorio di 2 giorni, essa potrà essere differita per giustificati motivi su richiesta
dell’imputato stesso, essendo un suo diritto, in seguito ad una riforma del 2015, quello di comparirvi
personalmente ove lo richieda. In seguito all’udienza il tribunale, entro il termine perentorio di 10 giorni
dalla ricezione degli atti, deve decidere con ordinanza, che dovrà poi a sua volta essere depositata entro
il termine perentorio di 30 giorni, prorogabili eventualmente massimo fino a 40 qualora la motivazione
da fornire sia particolarmente complessa in relazione al caso affrontato. Le decisioni del tribunale
possono essere di 4 tipi: in primis può ovviamente dichiarare l'inammissibilità della richiesta di riesame;
poi può riformare, e quindi modificare, il provvedimento impugnato in senso favorevole all'imputato,
anche per motivi diversi da quelli enunciati da lui stesso; ancora può confermare il provvedimento
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impugnato, per ragioni diverse da quelle indicate dal provvedimento; ed infine può annullare il
provvedimento, sia per i motivi tradizionali e quindi in seguito alla carenza a pena di nullità degli
elementi fondamentali ex art. 292 [c.d. annullamento tradizionale in mancanza di esposizione delle
specifiche esigenze cautelari, dei motivi di rilevanza degli elementi di fatto e delle ragioni per le quali le
esigenze cautelari non possono essere soddisfatte con altre misure], sia per quelli introdotti dalla legge
47 del 2015, quindi in seguito alla mancanza grafica effettiva della motivazione oppure qualora questa
risulti una mera copia di quanto già formulato dal pubblico ministero e quindi non frutto di una sua
autonoma valutazione.
• L’appello, ex art. 310 c.p.p., è ammesso, in via residuale, nei confronti di tutti i rimanenti provvedimenti
non impugnabili con il riesame presi dal giudice in tema di misure cautelari personali. Esso può essere
proposto prima di tutto, nei confronti di provvedimenti che applicano per la prima volta una misura
cautelare interdittiva, poi su richiesta dell’imputato del suo difensore contro i provvedimenti differenti
da quelli che applicano per la prima volta una misura coercitiva e, stavolta, anche da parte del pubblico
ministero contro l'ordinanza del giudice che abbia applicato una misura coercitiva meno grave di quella
da lui richiesta o ancora contro l'ordinanza che ha concesso la revoca o la sostituzione di una misura già
adottata entro 10 giorni dall’esecuzione o notificazione del provvedimento, a pena di inammissibilità.
Sarà competente a pronunciarsi il tribunale delle libertà, in modalità analoghe a quelle previste per il
riesame e quindi in camera di consiglio, entro il termine ordinatorio di 20 giorni dalla ricezione degli atti,
con la sostanziale differenza che vi sono delle formalità da rispettare nel redigere l’appello, o meglio
nella stesura dei motivi per i quali il soggetto interessato ritiene che il provvedimento debba essere
annullato o modificato. Essendo poi l’appello un mezzo di impugnazione limitatamente devolutivo, il
controllo esercitabile dal tribunale riguarderà esclusivamente i motivi di doglianza esposti nella
dichiarazione di impugnazione dall'imputato o dal pubblico ministero. In seguito alla Riforma avvenuta
nel 2015 con la legge numero 47 l'ordinanza del tribunale deve poi essere depositata in cancelleria
entro 30 giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione si è particolarmente
complessa in cui il termine può essere prorogato al massimo fino a 40 giorni che, qualora superati,
essendo il minatori comporteranno al massimo delle sanzioni processuali e non la decadenza del
relativo diritto a impugnare.
• Il ricorso per Cassazione, ex art. 311 c.p.p., è ammesso, di regola, nei confronti delle decisioni prese in
sede di riesame e di appello, ma in via del tutto eccezionale, in presenza di una palese violazione di
legge nell’applicazione di una misura coercitiva, sarà possibile ricorrervi ab initio per saltum su richiesta
dell’imputato o del suo difensore in modo da impugnare l’ordinanza che la dispone. Esso deve essere
proposto entro 10 giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’avviso di deposito del
provvedimento che viene impugnato, solo da parte dell’imputato mediante suo difensore [attenzione
però, in seguito alla riforma Orlando l’imputato non può sottoscrivere personalmente il ricorso e quindi
potrà farlo solo mediante il suo stesso difensore c.d. Cassazionista iscritto all’albo a pena di
inammissibilità] nel caso del ricorso per saltum, nel primo caso generale potrà esserlo da parte di
quest’ultimi ed anche da parte del p.m. che ha richiesto la misura o anche dal p.m. del tribunale delle
libertà. La Corte di Cassazione è poi tenuta a pronunciarsi entro 30 giorni dalla ricezione degli atti
osservando le forme previste e, come sappiamo, non potrà farlo sul merito bensì solo sulla legittimità e
pertanto potrà contestare: la mancanza, le contraddittorietà o manifeste illogicità della motivazione del
provvedimento impugnato ed anche il travisamento della prova e cioè quando un dato probatorio è
stato messo inventato mal interpretato.

Il giudicato cautelare è semplicemente un concetto elaborato dalla Corte di Cassazione, volto a dare stabilità a
una pronuncia in modo da impedire al giudice adito successivamente di valutare nuovamente le questioni già
esaminate un altro giudice: si ritiene però in questo caso che si tratti non di un effetto di giudicato in senso
proprio, ma effetto preclusivo non definitivo che è superabile in presenza di elementi nuovi rispetto alla
situazione su cui si è basata la precedente decisione. La giurisprudenza in materia è vastissima, infatti le SS.UU.
hanno ribadito che qualsiasi preclusione in materia cautelare opera solo allo stato degli atti, quindi possono
sempre sopravvenire esigenze nuove, non trattandosi di un giudicato vero e proprio non avendo effetto
definitivo proprio del giudicato.

Se un soggetto ha subito una misura cautelare ingiustamente ha diritto ad un risarcimento: dal momento in cui
quindi sussista un'ingiustizia, sia essa sostanziale o formale, si avrà diritto ad una c.d. equa riparazione.

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➢ Qualora sussista un’ingiustizia sostanziale e quindi l’imputato abbia subito una misura cautelare pur
essendo innocente, ex art. 314.1 c.p.p., vi è per questi un diritto all’equa riparazione purché sia stato
assolto con sentenza definitiva, perché il fatto non sussiste o perché non l'ha commesso o perché il fatto
non costituisce reato.
➢ Qualora sussista un’ingiustizia formale e quindi l’imputato, sia esso stato prosciolto o condannato, abbia
subito una misura cautelare applicata illegittimamente, ex art. 314.2 c.p.p., vi è un diritto all’equa
riparazione purché venga accertato il tutto con decisione irrevocabile precisando quindi
alternativamente o la mancanza delle condizioni di applicabilità dei gravi indizi, oppure se il delitto
addebitato non era punibile perché non previsto per legge o perché estinto per prescrizione.

Sempre ex art. 314 vengono indicati dei casi in cui tale diritto alla riparazione è escluso:

1. ex comma 4, per quella parte di custodia cautelare che è stata computata ai fini della determinazione
della quantità della pena detentiva che avrebbe dovuto essere scontata dall’imputato che è stato
condannato;
2. ex comma 1, se il soggetto ha concorso o dato causa all’ingiusta tanto formale quanto sostanziale
custodia cautelare per dolo o colpa grave.

La domanda di riparazione deve essere proposta alla Corte d'Appello entro due anni dal giorno in cui la sentenza
è diventata irrevocabile o è stato notificato provvedimento di archiviazione e ad ogni modo ex articolo 315
l'entità della stessa non può superare i €516.456.

N.B. Nessuna riparazione è prevista per l’ingiusta applicazione di misure cautelari coercitive non custodiali.

Infine, la disciplina dell’equa riparazione è stata estesa dalla Corte Costituzionale anche alle misure precautelari
nel ‘99.

Fin qui abbiamo parlato delle misure cautelari personali, non ci resta ora che affrontare il caso delle misure
cautelari reali e quindi di quelle misure che vengono applicate nei confronti dei beni mobili o immobili che siano
posti in un vincolo di indisponibilità. Il codice prevede due forme di misure reali: il sequestro conservativo e il
sequestro conservativo, diverse ovviamente dal sequestro probatorio in termini di finalità considerato che
quest’ultimo è volto all’acquisizione di un elemento di prova, mentre i precedenti hanno finalità cautelare e
quindi tendono ad evitare che le lungaggini processuali possano dar luogo a pregiudizi irrimediabili. Vediamoli
però entrambi nel dettaglio.

• Il sequestro conservativo tende ad evitare che, nell’attesa della condanna definitiva, diminuiscano o si
disperdano le garanzie patrimoniali del condannato, in modo da permettergli successivamente di pagare
le somme dovute per risarcimento del danno o per le spese di giustizia: quindi materialmente, ex art.
316 c.p.p., esso consiste in un vincolo di indisponibilità atto a garantire che siano onorate le obbligazioni
consequenziali al compimento di un reato che può essere richiesto dal p.m. e dalla parte civile in ogni
stato e grado del processo e pertanto non durante le indagini preliminari. Affinché possa essere
disposto dovranno sussistere due requisiti: il fumus boni iuris e il periculum in mora: il primo, in questo
caso è più precisamente un fumus commissi delicti sussistente inizialmente alla mera pendenza del
giudizio penale, mentre ad oggi è richiesta qualche certezza in più ovvero un minimo di prova degli
elementi oggettivi del reato, per il periculum in mora, si riterrà sussistente dal momento in cui ci sia un
timore dell’insufficienza delle risorse patrimoniali per soddisfare le obbligazioni nascenti dal reato e
nella prognosi di una condotta di depauperamento del patrimonio. Il giudice, senza sentire imputato e
responsabile civile, valuterà la richiesta postagli e dal momento in cui la ritenga fondata e sussista
l’esigenza cautelare disporrà il sequestro e ne demanderà l’esecuzione all’ufficiale giudiziario: per
questo è possibile che l’imputato chieda una conversione in cauzione del sequestro conservativo. Dopo
l'esecuzione del provvedimento chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame, per cui
sarà competente a pronunciarsi appunto il Tribunale del Riesame del capoluogo della provincia nella
quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento. Il sequestro può essere revocato come avviene
per tutte le misure cautelari se vengono meno i presupposti, inoltre esso perdura fintanto che la
sentenza non diventa irrevocabile e qualora questa sia di condanna si converte in diritto di
pignoramento.

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• Il sequestro preventivo, ex art. 321, può essere disposto qualora sussista una delle seguenti esigenze:
1. In virtù del rapporto che quel bene mobile o immobile ha con il fatto di reato, in modo da impedire
che la cosa pertinente ad un reato possa essere utilizzata per aggravare o protrarne le conseguenze;
2. In virtù della pericolosità in sé della cosa, che in quanto tale va tenuta lontana dalla portata del reo;
3. In virtù del fatto che la cosa possa agevolare la commissione di altri reati, basti pensare ad una
pistola, il corpo del reato, che viene sequestrato per evitare la reiterazione del reato;

Qualora sussista una di queste esigenze il p.m. fa richiesta al giudice compente a pronunciarsi sul
merito, anche il gip ove necessario, e qualora questi, non sentendo il possessore della cosa, ritenga
sussistenti il fumus commissi delicti e il periculum in mora, disporrà il sequestro che sarà non solo fonte
di vincolo di indisponibilità del bene mobile o immobile, ma comporta proprio degli obblighi di fare e
non fare.

➢ Anche in questo caso, la Giurisprudenza ritiene che sussisterà il fumus commissi delicti dal
momento in cui sia fornito un minimo di prova degli elementi oggettivi del reato;
➢ Per quanto concerne il periculum in mora invece consiste nell'attitudine della cosa ad essere
strumentalmente e oggettivamente collegata all'aggravarsi o al protrarsi di un reato già
realizzato o alla perpetrazione di altri fatti criminosi collegati al precedente.

Dal momento in cui sussistano situazioni tali da dover disporre immediatamente il sequestro
conservativo, senza attendere che il gip le autorizzi potrà farlo anche il p.m. mediante decreto
motivato che dovrà esser poi convalidato dal giudice. Per quanto concerne le modalità di
esecuzione esse variano in base all’oggetto del sequestro: sui beni mobili e sui crediti il sequestro
preventivo si esegue secondo le forme prescritte dal codice di procedura civile per il pignoramento
presso Il debitore o presso terzi, in quanto applicabili; sui beni immobili o mobili registrati si esegue
con la necessaria trascrizione del provvedimento presso i competenti uffici; sui beni aziendali
organizzati per l'esercizio di un'impresa con l'iscrizione del provvedimento nel registro delle
imprese; sulle azioni e sulle quote sociali con relativa annotazione nei libri sociali ed iscrizione nel
registro delle imprese ed infine sugli strumenti finanziari dematerializzati con la registrazione
nell'apposito conto tenuto dall'intermediario. La revoca del sequestro preventivo anche in questo
caso è richiesta dal giudice su richiesta del pubblico ministero, dell'imputato e di chiunque ne abbia
interesse dal momento in cui vengano meno le esigenze previste dalla legge (pericolosità della cosa
in sé e rispetto al fatto di reato e in virtù di una possibile perpetrazione del reato). Con la sentenza
di proscioglimento o di non luogo a procedere anche se soggette impugnazione il giudice ordina che
le cose sequestrate siano restituite a chi ne abbia diritto e il provvedimento con cui cioè stabilito
sarà immediatamente esecutivo, se invece sarà pronunciata sentenza di condanna gli effetti del
sequestro permarranno quando sia stata disposta la confisca delle cose sequestrate. È possibile
l'impugnazione contro il decreto di sequestro emesso dal giudice da parte dell'imputato, del
difensore, della persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che ne avrebbe diritto
alla restituzione e su tale richiesta è tenuto a pronunciarsi il tribunale del riesame del capoluogo di
provincia nella quale ha sede l’ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato. L'ordinanza di
diniego del sequestro preventivo e l'ordinanza che respinge l'istanza di revoca proposta
dall'imputato sono sottoponibili ad appello di fronte al Tribunale del capoluogo di provincia. Contro
le ordinanze emesse dal Tribunale del riesame ex articolo 325 c.p.p. il pubblico ministero,
l'imputato, il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che
avrebbe diritto alla restituzione possono proporre ricorso per Cassazione per violazione di legge.

Parte Terza - Il procedimento ordinario

Capitolo I - Le indagini preliminari

Le indagini preliminari costituiscono la prima fase del procedimento e cominciano nel momento in cui giunge la
notizia di reato alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero e termina quando il pubblico ministero esercita
l'azione penale oppure richiede l'archiviazione. Sono quindi questi due organi ad avere iniziativa per il
compimento degli atti di indagine che espletano tale fase la quale, come sappiamo, deve essere svolta in segreto
[e quindi i risultati saranno assunti unilateralmente e senza che ci sia contraddittorio, causandone la loro non
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utilizzabilità in dibattimento nel rispetto dell'art. 111.4 e dell'art. 526 c.p.p. posto in sua applicazione]. In
particolar modo la fase delle indagini preliminari consta delle investigazioni che, dirette dal Pubblico Ministero e
svolte effettivamente dalla polizia giudiziaria di cui ex art. 109 Cost. egli stesso si serve, hanno il fine di fornire a
quest'ultimo gli elementi in base ai quali decidere se addebitare nei confronti dell'indagato l'imputazione e
quindi rinviarlo a giudizio oppure chiedere l'archiviazione delle indagini. E questo sarebbe il mero fine delle
indagini preliminari ad una lettura dell'art. 326 del c.p.p. in cui si afferma che il Pubblico Ministero e la polizia
giudiziaria svolgono nell'ambito delle rispettive attribuzioni le indagini necessarie per le determinazioni inerenti
all'esercizio dell'azione penale: Tonini afferma però che, data la struttura complessiva del codice, ve ne siano
anche altre di finalità, riguardanti tanto il pubblico ministero e le proprie scelte, ma anche quelle del giudice che,
alla stregua del primo, si servirà degli elementi raccolti per operare tanto durante le indagini preliminari,
decidendo in merito ad una misura cautelare o alle intercettazioni, quanto eccezionalmente in dibattimento,
emettendo la decisione finale.

Per quanto concerne la figura del giudice, o meglio del giudice PER le indagini preliminari (GIP) che è chiamato
così poiché non è lui il dominus della suddetta fase, ma lo è il pubblico ministero: infatti, in deroga al principio
nulla iurisdictio sine actione, egli ha il compito di intervenire solamente laddove se ne faccia specifica richiesta
per decidere se adottare, in base ai verbali presentati da p.m. indagato e offeso, determinati provvedimenti
[arresto, fermo, misure cautelari, intercettazioni ecc.] o per fare l’incidente probatorio, pertanto la sua presenza
non è necessaria e molte volte è perfino capitato che si arrivasse in udienza senza che fosse stato mai adito. Alla
luce di ciò è chiaro che il giudice in questa fase non abbia piena giurisdizione.

Come abbiamo detto, le indagini preliminari costituiscono la prima fase del procedimento e cominciano nel
momento in cui giunge la notizia di reato alla polizia giudiziaria o al pubblico ministero: è chiaro quindi che la
notizia di reato non sia altro che un’informazione che permette a questi due soggetti di venire a conoscenza
dell’illecito penale. Il codice prevede due notizie di reato: la denuncia e il referto.

Pubblico ufficiale (357) Incaricato di pubblico servizio (358)


Considerato che prima della riforma per essere P.U. Considerato che prima della riforma per essere I.P.S.
occorreva indifferentemente essere incardinati o occorreva esercitare un pubblico servizio
meno alla P.A., infatti se non lo si era bastava indifferentemente essendo incardinati o meno alla
esercitare o la funzione legislativa o quella P.A., con la legge n. 86 del 1990, presentandosi lo
amministrativa o ancora quella giudiziaria, con la stesso problema dell’articolo precedente legato alla
riforma si provvede ad eliminare tale dicotomia e a dicotomia, si provvede a definire un altro nuovo
definire, anche se in modo confusionario, cosa si criterio con cui individuare, e quindi riconoscere, tale
intende per funzione amministrativa, in quanto prima individuo: sarà ritenuto I.P.S. chi esercita la stessa
non era ben chiaro a cosa ci si riferisse in relazione ad funzione del P.U., ma senza i poteri tipici. Il problema a
essa. La teoria più accreditata è che per funzione cui facevamo poc’anzi riferimento nell’analisi del 357 è
amministrativa si intendano 3 poteri tipici, (più che il suddetto articolo parla solo dei poteri tipici,
precisamente uno deliberativo, uno certificativo ed un lasciando quindi un interrogativo tutt’oggi irrisolto in
altro ancora autoritativo) anche se ciò comporta delle merito alla questione in esame.
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problematiche irrisolte per l’art. 358.
• La denuncia può essere in linea in generale presentata alla polizia giudiziaria o direttamente al p.m. per
iscritto o oralmente da qualsiasi persona che abbia avuto notizia di reato in maniera facoltativa, tuttavia
vi sono comunque delle eccezioni in cui sorge in capo al soggetto privato l'obbligo di denuncia
essenzialmente quando si trovi dinnanzi a reati che compromettono l'integrità dello Stato e siano quindi
contrari all'incolumità pubblica: più precisamente se si tratti di delitti contro la personalità dello Stato
per il quale la legge stabilisce l'ergastolo; se egli abbia ricevuto cose provenienti dal delitto; o ancora
qualora abbia avuto notizia che all'interno di un'abitazione ci sia del materiale esplodente; quando egli
abbia subito un furto di armi e esplosivi e infine quando abbia avuto conoscenza di un delitto di
sequestro di persona ai fini di estorsione. Per quanto concerne invece i pubblici ufficiali e gli incaricati di
pubblico servizio, invece hanno sempre l'obbligo di denuncia per tutte quelle ipotesi di illecito penale
riconducibili alla loro figura e quindi anche se non si trovano in orario lavorativo. Si tratta ovviamente di
due soggetti diversi:

Gli ufficiali di agenti di polizia giudiziaria sono tenuti ad informare il Pubblico Ministero di tutti i reati
procedibili d'ufficio dei quali sono venuti comunque a conoscenza, quindi anche fuori dal servizio svolto.
Per quanto concerne invece il difensore e gli ausiliari, poiché non vanno intesi come incaricati di
pubblico servizio o pubblici ufficiali ex art. 334bis, non hanno obbligo di denuncia neppure in relazione
ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da loro svolte. Ovviamente la
persona offesa va informata dal pubblico ministero della polizia giudiziaria a sua tutela in modo che
possa esercitare i propri poteri nel procedimento penale e quindi nominare un difensore di fiducia
oppure fare richiesta di accesso al patrocinio a spese dello Stato.
• Per quanto concerne il referto, si tratta di una particolare forma di denuncia che va obbligatoriamente
redatto da chi esercita una professione sanitaria in relazione ad avvenimenti che presentano i caratteri
di un delitto procedibile d’ufficio. In merito a chi esercita tale professione sanitaria, va fatta una summa
divisio tra medico privato e quello dipendente pubblico: il pubblico, ex art. 362, ha obbligo di referto in
ogni caso, quindi sia se assista o operi la persona offesa dal reato quanto il suo responsabile assumendo
egli stesso il titolo di pubblico ufficiale; invece il privato, ex art. 365, ha obbligo di referto soltanto
qualora assista la persona offesa dal reato e non il responsabile del reato stesso, perché in quest’ultimo
caso si fa un bilanciamento tra il diritto alla salute ex art. 32 Cost e l’interesse dello Stato alla
conoscenza e alla repressione del reato in cui è il primo a prevalere. Il referto, ex art. 334.2, a livello
contenutistico indica la persona alla quale è stata presentata assistenza e se possibile le sue generalità, il
luogo dove si trova attualmente quanto altro valga identificarla nonché luogo tempo e altre circostanze
dell'intervento ed inoltre dalle notizie che servono a stabilire le circostanze del fatto, i mezzi con i quali è
stato commesso e gli effetti che ha causato o può causare.

Solitamente denuncia e referto invece di essere consegnate direttamente al pubblico ministero, vengono
consegnate alla polizia giudiziaria che quindi ricevuta la notizia di reato è obbligata ad informare nei termini
previsti e per iscritto, mediante c.d. informativa significativa, il pubblico ministero in modo che anch'egli possa
venirne a conoscenza. Dal momento in cui sussistano ragioni di urgenza o si tratti di determinati delitti gravi o di
criminalità organizzata, oppure il reo venga arrestato in flagranza l'informativa deve essere data
immediatamente anche in forma orale. Fatto questo discorso sembrerebbe che notizia di reato e informativa
siano la stessa cosa, in realtà non è così: la fondamentale differenza infatti che c'è tra le due è che l'informativa è
impersonale e quindi viene fatta dall'organo di polizia giudiziaria intesa come unità operativa, mentre la notizia
di reato obbligatoria è frutto di obblighi imposti ad una specifica persona che abbia avuto conoscenza del fatto.

Il codice, oltre a parlare di denuncia e referto, fa un richiamo anche alle condizioni di procedibilità, la cui assenza
non consente al p.m. di esercitare l'azione penale [in loro mancanza in realtà si possono solo compiere ex art.
346 gli atti d’indagine preliminari ad assicurare le fonti di prova]: si tratta infatti sostanzialmente di atti in cui si
contiene non solo l'informazione del reato, ma anche la manifestazione di volontà che si proceda contro il
responsabile dello stesso come ad esempio la querela, l'istanza, la richiesta di procedimento e l'autorizzazione a
procedere.

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• La querela, ex art. 336 c.p.p., può essere presentata entro tre mesi, prorogabili a sei nei casi di delitti
contro la libertà sessuale, dal giorno in cui la persona ha avuto notizia del fatto che costituisce reato
nelle stesse forme della denuncia da parte della sola persona offesa, volendo quest’ultima non solo
informare del reato realizzatosi, ma anche di volerlo perseguire contro il suo responsabile. Il diritto alla
querela sorge dal momento in cui la persona offesa subisce il reato e sussisterà a pena di decadenza una
volta decorsi i termini, inoltre mediante apposito atto irrevocabile e incondizionato vi si può anche
rinunciare oppure esercitare rimessione, a patto che tale atto venga accettato dal querelato potendo
voler questi essere assolto con piena formula per ragioni di carattere etico e morale.
• L’istanza, ex art. 341 c.p.p., è un atto con il quale la persona offesa manifesta la volontà che si proceda
per un reato che è stato commesso all'estero e che se fosse stato commesso In Italia sarebbe
procedibile d'ufficio.
• La richiesta di procedimento, ex articolo 342 c.p.p., è l'atto con cui il Ministro della Giustizia manifesta la
volontà che si proceda per un determinato reato commesso all'estero o per altri reati quali delitti contro
il Presidente della Repubblica, quelli espressamente previsti dagli articoli 313.4 604 [fatto commesso
all’estero] codice penale.
• L'autorizzazione a procedere, ex articolo 343 c.p.p., può essere posta qualora venga in rilievo una
qualità dell'imputato, in quanto rappresentante di un organo pubblico e che si vuole proteggere contro
le azioni di disturbo del potere giudiziario [autorizzazione della camera di appartenenza], o della
persona offesa dal reato, che è un organo pubblico del quale si vuole evitare che venga compromesso il
prestigio in un processo penale.

Quando è stata presentata la querela distanza o la richiesta o l'autorizzazione a procedere la polizia


giudiziaria ha l'obbligo di inviare informativa al pubblico ministero ed in mancanza delle condizioni di
procedibilità di regola non ha l'obbligo di farlo che scatterà soltanto se verranno compiute indagini. Ai sensi
dell'articolo 345 del codice di procedura penale il provvedimento di archiviazione la sentenza di
proscioglimento di non luogo a procedere con cui è stata dichiarata la mancanza di una condizione di
procedibilità, non impediscono l'esercizio ulteriore dell'azione penale per il medesimo fatto e contro la
medesima persona se in un momento successivo vi è l’esistenza della stessa.

L'articolo 111.3 della Cost. sancisce che l'indagato deve essere informato nel più breve tempo possibile delle
accuse a suo carico, del loro quantum e della loro natura, tuttavia tale principio incontra un ostacolo in quella
che è la regola del segreto c.d. investigativo: nel corso delle indagini preliminari possono essere infatti compiuti
da p.m. e polizia giudiziaria degli atti d'indagine segreti, di cui l'indagato non può venire a conoscenza fin quando
non sia svolto nei suoi confronti l'addebito provvisorio, in quanto, informarlo, significherebbe porre una seria
probabilità d'intralciare il lavoro degli inquirenti. Il potere di segretare è attribuito dal c.p.p. al pubblico
ministero, il quale può tanto segretare lo svolgimento di atti di indagine per loro natura conoscibili o che lo siano
diventati successivamente quanto i fatti oggetto di indagine per ragioni essenzialmente legate al sereno ed equo
svolgimento del procedimento. Il segreto concerne essenzialmente lo svolgimento e documentazione dell’atto
del procedimento, senza ricomprendere il fatto storico oggetto di indagine e dal momento in cui venga violato
da una persona che abbia partecipato o assistito al procedimento, ad esempio i possibili testimoni sentiti dal
p.m., quest’ultimo sarà addirittura punito con la reclusione e sorte idonea sarà prevista anche per il pubblico
ufficiale, quale magistrato o polizia giudiziaria, o l’incaricato di pubblico servizio. Come poc’anzi accennato, il
segreto investigativo può cadere al momento dello svolgimento nei suoi confronti l’addebito provvisorio, ma ciò
può avvenire anche in altri due momenti: qualora vi sia una possibilità legale di venirne a conoscenza e al
termine delle indagini preliminari. Abbiamo quindi tanto atti segreti, quanto atti conoscibili dall’indagato.
Avendo già analizzato quelli segreti, procediamo analizzando quelli conoscibili dall’indagato tra cui vanno
ricordati gli atti garantiti e gli atti a sorpresa, tenendo conto che il loro verbale, a prescindere dal fatto che il
difensore abbia partecipato meno all'atto medesimo, va depositato presso la segreteria del pubblico ministero
entro il terzo giorno successivo al suo compimento, così da consentire al difensore di prenderne visione nei 5
giorni successivi tanto dei verbali quanto delle cose eventualmente sequestrate.

➢ Gli atti garantiti essi si caratterizzano perché, per svolgerli il difensore dell'indagato ha il diritto di essere
avvertito ad opera del p.m., almeno 24 ore prima del loro svolgimento affinché egli possa assistervi, alla
luce di quella che ricordiamo è una facoltà in tal caso, a tutela del suo assistito (c.d. contraddittorio
debole) e si tratta quindi dell’interrogatorio, dell’ispezione, dell’individuazione di persone. Se sussista un
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pericolo di ritardo dell’atto in modo che vi si possa procedere direttamente, dandone però tempestiva
notizia al difensore; qualora invece si ritiene che possano essere alterate tracce o effetti materiali del
reato, l’avviso di tale atto garantito potrà essere omesso. Prima tutto ciò, va però ovviamente mandata
ad opera del p.m. l’informazione di garanzia sia alla persona offesa che all’indagato, in modo che questi,
prendendone visione, possano nominare un difensore di fiducia o vedersene attribuito uno d’ufficio a
cui verrà poi dato il debito preavviso di svolgimento dell’atto, ove ovviamente non sussistano i due casi
eccezionali poc’anzi elencati.
➢ Gli atti a sorpresa ricomprende quegli atti ai quali il difensore ha facoltà di assistere senza tuttavia avere
diritto al preavviso, come ad esempio perquisizioni e sequestri: insomma in questo caso il soggetto verrà
avvisato, ma mentre si sta per compiere l’atto.

Procediamo con il divieto di pubblicazione che è posto in relazione agli atti di indagine prima che comunque si
giunga in udienza preliminare, in realtà prima che vi sia la decisione del giudice:

• nei confronti degli atti segreti ex art. 329 esso è assoluto e pertanto sussiste sempre in quanto non si
vuole compromettere l'attività investigativa;
• mentre per quanto riguarda gli atti conoscibili in questo caso si ha un divieto attenuato di pubblicazione,
per cui è vietato pubblicare il testo parziale o totale dell'atto, ma potrà esserlo il contenuto dello stesso
e cioè notizie di stampa più o meno generiche prive di riscontri documentali ad esso inerenti.

Dal 26 gennaio 2019, quando entrerà in vigore la riforma Orlando, sarà possibile, in via del tutto eccezionale,
sarà possibile pubblicare l’ordinanza con cui è disposta misura cautelare. Quello finora delineato è il regime che
vige fino al termine dell'udienza preliminare, quando, in seguito all'emissione del decreto che dispone il giudizio,
il giudice forma due fascicoli: il fascicolo del Pubblico Ministero e il fascicolo per il dibattimento. Quest'ultimo è
di regola pubblicabile attraverso riproduzione totale o parziale del suo testo, per quanto concerne invece il
fascicolo del pubblico ministero gli altri in esso contenuti possono essere pubblicati soltanto dopo che è stata
pronunciata la sentenza in grado di appello in modo da garantire la corretta formazione del convincimento del
giudice. la disciplina fin qui esposta prevede però delle lacune e dei vuoti tutela, quello a cui Tonini fa
esplicitamente riferimento è il fatto che la pubblicazione arbitraria di atti del procedimento penale è punito dal
Codice Penale con una pena irrisoria e quindi, sostanzialmente, i giornalisti pur di fare scoop, avanzare di
carriera e incrementare i profitti dell'editore finiscono per non garantire non solo la riservatezza dei soggetti
coinvolti nel processo penale, ma anche la serena amministrazione della giustizia e la presunzione di innocenza
dell'imputato. il codice prevede inoltre che ci sia apposito divieto di divulgare determinati atti specialmente se
riguardano i minorenni siano essi imputati o testimoni in modo da mantenere il loro anonimato tale divieto è
esteso anche ai documenti concernenti Lo spionaggio ed il dossieraggio illeciti. è inoltre concesso che le
generalità e l'immagine della persona offesa specialmente qualora l'imputato si sia macchiato di reati quali
pedofilia e pedopornografia non possano essere divulgati a meno che Quest'ultima non abbia prestato consenso
a farlo, similmente a quanto accade alle persone private di libertà personale che non possono essere similmente
a quanto accade alle persone private di libertà personale che non possono essere sottoposte ritratte con le
manette ai polsi o mentre sono sottoposte ad un altro mezzo di ripresa di coercizione fisica a meno che non
siano loro stessi a volerlo.

Il codice all'interno delle indagini preliminari distingue tra le attività a iniziativa del Pubblico Ministero e le
attività iniziativa della polizia giudiziaria: come sappiamo, è costituzionalmente sancito che il p.m. disponga della
polizia giudiziaria nel compimento delle indagini da lui stesso designate [in caso di conflitti tra p.m. e polizia
giudiziaria, piuttosto rari a meno che sia messa in discussione l’imparzialità, è ammessa sostituzione da parte del
capo dell’ufficio della Procura], però in casi eccezionali, essa può agire di propria iniziativa. Il codice parla quindi
di attività di iniziativa del p.m. e della polizia giudiziaria per sottolineare che, seppur sia diversa la loro
regolamentazione, sostanzialmente esse svolgono le stesse funzioni: il pubblico ministero ha solo poteri di
perquisizione e sequestro probatorio molto più incisivi rispetto a quelli della polizia giudiziaria che agisce di
propria iniziativa, infatti, ex art. 352 c.p.p., la perquisizione ad iniziativa della polizia giudiziaria può avvenire
soltanto in caso di flagranza o evasione e successivamente deve essere sottoposta a convalida del pubblico
ministero, mentre se ad ordinarla sarà il p.m. non si richiede assolutamente tutto ciò [basterà avere sufficienti
indizi e non sarà necessaria alcuna convalida]. Nell'ambito dell'attività svolta d'iniziativa dalla polizia giudiziaria si
possono tracciare ulteriori distinzioni, abbiamo infatti: un'iniziativa in senso stretto c.d. autonoma, un'iniziativa
in senso ampio c.d. successiva ed un'iniziativa integrativa.
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Iniziativa autonoma Iniziativa successiva Iniziativa integrativa
Prende inizio dal momento in cui Svolta sotto le direttive del Si attua quando emergono nuovi
perviene la notizia del reato, finisce pubblico ministero, è quindi dati a seguito del compimento di
quando il pubblico ministero successiva alla loro ricezione. A atti delegati dal Pubblico Ministero
impartisce le direttive e consiste seconda che queste siano o meno per assicurarne la massima
nel ricercare ogni elemento utile strettamente seguite, l’iniziativa efficacia, come avviene ad esempio
alla ricostruzione del fatto e successiva potrà essere suddivisa a da un interrogatorio delegato si
all’individuazione del colpevole. sua volta rispettivamente in scoprono fonti di prova da
guidata e parallela. L’iniziativa assicurare. L’attività integrativa
parallela può ricomprendere altre non può contrastare con le
attività, ma queste non dovranno direttive del p.m. e gli elementi
contrastare con le direttive del raccolti vanno obbligatoriamente
p.m. e gli elementi raccolti vanno subito riferiti a quest’ultimo.
obbligatoriamente subito riferiti a
quest’ultimo.

Il codice prevede all'articolo 348 comma 4 che la polizia giudiziaria sia legittimata compiere di propria iniziativa
atti od operazioni che richiedono specifiche competenze tecniche e, considerato che tali competenze possono
essere anche non riscontrate nella polizia, quest'ultima è autorizzata ad avvalersi di persone competenti e che
una volta nominate non possono rifiutare la propria Opera: questi soggetti sono i c.d. ausiliari di polizia
giudiziaria, profondamente diversi dai consulenti tecnici non operando in proprio, ma insieme alla polizia
aiutandola.

Analizzando il codice stesso possiamo fare un quadro generale delle attività di iniziativa della polizia giudiziaria, il
quale prevede sia atti tipici svolti d'iniziativa della polizia giudiziaria senza esercizio dei poteri coercitivi sia atti
tipici compiuti con esercizio poteri coercitivi.

Atti tipici svolti d’iniziativa della polizia giudiziaria atti tipici svolti d’iniziativa della polizia giudiziaria con
senza esercizio dei poteri coercitivi esercizio dei poteri coercitivi
• sommarie informazioni dall’indagato; • Identificazione dell’imputato o di altre
• sommarie informazioni da persone informate; persone;
• atti od operazioni che richiedono specifiche • Perquisizione in caso di flagranza o evasione;
competenze tecniche. • Acquisizione di plichi o corrispondenza;
• Accertamenti urgenti e sequestro;
• Arresto in flagranza
• Fermo di persona gravemente indiziata

Tonini dopo aver fornito un quadro generale, si sofferma sulle più importanti: esattamente sulle Sommarie
Informazioni dall’indagato o da persone informate e sull’Identificazione in questa sede e, alla fine del capitolo, su
Fermo e Arresto.

Con l'espressione sommarie informazioni dall'indagato ex art. 350 c.p.p. indichiamo l'assunzione di informazioni
da parte dell'indagato ad opera della Polizia Giudiziaria senza far uso di poteri coercitivi. A tal proposito ciò può
avvenire in tre modalità:

1. Nella prima ipotesi, ex art. 350 c.p.p., con la presenza del difensore. Le informazioni da parte
dell’indagato libero sono assunte solamente dall'ufficiale di polizia, e non anche dall'agente, in
necessaria presenza del difensore, infatti nel caso in cui l'indagato poi non ne abbia nominato uno di
fiducia, gliene verrà assegnato uno d'ufficio. L'indagato prima di rendere informazioni, dovrà
prontamente essere informato dalla polizia giudiziaria in adempimento agli obblighi di informativa di
una serie di prerogative: quindi le informazioni assunte potranno essere sempre usate contro di lui, può
avvalersi della facoltà di non rispondere ad alcune domande rispondendo solo ad alcune ed inoltre che
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qualora rilasci informazioni concernenti fatti altrui potrebbe diventare testimone relativamente a questi
fatti.
2. La seconda modalità, ex art. 350.7 c.p.p., è quella delle dichiarazioni spontanee, per cui
spontaneamente l'indagato, libero o arrestato, senza che gli siano state poste domande, può rendere
informazioni alla polizia giudiziaria sia che si tratti di ufficiali che di agenti. Non è in questo caso
espressamente previsto che siano rispettati gli obblighi informativi.
3. Nella terza ed ultima modalità, ex art. 350.5 c.p.p., per la prosecuzione delle indagini. Consente agli
ufficiali di polizia giudiziaria di porre domande soltanto sul luogo o nell'immediatezza del fatto di reato
all'indagato libero o arrestato anche in assenza del difensore per ottenere informazioni utili per la
prosecuzione delle indagini, a patto che però di quanto assunto non ci sia documentazione né tanto
meno utilizzazione in dibattimento ed in fasi precedenti: il ruolo che infatti rivestiranno le informazioni
raccolte sarà esclusivamente quello di indirizzare le indagini, forse per questo anche in questo caso il
codice non impone alla polizia di adempiere agli obblighi informativi.

Con l'espressione sommarie informazioni da persone diverse dall'indagato, ex art. 351 c.p.p., indichiamo
l'assunzione ad opera della Polizia Giudiziaria senza far uso di poteri coercitivi di informazioni da parte delle
persone informate o, come le definisce Tonini, possibili testimoni, essendo ritenute portatrici di fatti utili ai fini
delle indagini. Tali soggetti hanno una posizione processuale sostanzialmente analoga a quella del testimone,
poiché hanno un obbligo di verità ed alle sommarie informazioni da loro fornite sono applicabili molte tra le
disposizioni che regolano il mezzo di prova della testimonianza: la persona informata è titolare del privilegio
contro l'autoincriminazione ex articolo 198 comma 2 e quindi può rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali
potrebbe emergere una propria responsabilità penale, inoltre può opporre al cliente l'esistenza di un segreto nei
capi previsti dalla legge e se è un prossimo congiunto dell' indagato deve essere avvisato della facoltà di
astenersi dal rendere dichiarazioni. La persona informata sui fatti ha l'obbligo di presentarsi alla polizia se
convocata e, qualora non lo faccia, può essere incriminata per inosservanza di un provvedimento della pubblica
autorità e sarai ivi tenuta ad attenersi obbligatoriamente alle prescrizioni date e le informazioni da essi fornite
saranno redatte a mezzo verbale, in genere non utilizzabili in dibattimento, ma in via del tutto eccezionale
possono esserlo in presenza di una contestazione probatoria nel rispetto dei limiti posti ex art. 500 del codice.
Dal momento in cui il possibile testimone sia un minorenne, la polizia giudiziaria deve avvalersi dell'ausilio di un
esperto in psicologia o psichiatria infantile nominato dal Pubblico Ministero e l'atto di indagine dovrà essere
diretto dall'ufficiale di polizia giudiziaria e quest'ultima procederà allo stesso modo qualora debba assumere
sommarie informazioni da una persona offesa, anche maggiorenne, in condizioni di particolare vulnerabilità,
assicurandole non solo che non avrà contatti con la persona sottoposta ad indagini, ma anche che non sarà più
volte chiamata a rendere tali informazioni, a meno che non ce ne sia assoluta necessità. Sarà inoltre possibile
che, sempre nella forma delle sommarie informazioni, l'ufficiale di polizia giudiziaria che agisca di propria
iniziativa possa porre domande al imputato di un procedimento connesso o collegato dopo avergli comunicato
tutti gli avvisi obbligatori: il soggetto dovrà essere assistito da un difensore, sia esso di fiducia o d'ufficio,
tempestivamente avvisato in modo da poter esercitare il proprio diritto di assistere all'atto.

Tonini procede poi analizzando l’atto non garantito dell’Identificazione, previsto ex art. 349 c.p.p., con cui la
Polizia Giudiziaria provvede a dare materialmente un nome, delle generalità, ad un volto di una persona fisica
individuata: vi saranno sottoposti quindi soggetti che abbiano avuto a che fare direttamente o indirettamente
con il reato come la persona offesa, i possibili testimoni e la persona sottoposta ad indagini senza che il
difensore sia presente. Come abbiamo poc’anzi citato, la Polizia Giudiziaria talvolta può esercitare un potere
coercitivo, ed è proprio questo il caso: ogni volta che una persona rifiuterà di essere identificata, fornisca
generalità o documenti di riconoscimento falsi, verrà coattivamente condotta presso gli uffici della polizia e di
ciò ne sarà informato il p.m. prontamente [eventualmente, in modo da disporre rilascio ove non sussistano i
presupposti] per essere identificata, dove sarà trattenuta per il tempo strettamente necessario [e non oltre le
12h, prorogabili a 24 in casi particolarmente complessi] a fargli dichiarare le proprie generalità essendo
informato che qualora ne fornisca di false, o comunque non ne dia, il tutto costituirà reato non essendo in questi
casi esperibile la facoltà di non rispondere. Oltre alla generalità, il soggetto dovrà rilasciare tutta una serie di dati
[come soprannomi, condizione di vita sociale e familiare, se sottoposto ad altri processi, i beni di cui è
proprietario, eventuali cariche pubbliche rivestite] in modo da pervenire ad una completa identificazione:
qualora questi risulti essere indagato, oltre a dover fornire un domicilio in modo da essergli notificati lì tutti i
provvedimenti, potranno anche essere disposti rilievi antropometrici, fotografici o dattilografici oltre a, previa

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autorizzazione del p.m., prelievi di materiale biologico, in questo caso, con o senza il consenso del soggetto,
purché ne sia sempre garantita la dignità personale. Il tutto va ovviamente messo a verbale integrale destinato
ad essere inserito nel fascicolo del pubblico ministero.

Molte volte per identificare il colpevole ha avuto un ruolo fondamentale il sopralluogo, svolto generalmente
dalla polizia giudiziaria nell'esecuzione di determinati adempimenti: innanzitutto essa svolge un'attività di
conservazione, quindi deve impedire che venga modificata la scena del crimine; inoltre, qualora il p.m. non
possa intervenire tempestivamente e ci sia serio rischio che cambi lo stato del locus o che le tracce vadano
perse, essa svolge anche un’attività di rilievo e accertamento, in quanto, trattandosi deducibilmente di casi
urgenti, deve quanto prima fare non solo dei rilievi, in modo da osservare lo stato dei luoghi delle cose delle
persone e descrivere tracce ed effetti materiali del fatto di reato, ma anche di accertamenti servendosi ove
necessario di ausiliari di polizia giudiziaria e garantendo che quanto accertato non subisca alterazioni
specialmente ove si tratti di materiale contenuto su supporti e sistemi informatici e di istituti come il sequestro
probatorio che dovrà essere ovviamente convalidato dal pubblico ministero entro 48h. Tutti questi atti compiuti
dalla polizia giudiziaria in sede di sopralluogo sono inseriti nel fascicolo delle indagini e successivamente anche
nel fascicolo per il dibattimento dopo che il GUP avrà deciso il rinvio a giudizio: si tratta di atti a sorpresa ai quali
può assistere senza preavviso il difensore dell'indagato, Infatti quest'ultimo o poi presente dovrà essere
informato da quest'ultima della facoltà di poter farsi assistere in ossequio al diritto di difesa. Abbiamo poc'anzi
parlato del prelievo di materiale biologico, che può venire nei confronti dell'indagato anche senza il suo
consenso mentre nei confronti di chi non sia indagato sarà necessario invece che questi sia d'accordo con
l'autorità competente: spesso durante i sopralluoghi, oltre al prelievo, avviene l'acquisizione di reperti biologici
ottenuti mediante appositi procedimenti da luoghi cadaveri o cose abbandonate, in modo da estrarre il profilo
genetico. La polizia giudiziaria è poi tenuta obbligatoriamente a porre in essere degli accertamenti previsti dal
codice della strada a carico del conducente nel caso di sinistro stradale, in modo da accertarne lo stato di
ebrezza o di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti. Nel caso in cui la polizia giudiziaria si trovi
dinnanzi ad una serie di requisiti [a cose o tracce pertinenti il reato, all’indagato o all’evaso; qualora si abbia
flagranza o evasione o si debba procedere al fermo; qualora sussista un qualche pericolo di ritardo ed infine
qualora vi sia fondato motivo di ritenere che nel luogo o sulla persona vi siano le cose o persone ricercate] potrà
eccezionalmente disporre di sua iniziativa la perquisizione, anche di sistemi informatici e telmatici, la quale
dovrà essere però comunicata entro 48 h al p.m. in modo che questi possa effettivamente decidere se
convalidarla o meno. Al termine di tutti questi accertamenti la polizia giudiziaria è tenuta a redigere la c.d.
relazione di servizio, un atto che ha una rilevanza interna al corpo di appartenenza con cui presenta quanto
emerso durante le indagini di polizia giudiziaria: ci si chiede in quale fascicolo poi debba andare tale relazione,
secondo la prevalente Giurisprudenza si tratta di un atto non ripetibile e per questo e per questo vi sarà
presunzione assoluta che debba andare nel fascicolo del dibattimento, in realtà la Corte di Cassazione a SS.UU.
nel 2006 ha detto che la non ripetibilità non un presupposto assoluto e pertanto va di volta in volta provato
guardando al caso concreto e quindi alla luce di ciò qualora l’atto sia ripetibile va nel fascicolo del pubblico
ministero, altrimenti, se non è ripetibile, in quello del dibattimento.

Avendo dettagliatamente analizzato l’attività di iniziativa della polizia giudiziaria, passiamo a quella del pubblico
ministero. Una volta che al pubblico ministero sia giunta la notizia di reato [mediante denuncia e referto o dal
momento in cui il soggetto faccia querela distanza o si avvalga delle altre condizioni di procedibilità o ancora
mediante informativa della polizia giudiziaria] quest'ultimo è obbligatoriamente tenuto a iscriverla in uno dei tre
appositi registri: il registro ordinario c.d. delle notizie di reato, meglio noto come modello 44 in cui vengono
iscritti quei fatti che pur integrando una fattispecie non possono essere attribuibili ad un determinato soggetto,
qualora poi lo individuerà le generalità del soggetto saranno affiancate alla fattispecie già iscritta denominando il
modello in questo caso 21; il registro degli atti non costituenti notizie di reato, meglio noto come modello 45 in
cui vengono praticamente iscritti quei fatti che non integrano una fattispecie penale seppur indicati con
tutt'altra consapevolezza; il registro delle notizie anonime, meglio note come modello 46, in cui vengono iscritte
quelle fattispecie integrate da soggetti ignoti di cui solitamente non si può far uso nel procedimento a meno che
non siano corpo del reato. Una volta che il nome è iscritto su questi registri cominciano le indagini preliminari
che proseguono, come sappiamo, segretamente e quindi allo scuro del soggetto il quale ne verrà a conoscenza
ufficialmente solo al loro termine mediante l’apposito avviso inoltrato a lui e al suo difensore, ciò non toglie che
possa comunque venirne a conoscenza prima perché è stata disposta una misura cautelare, o un atto di indagine
garantito o quando lo stesso avvocato controlla su sua richiesta il registro. Ergo venutone a conoscenza,

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inevitabilmente questi vorrà capire il motivo effettivo di tali indagini, essendo di regola possibile il tutto:
eccezionalmente infatti, le iscrizioni nel registro potrebbero essere state secretate trattandosi di reati gravi,
come ad esempio quelli di criminalità mafiosa o comunque gravi ma non ad esso assimilabili. Ad ogni modo,
qualora non esistano iscrizioni o ci siano ma non possano essere conoscibili, l’ufficio di segreteria, su indicazione
del p.m., risponde alla richiesta con la stessa frase, ovvero che non risultano iscrizioni suscettibili di
comunicazione, proprio a tutela della segretezza stessa. Sempre a tutela di tale segretezza, grazie alla riforma
Orlando, con modalità idonee a non violarla, dopo sei mesi dalla presentazione della denuncia o della querela,
anche la persona offesa ha diritto ad essere informata in merito al procedimento e al suo svolgimento.

Il pubblico ministero che sta per compiere un atto garantito devi inviare per posta, o qualora sussistano casi di
particolare urgenza a mezzo ufficiale giudiziario, all'indagato dalla persona offesa informazione di garanzia il cui
punto più importante è quello in cui si invita il soggetto ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di
fiducia per il fatto addebitatogli provvisoriamente che è descritto in maniera scarna in modo che entrambi, nel
rispetto di quanto sancito costituzionalmente, possano quanto prima conoscere la situazione e organizzare la
propria accusa e difesa. Trattandosi di un atto garantito il soggetto dovrà essere preavvisato e pertanto, 24h
prima il difensore dovrà esserlo a pena di invalidità dello stesso: non sarà quindi necessaria la presenza, ma il
solo preavviso fatti salvi i casi di urgenza. Spesso l’informazione di garanzia è sostituita da atti equipollenti.

Il pubblico ministero può compiere, ex articolo 370 c.p.p., gli atti di indagine tanto in prima persona quanto,
delegando atti tipici e atipici alla polizia giudiziaria perfino in presenza dell’indagato in modo che ne sia
rispettata la regolarità e fornendo ai delegati delle direttive in base al quale procedere con attività a loro non
regolarmente concesse. A suffragare tale affermazione, esistono dei divieti di delega: in primo luogo è
assolutamente vietato che il p.m. deleghi alla polizia giudiziaria di interrogare l’imputato; inoltre è deducibile il
divieto di delegare l’accertamento tecnico, anche coattivo, spettando al p.m. la formulazione dei quesiti; ancora
è esplicitamente vietato delegare alla polizia giudiziaria il compimento di ispezioni, perquisizioni e sequestri negli
uffici dei difensori dovendovi personalmente provvedere il pubblico ministero. A prescindere da chi li abbia
compiuti, gli atti di indagine devono essere documentati in vari modi: in primo luogo mediante verbale sia esso
integrale o in forma riassuntiva e dovrà essere eseguita annotazione di quanto ritenuto semplice o di limitata
rilevanza. Questi atti assieme a quello con cui si da notizia del reato vengono inseriti nel fascicolo delle indagini
presso l’ufficio del p.m. assieme a quanto trasmesso dalla polizia giudiziaria.

Tonini procede poi analizzando quelli che sono i più importanti atti d’iniziativa del pubblico ministero:
l’assunzione di informazioni dal possibile testimone, l’interrogatorio dell’indagato, l’interrogatorio dell’imputato
di un procedimento connesso o collegato e l’accertamento tecnico.

• Le informazioni dal possibile testimone possono essere assunte ex art. 362 dal pubblico ministero
mediante personalmente o mediante delega alla polizia giudiziaria. In questo campo costoro sono
considerati persone informate ed hanno sostanzialmente tutte le caratteristiche del testimone avendo
un dovere di lealtà. Tali soggetti hanno una posizione processuale sostanzialmente analoga a quella del
testimone, poiché hanno un obbligo di verità ed alle sommarie informazioni da loro fornite sono
applicabili molte tra le disposizioni che regolano il mezzo di prova della testimonianza: la persona
informata è titolare del privilegio contro l'autoincriminazione ex articolo 198 comma 2 e quindi può
rifiutarsi di rispondere su fatti dai quali potrebbe emergere una propria responsabilità penale
[particolarmente in questo caso, qualora faccia dichiarazioni del genere il p.m. deve interrompere
l’interrogatorio e informarlo di ciò, oltre al fatto che quanto detto in precedenza non sarà utilizzabile],
inoltre può opporre al cliente l'esistenza di un segreto nei capi previsti dalla legge e se è un prossimo
congiunto dell' indagato deve essere avvisato della facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni. La
persona informata sui fatti ha l'obbligo di presentarsi alla polizia se convocata a mezzo decreto di
citazione e, qualora non lo faccia, può essere incriminata per inosservanza di un provvedimento della
pubblica autorità e sarà ivi tenuta ad attenersi obbligatoriamente alle prescrizioni date e le informazioni
da essi fornite saranno redatte a mezzo verbale, in genere non utilizzabili in dibattimento, ma in via del
tutto eccezionale possono esserlo in presenza di una contestazione probatoria nel rispetto dei limiti
posti ex art. 500 del codice. Dal momento in cui il possibile testimone sia un minorenne, la polizia
giudiziaria deve avvalersi dell'ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria infantile nominato dal
Pubblico Ministero e l'atto di indagine dovrà essere diretto dall'ufficiale di polizia giudiziaria e
quest'ultima procederà allo stesso modo qualora debba assumere sommarie informazioni da una
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persona offesa, anche maggiorenne, in condizioni di particolare vulnerabilità, assicurandole non solo
che non avrà contatti con la persona sottoposta ad indagini, ma anche che non sarà più volte chiamata
a rendere tali informazioni, a meno che non ce ne sia assoluta necessità.
• L’interrogatorio dell’indagato, ex art. 375, va notificato tre giorni prima a quest’ultimo, in modo che
possa accordarsi sulla linea difensiva con il suo difensore, mediante invito a presentarsi contenente:
generalità dell’indagato; giorno, ora e luogo della presentazione e l’autorità davanti al quale bisogna
presentarsi; l’indicazione che sì darà luogo all’interrogatorio; l’avvertimento che il p.m. potrà disporre
accompagnamento coattivo in caso di mancata presentazione dell’indagato a meno che questi non
abbia un legittimo impedimento ed infine la sommaria enunciazione del fatto risultante dalle indagini
compiute fino a quel momento, insomma il c.d. addebito provvisorio. Come sappiamo anche il
difensore dovrà essere preavvisato dell’interrogatorio 24h ore prima, a meno che non si tratti di casi
urgenti che possano essere pregiudicati da un ritardo è permesso un suo avviso al solo momento in cui
esso sta per avviarsi anche prima dei termini previsti. Nei confronti dell’indagato libero è ammesso che
l’interrogatorio possa essere delegato alla polizia giudiziaria, se invece l’indagato sia sottoposto a
fermo, arresto o custodia cautelare assolutamente non sarà possibile procedere per delega e dovrà
provvedervi il p.m. documentando integralmente il tutto mediante mezzi di riproduzione fonografica o
audiovisiva a pena di inutilizzabilità ed ove richiesto anche trascrivendo il tutto. Ovviamente prima
dell’interrogatorio bisogna avvisare il soggetto in merito alle sue facoltà e alle regole dell’interrogatorio,
a pena di inutilizzabilità di quanto raccolto.
• L’interrogatorio dell’imputato di un procedimento connesso o collegato, ex art. 363, il p.m. che agisca di
propria iniziativa può porre domande al imputato di un procedimento connesso o collegato dopo
avergli comunicato tutti gli avvisi obbligatori: il soggetto dovrà presentarsi ed essere assistito da un
difensore, sia esso di fiducia o d'ufficio, tempestivamente avvisato in modo da poter esercitare il
proprio diritto di assistere all'atto essendo solo a lui concesso di poterlo fare considerato che il tutto
avviene in segreto.
• L’accertamento tecnico. Spesso nelle indagini preliminari il pubblico ministero nomina il consulente
tecnico, dal momento in cui abbia l'esigenza di svolgere accertamenti che comportano determinate
competenze e conoscenze di natura tecnico-scientifica o anche artistica. Questo soggetto non potrà
rifiutare la sua opera e la sua consulenza segue due regolamentazioni, a seconda che si parli di
accertamenti tecnici ripetibili o non ripetibili:
a) qualora l'accertamento sia ripetibile, il p.m. nominerà un consulente tecnico, farà svolgere
l'accertamento in segreto ed il tutto dovrà essere messo a verbale che poi entrerà nel fascicolo del
pubblico ministero.
b) qualora invece l'accertamento sia non ripetibile, in seguito allo stato di modificazione di persone
cose e luoghi oppure qualora sia esso stesso a determinarne la modificazione, si da previo avviso
all'indagato all'offeso e ai difensori in modo che essi stessi possano nominare dei consulenti tecnici
di parte che diano luogo all'accertamento, il tutto verrà verbalizzato per poi entrare nel fascicolo
del dibattimento.

Riserva di incidente probatorio. Dal momento in cui l'indagato non sia soddisfatto del lavoro svolto dal
consulente nominato dal Pubblico Ministero e voglio aumento nominato dal giudice che opera in base
ai quesiti da questi formulati potrà promuovere incidente probatorio, il tutto potrà essere spedito a
pena di decadenza entro 10 giorni dalla fondazione della Riserva stessa in modo da evitare che
l'indagato propongo una riserva pretestuosa poi non seguita dell'effettiva richiesta di incidente. Ciò
potrebbe indurre il pubblico ministero a desistere dell'accertamento tecnico, compromettendo la
posizione di una prova genuina con un vero e proprio abuso del diritto di difesa. Infatti il pubblico
ministero dopo la richiesta dell’indagato deve disporre che non si proceda agli accertamenti, salvo che
questi, se differiti, non possano più essere utilmente compiuti e se viola tale divieto i relativi risultati
non possono essere utilizzati in dibattimento (ed è così che il codice reagisce ad un eventuale abuso
compiuto stavolta dal pubblico ministero). Si tratta di una inutilizzabilità relativa che impedisce
all'accertamento di essere valutato ai fini della decisione dibattimentale: in sostanza nell'ipotesi in
esame l'accertamento è utilizzabile soltanto nel corso delle indagini preliminari e udienza preliminare
dei riti semplificati che eliminano il dibattimento come avviene per gli accertamenti ripetibili. dal
momento in cui invece ci sia stata una riserva non efficace e quindi indagato non abbia richiesto

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l'incidente probatorio entro 10 giorni il pubblico ministero potrà compiere a pieno titolo gli
accertamenti necessari che saranno utilizzabili anche in dibattimento.

Tra le tante facoltà che la polizia giudiziaria rientra sicuramente quella di disporre misure coercitive temporanee,
le c.d. misure precautelari, come l'arresto e il fermo, atte a limitare la libertà personale dell'indagato in situazioni
di urgenza fin quando non interviene la convalida del giudice entro un termine perentorio. Queste misure sono
chiamate precautelari, perché anticipano le misure cautelari e vengono applicate quando non si può aspettare
che lo siano quest'ultime secondo le loro stesse modalità sancite ex art. 379 in tema di gravità del delitto. Prima
di andare a vedere nel dettaglio l'arresto e il fermo, dobbiamo però ricordare che le misure coercitive
temporanee possono anche non comportare restrizioni alla libertà personale, potendo invece imporre limiti più
o meno intensi alla libertà di circolazione e quindi strumentali allo svolgimento delle attività del p.m. e della
polizia giudiziaria come perquisizioni personali identificazione o per l'accompagnamento coattivo del testimone
o del possibile testimone.

Per quanto riguarda l'arresto, si tratta di un provvedimento disposto dalla polizia giudiziaria ed eccezionalmente
dai privati in presenza della flagranza o della quasi flagranza ex art. 382:

➢ nel caso della flagranza il soggetto deve essere stato colto nel momento in cui sta ponendo in essere il
reato; invece
➢ nel caso della quasi flagranza nel momento immediatamente successivo alla sua realizzazione,
esattamente dopo un inseguimento (da parte della stessa polizia giudiziaria, della persona offesa o da
altri) o anche quando sia trovato con cose o tracce da cui si desume integrata la fattispecie.
➢ Va inoltre ricordato il concetto di flagranza differita, sussistente per ragioni di pubblica sicurezza in un
secondo momento [non oltre il tempo necessario e max. 48 ore dopo] nei confronti di soggetti che
vanno arrestati, sulla base di prove video fotografiche inequivocabili, per aver posto in essere atti
violenti durante manifestazioni sportive o pubbliche nel compimento di reati commessi con violenza
alle persone o alle cose previsti espressamente dalla legge.

Detto ciò, l’arresto in flagranza può essere obbligatorio o facoltativo e può avvenire in tutti i casi previsti dalla
legge a meno che non sussista ex art. 385 c.p.p. una causa di non punibilità.

Arresto obbligatorio Arresto facoltativo


Può essere posto da: Può esser posto dalla sola polizia giudiziaria, quindi a
➢ polizia giudiziaria, in presenza di reati dolosi discrezione dell’ufficiale o dell’agente, a cui spetterà
consumati o tentati per cui è prevista la pena valutare in base alla gravità e alla personalità del reo
dell’ergastolo o della reclusione per non se sia o meno necessario. Ad ogni modo è comunque
meno di 5 anni nel minimo e di 20 nel ammesso arresto facoltativo per diverse ipotesi
massimo + reati di associazione mafiosa, previste dal c.p.:
traffico di stupefacenti, furto aggravato, • calunnia o lesioni gravissime a più persone
rapina, estorsione, pornografia ecc. + altri casi • violenza o minaccia a pubblico ufficiale
previsti per legge; • furto
➢ privati, per gli stessi casi della polizia purché il • danneggiamento aggravato
delitto sia procedibile d’ufficio e con l’obbligo • evasione
di consegnarle quanto prima colpevole e • altre ipotesi previste per legge
corpo del reato.

L’arresto in flagranza, su richiesta del p.m., dovrà poi essere convalidato, o meglio ratificato, dal giudice in
ossequio ai principi costituzionali.

Per quanto riguarda invece il fermo, esso può essere disposto dal p.m. qualora sussistano tre presupposti: in
primo luogo devono esserci gravi indizi a carico dell’indagato, in secondo luogo devono esserci specifici elementi
di prova che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga desunto dall’impossibilità di identificare l’indiziato ed in
terzo luogo si deve procedere per un delitto, come ad esempio la rapina, per il quale la legge stabilisce la pena
dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 2 anni e superiore nel massimo a 6 anni. Per gli stessi
motivi dal momento in cui il p.m. non abbia ancora assunto la direzione delle indagini, oppure lo abbia fatto e

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l’indiziato risulti ignoto, oppure qualora sopravvengano specifici elementi che rendano fondato il pericolo che
questi fugga potrà procedere al fermo la polizia giudiziaria. Anche il fermo, su richiesta del p.m., dovrà poi essere
convalidato, o meglio ratificato, dal giudice in ossequio ai principi costituzionali.

Procediamo quindi analizzando il procedimento di convalida/ratifica che può essere articolato essenzialmente in
3 fasi, scandite da stringenti termini perentori e in cui vi è perfetta fungibilità della persona fisica che procede ai
vari adempimenti:

1. Nella prima fase la polizia giudiziaria, mettendo il tutto a verbale da inoltrare al p.m., dopo aver
adempiuto agli obblighi di informazione, pone l’arrestato a disposizione del pubblico ministero al più
presto e non oltre le 24h conducendolo presso la casa circondariale oppure in casi eccezionali presso il
suo stesso domicilio o in luogo di cura o assistenza.
2. Nella seconda fase il pubblico ministero, ricevuto il verbale di atto o fermo, deve decidere se richiederne
o meno la convalida al giudice [oltre che dell’adozione di una misura cautelare nell’udienza successiva] e
una misura cautelare personale e a tal fine il p.m. può procedere all’interrogatorio dell’arrestato o del
fermato dandone previo avviso al suo difensore, in modo che questi sia presente. Prima di procedere
con l’interrogatorio il p.m. avviserà il soggetto di potersi avvalere della facoltà di non rispondere, dei
fatti per cui si procede e quindi di quanto posto a suo carico e, ove possibile, le fonti di tale accusa.
Durante l’interrogatorio p.m. può convincersi che non ci sia bisogno di proseguire con il fermo o arresto
e pertanto, invece di chiedere la convalida al giudice per proseguire con una misura cautelare, può
tranquillamente liberare il soggetto qualora: egli sia stato oggetto di un errore di persona, se le misure
siano avvenute fuori dai casi consentiti dalla legge, oppure se la misura è divenuta inefficace essendo
scaduti i termini per poter avere il soggetto nelle sue disponibilità o per chiedere la convalida. Talvolta è
però avvenuto, come afferma Tonini, che il p.m., pur liberando il soggetto, avesse chiesto ugualmente la
convalida del fermo o dell’arresto.
3. La terza fase inizia con la richiesta di convalida da parte del p.m. al GIP [competente in relazione al luogo
dove l’arresto o il fermo è stato eseguito], in modo che questi possa al più presto fissare una data per
l'udienza di convalida, di cui sia lui stesso che il difensore dell’indagato dovranno essere avvisati in modo
che possano essere presenti. Anche in questo caso i termini sono molto stringenti e, qualora la data non
verrà fissata entro due giorni dalla richiesta del p.m., l’arresto o il fermo cesseranno di avere efficacia.
L’udienza avverrà quindi in camera di consiglio ed il p.m. potrà anche non essere presente, ma invece il
difensore dell’indagato dovrà esserlo e qualora anche l’assistito sarà presente verrà interrogato. Il
giudice prosegue verificando che fermo o arresto siano stati eseguiti legittimamente e se siano stati
rispettati tutti i termini perentori previsti e poi decide mediante ordinanza:
a) se convalidare l’arresto o il fermo, non applicando misura cautelare
b) se rigettare la convalida dell’arresto o il fermo, disponendo egualmente una misura cautelare
c) oppure modificare la misura precautelare.

Tonini si sofferma in ultima battuta su una misura precautelare di recente creazione legislativa che segue la
disciplina del fermo e dell’arresto, ovvero l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare: previa autorizzazione
del p.m., in casi flagranza di reato di violenza alla persona e qualora ci sia fondato motivo di credere che possano
essere reiterati, si prescrive all'imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, di non farvi rientro o
comunque di non accedervi senza autorizzazione e nel divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati
dalla persona offesa.

L’incidente Probatorio

Il legislatore ha scelto di riservare il momento di formazione della prova all'interno del dibattimento, perché in
questa sede, differentemente dalle altre, è garantito il contraddittorio in ossequio quindi non solo a questo
principio, ma anche al principio di immediatezza sancito all'articolo 525 comma 2 del Codice di Procedura
Penale. Molte volte però non è possibile rispettare questi principi, specialmente quello di immediatezza, poiché
sussistono esigenze pratiche diverse e molto più importanti di qualsiasi formalismo, ovvero assumere prove
prima di quanto di regola previsto non potendolo poi essere in futuro: è in questi casi che si procede al c.d.
incidente probatorio, un procedimento parallelo a quello penale che, inizialmente essendo troppo rigoroso, non
veniva quasi mai usato. Ad oggi dopo una serie di riforme avvenute dal 1996 al 2018, esso sovviene, su richiesta

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del p.m., durante le indagini preliminari al cospetto del GIP nel corso di un'udienza segreta in cui la prova viene
assunta nelle stesse modalità in cui sarebbe fatto in dibattimento.

L'incidente probatorio può essere assunto purché, ex articolo 190, la richiesta del Pubblico Ministero sia
pertinente e rilevante nei casi espressamente previsti dal codice, il quale nell’indicarli fa riferimento ai mezzi di
prova che in esso possono essere assunti.

Essenzialmente si tratta di due categorie, la prima riguarda i casi tassativi in cui l'assunzione della prova non può
essere in alcun modo o rinviata è la seconda invece riguarda i casi in cui l'incidente probatorio viene fatto su
mera richiesta di parte.

• Per quanto concerne i casi tassativi in cui l'assunzione della prova non può essere in alcun modo
rinviata, dovrà, ex articolo 392, necessariamente aversi incidente probatorio ricorrendo ovviamente ai
mezzi della prova specificamente indicati qualora: [testimonianza e confronto] il dichiarante non possa
riporre in dibattimento a causa di un grave impedimento o di una minaccia in atto consentendogli
quindi in tal modo di deporre tranquillamente ed in piena verità; [esperimento giudiziale e perizia
urgente] il luogo, la cosa o la persona possano subire inevitabilmente una modificazione; [ricognizione]
ed infine qualora sussistono particolari ragioni di urgenza.
• Per quanto concerne invece i casi in cui l'incidente probatorio viene fatto su mera richiesta di parte, i
mezzi della prova esperibili sono diversi: l’esame dell’indagato, l’esame dell’indagato o indagato
connesso o collegata e l’esame del testimone di giustizia; la perizia di lunga durata, da cui potrebbe
anche determinarsi una sospensione del processo; la perizia coattiva, con cui si va a limitare la libertà
personale potendo essere prelevati capelli, saliva ed altro materiale biologico da cui poter estrarre DNA;
la testimonianza o l’esame delle persone che si siano avvalse della facoltà di non rispondere o
dichiarazione scritta. Va inoltre ricordato tra questi casi, quello in cui sia chiamato a deporre un
minorenne o una persona offesa maggiorenne o anche in genere una persona offesa in condizione di
particolare vulnerabilità: in questo caso si segue una particolare disciplina, in modo da poter garantire
non solo una quanto mai veritiera deposizione, considerato che in questi casi, ci potrebbero essere delle
deformazioni di quanto vissuto, ma anche uno status psico-fisico privo di stress.

Procediamo ora analizzando le 4 diverse fasi in cui si articola l’incidente probatorio.

1. Il contraddittorio sull’ammissibilità dell’incidente


2. La decisione del giudice sull’ammissibilità e fondatezza della richiesta
3. Lo svolgimento dell’udienza in camera di consiglio
4. L’eventuale integrazione del contraddittorio

Possono fare richiesta di incidente probatorio il Pubblico Ministero e l'indagato e del suo difensore ex art. 392,
per quanto concerne invece la persona offesa essa può farla attraverso il Pubblico Ministero: quest’ultimi
devono a pena di inammissibilità precisare nella richiesta la prova ad assumere ed i fatti che ne costituiscono
l'oggetto, oltre alle ragioni della sua rilevanza nonché le persone nei confronti delle quali si procede ed i motivi
per cui la prova non è rinviabile dibattimento; inoltre il pubblico ministero deve fornire ulteriori indicazioni sulla
persona offesa e sui difensori delle persone interessate. Tale richiesta deve essere poi presentata alla
cancelleria del giudice per le indagini preliminari, in modo da poter essere notificata alla controparte, al pubblico
ministero, all'indagato e al suo difensore per poi permettergli di presentare al giudice deduzioni per scritto
sull’ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta entro due giorni dalla notifica. Successivamente la richiesta
viene esaminata dal giudice e qualora questo la accolga fissa la data dell'udienza, indica l'oggetto della prova, le
persone interessate alla sua assunzione e fa in modo che i loro difensori e la persona offesa e il Pubblico
Ministero siano avvisate della data dell'udienza per consentirgli di parteciparvi. Qualora il giudice invece dichiari
inammissibile la richiesta o la rigetti in quanto infondata mediante ordinanza, quest'ultima verrà comunicata al
pubblico ministero alle persone interessate e non sarà impugnabile. È inoltre importante ricordare che
l'incidente probatorio può essere differito, ma esclusivamente quando la sua esecuzione pregiudichi uno o più
atti di indagine preliminare [e non l'assunzione della prova essendovi esplicito divieto]: ovviamente a decidere in
merito al differimento è chiamato il giudice senza alcun contraddittorio su richiesta del pubblico ministero, a cui
la sua decisione priva di motivazione verrà poi notificata come anche alle parti interessate. Il difensore
dell'indagato nella fase delle indagini preliminari conosce di regola soltanto i pochi atti che sono stati depositati
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presso la segreteria del pubblico ministero, mentre soltanto quest'ultimo conosce integralmente gli atti di
indagine: in modo che quindi quest'ultimo possa avere una conoscenza piena degli atti al fine di espletare al
meglio la sua funzione, il codice dà al pubblico ministero l'obbligo di depositare prima dell'udienza i verbali delle
dichiarazioni che la persona da esaminare ha rilasciato in precedenza alla polizia giudiziaria, in modo che
comunicata loro la data dell’udienza chi è interessa possa nei giorni immediatamente precedenti di poter
prendere cognizione ed estrarre copia di quanto depositato. L'udienza si svolge quindi in una data prefissata e
costituisce per quanto possibile un anticipazione del dibattimento durante la fase delle indagini preliminari: essa
si svolge in camera di consiglio, senza la presenza del pubblico ed è richiesta necessariamente la presenza del
Pubblico Ministero e del difensore dell'indagato mentre quello che l'offeso può tanto essere presente quanto
no, mentre le figure dell'indagato e dell'offeso hanno diritto di assistere personalmente all'udienza quando si
deve esaminare un testimone e un'altra persona e in altri casi solamente se autorizzati dal giudice. Nel corso
dell'udienza le prove vengono assunte nelle forme stabilite per il dibattimento e viene ad ogni effetto garantito il
diritto di difesa all'indagato, nei confronti del quale la prova stessa potrà sì essere successivamente utilizzata in
dibattimento mediante lettura e per questo non sarà possibile estendere l'oggetto della prova a fatti riguardanti
indagati differenti da quelli di cui difensori partecipano all'incidente ed inoltre è vietato verbalizzare le
dichiarazioni aventi tale oggetto, tali divieti possono essere però derogati dal momento in cui venga integrato il
contraddittorio in favore di queste persone nuovamente interessate.

Come abbiamo più volte precisato, le indagini preliminari vengono svolte segretamente e pertanto il soggetto
non ne viene il più delle volte a conoscenza prima della ricezione dell’atto con cui lo si avvisa che esse sono state
concluse: il c.d. avviso di conclusione delle indagini preliminari. Esso contiene in via del tutto sommaria quanto
imputato al soggetto, la c.d. imputazione provvisoria: vengono inoltre indicate le norme che si assumono violate
oltre a luogo data e giorno in cui ciò sarebbe avvenuto, l’avviso di poter prendere visione dei verbali depositati
dal p.m., in modo che possa stabilire una linea difensiva con il suo avvocato, oltre a tutte le diverse facoltà che
ha tra cui ricordiamo quella di richiedere di essere personalmente ascoltato dal p.m., a cui quest’ultimo non può
assolutamente declinare.

Capitolo II - La conclusione delle indagini preliminari

Le indagini preliminari, ex art. 326 del c.p.p., permettono al pubblico ministero di assumere le determinazioni
inerenti all'esercizio, o meglio decidere se esercitare, l'azione penale oppure chiedere l'archiviazione:
ovviamente l'atto con cui il pubblico ministero dichiarerà l'una o l'altra, verrà controllato dal giudice,
rispettivamente nell'udienza preliminare e de plano a mezzo decreto. Le indagini preliminari hanno degli
specifici termini di durata sia quando si procede contro ignoti che quando si procede contro un dato indagato,
eventualmente prorogabili dal giudice su richiesta del p.m. per un termine massimo, oltre cui gli atti saranno
inutilizzabili: essenzialmente tali termini sono gli stessi, considerato che il codice prevede ex art. 415.3 espresso
rinvio della disciplina per i casi noti ai casi ignoti, ammettendo un’integrazione con quanto diversamente
disposto [l'unica cosa che cambia concerne la struttura del controllo effettuato dal gip] purché compatibile.

Il termine nel procedimento contro Il termine nel procedimento contro


un indagato ignoti
Comincia a decorrere… Dal momento in cui il suo nome viene Dal momento in cui la notizia di reato
iscritto nel registro delle notizie di viene iscritta nell’apposito registro
reato
Il p.m. entro il termine 6 mesi, ma in via eccezionale per 6 mesi deve chiedere al giudice
ordinario di… delitti gravi e di criminalità essendo ignoto il reo
organizzata entro 1 anno deve alternativamente o l’archiviazione,
esercitare l’azione penale o oppure in modo che possano
richiedere archiviazione. Se non è in continuare le indagini e si determini
grado di fornire nessuna delle due… provvede
Il p.m., prima delle scadenze La proroga generalmente potrà Vale quanto detto per i casi noti, in
deve chiedere una proroga al essere esperita anche più volte e sarà quanto compatibile.
giudice, anche più volte, ma pari a 6 mesi, per un max. di 18, salvo
non nei casi in cui sia previsto casi eccezionali [delitti di criminalità
farlo una volta sola. organizzata, particolarmente

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complessi, o che richiedano indagini
all’estero, o se si tratta di
procedimenti collegati] in cui arriva a
2 anni, a pena di inutilizzabilità degli
atti d’indagine qualora il termine
sopraggiunga. Ad ogni modo la prima
proroga dovrà essere dettata da una
giusta causa, le successive invece
dovranno essere giustificarti da casi
di particolare complessità delle
indagini o comunque dal momento in
cui sia oggettivamente impossibile
rispettare i termini.
Il giudice sarà chiamato a quindi se accettarla o rigettarla de Il giudice è poi tenuto a pronunciarsi
decidere sulla proroga plano ricorrendo al procedimento de plano, qualora voglia concederla,
ordinario o speciale a seconda dei altrimenti in caso contrario dovrà
casi sottoposti al suo vaglio: la fissare una data dell’udienza.
differenza tra i due sta nel fatto che la Precisamente egli può prendere 3
formazione del contraddittorio, è diverse decisioni:
prevista esclusivamente per quello 1) può non autorizzare la
ordinario. Nel procedimento speciale, proroga e quindi il p.m.
il giudice si pronuncia de plano in dovrà formulare richiesta di
ogni caso, mentre in quello ordinario archiviazione se il
si pronuncia de plano qualora voglia responsabile resta ignoto, o
concederla, altrimenti in caso viceversa esercita l’azione
contrario dovrà fissare una data penale se il reato può
dell’udienza dove si pronuncerà attribuirsi ad una persona
sempre con ordinanza non individuata;
impugnabile. 2) accogliere la proroga di 6
mesi, prorogabili per un
max. di 18;
3) se il reato per il giudice può
essere attribuito ad una
persona, il suo nome viene
iscritto nel registro delle
notizie di reato e da qui
decorrono i 6 mesi per
esercitare azione penale o un
ulteriore proroga.
Dopo aver analizzato la disciplina dei termini valevole tanto per i procedimenti contro l’indagato quanto per
quelli contro ignoti, possiamo coì sintetizzarla: il termine ordinario entro cui il pubblico ministero può esperire
l'azione penale oppure optare per l'archiviazione e generalmente di 6 mesi, dal momento in cui questi non riesca
a fornire nessuna delle due potrà, prima delle scadenze, chiedere una proroga al giudice pari ad altri sei mesi e,
qualora espressamente previsto dalla legge, potrà anche chiederla nuovamente per un massimo di 18 mesi o in
casi eccezionali di 2 anni. Qualora tali termini sopraggiungano senza che questi intervenga, quanto raccolto
durante le indagini sarò inutilizzabile. Con la riforma Orlando è stato previsto il c.d. spatium liberandi, in virtù
del quale viene concesso un ulteriore proroga al Pubblico Ministero, essendo questi rimasto molte volte inerte,
per poter valutare le indagini già svolte [e quindi non compierne di nuove a pena di inutilizzabilità] scandita
ovviamente di termini diversi tra loro, in base alla tipologia di reati coinvolti:

• per i reati comuni non previsti all'articolo 407 comma 2 è previsto un termine ulteriore di 3 mesi;
• per i reati che invece sono previsti dall'articolo 407 comma 2, quelli di mafia terrorismo e delitti
gravissimi, è previsto un termine di 15 mesi;
• per quei reati previsti Invece quando le investigazioni sono particolarmente complesse per la
molteplicità di fatti collegati o per il numero di indagati il termine di 3 mesi ma può essere ulteriormente
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prorogato di altri 3 dal Procuratore Generale presso la Corte di Appello su richiesta del pubblico
ministero;
• per i reati rimanenti previste dall’articolo 407 comma 2 scatta un termine ordinario di 3 mesi per
esercitare l'azione penale o la richiesta di rinvio a giudizio.

Qualora, scaduti questi termini, il pubblico ministero non abbia neanche stavolta esercitato l'azione penale né
abbia fatto richiesta di archiviazione dovrà darne tempestiva comunicazione al procuratore generale presso la
Corte d'Appello che provvederà con decreto motivato ad avocarlo, in modo che possa essere assicurata la
ragionevole durata del procedimento.

Non ci resta ora che analizzare i due atti conclusivi dell’indagini preliminare: azione penale e archiviazione, in
relazione rispettivamente al loro esercizio e richiesta.

Come precisato inizialmente, quando parliamo di processo penale facciamo riferimento a quella serie di atti
necessitati e cronologicamente ordinati che ha come atto iniziale l’azione penale e come atto finale la sentenza.
Dobbiamo quindi ora procedere andando a vedere nel dettaglio cosa sia l’azione penale.

L'azione penale è esercitata dal p.m., ex art. 405.1 c.p.p., formulando l’imputazione [ricompresa nella richiesta di
rinvio a giudizio nel procedimento ordinario e nell’atto che istaura il singolo procedimento nei riti speciali],
ovvero l’addebito di responsabilità di un fatto storico di reato, i cui elementi sono: 1) enunciazione in forma
chiara e precisa del fatto storico di reato addebitato all’imputato 2) l’indicazione degli articoli di legge che si
ritiene siano stati violati 3) le generalità della persona alla quale è addebitato il reato. L’esercizio dell’azione
penale determina due effetti: in primo luogo il giudice sarà obbligato a pronunciarsi riguardo a quel dato fatto
storico indicato nell’imputazione ed in secondo luogo lo fissa irrevocabilmente quale oggetto del processo. Il
codice non indica espressamente qual è la misura degli elementi probatori che sono necessari per formulare
l'imputazione, tuttavia però possiamo ricavare tale criterio a contrario perché è invece espressamente previsto il
requisito che deve essere presente nell'ipotesi della archiviazione ex articolo 125: quest'ultimo sancisce infatti
che il pubblico ministero disporrà archiviazione qualora gli elementi acquisiti delle indagini preliminari non siano
idonei a sostenere l'accusa in giudizio, pertanto quest'ultimo qualora vorrà esercitare l'azione penale dovrà aver
raccolto elementi idonei a sostenere l'accusa in giudizio e quindi tali da dimostrarne la fondatezza. L'imputazione
viene quindi fatta alla fine delle indagini preliminari, nel momento in cui il p.m. chiede rinvio a giudizio alla luce
non di una possibile reità, ma di una probabile sentenza di condanna nei confronti dell’imputato: alla luce di ciò
è chiaro che il pubblico ministero nel formulare l'imputazione vedrà ricadere su di sé una grande responsabilità,
dal momento in cui poi successivamente si verifichi che quanto da lui inizialmente ritenuto idoneo in realtà non
lo sia.

Il pubblico ministero ex art. 129 delle disposizioni attuative del codice ha una serie di doveri d'informazione
dell'imputazione quando esercita l'azione penale: prima di tutto, qualora l'imputato sia un impiegato dello Stato
o di un altro ente pubblico anche ecclesiastico e religioso del culto cattolico, dovrà informare l'autorità pubblica
di appartenenza in modo che questa possa valutare se irrogare un provvedimento cautelare di sospensione dalle
funzioni a suo carico; in secondo luogo deve informare l'autorità pubblica qualora sia stato posto in essere un
reato pregiudiziale a quella che è la sua attività in modo che quindi essa possa iniziare un procedimento
amministrativo; ed infine dovrà informare l'autorità pubblica in modo che quest'ultima possa controllare se
un'altra autorità abbia adempiuto al dovere di iniziare un procedimento amministrativo.

Non ci resta quindi che analizzare i caratteri dell'azione penale che, così come costituzionalmente sancita ex art.
112, è: obbligatoria, monopolio del pubblico ministero, irretrattabile e procedibile d'ufficio.

• L’azione penale è obbligatoria. Si tratta quindi tecnicamente di un dovere, il cui contenuto va


attentamente analizzato e riportato ai giorni nostri: quando diciamo che l’azione è obbligatoria significa
che al pubblico ministero deve valutare la fondatezza di ciascuna notizia di reato e che compia le
indagini necessarie per decidere se occorre formulare l’azione penale oppure procedere con richiesta di
archiviazione. Dire che quindi l’azione penale è obbligatoria non significa che il p.m. debba porre
l’accusa o comunque un azione di condanna ad ogni costo, il suo compito è quello di controllare che la
legge sia rispettata ed eventualmente quindi anche scagionare il soggetto non ritenendo idonei gli
elementi a fondamento dell’accusa, ciò non toglie però che questi possa però in un secondo momento

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chiedere al giudice che siano riaperte le indagini. L’azione penale è obbligatoria in ossequio al principio
di uguaglianza, dovendo essere concessa a tutti la possibilità di perseguire un reato, ed il principio di
legalità, dovendo avere soltanto la legge la capacità di punire o meno un soggetto. Considerato che
l’azione penale è obbligatoria, sussiste ovviamente uno strumento che ne garantisca il pieno esercizio:
di tradizione italiana, tale controllo molto penetrante è oggi previsto qualora il p.m. richieda
l’archiviazione ad opera del gip. Il contenuto dell’azione penale può essere precisato solamente dal
p.m., ma il giudice può ad ogni modo indirizzare il suo operato sia che si tratti di fare indagini o di
formulare l’imputazione.
• L’azione penale è monopolio del p.m. Quando parliamo in questi termini va precisato che la Costituzione
non impone niente di tutto ciò, essendo deducibile dai lavori preparatori della stessa che, pur avendo il
p.m. il dovere di esercitare l’azione penale, potrebbe averlo anche qualsiasi altra parte non pubblica: per
questo la stessa Corte Costituzionale si è pronunciata nel 1979, ribadendo che fosse possibile farlo
anche per soggetti diversi dal p.m. possano esercitarla, purché, così facendo, non vanifichino il suo
dovere. Nonostante ciò, il c.p.p. ex art. 405 conferisce solo al p.m. la facoltà di esercizio dell’azione
penale, seppur Tonini ritenga che ci sia una deroga a tutto ciò essendo state fatte delle riforme negli
ultimi anni in merito ai reati rientranti nella competenza del giudice professionale.
• L’azione penale è procedibile d’ufficio quando ex art. 50.2 non è necessaria la querela, la richiesta,
l'istanza o l'autorizzazione a procedere. Pertanto il pubblico ministero non è vincolato nella sua azione
all'iniziativa di altri soggetti e può, come anche ribadito ex articolo 330 c.p.p., direttamente prendere
notizia dei reati di propria iniziativa rilevando meramente l'esistenza di un fatto storico previsto dalla
legge come reato. Ovviamente faranno eccezione i casi in cui per procedere sia necessaria una
condizione di procedibilità.
• L’azione penale è irretrattabile. Alla luce di ciò nessuno può di regola interrompere o sospendere
l'esercizio dell'azione penale se non nei casi previsti dalla legge, come ribadisce l'art. 50.3: il processo è
quella serie necessitata di atti aventi ad inizio l'azione penale che deve seguire il suo corso fino alla
sentenza irrevocabile, senza che né pubblico ministero né giudice possano interferire. L'unico caso
eccezionale è previsto ex art. 71: in questo caso, qualora ci sia un'alta probabilità di condannare
l'imputato e questi non riesca coscientemente a prender parte al procedimento, il giudice potrà
sospenderlo ed ogni sei mesi accertarsi dello status mentale del soggetto, in modo da poterlo
riprendere, revocando la sospensione, qualora questi risulti cosciente ed in grado quindi di prendervi
parte.

Dal momento in cui il p.m. non abbia elementi per esercitare l’azione penale dovrà fare una richiesta di
archiviazione, poi sottoposta al controllo del giudice: regolarmente, qualora voglia accoglierla, questo adopera
un controllo de plano, ma se ne può avere anche uno molto più complesso qualora decida di non accogliere la
richiesta di archiviazione oppure quando la persona offesa presenti opposizione alla richiesta della pubblica
accusa. Ad ogni modo, l’istituto dell’archiviazione, profondamente modificato con la riforma Orlando, ad oggi si
presenta come un istituto dalle molteplici finalità: in primo luogo grazie ad esso il p.m. può operare uno
sfoltimento per quanto concerne gli atti in modo da non appesantire l’udienza; inoltre permette al giudice di
capire effettivamente se l’azione penale sia stata esercitata da parte del p.m. ed infine riconosce alla persona
offesa il diritto di far controllare al giudice in camera di consiglio un eventuale inerzia del pubblico ministero.
Fatta questa breve parentesi, dobbiamo ricordare che l’archiviazione può essere pronunciata dal giudice in
presenza di presupposti di fatto e presupposti di diritto:

Presupposti di fatto Presupposti di diritto


Può essere pronunciata in base a quest’ultimi quando Stavolta l’archiviazione viene disposta sulla base di
la notizia di reato è infondata. Tale asserto va presupposti normativi espressamente previsti ex art.
integrato con quanto disposto ex art. 125 disp. att. 441 c.p.p.:
c.p.p. secondo cui il p.m., è tenuto a fare richiesta al 1. Qualora manchi una condizione di
giudice per l’archiviazione qualora non abbia ricavato procedibilità;
dalle indagini preliminari elementi idonei a mantenere 2. Qualora il reato sia estinto;
l’accusa in giudizio rendendola infondata: non idonei 3. Qualora il fatto non sia previsto dalla legge
perché, facendo un giudizio ex ante, potrebbero in come reato;
dibattimento portare ad una pronuncia di assoluzione 4. Qualora siano rimasti ignoti gli autori del
e pertanto sarebbe superfluo esperire un processo in reato.
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merito. Sostanzialmente quindi l’archiviazione è un
provvedimento emesso allo stato degli atti, basato su
un giudizio prognostico sulla superfluità del processo
visti gli elementi raccolti dal p.m.

Nel caso dell’archiviazione disposta contro un indagato il p.m. è tenuto a trasmettere al giudice oltre alla
richiesta, il fascicolo delle indagini contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle investigazioni
espletate e gli atti compiuti davanti al giudice. Qualora la persona offesa abbia dichiarato di voler essere
informata sull’eventuale richiesta di archiviazione, il giudice è tenuto a farglielo presente, istaurando quindi
contraddittorio, ed in base al reato commesso, anche a consentirle di prendere visione degli atti ed
eventualmente di fare opposizione entro i termini previsti [20 giorni reati comuni, 30 per reati commessi con
violenza alla persona furto in abitazione o con strappo]motivando la sua scelta di battersi affinché le indagini
proseguano. A questo punto due sono le vie:

➢ Se l’offeso non presenta opposizione, il giudice prosegue de plano e qualora la accolga la richiesta del
p.m. emetterà ex art. 409 un apposito decreto di archiviazione, altrimenti in caso di rigetto fisserà
un’udienza in camera di consiglio entro 3 mesi per rendere pubblica la sua decisione.
➢ Se invece l’offeso presenta opposizione e questa sarà ammissibile il giudice stabilisce un’udienza in
camera di consiglio, altrimenti, qualora sia inammissibile, provvederà de plano.

Nei casi in cui viene posta udienza in camera di consiglio, può essere disposto un controllo gerarchico dal
procuratore generale della corte d’appello. Quest’udienza si caratterizza per la possibile presenza del p.m. e
dei difensori, oltre agli ampi poteri di controllo da parte del giudice che, essendo chiamato a valutare non
solo sulla richiesta di archiviazione, ma anche sull’opposizione della parte offesa, è tenuto alternativamente
e a seconda dei casi ad emettere:

➢ Archiviazione, a mezzo ordinanza qualora sussistano i presupposti di fatto o di diritto;


➢ Ulteriori indagini c.d. coatte, indicandole al p.m. che dovrà eseguirle discrezionalmente entro degli
stringenti termini, al sopravvenire dei quali potrà decidere se esercitare l’azione penale formulando
l’imputazione oppure rimanendo dell’idea di richiedere nuovamente l’archiviazione;
➢ Al termine dell’udienza, sulla base degli atti che ha esaminato, vincola il p.m. disponendogli di
procedere all’imputazione coatta entro un termine di dieci giorni. Entro due giorni da tale
formulazione il gip deve fissare con decreto la data dell’udienza preliminare, in questo caso non
sarà preceduta da una richiesta di rinvio a giudizio, in modo che il gup possa controllare la
fondatezza dell’accusa e potrà eventualmente ove necessario ordinare ulteriori indagini ed
assumere prove ulteriori.
➢ Secondo la giurisprudenza, un altro ulteriore potere da attribuire al giudice sarebbe quello di
ordinare l’iscrizione coatta nel registro degli indagati non solo di soggetti mai stati prima indagati e
per il quale il p.m. non abbia formulato richiesta, ma anche di ulteriori reati accanto ai nomi di
indagati già trascritti.

La legge n. 103 del 2017, meglio nota come Riforma Orlando, ha modificato radicalmente la tematica
dell’archiviazione intervenendo sui punti nevralgici del tema: non solo ha razionalizzato il ruolo processuale della
persona offesa, ma ha previsto anche nuovi termini volti ad accelerare il provvedimento in sé, attuando quindi
essenzialmente quello che è il principio della ragionevole durata del procedimento. Vediamo nel dettaglio cosa è
successo. In primo luogo sono state tassativamente previste delle ipotesi di nullità che inizialmente non lo erano,
attinenti tanto all’archiviazione in senso stretto quanto all’udienza in camera di consiglio presso il GIP, ed in
secondo luogo, per far valere tali nullità, ha istituito, al posto del ricorso per Cassazione, un nuovo tipo di
impugnazione, ovvero quella al tribunale monocratico che si pronuncia con ordinanza non impugnabile su
istanza di reclamo della persona interessata.

Importante sottocategoria di archiviazione contro un indagato è quella dell’archiviazione per particolare tenuità
del fatto. Nel 2015 con un apposito decreto legislativo è stata introdotta nel nostro ordinamento l'esclusione
della punibilità per particolare tenuità del fatto e pertanto, in base a queste disposizioni, quando l'offesa sia
particolarmente tenue e segua ad un comportamento non abituale il giudice deve evitare di irrogare la sanzione
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penale, il tutto ovviamente a seguito di accertamento rigoroso di diversi presupposti. Alla luce di ciò quindi il
danneggiato che non trova soddisfazione nel processo penale, dovrà invece trovarla nel processo civile dove
potrà ottenere un risarcimento del danno. Tornando a questo particolare istituto, esso è stato costruito come
una condizione di non punibilità [anche se, trovandoci durante le indagini preliminari, dovrebbe essere una
causa di improcedibilità… si è voluto amplificare al massimo l’operatività dell’istituto] e per poter operare dovrà
essere accertata la presenza da parte del giudice di ben 4 presupposti:

1. L'imputato deve aver commesso un fatto storico antigiuridico offensivo in maniera particolarmente
tenue di un bene giuridico;
2. Deve poi trattarsi di un reato per il quale è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5
anni, o la pena pecuniaria, sola o congiunta, alla predetta pena;
3. L’offesa provocata in concreto deve essere di particolare tenuità per le modalità della Condotta del
responsabile e tale particolare tenuità deve ricavarsi nelle esiguità del danno o del pericolo cagionato
dal responsabile del fatto (ad esempio sì riterrà non di particolare tenuità l'azione posta in essere
dall'autore con crudeltà o che abbia cagionato la morte);
4. In ultima battuta il comportamento deve essere non abituale e, pertanto, la non punibilità per
particolare tenuità del fatto non opererà qualora l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale
professionale o per tendenza o abbia commesso più reati della stessa indole, né si può applicare nel
caso in cui si tratti ideati che abbiano ad oggetto condotte plurime abituali e reiterate.

La declaratoria della tenuità del fatto nel corso del procedimento sarà effettuata con le forme previste per la
decisione che chiude la fase del procedimento nella quale il giudice chiamato a pronunciarsi, così considerato
che ora ci troviamo nelle indagini preliminari essa assumerà la forma dell'archiviazione [se ci fossimo invece
Trovati nel udienza preliminare la se la forma della sentenza di non luogo a procedere virgola negli atti
preliminari al dibattimento la forma della sentenza anticipata di proscioglimento e nel giudizio la forma della
sentenza di proscioglimento per mancanza di punibilità], cosa che tra l’altro accade spesso perché si vuole
andare a deflazionare il carico giudiziario da portare in udienza.

Nel caso dell’archiviazione disposta perché il reato è stato commesso da ignoti, la disciplina da seguire è quella
dell’archiviazione contro gli indagati in quanto compatibile essendoci espresso rinvio alla stessa ex art. 415.3 e,
alla luce di ciò, dovranno valere anche le modifiche apportate con la riforma Orlando. Ergo, il p.m. è tenuto a
trasmettere al giudice oltre alla richiesta, il fascicolo delle indagini e, qualora la persona offesa abbia dichiarato
di voler essere informata sull’eventuale richiesta di archiviazione, il giudice è tenuto a farglielo presente,
istaurando quindi contraddittorio, ed in base al reato commesso, anche a consentirle di prendere visione degli
atti ed eventualmente di fare opposizione entro i termini previsti [20 giorni reati comuni, 30 per reati commessi
con violenza alla persona furto in abitazione o con strappo]motivando la sua scelta di battersi affinché le indagini
proseguano. A questo punto due sono le vie:

➢ Se l'offeso non si oppone il giudice per le indagini preliminari può accogliere la richiesta de plano;
➢ Se l'offeso si oppone o se comunque il giudice non accoglie la richiesta deve svolgersi un udienza in
camera di consiglio, pertanto il giudice dovrà fissare una data e darne avviso al pubblico ministero e
all'offeso.

Al termine dell’udienza il giudice potrà alternativamente:

• Accogliere la richiesta del p.m. a mezzo decreto motivato e disporre l’archiviazione;


• Se ritiene che il reato sia da attribuire ad una persona già individuata, il giudice ordina che il nome di
questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato;
• Indicare ulteriori indagini al p.m. che dovrà eseguirle entro degli stringenti termini previsti dal giudice
stesso, decorrenti ex riforma Orlando dal provvedimento del giudice.

In ultima battuta dobbiamo ricordare che il Pubblico Ministero, sentendo l'esigenza di nuove investigazioni,
potrebbe anche riaprire le indagini per un caso archiviato, il tutto però può avvenire soltanto se è il giudice ad
autorizzare la ripresa delle indagini: qualora quindi il giudice autorizzi il pubblico ministero a procedere,
quest'ultimo dovrà porre una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato e da tale momento decorreranno
nuovamente i termini ordinari per riproporre nuovamente archiviazione o per esercitare l'azione penale.

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Dobbiamo ricordare che comunque l'atto del Pubblico Ministero di riaprire le indagini per un caso archiviato è
un atto dovuto e quindi non sarà necessario che siano presenti nuovi elementi, ma quest'ultimo potrà anche
servirsi di quelli che già ha, ma reinterpretati in maniera diversa. Dal momento in cui invece vi sia una mancata
autorizzazione del giudice a riaprire le indagini ed il pubblico ministero compia comunque nuovi atti investigativi,
secondo la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria, tali atti di indagine, essendo compiuti in mancanza di
autorizzazione, sono inutilizzabili essendo stato violato un divieto probatorio stabilito dalla legge seppur
implicitamente. Se invece il giudice non autorizza il pubblico ministero a rapire le indagini, ma questo esercita
allo stesso tempo l'azione penale si ritiene, secondo un orientamento dottrinale che questa situazione
determinerebbe soltanto l’inutilizzabilità delle indagini e, pertanto, l'atto di esercizio dell'azione penale
resterebbe valido: si tratta però di un orientamento minoritario, perché quello maggioritario ritiene che debba
essere precluso l'esercizio dell'azione penale rispetto al medesimo fatto-reato e, pertanto, la richiesta di rinvio a
giudizio risulta affetta da nullità assoluta, poiché il vizio riguarda l'iniziativa del pubblico ministero nell'esercizio
dell'azione penale.

Capitolo III - L’udienza preliminare

Nel procedimento ordinario, il passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quello dell’udienza preliminare è
dettato dalla formulazione della richiesta di rinvio a giudizio contenente l’imputazione e le fonti di prova ad
opera del p.m. cosa che, essendo in tal modo esercitata l’azione penale, al tempo stesso comporta l’inizio del
processo. L'udienza preliminare ha essenzialmente due funzioni: la prima, consiste nell'assicurare che un giudice
controlli la legittimità e di merito della richiesta di rinvio a giudizio fatta dal Pubblico Ministero [per questo molti
la intendono come filtro], la seconda è invece mirata allo svolgimento dei riti speciali che eliminano il
dibattimento. Secondo quanto sancito dal c.p.p., il ruolo del giudice per le indagini preliminari è incompatibile
con l’udienza preliminare: ex art. 34.2bis infatti, quest’ultimo non può pronunciarsi una seconda volta in uno
stesso procedimento in quanto potrebbe essere minata l’imparzialità di cui il giudice, in ossequio all’art. 111
Cost., deve farsi portatore perché si abbia un giusto processo [e in virtù di tale imparzialità, questa
incompatibilità può essere superata qualora il gip non abbia svolto un ruolo decisorio]. Alla luce di ciò, sarà
quindi un giudice diverso da quello per le indagini preliminari ad essere il dominus dell’udienza: il c.d. giudice
dell’udienza preliminare, avente, paradossalmente, le stesse funzioni del gip. Per quanto riguarda la struttura
dell’udienza preliminare, che è essenzialmente il risultato di un compromesso tra diritto di difesa e principio di
immediatezza, essa ha subito una modificazione rispetto a come era originariamente previsto: con la legge
Carotti del ‘99 si è infatti passati da un’udienza allo stato degli atti con poteri di controllo molto limitati, ad
un’udienza che non solo consente al giudice di capire se le indagini sono complete [e quindi eventualmente
portare l’imputato a servirsi dei riti speciali] o meno [permettendogli di ordinare al p.m. di farne di nuove]
decidendo poi di conseguenza, quindi di essere sostanzialmente il giudice della prova, ma anche di essere
giudice dell’azione, essendogli concesso di operare in maniera ancora più incisiva il ruolo di filtro dell’udienza
stessa, verificando la tenuta dell’imputazione rispetto agli elementi di prova precostituiti o assunti nell’udienza e
la sua formulazione in modo chiaro e preciso. Procediamo ora per gradi, analizzando gli adempimenti che
procedono l’udienza, per poi passare alla costituzione delle parti e all’attuale disciplina sostitutiva della
contumacia.

Come abbiamo più volte ripetuto, il passaggio dalla fase delle indagini preliminari a quello dell’udienza
preliminare è dettato dalla formulazione della richiesta di rinvio a giudizio contenente l’imputazione e le fonti di
prova ad opera del p.m.: quest’ultima, priva di motivazione in modo da non appesantire il lavoro della parte
pubblica, va trasmessa assieme al fascicolo delle indagini al GUP per poi essere depositati presso la sua
cancelleria, in modo che il giudice possa fissare, a non più di 30 giorni di distanza dal deposito, giorno ora e luogo
dell’udienza. Fissata la data, essa va comunicata almeno 10 giorni prima alle parti: esattamente a mezzo notifica
assieme alla richiesta di rinvio a giudizio alla persona offesa e all’imputato, il quale viene inoltre informato che il
processo si svolgerà anche in sua assenza; al p.m. e al difensore, che dovranno necessariamente presenziare
all’udienza in camera di consiglio, per informarli della possibilità concessa loro di prendere visione degli atti
depositati per una completa esplicazione delle loro funzioni [oltre alla ovvia produzione di memorie e di
documenti] tra cui rientra anche l’eventuale possibilità di svolgere le c.d. indagini suppletive, da trasmettere
prontamente al GUP in modo che, dopo il loro deposito, possano averne conoscenza anche le altre parti. Detto
ciò, possiamo passare alla costituzione in giudizio delle parti: come sappiamo, ex art. 6 CEDU, è garantito
all’imputato un processo equo ed i relativi diritti di quest’ultimo a partecipare all’udienza ed alla conoscenza

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personale della celebrazione del processo, da cui si desume che egli possa assentarsi legittimamente se la sua
rinuncia a comparire sia volontaria e non equivoca e la prova sia data al di là di ogni ragionevole dubbio. L’Italia
non ha riconosciuto tali principi per anni e, in seguito a diverse multe avute dalla Corte di Strasburgo nel 2014
con la l. n.67 del 2014, abbandonando l’istituto della contumacia, ha recepito questi due principi in una disciplina
tutta nuova volta alla loro applicazione. In base alla precedente disciplina, l’imputato era dichiarato contumace
qualora vi fosse stata regolare notifica e non sussistessero prove di un legittimo impedimento tali da comportare
un’impossibilità assoluta a comparire: praticamente, il soggetto che non si presentava veniva definito
contumace alla luce di una presunzione di conoscenza dell’esistenza del processo scattata con l’avvenuta
notifica e non di una prova che potesse effettivamente attestare la sua personale conoscenza del processo e la
conseguenza volontaria ed equivoca rinuncia a comparire in ossequio ai principi della CEDU. Nella più totale
noncuranza di ciò, il processo continuava in assenza del contumace, rappresentato però dal difensore, a cui la
sentenza veniva notificata per estratto, determinando addirittura qualora questi fosse irreperibile un
meccanismo che girava a vuoto: nonostante esistesse un mezzo con cui egli poteva dimostrare la sua conoscenza
personale, la CEDU, visti tutti i buchi che presentava la disciplina, ha sanzionato innumerevoli volte l’Italia, la
quale è stata poi costretta ad abbandonare questa via e percorrerne una nuova, iniziata esattamente solo 4 anni
fa. Ad oggi vige una disciplina che divide essenzialmente la tradizionale contumacia in due distinti istituti:

• Se siamo in presenza di un irreperibile, il processo deve essere sospeso;


• Se vista la consegna dell'avviso o della citazione a mani proprie o un altro fatto sintomatico della
conoscenza certa del procedimento, il rito prosegue contro l'imputato dichiarato assente del quale si
presume la rinuncia volontaria a comparire.

Sostanzialmente quando l’imputato non si presenta in udienza, sia essa preliminare o dibattimentale, abbiamo
diversi step a seconda dei casi.

1. In primo luogo il giudice è tenuto a controllare se le parti si sono legittimamente costituite, ex art. 420.2:
qualora siano presenti mette a verbale il tutto e qualora rilevi che un avviso o una notifica sia avvenuta
in violazione delle disposizioni di legge ne dichiara la nullità e fissa una nuova udienza curandosi che
stavolta ciò avvenga correttamente. Il caso della presenza non è quello che in questa sede ci interessa.
2. Può capitare che, paradossalmente, il difensore non sia presente: in tal caso il giudice ne designa uno
d’ufficio immediatamente reperibile il quale assumerà tutti i diritti ed i doveri del precedente, mentre se
questi sia effettivamente assolutamente stato impossibilitato a prendervi parte dovrà rinviare l’udienza
disponendone ovviamente la notificazione.
3. Qualora invece non sia presente l’imputato, il giudice, avendone il potere ex art. 420ter, deve valutare
se effettivamente questi abbia avuto un legittimo impedimento tale da non consentirgli assolutamente
di comparire: qualora ciò sussista dovrà rinviare l’udienza disponendone ovviamente l’avviso, altrimenti
procedere in sua assenza dichiarandolo appunto assente alla presenza del suo difensore.
4. Spesso è accaduto che, l’imputato nel corso dell’udienza si sia allontanato dall’aula oppure che
presenziando ad una non ha fatto lo stesso con la successiva: il giudice in questo caso dovrà comunque
ritenerlo presente ex art. 420bis.3.
5. Qualora invece l’imputato non sia presente ed abbia esplicitamente rinunciato ad assistere all’udienza,
quest’ultima proseguirà in sua assenza, anche in casi di legittimo impedimento, alla presenza del suo
difensore.
6. L’imputato in taluni casi, ove assente, potrà essere dichiarato a mezzo ordinanza assente consapevole
qualora sussistano una serie di fatti, tipici o atipici, sintomatici della sua certa conoscenza dell’esistenza
del processo. I fatti tipici, in quanto tali sono espressamente indicati ex art. 420bis.2 e sono: l’aver
dichiarato un domicilio, l’esser sottoposto a misura cautelare o misura precautelare, l’aver nominato un
difensore di fiducia e l’aver personalmente ricevuto l’avviso dell’udienza. Per quanto riguarda invece i
fatti atipici, non sono previsti espressamente dal codice il quale, con una norma di chiusura, autorizza il
giudice ad accertare lo status dell’imputato anche mediante essi. È chiaro quindi che la presunzione non
viene abbandonata, ma si provvede a razionalizzarne l’operatività ancorandola all’accertamento
dell’esistenza e della regolarità di alcuni fatti sintomatici: una presunzione tra l’altro triplice, in quanto
da tali fatti sintomatici si presume la conoscenza del procedimento, dalla conoscenza di quest’ultimo si
presume la conoscenza dell’udienza e dalla conoscenza di quest’ultima si presume la volontarietà della

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rinuncia a comparire. In tali casi, qualora sussistano tali fatti, siano essi tipici o atipici, il processo
continua in assenza dell’imputato alla presenza del suo difensore.
7. In ultima battuta, qualora il soggetto sia irreperibile il processo va sospeso. Procediamo per gradi:
essendo irreperibile l’imputato, la prima notifica non ha sortito l’effetto sperato… ovviamente non si
può direttamente sospendere il processo. In primo luogo, va ricordato che qualora si prospetti una
sentenza di proscioglimento, non sarà possibile sospendere il processo e questo avverrà comunque,
cosa che invece non può dirsi se invece si prospetti una sentenza di condanna. Sostanzialmente essendo
“disinnescate” le presunzioni il giudice non può dichiarare l’assenza consapevole del soggetto e, in
extremis, rinvia l’udienza e dispone che stavolta la notifica avvenga personalmente ad opera della
polizia giudiziaria: qualora la notifica vada a buon fine ed il soggetto non si presenti, il processo
proseguirà in sua assenza alla presenza del suo difensore; se invece la notifica sia impossibile da
effettuare, il giudice deve disporre con ordinanza la sospensione del processo nei confronti
dell’imputato non comparso. Una volta emessa tale ordinanza vengono scollegati i procedimenti,
vengono sospese tutte le attività fatta eccezione per l’acquisizione di prove non rinviabili, è sospesa
anche la prescrizione per il reato e la parte civile può procedere nelle opportune sedi per chiedere
risarcimento. Tale ordinanza verrà poi trasmessa al CED del ministero dell’interno assieme alla citazione
dell’udienza rinviata, in modo che la polizia qualora intercetti il soggetto per strada possa condurlo nei
propri uffici per procedere alla notificazione e quindi permettere che il processo sia ripreso.

Spesso durante l’udienza è accaduto che il giudice sia stato costretto a revocare l’ordinanza della sospensione
del processo e quella di procedersi in assenza, secondo una disciplina molto farraginosa prevista agli art. 420bis
e seguenti.

La revoca dell’ordinanza di procedere in assenza è La revoca dell’ordinanza di sospensione del processo è


disposta dal giudice, anche d’ufficio in seguito alla… disposta dal giudice quando…
• Mera comparizione tardiva dell’imputato che Dopo un anno dalla sospensione del processo, o anche
non fornisca prova alcuna della mancata prima dove ne sussista l’esigenza, il giudice deve
conoscenza incolpevole della celebrazione del disporre nuove indagini in modo da presentare
processo o dell’impossibilità di comparire nuovamente la notifica all’imputato irreperibile ex art.
senza sua colpa; 420quater.2 dell’udienza passata a cui non si è
• Comparizione tardiva dell’imputato con prova presentato. Il giudice sarà quindi tenuto a revocare
della mancata conoscenza incolpevole della l’ordinanza di sospensione, mediante un’altra
celebrazione del processo o dell’impossibilità ordinanza con cui provvede anche a fissare la data
di comparire senza sua colpa in seguito ad dell’udienza da notificare alle parti qualora:
avvenimenti di forza maggiore o caso fortuito • Le ricerche da lui ordinate siano state
che lo hanno portato ad essere assente senza positive;
averne colpa; • Se l’imputato ha nominato un difensore di
• Accertamento in positivo della mancata fiducia;
conoscenza del procedimento parte del • In ogni altro caso in cui vi sia prova certa della
giudice a seguito di notifica a mano andata a sua conoscenza;
buon fine. • Se deve essere pronunciata sentenza di
proscioglimento.

Possiamo ora procedere analizzando invece lo svolgimento ordinario del processo: come abbiamo detto,
l’udienza si svolge in camera di consiglio alla necessaria presenza di p.m. e difensore dell’imputato a cui va
quindi notificato con qualche giorno d’anticipo la data dell’udienza come anche all’imputato e alla parte offesa,
in modo che quest’ultime possano decidere se presentarsi o meno ed il tutto verrà verbalizzato
[riassuntivamente se il caso non sia particolarmente complesso, altrimenti integralmente] ed ove ne sia fatta
richiesta, a mezzo stenotipia, oltre alla riproduzione fonografica o audiovisiva. Il primo momento dell’udienza è
quindi costituito dalla costituzione in giudizio delle parti ex art. 420.2, in cui il giudice deve essenzialmente
controllare se esse si sono costituite correttamente ed eventualmente il difensore del danneggiato deve
presentare all’ausiliare del giudice la dichiarazione di costituzione parte civile. Successivamente, conclusi gli
accertamenti, il giudice decide sulle richieste di ammissione degli atti e dei documenti, investigazioni difensive
incluse e spesso richiedono di includere nel fascicolo delle indagini le conversazioni o comunicazioni intercettate

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non acquisite in precedenza, poiché in un secondo momento potrebbero rivelarsi decisive ai fini della sentenza
di non luogo a procedere: nel caso in cui accetti saranno seguiti, in quanto compatibili le norme sul c.d. incidente
di stralcio. Il p.m. provvede poi ad esporre sinteticamente quelle che sono state le indagini ed i risultati ottenuti
da queste (c.d. fonti di prova) desunti alla base della richiesta di rinvio a giudizio da lui formulata. Dopo di ciò,
l’imputato può rendere dichiarazioni spontanee ed, ove lo ritenga opportuno, farsi interrogare dal giudice stesso
che qualora richiesto da una delle parti dovrà eseguirlo nelle forme dell’esame incrociato. Successivamente, a
prescindere dallo svolgimento di queste due frasi, i difensori e le parti private svolgono le loro argomentazioni
secondo un preciso ordine in virtù del quale comincerà la parte civile, il responsabile civile, la persona civilmente
obbligata per la pena pecuniaria ed infine l’imputato e sarà concesso al p.m. e ai difensori di replicare una volta
sola per poi essergli effettivamente concesso di esporre le loro conclusioni servendosi dei fascicoli delle indagini
preliminari e dei documenti poc’anzi ammessi dal giudice. È qui concesso all’imputato di scegliere un rito
abbreviato e saltare il dibattimento. Al termine dell’udienza, il giudice può prendere una decisione definitiva o
interlocutoria: qualora sia definitiva egli si pronuncia per il non luogo a procedere o con un decreto disponente il
giudizio con cui l’udienza si conclude; qualora invece sia interlocutoria, il giudice dichiara di non poter procedere
allo stato degli atti e pertanto non conclude l’udienza, ma alternativamente assume lui stesso delle prove, dando
inizio allo svolgimento eccezionale dell’udienza preliminare, oppure ordina ex art. 421bis un’integrazione delle
indagini al p.m., in modo che possa porre in essere di ulteriori sui temi che a suo avviso sono da affrontare [ed in
casi eccezionali, qualora siano utili e necessari indica perfino gli atti], fissa un termine entro il quale devono
essere eseguite e la nuova data dell’udienza in cui quanto raccolto verrà esaminato. In questo caso, va tutto
comunicato al procuratore generale della Corte D’Appello, in quanto, qualora lo ritenga necessario, avocherà il
caso. Una volta che il p.m. abbia adempiuto all’adempimento postogli si terrà quindi questa udienza all’esito
della quale il GUP deciderà per il rinvio a giudizio o per il non luogo a procedere: in caso contrario, potrà
nuovamente emettere un’ordinanza per l’integrazione delle indagini oppure disporre l’integrazione probatoria
ex art. 422 con cui sostanzialmente, non ritenendo di poter decidere allo stato degli atti, potrà assumere prove
nel corso dell’udienza preliminare. Vediamo meglio nel dettaglio di cosa tratta tale istituto: l’integrazione
probatoria del giudice consente a quest’ultimo, alla luce della sua discrezionalità, di assumere prove che ritenga
evidentemente decisive ai fini della sentenza di non luogo a procedere. Ciò significa che le prove potranno
essere richieste dalle parti, ma non assunte da loro: chi potrà effettivamente farlo è solo il giudice, che potrà tra
l’altro farlo per di più d’ufficio anche a distanza di tempo rinviando l’udienza ove necessario purché ovviamente
sia correttamente notificata a tutte le parti. Queste verranno poi condotte dal giudice mediante il quale
potranno proporre domande al pubblico ministero, anche stavolta secondo un preciso ordine: parte civile,
responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria ed infine l’imputato. Sembrerebbe a
primo acchito uno strumento simile all’incidente probatorio: in realtà non è assolutamente così, in primo luogo,
perché si tratta di due cose diverse, ma poi anche perché la stessa Corte Costituzionale ha ritenuto
incostituzionale la formazione dello stesso all’interno dell’udienza preliminare, poiché a suo avviso era lesivo del
diritto delle parti alla prova (non essendo poi possibile utilizzare quanto eventualmente formato in
dibattimento) in ossequio al principio di immediatezza che in tali casi, in un’ottica di bilanciamento in questo
caso, deve sopperire sebbene nella realtà esso sia egualmente esperito. Abbiamo poc’anzi detto, che incidente
probatorio e integrazione probatoria sono due cose diverse, pertanto prima di procedere con la trattazione,
analizziamo le differenze tra i due.

Integrazione probatoria Incidente probatorio


Da chi è disposta? Dal giudice Dalle parti
Quando? Qualora il giudice ritenga che non Per i casi previsti dall’art. 392 e quindi
possa decidere allo stato degli atti e qualora: il dichiarante non possa
con la specifica finalità di dover riporre in dibattimento a causa di un
essere assunte delle prove grave impedimento o di una minaccia
evidentemente decisive in atto; il luogo, la cosa o la persona
all’assunzione della sentenza di non possano subire inevitabilmente una
luogo a procedere. modificazione; qualora sussistono
particolari ragioni di urgenza e nei
casi in cui l'incidente probatorio viene
fatto su mera richiesta di parte.
Le prove acquisite Verranno depositate nel fascicolo del a carico o a discarico che siano,
p.m. e non saranno utilizzabili in essendo assunte con le modalità del
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dibattimento. dibattimento, vanno nel relativo
fascicolo e potranno essere utilizzate
in quest’ultimo.
In base agli elementi raccolti nel corso dell'udienza e alla discussione che si è svolta in essa, può sorgere
l'esigenza di apportare modificazioni all'imputazione formulata dal pubblico ministero originariamente, a patto
che: sia il pubblico ministero ad agire di propria iniziativa contestando la modifica dell'addebito all'imputato in
ossequio al principio della separazione di funzioni purché siano rispettati determinati limiti di modificabilità in
ragione dei quali possiamo distinguere una modificazione necessaria per fatto diverso ed un’altra necessaria per
fatto nuovo.

Modifica per fatto nuovo Modifica per fatto diverso


Finché si tratta di variare la descrizione del fatto Quando invece bisogna proprio cambiare
storico, non però nei suoi elementi essenziali, il l'imputazione ciò è possibile purché si tratti di un
pubblico ministero è legittimato a contestare reato procedibile d'ufficio e affinché l'imputato
all'imputato, o in sua assenza al difensore, un fatto acconsenta: è infatti concesso a quest'ultimo di
diverso da quello descritto nella richiesta di rinvio a percorrere lo svolgimento ordinario di un nuovo
giudizio, anche qualora si tratti di aggiungere una procedimento, che può essere tranquillamente
circostanza aggravante un fatto commesso in avviato dal pubblico ministero, oppure affrontare
esecuzione del medesimo disegno criminoso ho un direttamente la valutazione del giudice dell'udienza
altro reato commesso con la medesima condotta. preliminare.

Come abbiamo detto, al termine dell’udienza, il giudice può prendere una decisione definitiva o interlocutoria:
qualora sia definitiva egli si pronuncia con sentenza di non luogo a procedere determinando la continuazione
dell’udienza, o con un decreto disponente il giudizio con cui l’udienza si conclude in attesa dell’udienza
dibattimentale. Affrontiamo entrambi i mezzi a disposizione del giudice più nel dettaglio.

Il codice prevede un unico tipo di sentenza di non luogo a procedere che deve essere pronunciata in base a
motivi di fatto e di diritto previsti ex articolo 425, novellato nel 99 con legge n.47, o meglio quando: sussiste una
causa che estingue il reato; sussiste una causa per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o
proseguita; il fatto non è previsto dalla legge come reato; esiste la prova che l'imputato è innocente; è accertato
che l'imputato non è punibile per qualsiasi causa ivi compreso difetto di imputabilità [a meno che non ritenga
che sia necessaria l'applicazione di una misura di sicurezza, in tal caso, essendo necessari controlli esperibili sono
in dibattimento dovrà rinviare l'imputato a giudizio] e casi di particolare tenuità del fatto; inoltre anche quando
ritenga superfluo il dibattimento, risultando gli elementi acquisiti insufficienti [tali da far ritenere allo Stato degli
atti che non possono essere integrati dall'attività istruttoria tipica del dibattimento] contraddittori [quando vi sia
tra le prove raccolte un contrasto che probabilmente non potrà essere superato in dibattimento] o comunque
non idonei a sostenere l'accusa in giudizio in quanto infondati ex art. 125; inoltre con la legge numero 479 del 99
ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere il giudice deve tener conto delle circostanze ed
eventualmente effettuare un bilanciamento tra aggravanti e attenuanti. La pronuncia di rinvio a giudizio secondo
la Cassazione, non avrebbe un mero aspetto procedurale, ma sarebbe articolabile in due fasi: la prima, in cui si
richiede una decisione di merito sulla serietà e sulla fondatezza dell'accusa in base agli elementi raccolti
nell'udienza preliminare, ed una seconda fase a carattere prognostico, in cui si richiede una sentenza
processuale sull'elevata probabilità che la precedente diagnosi in dibattimento possa trovarvi conferma.
Dobbiamo inoltre fare una precisazione in merito all'articolo 129: poiché la sentenza che dichiara le cause di non
punibilità deve essere pronunciata in ogni stato e grado del processo, a parere delle sezioni unite della Corte di
Cassazione, il giudice investito di una richiesta di rinvio a giudizio deve fissare l'udienza preliminare affinché sia
pronunciata non essendo possibile spedirla in fasi precedenti.

La sentenza di non luogo a procedere con la riforma Orlando può di nuovo essere impugnata mediante appello e
sono stati aggiunti anche ulteriori elementi nel 2018 in adempimento alla delega che sta alla base di tale riforma:
restano comunque non appellabili le sentenze di non luogo a procedere aventi ad oggetto contravvenzioni
punite con la sola ammenda o con pena alternativa. È quindi ammesso appello ex art. 428 da parte del:

• Procuratore della Repubblica quale P.M., in rappresentanza degli interessi della collettività e dello Stato
e Procuratore generale presso la Corte d’Appello nei casi di avocazione e acquiescenza. In tal caso la
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Corte in camera di consiglio può a seconda dei casi confermare la sentenza, oppure pronunciare non
luogo a procedere con formula meno favorevole all'imputato, o infine pronunciare il decreto che
dispone il giudizio ed in tal caso formare poi il fascicolo per il dibattimento.
• L’imputato, ma non quando con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che egli non lo
ha commesso. In tal caso la Corte in camera di consiglio può a seconda dei casi confermare la sentenza,
oppure pronunciare non luogo a procedere con formula meno favorevole all'imputato.
• La persona offesa non costituita nei soli casi di nullità, cioè quando, è stata omessa nei suoi confronti la
notifica dell’avviso dell’udienza preliminare (che in tal caso è nulla). In tal caso la corte in camera di
consiglio può rigettare l'appello confermando la sentenza di non luogo a procedere oppure accoglierlo e
dichiarare la nullità della sentenza di non luogo a procedere disponendo la trasmissione degli atti al
giudice perché proceda a rinnovare l'udienza preliminare. Contro la sentenza di non luogo a procedere
pronunciata in grado di appello possono ricorrere per Cassazione imputato e procuratore generale, ma
solamente dal momento in cui sussista straripamento di potere inosservanza di leggi sostanziali legge
processuale, in vista di un’udienza in camera di consiglio con le forme del contraddittorio scritto.

La sentenza di non luogo a procedere può perfino essere revocata, ma soltanto su richiesta del P.M. all’ufficio
del GIP, in presenza di nuove fonti di prova tali da poter determinare da sole o con quelle già acquisite rinvio a
giudizio tenendo conto che stavolta il controllo per la riapertura del caso sarà molto più rigido rispetto a quello
per le archiviazioni: la fonte di prova potrà tanto essere una persona o una cosa, quanto una dichiarazione. La
richiesta dovrà ovviamente essere ritenuta ammissibile dal giudice e nel caso in cui lo sia, questi provvederà a
nominare una difesa d’ufficio per l’imputato che ne sia privo e fissa la data di udienza da notificare poi alle parti:
l’udienza si svolgerà in camera di consiglio ed il giudice a seconda dei casi potrà alternativamente o dichiarare
inammissibile o rigettare la richiesta del p.m., o revocare la sentenza di non luogo a procedere e fissare l’udienza
preliminare qualora il p.m. abbia chiesto rinvio a giudizio, o revocare la sentenza di non luogo a procedere e
disporre la riapertura delle indagini, stabilendo un termine improrogabile non superiore a 6 mesi in cui il p.m.
concludere le indagini per poi optare per un’archiviazione o per la formulazione del rinvio a giudizio.

Il decreto che dispone il giudizio viene emesso nei casi in cui il giudice dell'udienza preliminare non pronuncia la
sentenza di non luogo a procedere: ex articolo 429 non è però indicato il Quantum di prova necessario per
emanare lo, nonostante ciò è possibile ricavare il principio leggendo al contrario l'articolo 425 che indica i criteri
previsti per la sentenza di non luogo a procedere, pertanto Alla luce di ciò sarà possibile emanare decreto che
dispone il giudizio qualora gli elementi forniti dal pubblico ministero a fondamento della richiesta e le prove
eventualmente raccolte nelle densa per eliminare appaiono idonea sostenere l'accusa in giudizio ritenendola
quindi fondata. In questo caso, secondo la Corte di Cassazione il giudice dell'udienza preliminare è chiamato a
valutare nel merito in modo da fornire una prognosi sulla possibilità di successo dell'accusa nella fase
dibattimentale. Inoltre al GUP è concesso un potere di filtro molto incisivo sulla richiesta di rinvio a giudizio,
come deducibile dalla sentenza emanata dalla Corte di Cassazione sul caso Eternit, che sostanzialmente dà
facoltà al giudice per le indagini preliminari di discostarsi da quello che era il fatto contestato dal Pubblico
Ministero: sostanzialmente il giudice dell'udienza preliminare che dissente dalla definizione giuridica del fatto
data del pubblico ministero può discostarsene, senza andare a intralciare il suo potere, descrivendo con la
completezza che ritiene necessaria, o meglio in forma chiara e precisa, il fatto storico oggetto dell'accusa e le
circostanze ed individuando all'interno del decreto gli articoli di legge violati dal comportamento tenuto
dall'imputato in luogo di quelli individuati con l'atto imputativo, inoltre, dobbiamo ricordare che il GUP non è
tenuto a motivare la sua decisione per non condizionare quella del giudice che interverrà in dibattimento, ma è
comunque in tal caso tenuto ad indicare sommariamente le fonti di prova. Tra l'altro, tale decreto svolge anche
funzione di citazione in giudizio, in quanto convoca le parti per il dibattimento: il giudice dovrà quindi precisare
al suo interno data ora e luogo dell'udienza dibattimentale, con l'avvertimento per l'imputato che non
comparendo sarà giudicato in assenza, oltre a notificarlo tanto a quest’ultimo come anche alla parte offesa ove
non sia presente in udienza preliminare entro 20 giorni prima della data fissata.

Meritano di essere preliminarmente illustrati anche il fascicolo per il dibattimento ed il fascicolo del p.m., ovvero
le due parti in cui il fascicolo risultante dalle indagini viene diviso, ovviamente in contraddittorio tra le parti,
subito dopo aver emesso il decreto che dispone il giudizio. Tale suddivisione è uno dei punti nevralgici del codice
ed è fatta a tutela della neutralità psichica del giudice del dibattimento, in modo che questi possa pronunciarsi
solo alla luce di prove assunte in contraddittorio tra le parti per un’effettiva tutela del relativo principio, il quale

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come sappiamo, non è in genere garantito nelle fasi precedenti del procedimento e specialmente nel corso delle
indagini preliminari che sono svolte in segreto. Sostanzialmente quindi nel fascicolo per il dibattimento, essendo
stati raccolti nel contraddittorio tra le parti e in quanto ripetibili, vengono inclusi gli atti di cui il giudice può
servirsi per motivare la sentenza una volta letti che sono tra l’altro indicati tassativamente dal codice all’art. 431
[atti relativi alla procedibilità dell’azione penale ed all’esercizio dell’azione civile; verbali degli atti non ripetibili
compiuti dalla polizia giudiziaria; verbali degli atti non ripetibili compiuti dal p.m.; documenti acquisiti all’estero
mediante rogatoria internazionale ed i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità; verbali degli
atti assunti negli incidenti probatori; verbali degli atti assunti all’estero a seguito di rogatoria internazionale ai
quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà a loro consentite dalla legge
italiana; il certificato generale del casellario giudiziale e gli altri documenti relativi al giudizio sulla personalità
dell’imputato, dell’offeso e dei testimoni; il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano
essere custodita altrove]. Nel fascicolo del pubblico ministero vengono invece raccolti ex art. 433 residualmente
quegli atti c.d. diversi da quelli assunti nel fascicolo del dibattimento, quindi assunti unilateralmente e
segretamente nel corso delle indagini preliminari svolte da p.m. e polizia giudiziaria oppure gli atti acquisiti
dall’udienza preliminare, non essendo garantito generalmente neanche qui il contraddittorio, unitamente al
verbale della stessa e al fascicolo del difensore che, in quanto tali, non devono, salvo casi eccezionali previsti
dalla legge, in alcun modo essere conosciuti dal giudice, ma servono solo come strumento preparatorio per le
parti che dovranno sostenere l’interrogatorio nelle forme dell’esame incrociato. Si parlava di casi eccezionali in
quanto, ex 431.2 c.p.p. le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti
nel fascicolo del Pubblico Ministero nonché della documentazione relativa alle attività di investigazione
difensiva, in modo che il singolo atto possa essere letto e diventare utilizzabile ai fini della decisione finale: ciò
non comporta necessariamente che le parti rinuncino a sentire oralmente il dichiarante in dibattimento, anche
se nella maggior parte dei casi questo sarà il probabile effetto dell’accordo. Tuttavia, l’accordo tra le parti non ha
effetti totalmente dispositivi: il giudice, al termine dell’istruzione dibattimentale e se risulta assolutamente
necessario, può disporre anche d’ufficio l’assunzione dei mezzi di prova relativi agli atti acquisiti su accordo delle
parti, in modo da garantire che le parti non escludano arbitrariamente quel contraddittorio che sia
indispensabile per accertare i fatti.

In ultima battuta, non essendo il decreto che dispone il giudizio e la sentenza di non luogo a procedere gli unici
provvedimenti che il giudice può prendere nell’udienza preliminare, vanno analizzate le pronunce di
quest’ultimo che perseguono la deflazione del procedimento penale, e che quindi mirano ad una conclusione del
processo senza che ci sia un ulteriore fase, solitamente passibili di essere richiesti fino alla formulazione delle
conclusioni al termine dell’udienza preliminare. Essi sono:

1. I procedimenti speciali che eliminano il dibattimento =


a) Il giudizio abbreviato, il patteggiamento e la messa alla prova.
2. Abbiamo poi istituti deflattivi del diritto sostanziale =
a) L’oblazione;
b) La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto;
c) La causa di non punibilità delle condotte riparatorie, creata con la riforma Orlando a presupposto
della quale il soggetto, prima dell’apertura del dibattimento di primo grado, non solo deve aver
riparato interamente il danno cagionato dal reato mediante restituzione o risarcimento entro i
termini previsti [eventualmente prorogabili qualora questi sia stato impossibilitato, il giudice
sospenderà il tutto e fisserà una nuova udienza], ma anche l’aver eliminato ove possibile le
conseguenze dannose o pericolose del reato. Il giudice secondo quanto previsto dal codice, si limita
a sentire le parti e la persona offesa e qualora accerti l’esito positivo delle condotte riparatorie
dichiara estinto il reato mediante un provvedimento non ben specificato, come tra l’altro poi lo
sono anche gli atti che possono essere compiuti durante l’eventuale sospensione disposta.
L’interprete si serve in tal caso dell’analogia.

Capitolo IV - L’investigazione difensiva Sez. I – Sistema Processuale e Investigazione difensiva

Nel sistema accusatorio le parti, pubbliche o private che siano, hanno quello che è stato incisivamente definito
“diritto alla prova”: hanno, cioè, il diritto di ricercare le prove sulle quali possono basare le proprie richieste, di
valutare fino a che punto gli elementi raccolti possono essere utilizzati vantaggiosamente, di giustificare al
giudice la necessità che sia ammesso il relativo mezzo di prova, di vagliare la credibilità della fonte e
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l’attendibilità dell’elemento di prova che sia stato acquisito. È chiaro quindi che nel sistema accusatorio il giudice
no ha questo diritto, di cui sono titolari il p.m. e le parti private… e proprio per quanto concerne quest’ultime,
ogni sistema accusatorio che si rispetti concede loro, o meglio ai loro difensori, le c.d. investigazioni difensive: in
Italia sono arrivate solo negli anni 2000 con la legge n. 397 e consentono di ricercare le fonti, di acquisire gli
elementi di prova e di presentarli al giudice. Ovviamente le investigazioni private hanno un fondamento
costituzionale: al tempo esso fu indicato nel diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento,
occorre però tener conto del fatto che, essendo stati comunque aggiunti dei nuovi enunciati con l’art. 111,
facendo riferimento all’espresso riconoscimento del principio di parità delle parti accolto alla luce del principio di
adeguatezza e specialmente alla concessione all’imputato del diritto di “disporre del tempo e delle condizioni
necessarie per preparare la sua difesa”, che proprio specificatamente all’attività investigativa difensiva sembra
alludere, va tenuto in considerazione anche quanto in esso sancito.

Esistono investigazioni che prescindono dall’instaurazione di un successivo processo penale o civile: ad esempio,
un genitore ha diritto di sapere se qualcuno cede droga al proprio figlio, oppure un privato ha diritto di
conoscere se la persona, con cui sta per concludere un contratto, è un soggetto affidabile o un farabutto ed è
proprio in questi casi che le investigazioni si compiono al fine di evitare l’instaurazione di un successivo processo
civile o penale. Tonini pensa che anche tale materia sia costituzionalmente garantita, precisamente nell’art. 2
Cost., in quanto i diritti costituzionalmente tutelati hanno bisogno di quell’aspetto servente che è l’indagine
privata… pertanto, quest’ultima è strumentale rispetto a diritti soggettivi di rilevanza costituzionale, anche a
prescindere dall’instaurazione di un processo. Ad ogni modo per quanto concerne la loro regolamentazione, è
stato aggiunto un titolo 6bis al codice da integrare con quanto previsto anche in altre sedi: in primo luogo dalle
Regole di comportamento del penalista nelle investigazioni difensive che sono vincolanti per gli avvocati iscritti
alle Camere Penali; poi anche dal Codice Deontologico approvato nel 2014 e dal Codice di deontologia e di
buona condotta per il trattamento dei dati personali effettuati per svolgere le investigazioni difensive del 2008.
Da quanto desumiamo dal codice, esattamente dall’art. 327bis, le indagini difensive sono connotate da un
interesse privato portato avanti da un libero professionista: il difensore è infatti tenuto a svolgere investigazioni
per cercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, essendo ben consapevole di non
poter assumere prove che sa essere false altrimenti incapperebbe nella commissione di un reato. Alla luce di ciò
l’investigazione difensiva costituisce al tempo stesso un diritto e un dovere dell’avvocato: si tratta di un diritto in
relazione ai rapporti con l’autorità giudiziaria, la quale deve permetterne l’esplicazione; mentre si tratta di un
dovere nei rapporti con il cliente, in quanto l’attività difensiva può richiedere, per essere efficace, che vengano
svolte indagini ed egli stesso è tenuto a farlo presente al suo assistito altrimenti, come afferma il codice
deontologico forense, non essendosi posto il minimo problema, violerà quelli che sono appunti i suoi doveri…
cosa che invece non accadrà se è l’assistito, informato dal difensore, a rifiutare che si svolgano. Come ormai
chiaro, vi è differenza tra p.m. e difensore:

Pubblico Ministero Difensore


ha un obbligo di lealtà processuale che gli impone di ha un dovere di correttezza, ma non ha l’obbligo di
svolgere altresì accertamenti su fatti e circostanze a ricercare e di presentare al giudice gli elementi
favore della persona sottoposta alle indagini, sia sfavorevoli alla parte assistita. Egli
nell’interesse della Giustizia, sia nel proprio interesse quindi collabora all’accertamento della verità
di parte che potrebbe vedere respinta la sua limitandosi a presentare gli elementi a favore del
domanda, ove tali fatti fossero successivamente cliente, poiché persegue un interesse privato e non
accertati di fronte al giudice. Il pubblico ministero, nel pubblico. I difensori, mentre svolgono investigazioni
corso delle indagini preliminari ha poteri coercitivi, private, non hanno poteri coercitivi, perciò possono
tanto sulle cose quanto sulle persone, perciò può raccogliere informazioni finché il titolare di un diritto
raccogliere informazioni perfino senza il consenso del lo consente. Va però ricordare che, in caso di dissenso,
titolare di un diritto, essendo però sempre sotto il il difensore può unicamente rivolgersi all’autorità
controllo del giudice ed avendo l’obbligo di depositare giudiziaria al fine di ottenere il riconoscimento del
i relativi verbali degli atti da lui posti in essere sia proprio diritto alla prova mediante l’esercizio di un
personalmente che servendosi della polizia giudiziaria. potere coercitivo da parte, secondo i casi, del giudice
o del p.m.

Sez. II – Casi e modi dell’investigazione difensiva

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I soggetti dell’investigazione difensiva sono diversi: il difensore, il suo sostituto, l’investigatore privato
autorizzato ed i suoi ausiliari quali ad esempio consulenti tecnici.

Il difensore è titolare, ex art. 327bis, del potere di svolgere investigazioni difensive: tale potere deriva a sua volta
dal conferimento per atto scritto dell’incarico professionale ed è riconosciuto dalla legge in ogni stato e grado
del procedimento [quindi sia nel corso dell’esecuzione penale o per promuovere giudizio di revisione, sia in via
suppletiva dopo il decreto che dispone il giudizio]. Una rilevante novità introdotta nel 2000 con apposita legge è
costituita dal riconoscimento della legittimità dell’attività investigativa preventiva, svolta quindi per l’eventualità
che si instauri un procedimento penale ex art. 391nonies: in tal caso la nomina del difensore, titolare del potere
investigativo, deve essere effettuata mediante mandato e può esserlo anche prima che la notizia di reato sia
iscritta nel registro. Dal punto di vista sostanziale, occorre considerare che ad una persona può derivare un
pregiudizio irrimediabile per il solo fatto che sia presentata una denuncia, per questo è fondamentale che il
difensore dell’interessato proceda ad indagini per sostenere la propria versione dei fatti. In sede di indagini
preventive il difensore ha la facoltà di svolgere gli atti disciplinati dal codice, fatti salvi quelli che richiedono
l’autorizzazione o l’intervento dell’autorità giudiziaria. Il difensore è titolare del potere di investigazione in via
esclusiva ex art. 327bis e mantiene tale titolarità anche se il legislatore, conscio del fatto che egli non possa
svolgere personalmente tutte le indagini relative ai diversi procedimenti affidatigli, abbia ammesso che questi
possa incaricarle a diversi soggetti ex comma 3:

a) Primo tra questi il suo sostituto, che svolgerà quindi le indagini incaricategli facendo le veci del
difensore. Sarà infatti solo quest’ultimo assieme al difensore ad essere legittimato a svolgere la c.d.
intervista.
b) L’investigatore privato autorizzato. Genericamente indicato ex art. 327bis, per capire effettivamente chi
sia tale soggetto dobbiamo prendere come riferimento l’art. 222 delle disposizioni attuative del c.p.p.: si
tratta di un ruolo che viene conferito mediante ulteriore autorizzazione concessa dal prefetto a colui
che è già “investigatore privato”, avendo già in precedenza ottenuto l’apposita licenza. L’investigatore
privato autorizzato è obbligato a tenere un registro contenente, relativamente ad ogni caso
assegnatogli: le generalità del difensore committente (e non del cliente); la specie degli atti investigativi
richiesti (e non il tipo di affare o di operazione); la durata delle indagini, determinata dal momento del
conferimento dell’incarico (e non l’esito dell’operazione). Soltanto l’investigatore privato che ha
ottenuto l’autorizzazione può opporre all’autorità il segreto professionale ed in tal modo è parificato
all’avvocato, al suo sostituto e al consulente tecnico anche per questo. La legge n.397 ha esteso
all’investigatore privato autorizzato, qualora incaricato in relazione al procedimento, quelle garanzie che
il codice prevede in favore del difensore e del consulente tecnico e pertanto non sarà possibile
procedere a sequestro presso il suo ufficio, sia intercettarne le conversazioni e comunicazioni
effettuate. Il difensore deve comunicare il conferimento dell’incarico all’investigatore, all’autorità
giudiziaria procedente.
c) I suoi ausiliari, come ad esempio i consulenti tecnici. Quest’ultimi per quanto concerne la c.d. intervista
ex 391bis possono svolgerla e quindi conferire in modo informale con le persone informate sui fatti, ma
soltanto il difensore potrà assumere informazioni o ricevere dichiarazioni scritte da tali persone:
solitamente si ritiene che gli ausiliari siano più indicati per fare indagini fuori dallo studio al fine di
individuare elementi di prova o persone informate dei fatti, mentre i difensori, essendo comunque più
informati sul processo, avendo una serie di competenze tecniche necessarie, ma anche di tematiche
vincolate al segreto, possono svolgere un lavoro molto più completo e pertanto, sebbene sia possibile
delegarla ai sostituti, l’intervista dovrebbero svolgerla loro personalmente.

N.B.: le investigazioni possono essere sia tipiche, quindi previste per legge e svolte dal difensore come ad
esempio quella di intervistare le persone informate, che atipiche e pertanto svolte dagli investigatori privati e dai
consulenti appositamente delegati mediante atti atipici con ampie modalità e libertà di forme, di cui un tipico
esempio sono i pedinamenti in cui spesso questi si camuffa o deve agire a sorpresa.

L’intervista di persone informate sui fatti e di indagati connessi è la più importante tra gli atti di indagine
difensiva e può svolgersi secondo tre modalità: il colloquio informale, svolto sia dal difensore che dai suoi
ausiliari; l’assunzione di informazioni e il rilascio di dichiarazioni scritte, acquisibili solo dal difensore e dal suo
sostituto. Alcuni soggetti che sono incompatibili con la qualifica di teste, sono incompatibili anche con
l’intervista: stiamo parlando del responsabile civile, del civilmente obbligato, del giudice, del p.m., dei difensori e
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i loro ausiliari che abbiano svolto o verbalizzato altre interviste nel medesimo procedimento. Ad ogni modo,
prima che l’intervista abbia inizio, il difensore o suo ausiliario devono dare alla persona intervistata, a pena di
inutilizzabilità dell’intervista e delle dichiarazioni da esse desunte, una serie di avvisi in modo che siano informati
rispettivamente: della qualità del difensore e dello scopo dell’atto; se l’intervistato intenda semplicemente
conferire (colloquio informale) ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le
modalità e la forma della documentazione; dell’obbligo di dichiarare se sottoposta ad indagini o imputata nello
stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato (e in questi casi la persona
informata deve essere assistita dal difensore, preventivamente avvisata a pena di inutilizzabilità dell’intervista);
della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione (la persona intervistata non ha l’obbligo di
rispondere, tuttavia, se lo fa, egli assume l’obbligo penalmente sanzionato di dire il vero); del divieto di rivelare
le domande eventualmente rivoltegli dalla polizia giudiziaria o dal Pubblico Ministero e le risposte date [con
speculare divieto previsto per l’intervistante]; delle responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione.
Inoltre la violazione di tali avvisi oltre ad essere fonte di inutilizzabilità di quanto raccolto, costituisce inoltre
illecito disciplinare ed è comunicata dal giudice che procede al consiglio nazionale forense per gli opportuni
provvedimenti. Qualora chi voglia essere intervistato sia privo dell‘avvocato di fiducia, chiede al giudice di
disporre la nomina di uno d’ufficio.

Procediamo ora vedendo nel dettaglio le singole modalità con cui si svolge l’intervista, il primo è il c.d. Colloquio
non documentato o informale: in quanto tale, rappresenta una garanzia per il difensore che può effettuare il suo
vaglio preliminare con notevole libertà. Tale colloquio di regola è finalizzato a vagliare il possibile testimone allo
scopo di verificare quali sono i fatti che conosce e se egli può fornire elementi di prova a favore della persona
assistita dal difensore, pertanto è funzionale ad una eventuale assunzione di informazioni oppure alla richiesta di
una dichiarazione scritta.

Successivamente abbiamo l’assunzione di informazioni con verbalizzazione che costituisce il modello principale
di intervista: di regola il difensore potrà chiedere al possibile testimone di narrare liberamente quanto è di sua
conoscenza, oppure può condurre l’intervista formulando domande e le informazioni ottenute vanno
verbalizzate secondo le regole generali di documentazione degli atti del procedimento penale fin quanto
applicabili. Il codice vieta che all’assunzione delle informazioni assistano l’indagato, l’offeso e le altri parti private
(cioè il cliente dell’avvocato che conduce l’intervista) per evitare che la persona informata possa subire pressioni
o influenze, divieto che pur non essendo previsto anche per il colloquio e per la ricezione di dichiarazioni,
sembra estensibile in via interpretativa. Nel caso in cui nel corso dell’intervista l’intervistato rilasci dichiarazioni
autoincriminanti, la disciplina è analoga a quella vigente per l’autorità giudiziaria: il difensore o il sostituto
devono interrompere l’intervista ed informare il soggetto che quanto da lui dichiarato potrebbe essere fonte di
responsabilità per lui stesso e che, non essendo a conoscenza di ciò, quanto detto in precedenza non risulta
utilizzabile. Vi sono dei limiti di discrezionalità riconosciuti al difensore una volta assunte le informazioni: egli
può ritenere che le dichiarazioni non siano utili per la posizione del proprio cliente e in tal caso non è obbligato a
produrre verbale nel corso del procedimento, tuttavia se decide di produrlo, questo non può essere manipolato.
Il difensore può scegliere, in sintesi, tra presentare il verbale nella sua interezza o non presentarlo affatto ed
ovviamente non può eliminare le dichiarazioni sfavorevoli alla parte che egli assiste.

Non ci resta che analizzare la dichiarazione scritta, la quale consiste appunto nel richiedere alla persona
informata o all’imputato il rilascio della medesima sottoscritta da lui stessa ed autenticata dal difensore o del
suo assistito. Quindi l’intervistatore deve redigere una relazione, che sarà allegata alla dichiarazione stessa, nella
quale devono essere riportati fedelmente i risultati ottenuti [altrimenti commette il reato di falsità ideologica in
certificati]: la data in cui la dichiarazione è stata ricevuta, le generalità del difensore o del sostituto e della
persona che ha rilasciato la dichiarazione, l’attestazione di aver rivolto gli avvertimenti previsti dalle disposizioni
generali relative all’intervista ed i fatti sui quali verte la dichiarazione.

Come abbiamo visto, la persona sentita dal difensore ha la facoltà di non rispondere o di non rendere la
dichiarazione richiesta: tuttavia, se il legislatore si fosse fermato a questo punto, il diritto alla prova spettante
alla difesa sarebbe stato completamente subordinato alla volontà collaborativa delle persone informate
intervistate e quindi per evitare un simile rischio ha messo a disposizione del difensore due strumenti
procedurali attivabili nell’ipotesi che la persona convocata si avvalga della facoltà di non rispondere. Il difensore,
dunque, può chiedere che la persona sia sentita nella forma dell’incidente probatorio, anche al di fuori dei casi di
non rinviabilità, oppure che sia disposta l’audizione del possibile testimone al pubblico ministero. Proprio in
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relazione a quest’ultimo caso dobbiamo fare delle precisazioni: una volta fatta la richiesta di audizione del
possibile testimone al p.m., quest’ultimo è poi tenuto a disporla entro 7 giorni dalla richiesta, e si tratterà
stavolta di una forma particolare di svolgimento delle informazioni assunte nelle indagini preliminari, in quanto
l’audizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le domande, poi il p.m. può procedere
all’assunzione delle informazioni.

Il difensore ha, di regola, la facoltà (e non l’obbligo) di presentare agli inquirenti pubblici e al giudice la
documentazione dell’attività di indagine difensiva svolta, sia essa il verbale dell’intervista o quello degli altri atti
di investigazione. Mosso da un interesse privato, il difensore palesa al giudice soltanto quell’aspetto dei fatti che
è favorevole al proprio cliente anche se in base ad una regola generale egli avrebbe la facoltà di presentare al
p.m., e non al giudice, gli elementi di prova in favore del proprio assistito: tale facoltà verrà esercitata tutte
quelle volte che il difensore ritenga possibile indurre il Pubblico Ministero a prendere una decisione in favore del
proprio cliente (ad esempio, sollecitare l’archiviazione), mentre negli altri casi è presumibile che la difesa
presenterà direttamente al giudice gli atti favorevoli all’assistito. Il difensore può pertanto presentare elementi
al giudice tanto in relazione ad un provvedimento da adottarsi a seguito di contraddittorio tra le parti, quanto in
vista di un eventuale provvedimento che il giudice possa applicare senza necessità di sentire il soggetto
interessato. Durante le indagini la documentazione, presentata dal difensore, è inserita in un apposito fascicolo,
formato e conservato presso l’ufficio del gip e denominato fascicolo del difensore e di tale documentazione il
Pubblico Ministero può prendere visione ed estrarre copia soltanto quando deve essere adottata una decisione
su richiesta delle altre parti o con il loro intervento.

Quando abbiamo parlato delle investigazioni, abbiamo detto che esse possono essere tipiche o atipiche a
seconda che siano o meno previste dalle legge e tra le tipiche abbiamo preliminarmente assunto l’intervista nei
confronti del possibile testimone: oltre a quest’ultima, possiamo annoverare tra quelle tipiche anche la richiesta
di atti alla p.a. che lo ha formato o lo detiene stabilmente, ex art. 391quater, esclusivamente riservata al
difensore, che qualora lo ritenga necessario, può a sue spese, estrarne una copia e qualora essa si rifiuti di farlo
sarà possibile esperire richiesta di sequestro.

La legge che ha disposto le investigazioni difensive si caratterizza per il carattere innovatorio in tema di atti
d’investigazione difensiva aventi contenuto tecnico-scientifico: è stato praticamente configurato un vero e
proprio diritto alla prova scientifica, in virtù del quale indagato e offeso mediante i rispettivi difensori possono
nominare consulenti tecnici al fine di svolgere investigazioni specialistiche al di fuori della perizia, anche se la
perizia non è stata richiesta e oltre a questo sono stati decisamente ampliati. Analizziamoli entrambi.

Per quanto concerne i poteri partecipativi, soltanto previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria è consentito:

• al consulente della difesa di esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui Esse si trovano a patto che
non comporti alcuna alterazione irreversibile dell'oggetto;
• al consulente di intervenire nelle ispezioni compiute dagli organi di accusa che, come sappiamo, sono
atti garantiti e, pertanto, deve parteciparvi con preavviso anche il difensore dell'indagato… Tuttavia
però la partecipazione di quest'ultimo può risultare insufficiente a tutelare il diritto di difesa, in quanto
quest'ultimo è spesso privo delle conoscenze tecniche necessarie per comprendere appieno quanto
avviene nel concorso dell'atto e quindi la possibilità che il consulente sia autorizzato a partecipare
appare idonea a rendere maggiormente effettivo non solo il diritto alla difesa ma anche il diritto alla
prova;
• prevede la facoltà di esaminare l'oggetto delle ispezioni, relative ad un luogo o anche ad una cosa, alle
quali il consulente non è intervenuto, anche dal momento in cui quest'ultimo sia nella disponibilità di
privati che si rifiutino dimostrarlo, difatti in tal caso il difensore è tenuto a chiedere che il giudice
disponga l'accesso con decreto, ai sensi dell'articolo 391 septies, presso i luoghi stessi in modo da poter
fare rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi. Ovviamente sarà possibile esperire il
tutto anche all’interno dei luoghi pubblici, ma ciò sarà molto più semplice non essendoci praticamente
limiti, se non quello di non causare alcuna alterazione dello stato dei luoghi o delle cose, valevole tra
l’altro anche nel caso in cui sia il luogo privato ad essere oggetto di rilievi. Quanto posto in essere potrà
tanto essere a verbale quanto no.

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Passiamo ora ad analizzare gli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore ex art. 391decies, con cui
si sta sostanzialmente ad indicare un’attività di acquisizione e valutazione di dati tecnici compiute su persone
cose o luoghi il cui stato è oggetto di modificazione e che, pertanto, non potranno essere ripetuti utilmente in
dibattimento. Quando il difensore sta per compiere un accertamento tecnico non ripetibile deve darne avviso
senza ritardo al pubblico ministero che a questo punto ha tre possibilità: o assiste all'accertamento condotto dal
consulente privato personalmente o mediante un proprio consulente, oppure può procedere ad un proprio
accertamento tecnico non ripetibile, ma alla presenza del consulente tecnico del difensore, oppure infine può
esercitare le facoltà previste in quanto compatibili all'articolo 360. Per quanto concerne quest'ultima possibilità
essa deve essere approfondita: in base all'interpretazione suggerita dalla relazione al disegno di legge numero
2979 La clausola di compatibilità imponente il pedale l'articolo 360 invertendo le parti e cioè attribuendo al
pubblico ministero i poteri che tale norma riconosce alla difesa nel corso degli accertamenti tecnici non ripetibili
compiuti dalla pubblica accusa e pertanto Alla luce di ciò il pubblico ministero una volta avvisato dal difensore
può formulare riserva di incidente probatorio ed in quest'ultimo caso la difesa fare godere della possibilità di
procedere ugualmente all'accertamento tecnico ove ritenga che tale atto non sia differibile. Come affermato da
Tonini è comunque Arduo affermare che la difesa possa superare la volontà della parte pubblica di procedere
chiedendo una perizia in incidente probatorio, ma occorre anche prospettare il caso che vogliamo spiegare
soltanto teorico di Udine essere il pubblico ministero si vede ordine a detta richiesta sia nel procedere ad un
eventuale accertamento tecnico. Di fronte al pericolo che un elemento di prova apposta deperire riteniamo che
il difensore sia legittimato a compiere l'atto non differibile essendo ciò imposto dalla garanzia costituzionale del
diritto alla prova. Il verbale degli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore deve essere inserito
nel fascicolo del dibattimento.

La soluzione legislativa italiana sebbene abbia una portata rivoluzionaria, considerato che per la prima volta
afferma che il pubblico ministero non è l'unico soggetto legittimato a raccogliere elemento di prova a
distruggere, il passaggio dal sistema misto a quello accusatorio non si è ancora concluso: basti pensare al
semplice fatto che sono stati concessi rilevanti poteri del consulente tecnico privato e pertanto questi dovrebbe
essere scelto di regola entro albi professionali che possono assicurare l'osservanza di regole deontologiche cosa
che non è stata prevista, ed inoltre il consulente tecnico privato gestisce una fonte di prova un elemento
deperibile e pertanto dovrebbe avere obblighi di verità e di lealtà penalmente sanzionati, quando compiono
attività non ripetibili cosa che non è stata regolata neanche stavolta dal legislatore e pertanto è necessaria
un'ulteriore regolamentazione.

Dopo la chiusura delle indagini il fascicolo del difensore confluisce nel fascicolo unico delle indagini. Una volta
conclusa l’udienza preliminare con il decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede nel contraddittorio delle
parti a formare il fascicolo per il dibattimento. In detto fascicolo sono inseriti: i verbali degli atti non ripetibili
compiuti dal difensore; la documentazione degli atti non ripetibili compiuti in occasione dell’accesso ai luoghi
presentata nel corso delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare; la documentazione degli accertamenti
tecnici non ripetibili compiuti dal consulente tecnico di parte privata sui iniziativa del difensore; gli altri atti di
investigazione difensiva non menzionati, in quanto ripetibili in dibattimento, sono inseriti nel fascicolo del
Pubblico Ministero che, come abbiamo detto, ha carattere residuale. Ciò avviene, ad esempio, per i verbali delle
interviste difensive. Nel dibattimento gli atti di indagine difensiva seguono il regime di utilizzabilità proprio del
fascicolo nel quale sono stati inseriti. Pertanto gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento potranno
senz’altro essere letti ed utilizzati dal giudice, mentre gli atti contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero
potranno essere utilizzati per le contestazioni probatorie alla stessa stregua dei verbali di dichiarazioni raccolte
unilateralmente dall’inquirente.

Parte Terza, Il procedimento ordinario

P3, C5 – Il giudizio di Primo Grado

Tonini nell’analisi del giudizio di primo grado, procede poi analizzando dettagliatamente la fase dibattimentale in
tutte le sue sotto fasi, ovvero quella degli atti preliminari al dibattimento, quella del dibattimento e quella degli
atti successivi al dibattimento. Prima di andare nel cuore della tematica, vanno fatte però delle osservazioni
generali funzionali alla sua completa comprensione legate essenzialmente ai principi che la regolano.

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Prima di tutto dobbiamo dire che nel dibattimento avviene, come sappiamo, la formazione della prova
attraverso il contraddittorio e, in virtù del principio di immediatezza, si vuole assicurare una coincidenza tra il
giudice che assiste alla loro formazione e il giudice che prende la decisione: nonostante il dibattimento ponga
diverse garanzie per l’imputato, quest’ultimo può decidere di rinunciarvi e procedere secondo riti alternativi
quali ad esempio giudizio abbreviato e patteggiamento che consentono di non arrivare proprio a questa fase. Il
dibattimento si presenta come la fase che più rispecchia il sistema accusatorio del nostro codice, però non
recepisce tutte le sue caratteristiche… basti pensare al fatto che non accoglie la struttura del processo di parti
come ad esempio fa invece quello civile. Il processo penale NON è infatti un processo delle parti per tre motivi:

• L’azione penale non è disponibile, ma il PM è obbligato ad esercitarla;


• Le parti non hanno l’assoluta disponibilità dei mezzi di prova, in quanto ai sensi dell’art. 507 il giudice
può assumere nuove prove d’ufficio se risulta assolutamente necessario;
• Il giudice non è vincolato a decidere nei limiti delle richieste delle parti, difatti l’unico limite al potere
decisionale è il fatto storico enunciato nell’imputazione art. 521 co. 1, essendogli consentito di
modificare il titolo di reato, ossia dare una qualificazione giuridica diversa al fatto storico oppure
qualora accerti che il fatto storico sia diverso da quello descritto nell’imputazione, è tenuto ad ordinare
la trasmissione degli atti al PM affinché eserciti nuovamente l’azione penale ex co. 2.
Occorre precisare che il giudizio di primo grado può svolgersi tanto dinnanzi ad un organo giudiziario
monocratico quanto ad uno collegiale: solitamente esso si svolge dinnanzi ad un organo giudiziario collegiale,
basti pensare alla corte d’Assise o al Tribunale in composizione collegiale, quindi non bisogna confondersi se il
codice per comodità utilizza “giudice” per indicare invece un organo giudicante composto da una pluralità di
soggetti al cui capo c’è un presidente…vedremo poi in relazione al capitolo sui procedimenti penali differenziati e
speciali, come si svolge il procedimento dinnanzi al Tribunale monocratico. Ad ogni modo quando l’organo è
collegiale, vi è una netta ripartizione tra i poteri del presidente e quelli dell’organo giudicante… difatti il primo di
regola ha poteri di direzione, mentre all’intero collegio spettano poteri decisori… poteri che vengono cumulati
nel medesimo magistrato qualora il giudice sia monocratico.

Altra precisazione attiene la distinzione che va fatta tra udienza e dibattimento, che sono quindi due cose
diverse: l’udienza è il tempo di una giornata dedicato allo svolgimento di uno o più processi, mentre il
dibattimento è la trattazione in udienza di un determinato processo. Al termine dell’udienza, l’ausiliare che
assiste il giudice redige un verbale di udienza da inserire nel fascicolo del dibattimento, consultabile dal giudice
in camera di consiglio, in cui vengono riprodotte le risultanze dibattimentali con massima fedeltà e completezza.

Come abbiamo accennato, il giudizio di primo grado è articolato in 3 sotto fasi… ovvero quella degli atti
preliminari al dibattimento, quella del dibattimento e quella degli atti successivi al dibattimento: cominciando
dalla fase degli atti preliminari al dibattimento, essa ha inizio nel momento in cui la cancelleria del giudice
competente riceve il decreto che dispone il giudizio ed il fascicolo del dibattimento e termina nel momento in cui
in udienza il presidente dell’organo giudicante dichiara aperto il dibattimento. Tale sotto fase si caratterizza per
il fatto che quest’ultimi hanno la funzione di rendere possibile in dibattimento l’attuazione pratica dei principi
generali per esso vigenti… ovvero quello di pubblicità delle udienze, quello del contraddittorio, quello
dell’oralità, quello dell’immediatezza ed infine quello della concentrazione. Analizziamoli singolarmente, per poi
passare ad un’analisi più dettagliata delle singole sotto fasi.

• Quando parliamo di pubblicità, stiamo facendo semplicemente riferimento alla possibilità del comune
cittadino di conoscere quanto svolto in dibattimento. Abbiamo due tipi di pubblicità: una immediata ed
una mediata, a seconda che si realizzi quando soggetti estranei al processo sono presenti in aula ed
assistono direttamente all’udienza oppure mediante la pubblicazione degli atti del dibattimento.
a. La pubblicità mediata permette il controllo dell’opinione pubblica sul funzionamento della Giustizia
ed è espressione della libertà di manifestazione di pensiero art. 21 Cost. mediante cronaca e critica
giudiziaria.
b. Per quanto concerne la pubblicità immediata, va fatto un discorso più dettagliato legato alla
disciplina posta ex art. 147 delle disposizioni attuative del codice. Come abbiamo detto, essa si

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realizza quando soggetti estranei al processo sono presenti in aula ed assistono direttamente
all’udienza… ma non tutti sono ammessi a prendervi parte, difatti ex art. 471 co. 2 ciò non è
permesso ai minorenni ed agli infermi di mente… addirittura sempre ex art. 471 vi sono casi in cui è
obbligatorio che si proceda a porte chiuse, non essendo addirittura consentito la pubblicazione degli
atti essendo posto esplicito divieto [esattamente i co. 1-2 prevedono tre ipotesi da 1 a 4, ovvero
quando si può nuocere al buon costume sessuale… quando possono essere diffuse notizie da tenere
segrete nell’interesse dello stato… si deve procedere all’acquisizione delle intercettazioni… ed infine
quando l’assunzione di determinate prove può causare pregiudizio sulla riservatezza dei testimoni]
ed altri in cui esclusivamente quest’ultimo non è previsto e pertanto è solo necessario provvedere a
porte chiuse [esattamente i co. 3 e 3 bis da 5 a 7, ovvero quando la pubblicità può nuocere la
pubblica igiene… oppure quando le pubbliche manifestazioni turbano il regolare svolgimento delle
udienze… ed ancora quando si vuole salvaguardare la sicurezza dei testimoni e degli imputati]. Per
quanto concerne poi i delitti di violenza sessuale e assimilati, la persona offesa può chiedere che si
proceda a porte chiuse… ed ancora qualora l’imputato sia minorenne si procederà sempre a porte
chiuse, mentre se deve essere esaminata una persona minorenne, il giudice ha il potere
discrezionale di disporre che l’esame avvenga a porte chiuse. In ossequio al diritto di cronaca
giudiziaria oltre a quello di riservatezza e nell’interesse alla retta amministrazione della giustizia, è
ammesso ex art. 147 che il dibattimento possa essere oggetto di riprese televisive, purché, alla luce
di una valutazione fatta dal giudice, non si tratti di ipotesi nelle quali è per legge previsto che si
proceda a porte chiuse per motivi di segretezza o riservatezza e a patto che vi sia il consenso delle
parti… tuttavia, qualora vi sia un interesse sociale rilevante alla conoscenza del dibattimento, il
giudice, alla luce di un’ampissima discrezionalità, fatte le opportune valutazioni può autorizzare le
riprese anche se le parti non prestino il loro consenso. Va chiarito che il giudice non ha l’obbligo di
informare le parti della loro facoltà di non prestare consenso e, pertanto, qualora, ignare di tutto
ciò, tacciano il loro silenzio sarà valutato come l’aver prestato consenso implicitamente. Il giudice
quindi può decidere se autorizzare o meno le riprese televisive e la loro conseguente trasmissione,
in relazione all’eventuale pregiudizio al sereno e regolare svolgimento dell’udienza o della
decisione. Potendo accadere che il giudice consenta alla ripresa, ma non alla trasmissione si ricorre
all’art. 684 c.p. che vieta la pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale… nonostante
ciò però essendo le pena pecuniaria del tutto priva di carattere deterrente spesso le immagini
riprese vengono comunque trasmesse e si provvede a pagare i 129€. Ad ogni modo, qualora il
giudice abbia autorizzato il tutto, dal momento in cui vi siano dei minorenni, siano essi testimoni o
persone offese, non potranno esserne pubblicate le generalità oltre alle immagini in cui essi stessi
compaiono… stesso divieto vale per i soggetti, quali ad esempio parti periti o consulenti tecnici ecc.,
che non abbiano acconsentito ad essere ripresi mediante apposita manifestazione di volontà.
• Il principio del contraddittorio, come sappiamo, nel nostro codice ha un’accezione debole ed una forte.
Per quanto concerne il suo significato debole, va inteso come partecipazione del difensore dell’imputato
agli atti garantiti… mentre nel suo significato forte è attuato in dibattimento, o comunque nell’incidente
probatorio nelle stesse forme in cui avviene per quest’ultimo, quindi mediante l’esame incrociato, in
quanto si ha la partecipazione delle parti alla formazione della prova. L’attuazione piena del principio
del contraddittorio necessita che le parti abbiano una serie di diritti strumentali ad esso… come ad
esempio il diritto ad ottenere l’ammissione della prova orale, documentale o reale, il diritto ad ottenere
l’ammissione alla prova contraria, il diritto di porre le domande nell’esame diretto e nel controesame.
• Il principio di oralità. In ossequio a tale principio, va data comunicazione verbale del pensiero e quindi
non si può ricorrere agli scritti ma alla pronuncia di parole destinate ad essere udite e che possono
essere oggetto di documentazione. Tuttavia la lettura di un verbale o l’ascolto di una registrazione non
assicura l’oralità nel suo vero significato, si parla infatti, come abbiamo già visto, di oralità c.d. fittizia, in
quanto non è possibile svolgere l’esame incrociato o confrontarsi con il dichiarante ex art. 111 co. 3
Cost… fatto sta però che non tutte le prove sono orali, basti pensare a prove reali, come corpo del reato,
cose pertinenti al reato e documenti, attività compiute e non più ripetibili, per cui ovviamente questo

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discorso non può valere considerato che comunque debbono essere esaminate sebbene non sia
possibile ricorrere a forme orali.
• Il principio di immediatezza comporta un rapporto privo di intermediazione tra l’acquisizione delle prove
e la decisione dibattimentale… pertanto ex art. 525.2 deve esserci coincidenza tra il giudice che
acquisisce le prove e quello che decide e quest’ultimo, ex art. 526, non può utilizzare ai fini della
deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite in dibattimento. Questo risulta
purtroppo essere il principio più violato, per inefficienza delle strutture della giustizia.
• Il principio di concentrazione impone che non vi siano intervalli di tempo tra l’assunzione delle prove in
udienza, la discussione finale e la deliberazione della sentenza. Vi sono però dei casi in cui ciò non è
possibile e pertanto il legislatore ha posto una precisa disciplina in deroga a tale principio: dal momento
in cui infatti non sia possibile esaurire il dibattimento in una sola udienza ex art. 477, esso deve essere
proseguito il giorno successivo non festivo, a meno che non vi siano ragioni di assoluta necessità che ne
consentano una sospensione per un termine max di 10 gg ed inoltre, ex art. 525.1, prevede la
deliberazione della sentenza subito dopo la chiusura del dibattimento. La L. 125/2008 elenca una serie
di reati che hanno una priorità assoluta di trattazione per i reati più gravi puniti con la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a 4 anni, delitti che destano allarme sociale, processi per i quali è
obbligatorio adottare il rito direttissimo e il giudizio immediato. A questi la riforma Orlando [legge n.
103 del 2017] ha aggiunto i delitti più gravi contro la P.A. Infine, è possibile emettere una sentenza
anticipata di proscioglimento quando l’azione penale non doveva essere iniziata (es. mancanza di
querela), non doveva essere proseguita (es. è stato confermato il segreto di Stato) o in caso di
estinzione del reato (es. amnistia e prescrizione). Tale sentenza può essere pronunciata anche per
particolare tenuità del fatto art. 131 bis, il quale costituisce una causa di non punibilità: in questo caso
occorre che la persona offesa e l’imputato, se comparsi, siano preventivamente ascoltati in camera di
consiglio. La sentenza può essere emessa solo quando non è necessario assumere prove e occorre che il
PM e l’imputato non si oppongano. Tuttavia, se appare evidente l’innocenza dell’imputato, il giudice
non può pronunciare sentenza anticipata di proscioglimento, in quanto non si tratta di un
proscioglimento nel merito, il quale prevede che si instauri un giudizio in senso proprio.

Materialmente le singole funzioni della sotto fase degli atti preliminari al dibattimento sono...

➢ Svelare i mezzi di prova dichiarativi che la parte intende assumere in dibattimento a titolo di prova
principale e le circostanze su cui deve vertere l’esame.

Difatti il legislatore ha previsto l’onere del deposito, almeno 7 giorni prima dell’udienza, di una lista contenente i
nomi dei testimoni, periti, consulenti tecnici e imputati connessi e collegati dei quali una parte intende chiedere
l’ammissione in dibattimento al momento delle richieste di prova. La presentazione di tali liste è sancita a pena
di inammissibilità ex art. 468, le parti devono quindi necessariamente svelare in anticipo i mezzi di prova
dichiarativa che intendono assumere in dibattimento a titolo di prova principale e le circostanze su cui deve
vertere l’esame. In queste liste non devono essere indicate le parti private che, a differenza di quelle poc’anzi
citate, non sono obbligate a presentarsi godendo del potere di non consentire all’esame. Ciascuna parte ha poi il
diritto di esaminare in cancelleria le liste presentate dalle altre parti, al fine di poter esercitare il diritto
all’ammissione della prova contraria, cosa che, come sappiamo, può avvenire o chiedendo l’autorizzazione alla
citazione a prova contraria di testimoni periti ecc. non compresi tra le prove principali oppure presentandoli
direttamente in dibattimento a prova contraria e chiederne l’ammissione nelle richieste di prova, con cui
sostanzialmente negare l’esistenza di un fatto affermato dalla prova principale, nonché di preparare il
controesame nei confronti dei dichiaranti alla luce dell’eventuale conoscenza avuta dei fascicoli del dibattimento
e del pubblico ministero.

➢ Ottenere l’autorizzazione a citare i dichiaranti.


Eventualmente, tra questi atti possiamo annoverare anche l’autorizzazione alla citazione dei dichiaranti:
sostanzialmente, pur essendo possibile presentare testimoni e consulenti tecnici direttamente in udienza, ex art.
468, qualora la parte voglia obbligarli ad essere presenti deve chiederne la citazione al giudice… tra l’altro in
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modo da consentire a quest’ultimo di poter tuttavia escludere le testimonianze vietate dalla legge e quelle
sovrabbondanti.

➢ Consentire l’assunzione di prove urgenti.


Eventualmente, tra le funzioni degli atti preliminari al dibattimento possiamo annoverare anche l’assunzione di
prove urgenti e che pertanto non sono rinviabili alla sotto fase del dibattimento: sostanzialmente, ex art. 467, le
parti fanno tale richiesta al presidente del collegio giudicante ove sia possibile procedere a incidente
probatorio… qualora tale richiesta sia accolta, le prove saranno assunte in forme diversa da quelle previste per
l’incidente probatorio e, più precisamente, mediante un’udienza dibattimentale anticipata che si celebra con la
presenza del pubblico e in cui interviene solo il presidente del collegio giudicante. Le garanzie previste dal codice
per l’assunzione delle prove urgenti durante gli atti preliminari al dibattimento permettono di comprendere i
limiti che in questa sotto fase sono frapposti alle indagini svolte dalle parti: una volta che sia stato emesso il
decreto che dispone il giudizio, il pubblico ministero e il difensore ex art. 430 possono compiere attività
integrativa o suppletiva d’indagine con esclusione degli atti per i quali è prevista la precisazione dell’imputato o
del difensore di questo, ergo si dà loro la possibilità di assumere quegli atti per i quali non occorre dare preavvisi.
Il co. 2 dell’art. 430 dispone poi che questi risultati siano sottoposti a contraddittorio successivo, per cui devono
essere immediatamente depositati nella segreteria del PM con facoltà delle parti di prenderne visione e di
estrarne copia. Il 430 bis vieta inoltre alla PG, al P.M. e al difensore di assumere informazioni dalle persone
indicate da altra parte nelle liste testimoniali, pena inutilizzabilità delle dichiarazioni raccolte.

➢ Permettere che ci sia una pronuncia anticipata di proscioglimento.


Eventualmente, tra le funzioni degli atti preliminari al dibattimento possiamo annoverare anche la pronuncia di
una sentenza anticipata di proscioglimento quando l’azione penale non doveva essere iniziata (es. mancanza di
querela), oppure non doveva essere proseguita (es. è stato confermato il segreto di Stato) o ancora in caso di
estinzione del reato (es. amnistia e prescrizione). Sarà possibile emetterla purché per accertare l’improcedibilità
o l’estinzione non ci sia bisogno di assumere prove ed inoltre sarà necessaria la non opposizione di p.m. e
imputato… grazie alla riforma avvenuta nel 2015 ex art. 131 bis sarà possibile emetterla anche per particolare
tenuità del fatto, trattandosi di una causa di non punibilità essendo il comportamento del soggetto non abituale
nonché fonte di un’offesa appunto tenue: in questo caso occorrerà, oltre al non esserci bisogno di assumere
prove e alla non opposizione di imputato e p.m., anche che persona offesa e imputato, ove comparsi, siano
preventivamente ascoltati in camera di consiglio.

➢ Assicurare la costituzione delle parti.


Durante questa fase il presidente del collegio svolge un controllo della regolare costituzione delle parti, in
ossequio a quello che è il diritto dell’imputato a partecipare al processo… e proprio a tutela di quest’ultimo in
virtù degli accordi internazionali, è stata introdotta la L. 67/2014 i cui contenuti vengono sinteticamente riportati
da Tonini riferendosi proprio al dibattimento per cui sinteticamente si applicano per quanto compatibili le
disposizioni agli art. 420bis, 420ter, 420quater e 420quinquies dell’udienza preliminare che disciplinano il
controllo sulla regolarità delle citazioni, l’assenza dell’imputato e la dichiarazione di sospensione del processo
contro l’imputato irreperibile. Procediamo per gradi: ai sensi degli artt. 420 ss., all’inizio dell’udienza il giudice
deve controllare se vi è stata regolare costituzione delle parti… qualora la mancata costituzione sia dipesa dalla
nullità di un avviso o della notificazione, il giudice dovrà fissare nuova udienza e ordinare la rinnovazione della
vocatio in iudicium… se vi è invece stata regolare notifica, occorre valutare la causa della mancata comparizione
dell’imputato e quindi qualora questi abbia avuto un legittimo impedimento causa di un’assoluta impossibilità a
comparire, il giudice rinvierà l’udienza… se invece non vi sia stato un legittimo impedimento a comparire, il
giudice disporrà di procedere in sua assenza. Se il difensore non è presente il giudice dispone un sostituto
immediatamente reperibile, ma se adduce un’assoluta impossibilità a comparire per legittimo impedimento, il
giudice fissa con ordinanza la data della nuova udienza. Se l’imputato compare e successivamente si allontana, il
giudice procede ritenendolo ugualmente presente e verrà rappresentato dal difensore. Se, invece, il l’imputato
ha rinunciato ad assistere espressamente, si procede in sua assenza venendo rappresentato dal difensore. Il
codice prevede poi alcuni fatti sintomatici tipici o atipici dai quali il giudice capisce se l’imputato è a conoscenza
del procedimento [come ad esempio il fatto che l’imputato abbia nominato il difensore, oppure abbia eletto o

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dichiarato domicilio, o ancora sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ed infine qualora
abbia ricevuto personalmente la notificazione dell’avviso dell’udienza], qualora sia possibile far operare tali
presunzioni, il giudice dispone il procedersi in assenza dell’imputato che verrà ugualmente rappresentato dal suo
difensore. Nel caso in cui invece questi meccanismi non possano operare, il giudice ordina in extremis la notifica
a mani proprie, qualora anche quest’ultima non abbia esito positivo dovrà disporre, a meno che non debba
essere pronunciata sentenza di proscioglimento, con ordinanza la sospensione del processo con cui è inibita ogni
attività, salvo l’acquisizione delle prove non rinviabili. Per quanto riguarda invece gli accertamenti successivi alle
ordinanze di procedersi in assenza e di sospensione del processo, sinteticamente: il giudice ordina la revoca
dell’ordinanza di procedersi in assenza nei casi di mera comparizione tardiva, comparizione tardiva con prova
della mancata conoscenza, accertamento della mancata conoscenza del procedimento; mentre ordina la revoca
dell’ordinanza di sospensione del processo quando al termine di un anno dalla sospensione sono fissate nuove
indagini con esito positivo, vi sono fatti sintomatici (es. nomina del difensore) per cui risulta che l’imputato ha
avuto conoscenza del procedimento, è pronunciata sentenza di proscioglimento. In questi casi il giudice fissa la
nuova udienza e ordina che sia data comunicazione al PM e notificazione alle altre parti.

➢ Consentire la trattazione delle questioni preliminari.


Ai sensi dell’art. 491 le parti possono proporre eventuali questioni preliminari dopo la verifica della loro
costituzione. Tali questioni preliminari possono essere suddivise in due categorie, a seconda che sia o meno
possibile discuterle esclusivamente subito dopo che sia stato compiuto per la prima volta l'accertamento della
costituzione delle parti oppure anche in momenti successivi ad esso.

Questioni preliminari precluse in momenti Questioni preliminari non precluse in momenti


successivi… e che quindi devono necessariamente successivi… e che quindi possono ugualmente essere
essere discusse subito dopo il compimento discusse dopo il compimento dell’accertamento della
dell'accertamento della costituzione delle parti: costituzione delle parti:
1. questioni concernenti la competenza per 1. questioni concernenti il contenuto del
territorio o per connessione respinte in sede fascicolo per il dibattimento;
di udienza preliminare; 2. problemi che riguardano la riunione o la
2. per i riti alternativi questioni concernenti le separazione dei giudizi.
nullità relative intervenute negli atti di
indagine, nell’incidente probatorio e
nell’udienza preliminare; infatti nel proc.
Ord. Ciò deve avvenire prima che si concluda
l’udienza preliminare.
3. questioni preliminari concernenti la regolare
costituzione delle parti private diverse
dall’imputato.

Avendo esaurito tutti gli argomenti connessi alla sotto fase degli atti preliminari, passiamo ad analizzare la
seconda sotto fase quella in cui avviene il dibattimento vero e proprio. Una volta che sia stato effettuato un
controllo sulla costituzione delle parti e siano state discusse eventuali questioni preliminari al dibattimento, il
presidente dichiara aperto il dibattimento che comincia ex art. 492 con la lettura dell’imputazione, per poi
procedere con le richieste di prove e l’istruzione dibattimentale in cui la prova si forma nel contraddittorio delle
parti mediante l’esame incrociato ed infine si conclude il tutto ex art. 523 con la discussione delle parti. Essendo
fine a se stesso il momento della lettura dell’imputazione, si ritiene primo vero momento del dibattimento
quello in cui le parti fanno le rispettive richieste di prova, ovvero quello strumento con cui, deducibilmente,
quest’ultime chiedono appunto l’ammissione di quelle prove, precedentemente indicate nelle liste depositate in
cancelleria almeno 7 giorni prima della data fissata per il dibattimento [difatti qualora tale onere non sia
rispettato, non sarà possibile ammettere la relativa richiesta di prova in dibattimento a meno che però venga
dimostrata l’impossibilità di aver potuto ottemperare all’onere tempestivamente], funzionali al loro intento di
dimostrare l’esistenza di un dato fatto storico… è quindi chiaro che sostanzialmente le richieste di prova tendono
a delineare in un’ottica probabilistica quello che è l’oggetto d’istruzione dibattimentale. Procediamo però per

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gradi. Le parti prima delle richieste di prova devono indicare ex art. 493 i fatti che intendono provare, senza però
procedere alla lettura di atti d’indagine essendovi esplicito divieto al comma 4, in modo che il giudice possa
ampliare la sua non vasta conoscenza in merito ad essi [assimilabile essenzialmente a quanto inserito nel
fascicolo del dibattimento] e valutare al meglio se vi sia pertinenza e rilevanza tra loro e le conseguenti richieste
di ammissione che devono avvenire secondo un preciso ordine, rispecchiante il principio dell’onere della prova…
pertanto a presentare le prove sarà per primo il PM, poi la parte civile ed infine l’imputato. Viene da chiedersi se
la prova contraria, ossia quella prova che tende a negare l’esistenza di quanto affermato nella prova principale,
sia pertinente: ai sensi dell’art. 495.2 è possibile l’ammissione della prova contraria, essendo per legge
pertinente. Tra l’altro rientrano nella categoria delle prove contrarie anche le prove ex adverso, ossia quelle
prove che diventano rilevanti solo all’esito dell’escussione delle prove orali. Ad ogni modo, dopo che le parti
hanno formulato le richieste di prova, il presidente del collegio informa l’imputato circa la possibilità di rendere
dichiarazioni spontanee riferite all’oggetto dell’imputazione e che non intralciano l’istruzione dibattimentale.
Subito dopo il giudice passa alla fase decisoria e qualora la richiesta di ammissione sia pertinente e vi sia anche il
minimo dubbio che possa essere rilevante rispetto ai fatti da provare, ed inoltre non si tratti di una prova vietata
dalla legge, il giudice opta per ammettere la richiesta fatta dalle parti altrimenti, qualora tali criteri non siano
soddisfatti, opterà per il rigetto motivando la sua scelta, decidendo sempre senza ritardo con ordinanza
motivata.

Avendo elencato cosa generalmente accade, vanno ricordate anche altre vicende che possono eventualmente
aversi nel corso del dibattimento con riferimento all’acquisizione concordata di atti d’indagine e all’ammissione
dei verbali di altri procedimenti penali.

Per quanto concerne l’acquisizione concordata degli atti d’indagine, stiamo sostanzialmente facendo riferimento
alla possibilità che le parti hanno ex art. 493.3 di concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti
contenuti nel fascicolo del Pubblico Ministero nonché della documentazione relativa alle attività di
investigazione difensiva, in modo che il singolo atto possa essere letto e diventare utilizzabile ai fini della
decisione finale… ciò non comporta necessariamente che le parti rinuncino a sentire oralmente il dichiarante in
dibattimento, anche se nella maggior parte dei casi questo sarà il probabile effetto dell’accordo a seconda che
l’acquisizione concordata sia aggiuntiva o sostitutiva:

➢ Si avrà acquisizione concordata aggiuntiva, se, senza rinunciare all’assunzione del relativo mezzo di
prova, l’atto di indagine oggetto di trattativa sarà destinato ad affiancarsi agli elementi ottenuti in
contraddittorio attraverso l’esame incrociato della fonte;
➢ Si avrà acquisizione concordata sostitutiva, dal momento in cui le parti concordino l’inserimento di un
atto di indagine e contestualmente rinuncino ad assumere il relativo mezzo di prova… si ha
sostanzialmente un accordo sostitutivo della prova orale in contraddittorio alla luce del quale l’atto
unilaterale è come se si fosse formato con il metodo del contraddittorio e al posto dell’elemento che si
sarebbe raccolto con l’esame incrociato.
Tuttavia, l’accordo tra le parti non ha effetti totalmente dispositivi: il giudice, ex art. 501.1 bis, può disporre
anche d’ufficio l’assunzione dei mezzi di prova relativi agli atti acquisiti su accordo delle parti, in modo da
garantire che le parti non escludano arbitrariamente quel contraddittorio che sia indispensabile per accertare i
fatti: Tonini dice infatti che in questo caso l’intervento del giudice è un presidio al contraddittorio nella
formazione della prova in senso oggettivo.

Passando invece all’ammissione dei verbali di altri procedimenti penali, come abbiamo già accennato, le parti
quando redigono le liste testimoniali hanno l’onere di chiedere l’ammissione delle prove che possono anche
derivare da altri procedimenti penali: la richiesta di prova è presentata in dibattimento insieme alle altre ed il
giudice decide unitamente… qualora invece una delle parti chieda l’esame di una persona le cui dichiarazioni
sono contenute nel verbale di un altro procedimento penale ammesso come documento, al giudice spetta
decidere se autorizzare la citazione… la lettura di verbali di dichiarazioni è disposta solo dopo che chi le abbia
rese sia stato esaminato, a meno che l’esame non abbia avuto luogo. Per quanto riguarda i delitti di associazione
mafiosa e alcuni reati in materia di violenza sessuale e pedofilia, se la persona ha già reso dichiarazioni in sede di
incidente probatorio, l’esame è ammesso, in base ad un regime peculiare del doppio binario… o meglio solo se
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sia su fatti o circostanze diverse da quelli oggetto delle precedenti dichiarazioni e se il giudice o una delle parti lo
ritengono necessario in base a specifiche esigenze.

Secondo momento fondamentale del dibattimento è l’istruzione dibattimentale: quest’ultima è suddivisa in casi,
ossia porzioni di tempo all’interno delle quali si ha l’assunzione delle prove richieste dalle parti anche stavolta
secondo un preciso ordine, il c.d. ordine dei casi, previsto ex art. 496 in virtù del quale saranno assunte per
prime quelle richieste dal PM, poi eventualmente quelle della parte civile ed infine quelle dell’imputato… ergo
avremo almeno in genere due singoli casi: prima il caso dell’accusa e solo dopo quello della difesa, avendo
quest’ultima il diritto di sapere quali sono le prove che l’altra intende presentare a suo carico prima di chiedere
l’ammissione delle proprie a discarico. È chiaro quindi che, precedendo il caso dell’accusa precedere quello della
difesa, l’ordine dei casi rispecchia il principio dell’onere della prova, e inoltre anche quello della disponibilità
della prova essendo prevista al 2° comma del suddetto articolo la possibilità per le parti di mutare tale
successione dei casi, concordando tra loro un ordine diverso da quello disposto dal legislatore. In base all’art.
150 disp. att. su richiesta delle parti può esservi un esame delle parti: tale esame si colloca tra il caso dell’accusa
(ed eventualmente della parte civile) e il caso della difesa, in quanto si vuole impedire che l’imputato modelli le
sue dichiarazioni su ciò che hanno affermato i testi a discarico durante il caso della difesa. Le parti che hanno
richiesto l’esame o che ad ogni modo vi abbiano consentito, vengono escusse, o meglio interrogate, nel
seguente ordine: parte civile se non citata come testimone, responsabile civile, persona civilmente obbligata per
la pena pecuniaria e infine l’imputato. Qualora sia stata più di una parte a richiedere tale esame, il giudice nella
prassi stabilisce un calendario di udienze per eseguirli non costringendo, come invece dovrebbe essere, i
dichiaranti a presentarsi per ogni caso. All’interno del singolo caso, in virtù del principio argomentativo della
prova, l’ordine delle prove è stabilito dalla parte che le ha richieste… difatti ex art. 497 si parla di “esame svolto
nell’ordine prescelto dalle parti” tanto per i testimoni quanto per periti e consulenti tecnici essendoci un
esplicito richiamo ex art. 501. Avendo il principio argomentativo della prova un carattere generale e parlando
l’art. 496 di “prove richieste dalle parti”, può essere attuato anche per le prove diverse da quelle orali, ossia tutti
i mezzi di prova, tranne l’esame delle parti per il quale vi è un momento specifico nel corso dell’istruzione
dibattimentale.

Nell’istruzione dibattimentale, come abbiamo già detto, le prove orali sono assunte mediante l’esame incrociato
a cui le parti partecipano attraverso la diretta formulazione delle domande al dichiarante. Prima di analizzarlo
nel dettaglio vanno fatte delle osservazioni preliminari in merito alle regole per esame diretto contro esame e
riesame che, come vedremo, sono uguali per tutti e agli obblighi che invece sono diversi a seconda che si faccia
riferimento al testimone, al perito, al consulente tecnico o alle parti.

Il testimone Perito Consulente Tecnico di Parti


parte
ha l’obbligo, penalmente Si applicano le disposizioni è esaminato dalla parte esaminate solo su
sanzionato, di rispondere sull’esame dei testimoni che lo ha nominato e loro richiesta o
secondo verità. Deve per quanto applicabili. contro esaminato dalla consenso, non hanno
recitare una formula, non controparte, ma può l’obbligo penalmente
un giuramento, con cui si opporre il segreto sanzionato di dire la
impegna a dire il vero. professionale su ciò che ha verità, ma se rifiutino
appreso in ragione del di rispondere o
proprio ufficio. mentano perderanno
di credibilità.

Va inoltre precisato in merito all’esame del testimone che ex art. 149 disp. att. esso deve avvenire in modo tale
che la sua dichiarazione sia genuina, non facendo entrare in contatto con le altre persone citate, le parti, i
difensori e i consulenti tecnici.

Passiamo quindi ora ad analizzare nel dettaglio l’esame incrociato, di derivazione anglosassone ripreso anche nel
nostro ordinamento anche se con qualche differenza considerato che non segue tutte le regole per esso previste
ed il giudice ha una funzione di controllo pregnante. Ad ogni modo esso è sostanzialmente lo strumento
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attraverso cui le parti, quindi p.m. e difensori delle parti private, pongono direttamente le domande alla persona
esaminata e può essere suddiviso ex art. 498 in 3 fasi… più precisamente esame diretto, controesame e riesame.

1. Esame diretto: condotto dalla parte che ha chiesto di interrogare il dichiarante, sia esso un testimone o
altro soggetto che rende dichiarazioni, tende ad ottenere la manifestazione dei fatti da lui conosciuti
che, presumibilmente già lo sono anche dall’interrogante, dovrebbero essere utili a dimostrare la tesi di
colui che lo ha citato nonché a dimostrarne la sua personale attendibilità e credibilità… non a caso
quindi sono vietate in tale fase le domande-suggerimento, essendo ontologicamente contrarie alla
natura di tale fase, infatti qualora siano poste potrebbero far risultare il dichiarante tutto meno che
attendibile e credibile;
2. Controesame: può essere eventualmente eseguito dalla controparte nei confronti del dichiarante
sottoposto ad esame diretto sui i fatti da lui resi e/o sulla sua credibilità, qualora, alla luce di un
interesse contrario alla parte citante, senta la necessità di smontare non solo le sue dichiarazioni, ma
anche la sua figura. Il codice consente infatti ex art. 499.3 in casi del genere alla controparte perfino di
ricorrere anche alle c.d. domande-suggerimento, in modo da saggiare le reazioni del dichiarante e farlo
cadere in contraddizione;
3. Riesame: Tonini dice che è doppiamente eventuale… difatti potrà aversi esclusivamente se c’è stato
controesame e qualora la parte che aveva chiesto l’esame diretto sia interessata a porlo in essere,
questo perché permette il recupero della sequenza dei fatti, dopo che con il controesame siano stati
messi in dubbio, oppure, ove il dichiarante interrogato sia caduto in contraddizione, a corroborare la
validità della dichiarazione inizialmente resa spiegando il perché del suo comportamento.

È chiaro quindi che l’esame incrociato sia un congegno articolato e complesso con precise regole, il cui scopo,
non è quello di dare un mero diritto a porre domande alle parti, ma quello di sottoporre il dichiarante
all’immediata verifica delle parti contrapposte… L’esame incrociato non può essere interrotto, l’unica possibilità
ex art. 504 che le parti hanno è quella di formulare opposizioni in merito alle quali il presedente decide
immediatamente senza formalità, vietando ad esempio le domande inammissibili o non pertinenti come le
“domande suggerimento” nel corso dell’esame diretto. Al termine di tutte e tre le fasi, il presidente del collegio
può porre d’ufficio domande al testimone o ad altro dichiarante, e in seguito le parti possono concludere
l’esame, rinnovando in tutto o in parte la sequenza esame diretto - controesame - riesame prevista ex art. 498.
Questo strumento di natura anglosassone è comunemente ritenuto il miglior modo per capire se il dichiarante
sta rispondendo secondo verità… se infatti viene usato correttamente, questo strumento facendo cedere il
dichiarante dinnanzi alle provocazioni consente quindi di smascherarlo tanto intenzionalmente quanto
inconsciamente… affinché però resti tale e quindi consenta di raccogliere una prova genuina nel rispetto della
dignità del dichiarante, senza che diventi un qualcosa tale da intimidire, allarmare o peggio ingannare il
dichiarante, il legislatore pone una serie di regole valevoli per tutte le sue fasi a tutela della dialettica
concernenti il modo in cui fare domande e quello in cui dare risposte, oltre ad aver previsto un penetrante
controllo operato dal giudice. Ad ogni modo non si tratta una disciplina inderogabile: come vedremo infatti
esistono delle regolamentazioni speciali che pongono delle deroghe, dovendo essere fatto nei confronti di
determinati soggetti un esame “protetto” data la situazione di vulnerabilità in cui vertono. Procediamo però per
gradi analizzando prima le regole concernenti il modo in cui fare domande e quello in cui dare risposte, per poi
passare a questa regolamentazione speciale.

Regole per le domande Regole per le risposte


Le domande devono essere fatte in ossequio a Sono essenzialmente riconducibili a tutti i casi in cui il
quanto sancito ex art. 499 c.p.p., quindi devono: teste può astenersi dal rendere dichiarazioni, ergo:
• essere inerenti a fatti specifici; • su fatti dai quali potrebbe emergere una sua
• avere ad oggetto un fatto determinato e non responsabilità penale;
un apprezzamento, a meno che sia • su fatti coperti da segreto professionale
impossibile scinderlo dalla deposizione; d’ufficio o di Stato;
• essere tali da non nuocere alla sincerità delle • nel caso del testimone assistito, sui fatti per i

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risposte oppure tali da aggredire quali è stata pronunciata sentenza di
l’autodeterminazione del dichiarante [non condanna nei suoi confronti ed egli si è
devono essere intimidatorie o suadenti]; sempre professato innocente;
• essere tali da non ledere il rispetto della • qualora si tratti di un testimone prossimo
persona umana [onore/reputazione], in congiunto dell’imputato.
alcuni casi in cui è però necessario saggiare la
credibilità del dichiarante, ove ne ricorrano i Altra fondamentale regola riguarda il presidente che
presupposti, si può procedere a porte chiuse è tenuto ad intervenire per assicurare, oltre alla
se sia la parte stessa o richiederlo o il giudice pertinenza delle domande, anche la genuinità delle
a ritenerlo opportuno… come se nel risposte e più in genere la lealtà dell'esame e la
controesame non esistessero materie non correttezza delle contestazioni [ordinando, se
indagabili. occorre, l'esibizione del verbale nella parte in cui le
dichiarazioni sono state utilizzate per le
Altra fondamentale regola riguarda il presidente che contestazioni], nonché decidere senza formalità sulle
è tenuto ad intervenire per assicurare la pertinenza opposizioni formulate dalle parti nel corso
delle domande, escludendo quelle vietate. dell’esame.

Come abbiamo solamente accennato, la disciplina dell’esame incrociato può essere derogata da una
regolamentazione speciale ideata per far sì che soggetti in condizione di vulnerabilità, i c.d. testimoni vulnerabili,
vengano sottoposti ad un esame diverso o più precisamente protetto. Prima di passare ad analizzare la
disciplina, dobbiamo però fare una preliminare classificazione di tali soggetti vulnerabili… riconosciamo infatti
due categorie:

1. la prima categoria ricomprende maggiorenni e minorenni infermi di mente, la cui tutela è limitata ad un
determinato elenco di reati come quelli di violenza alla persona ad esempio;
2. la seconda categoria ricomprende maggiorenni e minorenni di cui si accerti comunque una particolare
vulnerabilità ai sensi dell’art. 90quater, la cui tutela è riferita alle categorie criminologiche individuabili
proprio in quest’ultima norma.
In seguito alle continue riforme avutasi tra 1996 e 2015 la disciplina relativa all’esame protetto del testimone
vulnerabile, oltre a presentare dei vuoti normativi, c.d. di contraddittorio, è tristemente nota per la presenza di
difetti di coordinamento ed improprietà termologiche… nonostante ciò vale la pena soffermarsi sulle quattro
modalità di protezione da essa previste.

1. La prima protezione è quella dell’esame filtrato, condotto dal giudice o dal presidente del collegio al
quale le parti chiedono di porre domande o contestazioni al minorenne… nel condurre l’interrogatorio, il
presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare del minore o di un esperto di psicologia infantile in
modo che questi ne subisca minor pregiudizio possibile e renda in piena serenità le proprie
dichiarazioni. Ad ogni modo essendo l’esame un mezzo di prova avente per sua natura ha lo scopo di
saggiare la credibilità e l’attendibilità del teste minorenne, bisogna anche che siano fatte delle domande
a ciò finalizzate trattandosi poi tra l’altro anche di un diritto, quello alla prova, che le parti hanno;
2. La seconda protezione nei confronti del teste vulnerabile è quella dell’esame registrato in un luogo
diverso dal tribunale secondo modalità speciali… le dichiarazioni devono essere documentate
integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva;
3. La terza protezione è quella dell’esame mediante vetro specchio con impianto citofonico nel caso di
vittima minorenne o vittima maggiorenne inferma di mente in presenza di delitti di violenza alla
persona;
4. La quarta ed ultima protezione, introdotta nel 2015, concerne quelle modalità non predeterminate,
bensì scelte dal giudice per la persona offesa in condizioni di particolare vulnerabilità, qualora sia essa
stessa a farne richiesta o il suo difensore in relazione ai reati riconducibili alla categoria deducibile ex
art. 90quater.

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Tonini procede poi analizzando dal punto di vista storico e tecnico la tematica inerente alle dichiarazioni rese
prima del dibattimento e la loro utilizzabilità.

Storicamente, le dichiarazioni rese prima del dibattimento non erano in alcun modo utilizzabili: essendo il
principio di oralità affermato in maniera assoluta, anche se un soggetto fosse stato sentito dal p.m. o dalla
polizia giudiziaria e fosse stato poi impossibilitato a renderle nuovamente in dibattimento, la prova resa nel
corso delle indagini sarebbe stata inutilizzabile. Questo scenario è poi drasticamente mutato all’inizio degli anni
’90 con due sentenze, esattamente la 254 e la 255 del ’92, della Corte Costituzionale, la quale contrappose
all’oralità in senso assoluto il principio di non dispersione della prova raccolta prima del dibattimento di valenza
costituzionale rendendola così utilizzabile in esso. Nonostante tali pronunce, dal ‘92 al ‘98 si sono succedute
prese di posizione di segno opposto dal parte del legislatore… difatti questi non voleva ciò, bensì che la prova si
formasse in contraddittorio quindi per sobbarcare il pensiero della Corte Costituzionale, secondo cui almeno
all’epoca sarebbe bastato un contraddittorio sulla prova, emanò la legge costituzionale con cui riformò il 111.
Alle soglie del 2000 è entrato in vigore il nuovo testo dell’art. 111, il quale al comma 4 afferma il principio del
contraddittorio nella formazione della prova… questo principio è stato interpretato sia restrittivamente che
estensivamente:

• secondo l’interpretazione restrittiva l’unica prova utilizzabile per la decisione finale è quella formata
attraverso l’esame incrociato svoltosi in dibattimento o eccezionalmente in sede di incidente
probatorio, pertanto le dichiarazioni rese in segreto nel corso delle indagini, seppur contestate essendo
stata data una differente versione, non possono essere utilizzate.
• secondo l’interpretazione estensiva invece si ritiene resa in contraddittorio oltre alla dichiarazione
rilasciata in sede di esame incrociato, anche quella difforme a quest’ultima unilateralmente resa nel
corso delle indagini preliminari in quanto contestandola si sta effettivamente sottoponendo anch’essa a
contraddittorio. Al testimone può tra l’altro essere chiesto conto della difformità tra le dichiarazioni rese
attualmente e quelle precedenti e, sotto l’obbligo di verità, deve fornire le spiegazioni richieste. Viene
da chiedersi se il dichiarante che muta versione, si sottragga o meno al contraddittorio… assolutamente
non si sottrae, perché le parti possono fare domande tendenti a chiarire le ragioni della differenza
rispetto a quanto affermato in precedenza. Ergo, la Costituzione non impone una generale
inutilizzabilità delle dichiarazioni rese nelle indagini.
L’art. 111 pone al comma 5 tre eccezioni al principio del contraddittorio, esattamente il consenso dell'imputato
l’accertata impossibilità di natura oggettiva o la provata condotta illecita. Analizziamoli.

Consenso dell’imputato Accertata impossibilità di natura Provata condotta illecita


oggettiva
Il consenso assume rilevanza nei Con questa locuzione si fa Con questa locuzione si fa
riti alternativi che omettono il riferimento a cause indipendenti meramente riferimento a
dibattimento e nella disciplina dalla volontà, assimilabili a comportamenti contra ius
della prova nel rito ordinario. situazioni di forza maggiore, finalizzati a indurre il dichiarante a
pertanto l’ambito applicativo sottrarsi al contraddittorio. Il
Nei riti alternativi che omettono il attiene a situazioni di non legislatore costituzionale riconosce
dibattimento l’imputato rinuncia ripetibilità sopravvenuta, come l’eventualità che il metodo del
in via anticipata o in via successiva modificazioni non evitabili, morte contraddittorio possa essere
al contraddittorio, di modo che il o grave infermità del dichiarante e inquinato, pertanto in casi del
giudice possa utilizzare le prove non quelle di deterioramento delle genere ha previsto che il processo
raccolte in modo unilaterale nel sue facoltà psichiche in cui è deve fare ricorso al metodo
corso delle indagini. effettivamente impossibile in alternativo dell’utilizzabilità delle
Nel rito ordinario invece, con il natura che si assuma precedenti dichiarazioni.
consenso è possibile acquisire al contraddittorio per quella prova.
dibattimento prove formate fuori Tale impossibilità di natura
dal contraddittorio: si discute però oggettiva non può aversi a
in quanto, per quanto riguarda gli sorpresa nella motivazione della
elementi favorevoli alla difesa sentenza, infatti deve essere

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dovrebbe consentire non tanto oggetto di prova e di discussione
l’imputato quando la pubblica tra le parti e sul punto deve essere
accusa e perciò il consenso è emanato un apposito
limitato all’acquisto di atti prodotti provvedimento incidentale del
da altre parti. giudice.

Analizziamo ora due norme:

• L’art. 514 stabilisce la regola generale in base alla quale non costituisce legittima acquisizione la lettura
dei verbali delle dichiarazioni rese fuori del dibattimento, salvo casi espressamente menzionati in cui ciò
è ammesso…
• L’art. 526.1 stabilisce che il giudice non può usare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle
legittimamente acquisite nel dibattimento… proseguendo nella sua analisi va anche ricordato il comma
1 bis, riflesso dell’111.4 secondo periodo, vieta di utilizzare come prova di colpevolezza le dichiarazioni
rese da chi per libera scelta si è sempre volontariamente sottratto al contraddittorio.

Da una lettura combinata di entrambi questi articoli è possibile ricavare il principio generale dell’inutilizzabilità
delle precedenti dichiarazioni [= prove raccolte fuori dal dibattimento], salvo casi eccezionali previsti per legge
non estendibili per analogia. Tra questi casi eccezionali, in cui è quindi possibile utilizzare prove raccolte fuori dal
dibattimento, va ricordata sicuramente la possibilità prevista ex art. 499.5 per l’interrogato di consultare
documenti da lui redatti in aiuto della memoria su autorizzazione del presidente a patto che sussistano i predetti
requisiti: come abbiamo già detto deve trattarsi di documenti redatti dall’interrogato o comunque scritti da altri
e da lui sottoscritti, inoltre la lettura deve essere fatta esclusivamente in aiuto della memoria infatti il soggetto
dopo averlo visionato è tenuto a rispondere senza leggerlo nuovamente ed infine, terzo ed ultimo requisito, il
documento, che può essere già contenuto in uno dei fascicoli o essere nell’esclusiva disponibilità del testimone o
di una parte, deve essere reso conoscibile alle controparti ai fini del controesame. Ad ogni modo si tratta
sostanzialmente di un diritto esercitabile non solo dal teste in genere, ma anche da periti e consulenti tecnici, in
questo caso addirittura senza che ci sia autorizzazione del presidente del collegio giudicante, dagli ufficiali o dagli
agenti di Polizia Giudiziaria, i quali possono consultare verbali da loro redatti come sancisce il codice, anche se la
giurisprudenza fa un’interpretazione estensiva ammettendo che basterà la loro semplice partecipazione
all’attività rappresentata nel verbale, anche se materialmente questo è stato redatto da altri.

Altro caso eccezionale in cui è possibile utilizzare prove raccolte fuori dal dibattimento e quindi ad esso
precedenti è la contestazione probatoria… quell’atto posto ex art. 500 e 503 nei confronti del dichiarante, sia
esso un teste un imputato connesso/collegato o altre parti, che abbia reso una dichiarazione differente rispetto
ad un’altra precedentemente data riconducibile alle indagini preliminari o all’udienza preliminare o alle
investigazioni difensive, in modo da o metterne in dubbio la credibilità o permettergli di spiegare i motivi che lo
abbiano spinto a cambiare la versione dei fatti. Saranno quindi tre essenzialmente i requisiti per poter porre in
essere contestazione probatoria: le precedenti dichiarazioni devono essere contenute nel fascicolo del p.m.,
devono essere state rese dallo stesso soggetto che in dibattimento sta cambiando versione ed infine la
contestazione dovrà avvenire solo se su quanto c’è da contestare il soggetto abbia già deposto in dibattimento.
Per quanto concerne le modalità, la contestazione deve avvenire mediante la lettura della dichiarazione
rilasciata prima del dibattimento per poi chiedere al deponente dei motivi di diversità delle due versioni rese: a
questo punto o il soggetto rettifica quanto dichiarato, eliminando le diversità e diventando la contestazione uno
spunto per la dichiarazione resa oralmente nel contraddittorio delle parti pienamente utilizzabile, oppure
mantiene la propria versione dei fatti fornendo delle giustificazioni plausibili, persistendo quindi le difformità e
non permettendo almeno a contrario di utilizzare la dichiarazione. I soggetti che hanno reso dichiarazioni prima
del dibattimento sono diversi ed il codice, in ossequio alla riforma avutasi per il principio del contraddittorio
nella formazione della prova, dedica ad ognuno un’apposita disciplina: abbiamo in primo luogo il teste, poi
l’imputato connesso o collegato, l’imputato ed i soggetti diversi dall’imputato quali ad esempio responsabile

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civile, il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e la parte civile che non debba essere esaminata come
testimone.

• Per quanto concerne il testimone, ex art. 500.2, le dichiarazioni lette per la contestazione possono
essere valutate ai fini della sua credibilità, pertanto il giudice può sì liberamente convincersi in merito a
ciò basandosi su di esse, ovviamente motivando perché ritenga attendibile o meno la dichiarazione
difforme resa in dibattimento, ma non possono essere utilizzate come prova del fatto narrato. Vi sono
però delle eccezioni… infatti le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili come prova del fatto narrato
quando:
1. Il teste è sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro affinché non deponga o
deponga il fatto… In questo caso si ha un subprocedimento incidentale in cui il giudice deve
verificare la condotta illecita nei confronti del dichiarante, pertanto è concesso alle parti aventi un
interesse contrario di fornire elementi idonei a dimostrarne la non esistenza.
2. Sono rese in udienza preliminare e lette per le contestazioni dibattimentali, ma solo nei confronti
delle parti i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione.
3. Vi è accordo delle parti, in relazione all’acquisizione concordata totale o parziale dell’atto contenuto
nel fascicolo del pubblico ministero.
• Per quanto concerne l’imputato connesso o collegato ad un procedimento non suo, il co. 5 impone di
applicare le regole per la contestazione probatoria che vale per il testimone… ergo, le dichiarazioni lette
per la contestazione possono essere valutate ai fini della sua credibilità, ma non possono essere
utilizzate come prova del fatto narrato. Va inoltre ricordato che con L. 63/2001 viene punita ex art.
377bis non solo la subordinazione della persona avente facoltà di non rispondere, ma anche la mera
minaccia o offerta di denaro.
• Per quanto concerne l’imputato nel proprio procedimento, ex art. 503, dal momento in cui sussista una
difformità tra la dichiarazione dibattimentale e quella precedente contenuta nel fascicolo del PM,
l’utilizzabilità di quest’ultima dipende dal soggetto che ha ascoltato l’imputato… ad esempio qualora le
precedenti dichiarazioni siano rese alla PG sono utilizzabili solo per valutare la credibilità dell’imputato,
mentre se lo siano state alla PG delegata o al PM che le ha raccolte personalmente, saranno utilizzabili
eccezionalmente come prova del fatto rappresentato esclusivamente:
a. quelle dichiarazioni a cui il difensore aveva il diritto di assistere ove contestate, difatti solo così
facendo entreranno nel fascicolo del dibattimento;
b. dichiarazioni assunte nell’interrogatorio di garanzia in seguito ad esecuzione della misura cautelare
personale;
c. dichiarazioni assunte nell’interrogatorio in sede di revoca della misura cautelare personale;
d. dichiarazioni assunte nell’interrogatorio in sede di convalida dell’arresto o del fermo;
e. dichiarazioni assunte nell’ interrogatorio intervenuto in udienza preliminare;

Sebbene l’art. 503 non parli del procedimento svolto nei confronti di più coimputati, la Consulta nel 2009 ha
affermato che le dichiarazioni di un coimputato possono essere usate nei confronti dell’altro solo quando sono
prova del fatto narrato e il secondo vi consente, o quando vi è un’ipotesi di minaccia o subordinazione sul
dichiarante.

• Per quanto concerne i soggetti diversi dall’imputato, l’art. 503 co. 3. afferma che le precedenti
dichiarazioni del responsabile civile, del civilmente obbligato per la pena pecuniaria e della parte civile
che non debba essere esaminata come testimone verranno usate come prova di credibilità e non prova
del fatto narrato.

Spesso nella prassi è capitato che il testimone o altro dichiarante, citato ed interrogato, si rifiutasse di sottoporsi
all’esame o al controesame di una delle parti… per questo è stata prevista successivamente una disciplina a
tutela del diritto alla prova di quella parte che non ha potuto partecipare all’esame incrociato, non essendo stato

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attuato nei suoi confronti un contraddittorio in senso soggettivo [e quindi logicamente non può subire
pregiudizio dalla prova a cui è estraneo]: ad oggi infatti in tal caso, ex art. 500.3, nei confronti del soggetto che
non ha potuto svolgere l’esame, non possono essere utilizzate le dichiarazioni rese ad altra parte [ovvero quelle
a cui ha risposto] fino a quel momento… a meno che non vi consenta lui stesso oppure vi sia stata minaccia o
offerta di denaro nei suoi confronti.

Per verificare la credibilità del dichiarante in dibattimento la contestazione probatoria non è l’unico strumento
posto dal codice… quello che Tonini definisce contestazione di qualsiasi altra risultanza. Quest’ultima può avere
ad oggetto, come approvato dalla Corte Cost. con sent. 407/1994, la notizia di reato e qualsiasi altra risultanza
che possa valutare la credibilità del dichiarante, sia essa proveniente dal fascicolo del pubblico ministero o da
quello del dibattimento o anche qualora si tratti documenti non ammessi all’inizio del dibattimento stesso
poiché ritenuti non rilevanti. In relazione a quest’ultimo caso, dobbiamo fare delle necessarie precisazioni:
spesso molte prove non vengono ammesse al dibattimento perché ritenute a primo acchito non rilevanti, ciò
non significa però che non possano acquisire tale rilevanza in un secondo momento… è questo il caso delle prove
ex adverso, le quali diventano rilevanti solo all’esito dell’escussione delle prove orali, solo dopo aver ascoltato
l’interrogato quindi, poiché prima non sarebbe stato possibile sapere, o comunque intuire con certezza, le sue
risposte… ergo la prova diventa rilevante quando il testimone darà una versione non compatibile con esso.

Quando non ha luogo la contestazione, è disposta la lettura. Sostanzialmente entrambe consistono nella lettura
di un verbale, ma ciò non significa che tra di loro non ci sia differenza: mentre la contestazione ha per oggetto
solo una parte circoscritta di verbale che serve per rilevare la difformità, la lettura invece concerne l’intero
verbale o comunque una sua parte. Procediamo ora analizzando la disciplina relativa alla lettura di atti
provenienti dal fascicolo del dibattimento e da quello del pubblico ministero.

Gli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento in via residuale possono essere utilizzati ai fini della decisione,
soltanto qualora se ne dia apposita lettura ai sensi dell’art. 511: ove il dichiarante non sia stato esaminato si
procede direttamente alla lettura dell’atto, altrimenti qualora l’esame ci sia stato può avvenire solo dopo che
abbia rilasciato dichiarazioni chi le ha rese… a prescindere dal caso che si verifichi, la lettura può avvenire sia su
richiesta di parte che d’ufficio. Ad ogni modo, il giudice in luogo della lettura, equivalendovi, può anche in prima
persona indicare specificamente gli atti utilizzabili ai fini della decisione.

Gli artt. 512 ss. disciplinano invece la lettura degli atti contenuti nel fascicolo del PM. Prima di andare a
distinguere i diversi tipi di dichiaranti e le relative discipline, dobbiamo precisare che è possibile dare lettura di
tali atti sebbene sia posto esplicito divieto in quanto, in via del tutto eccezionale, si va a derogare il principio del
contraddittorio in seguito all’accertata impossibilità di natura oggettiva costituzionalmente prevista ex art. 111.5
di poterle nuovamente rendere. Passiamo quindi alle diverse discipline.

• Le precedenti dichiarazioni rese dai testimoni alla PG, al PM e al difensore durante le indagini
preliminari o al giudice durante l’udienza preliminare ex art. 512 possono essere lette solo se sono
diventate non ripetibili e pertanto non risulti più possibile renderle: tale impossibilità deve essere
oggettiva, cioè indipendente dalla parte richiedente o dalla volontà del dichiarante, nonché
imprevedibile… difatti se la non ripetibilità fosse stata prevedibile, le parti avrebbero dovuto chiedere
l’incidente probatorio.
• Le precedenti dichiarazioni rese da persone residenti all’estero, ex art. 512bis, possono essere lette su
richiesta di parte, anche a seguito di rogatoria internazionale, qualora esse, pur essendo state citate,
non siano comparse e sia assolutamente impossibile il loro esame dibattimentale. Questa impossibilità
di ripetizione è stata restrittivamente interpretata dalle SS.UU. della Cassazione, le quali hanno infatti
stabilito un iter da seguire per verificarla: occorre innanzitutto appurare se vi è stata effettiva e valida
notificazione per poi passare all’irrepetibilità facendo gli opportuni accertamenti, ancora occorrerà che
venga inutilmente richiesta l’escussione del dichiarante attraverso rogatoria internazionale [= è la
richiesta avanzata da una autorità giudiziaria quando, nel corso di un processo pendente, debbano
eseguirsi atti processuali in un luogo che si trovi all'estero, dunque fuori della sua competenza
territoriale o della sua giurisdizione, affinché vengano compiuti dalla competente autorità straniera in
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forma concelebrata o mista]… dal momento in cui quindi il ricorso a quest’ultima risulti inibito per
ragioni non imputabili al giudice e insuperabili e quindi sia assolutamente ed oggettivamente
impossibile l’esame dibattimentale si avrà allora lettura delle dichiarazioni, non tenendosi quindi tra
l’altro conto del requisito della ripetibilità che la Corte, ritenendolo irrilevante, non ha esaminato.
• Le precedenti dichiarazioni rese dall’imputato alla polizia delegata, al PM e al giudice durante indagini o
udienza preliminare in base a quanto sancito ex artt. 513.1 e 208, possono essere lette su richiesta di
parte se egli, avendo diritto di farlo, è assente o rifiuta di sottoporsi all’esame, tenendo conto del fatto
che saranno però utilizzabili solo contro colui che ha tenuto il comportamento, mentre nei confronti
degli altri coimputati avranno efficacia solo se vi consentano o nei casi di subordinazione o intimidazione
del dichiarante.
• Le precedenti dichiarazioni rese da persone imputate in procedimenti connessi o collegati in base a
quanto sancito agli artt. 513.2 e 210, possono essere lette su richiesta di parte solo se in nessun modo, e
quindi seppure, una volta citati e non presentatisi, sia stato disposto dal giudice qualsiasi tentativo
[l’accompagnamento coattivo, l’esame a domicilio, la rogatoria internazionale e l’esame a distanza] con
scarso successo, sia possibile aver presenti tali soggetti a patto che però la non ripetibilità dipenda da
fatti o circostanze imprevedibili [in quanto se l’impossibilità fosse stata prevedibile, tali imputati
connessi o collegati dovevano essere sentiti con incidente probatorio]… qualora invece l’imputato si
rifiuti di rispondere, le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili solo con accordo delle parti.
• Per quanto concerne i verbali relativi alle operazioni di distruzione dei documenti illeciti, ex art. 512.1bis
ne è sempre consentita la lettura.

Occorre ora soffermarci su un problema, legato all’episodio frequente in cui un soggetto rilasci dichiarazioni nel
corso delle indagini a p.m. o polizia giudiziaria per poi diventare irreperibile e non poter quindi presentarsi in
dibattimento. Stiamo quindi parlando del c.d. testimone irreperibile le cui precedenti dichiarazioni, in base a
quanto sancito costituzionalmente ex art. 111.5, possono essere utilizzate come prove senza che vi sia bisogno di
riscontri… il problema è che tale dettato contrasta nettamente con quanto sancito all’art. 6.3.d della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, dal quale è possibile dedurre un assoluto divieto di utilizzare la
dichiarazione raccolta in segreto come base esclusiva o determinante della sentenza di condanna, occorrendo
infatti in tali casi elementi di prova che compensino la mancata assicurazione del diritto a confrontarsi con
l’accusatore. Inevitabilmente è sorto quindi un conflitto giurisprudenziale, su cui la Cassazione a SS.UU. è stata
costretta a pronunciarsi: in primo luogo è stato sancito che le disposizioni in tema di utilizzabilità poste a livello
costituzionale e dal codice pongono per l’imputato quella che è una tutela base, che può essere tranquillamente
integrata con una protezione più estesa ricavabile da norme diverse… in secondo luogo, è stato ricavato un
canone probatorio, quello della c.d. prudente valutazione oltre ogni ragionevole dubbio, per poi sancire che per
poter usare le dichiarazioni rese da persone irreperibili per motivi oggettivi occorre la presenza di riscontri. Ad
ogni modo questo problema non è che sia poi risolto, perché questi riscontri non sono sempre rinvenibili. Inoltre
per Tonini, nella sentenza De Francesco la Cassazione ha affrontato sì il suddetto tema senza però sancire quella
che per lui potrebbe essere una soluzione tale da ridurre il rischio di non ripetibilità delle dichiarazioni: secondo
l’autore si dovrebbe compiere un’interpretazione in via estensiva sulle ipotesi di ricorso dell’incidente
probatorio, considerato che quest’ultimo consentirebbe di realizzare da subito il contraddittorio riducendo al
massimo le conseguenti problematiche connesse al dover utilizzare ex post dichiarazioni fatte in precedenza
segretamente.

Essendo il nostro un sistema accusatorio, vige il principio dispositivo in materia di prove: nessuno meglio delle
parti può cercare prove ed indicare i relativi mezzi per provarle… ciò non toglie però che anche il giudice possa
avere una qualche iniziativa probatoria: il giudice infatti ex art. 190.2, nel pieno rispetto del principio della
separazione dei poteri, ha tale facoltà in via residuale e quindi funzionalmente al raggiungimento degli scopi del
processo. Quello a cui stiamo facendo riferimento è un potere di supplenza di carattere successivo e non
esaustivo esercitabile nei confronti di quella parte che per i più svariati motivi sia rimasta inerte davanti ad un
qualcosa che per il giudice avrebbe invece determinanza: l’iniziativa del giudice infatti è limitata all’assunzione di
prove decisive oltre il limite delle liste testimoniali e delle richieste introduttive, ma deve rimanere nei limiti
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dell’imputazione formulata dal pubblico ministero. Quando si parla di iniziativa successiva e non esaustiva, ciò
vuol dire che dovrà aversi solo dopo che le parti abbiano avuto la possibilità di esercitare i loro poteri ed inoltre,
una volta che egli abbia esercitato i suddetti poteri, l’iniziativa potrà essere ripresa dalle parti stesse decidendo
se seguire o meno il suggerimento ed eventualmente indicare il mezzo di prova opportuno. All’art. 190, vanno
collegati altri importanti articoli ovvero il 506 e il 507 c.p.p.:

• L’art. 506.1 stabilisce che il presidente del collegio possa, in base ai risultati delle prove assunte nel
dibattimento a iniziativa delle parti o a seguito delle letture disposte dall’intero organo giudicante anche
d’ufficio integrali o parziali degli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento, indicare alle parti temi di
prova nuovi o più ampi utili per la completezza dell'esame… al comma 2 è inoltre prevista che possa
rivolgere domande al testimone o ad altro dichiarante, ma solo dopo che questi sia stato sottoposto ad
esame incrociato, facendo infatti salvo il diritto delle parti a completare quest’ultimo secondo l’ordine
che ognuna vuole dare al suo caso senza eventuali suoi stravolgimenti da parte del giudice.
• L’art. 507 invece stabilisce che il giudice, terminata l’acquisizione delle prove, può disporre, ove risulti
assolutamente necessario alla luce di un giudizio prognostico sull’indispensabilità, anche d’ufficio
l’assunzione di nuovi mezzi di prova. Nel corso del dibattimento questa disposizione può applicarsi, e
quindi il giudice disporrà tale assunzione, in due distinte ipotesi, a seconda che si sia svolta o meno
l’istruzione a richiesta di parte:
1. Dal momento in cui l’istruzione si sia svolta, e quindi il giudice abbia già acquisito in contraddittorio i
determinati mezzi di prova richiesti dalle parti, qualora egli autonomamente ravveda l’assoluta
necessarietà di assumerne anche altri in quanto decisivi per la decisione, tanto nel senso della reità
quanto in quello dell’innocenza, potrà farlo però seguendo l’ordine dei casi e quindi a patto che ciò
avvenga successivamente allo svolgimento dei casi di accusa e difesa… va inoltre ricordato che il giudice
potrà assumere altri mezzi di prova, anche qualora sia stata la parte stessa a chiedere di agire in tal
senso ovviamente sempre a patto che sia soddisfatto il parametro dell’assoluta necessità.
Nell’ammissione conseguente a richiesta di parte, il giudice segue l’ordine dei casi e se si tratta di una
prova dichiarativa l’esame è condotto da colui che ha chiesto l’ammissione della prova, mentre il
controesame dalla controparte… se invece l’ammissione consegua ad un’autonoma iniziativa del
giudice, è il presidente a decidere chi deve condurre l’esame diretto. L’art. 507 presenta anche un
comma 1bis, in virtù del quale il giudice ha il potere di assumere anche i mezzi di prova relativi agli atti
acquisiti al fascicolo per il dibattimento su accordo delle parti e anche in questo caso occorre che vi sia
assoluta necessità.
2. Dal momento in cui invece non vi sia stata istruzione probatoria a richiesta di parte e quindi neanche la
conseguente assunzione dei mezzi di prova, dopo diverse pronunce della Corte di Cassazione, si è
definitivamente giunti ad una soluzione con la sentenza n. 73 del 2010 della Corte Costituzionale,
secondo cui il 507 va interpretato estensivamente: quindi anche di fronte alla totale inerzia delle parti,
sarà ammissibile assumere dei mezzi di prova d’ufficio… alla luce di ciò quindi, detto in parole povere, il
giudice, non avendo in questi casi discrezionalità assoluta nel decidere quali prove assumere o meno
considerato che è chiamato a giudicare sulla base di quanto allegato e provato dalle parti, deve
assumere quelle prove che dagli atti risultano evidenti essere assolutamente necessarie ai fini della
decisione. Volendo per completezza ripercorrere le decisioni delle corti poc’anzi citate… in particolare la
Cassazione nel 1993 ha sancito che il potere giudiziale di acquisizione non deve essere utilizzato per
vagliare ipotesi ricostruttive formulate dal giudice, ma deve essere limitato all’assunzione d’ufficio di
prove il cui valore dimostrativo in base agli atti si imponga con evidenza ed inoltre è fatto salvo il diritto
delle parti alla prova contraria; invece la Corte Costituzionale con sentenza n. 73 del 2010 ha sancito
che, qualora il giudice ammetta prove richieste dalla parte deceduta, egli rimane comunque nell’ambito
della propria funzione, quindi si tratta sempre di assunzione d’ufficio, in quanto non rivolge domande ai
dichiaranti, ma le rimette alla parte che ha sollecitato la prova, mentre la controparte può invece
procedere a controesame… ad ogni modo la Corte Costituzionale ci tiene a sottolineare che così facendo
il giudice, pur assumendo impropriamente i compiti dell’accusa o della difesa, resta imparziale non
essendoci alcun rischio che diventi “alleato” della parte sollecitante… il giudice ha infatti un ruolo

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diverso dalla parte, infatti quando decide sull’ammissione ai sensi dell’art. 507, come abbiamo già detto
e deducibilmente, si trova a compiere un giudizio prognostico sull’indispensabilità della prova ai fini
della decisione.

Alla luce di quanto affermato da tali disposizioni, è chiaro che il codice in materia probatoria accoglie un
principio dispositivo attenuato: lascia libera iniziativa alle parti, mentre infatti disciplina l’iniziativa probatoria del
giudice ponendo dei limiti nei confronti dei suoi poteri atti a respingere le richieste di prove formulate dalle
parti, nonché, gli conferisce ex art. 507, al termine del dibattimento, se risulta assolutamente necessario
ammettere nuove prove, non un potere discrezionale, ma ha il dovere di ammissione in merito ad esse. Secondo
Tonini questo principio va accolto nel processo penale perché, avendo quest’ultimo ad oggetto la libertà
personale che è un diritto fondamentale inviolabile indisponibile, mettere l’esito accertativo del processo nelle
sole mani delle parti significherebbe andare contro il dato ontologico dell’indisponibilità alla concezione di tale
categoria di posizioni giuridiche. In conclusione, i poteri del giudice d’ufficio merito all’assunzione delle prove
toccano solo l’onere della prova in senso formale, in merito alla necessità di introdurre della prova nel processo,
non incidendo invece sull’onere sostanziale di convincere il giudice caratterizzato dalla validità della prova, in
quanto restano valide le regole probatorie anche se si tratta di divieti.

In ossequio al diritto alla prova è stata introdotta nel 2000 l’estrema possibilità di rinunciare alla prova relativa
richiesta al comma 4bis dell’art.495: in virtù di quest’ultimo nel corso dell'istruzione dibattimentale ciascuna
delle parti, per qualsiasi motivo con espressa dichiarazione al giudice, può rinunciare all'assunzione delle prove
che sono state ammesse su sua richiesta, ma soltanto qualora vi consenta l'altra parte… ovvero, alla luce di
un’interpretazione estensiva, tutte le parti diverse da quella rinunciante, perché in quest’ultime non solo, alla
luce di un inedito principio di acquisizione della prova, quando si ottiene il relativo diritto, si crea una
conseguente legittima aspettativa che ciò avvenga per cui si è già cominciato a ricercare la prova contraria da
ammettere nel processo, ma anche perché vale il diritto alla prova anche nei loro confronti. Infine, l’art. 495.4bis
va però letto in combinato disposto con l’art. 507: infatti, qualora la prova rinunciata risulti assolutamente
necessaria per la decisione ne sarà permessa ad opera del giudice l’assunzione d’ufficio.

Il codice consente di utilizzare gli istituti della partecipazione al dibattimento a distanza e dell’esame a distanza i
quali, superando l’unità di luogo del dibattimento, permettono grazie al collegamento televisivo non solo
l’esercizio dei fondamentali diritti difensivi, ma anche consentono alle parti di essere messe in grado di valutare
l’attendibilità delle prove che vengono assunte. Analizziamo i singoli istituti.

La partecipazione al dibattimento a distanza, prevista ex art. 146bis disp. att. del codice, venne introdotta alla
fine degli anni ’90 in un’ottica di economia… da quel momento l’imputato, che avrebbe dovuto essere
ampiamente scortato per i gravi reati addebitatigli, rimane nel luogo di detenzione e partecipa all’udienza
attraverso un collegamento televisivo a distanza composto da due terminali [uno nell’aula in cui si svolge
l’udienza e uno nella postazione remota] ed un sistema di comunicazione che permette di ricevere e trasmettere
segnali audiovisivi. Come deducibile dall’ultimo comma dell’art. 146bis disp. att., in questi casi è prevista
l’equiparazione tra la postazione remota in cui si trova l’imputato e l’aula in cui si svolge l’udienza. La riforma
Orlando ha notevolmente ampliato diversi punti legati all’istituto della partecipazione al dibattimento a distanza,
vediamoli:

• le ipotesi di partecipazione a distanza in origine lasciate alla decisione motivata del giudice, ora sono
diventate di regola automatiche;
• qualora lo ritenga necessario, il giudice anche su istanza di parte può disporre la presenza fisica in
udienza;
• la partecipazione opera non più solo per il dibattimento, ma anche per le udienze in camera di consiglio
e per il rito abbreviato;
• vi sono ipotesi residuali in cui la partecipazione a distanza è stata lasciata alla decisione motivata del
giudice, per cui tra l’altro la legge prevede criteri vaghi.

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Come abbiamo già detto, la partecipazione è attuata mediante collegamento televisivo a distanza: quest’ultimo
deve garantire la contestuale [tale da escludere ogni sorta di differimento temporale nel collegamento],
reciproca [tale da garantire il coinvolgimento nel collegamento di tutte le persone presenti in entrambi i luoghi]
ed effettiva visibilità [tale da escludere qualsiasi incertezza o difficolta che incida sulla capacità di percepire di
ciascun fruitore del collegamento] delle persone presenti in entrambi i luoghi nonché la possibilità di udire
quanto da loro detto… Il difensore può essere presente nel luogo in cui si trova l’imputato, mentre se decide di
rimanere in aula gli è garantito il diritto di avere colloqui riservati con l’imputato mediante strumenti tecnici
idonei… il giudice, o il presidente in presenza di casi urgenti, designa un ausiliare che, presente nel luogo in cui
l’imputato, ne attesti l’identità ed il pieno godimento dei diritti riconosciutigli.

L’esame a distanza, previsto ex art. 147bis disp. att. del codice, consente sempre mediante collegamento
televisivo di svolgere a distanza l’esame di un testimone o di una parte al fine di tutelare la vita degli operatori
sotto copertura e del collaboratore di giustizia. Per quanto concerne la regolamentazione l’esame a distanza può
essere disposto dal giudice, sentite le parti, anche d’ufficio, ove siano disponibili mezzi tecnici idonei ad
effettuare un collegamento audiovisivo… quest’ultimo deve assicurare la contestuale visibilità delle persone ed è
prevista nel corso del suo svolgimento la presenza di un ausiliario che attesti le generalità dell’esaminando, dia
atto dell’osservanza delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell’atto per poi redigere un verbale delle
operazioni svolte. Se è un imputato a dover essere esaminato, occorre poi che vi sia anche effettiva e reciproca
visibilità in modo che egli stesso possa vedere cosa accade in udienza, inoltre accanto dovrà avere il suo
difensore o comunque un suo sostituto, se invece quest’ultimo decida di rimanere in aula ad ogni modo deve
potergli essere assicurato all’assistito un colloquio con lui. Continuando nell’analisi dell’art. 147bis dobbiamo
ricordare il comma 3 in cui sono sanciti dei casi in cui l’esame a distanza deve svolgersi obbligatoriamente: è
questo il caso di persone sotto protezione, come ad esempio testimoni o collaboratori di giustizia, oppure
persone che abbiano cambiato le generalità, o ancora di ufficiali che svolgono attività sotto copertura… in ultima
battuta ricordiamo un caso sì obbligatorio, ma soltanto ove la presenza dell’esaminato sia assolutamente
necessaria come avviene per gli imputati accusati di criminalità mafiosa o terroristica esaminati in un processo
per tale tipo di delitti connesso al proprio. Continuando nell’analisi dell’art. 147bis dobbiamo ricordare il comma
5 in cui sono sanciti dei casi in cui l’esame a distanza si svolge facoltativamente, perlopiù per esigenze di
semplificazione processuale e non per proteggere l’incolumità del dichiarante… ovvero quando il dichiarante è
stato già esaminato con incidente probatorio o in un altro procedimento ed è stata disposta una nuova
assunzione di tale prova e se comunque vi sono gravi difficoltà nell’assicurare la presenza dell’esaminato.

Come sappiamo, il dibattimento ha ad oggetto l’addebito contestato all’imputato con il decreto che dispone il
giudizio… spesso però nel corso dell’istruzione dibattimentale il pubblico ministero può essere indotto a
modificare l’imputazione originaria, ovviamente entro determinati limiti e con modalità che devono garantire il
diritto di difesa dell’imputato, sotto vari profili attinenti tanto al fatto quanto al diritto ponendo quindi in essere
delle nuove contestazioni.

Per quanto concerne le modifiche attinenti al fatto storico, ex art. 516, quest’ultimo può risultare diverso da
quello inizialmente contestato in merito alle modalità del reato, più precisamente alla data e al luogo in cui esso
è stato realizzato: in questi casi il pubblico ministero provvede direttamente a modificare l’imputazione e a
contestarla all’imputato, a meno che il reato non appartenga alla competenza di un giudice superiore. Ove sia
effettuata la contestazione di un fatto diverso, l’imputato ha una serie di diritti in virtù dei quali può ottenere
che il dibattimento venga sospeso, chiedere l’ammissione di nuove prove oppure un rito alternativo come ad
esempio giudizio abbreviato, patteggiamento o l’oblazione relativamente al fatto contestato in dibattimento.

Spesso dalle prove raccolte nel corso dell’istruzione dibattimentale può risultare a carico dell’imputato ex art.
517 l’esistenza di una circostanza aggravante o il compimento di un reato connesso… in questi casi si parla di
contestazione suppletiva ed il PM è tenuto a contestare all’imputato il reato concorrente o la circostanza
aggravante, a meno che la cognizione non appartenga alla competenza della Corte d’Assise. Ove sia effettuata la
contestazione suppletiva, si ponevano inizialmente dei problemi relativamente al diritto alla difesa, risolti poi
con l’intervento della giurisprudenza costituzionale la quale si è pronunciata affermando che, anche in casi del
genere, l’imputato abbia una serie di diritti in virtù dei quali può ottenere l’ammissione di nuove prove o
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chiedere un rito alternativo quale ad esempio giudizio abbreviato, patteggiamento, oblazione o anche messa alla
prova in relazione al caso in cui sia stata contestata una circostanza aggravante. Qualora invece il pubblico
ministero voglia contestare all’imputato assente un fatto diverso ex art. 516 oppure un reato concorrente o una
circostanza aggravante ex art. 517, dovrà chiedere ex art. 520 al presidente di inserire la contestazione nel
verbale del dibattimento e che il verbale stesso venga notificato per estratto al suddetto soggetto... sempre il
presidente procede poi sospendendo il processo e fissando nuova udienza osservando i termini per imputato e
persona offesa.

Dopo aver analizzato queste prime due possibilità di modifica, non resta che analizzarne una terza in cui il p.m.
ha un ruolo determinante, come anche l’imputato stesso ed il presidente… ovvero quella contestazione del c.d.
fatto nuovo prevista ex art. 518 quando un ulteriore fatto storico si affianchi o si sostituisca all’imputazione
precedentemente contestata e quindi non presente in quest’ultima… Il fatto nuovo può essere contestato
soltanto qualora siano rispettati una serie di requisiti: prima di tutto il reato deve essere procedibile d’ufficio, poi
l’imputato deve essere presente e consentire alla contestazione ed infine il presidente deve accertare che da
tale contestazione non derivi un pregiudizio per la speditezza del procedimento… qualora tali requisiti
sussistano, sarà possibile contestare il fatto nuovo all’imputato al quale conseguentemente spetterà il diritto di
ottenere la sospensione del dibattimento e chiedere l’ammissione di nuove prove… invece in mancanza di tali
requisiti, il pubblico ministero procede nelle forme ordinarie, per cui svolge le indagini ed esercita l’azione
penale per il fatto nuovo e per quelle volte in cui la contestazione sia avvenuta fuori dai casi consentiti, il giudice
con ordinanza ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero affinché proceda nelle forme ordinarie.

Come deducibile, l’unico a poter modificare l’imputazione originaria e quindi il fatto storico è il pubblico
ministero… il giudice infatti può solo esercitare un controllo di natura successiva nel momento in cui delibera la
sentenza qualora rilevi che il fatto storico, accertato nel corso del dibattimento, sia identico a quello contestato,
ma il titolo di reato sia diverso da quello contenuto nell’imputazione: in questi casi, in ossequio a quello che è un
principio generale, il giudice, purché il reato non ecceda la sua competenza né risulti attribuito alla cognizione
del tribunale in composizione collegiale anziché monocratica, potrà dare una definizione giuridica differente,
ovviamente rispetto a quella enunciata nell’imputazione, al fatto storico. Se non vi è correlazione tra accusa è
sentenza ai sensi dell’art. 522 abbiamo una nullità intermedia, avendosi una violazione del principio del
contraddittorio, che colpisce solo la parte relativa al fatto nuovo al reato concorrente o alla circostanza
aggravante.

Terzo momento che caratterizza il dibattimento e con cui si quest’ultimo conclude è, ex art. 523, la discussione
finale delle parti: quest’ultima ha inizio quando termina l’istruzione probatoria e permette al pubblico ministero
e ai difensori delle parti private di formulare le proprie conclusioni, in quanto tali valutazioni potrebbero portare
un contributo utile alla decisione del giudice. In base a quanto previsto sempre ex art. 523, la discussione finale è
diretta dal presidente dell’organo giudicante, che deve impedire ogni divagazione, ripetizione e interruzione…
ovviamente la discussione deve seguire un preciso ordine, rispecchiante il principio dell’onere della prova e
quindi dovrà cominciare la pubblica accusa, poi quella privata, eventualmente la parte civile ed infine l’imputato.
Le conclusioni vanno formulate oralmente da tutti, fatta eccezione per la parte civile ha l’onere di presentarne di
scritte in merito all’ammontare del risarcimento danni altrimenti si intende revocata ex lege la costituzione della
parte civile. Il pubblico ministero e i difensori delle parti private possono inoltre replicare, ma una sola volta e nei
limiti necessari per confutare gli argomenti avversari. Di regola la discussione non può essere interrotta per
assumere nuove prove, se però è assolutamente necessario farlo tale assunzione avviene ai sensi dell’art. 507 e
un eventuale diniego può essere sottoposto a controllo mediante impugnazione della sentenza. In ogni caso,
l’imputato e il suo difensore possono avere a pena nullità la parola per ultimi se la chiedono. Una volta esaurita
la discussione finale, il presidente dichiara chiuso il dibattimento e l’organo giudicante si ritira in camera di
consiglio per deliberare la sentenza.

Avendo esaurito tutti gli argomenti connessi alla sotto fase del dibattimento, passiamo ad analizzare la terza ed
ultima sotto fase, quella degli atti successivi al dibattimento la quale ha inizio nel momento in cui l’organo
giudicante si ritira per deliberare in segreto in camera di consiglio e termina nel momento in cui la sentenza è
depositata in cancelleria.
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Per quanto concerne tempi e modi della deliberazione, seguono rispettivamente il principio di concentrazione
ed il principio di immediatezza: ai sensi dell’art. 525, la sentenza va deliberata subito dopo la chiusura del
dibattimento e non può essere sospesa, se non in caso di assoluta impossibilità, e deve esserci identità tra il
giudice che ha assistito all’assunzione della prova e quello che decide.

Il codice pone una dettagliata disciplina in merito alla procedura attraverso cui il giudice deve deliberare… prima
di tutto per deliberare occorre:

➢ Affrontare innanzitutto le questioni processuali non ancora risolte, come l’incompetenza, o altre
questioni relative al processo es. dichiarazione di nullità di un atto, che potrebbero precludere una
decisione nel merito;
➢ Se la decisione nel merito non è preclusa, affrontare le questioni di fatto, valutando se vi è coincidenza
fra i fatti affermati dalle parti e le prove acquisite;
➢ Questioni di diritto relative ai problemi interpretativi posti dalle norme penali;
➢ Nel caso di condanna, questioni relative all’applicazione delle pene e delle misure di sicurezza;
➢ Se vi è stata costituzione di parte civile, questioni relative alla richiesta di risarcimento del danno.

Fatto ciò, l’organo giudicante può dare inizio alla deliberazione che, come deducibile, è finalizzata ovviamente
all’emanazione della sentenza… quest’ultima, come sappiamo consta di due parti il dispositivo e la motivazione.

➢ Con il dispositivo non si fa altro che riassumere il comando in cui si traduce la decisione, pertanto o
quello di proscioglimento o quello di condanna.
➢ Con la motivazione non si fa altro che riportare l’iter che è stato seguito nel prendere la decisione,
quindi esporre le ragioni del convincimento del giudice.

Procediamo quindi andando ad analizzare specificamente la disciplina posta dal codice in merito alla procedura
attraverso cui il giudice deve deliberare.

L’organo deve deliberare nel rispetto della libertà morale dei suoi componenti, i quali sono tenuti ad enunciare
ex art. 527 le ragioni delle loro opinioni dialetticamente ed imparzialmente… materialmente i giudici votano su
ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso dalle altre e tali voti, per evitare che ci siano influenze
dovute all’anzianità o alla carica, vengono raccolti dal presidente, cominciando dal giudice con minore anzianità
di servizio, che poi vota per ultimo. La deliberazione va fatta anche nel principio del favor rei, per cui in caso di
parità prevale la soluzione più favorevole dell’imputato specialmente qualora si tratti di decidere sulla pena da
dare all’imputato. Andando più nello specifico, in termini di modalità, la deliberazione si svolge segretamente in
camera di consiglio, ciò significa quindi in primo luogo che non possono prendervi parte persone che non siano
giudici ed inoltre che quest’ultimi devono mantenere il segreto su quanto deliberato altrimenti si ha ex art. 326
c.p. il delitto di rivelazione del segreto d’ufficio. Una volta terminata la deliberazione, il presidente redige il
dispositivo della sentenza e lo sottoscrive ex art. 544: qualora si sia deciso per il proscioglimento deve essere
utilizzata una formula tipica in cui riassumere i motivi, mentre se si sia deciso di condannare, il capo penale deve
indicare la pena applicata al colpevole, e, se vi è stata costituzione di parte civile, quello civile conterrà la
decisione sul risarcimento del danno. Fatto ciò si ritornerà in aula di udienza e si avrà pubblicazione della
sentenza mediante lettura ad opera del presidente o altro giudice, equivalendo il tutto a notificazione per le
parti presenti, del dispositivo e, in casi eccezionali, qualora sia stata redatta, anche la motivazione, ma in modo
riassuntivo… di regola infatti quest’ultima non può essere scritta immediatamente, poiché se il caso è giunto fino
in dibattimento avrà una qualche complessità… infatti il codice prevede il termine ordinario entro cui l’intera
sentenza, completa quindi anche della motivazione, sottoscritta nuovamente dal presidente e dal giudice
estensore ex art. 546, deve essere depositata pari a 15 giorni, oppure a quello indicato nel dispositivo fino a 90
gg essendo il caso particolarmente complesso per poi esservi apposta la sottoscrizione e la data in cui è
avvenuto il deposito dal cancelliere. Qualora la sentenza non sia depositata entro i termini, va dato apposito
avviso del deposito ottemperando così all’obbligo di comunicarlo al PM, di notificarlo alle parti private e al

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difensore dell’imputato e al procuratore generale presso la corte d’Appello al quale è allegato anche estratto del
dispositivo.

Tonini procede poi analizzando il contenuto formale e sostanziale della sentenza. Quando Tonini parla di
contenuto formale, facciamo sostanzialmente riferimento al fatto che il codice indica in modo dettagliato all’art.
546 alle lettere a – g i requisiti formali della sentenza: a) l’intestazione “in nome del popolo italiano” e
l’indicazione dell’autorità che l’ha pronunciata; b) le generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che
valgono ad identificarlo, nonché le generalità delle altre parti private; c) l’imputazione, cioè l’enunciazione del
fatto storico addebitato e delle norme di legge che lo prevedono come reato; d) l’indicazione delle conclusioni
delle parti, cioè la pena richiesta dal Pubblico Ministero e le richieste del difensore; e) la concisa esposizione dei
motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle prove poste alla base della
decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie con
riguardo 1) all'accertamento dei fatti e delle circostanze che si riferiscono all'imputazione e alla loro
qualificazione giuridica; 2) alla punibilità e alla determinazione della pena, secondo le modalità stabilite dal
comma 2 dell'art. 533, e della misura di sicurezza; 3) alla responsabilità civile derivante dal reato; 4)
all'accertamento dei fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali; f) il dispositivo, con l’indicazione
degli articoli di legge applicati; g) la data e la sottoscrizione del giudice. In mancanza della sottoscrizione del
giudice, della motivazione o del dispositivo [in quest’ultimo caso anche qualora incompleto] la sentenza sarà
nulla.

Quando Tonini parla di contenuto sostanziale invece, facciamo fondamentalmente riferimento al fatto che la
sentenza si divide in capi e punti:

➢ Con il capo si identifica la singola imputazione;


➢ Con il punto si sta invece ad indicare la tematica di fatto o di diritto che deve essere trattata e risolta per
giungere alla decisione in merito ad una o più imputazioni.

La sentenza deve necessariamente contenere la motivazione, difatti ove manchi sarà nulla… essa
sostanzialmente ha il compito di esporre le ragioni del convincimento del giudice: è infatti costituzionalmente
sancito ex art. 111.6 l’obbligo di motivazione in virtù del quale tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere
motivati. La motivazione è in questi termini intesa come un dovere del giudice. Non possiamo non fare
riferimento alla modifica operata dalla riforma Orlando all’art. 546 lettera e [quanto aggiunto è sottolineato con
il grigio]: quest’ultimo ad oggi impone al giudice un modello legale e razionale di motivazione, articolato in
diversi passaggi necessari con cui si mira a rendere esplicito e riconoscibile il percorso logico seguito dal giudice,
agevolando di conseguenza anche l’esercizio del diritto di impugnare. Il giudice quindi non è più tenuto
solamente ad affermare genericamente le prove di cui si è servito, ma deve anche espressamente e
minuziosamente indicare il contenuto dei fatti accertati nonché le prove contrarie ritenute non attendibili: solo
così la motivazione diviene un rimedio contro l’arbitrio, perché permette di controllare il discorso giustificativo
del giudice che scaturisce dal rapporto tra elementi di prova e fatti accertati.

La valutazione delle prove è un’attività legale e razionale: legale, perché si esercita su prove legittimamente
acquisite e non vietate dalla legge, e razionale, perché la motivazione deve seguire criteri di ragionevolezza nel
rispetto della logica, della scienza e dell’esperienza corrente. Questi ultimi tre criteri devono essere poi messi in
correlazione con lo standard probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio: il giudice quindi nella motivazione
deve spiegare perché le prove d’accusa, valutate anche alla luce degli elementi addotti dalla difesa, sono tali da
eliminare ogni ragionevole dubbio sulla reità dell’imputato, o viceversa, perché tali prove lasciano intendere una
ricostruzione alternativa dei fatti rispetto a quella addotta da chi accusa. I risultati acquisiti che devono essere
indicati dal giudice si riferiscono ad un operazione mentale applicata agli elementi di prova precedentemente
raccolti, ergo in ogni caso è necessaria una sua attività raziocinante tale da accertare l’attendibilità della
dichiarazione e la credibilità della fonte. In merito invece ai criteri adottati, per la motivazione occorre una
lettura combinata degli art. 192 in merito alla valutazione della prova e l’art. 546 co. 1 lett. e) in base al quale il
giudice è chiamato a scegliere la ricostruzione della vicenda capace di fornire una spiegazione ragionevole a tutti
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gli elementi raccolti: in particolare, il giudice deve dare conto anche delle prove che contrastano con il suo
ragionamento, per cui deve indicare perché ritiene tali prove non attendibili. Come deducibile, con la riforma
Orlando, la motivazione ha assunto un peculiare carattere dialogico: il giudice non può solo scegliere un’ipotesi
ricostruttiva del fatto ed enunciare i fatti che lo confermano, ma deve indicare anche le ragioni che lo hanno
portato a sposare quella ricostruzione piuttosto che un’altra e quindi materialmente dar conto del conflitto sulle
prove e di quello sulle ipotesi.

Passiamo ora ad analizzare le singole sentenze che possono essere emanate… abbiamo in via generica quelle di
proscioglimento e quelle di condanna. Cominciando dalle prime, a loro volta le sentenze di proscioglimento
possono essere distinte in sentenze di non doversi procedere e sentenze di assoluzione, entrambe caratterizzate
dal fatto che il giudice è tenuto a precisarne la causa o meglio le c.d. formule terminative che, tassativamente
previste per legge, oltre a riassumere la motivazione della decisione, e quindi ad avere il compito di rendere
maggiormente intellegibile i suoi contenuti nonché quelli del dispositivo, alcune di esse sono idonee a
determinare gli effetti del giudicato in processi diversi da quelli penali. Analizziamo singolarmente tali sentenze e
le relative formule terminative.

• Prima di tutto, occorre precisare che le sentenze di non doversi procedere si caratterizzano per non
contenere l’accertamento del fatto storico, ma si limitano a statuire su aspetti processuali che lo
impediscono… ed è proprio in relazione quest’ultimi è prevista una diversa formula terminativa:
1. La prima formula terminativa è prevista ex art. 529 e recita “sentenza di non doversi procedere
perché l’azione penale non doveva essere iniziata o non doveva essere proseguita”… viene apposta
dal giudice quindi qualora manchi la condizione di procedibilità o per altre cause, ad es. errore
sull’identità fisica dell’imputato, rispetto del principio ne bis in idem, esistenza di un segreto di Stato
in relazione ad una prova essenziale per definire il processo. Alla situazione in cui manca la prova
della condizione di procedibilità, è equiparata quella in cui la prova è insufficiente o contraddittoria,
in virtù del principio in dubio pro reo.
2. La seconda formula terminativa è prevista ex art. 531 e recita “sentenza di non doversi procedere
per estinzione del reato”… viene apposta dal giudice quindi in caso di morte del reo prima della
condanna, oppure di amnistia, remissione di querela, prescrizione del reato, oblazione nelle
contravvenzioni, sospensione condizionale della pena, perdono giudiziale per i minorenni o
comunque per cause estintive previste in relazione a singoli reati. Quando si ha la prova della causa
estintiva (o un dubbio in virtù del principio in dubio pro reo) il giudice la dichiara immediatamente
con tale sentenza e ciò non impedisce al giudice civile di accertare la sussistenza del fatto.

Prima di passare ad analizzare la sentenza di assoluzione occorre menzionare una peculiare disposizione del
codice, la quale praticamente obbliga il giudice, alla luce di un contemperamento del principio di economia
processuale [che impone di non proseguire il processo in presenza di una causa di improcedibilità] e della
volontà dell’imputato di ottenere l’assoluzione e non una sentenza di non doversi procedere, se dagli atti risulta
evidente l’innocenza dell’imputato a pronunciarsi con la sentenza da lui voluta attraverso una delle formule
terminative di assoluzione previste che a breve analizzeremo.

• Prima di tutto, occorre precisare che le sentenze di assoluzione possono contenere un vero e proprio
accertamento del fatto storico che il giudice ha operato mediante le prove… pertanto con esse
quest’ultimo sostanzialmente si afferma che non esiste il fatto storico di reato addebitato all’imputato a
titolo di illecito punito con sanzione penale. Anche in questo caso, come abbiamo detto è imposto al
giudice di apporre delle c.d. formule terminative, tassativamente previste ex art. 530 e diverse da quelle
che abbiamo poc’anzi citato in relazione alla sentenza di non doversi procedere, considerato che sono
idonee a determinare gli effetti del giudicato in processi diversi da quelli penali. Il codice
nell’individuarle segue una vera e propria gerarchia, dalla più alla meno favorevole e ove possano
esserne apposte due deve essere scelta quella più ampiamente liberatoria… prima di passare ad una
loro attenta analisi, vale la pena sottolineare che Tonini non condivide il fatto che il legislatore abbia

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previsto tutte queste formule terminative: ne sarebbero bastate due, colpevole o non colpevole e gli
argomenti che inducono a prosciogliere avrebbero dovuto essere contenuti nella motivazione della
sentenza e non nel dispositivo, altrimenti potrebbero costituire un pregiudizio quando la prova non è
totalmente liberatoria. Analizziamo quindi le singole formule terminative della sentenza di assoluzione.
a. La prima formula interpretativa recita “assoluzione perché il fatto non sussiste” e viene apposta dal
giudice qualora il fatto storico ricostruito mediante le prove non rientri nella fattispecie
incriminatrice dal punto di vista dell’elemento oggettivo;
b. La seconda formula interpretativa recita “assoluzione perché l’imputato non ha commesso il fatto”
e viene apposta dal giudice qualora il fatto storico sussiste dal punto di vista dell’elemento
oggettivo, ma non è stato commesso dall’imputato;
c. La terza formula interpretativa recita “assoluzione perché il fatto non costituisce reato” e viene
apposta dal giudice qualora il fatto storico sussiste dal punto di vista dell’elemento oggettivo ed è
stato commesso dall’imputato ma a) o manca l’elemento soggettivo (colpa, dolo, preterintenzione)
b) o manca un elemento oggettivo presupposto della condotta o dell’evento (qualità di p.u. o
incaricato di pubblico servizio quando è richiesta o qualità di imprenditore fallito nel reato di
bancarotta) c) oppure infine qualora il fatto sia stato commesso in presenza di una causa di
giustificazione che elimina l’antigiuridicità (legittima difesa);
d. La quarta formula interpretativa recita “assoluzione perché il fatto non è previsto dalla legge come
reato” e viene apposta dal giudice qualora il fatto storico non rientra in alcuna fattispecie
incriminatrice né sotto il profilo oggettivo né sotto quello soggettivo. Ciò avviene ad esempio in due
casi, esattamente quando la norma è stata dichiarata illegittima dalla Consulta oppure quando la
legge ha depenalizzato quel determinato reato.
e. La quinta formula interpretativa recita “assoluzione perché il reato è stato commesso da una
persona non imputabile o non punibile per un’altra ragione” e viene apposta dal giudice qualora il
fatto è stato commesso ed è penalmente illecito, ma l’imputato non è punibile in concreto perché è
minore di 14 anni o è infermo di mente, per causa di non punibilità, perché penalmente immune o
perché si ha particolare tenuità del fatto.
Tali formule assolutorie devono essere sì applicate sia quando manca la reità dell’imputato, ma anche quando
tale prova è insufficiente o contraddittoria ex art. 530.2 e quindi dal momento in cui persista anche solo il dubbio
sulla ricostruzione alternativa del fatto storico… come abbiamo più volte ripetuto, in ambito penale vale lo
standard probatorio dell’oltre ogni ragionevole dubbio ex art. 533: volendo leggere in combinato disposto le due
disposizioni in questi casi non si richiede necessariamente l’accertamento dell’innocenza, bensì la mera non
certezza della reità.

Con la sentenza di proscioglimento il giudice ordina la liberazione dell’imputato in stato di custodia cautelare e
dichiara la cessazione delle altre misure cautelari personali eventualmente disposte, inoltre può anche applicare
misure di sicurezza nei casi di quasi-reato e nelle ipotesi di proscioglimento per infermità psichica. Se è fatta
richiesta, il giudice condanna la parte civile al pagamento delle spese processuali sostenute dall’imputato e dal
responsabile civile per effetto dell’azione civile, salvo giustificati motivi di compensazione. Se l’azione civile è
stata eseguita per colpa grave, la parte civile può essere condannata anche al risarcimento danni causati
all’imputato assolto. Nel caso di assoluzione di un reato perseguibile a querela perché il fatto non sussiste o
l’imputato non l’ha commesso, il giudice condanna il querelante al pagamento delle spese del procedimento e al
risarcimento del danno dell’imputato assolto.

Avendo approfonditamente disquisito in merito alle sentenze di proscioglimento, passiamo a quelle di


condanna.

Ai sensi dell’art. 533 co. 1 così come integrato dalla legge n. 46 del 2006, il giudice pronuncia sentenza di
condanna quando ritiene che l’imputato sia colpevole del reato contestatogli oltre ogni ragionevole dubbio.
Come già affermato, lo standard probatorio richiesto è, secondo la sentenza Franzese, quello dell’elevata
probabilità logica… pertanto per potersi affermare la reità dell’imputato occorre che le risultanze probatorie
eliminino ogni ragionevole dubbio in merito alla fondatezza della ricostruzione dell’accusa. Tonini quando parla

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di c.d. contenuto minimo della sentenza di condanna, fa riferimento a quelli che sono essenzialmente i suoi
punti fondamentali… ovvero l’accertamento della sussistenza del fatto storico, la sua qualificazione come illecito
penale, l’accertamento che l’imputato l’abbia commesso e la determinazione della pena, oltre al fatto che il
condannato deve pagare le spese processuali e l’eventuale custodia cautelare. Accanto ai punti fondamentali,
abbiamo anche quelli eventuali che riguardano sia aspetti penali, che singoli aspetti civili: fra gli aspetti penali
ricordiamo l’applicazione delle pena accessorie, delle misure di sicurezza, della sospensione condizionale ecc.
mentre tra quelli civili importante è la pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno formulata dalla parte
civile nelle sue conclusioni.

I capi della sentenza penale di condanna vengono in rilievo quando le imputazioni sono molteplici: in questi casi
il giudice stabilirà la pena per ciascuno di essi e quindi ne determina la misura in osservanza delle norme sul
concorso di reati o di pene sulla continuazione.

Volendo fare una scansione logica del modus in cui il giudice delibera sentenza di condanna, abbiamo quattro
punti:

1. In primo luogo il giudice accerta che il fatto di reato sussista, ne afferma l’illiceità nonché la sua
commissione da parte dell’imputato;
2. Successivamente egli determina la quantità della pena entro la c.d. pena base, o meglio entro i limiti
edittali previsti nella fattispecie incriminatrice;
3. Procede poi valutando la presenza di aggravanti o attenuanti e, qualora ci siano entrambe, effettua
eventualmente un giudizio di bilanciamento… in modo da ottenere la pena da irrogare;
4. Ottenuta la pena, il giudice procederà valutando la possibilità di tramutarla in una sanzione sostitutiva e
di applicare la sospensione condizionale… qualora sia possibile applicare entrambe, il giudice applicherà
una sanzione sostitutiva sospesa condizionalmente mentre se non sarà possibile applicarne nessuna il
giudice irrogherà la pena e soltanto in fase esecutiva si porrà il problema di sostituire la pena detentiva
con una misura alternativa.
Dall’inizio degli anni 2000 è stato introdotto un istituto che consente al giudice di separare i procedimenti in
sede di condanna: si tratterà però di un qualcosa di esercitabile per i soli gravi delitti in materia di criminalità
organizzata, al fine di evitare la scarcerazione per decorrenza dei termini di taluno dei condannati in stato di
custodia cautelare. Materialmente, per evitare che ciò accada il giudice divide i procedimenti ed è tenuto a
motivarli separatamente dando precedenza a quelli in cui c’è rischio di scarcerare per decorrenza dei termini:
così facendo quest’ultima sarà evitata, in quanto collegata all’avvenuto deposito della motivazione della
sentenza della quale la parte abbia conoscenza.

In ultima battuta, Tonini tratta delle statuizioni sulle questioni civili… ovviamente se vi è stata costituzione di
parte civile, la sentenza di condanna conterrà anche un autonomo capo dedicato a questioni di tale natura. La
domanda risarcitoria non viene accolta automaticamente, il giudice deve infatti fare delle valutazioni prima di
condannare l’imputato a risarcire il danno subito dalla parte civile: tale valutazione concerne la legittimità a
costituirsi in giudizio della parte civile e se quest’ultima è stata danneggiata direttamente dal reato… la
liquidazione del danno da reato non è infatti provvisoriamente esecutiva, ma è dichiarata su istanza di parte per
giustificati motivi. Nella prassi raramente si ha una condanna del quantum in quanto ciò richiede tempo e
perizie, per cui il giudice pronuncia condanna generica e rimette le parti dinnanzi al giudice civile per la
determinazione del quantum. In previsione di ciò, il difensore della parte civile chiede al giudice di concedere
una provvisionale, ossia la liquidazione di una determinata somma nei limiti del danno per cui si ritiene raggiunta
la prova, e qualora egli la accordi sarà direttamente esecutiva. La L. 4/2018 dispone che nel caso di omicidio del
coniuge o ex coniuge, convivente o ex convivente, altra parte o ex altra parte dell’unione civile, il giudice deve
accertare se si siano costituiti come parte civile i figli della vittima, siano essi minorenni o maggiorenni non
economicamente autosufficienti, per poi condannare l’imputato al pagamento di una provvisionale in loro
favore.

Parte Quarta, I procedimenti penali differenziati e speciali

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P4, C1 - I procedimenti speciali

Abbandonando il procedimento penale ordinario, procediamo ora analizzando dei tipi di procedimenti penali
diversi da questo… ovvero quelli speciali e quelli differenziati:

➢ I procedimenti speciali, sono quei riti che si limitano ad omettere una delle fasi processuali, cioè
l’udienza preliminare o il dibattimento o entrambe. Come vedremo, sono procedimenti speciali il
giudizio abbreviato, il patteggiamento, il giudizio immediato, il giudizio direttissimo, il procedimento per
decreto e la sospensione del procedimento con messa alla prova.
➢ I procedimenti differenziati, sono quei riti che hanno una struttura completa, a partire dalle indagini
preliminari fino alle impugnazioni, ma rispetto al modello base si caratterizzano per alcune particolarità.
Come vedremo, sono procedimenti differenziati quello presso il Tribunale monocratico e quello presso il
Giudice di Pace.
Tra i due tipi di procedimenti, partiamo analizzando quelli speciali essendo la loro trattazione funzionale alla
comprensione di quelli differenziati: come sempre, Tonini fa prima una serie di considerazioni preliminari e poi
entra nel vivo della materia.

Un sistema processuale di tipo accusatorio impone che l’accertamento della responsabilità dell’imputato
avvenga con il massimo delle garanzie, le quali, però, comportano necessariamente una maggiore complessità
delle forme e, quindi, un allungamento dei tempi complessivi del processo specialmente in relazione al
dibattimento… però qualora si voglia permettere l’affermarsi di un processo penale garantista, ciò deve avvenire
limitatamente ai pochi casi in cui vi sia un serio contrasto tra accusa e difesa. Per questo la gran mole dei
processi si deve svolgere con riti semplificati e, poiché in tali procedimenti l’imputato gode di minori garanzie,
l’unica soluzione è quella di offrirgli un qualche incentivo perché accetti l’affievolimento del diritto di difesa quali
ad esempio una diminuzione della pena, che verrebbe scontata in caso di condanna. Inoltre, nell’ordinamento
italiano i procedimenti semplificati devono rispettare il principio di obbligatorietà dell’azione penale, pertanto la
decisione sulla semplificazione deve intervenire ad opera di un giudice e dopo che sia stata comunque esercitata
l’azione penale. La necessarietà di strumenti deflattivi del contenzioso nel nostro sistema, è stata sancita anche a
livello costituzionale ex art. 111.5 con cui si afferma la possibilità di derogare a patto che si abbia il consenso
dell’imputato al principio del contraddittorio nella formazione della prova.

Da un punto di vista meramente formale i procedimenti speciali si dividono in due gruppi: quelli che si limitano
ad eliminare l’udienza preliminare per arrivare più velocemente al dibattimento quelli che invece omettono il
dibattimento, ed infine quelli che omettono entrambe.

➢ I procedimenti speciali che si si limitano ad eliminare l’udienza preliminare per arrivare più velocemente
al dibattimento di regola prescindono dal consenso dell’imputato, in questi casi infatti, su richiesta del
Pubblico Ministero l’eliminazione avviene in modo imperativo, e cioè in base ad un provvedimento
emesso senza il consenso dell’imputato, ne sono un esempio il giudizio direttissimo e il giudizio
immediato;
➢ I procedimenti speciali che omettono il dibattimento invece operano solo con il consenso dell’imputato,
poiché il diritto al dibattimento è un aspetto centrale del diritto di difesa, ne sono un esempio il giudizio
abbreviato, il patteggiamento e, in qualche misura, il procedimento per decreto dove la mancata
opposizione configura un implicito consenso, in cui il giudice compie le sue valutazioni utilizzando gli atti
raccolti in modo unilaterale dalle parti.
➢ I procedimenti speciali che omettono sia dibattimento che udienza preliminare, sono un esempio di
semplificazione estrema rinvenibile nel procedimento per decreto.

Procediamo ora analizzando i singoli procedimenti speciali previsti dal codice, cominciando con il giudizio
abbreviato, previsto agli art. 438-448, che, su richiesta dell'imputato, già in sede di udienza preliminare consente
al giudice di pronunciare una decisione di regola emanata al termine del dibattimento sulla base degli atti segreti
compiuti durante le indagini nonché di quanto dedotto dal limitato potere di integrazione probatoria

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accordatogli con la legge Carotti del 1999: così facendo l’udienza preliminare da filtro per il dibattimento diventa
la sede su cui si decide in merito alla responsabilità dell’imputato, il quale, per aver rifiutato il pieno
contraddittorio e tutta quella serie di diritti legati alla fase dibattimentale, si vedrà ridotta la pena cosa che
ovviamente funziona da incentivo per adoperare tali strumenti deflattivi. Questo strumento ha subito diverse
modifiche nel corso degli anni, quella fondamentale è stata sicuramente quella avvenuta con la legge Carotti del
‘99, con cui non solo si attribuiva al giudice un limitato potere di integrazione probatoria ma ha anche eliminato
la necessità del consenso del pubblico ministero affinché tale rito fosse esperito lasciandola nelle sole mani
dell’imputato, altra riforma comunque importante con cui si è provveduto invece, come vedremo, a cristallizzare
degli orientamenti giurisprudenziali concernenti aspetti formali e diminuzione della pena, è stata la riforma
Orlando del 2017.

Essendo il giudizio abbreviato un rito deflattivo del dibattimento, affinché possa essere disposto dal giudice
mediante ordinanza dovrà esserci il consenso dell’imputato: come abbiamo già accennato, potrà aversi quindi
solo su sua apposita richiesta fatta nell’udienza preliminare entro il momento delle conclusioni, che, con la
riforma Orlando, preclude ogni questione sulla competenza per territorio, porta sanatoria delle nullità a meno
che non siano assolute e non rilevabilità delle inutilizzabilità salvo quelle derivanti dalla violazione di un divieto
probatorio. L’imputato può alternativamente scegliere se fare una c.d. richiesta semplice, oppure una richiesta
c.d. condizionata ad integrazione probatoria, dando così luogo ad un giudizio sull’ammissione del giudizio
abbreviato che, di regola si svolge in camera di consiglio, anche se è possibile procedere in pubblica udienza se
tutti gli imputati ne fanno richiesta, secondo le disposizioni previste per l’udienza preliminare.

Se l’imputato legittimato a chiedere rito abbreviato opti per una richiesta semplice, quindi non condizionata,
comincia quindi questo giudizio sull’ammissione del giudizio abbreviato al termine del quale, ove abbia avuto
esito positivo ed esso sia stato pronunciato con ordinanza, il giudice valuterà se sia possibile o meno decidere
allo stato degli atti: ove sia possibile farlo pronuncia a seconda dei casi sentenza di assoluzione o di condanna
con la diminuzione di pena di 1/3 se si procede per un delitto e di 1/2 se si procede per una contravvenzione,
l’ergastolo diventa reclusione pari ad anni 30 mentre l’ergastolo con isolamento diurno diventa ergastolo… in
questi casi sebbene si seguano le disposizioni relative all’udienza preliminare, si fa eccezione per quella relativa
alla modifica dell’imputazione. Qualora invece non sia possibile decidere allo stato degli atti, il giudice ex art.
441.5 dispone su richiesta di parte o d’ufficio integrazione probatoria ed assume gli elementi necessari ai fini
della decisione nelle forme previste ex art. 422, per cui l’audizione delle persone sarà condotta di regola da lui
personalmente, tenendo conto del fatto che però PM e difensori gli possono chiedere di porre determinate
domande. Logicamente in questi casi, venendo disposta integrazione probatoria, verrà reso eccezionalmente
applicabile l’art. 423, per cui il p.m., ove lo ritenga necessario, potrà modificare l’imputazione ed effettuare
nuove contestazioni in udienza: alla contestazione del fatto diverso, sia esso un reato connesso o una circostanza
aggravante, da parte di quest’ultimo corrisponde il diritto sancito ex art. 441bis.1 dell’imputato a chiedere, ove
lo ritenga per sé opportuno, che si proceda nelle forme ordinarie entro il termine a difesa discrezionalmente
indicato dal giudice… pertanto egli potrà scegliere se continuare con il rito ordinario o comunque proseguire con
quello abbreviato. Dal momento in cui opti per proseguire con il rito ordinario, non sarà più possibile chiedere
nuovo giudizio abbreviato e il giudice revocherà l’ordinanza con cui aveva disposto il giudizio abbreviato e fisserà
l’udienza preliminare o la prosecuzione della stessa… in caso contrario se invece non chieda che il processo
prosegua nelle forme ordinarie ma con quelle del giudizio abbreviato, l’imputato può chiedere l’ammissione di
nuove prove anche non necessarie né compatibili con le finalità di economia processuale del rito, limitatamente
però alla nuova contestazione con conseguente richiesta di ammissione da parte del p.m. della prova contraria
nonché eventuale assunzione d’ufficio da parte del giudice di prove assolutamente necessarie ai fini della
decisione. Dopo aver ascoltato le parti e raccolto gli elementi necessari, il giudice sollecita le parti a presentare le
proprie conclusioni e decide: più precisamente terminata la discussione, egli redige la sentenza secondo le
norme per il dibattimento alla luce degli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari, delle prove
assunte in udienza e eventualmente degli atti delle indagini espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio
[investigazioni difensive]. Nel caso di condanna la pena, tenendo conto di tutte le circostanze, è diminuita di 1/3
se si procede per un delitto e di 1/2 se si procede per una contravvenzione, l’ergastolo diventa reclusione pari ad
anni 30 mentre l’ergastolo con isolamento diurno diventa ergastolo.
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Dal momento in cui invece l’imputato legittimato a chiedere rito abbreviato ex art. 438.5 subordini la propria
richiesta ad un’integrazione probatoria, bisogna fare delle precisazioni: in primo luogo l’imputato dovrà indicare
nella richiesta stessa quali sono i mezzi di prova di cui si chiede l’ammissione… il giudice senza disporre
automaticamente il giudizio abbreviato valuterà poi se tale integrazione sia necessaria ai fini della decisione e sia
compatibile con le finalità di economia processuale del rito stesso: se la richiesta condizionata viene accolta, si fa
luogo a giudizio abbreviato con assunzione delle prove indicate dall’imputato ed eventuale conseguente
richiesta di ammissione da parte del p.m. della prova contraria… se invece la richiesta condizionata viene
rigettata, diverse sono le strade possibili poste… due dalla riforma Orlando in virtù della quale l’imputato può
proporre, in via subordinata al rigetto della richiesta condizionata, una richiesta d’integrazione probatoria non
condizionata [in caso di ulteriore rigetto si avrà rito abbreviato semplice] o il patteggiamento [in caso di rigetto il
giudice si accerta del consenso del p.m.]… altra via prevede invece per l’imputato che abbia presentato solo la
richiesta condizionata, di poter reiterare la richiesta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo grado [in questo caso il giudice del dibattimento prende visione degli atti contenuti nel fascicolo del PM
per verificare se vi è necessità di assumere le prove richieste; in caso di risposta positiva è instaurato giudizio
abbreviato]. Nella prassi, inoltre, vi è la tendenza a inserire la richiesta di rito abbreviato in via subordinata al
mancato accoglimento della richiesta di patteggiamento da parte del PM, cosa che non è stata però ripresa dal
legislatore nella riforma Orlando. Ad ogni modo, se il giudice solo al termine del dibattimento accerta che
sussistevano i presupposti per accogliere la richiesta dell’imputato, deve applicare la riduzione della pena.

Nel giudizio abbreviato la parte civile pur avendo un qualche ruolo, manca di un vero e proprio diritto alla prova:
nel momento in cui il giudice dispone tale rito semplificato essa è chiamata a decidere se accettarlo o meno,
tanto espressamente quanto implicitamente… qualora lo accetti non potrà esercitare l’azione risarcitoria nel
processo civile, essendo quest’ultimo sospeso fino alla sentenza penale irrevocabile e nei suoi confronti scatterà
l’ordinaria efficacia del giudicato di condanna o di assoluzione… se invece decida di rifiutare l’abbreviato ciò
permetterà alla parte civile di esercitare immediatamente l’azione risarcitoria davanti al giudice civile, non
essendo sospeso il relativo processo e nei suoi confronti la sentenza di assoluzione irrevocabile non avrà
efficacia di giudicati, mentre in merito a quella di condanna la parte civile dovrà decidere se accertarne o no gli
esiti.

Tonini sinteticamente ci parla dei giudizi abbreviati atipici, alludendo alla possibilità data all’imputato di chiedere
il giudizio abbreviato quando sono disposti riti speciali che eliminano l’udienza preliminare, quali ad esempio il
giudizio direttissimo o anche il giudizio immediato e ancora il procedimento per decreto, esattamente nel
momento in cui essi stessi sono instaurati.

Come abbiamo solamente accennato, il giudice si pronuncia in merito all’ammissione del giudizio abbreviato
eventualmente anche alla luce degli atti delle investigazioni difensive… infatti all’inizio dell’udienza preliminare i
difensori dell’imputato e della parte civile possono ex art. 421.3 chiedere l’ammissione di atti e documenti, tra
cui vi può essere la documentazione delle investigazioni difensive, in modo che una volta ammessa dal giudice
possa diventare utilizzabile per la decisione sul rinvio a giudizio. Ad ogni modo, quando l’imputato chiede il
giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il p.m. può valutare il
quadro probatorio non sufficiente per tale rito ed in questa ipotesi, sulla base di quanto affermato già in
precedenza dalla Corte Costituzionale, con la riforma Orlando l’accusa ha il diritto alla prova contraria… pertanto
il p.m. può chiedere un termine max. di 60 gg. per fare indagini suppletive ed il giudice è tenuto a sospendere la
decisione sull’ammissione del rito abbreviato fino al suo decorrere, successivamente sempre grazie alla riforma
Orlando la parola passa poi alla difesa che alla richiesta di indagini suppletive può decidere se revocare o meno
la richiesta di giudizio abbreviato.

In ultima battuta, occorre soffermarsi sulla tematica delle impugnazioni delle sentenze emanate in seguito al
giudizio abbreviato: per esse valgono le disposizioni generali in materia d’impugnazione [infatti la decisione
finale del giudizio abbreviato è assimilabile a quella dibattimentale e valgono gli stessi termini] e di appello, a
meno che non sia proprio il codice, tanto implicitamente quanto espressamente, a prevedere delle deroghe…
infatti il codice prevede delle limitazioni per quanto riguarda l’appellabilità di alcune sentenze, o meglio più
precisamente prevede l’inappellabilità per le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena
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dell’ammenda come pena originaria e non sostitutiva dell’ammenda ed anche le sentenze di proscioglimento
relative a contravvenzioni punite in astratto con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa. Ovviamente
le sentenze non appellabili, sono ricorribili per Cassazione. Passando a quella che è l’attuale disciplina, costellata
da innumerevoli riforme, due sono i soggetti legittimati:

L’imputato Il pubblico ministero


Può appellare: Può impugnare:
• la sentenza di condanna; • le sentenze di proscioglimento con qualsiasi
• le sentenze di assoluzione per difetto di formula;
imputabilità derivante da vizio totale di • la sentenza di condanna solo quando il
mente. giudice ha modificato il titolo di reato.
Di regola non può appellare: Di regola non può appellare:
• le sentenze di proscioglimento. • contro la sentenza di condanna.

Per quanto concerne il procedimento, l’appello si svolge in camera di consiglio e in base ai due principi cardine
sanciti dalla giurisprudenza il giudice può eventualmente assumere d’ufficio nuove prove qualora ritenga
assolutamente necessario farlo e quando il pubblico ministero impugna l’assoluzione disposta all’esito del
giudizio abbreviato, la corte di appello può affermare la responsabilità dell’imputato operando una diversa
valutazione delle prove dichiarative decisive se vi è stato l’esame delle persone che abbiano reso tali
dichiarazioni. Avendo esaurito tutti gli argomenti riguardanti al giudizio abbreviato che negli ultimi anni ha
dimostrato di avere tante potenzialità considerato che, pur trattandosi di una scelta al buio quella dell’imputato,
nella peggiore delle ipotesi gli consente comunque di avere una pena scontata, passiamo ad analizzare
l’applicazione della pena su richiesta delle parti che è invece una scelta fatta in piena consapevolezza essendo il
quantum stesso determinato e richiesto da accusa e difesa in accordo tra loro, ma procediamo per gradi. L’
applicazione della pena su richiesta delle parti, disciplinata ex art. 444-448 e meglio nota come patteggiamento,
è quel rito speciale che, omettendo il dibattimento e quindi l’assunzione delle prove dietro consenso
dell’imputato, consente al giudice di applicare con sentenza nei suoi confronti una pena da lui stesso stabilita
[ovviamente assistito dal difensore] in accordo con il pubblico ministero diminuita fino a un terzo dopo che è
stato effettuato il computo delle circostanze, proprio in virtù dell’accordo, cosa che ovviamente funge da
incentivo a servirsi di tale strumento. Ovviamente il giudice non può disporla automaticamente, ma sarà tenuto
controllare oltre alla correttezza della qualificazione giuridica del fatto anche la congruità della pena richiesta…
qualora tale controllo abbia esito positivo egli deciderà allo stato degli atti, sulla base del fascicolo delle indagini
e dell’eventuale fascicolo del difensore contenente la documentazione delle investigazioni difensive, con
sentenza di regola inappellabile, ma ad ogni modo ricorribile per Cassazione, se accettare o meno il
patteggiamento “con scelta secca” non potendo in alcun modo modificare l’accordo preso tra le parti. In seguito
alle modifiche apportate con la legge n. 134 del 2003, abbiamo due tipi di patteggiamento: il patteggiamento
tradizionale, che è quello presente nel codice dal 1988, e quello allargato, introdotto appunto con questa legge…
entrambi presentano una disciplina comune in termini di procedimento ed effetti, ma differiscono in merito ai
requisiti per porli in essere ed ai benefici che apportano a chi se ne avvale. Analizziamo prima quest’ultima
differente disciplina, per poi passare a quella comune.

Patteggiamento tradizionale Patteggiamento allargato


Cosa permette di fare di accordarsi su di una sanzione di accordarsi su di una sanzione
all’imputato e al p.m.? sostitutiva… o pecuniaria oppure su sostitutiva… o pecuniaria oppure su
di una pena detentiva che, al netto di una pena detentiva che, ridotta
Quali sono i requisiti per della riduzione fino a un terzo, non fino a un terzo, da 2 anni e un giorno,
porla in essere? superi in quest’ultimo caso i 2 anni non superi i 5 anni di pena detentiva
sola o congiunta a quella pecuniaria, sola o congiunta con pena
mentre per l’altra non c’è alcun tetto pecuniaria, mentre per l’altra non
massimo ex art. 445. c’è alcun tetto massimo ex art. 444.1.
In che casi si può applicare? • ai reati gravi, quali mafia e Fatte salve le cause di esclusione ex
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terrorismo; art. 441.1bis, in virtù del quali non
• ai delinquenti abituali, possono essere oggetto di
professionali, per tendenza e patteggiamento allargato i delitti di
recidivi reiterati. associazione mafiosa e assimilati
delitti di violenza sessuale e
Per quanto concerne, a conti fatti, il assimilati o verso coloro che sono
patteggiamento allargato, vi delinquenti abituali professionali, per
rientrano almeno in astratto, il tendenza o recidivi reiterati, sono
tentato omicidio, il peculato, la diversi i casi in cui si può avere
concussione, la rapina a mano patteggiamento: si tratta di tutti quei
armata… ma procediamo per gradi. reati per i quali la pena da
concordare, prima di operare la
riduzione fino a ⅓, si colloca fino a 7
anni e 6 mesi, e, ove le attenuanti
prevalgano sulle aggravanti, sono
teoricamente negoziabili reati
punibili con una pena base fino a 11
anni di reclusione.

Per quanto concerne invece i benefici se nel patteggiamento allargato, in ossequio alla riforma avvenuta nel
2003, non possono ex art. 445 esserne previsti di uguali a quelli del patteggiamento tradizionale: si avrà lo
sconto fino ad 1/3 e la non menzione della condanna nei certificati chiesti dai privati. Non ci resta che analizzare
i benefici nel patteggiamento tradizionale, i quali hanno un peso notevole, basti pensare alla riduzione fino ad
1/3 della pena… ne abbiamo anche però altri per l’imputato che:

1. può chiedere di subordinare la validità dell’accordo preso alla sospensione condizionale della pena,
quindi potrà goderne ove il giudice accolga la sua richiesta altrimenti dovrà addirittura rinunciare al
patteggiamento;
2. in seguito alla sentenza non è condannato al pagamento delle spese del procedimento penale, ma delle
eventuali spese di mantenimento della custodia cautelare e delle spese di giustizia;
3. non si vedrà con la sentenza che applica la pena applicate pene accessorie;
4. non si vedrà con la sentenza che applica la pena applicate misure di sicurezza, sia essa obbligatoria o
anche facoltativa in seguito alla riforma avvenuta nel 2003;
5. si vedrà il reato estinto ove non commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole
rispettivamente entro 5 o 2 anni.

Passiamo ora alla disciplina comune ad entrambi i tipi di patteggiamento. L’iniziativa in merito al
patteggiamento, sia esso tradizionale o allargato, può aversi tanto dall’imputato quanto dal difensore munito di
procura speciale ed ovviamente anche dal PM… ove però la richiesta sia unilaterale, il giudice fisserà un termine,
entro cui la richiesta è irrevocabile, in modo che l’altra parte esprima un eventuale consenso. Come abbiamo
accennato il patteggiamento non è altro che il frutto di un accordo tra l’accusa e la difesa, accordo che può
aversi ex art. 447 nel corso dell’udienza preliminare, in modo che l’imputato abbia piena conoscenza dell’intero
fascicolo ed abbia una strategia difensiva, per poi fare richiesta entro il momento in cui siano presentate le
conclusioni oppure al termine della nuova udienza fissata con ordinanza per l’integrazione delle indagini… la
richiesta di patteggiamento nel nostro ordinamento non equivale assolutamente ad ammettere la propria reità,
bensì è mera espressione della rinuncia a difendersi, in quanto si vogliono ad es. evitare i costi o la pubblicità del
dibattimento. Ovviamente, la richiesta non è accolta in automatico: infatti tanto il Pubblico Ministero quanto il
giudice hanno una discrezionalità vincolata nel valutarla… più precisamente il p.m. può dissentire rispetto ad una
richiesta di accordo formulata dall’imputato, ma deve comunque enunciare le ragioni di un eventuale rigetto
[spesso assimilabili ad una pena troppo esegua o perché non è stato correttamente qualificato il fatto] da cui
deriverà l’impossibilità per il giudice di decidere su tale richiesta che si presenta quindi in fin dei conti come
unilaterale… passando invece proprio alla figura del giudice, quest’ultimo deve valutare legittimità e fondatezza

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dell’accordo delle parti sulla base di tutti gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini, stabilendo se la pena da
loro indicata sia congrua… svolgendo quindi un controllo di carattere sostanziale, in cui non si limita ad
esercitare una funzione meramente “notarile” di recepimento della volontà delle parti, per poi decidere se
accogliere o rigettare la pena concordata richiesta dalle parti. Il giudice può infatti prendere tre decisioni ex art.
444.2:

1. disporre con sentenza l’applicazione della pena richiesta dalle parti, ove la pena sia congrua e sia
corretta la qualificazione giuridica del fatto;
2. rigettare con ordinanza la richiesta e disporre che si proceda con rito ordinario, ove la pena non sia
congrua e sia scorretta la qualificazione giuridica del fatto;
3. prosciogliere l’imputato mediante sentenza ricorrendo alla formula terminativa adatta, ove ricorra una
delle cause di non punibilità previste ex art. 129 [e quindi se il fatto non sussista… oppure che non sia
stato commesso dall’imputato… o che addirittura non costituisca reato o non sia previsto dalla legge
come tale… o ancora ove il reato sia estinto o manchi una condizione di procedibilità] o quindi
differentemente dal dibattimento, detto in parole povere, solo se effettivamente vi siano prove di
innocenza… dal momento in cui infatti vi sia anche il minimo dubbio sulla reità dell’imputato, il giudice
deve emanare sentenza di patteggiamento disponendo la pena concordata. È opportuno che sia data la
possibilità al giudice di prosciogliere l’imputato, anche se si sia perfezionato il patteggiamento, perché,
non equivalendo una richiesta ad esso relativa nel nostro ordinamento a confessare, bensì è una mera
espressione della rinuncia a difendersi per motivi ben lontani dall’ammettere la propria reità questo
come ad esempio evitare i costi o la pubblicità del dibattimento, anche per questo una volta rigettata
dal p.m. o comunque dal giudice, non può in alcun modo essere utilizzata nella motivazione di una
successiva sentenza per dimostrare la reità dell’imputato a cui è rivolta..
Differentemente dall’abbreviato, nel patteggiamento la parte civile è realmente sacrificata… difatti ex art. 444.2
quando il giudice accoglie la relativa richiesta fatta dalle parti non può decidere relativamente anche a quella
eventualmente posta sul risarcimento del danno, per cui la parte civile è costretta a dover avviare l’azione in
sede civile... può però condannare l’imputato al pagamento delle spese processuali sostenute da quest’ultima, a
meno che non sussistano giusti motivi di compensazione totale o parziale.

Vi sono dei casi espressamente previsti per legge, come ad es. alcuni reati tributari concernenti la dichiarazione
dei redditi o i delitti contro la P.A., per cui è ammesso patteggiamento solo se l’imputato ha restituito il prezzo o
il profitto del reato. Infine, i provvedimenti di patteggiamento non devono essere riportati nel certificato
generale del casellario giudiziale richiesto da un interessato.

Ad oggi uno dei problemi maggiormente dibattuti relativi al patteggiamento riguarda la natura della sentenza
con cui si applica la pena richiesta dalle parti, per la presenza di numerose conflittualità tra la componente
negoziale [potere dispositivo delle parti] e quella giurisdizionale [doveri accertativi del giudice] del suddetto rito
con i principi costituzionali… una soluzione potrebbe essere conciliare queste due componenti, ma il legislatore
non ha provveduto a fissare con chiarezza un punto di equilibrio tra loro. Il problema sta essenzialmente nel
come interpretare l’art. 445.1bis, in cui si afferma che salvo diversa disposizione di legge la sentenza con cui si
applica la pena su richiesta è equiparata ad una pronuncia di condanna… abbiamo infatti 3 tesi interpretative,
diverse a seconda del fatto che la sentenza di patteggiamento contenga un accertamento pieno incompleto o
addirittura non lo preveda proprio.

1. Qualora si voglia intendere la sentenza di patteggiamento come un qualcosa che non contenga proprio
un accertamento, fatta quindi a prescindere da quest’ultimo, parlando in questi termini significa andar
palesemente contro i principi cardine della nostra Costituzione: non solo il principio indisponibile della
libertà personale, ma anche e specialmente quello in virtù del quale nulla poena sine iudicio in quanto si
viene a creare un’ipotesi in cui, pur essendo l’imputato presunto innocente, gli si va ad applicare una
condanna senza che la sua responsabilità sia stata effettivamente accertata, cosa che, come sappiamo,
non è assolutamente concepibile nel nostro sistema [perché il giudice deve necessariamente compiere
un accertamento giudiziale sulla responsabilità dell’imputato, in quanto senza che vi sia stato

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quest’ultimo può essere irrogata non nessuna pena] e pertanto nemmeno un’interpretazione del
genere potrà esserlo.
2. Qualora invece si voglia intendere la sentenza di patteggiamento come un qualcosa che contenga un
accertamento pieno, anche tale interpretazione sarebbe da bocciare, essendo infatti questo
provvedimento frutto di un’assai scarna integrazione probatoria che fugge, per espressa previsione di
legge, dalla completezza… per questo essa non ha effetti extra-penali né in ambito amministrativo né
tanto meno in quello civile.
3. Qualora invece si voglia intendere la sentenza di patteggiamento come un qualcosa che contenga un
accertamento incompleto, allora sì che tale interpretazione è da accogliere: Tonini infatti, sulla scia di
quanto già affermato da Conti, ritiene che l’art. 445.1bis, nell’affermare l’equiparazione tra sentenza di
patteggiamento e quella di condanna, non voglia propriamente qualificarla come tale, bensì ciò
starebbe a significare che lo è, ma solo per alcuni effetti… e quindi effettua sostanzialmente quello che
è un accertamento incompleto e parziale della responsabilità penale dell’imputato, compatibile con i
principi costituzionali tanto del contradditorio, derogato per mezzo del consenso dell’imputato
richiedente il rito, quanto del principio nulla pena sine iudicio, considerato che l’accertamento c’è, ma
ha qualcosa in meno rispetto ad uno pieno tipico della sentenza di condanna.
Possiamo quindi concludere dicendo che sostanzialmente vi è differenza tra la sentenza di condanna e la
sentenza di patteggiamento… ed essa sta nel diverso grado di approfondimento da parte del giudice che
rispettivamente nella prima attua un accertamento pieno, mentre nell’altra uno incompleto.

Come abbiamo già accennato, la richiesta di patteggiamento può tanto essere accolta quanto rigettata: fino ad
ora abbiamo però parlato sempre in positivo, non ci resta quindi che analizzare cosa accade in caso contrario… in
primo luogo quella fatta dall’imputato al pubblico ministero può essere dissentita da quest’ultimo ed in secondo
luogo anche la loro concorde richiesta può esser rigettata dal giudice per i motivi più vari ricorrendo ad
un’ordinanza. Ad ogni modo, in presenza di queste ipotesi, il patteggiamento non verrà ovviamente perseguito e
si procederà obbligatoriamente con le forme ordinarie, anche se tuttavia all’imputato è concesso di rinnovare la
sua richiesta oppure di farne una diversa prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e a questo punto:

➢ se il p.m. acconsente, il giudice può valutare questa richiesta e, ove la ritenga fondata, pronunciare
immediatamente sentenza di patteggiamento ex art. 448.1;
➢ se invece non acconsente, il giudice potrà pronunciarsi sul patteggiamento solo dopo la chiusura del
dibattimento considerato che solo in questo momento, alla luce delle prove raccolte, sarà
effettivamente in grado di valutare le ragioni del dissenso del pubblico ministero, al quale è
eccezionalmente concesso di appellare la sentenza, avendo già preventivamente dissentito a che fosse
disposto il patteggiamento, in deroga al principio dell’inappellabilità della sentenza di patteggiamento
ex art. 448.2;
➢ Tra l’altro ex art. 448.2 l’imputato può impugnare l’ordinanza di rigetto della richiesta di patteggiamento
insieme alla sentenza di condanna, qualora ritenga ingiustificato il rigetto da parte del giudice di primo
grado in modo da vedersi applicata la pena concordata grazie ad una nuova sentenza emanata dal
giudice delle impugnazioni.
Nel corso degli anni dal diritto di difendersi provando, oggi però, con l'esigenza di dover dare ai processi una
ragionevole durata, si è passati ad un nuovo diritto riconosciuto all'imputato, sia da p.m. che giudice, che è
quello di difendersi negoziando e ne è un esempio proprio l'accordo sulla quantità della pena con i conseguenti
incentivi di carattere sostanziale.

Come abbiamo già accennato, la sentenza di patteggiamento è di regola inappellabile, ma ad ogni modo
ricorribile per Cassazione dall’imputato e dal p.m. ex art. 568.2… però con la riforma Orlando è stato inserito un
altro comma a questo articolo, esattamente il 2bis, in cui è previsto che si possa ricorrere soltanto per motivi
attinenti all’espressione di volontà dell’imputato, per motivi attinenti al difetto di correlazione tra richiesta e
sentenza, per motivi attinenti all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed infine per motivi attinenti
all’illegalità della pena o della misura di sicurezza.

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Avendo esaurito tutti gli argomenti riguardanti il patteggiamento, passiamo ad analizzare il giudizio immediato,
un rito speciale disciplinato agli articoli 453-458 c.p.p. con cui si omette l’udienza preliminare, sacrificando il
diritto al controllo giurisdizionale sulla necessità del rinvio a giudizio, per passare dalle indagini preliminari
direttamente alla fase dibattimentale o perché è proprio l’imputato consensualmente a volervi rinunciare ex art.
453.3, oppure perché, senza il suo consenso, è il pubblico ministero a farne richiesta al giudice ex art. 453.1…
abbiamo infatti due tipologie molto diverse tra loro di giudizio immediato.

➢ Il giudizio immediato chiesto dall’imputato, introdotto con il codice del 1988 ed oggi previsto ex art.
453.3, nel rispetto dei principi del sistema accusatorio, viene appunto richiesto da quest’ultimo,
potendo questi tradizionalmente rinunciare al controllo giurisdizionale sulla necessità del rinvio a
giudizio che gli spetta di diritto, soltanto dopo che il p.m. abbia formulato l’imputazione ed il giudice
abbia fissato l’udienza preliminare, permettendo quindi al difensore di prendere visione del fascicolo
degli atti di indagine, mediante apposita richiesta che dovrà essere presentata nella cancelleria del
giudice almeno 3 gg. prima dell’udienza preliminare per poi essere obbligatoriamente notificata al p.m.
e alla persona offesa. Contestualmente a tale richiesta, l’imputato perderà la possibilità di ottenere il
rito abbreviato o il patteggiamento ed essendo la sua scelta libera ed insindacabile, nonché determinata
dai più vari motivi, il giudice sarà obbligato a disporre il giudizio immediato.
➢ Il giudizio immediato chiesto dal pubblico ministero, ex art. 453.1, deve essere richiesto da quest’ultimo
al gip senza il consenso dell’imputato, con il decreto-legge sicurezza n.92 del 2008, non più solo quando
siano state raccolte prove di evidente reità, ma anche quando è stata applicata una misura cautelare di
tipo custodiale a meno che ciò non pregiudichi gravemente le indagini [come vedremo, quando è
applicata una misura cautelare di tipo custodiale il giudice è tenuto a disporre il rito immediato senza
margini di discrezionalità, mentre in presenza di prove di evidente reità il giudice è tenuto a fare una
valutazione più penetrante sulla richiesta avanzata dal p.m. sulla base di quanto contenuto nel fascicolo
delle indagini preliminari e senza che sia data possibilità di contraddire all’imputato, decide quindi
inaudita altera parte e per questo si pone in netta tensione con i principi del sistema accusatorio].
Avremo quindi un ipotesi tradizionale di giudizio immediato ed una custodiale, prima di analizzarle nel
dettaglio però dobbiamo fare riferimento ad un caso in cui il p.m. ha qualche remora a chiedere giudizio
immediato, ovvero quando vi sono procedimenti connessi e non tutti presentino i presupposti
legittimanti la richiesta… a primo acchito una soluzione potrebbe essere quella di separare i
procedimenti e chiedere il suddetto rito solo nei confronti di quelli legittimati, ma ciò potrebbe
compromettere gravemente le indagini, inducendo a procedere rimanendo i procedimenti uniti secondo
le forme del rito ordinario ex art. 453.2. Passiamo quindi alle due ipotesi di giudizio immediato ad opera
del pubblico ministero.
a) Il giudizio immediato tradizionale, che si caratterizza per la brevità delle indagini unita all’evidenza della
prova di reità, affinché possa essere richiesto al gip dal p.m. dovranno sussistere due presupposti:
1. La prova deve apparire evidente, quindi dovranno già esistere elementi idonei a sostenere l’accusa
in giudizio;
2. La persona sottoposta alle indagini deve essere stata interrogata sui fatti dai quali emerge
l’evidenza della prova o comunque essere stata invitata a presentarsi per rendere l’interrogatorio e
la stessa abbia omesso di comparire sempre che non sia stato addotto un legittimo impedimento e
non si tratti di persona irreperibile;
3. Che non siano decorsi più di 90 gg dall’iscrizione della notizia di reato nell’apposito registro.
b) Il giudizio immediato custodiale, che si caratterizza per la durata considerevole delle indagini unita
all’esistenza di gravi indizi di reità dell’indagato, in base a quanto sancito con il decreto-legge sicurezza
n. 92 del 2008, deve essere obbligatoriamente richiesto al gip dal p.m., a meno che non sussistano gravi
pregiudizi per le indagini ovviamente, quando è applicata una misura cautelare custodiale. Analizziamo
precisamente i presupposti che dovranno sussistere:
1. Prima di tutto al momento della richiesta fatta dal p.m. l’indagato deve essere in stato custodiale,
quindi trovarsi in carcere oppure ai domiciliari o ricoverato in casa di cura e custodia, per il
medesimo reato per cui è chiesto rito immediato… considerato che ex art. 455.1bis qualora

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sopravvenga l’insussistenza dei gravi indizi di reità dell’indagato e quindi venga revocata o annullata
la custodia cautelare la richiesta dovrà essere rigettata dal gip, lo stato di custodia cautelare [quale
valutazione dei gravi indizi di reità] dovrà permanere al momento della richiesta di giudizio
immediato al gip… mentre è irrilevante che ci sia o meno al momento della decisione del giudice,
perché solo l’averla applicata presuppone che vi sia stato il controllo su una situazione probatoria
dalla quale è possibile ricavare a reità dell’indagato;
2. Inoltre, la custodia cautelare deve aver raggiunto un determinato grado di stabilità, essendo stata
confermata dalla decisione in sede di riesame del tribunale della libertà oppure quando siano
decorsi i termini per la proposizione di tale rimedio;
3. Ancora, non dovranno essere decorsi 180 gg dall’esecuzione della misura cautelare;

Il gip ex art. 454.2 è chiamato a decidere sulla richiesta di rito immediato custodiale o tradizionale fatta dal p.m.
segretamente ed in base al fascicolo delle indagini preliminari: questi pertanto, in netta tensione con i principi
del sistema accusatorio, decide inaudita altera parte [e quindi senza ascoltare la difesa, non consentendole di
difendersi] e in base ad elementi conoscibili dal difensore della difesa solo parzialmente a prescindere dal fatto
che possa avere discrezionalità o meno… infatti quando è applicata una misura cautelare di tipo custodiale il
giudice è tenuto a disporre il rito immediato senza margini di discrezionalità, mentre in presenza di prove di
evidente reità il giudice è tenuto a fare una penetrante valutazione sulla richiesta avanzata dal pubblico
ministero.

Andando più a fondo per quanto concerne il controllo operato dal gip, questi dopo aver consultato gli atti
contenuti nel fascicolo può ex art. 455 rigettare la richiesta o accoglierla con decreto non motivato:

➢ se non ritiene sussistenti i presupposti previsti ex art. 453 ovviamente rigetterà la richiesta per poi
restituire gli atti al pubblico ministero;
➢ se invece li ritiene esistenti accoglierà la richiesta e provvederà a disporre il rito per poi formare il
fascicolo per il dibattimento.

Il decreto ex art. 456.3 va poi comunicato al p.m. e notificato alle parti e al difensore almeno 30 gg prima dalla
data del giudizio, i quali hanno facoltà di prendere visione ed estrarre copia degli atti del fascicolo trasmesso dal
p.m. con la richiesta di giudizio immediato... L’imputato è avvisato inoltre che può chiedere entro 15 gg
dall’ultima notificazione intervenuta [sia quella per la comunicazione del decreto o per avvisare il difensore] il
giudizio abbreviato o fare richiesta di patteggiamento e, ove vengano fatte, deciderà il GIP: ove le accolga
nessun problema, ma in caso di rigetto, l’imputato potrà rinnovarle prima dell’apertura del dibattimento.

Tonini si sofferma sull’ipotesi in cui disposto l’immediato, l’imputato chieda l’abbreviato: tale abbreviato è
definito atipico e, come già accennato, la relativa richiesta deve essere fatta ex art. 458.1 a pena decadenza
entro 15 gg. decorrenti precisamente dalla notificazione del decreto di giudizio immediato… così facendo ex art.
438.6bis [riforma Orlando] si determina la sanatoria delle nullità a patto che non siano assolute e la non
rilevabilità delle inutilizzabilità a patto che non si tratti di violazioni dei divieti probatori, mentre ex art. 458.1
rimane in piedi la possibilità di eccepire l’incompetenza per territorio non essendoci in questo caso stato alcun
contatto tra imputato e giudice in cui far valere l’incompetenza. Ai sensi dell’art. 458.2 se la richiesta è
incondizionata il giudice dispone immediatamente il rito, se è invece condizionata il giudice deve fissare con
decreto un udienza in camera di consiglio in modo che essa possa essere valutata dandone comunicazione alle
parti almeno 5 gg prima: ovviamente e se il giudice opterà per rigettarla, l’imputato può rinnovarla prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado… se invece opterà per accoglierla, il giudice disporrà
con ordinanza il rito abbreviato per cui si osserveranno le forme previste per l’udienza preliminare a meno che il
p.m. non modifichi l’imputazione e l’imputato chieda di proseguire il processo con le forme ordinarie, caso in cui
il giudice deve revocare l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissare l’udienza per il
giudizio immediato.

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Avendo esaurito tutti gli argomenti riguardanti il giudizio immediato, passiamo ad analizzare un rito speciale per
alcuni versi simile ad esso considerato che anche qui c’è bisogno dell’iniziativa del p.m. affinché possa aversi: il
giudizio direttissimo che, disciplinato agli articoli artt. 449-452 c.p.p., consente di omettere l’udienza
preliminare, in modo da passare dalle indagini preliminari direttamente alla fase dibattimentale. Come abbiamo
già accennato, ruolo centrale in questo rito è rivestito dal p.m., il quale, in base a quanto sancito con il decreto-
legge [o anche pacchetto] sicurezza del 2008, è tenuto a disporlo obbligatoriamente in alcuni casi, in altri invece
facoltativamente, ovviamente sempre che ciò non comporti dei gravi pregiudizi per le indagini. In totale le
ipotesi sono tre, due obbligatorie ed una facoltativa… vediamole.

1. La prima ipotesi in cui il p.m. deve obbligatoriamente procedere con giudizio direttissimo, è quella in cui
ex art. 449.4 l’indagato è stato arrestato in flagranza di reato e l’arresto è stato convalidato dal GIP. In
questo caso la giurisprudenza chiede un’ulteriore condizione di ammissibilità, ossia che all’arrestato
debba essere stata applicata una misura cautelare custodiale, in quanto il p.m. instaurerà il rito
direttissimo facendo condurre l’imputato in udienza entro 30 gg. dall’arresto.
2. La seconda ipotesi in cui il p.m. deve obbligatoriamente procedere con giudizio direttissimo, è quella in
cui ex art. 449.5 l’indagato abbia reso confessione all’autorità giudiziaria nel corso di un interrogatorio…
in questo caso l’imputato libero è citato a comparire in udienza entro 30 gg. dall’iscrizione nel registro
delle notizie di reato.
3. La terza ed unica ipotesi in cui il p.m. può facoltativamente procedere con giudizio direttissimo, è quella
in cui ex art. 449.1 intende chiedere al giudice del dibattimento la convalida dell’arresto in flagranza,
conducendo l’arrestato in aula dibattimentale non oltre 48h dall’arresto… In questo caso quindi la
convalida è un presupposto del rito, ove il giudice la confermi il si potrà procedere con il direttissimo
mentre in sua mancanza due sono le vie possibili… o il direttissimo non ha luogo, gli atti vengono rimessi
al p.m. e si procede nelle forme ordinarie oppure ove siano presenti i requisiti mediante giudizio
immediato, o ancora, può aversi direttissimo se ex art. 449.2 vi acconsentano sia p.m. che imputato.

In merito all’iniziativa del p.m., anche qui come nell’immediato, il p.m. ha qualche remora a chiedere giudizio
direttissimo quando vi sono procedimenti connessi e non tutti presentino i presupposti legittimanti la richiesta…
a primo acchito una soluzione potrebbe essere quella di separare i procedimenti e chiedere il suddetto rito solo
nei confronti di quelli legittimati, ma ciò potrebbe compromettere gravemente le indagini, inducendo a
procedere rimanendo i procedimenti uniti secondo le forme del rito ordinario ex art. 453.2. Il p.m. nel
direttissimo oltre ad avere tale potere d’iniziativa, è poi sempre tenuto non solo ad istaurare il rito nelle diverse
forme previste a seconda della condizione in cui si trovi l’imputato…

• Ove l’imputato si trovi in stato di arresto o di custodia cautelare, ex art. 451.4 fa in modo che esso sia
condotto direttamente in udienza dove gli viene contestata oralmente l’imputazione…
• Ove l’imputato sia libero o sottoposto a misure cautelari non custodiali, ex art. 450.2/3 fa in modo che
gli sia notificata una citazione a comparire contenente l’imputazione addebitatagli…
ma anche a formare il fascicolo del dibattimento, che sarà poi trasmesso alla cancelleria del giudice competente.

La caratteristica principale del direttissimo è che nel passare direttamente al dibattimento, non solo si omette
l’udienza preliminare, ma anche la sotto fase degli atti preliminari al dibattimento: non esistono quindi liste
testimoniali e la persona offesa e i testimoni possono essere citati anche oralmente dagli ufficiali e gli agenti di
PG, mentre p.m. imputato e parte civile possono presentare nel dibattimento i testimoni senza citazione. Il
giudizio direttissimo si svolge poi controllando che vi sia stata regolare costituzione delle parti, per poi passare
alle questioni preliminari tra cui va assolutamente ricordata la possibilità che imputato ha di chiedere la
sospensione del processo con messa alla prova… oltre a tale possibilità, l’imputato ne ha anche altre, di cui però
deve essere avvertito: ricordiamo ad esempio che, una volta disposto il direttissimo, egli può chiedere prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento l’abbreviato o il patteggiamento, nonché di chiedere un termine
max. di 10 gg. per preparare la difesa con conseguente sospensione del dibattimento fino alla scadenza dello
stesso.

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Tonini si sofferma anche in questo caso sull’ipotesi dell’abbreviato atipico, quindi quel peculiare tipo di rito
abbreviato disposto ex art. 452.2 per volontà dell’imputato dopo che lo sia stato il direttissimo: questi è tenuto a
richiederlo prima della dichiarazione di apertura del dibattimento ed in seguito alle modifiche apportate con la
riforma Orlando con essa ex art. 438.6bis si determina la sanatoria delle nullità a patto che non siano assolute e
la non rilevabilità delle inutilizzabilità a patto che non si tratti di violazioni dei divieti probatori, precludendo però
stavolta ogni questione legata all’incompetenza per territorio del giudice. Ai sensi dell’art. 458.2 se la richiesta è
incondizionata il giudice dispone immediatamente il rito, se è invece condizionata ad integrazione probatoria il
giudice deve valutarne l’ammissibilità ove necessario anche servendosi degli atti presenti nel fascicolo del
pubblico ministero: se il giudice opterà per accoglierla, disporrà con ordinanza il rito abbreviato per cui si
osserveranno le forme previste per l’udienza preliminare, anche se si svolge dinnanzi al giudice del dibattimento,
però se il p.m. modifichi l’imputazione e l’imputato revochi la richiesta di giudizio abbreviato, il giudice disporrà
che si proceda a rito direttissimo con l’applicazione delle forme del dibattimento.

In seguito ad una riforma avvenuta nel 2013 in un’ottica di contrasto alla violenza di genere, è possibile
instaurare giudizio direttissimo nel caso in cui sia stata disposta la misura precautelare dell’allontanamento
urgente dalla casa familiare nei confronti di un indagato sorpreso in flagranza di uno dei delitti contro la persona
espressamente indicati dal codice ex art. 282bis.6. Sebbene Tonini non sia d’accordo con questo nuovo modulo,
ritenendo che si debba applicare quella che è la disciplina base per il direttissimo ove compatibile, procede
comunque analizzando la sua regolamentazione:

• Se il p.m. riterrà che il direttissimo non pregiudichi gravemente le indagini, potrà ex art. 449.5 ordinare
alla polizia giudiziaria di instaurare rito direttissimo citando l’indagato per la contestuale convalida della
misura precautelare entro 48h dall’esecuzione dell’allontanamento: in questo modo, ove in udienza il
giudice convalidi la misura precautelare, si procederà immediatamente con il direttissimo… in caso
contrario si procederà con il direttissimo solo se p.m. e imputato sono d’accordo, ed ancora ove tale
concordia manchi restituendo gli atti al p.m. in altro modo…
• Se invece il p.m. senta la necessità di dare spazio alle indagini in corso essendoci pericolo che il rito
contestuale direttissimo possa gravemente pregiudicarle, ex art. 449.4 non procederà nel modo
poc’anzi indicato, ma seguirà l’iter tradizionale, ovviamente sempre a seguito della citazione ad opera
della polizia giudiziaria, chiedendo convalida al giudice entro 48h: in questo modo, ove in udienza il
giudice convalidi la misura precautelare, entro 30 gg l’indagato è citato a comparire per il direttissimo…
in caso contrario si restituiscono gli atti al p.m. che procederà in altro modo…

In seguito all’emanazione del codice, sono state introdotte anche delle leggi speciali su tale rito con cui sono
stati individuati altri casi in cui è quest’ultimo va obbligatoriamente disposto, applicandolo addirittura a
prescindere dalla presenza dei presupposti poc’anzi indicati… ciò però non significa che il p.m. non possa
compiere necessarie indagini speciali e infatti in casi del genere si procederà nei modi ordinari: stiamo parlando
di tutta una serie di reati, come ad esempio quelli concernenti armi ed esplosivi, o anche finalizzati alla
discriminazione razziale, etnica e religiosa… oppure con riferimento alle misure urgenti per la prevenzione e
repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche, infatti in seguito ad esempio al lancio di
materiale pericoloso ed invasione di campo nonché ai reati commessi con violenza a cose o a persone in
occasione di tali manifestazioni, si deve obbligatoriamente procedere con il direttissimo a meno che non si
debbano porre in essere necessarie speciali indagini.

Avendo esaurito tutti gli argomenti riguardanti il giudizio direttissimo, passiamo ad analizzare il procedimento
per decreto, disciplinato agli art. 459-464 del c.p.p., l’unico rito speciale che omette tanto l’udienza preliminare
quanto quella dibattimentale in cui sostanzialmente il p.m. chiede al gip ex art. 459 mediante apposita richiesta
motivata che sia applicata inaudita altera parte una pena pecuniaria diminuita, anche in sostituzione della pena
detentiva, diminuita sino alla metà rispetto al minimo edittale… dovranno però essere rispettati dei requisiti: in
primo luogo tale richiesta va fatta entro sei mesi dall’iscrizione del nome dell’indagato nel registro delle notizie
di reato ed in secondo luogo non deve essere stata applicata una misura di sicurezza personale… il gip sarà poi

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chiamato a valutare se la pena da lui proposta sia congrua: dal momento in cui ritenga che essa lo sia, il giudice
emette il decreto di condanna applicando la pena pecuniaria richiesta dal p.m., anche se in base a quanto
previsto dal nuovo comma 1bis inserito con la riforma Orlando potrà comunque disporre delle modifiche in
ragione della situazione economica in cui verte l’imputato, per poi esserne data comunicazione alle parti
secondo la disciplina codicistica della notificazione mediante copia, mentre in caso di rigetto per insussistenza
dei requisiti, a seconda dei casi il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero per procedere in altro modo o
proscioglie l’imputato a norma dell’art. 129. Essendo il rito maggiormente deflattivo, ovviamente comporterà
tutta una serie di incentivi/vantaggi per l’imputato che decide di accettare la condanna… come abbiamo già
detto questo potrà comunque vedersi diminuita una pena fino alla metà rispetto al minimo edittale, ma ne
abbiamo anche altri: abbiamo anche qui la sospensione condizionale della pena, inoltre il decreto penale
esecutivo non avrà efficacia di giudicato nel giudizio amministrativo o civile, ancora non potranno essere
applicate pene accessorie, ma può essere disposta solamente confisca obbligatoria, per di più con il decreto non
solo non si condanna al pagamento delle spese processuali l’imputato, ma addirittura ove passino 5 anni per i
delitti e 2 anni per le contravvenzioni senza che questi ponga in essere reati della stessa indole quello per cui è
stato condannato si estinguerà, infine la condanna ricevuta non dovrà essere indicata nei certificati tra privati.
L’imputato, o anche la parte civile, a cui viene notificato il decreto motivato del gip ha diverse possibilità di
scelta: egli può opporsi entro 15 gg dalla notificazione ed ottenere così lo svolgimento del dibattimento con la
garanzia della formazione in contraddittorio della prova, a suo rischio e pericolo considerato che perderà tutti i
benefici fin qui concessigli… oppure può non opporsi e così facendo acconsentire implicitamente al rito ponendo
in essere il c.d. consenso postumo, nel pieno rispetto dell’art. 111.5 Cost. seconda la Corte Costituzionale, a cui
conseguirà l’esecuzione del decreto nonché la sua irrevocabilità e irricorribilità per Cassazione [infatti il decreto
penale notificato e non opposto diventa irrevocabile e non è ricorribile per Cassazione]… ancora, dovendone tra
l’altro essere previamente informato apponendo il relativo diritto nel decreto, può opporsi entro 15 gg dalla
notificazione chiedendo uno dei procedimenti speciali come ad esempio il giudizio immediato, il giudizio
abbreviato, il patteggiamento, l’oblazione e grazie ad un recente intervento della Corte Costituzionale anche la
sospensione del processo con messa alla prova e nel caso in cui venga proposta per prima l’oblazione, il giudice
deve provvedere prima su questa richiesta e poi sulle altre ed ove eventualmente una di queste sia accolta il
decreto penale è revocato… dal momento in cui invece si faccia richiesta per il rito speciale senza però
specificare quale, l’imputato sarà citato per il dibattimento mediante l’istituto del giudizio immediato, il decreto
penale sarà ugualmente revocato, in cui non è possibile chiedere giudizio abbreviato, patteggiamento o
domanda di oblazione.

Tonini si sofferma ancora una volta su un ipotesi di rito abbreviato atipico, scelto stavolta con l’opposizione al
decreto penale di condanna: nel caso di giudizio abbreviato atipico, il giudice fissa con decreto l’udienza in
camera di consiglio dandone avviso almeno 5 gg. prima al p.m., all’imputato e al difensore e alla persona offesa,
per decidere se procedere con giudizio abbreviato o meno: in caso di accoglimento, si procede al rito abbreviato
secondo le regole dell’udienza preliminare ove compatibili, a meno che il p.m. non modifichi l’imputazione e
l’imputato chieda di proseguire il processo con le forme ordinarie, mentre in caso di rigetto di richiesta
condizionata, il giudice emette giudizio immediato e si procederà al dibattimento, in cui l’imputato può
rinnovare la richiesta prima dell’apertura. La richiesta di rito abbreviato determina ex art. 438.6bis [riforma
Orlando] la sanatoria delle nullità a patto che non siano assolute, la non rilevabilità delle inutilizzabilità a patto
che non si tratti di violazioni dei divieti probatori e la preclusione delle questioni sulla competenza per territorio.

Avendo esaurito tutti gli argomenti riguardanti il procedimento per decreto, passiamo ad analizzare la
sospensione del procedimento con messa alla prova, che dal punto di vista processuale si presenta come un
procedimento speciale, mentre da quello sostanziale come una causa di estinzione del reato… per questo
presenta una disciplina peculiare divisa tra il c.p. e il c.p.p. agli art. 464bis-464 novies, come vedremo. Questo
procedimento/istituto è stato inserito nel nostro ordinamento con la legge n. 67 del 2014 sulla scia della
probation anglosassone, in modo da poter non solo deflazionare il carico giudiziario, ma anche di reintegrare
anticipatamente dapprima i soli minori che avessero compiuto reati di minore entità, per poi essere esteso,
anche agli adulti ma con qualche differenza: infatti la peculiarità della sospensione del procedimento con messa
alla prova è la spontaneità dell’esecuzione, in quanto comporta necessariamente la prestazione di lavoro di
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pubblica utilità avente nel nostro ordinamento natura sanzionatoria. Dal combinato disposto della disciplina
sostanziale e quella processuale, ricaviamo che la sospensione del procedimento con messa alla prova può
essere richiesta dall’imputato per una limitata serie di reati:

1. Per i reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria;


2. Per i reati puniti con pena edittale detentiva fino a 4 anni nel massimo sola congiunta o alternativa alla
pena pecuniaria;
3. Per i reati per cui è espressamente la citazione diretta a giudizio nel rito monocratico.
La sospensione con messa alla prova potrà essere concessa solo una volta ed è esclusa per i delinquenti abituali,
professionali o per tendenza: una volta concessa l’imputato ad essa sottoposto viene affidato ai servizi sociali ed
è tenuto a porre in essere condotte volte a eliminare le conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato,
come ad esempio attività di servizio sociale e attività di volontariato oppure osservare prescrizioni che lo
tengano lontano da determinati ambienti o soggetti… e dal momento in cui venga meno quella spontaneità
nell’esecuzione e quest’ultima venga del tutto a mancare, si avrà la ripresa del procedimento… dobbiamo inoltre
ricordare che la messa alla prova è tenuta anche, ove possibile, al risarcimento del danno cagionato.

La richiesta per la sospensione con messa alla prova ex art. 464bis è formulata in udienza, oralmente o per
iscritto, dall’imputato personalmente o per mezzo di procuratore speciale fino a che non siano formulate le
conclusioni nello svolgimento ordinario o eccezionale dell’udienza preliminare a pena di inammissibilità per
Tonini… Detto in parole povere la richiesta è presentata successivamente all’esercizio dell’azione penale, però vi
sono dei casi in cui essa in deroga a quanto posto dal 464bis può essere fatta ex art. 464ter anche nel corso delle
indagini preliminari con una procedura di interpello modellata su quella prevista per il patteggiamento [in tal
caso, la concessione della messa alla prova è subordinata al consenso del p.m. che deve risultare da atto scritto
nonché sinteticamente motivato e accompagnato dalla formulazione dell’imputazione: alla luce di ciò il giudice
trasmette gli atti al p.m. affinché questi esprima il proprio consenso o dissenso nel termine di 5 gg. In caso di
dissenso, il p.m. deve enunciarne le ragioni. In caso di rigetto, l’imputato può rinnovare la richiesta prima
dell’apertura del dibattimento di primo grado e il giudice, se ritiene la richiesta fondata, può concedere la messa
alla prova]. Alla richiesta è allegato un programma di trattamento elaborato d’intesa con l’ufficio di esecuzione
penale esterna che dovrà contenere tutta una serie di elementi: le modalità di coinvolgimento dell’imputato e
anche, ove possibile e necessario, del suo nucleo familiare e del suo ambiente di vita nel processo di
reinserimento sociale, le prescrizioni comportamentali e gli altri impegni specifici da lui assunti al fine di
rimuovere o comunque di attenuare le conseguenze del reato [risarcimento del danno, condotte riparatorie,
restituzioni, prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità o al volontariato], nonché le condotte volte a
promuovere la mediazione con la persona offesa… spesso però nella prassi l’elaborazione non è possibile, per
questo è sufficiente allegarne la relativa istanza. Per tutte le proprie deliberazioni, il giudice può acquisire,
tramite la polizia giudiziaria, i servizi sociali o altri enti pubblici, tutte le ulteriori informazioni ritenute necessarie
in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale ed economica dell’imputato. E proprio in merito
alla decisione sulla richiesta per la sospensione con messa alla prova ex art. 464quater, il giudice, una volta
sentiti i pareri non vincolanti delle parti e della persona offesa, nonché, ove lo abbia ritenuto necessario, abbia
appurato la volontarietà dell’imputato, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma
dell’articolo 129, è tenuto a decidere con ordinanza se disporre o meno tale beneficio, secondo la Cassazione
concedibile anche ove l’imputato non abbia confessato:

➢ se questi ritenga idoneo il programma di trattamento presentato e del domicilio in cui esso sarà svolto,
nonché che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati disporrà la sospensione del
procedimento con messa alla prova, ed officiosamente, nel caso in cui voglia perfezionare la congruità
della prova rispetto al fine rieducativo cui esso risulta preordinato, potrà anche integrarlo, subordinando
la concessione ad ulteriori obblighi e prescrizioni, o modificarlo purché vi sia però il consenso
dell’imputato;
➢ in caso contrario, se questi ritenga inidoneo il programma di trattamento presentato nonché che
l’imputato possa commettere ulteriori reati, si opterà per il rigetto della richiesta che potrà però essere
riproposta nel giudizio prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.

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Ad ogni modo, ex art. 464quater il procedimento non può essere sospeso per un periodo…

• superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola,
congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;
• superiore ad un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria.
Tali termini decorrono dalla sottoscrizione del verbale di messa alla prova dell’imputato. L’art. 464quater si
sofferma anche sulla possibilità di impugnare, precisando che impugnando non si sospende il procedimento…
ovviamente ad essere impugnata sarà l’ordinanza che decide sull’istanza di messa alla prova, sia essa di
accoglimento o di rigetto [in questo caso solo congiuntamente alla sentenza pronunciata nell’udienza
preliminare o dibattimentale], contro cui possono ricorrere per Cassazione l’imputato e il PM, anche su istanza
della persona offesa la quale può farlo anche autonomamente per omesso avviso dell’udienza o perché pur
essendo comparsa non sia stata ascoltata.

Al fine di evitare che il procedimento resti sospeso per un tempo indeterminato, l’ordinanza con cui è disposta la
sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 464quinquies dovrà contenere necessariamente il
termine, eventualmente prorogabile su richiesta dell’imputato per una sola volta ed esclusivamente per gravi
motivi, entro cui le prescrizioni e gli obblighi relativi alle condotte riparatorie o risarcitorie devono essere
adempiute e proprio affinché ciò avvenga essa deve essere immediatamente trasmessa all’ufficio di esecuzione
penale esterna. L’art. 464quinquies sancisce inoltre nei commi successivi che il giudice, nel corso della
sospensione del procedimento con messa alla prova, possa unilateralmente modificare le prescrizioni originarie
sempre con ordinanza… ciò stride con quanto affermato dall’art. 464quater nonché dal diritto di difesa ed i
principi base del rito stesso, per questo Tonini ritiene che il legislatore nel parlare in questi termini si rivolga alle
sole “semplici” modifiche tali da non intaccare la sostanza del programma. In base a quanto sancito dall’art.
464sexies il giudice nel corso della sospensione del procedimento con messa alla prova può anche assumere, su
richiesta di parte, prove non rinviabili e tali da condurre al proscioglimento dell’imputato.

Ovviamente durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il decorso della
prescrizione del reato è sospeso nei confronti dell’imputato. Una volta decorso, vanno ovviamente tirate le
somme, la messa alla prova potrà tanto aver avuto esito positivo quanto negativo:

• ove il giudice, alla luce del comportamento dell’imputato e del rispetto delle prescrizioni stabilite,
ritenga che la prova abbia avuto esito positivo il giudice dichiarerà con sentenza l’estinzione del reato ex
art. 168ter c.p.;
• ove il giudice ritenga invece che la prova abbia avuto esito negativo, disporrà con ordinanza ex art.
464septies che il processo riprenda il suo corso senza che possa essere più ripresentata ex art.
464novies la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova.
La probation può anche essere revocata, ed in base a quanto disposto ex art. 168quater c.p. si può avere revoca
in due ipotesi con cui essenzialmente si sancisce il fallimento della messa alla prova:

1. qualora l’imputato commetta una grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle
prescrizioni imposte, o rifiuti la prestazione del lavoro di pubblica utilità;
2. qualora l’imputato commetta, durante il periodo di prova, un nuovo delitto non colposo o un reato della
stessa indole rispetto a quello per cui si procede.
In tali ipotesi la revoca è disposta dal giudice d’ufficio o su istanza di parte con un ordinanza che, emessa a
seguito di udienza in camera di Consiglio celebratasi con contraddittorio facoltativo, è ricorribile per Cassazione
per violazione di legge. Qualora sia disposta la revoca o comunque la messa alla prova abbia esito negativo,
l’imputato vede non solo cessare l’esecuzione delle prescrizioni e degli obblighi imposti, ma anche riprendere il
procedimento momentaneamente sospeso nei suoi confronti: a questo punto, in caso di condanna, avrà lo
scomputo del presofferto… o meglio nel determinare la pena da eseguire in concreto, il p.m. deve sottrarre un
periodo corrispondente a quello della prova PROFICUAMENTE esperita, secondo la regola prevista ex art. 657bis
per cui 3 gg. di prova sono equiparati a 1 g. di reclusione o di arresto, o a 250 euro di multa o di ammenda.

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In ultima battuta, Tonini ricorda che la disciplina normativa legata a questo rito speciale non si sofferma sul
quantum di accertamento in presenza del quale il giudice può disporre la sospensione per messa alla prova: per
l’autore ciò va ampiamente giustificato, perché l’imputato ha consensualmente rinunciato non solo alla
formazione della prova in contraddittorio, alla completezza dell’accertamento, al diritto di difendersi, ma anche
alla regola del ragionevole dubbio pur di avere quella che alla fine è una pena concordata attenuata essendo
praticamente trasformata in un trattamento su misura per lui al termine del quale sarà anche prosciolto, vedrà
estinto il reato e la sospensione condizionale della pena per gli altri ove rispetterà le prescrizioni previste.

P4, C2 - Il procedimento davanti al tribunale monocratico

All’inizio del precedente capitolo, abbiamo fatto una preliminare distinzione tra i procedimenti speciali e i
procedimenti differenziati… avendo trattato in maniera completa i primi, passiamo a trattare due tra i più
importanti procedimenti differenziati ovvero quello davanti al tribunale monocratico e quello davanti al giudice
di pace, ricordando prima però cosa sono: i procedimenti differenziati, sono quei riti che hanno una struttura
completa, a partire dalle indagini preliminari fino alle impugnazioni, ma rispetto al modello base si caratterizzano
per alcune particolarità.

Il procedimento penale, come sappiamo, si svolge per lo più dinnanzi ad un tribunale collegiale, ciò lascia
pensare quindi che esso potrà aversi anche davanti al tribunale monocratico… più precisamente potrà aversi
anche in relazione a due fasce di reati distinte in termini di gravità:

La prima fascia, consta dei reati ex art. La seconda fascia, consta di reati in
550 via residuale
Ricomprende infatti: • le contravvenzioni non di • Delitti puniti nel massimo,
competenza del giudice pace; con pena detentiva
• i delitti puniti con la sola multa superiore a 4 anni e fino a
non di competenza del giudice 10 anni.
di pace;
• i delitti puniti con pena
detentiva fino a 4 anni nel
massimo anche congiunta a
multa non di competenza del
giudice di pace;
• altri reati puniti con pena
superiore, indicati ex 550.2.
Per tali reati è disposto un privo dell’udienza preliminare, in cui il per cui è prevista l’udienza
procedimento… p.m. esercita l’azione penale mediante preliminare.
decreto di citazione diretta a giudizio.

In caso di connessione tra si applica ex art. 551 il procedimento in si applica ex art. 551 il procedimento
reati rientranti nella prima cui si svolge l’udienza preliminare. in cui si svolge l’udienza preliminare.
e nella seconda fascia…

Da come possiamo dedurre quindi da tale schema, avremo due tipologie di procedimento monocratico a
seconda che si abbia udienza preliminare o citazione diretta ed entrambi sono modellati sul rito ordinario che,
come sappiamo, è quello collegiale… difatti l’art. 549 opera un rinvio alla sua disciplina che va applicata ove
compatibile.

Nel procedimento monocratico con udienza preliminare per i reati più gravi e quindi di considerevole allarme
sociale, non essendovi alcuna regolamentazione specifica, trova applicazione la relativa disciplina comune al
procedimento collegiale… iI dibattimento si svolge ex art. 559 secondo le norme stabilite per il procedimento
davanti al tribunale in composizione collegiale in quanto applicabili, tranne per qualche peculiarità riportata nei
commi 2 e 3: tra queste dobbiamo sicuramente ricordare che i dichiaranti sono sentiti con esame incrociato ma,
su concorde richiesta delle parti, l’esame può essere condotto direttamente dal giudice sulla base delle
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domande e contestazioni proposte dal p.m. e dai difensori… ed inoltre che il verbale di udienza, ove le parti vi
consentano ed il giudice non ritenga necessaria la redazione in forma integrale, può essere redatto in forma
riassuntiva.

Nel procedimento monocratico con citazione diretta, pressoché simile al precedente se non per il fatto che esso
è privo dell’udienza preliminare, il p.m. esercita l’azione penale ex art. 552 con decreto di citazione diretta a
giudizio… prima che quest’ultimo venga emesso però egli, a pena di nullità, deve aver fatto notificare
all’indagato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, nonché, ove quest’ultimo abbia chiesto di essere
interrogato, l’invito a presentarsi per rendere interrogatorio. Il decreto di citazione diretta a giudizio una volta
emesso va notificato almeno 60 gg. prima della data fissata per l’udienza di comparizione all’imputato e alla
persona offesa, dopodiché il p.m. ex art. 553 forma unilateralmente il fascicolo per il dibattimento e lo trasmette
al giudice del dibattimento unitamente al decreto stesso… sebbene il fascicolo sia formato unilateralmente dal
p.m., l’imputato ed il suo difensore in sede di questioni preliminari prima dell’apertura del dibattimento possono
chiedere che ne siano esclusi tutti gli atti in esso non inseribili. Prima di passare all’udienza di comparizione,
ricordiamo che il decreto di citazione a giudizio ha un contenuto più complesso rispetto a quello che dispone il
giudizio nel procedimento monocratico per i reati più gravi e nel procedimento collegiale, in quanto deve
contenere tre elementi ulteriori: l’avviso all’imputato che ha facoltà di nominare un difensore di fiducia e che, in
mancanza, sarà assistito dal difensore d’ufficio; l’avviso all’imputato che prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento può chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, o presentare domanda di oblazione e
inoltre l’avviso che il fascicolo delle indagini è depositato nella segreteria del PM e i loro difensori possono
prenderne visione ed estrarne copia. Tornando all’aspetto procedimentale, subito dopo la formazione del
fascicolo per il dibattimento si passa alla c.d. udienza di comparizione che, prevista dal 1999 ex art. 555, si
presenta come il tratto d’unione tra la fase delle indagini preliminari ed il giudizio avente almeno due funzioni:
prima di tutto essa si presenta come la sede in cui l’imputato può scegliere se chiedere un rito alternativo, o
comunque, se si va al dibattimento, la sede in cui le parti svolgono tutta una serie di attività che altrimenti
troverebbero la loro sede nell’udienza dibattimentale… in ogni caso è previsto ex art. 555 che le parti, a pena di
inammissibilità, debbano depositare 7 gg. prima della data fissata per l’udienza, le liste dei testimoni, periti o
consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell’art. 210 di cui intendono chiedere l’esame.

Fatte queste osservazioni, Tonini ermeneuticamente illustra la disciplina dell’udienza di comparizione: in primo
luogo ci si accerta che tutte le parti si siano regolarmente costituite, fatto ciò si passa alla discussione delle
questioni preliminari in cui ad esempio, come abbiamo già accennato, imputato e difensore possono far
escludere dal fascicolo del dibattimento prove che non ne dovevano far parte… terminata la discussione, le parti,
previamente avvisate a pena di nullità del decreto di citazione a giudizio, possono richiedere prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento un rito speciale, precisamente o il giudizio abbreviato o il
patteggiamento, nonché presentare domanda di oblazione o chiedere la sospensione del procedimento con
messa alla prova ed inoltre, quando il reato è perseguibile a querela, il giudice deve procedere ad un tentativo
obbligatorio di conciliazione… ove non si instauri il rito speciale, l’udienza di comparizione sfocia nel
dibattimento, in cui le parti indicano i fatti che intendono provare per poi chiedere l’ammissione delle prove poi
è anche possibile l’eventuale acquisizione concordata di atti parte del fascicolo del p.m. o raccolti nel corso delle
investigazioni difensive… il dibattimento si svolge poi, come per il procedimento monocratico per i reati più
gravi, secondo le norme stabilite per il procedimento davanti al tribunale in composizione collegiale in quanto
applicabili, tranne per qualche peculiarità come quella che i dichiaranti sono sentiti di regola con esame
incrociato ma, su concorde richiesta delle parti, l’esame può essere condotto direttamente dal giudice sulla base
delle domande e contestazioni proposte dal p.m. e dai difensori… ed inoltre che il verbale di udienza, ove le
parti vi consentano ed il giudice non ritenga necessaria la redazione in forma integrale, può essere redatto in
forma riassuntiva.

Un’altra peculiarità del procedimento monocratico con citazione diretta riguarda le funzioni del p.m. che dinanzi
al tribunale in composizione monocratica, sono svolte dal procuratore della repubblica presso il tribunale: questi
può delegare lo svolgimento delle sue funzioni nell’udienza dibattimentale ad uditori giudiziari, a vice
procuratori onorari, a personale in quiescenza da non più di due anni che nei cinque anni precedenti abbia svolto

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le funzioni di ufficiale di polizia giudiziaria, o a laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della
scuola biennale di specializzazione per le professioni legali, ma soltanto nei procedimenti relativi ai reati meno
gravi. L’art. 72 ord. giud. attribuisce al soggetto delegato gli stessi poteri spettanti al PM togato, ivi compresa
dunque la modifica della imputazione, la contestazione di un reato concorrente o di una circostanza aggravante
e, con il consenso dell’imputato, la contestazione di un fatto nuovo non enunciato nel decreto di citazione a
giudizio. In relazione all’udienza di convalida dell’arresto nel rito direttissimo, alla richiesta di decreto di
condanna e i procedimenti in camera di consiglio, l’art. 72 consente al procuratore della repubblica di conferire
la delega a vice procuratori onorari in relazione ad una determinata udienza o a un singolo procedimento.

La disciplina dei singoli riti alternativi nel procedimento monocratico è quasi interamente modellata su quella
prevista nell’ambito del procedimento dinanzi al tribunale collegiale, vediamola in relazione ad ognuno di essi.

• Nel rito monocratico con udienza preliminare, per le richieste di giudizio abbreviato e quella di
patteggiamento vale la stessa disciplina del procedimento collegiale per espresso richiamo di legge ex
art. 556… mentre nel rito monocratico senza udienza preliminare, le richieste di giudizio abbreviato e
quella di patteggiamento devono essere presentate nell’udienza di comparizione prima della
dichiarazione di apertura del dibattimento ed in relazione ad esse è chiamato a decidere è il tribunale
monocratico.
• Nell procedimento per decreto, il codice effettua un rinvio alle disposizioni del libro sesto anche se
tuttavia l’art. 557 precisa che con l’atto di opposizione l’imputato può presentare domanda di ablazione,
ovvero chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento, o l’emissione del decreto di citazione a
giudizio in modo da passare direttamente al dibattimento in tal caso.
• Il giudizio direttissimo si svolge con modalità differenti rispetto a quelle previste per i reati di
competenza della corte d’assise e del tribunale collegiale. Il PM, avvisato dalla polizia, di regola dispone
che l’indagato sia custodito in arresto domiciliare nel circondario del tribunale in cui l’arresto è stato
eseguito e solo in via eccezionale, l’arrestato è custodito presso le camere di sicurezza… in caso di
mancanza o indisponibilità di queste, il PM con decreto motivato ne ordina la conduzione presso la casa
circondariale. Il seguito della procedura dipende poi dalle scelte compiute dall’ufficio della pubblica
accusa. Il giudizio direttissimo può aversi per iniziativa della polizia giudiziaria o del pubblico ministero…
a. Nel caso del giudizio direttissimo per iniziativa della polizia giudiziaria, se il PM non le ordina di
mettere l’arrestato a propria disposizione, questi entro 48h deve essere condotto davanti al giudice
del dibattimento per la convalida dell’arresto ed il contestuale giudizio direttamente dagli ufficiali o
agenti che hanno eseguito l’arresto o che hanno avuto in consegna l’arrestato, fermo restando che
la formulazione dell’imputazione è comunque riservata al PM… se il giudice non tiene udienza, la
polizia giudiziaria è obbligata a fornirgli immediata notizia dell’arresto in modo che egli possa
fissarla entro 48h dalla avvenuta limitazione della libertà personale. In tale udienza, testimoni e
persone offese possono essere citate anche oralmente, ovviamente il difensore ne va avvisato ed
inoltre gli ufficiali o agenti che abbiano eseguito l’arresto sono autorizzati ad una relazione orale dal
giudice non avente carattere di testimonianza ed infine viene sentito l’arrestato con le forme
previste per l’interrogatorio.
b. Nel caso del giudizio direttissimo per iniziativa del pubblico ministero, spetta a quest’ultimo il
potere di ordinare che l’arrestato sia posto a propria disposizione ed in tal caso sarà quindi lui a
presentare direttamente in udienza l’imputato entro 48h dall’arresto per la convalida ed il
contestuale giudizio direttissimo.
A prescindere da chi abbia preso iniziativa, se l’arresto non è convalidato il giudice deve restituire gli atti al PM,
salvo che questi e l’imputato consentano al giudizio direttissimo e ferma restando la possibilità di quest’ultimo di
poter comunque esercitare l’azione penale nelle forme ordinarie. Se l’arresto è convalidato, si deve svolgere il
rito direttissimo… subito dopo l’udienza di convalida, l’imputato può chiedere il rito abbreviato o il
patteggiamento, ed in tal caso il giudizio si svolge davanti allo stesso giudice del dibattimento, se invece
l’imputato intende affrontare il dibattimento, può chiedere un termine non superiore a 5 gg. per preparare la
difesa. Anche in assenza di un’espressa previsione di legge, si ritiene che quando il PM chiede la messa a
disposizione del soggetto arrestato possa optare per la sola convalida dell’arresto davanti al G.I.P. entro 48h
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dalla richiesta della pubblica accusa, per poi procedere con le forme ordinarie o con un procedimento speciale
oppure resta salva la normativa sull’arresto domiciliare o sull’uso delle camere di sicurezza.

• Il giudizio immediato è applicabile per la giurisprudenza SOLAMENTE nel procedimento monocratico con
udienza preliminare in forza del rinvio ex art. 549, alle disposizioni relative al tribunale in composizione
collegiale in quanto applicabili e pertanto se il PM decide di accedervi, non deve essere inviato l’avviso
di conclusione delle indagini. Il giudizio immediato non sarebbe applicabile per la giurisprudenza al
procedimento monocratico con citazione diretta, avendone quest’ultimo lo stesso effetto.
• Nella sospensione del procedimento con messa alla prova l’imputato può presentare la richiesta prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento e, in tal caso, si applicano le disposizioni previste dal
titolo V-bis del libro sesto.
P4, C3 – Il procedimento davanti al giudice di pace

Avendo esaurito tutti gli argomenti legati al procedimento davanti al tribunale monocratico, passiamo ora ad
analizzare un secondo importante tipo di rito differenziato ovvero il procedimento davanti al giudice di pace,
inserito nel nostro sistema essenzialmente per alleggerire il carico di lavoro del tribunale monocratico lasciando
ad un giudice onorario tutta una serie di reati non gravi espressione prevalentemente di microconflittualità tra
privati. Come deducibile dall’art. 106.2 Cost. è infatti possibile nominare, anche elettivamente, dei magistrati
onorari per tutte le funzioni attribuite ai giudici singoli… per la nomina a giudice di pace, come sappiamo,
bisogna aver superato l’esame da avvocato o in sostituzione, l’aver svolto funzioni giudiziarie oppure notarili per
almeno 2 anni, oppure aver insegnato materie giuridiche nelle università o ancora aver svolto funzioni inerenti
alle qualifiche dirigenziali e all’ex carriera direttiva delle cancellerie e delle segreterie giudiziarie.

La disciplina inerente al procedimento presso il giudice di pace è regolata dal d.lgs. 274/2000 in cui spicca sin
dall’art. 2 un sistema sanzionatorio più che mite, sebbene non sia comunque ammessa sospensione condizionale
della pena: il giudice è infatti chiamato principalmente a favorire la conciliazione delle parti, per cui è del tutto
eliminata la pena detentiva che è sostituita da pene ad essa alternative o di natura pecuniaria… possono essere
infatti irrogate pene pecuniarie come la multa e l’ammenda, ma anche pene limitative della libertà dell’imputato
come l’obbligo di permanenza domiciliare ed il lavoro di pubblica utilità. Tale mitezza si riflette sul sistema
processuale: vi è una massima semplificazione del rito che, in base all’art. 2, si svolge secondo le regole del c.p.p.
e delle sue norme di attuazione ove applicabili e per quanto non sia stato previsto dal decreto stesso… sono
infatti eliminati, in quanto non applicabili per un’ontologica contrarietà al processo in esame, l’arresto in
flagranza e del fermo, le misure cautelari personali, la proroga del termine per le indagini, l’udienza preliminare,
mentre per riti speciali e incidente probatorio sono sostituiti con qualcosa di più aderente ai principi base del
procedimento differenziato in esame. Ad ogni modo, tale semplificazione del procedimento è attuata mediante:

• L’eliminazione dell’udienza preliminare e del GIP, che è appunto sostituito dal giudice di pace
circondariale competente a decidere in merito all’assunzione di prove non rinviabili al dibattimento
nonché per la richiesta di archiviazione del p.m. ed inoltre sulla richiesta di archiviazione presentata
dalla persona offesa;
• L’ampliamento dei poteri della polizia giudiziaria, con conseguente riduzione dell’intervento del p.m.;
• L’estensione dei poteri spettanti alla persona offesa, la quale diventa ora personaggio centrale sia in
sede di attivazione del giudizio che quando il giudice di pace cerca di definire il procedimento senza che
si arrivi alla condanna.
Per quanto concerne la cognizione del giudice di pace, egli ha:

➢ Una competenza per materia ex art. 4, in merito a delitti e contravvenzioni disciplinati dal c.p. e reati
previsti da leggi speciali e inoltre reati che tutelano interessi di tipo eminentemente pubblicistico
espressione di micro conflittualità tra privati e caratterizzati dalla tenuità della sanzione e della
semplicità dell’accertamento.
➢ Una competenza per territorio ex art. 5, per quei reati consumati nella sua circoscrizione… in caso di
reati connessi, si guarda il luogo nel quale è stato commesso il primo reato altrimenti si guarda il luogo
dove è cominciato il primo dei procedimenti connessi ex art. 8.
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➢ Una competenza per connessione ex art. 7, in deroga al principio di tendenziale irrilevanza della
connessione tra procedimenti:
a. ove i procedimenti siano tutti di competenza del giudice di pace, vi è competenza per connessione nei
casi di reati commessi da più persone in concorso o in cooperazione tra loro, nonché nei casi di concorso
formale di reati.
b. ove un procedimento sia di competenza del giudice di pace ed un altro è di competenza del giudice
professionale, la connessione opera soltanto se si tratta di reati commessi con una sola azione o
omissione ed unicamente se è possibile in concreto la riunione dei procedimenti e la competenza è del
giudice professionale.
Il procedimento del giudice di pace si apre con le indagini preliminari, profondamente diverse rispetto a quelle
che siamo abituati ad immaginare: in esse non esiste un vero e proprio ufficio del p.m., le cui funzioni sono
svolte dal procuratore della Repubblica presso il tribunale nel cui circondario ha sede il giudice di pace, né tanto
meno un apposito ufficio del giudice di pace per le indagini preliminari, difatti ex art. 2 sarà competente per il
compimento degli atti ad essa relativi il giudice di pace circondariale [ovvero, del luogo ove ha sede il tribunale
del circondario in cui è compreso il giudice territorialmente competente], mentre ruolo fondamentale è legato
alla polizia giudiziaria, la quale svolge un’attività investigativa tendenzialmente completa. In merito alla disciplina
delle indagini preliminari, il decreto la fornisce molto sinteticamente distinguendola in base a due diverse
ipotesi, rispettivamente previste all’art. 11 e all’art. 12, a seconda che la notizia di reato sia acquisita dalla polizia
giudiziaria o dal pubblico ministero.

Se la notizia di reato è acquisita dalla polizia Se la notizia di reato è acquisita direttamente dal
giudiziaria, ex art. 11 p.m., ex art. 12
essa svolge direttamente le indagini di propria
iniziativa autonomamente, a meno che non sia ove questi non ritenga necessari ulteriori atti di
necessario procedere ad accertamenti tecnici indagine, può immediatamente esercitare l’azione
irripetibili interrogatori confronti perquisizioni e penale o chiedere l’archiviazione… in caso contrario,
sequestri… per cui occorrerà infatti l’autorizzazione ove ritenga necessari altre indagini, non potrà
del p.m., il quale potrà a seconda dei casi concederla personalmente provvedervi, ma deve trasmettere la
o negarla, oppure compierla personalmente o ancora notizia di reato alla polizia giudiziaria, impartendole,
trattenere le indagini. Ad ogni modo, fuori da tali ove necessario, eventuali direttive… quest’ultima
casi, la polizia giudiziaria avrà contatti con l’ufficio del procederà nelle indagini poi secondo la disciplina
p.m. solo quando gli trasmetterà entro il termine esposta poc’anzi, per poi trasmettere la relazione al
ordinatorio di 4 mesi dall’acquisizione della notizia di p.m. il quale a sua volta provvederà solo in quel
reato la relazione sulle indagini svolte… anche se il momento ad iscrivere il reato nell’apposito registro
p.m. prima di tale trasmissione può chiedere che gli delle notizie.
siano trasmessi gli atti compiuti.

Le parti, come abbiamo inizialmente accennato, possono chiedere al giudice di pace l’assunzione di prove non
rinviabili al dibattimento attraverso uno strumento più snello ed agile dell’incidente probatorio [non esistendo
infatti casi tassativi di non rinviabilità, né essendo richiesto l’accertamento in contraddittorio della necessità
dell’incidente probatorio] ex art. 18, per cui ove sia chiesto durante o dopo le indagini preliminari sarà
competente il giudice di pace circondariale… mentre ove sia chiesto dopo di esse e nel procedimento avviato
dalla persona offesa è competente il giudice di pace del dibattimento. L’assunzione avviene nel contraddittorio
delle parti e, prima del compimento dell’atto, deve esserne dato avviso almeno 24h prima al p.m., alla persona
offesa e ai difensori… i verbali degli atti compiuti sono inseriti nel fascicolo del dibattimento.

Per quanto concerne la conclusione delle indagini preliminari ad opera della polizia giudiziaria, come è chiaro
dallo schema precedente, vi è un termine ordinatorio di 4 mesi dall’acquisizione della notizia di reato entro cui
esse devono essere portate a compimento con relativa trasmissione della relazione da loro redatta al p.m. dai
contenuti più vari: infatti ove la notizia di reato appaia infondata con la relazione si espongono i motivi per cui
deve essere chiesta l’archiviazione… se invece la notizia di reato appaia fondata, con la relazione vengono
enunciati il fatto storico in forma chiara e precisa con l’indicazione degli art. che si assumono violati. Una volta

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che la suddetta relazione sia giunta tra le mani del p.m. questi provvede solo in quel momento a iscrivere il reato
nell’apposito registro delle notizie, anche se in altri casi vi provvede dal primo momento… ad ogni modo fatto ciò
tre sono le vie possibili per il p.m.… o dispone ulteriori indagini, o chiede l’archiviazione al giudice di pace
circondariale oppure esercita l’azione penale formulando l’imputazione e disponendo la citazione a giudizio
dell’imputato.

➢ Qualora decida di disporre ulteriori indagini, il p.m. ex art. 15 può o trasmettere il fascicolo alla polizia
giudiziaria impartendole direttive o delegandole il compimento di specifici atti entro il termine di 4 mesi
dall’iscrizione della notizia di reato oppure può trattenere il fascicolo e svolgere le indagini
personalmente… Nei casi particolarmente complessi il p.m. dispone, la prosecuzione delle indagini per
max. 2 mesi con provvedimento motivato trasmesso al giudice di pace circondariale, il quale può
tuttavia ridurre tale termine o dichiarare concluse le indagini ove non ritenga necessario che ce ne siano
altre.
➢ Qualora decida di fare richiesta di archiviazione al giudice di pace circondariale, mancando i presupposti
di diritto o essendovi particolare tenuità del fatto, ex art. 17 il p.m. dovrà notificarne una copia alla
persona che abbia dichiarato di volerne essere informata, potendo questi opporsi all’archiviazione entro
10 gg. dalla notifica indicando gli elementi di prova che giustificano il rigetto della richiesta di
archiviazione avanzata o le ulteriori indagini da compiere… Se il giudice accoglie la richiesta, dispone
l’archiviazione con decreto… se invece la rigetta, restituisce con ordinanza gli atti al p.m. indicando le
ulteriori indagini necessarie nonché il termine di 10 gg. entro cui dovranno concludersi ed il p.m. dovrà
formulare l’imputazione.
➢ Qualora decida di esercitare l’azione penale formulando l’imputazione e disponendo la citazione a
giudizio dell’imputato, ex art. 20. Considerata l’esiguità dei reati, non si ritiene che l’imputato possa
averne pregiudizio e quindi non vi sarà udienza preliminare sulla fondatezza dell’esercizio dell’azione
penale… tra l’altro nell’ambito del procedimento dinnanzi al giudice di pace non vi è nemmeno l’obbligo
di inviare all’indagato l’avviso della conclusione delle indagini preliminari. La citazione a giudizio, che
deve essere sottoscritta dal p.m. o dal suo assistente giudiziario, è poi notificata a cura degli ufficiali
giudiziari all’imputato, al suo difensore e alla persona offesa almeno 30 gg. prima della data
dell’udienza.
Prima di passare alla fase dibattimentale dobbiamo fare delle precisazioni in merito a cosa può ulteriormente
verificarsi nelle indagini preliminari. La L. 94/2009 ha introdotto due ulteriori modalità di presentazione
IMMEDIATA dell’imputato davanti al giudice di pace per quanto riguarda i reati procedibili d’ufficio, in caso di
flagranza di reato o di prova evidente, oppure ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato. Vediamole.

1. La prima modalità, simile al giudizio immediato, si caratterizza per il fatto che la polizia giudiziaria chiede
al p.m., mediante apposita richiesta scritta presentata alla sua cancelleria, l’autorizzazione a presentare
immediatamente l’imputato a giudizio davanti al giudice di pace ex art. 20bis: il p.m. può disporre
archiviazione… oppure esprimere parere contrario alla citazione, in seguito ad una richiesta
manifestamente infondata o presentata da un giudice di pace incompetente per territorio, ad
un’insussistenza dei presupposti per la presentazione immediata… infine può autorizzare la
presentazione immediata nei 15 gg. successivi, fissando data e ora del giudizio, eventualmente
nominando un difensore d’ufficio all’imputato che ne sia privo, per poi notificare senza ritardo
all’imputato e al suo difensore una copia della richiesta e dell’autorizzazione.
2. La seconda modalità, simile al giudizio direttissimo, si caratterizza per il fatto che la polizia giudiziaria
per ragioni d’urgenza gravi e comprovate tali da impedire l’esecuzione delle altre modalità, oppure
quando l’imputato è sottoposto a misure di limitazione o privazione della libertà personale può fare al
p.m. anche una richiesta di citazione contestuale per l’udienza ex art. 20 ter: in tal caso il p.m., valutati i
presupposti che caratterizzano il rito e quelli di urgenza, o può esprimere un parere contrario alla
citazione, oppure può autorizzare contestualmente la presentazione in udienza e la citazione… in
quest’ultimo caso l’imputato sottoposto a misura limitativa o privativa della libertà, è condotto dalla
polizia giudiziaria immediatamente in udienza, a meno che non sia lui stesso a volervi rinunciare, se

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invece questi è libero essa provvede a notificare a lui e al difensore una copia della richiesta e del
provvedimento del pubblico ministero.
In queste due ipotesi di presentazione immediata, il giudizio si svolge ai sensi dell’art. 32 e la persona offesa e i
testimoni possono essere citati anche oralmente dall’ufficiale giudiziario o dalla polizia giudiziaria nella seconda
ipotesi… p.m., imputato e parte civile possono presentare direttamente a dibattimento i propri testimoni e
consulenti tecnici… il p.m. da lettura dell’imputazione e l’imputato viene inoltre informato di poter chiedere un
termine a difesa di 7 gg. nella presentazione immediata o di 48h nella citazione contestuale.

Per tutti i reati di competenza del giudice di pace procedibili a querela l’art. 21 prevede la citazione a giudizio su
ricorso della persona offesa, il quale deve aversi entro 3 mesi decorrenti da quando essa ha avuto notizia del
fatto che costituisce reato. Il ricorrente non può far fissare immediatamente l’udienza, ma è obbligato a
chiederne al giudice la fissazione nonché a comunicare il ricorso al p.m. per poi depositarlo in cancelleria: la
notifica alla persona citata avviene solo in un secondo momento qualora il giudice abbia disposto con decreto la
convocazione per l’udienza dibattimentale determinando quindi l’assunzione da parte sua del titolo d’imputato,
fino a quel momento non assumibile ex art. 3. Ad ogni modo, il ricorso deve contenere ex art. 21 una serie di
elementi indicati alle lettere a-i e nei suoi successivi commi a pena di inammissibilità dello stesso: a) l'indicazione
del giudice; b) le generalità del ricorrente e, se si tratta di persona giuridica o di associazione non riconosciuta, la
denominazione dell'ente, con l'indicazione del legale rappresentante; c) l'indicazione del difensore del ricorrente
e la relativa nomina; d) l'indicazione delle altre persone offese dal medesimo reato delle quali il ricorrente
conosca l'identità; e) le generalità della persona citata a giudizio; f) la descrizione, in forma chiara e precisa, del
fatto che si addebita alla persona citata a giudizio, con l'indicazione degli articoli di legge che si assumono violati;
g) i documenti di cui si chiede l'acquisizione; h) l'indicazione delle fonti di prova a sostegno della richiesta,
nonché delle circostanze su cui deve vertere l'esame dei testimoni e dei consulenti tecnici; i) la richiesta di
fissazione dell'udienza per procedere nei confronti delle persone citate a giudizio… nonché la sottoscrizione dalla
persona offesa o dal suo legale rappresentante e dal difensore. Tornando all’aspetto procedimentale una volta
che ne sia stata data comunicazione al p.m., il ricorso va depositato: se il p.m. ritiene tale ricorso infondato,
inammissibile o presentato dinnanzi al giudice incompetente, può dare un parere contrario alla citazione
trasmesso entro 10 gg dalla comunicazione al giudice comunque non vincolante per lui… altrimenti formula
l’imputazione confermando o modificando l’addebito contenuto nel ricorso. In caso di conflitto tra p.m. e
giudice, tale da aver spinto il primo ad omettere il proprio parere, l’imputazione ammessa dal giudice di pace
consiste nell’addebito che è stato precisato dall’offeso nel ricorso anche se tuttavia ultimamente si registra un
differente orientamento giurisprudenziale della Consulta, la quale sancisce che il giudice di pace non può
trascrivere l’addebito ma deve restituire gli atti al p.m. affinché proceda nelle forme ordinarie. Fatta questa
parentesi, ritorniamo a cosa ordinariamente accade qualora il p.m. abbia dato il proprio parere contrario, non
potendo prosciogliere ex art. 25… il giudice, trascorsi 10 gg. entro cui il p.m. può depositare il suo parere, avente
funzione di filtro, decide de plano…

➢ se ritiene il ricorso infondato o inammissibile, lo trasmette al p.m. affinché proceda nelle forme
ordinarie;
➢ se il reato indicato nel ricorso è di competenza di un altro giudice, il giudice di pace lo trasmette con
ordinanza al p.m.;
➢ se il giudice è incompetente per territorio, con ordinanza restituisce gli atti al ricorrente che, entro 20
gg. a pena inammissibilità, può reiterare il ricorso davanti al giudice competente;
➢ infine, ove non decida in alcuno dei modi precedenti ma ritenga comunque il ricorso ammissibile e
manifestamente fondato nonché di sua competenza, emette il decreto di convocazione… notificato poi
insieme al ricorso dall’offeso al p.m., alla persona citata che ha assunto la qualità dell’imputato ed al suo
difensore nonché alle altre persone offese di cui si conoscono le generalità, le quali possono intervenire
con l’assistenza del difensore e costituirsi parte civile prima della dichiarazione di apertura del
dibattimento. L’offeso può costituirsi parte civile facendone semplice richiesta motivata di risarcimento
del danno, quindi presentando il ricorso a pena di decadenza… altrimenti è impossibile costituirsi in un
momento successivo… per la parte offesa intervenuta, qualora voglia costituirsi parte civile dovrà farlo
prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
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Fatta tale digressione, passiamo ad analizzare la fase del giudizio… il momento di raccordo tra quest’ultima e le
indagini preliminari è l’udienza di comparizione. Prima di passare specificamente alla sua trattazione, dobbiamo
però ricordare quanto sancito ex art. 29, almeno 7 gg. prima della data fissata per l’udienza di comparizione, la
parte che ha attivato il procedimento ha l’onere di depositare nella cancelleria del giudice di pace l’atto di
citazione a giudizio, affinché quest’ultimo possa verificare la regolarità delle notifiche, in cui indica anche i propri
testi e le relative circostanze… mentre, sempre nello stesso termine, le parti diverse da quella che ha attivato il
procedimento devono invece depositare le liste testimoniali con l’indicazione delle circostanze su cui deve
vertere l’esame. Per quanto concerne l’ufficio del p.m., il procuratore della repubblica può delegare lo
svolgimento delle sue funzioni in udienza dibattimentale agli uditori giudiziari, a vice procuratori, a personale in
quiescenza da non più di 2 anni e che nei 5 anni precedenti ha svolto funzione di ufficiale di polizia giudiziaria,
laureati in giurisprudenza che frequentano il secondo anno della scuola biennale di specializzazione per le
professioni legali. Giunti in udienza di comparizione due dono le vie possibili tramite tale strumento: in primo
luogo si consente alle parti di scegliere i riti di definizione alternativa del procedimento o, in secondo luogo nel
caso di reati procedibili a querela, di aderire all’attività conciliativa del giudice di pace [in caso di mancata
comparizione del querelante in udienza non si ha tuttavia rimessione tacita di querela].

In udienza di comparizione quando il reato è perseguibile a querela il giudice deve obbligatoriamente


promuovere un tentativo di conciliazione: stavolta egli svolge un’attività molto più penetrante, più precisamente
una funzione promozionale della mediazione, avvalendosi anche di centri o strutture pubbliche o private
presenti sul territorio. Le dichiarazioni rese dalle parti durante la conciliazione, non possono essere usate ai fini
della decisione. Ove la conciliazione sia raggiunta, viene redatto un verbale in cui si attesta la remissione della
querela e la relativa accettazione da parte dell’imputato.

In udienza di comparizione si consente inoltre alle parti di scegliere uno dei riti di definizione alternativi del
procedimento previsti dal decreto legislativo: l’esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto e
l’estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie.

• L’esclusione della procedibilità per particolare tenuità del fatto: questo rito semplificato può aversi
tanto nelle indagini preliminari, quanto nel dibattimento. Ove infatti ex art. 34 sia rilevata la particolare
tenuità del fatto durante le indagini preliminari, il p.m. può fare richiesta di archiviazione alla quale il
giudice può rispondere disponendola con la formula di non doversi procedere… va sottolineato però che
tale pronuncia non è possibile ove vi sia un interesse alla prosecuzione del procedimento da parte
dell’offeso… ed inoltre che in questi casi nel corso delle indagini non è richiesto il consenso
dell’indagato. Ove invece la particolare tenuità del fatto sia rilevata durante il dibattimento, il giudice di
pace può dichiararla con sentenza, soltanto se la persona offesa e specialmente l’imputato, avendo
questi il diritto di rinunciare a questa causa di non procedibilità e di ottenere un esito favorevole nel
merito, siano d’accordo.
• L’estinzione del reato a seguito di condotte riparatorie: questo rito semplificato può aversi ove ex art. 35
sia dimostrato che siano state poste in essere condotte volte alla riparazione del danno o
all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose prima dell’udienza di comparizione… se infatti
ciò si avvenuto dopo, è più difficile per l’imputato ottenere l’estinzione del reato. Per convincere il
giudice l’imputato nel reintegrare l’interesse leso, non deve porre in essere una mera riparazione, ma
deve seguire delle modalità idonee a far credere che non reitererà più il reato: ad ogni modo, il giudice,
se verifica che effettivamente le attività risarcitorie o riparatorie abbiano avuto esito positivo, sentite le
parti, a prescindere dal consenso dell’offeso pronuncia, con sentenza l’estinzione del reato
enunciandone le cause nel dispositivo, altrimenti dispone la prosecuzione del procedimento.
Ove non si giunga ad una conciliazione o comunque si voglia procedere nelle forme ordinarie, senza ricorrere ai
riti di definizione alterativi al procedimento, ex art. 29 si dichiara aperto il dibattimento… in esso, le parti
presentano le richieste di prove e chiedono l’ammissione della prova contraria che il giudice di pace, ove sia
possibile procedere immediatamente, ammetterà, rigettandole ove siano vietate dalla legge, oppure risultino
essere superflue o irrilevanti… successivamente, il giudice invita le parti ad indicare gli atti da inserire nel
fascicolo per il dibattimento ed in questo momento esse possono così accordarsi per l’acquisizione c.d.
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concordata di atti delle indagini e delle investigazioni difensive. Ove non sia possibile procedere
immediatamente al dibattimento, il giudice di pace fissa un’altra udienza e autorizza le parti alla citazione dei
testimoni e dei consulenti tecnici… autorizzazione che sarà negata qualora si tratti di testimonianze vietate dalla
legge o manifestamente sovrabbondanti. Nel caso in cui le parti omettano la citazione, esse decadono dalla
prova essendo il loro gesto riflesso di un mancato interesse… tale prova ove però risulti assolutamente
necessaria potrà essere assunta d’ufficio dal giudice di pace stesso in base a quanto sancito ex art. 32. Sempre ex
art. 32 se vi è accordo delle parti, l’esame dei testimoni, periti e consulenti tecnici può essere condotto
direttamente dal giudice sulla base delle domande e delle contestazioni proposte dal p.m. e dai difensori. Il
verbale d’udienza è redatto di regola in forma riassuntiva, mentre, a meno che sussistano particolari esigenze in
ragione delle quali sarà redatto forma integrale. La motivazione della sentenza è redatta in forma abbreviata e
deve essere depositata entro 15 gg, oppure può essere direttamente dettata a verbale. L’art. 33 tratta della
sentenza di condanna della permanenza domiciliare: si ha l’obbligo di restare nella propria abitazione durante il
fine settimana, anche se è possibile per il condannato chiedere l’esecuzione continuativa della detenzione anche
nei giorni feriali… tale richiesta può essere tanto accolta quanto rigettata e, riguardando la natura e
l’applicazione della sanzione, è un atto personale e pertanto può essere presentato dal solo difensore munito di
procura speciale. In luogo alla permanenza domiciliare, il giudice può ritenere applicabile il lavoro di pubblica
utilità: in tal caso è tenuto ad indicarne il tipo e la durata, lasciando libera scelta all’imputato tra le due.

In ultima battuta Tonini si sofferma sulla disciplina relativa alle impugnazioni per tale tipologia di procedimento,
la quale si ricava integrando la disciplina del c.p.p., così come riformata nel 2006 e nel 2018, agli art. 36-39 del
decreto.

L’appello può essere proposto:

• da p.m. e imputato solo contro le sentenze di condanna che applicano una pena diversa da quella
pecuniaria, come ad esempio la permanenza domiciliare o il lavoro gratuito…
• dall’imputato contro la sola pena pecuniaria limitatamente al capo civile di condanna, anche generica, al
risarcimento del danno.
Il giudice competente dell’appello è il tribunale nel cui circondario si trova il giudice di pace che ha deciso in
primo grado… si seguono le regole ordinarie dell’impugnazione, con qualche eccezione: in particolare, se
l’imputato contumace in primo grado dimostra di non essere potuto comparire senza sua colpa, il tribunale non
rinnova il dibattimento come nel rito ordinario, ma annulla la sentenza impugnata con regressione del
procedimento dinanzi al giudice di pace.

Le sentenze di condanna e di proscioglimento non possono essere sottoposte ad appello, ma sono ricorribili per
Cassazione dal p.m., dall’imputato e dalla parte civile… Contro le sentenze appellabili il ricorso può essere
comunque proposto, ma solo per motivi di violazione di legge o di inosservanza di norme stabilite a pena di
nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza. Per le sentenze inappellabili, il ricorso si ha per tutti i casi
previsti dall’art. 606.

Parte Quinta, Le Impugnazioni

P5, C1 – I principi generali sulle impugnazioni penali

Ove la sentenza di primo grado sia ritenuta erronea dalla parte vinta, quest’ultima potrà esperire impugnazione
dinnanzi ad un secondo nuovo giudice in modo da ottenere stavolta un provvedimento a suo favore. Abbiamo
due tipi di impugnazioni, classificabili in base al fatto che sia o meno sopraggiunta l’irrevocabilità della
sentenza…

Impugnazioni Ordinarie Impugnazioni Straordinarie


Sono… esperibili prima che la sentenza Invece esperibili a prescindere dal
diventi irrevocabile, ovvero entro i fatto che l’irrevocabilità sia
termini perentori, che decorsi sopraggiunta, ergo senza limiti di
determinano appunto l’irrevocabilità tempo contro sentenze diventate

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della sentenza. irrevocabili.
Come ad esempio… L’Appello e il Ricorso per Cassazione La Revisione, il Ricorso straordinario
per Cassazione e la Rescissione del
Giudicato

Prima di andare a vedere le disposizioni generali sulle impugnazioni, valide quindi per ognuna di loro a
prescindere dal fatto che siano ordinarie o straordinarie, Tonini accenna preliminarmente alle caratteristiche
dell’Appello e del Ricorso per Cassazione per poi rimandare ad uno loro approfondimento con tutte le modifiche
intervenute con la Riforma Orlando ed il conseguente decreto legislativo n. 11 del 2018 nei capitoli successivi:

Appello Ricorso per Cassazione


Il giudice [rispettivamente Corte Riesamina il caso sotto il profilo Riesamina il caso esclusivamente
d’Appello o Corte di Cassazione]… della legittimità e del merito, sotto il profilo della legittimità
restando nei limiti dei punti processuale e sostanziale, NON DEL
impugnati per i motivi MERITO, restando nei limiti dei
“tendenzialmente illimitati” tassativi motivi previsti per legge
addotti dalle parti appellanti. addotti dalle parti ricorrenti.
La sentenza emanata in questa conferma o modifica quella annulla quella impugnata, con o
sede [rispettivamente dalla Corte impugnata sostituendola… e senza rinvio al giudice a cui spetterà
d’Appello o dalla Corte di può essere soggetta a ricorso poi il compito di fare un’eventuale
Cassazione]… per Cassazione. modifica.

Andando a vedere le disposizioni generali sulle impugnazioni, valide quindi per ognuna di loro, dobbiamo
analizzare una serie di principi, per poi passare a tematiche più pratiche legate a chi e come si debba impugnare,
nonché i casi in cui l’impugnazione sia inammissibile ed infine analizzare le modalità di trasmissione degli atti dal
giudice a quo al giudice ad quem.

Per quanto concerne i principi generali dobbiamo analizzare quello di tassatività, l’effetto sospensivo
dell’impugnazione, l’effetto estensivo e l’effetto devolutivo.

• Il principio di tassatività è deducibile ex art. 586, in virtù del quale i casi in cui i provvedimenti del giudice
sono soggetti ad impugnazione le relative modalità con cui ciò può avvenire e per mezzo di chi sono
previsti esclusivamente ed espressamente per legge… Sono invece sempre ricorribili per Cassazione i
provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale ai sensi del co. 2 e dell’art. 111 co. 7
Cost, mentre i provvedimenti in materia di misure cautelari personali sono impugnabili presso il
tribunale della libertà indipendentemente dalla fase in cui vengono adottati. Il principio di tassatività è
limitato dal principio di conservazione del valore degli atti giuridici ex co. 5, per cui sono irrilevanti le
qualificazioni erronee date dalla parte impugnante, anche se consapevolmente essendole comunque
quindi concessa in tali casi la possibilità di impugnare.
• L’effetto sospensivo dell’impugnazione, disciplinato dall’art. 588.1, comporta durante il corso dei
termini per impugnare e, in caso di impugnazione, fino all’esito dell’ultimo giudizio di impugnazione
esperito la sospensione dell’esecuzione della sentenza… cosa che è perfettamente coerente con l’art.
650.1 in base al quale le sentenze hanno efficacia esecutiva solo dopo essere divenute irrevocabili, e con
l’art. 27 co. 2 Cost. per cui l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. La
regola trova però eccezione per quanto riguarda i provvedimenti in materia di libertà personale che non
hanno in alcun caso effetto sospensivo come ad esempio i provvedimenti che dispongono una misura
cautelare personale.
• L’effetto estensivo dell’impugnazione, disciplinato dall’art. 587.1, permette alla parte non impugnante
di partecipare al giudizio d’impugnazione promosso da altra parte con la quale abbia un interesse
identico (concorso di persone in un reato) o collegato (riunione di procedimenti per reati connessi), nel
primo caso a patto che l’impugnazione non sia proposta per motivi esclusivamente personali (es.
erronea dichiarazione della recidiva, erronea dichiarazione di assenza), mentre nel secondo caso è
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necessario anche che i motivi di impugnazioni riguardino violazione della legge processuale. Per quanto
riguarda invece l’effetto estensivo della sentenza, quest’ultimo comporta che il giudice
dell’impugnazione, nell’accogliere un motivo di carattere non personale, dispone la modifica o
l’annullamento della sentenza impugnata anche nei confronti del coimputato nel medesimo
procedimento, che non abbia presentato impugnazione o che non abbia partecipato al giudizio di
impugnazione.
• L’effetto devolutivo dell’impugnazione, consta essenzialmente del trasferimento dell’intera o limitata
cognizione dal giudice di primo grado a quello dell’impugnazione… si parla infatti di impugnazione
interamente devolutiva e di impugnazione limitatamente devolutiva:
➢ Avremo impugnazione interamente devolutiva ove il giudice dell’impugnazione abbia il potere di
conoscere tutta la materia decisa dal primo;
➢ Avremo impugnazione limitatamente devolutiva, quando può conoscere solo la parte impugnata della
sentenza, quindi o i punti della stessa nonché l’unico o i più capi d’accusa impugnati dalla parte, nei
confronti della quale, con la riforma Orlando, dovranno essere precisati in modo specifico i motivi di
doglianza. Se la parte esperisce impugnazione ai soli effetti civili, quest’ultima, che segue le forme del
processo penale, ex art. 573, non sospende l’esecuzione delle disposizioni penali del provvedimento
impugnato, bensì determina l’irrevocabilità dei casi penali non impugnati dal pubblico ministero.

In base al principio di tassatività, possono impugnare non tutti i soggetti bensì solo le parti indicate per legge…
coloro i quali possono impugnare detengono la c.d. impugnabilità che a sua volta si compone di due aspetti,
ovvero la legittimazione ad impugnare e l’interesse ad impugnare, la cui mancanza di anche solo uno dei due
determina l’inammissibilità dell’impugnazione. Affinché si possa quindi legittimamente impugnare, la parte
dovrà contestualmente avere:

➢ La legittimazione ad impugnare, ovvero un’astratta titolarità del diritto di impugnazione conferitale


dalle legge.
➢ L’interesse ad impugnare che, ex art. 568.4, sussiste qualora la parte che impugna voglia eliminare un
provvedimento pregiudizievole sostituendolo con un altro dal quale derivi per lei un risultato
vantaggioso. Tale principio trova però una deroga parziale nella potestà di impugnazione conferita a
Pubblico Ministero pro reo, avendo quest’ultimo la funzione di far osservare la legge da cui deriva
quindi il fatto che egli abbia interesse a proporre ricorso per Cassazione ove la legge non sia stata
osservata in primo grado anche se ciò comporta un effetto favorevole per l’imputato.

Andando più nel dettaglio in tema di soggetti legittimati ad impugnare, procediamo per gradi analizzandoli
singolarmente… essi sono: il p.m., il procuratore generale presso la corte d’Appello, l’imputato, il difensore
dell’imputato, la parte civile, il responsabile civile, la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria ed il
querelante.

Per quanto riguarda il pubblico mistero ove possa impugnare, potranno farlo sia il suo rappresentante che abbia
presentato le conclusioni in dibattimento sia il capo dell’ufficio… inoltre ove il p.m. possa impugnare, è
consentito al procuratore generale presso la corte d’appello di poter appellare nei soli casi di avocazione o
qualora il procuratore della Repubblica abbia presentato acquiescenza al provvedimento, essendo stato
eliminato con il decreto legislativo n. 11 del 2018 l’appello cumulativo. Il p.m. presso il giudice che ha
pronunciato il provvedimento impugnato può rinunciare all’impugnazione fino all’apertura del dibattimento,
successivamente, la rinuncia può essere effettuata prima dell’inizio della discussione però presso il giudice
dell’impugnazione.

L’imputato può impugnare personalmente o per mezzo di un procuratore, mentre il difensore può invece
impugnare autonomamente rispetto all’assistito… però se impugnano entrambi, prevale l’impugnazione
dell’imputato.

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La parte civile può impugnare autonomamente per i soli interessi civili, contro i capi della sentenza di condanna
che riguardino l’azione civile, nonché contro la sentenza di proscioglimento al fine di evitare il formarsi del
giudicato civile, purché conservi la suddetta posizione fino al termine del dibattimento ed abbia presentato le
proprie conclusioni scritte.

Il responsabile civile può proporre un impugnazione di tipo penalistico con il mezzo attribuitole per legge
[limitatamente agli affetti civili] contro le disposizioni della sentenza riguardanti la sua responsabilità e la
condanna propria e dell’imputato al risarcimento e alla refusione delle spese processuali.

La persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria in caso di insolvenza dell’imputato può impugnare le
disposizioni della sentenza che lo condannano al pagamento della pena inflittagli.

Il querelante può impugnare limitatamente agli interessi civili contro la sentenza di proscioglimento che lo ha
condannato al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato e al risarcimento del danno in
favore dell’imputato e del responsabile civile.

I soggetti legittimati ai sensi degli artt. 581 ss. devono proporre impugnazione con atto scritto dovrà indicare il
provvedimento impugnato, la data del medesimo ed il giudice che lo ha emesso, nonché enunciare in modo
specifico, a pena di inammissibilità in seguito a quanto disposto con la riforma Orlando: i capi o i punti della
decisione ai quali l'impugnazione si riferisce; le prove di cui si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o
l'omessa o erronea valutazione; le richieste, anche istruttorie ed infine i motivi, con l'indicazione delle ragioni di
diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. A meno che non sia la legge a disporre
diversamente, tale impugnazione scritta dovrà essere presentata personalmente o a mezzo di incaricato nella
cancelleria del giudice a quo [quello di primo grado]… oppure potrà essere spedita con telegramma o con
raccomandata, e in questo caso l’impugnazione si considera proposta nella data di spedizione… va ricordato il
caso particolare dell’imputato, detenuto o internato, il quale può impugnare personalmente con dichiarazione
ricevuta dal direttore dell’istituto penitenziario e immediatamente comunicata alla cancelleria del giudice a quo.
La cancelleria provvederà poi a comunicare l’impugnazione alle parti non impugnanti: al PM presso il giudice che
ha pronunciato la sentenza e al procuratore generale mediante comunicazione, alle parti private mediante
notificazione che avviene senza ritardo. I termini per impugnare sono stabiliti a pena di decadenza ex art. 585.5 e
variano in base a come è stata redatta la motivazione della sentenza… in base al 585.1 infatti:

• per i provvedimenti emessi in seguito a procedimento in camera di consiglio il termine è di 15 gg.


decorrenti dalla notifica dell’avviso di deposito del provvedimento;
• quando la motivazione è eccezionalmente redatta insieme al dispositivo il termine è di 15 gg. dalla
lettura del provvedimento;
• quando la motivazione è depositata entro 15 gg. dalla lettura del dispositivo il giorno della pronuncia il
termine è di 30 gg.;
• quando la motivazione è depositata oltre 15 gg. dal dalla lettura del dispositivo il giorno della pronuncia
il termine è di 45 gg.
Se il giudice depositi anticipatamente la motivazione, i termini decorreranno sempre dal termine indicato per la
sua redazione… se invece egli non rispetti i termini stabiliti dalla legge o da lui indicati per la redazione della
motivazione della sentenza, la cancelleria comunicherà al p.m. e notificherà alle parti private ed ai difensori
l’avviso di deposito della sentenza. Quando la decorrenza del termine per impugnare è diversa per l’imputato e
per il suo difensore, opera per entrambi il termine che scade per ultimo.

È possibile poi presentare nuovi motivi di impugnazione fino a 15 gg. prima dell’udienza davanti al giudice ad
quem [quello dell’impugnazione]… tuttavia, le SS.UU. della Cassazione affermano che essi devono investire i capi
e i punti della decisione che sono stati enunciati nell’originario atto di impugnazione, al fine di non aggirare i
termini per proporre impugnazione.

La rinuncia art. 589 è un atto con il quale la parte che ha proposto impugnazione ammissibile dichiara di non
volersene più avvalere: il p.m. potrà rinunciarvi fino all’apertura del dibattimento, mentre le parti private invece
possono rinunciarvi anche mediante procuratore speciale in dibattimento prima dell’inizio della discussione.
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Il provvedimento impugnato, l’atto di impugnazione e gli atti relativi al procedimento vengono senza ritardo
trasmessi al giudice dell’impugnazione, il quale è tenuto a verificare preliminarmente sia la regolarità delle
notificazioni che l’ammissibilità dell’impugnazione. Per quanto concerne quest’ultima, il codice prevede
espressamente ex art. 591 le c.d. cause di inammissibilità generali, valide quindi per tutti i mezzi
d’impugnazione, che sono: mancanza di legittimazione ed interesse ad impugnare; non impugnabilità del
provvedimento; rinuncia all’impugnazione; mancato rispetto delle disposizioni relative a forma, termini e
spedizione… Inoltre, la riforma Orlando sanziona con l’inammissibilità la mancanza della specifica indicazione dei
motivi di doglianza, per cui quindi particolari considerazioni generiche e astratte o non pertinenti al caso
concreto la causeranno, dei capi o dei punti della decisione ai quali l'impugnazione si riferisce; delle prove di cui
si deduce l'inesistenza, l'omessa assunzione o l'omessa o erronea valutazione; ed infine delle richieste, anche
istruttorie. Proprio per quanto riguarda la mancanza della specifica indicazione dei motivi di doglianza, essa
sussiste qualora non siano state esplicitamente enunciate ed argomentate le ragioni di diritto e gli elementi di
fatto sulle quali si fonda la sentenza impugnata: secondo le SS.UU. della Cassazione, estendendo all’appello il
rigore già previsto per il ricorso in cassazione, la specificità non deve essere solo intrinseca ai motivi
dell’impugnazione, ma anche estrinseca… pertanto tanto ove vi siano alla base particolari considerazioni
generiche e astratte o non pertinenti al caso concreto, quanto vi siano motivi non basati su argomenti connessi
agli accertamenti della sentenza di primo grado, sarà possibile pronunciare inammissibilità. Passando all’aspetto
procedimentale, dobbiamo distinguere due casi: in genere il giudice dell’impugnazione dichiara l’inammissibilità
nella verifica preliminare de plano con ordinanza, per poi disporre l’esecuzione del provvedimento impugnato…
se però in essa non è stata rilevata durante la verifica preliminare, potrà comunque esserlo con sentenza in ogni
stato e grado del procedimento. Inoltre, nel giudizio d’impugnazione le parti private sono soggette ex art. 592 al
principio di soccombenza, in virtù del quale la parte privata soccombente è condannata alle spese di giustizia…
cosa che è non stata analogamente prevista per il p.m., non essendoci alcuna disposizione in merito.

In ultima battuta Tonini si sofferma sulla trasmissione degli atti dal giudice a quo al giudice ad quem… infatti il
primo ha l’obbligo di trasmettere al secondo tutta una serie di atti in modo da fornirgli, unitamente alla copia del
provvedimento impugnato dell’impugnazione e degli atti del procedimento, una serie di dati utili per una più
agevole o sollecita organizzazione e definizione del giudizio tra cui ricordiamo: i nominativi dei difensori, la
dichiarazione o elezione o determinazione di domicilio con le rispettive date ed inoltre i termini di prescrizione di
ciascun reato e quelli di scadenza delle misure cautelari in atto.

P5, C2 - L’Appello

Il primo mezzo di impugnazione è analizzato dal testo è l’appello, uno strumento mediante cui le parti chiedono
al giudice di secondo grado di controllare una decisione di primo grado a loro avviso viziata in modo da poterne
ottenere una a loro favore. Per quanto concerne le sue caratteristiche, dobbiamo ricordare che:

• Si tratta di un mezzo di impugnazione ordinario, ciò significa che una volta esperito non vi sarà
passaggio in giudicato della sentenza impugnata;
• Si tratta di un mezzo di impugnazione a critica libera, pertanto potrà essere posto per qualsiasi motivo di
fatto o di diritto legato ad errores in iudicando o errores in procedendo… non a caso Tonini dice che i
motivi d’appello sono tendenzialmente illimitati;
• Si tratta di un mezzo di impugnazione parzialmente devolutivo, pertanto la cognizione del giudice sarà
limitata dai motivi posti dalle parti alla base dell’impugnazione;
• Alla limitata cognizione del giudice d’appello, si contrappone una sua piena titolarità dei poteri decisori
in virtù dei quali riesamina la questione e si pronuncia con una nuova sentenza a sua volta ricorribile per
Cassazione che andrà a sostituirsi a quella impugnata che, al di fuori di tali casi, potrà essere confermata
modificata o eccezionalmente annullata;
• Nonostante quanto detto, l’appello è uno strumento di controllo non nuovo giudizio, difatti non è
imposto che ci sia un nuova istruzione dibattimentale, se non per casi eccezionali tassativamente
previsti, considerato che il giudice d’appello vede entrare nel suo patrimonio conoscitivo le risultanze
probatorie del giudizio di primo grado;

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• Il processo d’appello è cartolare, pertanto, sempre nei limiti delle richieste e dei motivi delle parti, in
esso può essere data lettura di atti del giudizio di primo grado e del fascicolo del dibattimento senza che
sia possibile assumere prove a scapito del principio d’immediatezza;
• Come deducibile, il giudice d’appello è diverso [da quello che ha pronunciato la sentenza impugnata] e
di regola collegiale nonché titolare di poteri d’ufficio che gli consentono ad esempio di rilevare difetto di
giurisdizione o anche l’incompetenza per materia, l’inutilizzabilità delle prove ed inoltre, ove i motivi
d’appello abbiano criticato una questione attinente alla responsabilità dell’imputato, di prosciogliere
l’imputato ai sensi del 129. Quando parliamo di giudice diverso, più precisamente intendiamo dire che il
giudice competente per l’appello è funzionalmente quello di grado superiore ergo…
- se il giudice di primo grado è stato il tribunale, sarà competente la corte d’appello;
- se il giudice di primo grado è stata la corte d’assise, sarà competente la corte d’assise d’appello;
- se il giudice di primo grado è stato il tribunale dei minorenni sarà competente la sezione per i minorenni
della corte d’appello;
- se il giudice di primo grado è stato il giudice di pace sarà competente il tribunale.
Fatte queste preliminari precisazioni, bisogna ricordare che esiste tanto un appello principale quanto un appello
incidentale:

➢ l’appello principale è l’appello vero e proprio, esperito dal soggetto legittimato nei termini previsti e
che, ove ammissibile, deve essere posto in essere dal giudice diverso funzionalmente competente nei
limiti delle richieste e dei motivi delle parti in modo che questi possa riesaminare la questione e
pronunciarsi…
➢ l’appello incidentale è invece uno strumento recentemente modificato con un apposito decreto
legislativo n. 11, ad oggi previsto ex art. 595, con cui si da la possibilità di appellare entro 15 gg dal
momento in cui sia stato notificato l’altrui appello principale a quei soggetti che, pur legittimati ad
impugnare in via principale, non lo abbiano fatto… in modo che si integri il contraddittorio nel giudizio
principale ed il giudice abbia una visione alternativa della tematica oggetto di controllo, considerato che
infatti l’appello incidentale deve riguardare gli stessi capi della sentenza ed i punti che vi si connettono
già denunciati… c’è una forte interdipendenza quindi, tanto che ove l’appello principale in caso di
inammissibilità o rinuncia perda efficacia anche quello incidentale avrà la stessa sorte. Sempre con la
riforma recentemente intervenuta, l’art. 595 prevede che, l’imputato che non ha proposto tale
impugnazione in quanto non legittimato voglia comunque rendere note al giudice d’appello l’esistenza
di dati probatori non presi in esame nella sentenza di merito o avanzare richieste allo scopo di
contrastare le impugnazioni proposte da altre parti, può presentare entro 15 gg dalla notificazione
proposta dalle altre parti memorie o richieste scritte.
Prima di andare a vedere chi sono i soggetti legittimati ad appellare e la relativa disciplina, così come si presenta
in seguito al decreto legislativo n. 11 del 2018, dobbiamo prima precisare che ex art. 593 alcune sentenze sono
inappellabili, ma ricorribili per cassazione… esse sono:

1. le sentenze di condanna per le quali è applicata la sola pena dell’ammenda come pena originaria, quindi
a contrario può essere oggetto d’appello la sentenza che applica l’ammenda in sostituzione alla pena
detentiva;
2. le sentenze di proscioglimento relative a contravvenzioni punite in astratto con la sola ammenda o con
pena alternativa.
Detto ciò, passiamo ai soggetti legittimati ad appellare: il primo è ovviamente l’imputato, ancora abbiamo il
p.m., il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, la parte civile ed il
querelante.

L’imputato è legittimato ad appellare contro sentenze di condanna non consistenti nell’ammenda e sentenze
che prevedono un proscioglimento non pieno.

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Il p.m. è legittimato ad appellare contro sentenze di proscioglimento e sentenze di condanna quando modificano
il titolo di reato, quando escludono una circostanza aggravante ad effetto speciale, quando stabiliscono una
pena diversa da quella ordinaria del reato.

L’imputato ed il p.m. sono legittimati ad appellare contro una misura di sicurezza soltanto quando hanno
impugnato con il medesimo mezzo anche un capo della sentenza agli effetti della responsabilità penale.

Il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria ex art. 575 sono legittimati ad
impugnare con il mezzo che la legge attribuisce all’imputato e quindi ad appellare rispettivamente il primo
contro le disposizioni della sentenza riguardanti la sua responsabilità, la condanna propria e dell’imputato al
risarcimento e alla refusione delle spese processuali e la seconda le disposizioni della sentenza che lo
condannano in caso di insolvenza dell’imputato.

La parte civile, in base a quanto affermato dalla Cassazione, è legittimata ad appellare contro la sentenza di
primo grado ai soli effetti civili, quindi al fine di evitare il formarsi del giudicato ai fini civilistici… questa per poter
impugnare deve aver però conservato la posizione di parte civile fino al termine del dibattimento e deve aver
presentato le proprie conclusioni scritte.

Il querelante è legittimato ad appellare contro la sentenza di proscioglimento che lo ha condannato al


pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato e al risarcimento del danno in favore
dell’imputato e del responsabile civile.

Spesso contro la stessa sentenza vengono proposti mezzi d’impugnazione diversi, avendo queste ad oggetto più
reati e per evitare che ci siano dei giudicati contrastanti sul medesimo reato o su reati connessi è stato previsto
ex art. 580 che, in questi casi, venga esperito un rimedio preventivo che converte il ricorso per cassazione in
appello in presenza della connessione ex art. 12: tale conversione opera automaticamente quando su almeno un
capo è proposto appello ed un altro possa aver quindi preferito ricorrere per Cassazione, a prescindere dal fatto
che le impugnazioni siano poste in essere da soggetti diversi o dallo stesso soggetto e non comporterà alcuna
modifica del contenuto dell’impugnazione… ove però l’appello originariamente proposto avesse investito anche
profili di merito la corte d’Appello dovrà giudicare anche su quelli ed in ogni caso, mantenendo i suoi originari
poteri di cognizione limitati alla censura di legittimità, deve confermare o riformare la sentenza ed annullare nei
soli casi tassativamente previsti.

Essendo l’appello un mezzo d’impugnazione parzialmente devolutivo, il giudice d’appello, sulla base del
brocardo tantum devolutum quantum appellatum, ha ex art. 597 una cognizione limitata ai punti della sentenza
indicati nei motivi posti dall’appellante alla base dell’impugnazione… detto in parole povere egli dovrà valutare
la giustizia della sentenza di primo grado posta a suo vaglio, esclusivamente nei limiti in cui le parti stesse gliene
hanno fatto richiesta. Andiamo ora ad analizzare le sue facoltà nel dettaglio, a seconda che ad appellare sia solo
il p.m., solo l’imputato oppure entrambi… oppure che ad appellare sia la sola parte civile, solo il p.m. oppure
entrambi.

Quando il pubblico ministero propone appello ex art. 597.2…

• contro una sentenza di condanna, il giudice può dare al fatto una definizione giuridica più grave,
maturare la specie o aumentare a quantità della pena, applicare una misura di sicurezza o adottare ogni
altro provvedimento imposto o consentito dalla legge.
• contro una sentenza di proscioglimento, il giudice può pronunciare condanna o prosciogliere per una
causa diversa da quella enunciata nella sentenza appellata.
• Se invece conferma la sentenza di primo grado, il giudice può applicare, modificare o escludere le pene
accessorie e le misure di sicurezza.
Se propone appello solo l’imputato ed il p.m. resta inerte, vi è il divieto di reformatio in peius [non concernente
le disposizioni civili della condanna di primo grado]…

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• Se la sentenza è di condanna, il giudice d’appello non può irrogare una pena più grave per specie o
quantità, applicare una misura di sicurezza nuova o più grave, mentre può dare al fatto una definizione
giuridica più grave purché però non ecceda la competenza del giudice di primo grado.
• Se la sentenza è di proscioglimento, il giudice di appello non può prosciogliere l’imputato con una
formula terminativa meno favorevole.
Il giudice può tra l’altro in questi casi anche eccezionalmente applicare la sospensione condizionale della pena, la
non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale e una o più circostanze attenuanti.

Se invece sia il p.m. che l’imputato appellano lo stesso capo e punto della decisione, il giudice ha il potere di
adottare sia provvedimenti in peius che in mieus, ma limitatamente ai punti impugnati.

Se la sola parte civile impugna la sentenza di proscioglimento mentre il p.m. resta inerte, essendo la sua
un’impugnazione ai soli effetti della responsabilità civile, se ne avrà l’irrevocabilità sotto il profilo penale ex art.
573.2. In questo caso il giudice, in via incidentale, può affermare la responsabilità penale dell’imputato su cui si
fonda la condanna al risarcimento: avremo un giudicato in cui si afferma l’assoluzione ai fini penali ed una
sentenza in cui si afferma la responsabilità dell’imputato come presupposto di una condanna al risarcimento
idonea a diventare un giudicato ai fini civilistici se confermata in Cassazione.

Se invece è la parte civile a rimanere inerte ed il p.m. ad appellare la sentenza di proscioglimento, in base a
quanto sancito dalla Corte di Cassazione, il giudice di appello che su gravame del solo pubblico ministero
condanni l’imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve provvedere anche sulla domanda della parte civile
che non abbia impugnato la decisione assolutoria.

Se infine tanto la parte civile quanto il p.m. decidano di appellare, il giudice d’appello conosce sia la questione
penalistica che quella civilistica… dobbiamo inoltre ricordare che il codice tutela la parte civile contro l’eventuale
sentenza di non doversi procedere per sopravvenuta estinzione del reato, ex art. 578 infatti il giudice d’appello o
la corte di Cassazione, nel dichiarare il reato estinto, decidono sull’impugnazione limitatamente al capo civile,
per cui la parte civile può comunque ottenere la condanna dell’imputato.

Gli atti preliminari al dibattimento in appello [predibattimento] permettono di far conoscere al procuratore
generale, al presidente ed al consigliere relatore il fascicolo processuale, la sentenza e l’appello, oltre a
permettere di preparare il contraddittorio dibattimentale. L’art. 601 prescrive che il presidente della sezione
della corte a seconda dei casi ordini senza ritardo la citazione dell’imputato appellante o dell’imputato non
appellante nonché del responsabile civile e della parte civile… mediante decreto di citazione, più semplice
rispetto a quello di primo grado, contenente: le generalità dell’imputato; l’indicazione del luogo, giorno e ora
della comparizione, con l’avvertimento che non comparendo l’imputato sarà giudicato in contumacia; la data e
la sottoscrizione del giudice e dell’ausiliario che lo assiste ed infine estremi della sentenza impugnata. Il termine
per comparire non può essere inferiore a 20 gg.

Se il giudice di primo grado non ha provveduto in merito alla richiesta di provvisoria esecuzione del capo civile o
comunque l’abbia rigettata, in base a quanto sancito ex art. 600.1, la parte civile può riproporla per giustificati
motivi mediante appello… il giudice provvederà poi in merito tale richiesta con ordinanza in camera di consiglio.
Sempre l’art. 600, però ai commi 2 e 3, sancisce la c.d. inibitoria civile con cui si dà sostanzialmente la possibilità
all’imputato e al responsabile civile di chiedere, sempre mediante appello ed ove ricorrano giustificati o gravi
motivi, la revoca o la sospensione della provvisoria esecuzione… anche in questo il giudice provvederà con
ordinanza in camera di consiglio, ricorribile per Cassazione.

Passando all’aspetto pratico, Tonini illustra come si svolge il giudizio d’appello partendo dal riferimento
normativo posto all’art. 598: quest’ultimo sancisce infatti che in grado d’appello vanno applicate ove compatibili
le disposizioni relative al giudizio di primo grado, fatte salve però le disposizioni sancite dagli artt. 599 al 603. Già
in precedenza avevamo parlato di predibattimento, quella fase che quindi precede quella dibattimentale vera e
propria in cui invece il cui primo atto consta della relazione della causa, svolta dal presidente del collegio o
comunque dal soggetto da lui delegato, nonché dell’eventuale lettura degli atti del giudizio di primo grado
nonché a quelli contenuti nel fascicolo del dibattimento prevista ex art. 602. Come sappiamo, il dibattimento di
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primo grado si caratterizza per l’assunzione della prova… nel caso del giudizio d’appello, non è così, perché,
come abbiamo già accennato, avendo esso natura di controllo, il giudice competente vedrà entrare nel suo
patrimonio conoscitivo le risultanze probatorie del giudizio di primo grado e quindi non ci sarà bisogno di una
nuova istruzione dibattimentale, almeno di regola. Vi sono infatti dei casi eccezionali, previsti tassativamente per
legge ex art. 603, in virtù dei quali anche nel grado d’appello può esserci assunzione delle prove e quindi sarà
necessario che il giudice, su richiesta di parte oppure d’ufficio, debba rinnovare l’istruzione dibattimentale.
Analizziamole.

Ove la parte senta la necessità di una nuova istruzione dibattimentale al fine di ottenere l’assunzione di prove
già acquisite o comunque sopravvenute o scoperte, potrà rivolgersi al giudice facendone espressa richiesta
nell’atto di appello, nei motivi nuovi oppure anche dopo se ne sia venuta a conoscenza in un secondo momento.
Quando parliamo di prove già acquisite, con riferimento tanto a prove già acquisite in dibattimento quanto a
prove che pur note all’interessato nel precedente giudizio non siano state acquisite in tale sede, il giudice potrà
disporre che sia rinnovata l’istruzione dibattimentale ove ritenga di non poter decidere allo stato degli atti…
quando invece parliamo di prove sopravvenute o scoperte, con riferimento a nuovi elementi di prova
sopravvenuti o scoperti dopo il giudizio di primo grado, il giudice disporrà l’istruzione dibattimentale con
ordinanza ove, sentite le parti, ritenga sussistenti i requisiti di pertinenza e non manifesta irrilevanza.

La rinnovazione dell’istruzione verrà invece disposta d’ufficio, ove il giudice la ritenga assolutamente necessaria
per l’accertamento del fatto… il giudice deve inoltre rinnovare l’istruzione d’ufficio anche in un altro nuovo caso
sancito all’art. 3bis introdotto con la riforma Orlando in attuazione della giurisprudenza della Corte europea dei
diritti dell’uomo e delle SS.UU. Cassazione, ovvero quando il p.m. appelli la sentenza di proscioglimento per
motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa: in questo caso il giudice deve disporre la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, in quanto non può riformare la sentenza e pronunciare condanna senza aver
assunto nuovamente in contraddittorio le prove dichiarative a carico dell’imputato.

Viene quindi da chiedersi come vengano assunte le prove in appello… la tematica è molto discussa in
giurisprudenza: per alcuni sarebbe inutile proseguire con le forme previste per il primo grado, per Tonini invece,
in ossequio al diritto alla difesa nonché al principio del contraddittorio e al disposto dell’art. 598, l’esame
incrociato è anche in grado di appello la modalità migliore per assumere prove. L’udienza di appello di regola è
pubblica e in essa la parola passa nell’ordine consueto: prima per il procuratore generale, poi ai difensori di
parte civile, responsabile civile e persona civilmente obbligata per poi passare infine al difensore dell’imputato…
avendo parlato tutti, il presidente dichiara chiuso il dibattimento ed il collegio si ritira in camera di consiglio per
deliberare sotto la sua direzione… il presidente stesso provvede poi a redigere e sottoscrivere il dispositivo per
poi tornare in aula e pubblicarlo alla lettura.

Come abbiamo già accennato, l’udienza di appello è di regola pubblica: ciò comporta che vi siano quindi dei casi
eccezionali tassativamente previsti per legge ex art. 127 in cui l’udienza deve svolgersi in camera di consiglio
senza la necessaria presenza di p.m. difensori e imputato a meno che non sia stato il primo voler comparire
oppure si proceda, stavolta anche con riferimento agli altri, ad acquisizione probatoria. I casi in cui quindi
l’udienza ha luogo in forma camerale sono:

1. quando siano appellate le sentenze emesse nel giudizio abbreviato previsti ex art. 443.4;
2. quando sia appellata la specie o la misura della pena o l’applicabilità di attenuanti generiche, sanzioni
sostitutive, sospensione condizionale della pena, etc. previsti ex art. 599.1;
3. quando siano appellati provvedimenti sull’esecuzione delle condanne civili previsti ex art. 600.

La riforma Orlando ha inoltre reintrodotto il concordato in appello, oggi previsto all’art. 599bis, per cui la corte
d’appello è chiamata a provvedere in camera di consiglio ove le parti ne facciano richiesta, dichiarando di
concordare in toto o in parte sull’accoglimento dei motivi di appello, rinunciando ad altri eventuali e, ove
necessario, indicando anche la pena su sui sono d’accordo. Il giudice può solo accogliere tale concordato senza
modificarlo, altrimenti dichiara di non poter decidere allo stato degli atti e ordina la citazione a comparire nel

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dibattimento in appello in cui, perdendo efficacia rinunce e motivi, potranno essere riproposti… se il concordato
è recepito dal giudice i tempi di appello si riducono considerato che si risparmiano i tempi del giudizio di
cassazione.

L’art. 604 esprime il divieto di regresso del processo di appello al primo grado, ergo il regresso, con cui
sostanzialmente si fa riferimento alla rimessione degli atti al giudice di primo grado, va inteso come un istituto
eccezionale previsto in relazione alle questioni di nullità… quindi quando:

1. il giudice d’appello dichiara la sentenza nulla per difetto di contestazione ex art. 522 ove vi sia stata in
primo grado condanna per un fatto diverso o applicazione di una circostanza aggravante per la quale la
legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato o di una circostanza aggravante
ad effetto speciale, sempre che non vengano ritenute prevalenti o equivalenti circostanze attenuanti…
precisamente in questo caso dichiarata la nullità con sentenza si rinviano gli atti ad altra sezione della
corte d’assise o dello stesso tribunale o, in mancanza, alla corte o al tribunale più vicini; invece qualora il
giudice sia monocratico, allo stesso tribunale ma a giudice diverso da quello che ha pronunciato la
sentenza annullata;
2. il giudice d’appello accerta una nullità assoluta o intermedia non sanata che ha portato alla nullità del
provvedimento che dispone il giudizio o della sentenza di primo grado… precisamente in questo caso
dichiarata la nullità con sentenza rinvia gli atti al giudice che procedeva al momento in cui essa si è
verificata;
3. quando vi è la prova di un legittimo impedimento dell’imputato tale da non permettergli di presentarsi
in giudizio o quando si dimostra un’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo…
precisamente in questo caso dichiarata la nullità con sentenza rinvia gli atti al giudice di primo grado
aprendosi così un nuovo procedimento in cui potrà chiedere l’abbreviato o il patteggiamento.

In ultima battuta, bisogna soffermarsi sulla sentenza del giudice di appello può emanare: come abbiamo già
accennato egli di regola conferma o modifica la sentenza impugnata ex art. 605 e, raramente, nei casi eccezionali
previsti ex art. 604 la annulla… avendo abbondantemente trattato delle nullità, soffermiamoci sui primi due casi:
se il giudice d’appello conferma la sentenza impugnata, significa che quello di primo grado non ha commesso
alcun errore e che quindi entrambi hanno seguito lo stesso ragionamento senza che sia stata disposta
nuovamente l’istruzione dibattimentale e quindi alla base delle stesse prove cartolari… se il giudice d’appello ha
modificato la sentenza impugnata, significa che pur avendo gli stessi strumenti logico-argomentativi ha fatto un
nuovo ragionamento, dal punto di vista delle prove nonché da quello giuridico, che lo ha portato a scovare o
errori di fatto o di diritto e quindi a pronunciare una sentenza di accoglimento sostitutiva della sentenza
impugnata. Va ricordato infine che le pronunce d’appello sull’azione civile sono immediatamente esecutive… ed
una loro copia, ove il giudice di primo grado sia competente per la sua esecuzione e non sia stato proposto
ricorso per cassazione, va trasmessa, ad opera della cancelleria senza ritardo e unitamente agli atti del
procedimento, presso di lui.

P5, C3 – Il Ricorso per Cassazione

Avendo esaurito tutti gli argomenti in merito all’appello, proseguiamo analizzando un nuovo mezzo
d’impugnazione: il ricorso per Cassazione, il quale ex art. 111.7 è sempre esperibile per violazione di legge nei
confronti di sentenze e provvedimenti sulla libertà personale… quindi non si tratta di un giudizio di merito, né di
un terzo grado di giudizio, bensì di un giudizio di legittimità. Prima di andare ad analizzare questo mezzo
d’impugnazione ordinario a critica vincolata, la cui proponibilità pertanto, non prescinde dal passaggio in
giudicato delle sentenze, sarà vincolata ai soli tassativi casi/motivi previsti dalla legge all’art. 606, dobbiamo però
momentaneamente prima soffermarci sull’organo giudicante chiamato a pronunciarsi e quindi sulla peculiare
figura della Corte di Cassazione: come è chiaro, si tratta di un giudice di solo diritto, “l’organo supremo della
Giustizia”, a cui è concesso di annullare la sentenza impugnata ove, svolta la sua funzione di controllo sul giudice
di merito, rilevi che questi abbia violato il principio di legalità penale e processuale… proprio in termini di
funzioni poi l’art. 65 ord. Giud. le elenca dettagliatamente [prima tra tutte quella nomofilattica, in virtù del quale
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assicura l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge; ancora assicura l’unità del diritto oggettivo
nazionale, nonché il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni e regola i conflitti di competenza e di
attribuzione ed in via residuale adempie agli altri compiti ad essa conferiti dalla legge]… dal punto di vista
strutturale, oltre ad essere unica per tutto il territorio italiano con sede a Roma, è divisa in sezioni competenti
per materia a cui il presidente affida il ricorso che, ove sia di particolare importanza o comunque già
precedentemente frutto di dibattito tra di esse, sarà pronunciato a sezioni unite. Ad ogni modo ex art. 568.2
c.p.p. è previsto che, quando non sono altrimenti impugnabili, siano sempre ricorribili per cassazione
provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale e le sentenze… dove per provvedimenti non
possono essere intese le ordinanze che possono dar luogo ad un conflitto di giurisdizione o competenza e per
sentenze si fa riferimento in quest’ultimo caso alle sentenze inappellabili e alle sentenze pronunciate in grado
d’appello.

Per quanto concerne i soggetti legittimati a ricorrere in cassazione, vale lo stesso discorso fatto in precedenza…
quindi in base a quanto sancito agli art. 570-576, essi sono: ovviamente l’imputato, il procuratore generale
presso la corte d’appello, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, la parte
civile ed il querelante. Tonini si sofferma sulle sole discipline dell’imputato e del procuratore generale presso la
corte d’appello, essendoci delle diversità…

L’imputato può a ricorrere in cassazione contro sentenze di condanna o di proscioglimento, nonché nei soli capi
della sentenza inerenti alle spese processuali… attenzione però con la riforma Orlando non potrà più presentarlo
personalmente, ma deve farlo in virtù di una procura speciale un difensore abilitato al patrocinio in Cassazione
ed iscritto al relativo albo (il c.d. cassazionista)… quindi le parti non compaiono personalmente in udienza, ma
mediante quest’ultimo, che svolge funzione di rappresentanza tecnica in virtù della propria iscrizione all’albo
speciale, la cui sottoscrizione, ove mancasse, determinerebbe l’inammissibilità tanto del ricorso quanto di
memorie e motivi nuovi. Ad ogni modo, se l’imputato è privo del difensore di fiducia il presidente del collegio
provvede a designarne uno d’ufficio: in tema di notificazioni, esse vanno fatte al solo difensore di fiducia presso
il suo domicilio, anche all’imputato se il difensore è stato attribuito d’ufficio.

Il procuratore generale presso la corte d’appello può a ricorrere in cassazione contro sentenze di
proscioglimento e sentenze di condanna pronunciata in grado di appello nel distretto o contro ogni sentenza che
sia inappellabile. Anche in questo caso bisogna far riferimento alla riforma Orlando: quest’ultima ha infatti
previsto un limite, in virtù del quale se il giudice d’appello ha confermato la sentenza di proscioglimento di primo
grado, il ricorso di Cassazione può essere proposto solo per motivi di stretta violazione di legge di cui alle lettere
a-b-c (come vedremo, straripamento di potere, inosservanza della legge sostanziale, inosservanza della legge
processuale limitatamente ai casi di nullità, inammissibilità, inutilizzabilità o decadenza) e non anche d-e (come
vedremo, quando si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva o si addebita alla sentenza il vizio di
omessa, contraddittoria o manifestamente illogica motivazione).

Ove tutte le parti siano d’accordo, si può saltare il grado d’appello e passare direttamente in cassazione e quindi
porre in essere il c.d. ricorso per saltum contro la sentenza di primo grado: dal momento in cui infatti non vi sia
accordo tra le parti ed una delle due e una delle due propone ricorso per saltum e l’altro appello, il ricorso si
converte in appello. Ad ogni modo, il ricorso per saltum non è ammesso in relazione a motivi assimilabili alle
lettere d-e (quindi, come vedremo, quando si lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva o si addebita
alla sentenza il vizio di omessa, contraddittoria o manifestamente illogica motivazione), infatti ove sia
ugualmente proposto ricorso si convertirà in appello.

Passiamo ora all’aspetto più tecnico, abbiamo fin ora solo accennato a cosa realmente sia il Ricorso per
Cassazione: precisamente, si tratta di un mezzo d’impugnazione ordinario a critica vincolata, pertanto la sua
proponibilità, prevista prima del passaggio in giudicato delle sentenze, sarà vincolata ai soli tassativi casi/motivi
previsti dalla legge all’art. 606.1. Abbiamo solo fatto un accenno poc’anzi anche in relazione motivi, procediamo
ora ad analizzarli nella loro interezza… essi sono previsti alle lettere a-b-c-d-e e sono 5:

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a) quando il giudice esercita una potestà che la legge ha riservato ad altri, quali ad esempio organi
legislativi o amministrativi, o non consentita ai pubblici poteri… detto in parole povere quando il giudice
usurpa un potere non suo;
b) quando il giudice pone in essere un error in iudicando, avendosi inosservanza o comunque erronea
applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione
della stessa determinando ad esempio un erronea qualificazione del fatto punibile;
c) quando il giudice pone in essere un error in procedendo, ma solo ove sia fonte dell’inosservanza delle
norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità o di decadenza e non di violazioni che
portino a delle mere irregolarità;
d) quando il giudice non ha assunto una prova decisiva [e quindi tale da incidere significativamente
sull’esito del procedimento], contraria a quella che è stata ammessa ex art. 495.2 [quella prova che ha
per oggetto il medesimo fatto ed è finalizzata a dimostrare che esso non sia avvenuto], pur avendone la
parte fatto richiesta al momento delle richieste di prova all’inizio del dibattimento o comunque nel
corso dell'istruzione dibattimentale;
e) ove, risulti dal provvedimento impugnato o [di ispirazione dottrinale poi tramutata in legge nel 2006,
prima solo dal provv. imp. altrimenti se fossero stati sindacabili tutti gli atti avremmo avuto un terzo
grado di merito… era però comunque necessario in alcuni casi un confronto per rilevare il vizio] da altri
atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, la mancanza della motivazione o
addirittura la sua contraddittoria o manifesta illogicità … dove per mancanza della motivazione non si fa
riferimento ad una ad una questione di layout, bensì ad una carenza sostanziale del discorso logico in
merito ai motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, nonché delle prove assunte alla base
della stessa e di quelle scartate in quanto contrarie [ad ogni modo dobbiamo ricordare che è ammessa
motivazione per relationem ad un altro atto, purchè si abbia la medesima provenienza soggettiva, la
medesima struttura, rinvio ad un atto precedente e non successivo, le parti devono essere state messe
in grado di conoscere l’atto e la parte impugnante non deve aver introdotto un nuovo motivo di
lagnanza]… mentre per manifesta illogicità della motivazione al fatto che pur essendoci
un’argomentazione, i suoi contenuti non seguono un filo logico o cadono in contraddizione per un
cattivo uso delle massime d’esperienza o delle leggi scientifiche [ad ogni modo dobbiamo ricordare che
all’interno della manifesta illogicità si colloca il vizio di contraddittorietà logica della decisione il quale
prescinde dal contenuto della motivazione che finisce per trovarsi in contrasto con quest’ultima, poiché
il giudice non ha fatto uso dei principi di non contraddizione, di identità e del terzo escluso]… mentre
ancora per contraddittorietà c.d. processuale della motivazione, si fa riferimento ad un contrasto tra atti
processuali e motivazione della sentenza impugnata, in quanto quest’ultima, adoperando un vero e
proprio travisamento delle risultanze probatorie distorcendole o peggio adoperando quello che Tonini
chiama travisamento per invenzione, motivando su una prova non risultante dagli atti oppure ancora
adoperando un travisamento per omissione quando non si motiva su di una prova che è stata acquisita,
non rispecchia fedelmente le prove acquisite nel processo. Ovviamente, essendo un giudizio di
legittimità, la valutazione esclusa è quella del merito… la cassazione deve pronunciarsi sui soli motivi e
quindi tralasciare le tematiche dell’attendibilità della dichiarazione e della credibilità sulla fonte… ad
ogni modo va ricordato un orientamento secondo cui nel valutare la Cassazione non può limitarsi al
controllo della coerenza intrinseca e della congruità ai fatti dell’ipotesi di accusa, ma deve prendere in
considerazione anche le ipotesi antagoniste della spiegazione dei fatti e quindi una sentenza che
organizzi in modo logico poche informazioni probatorie non sarà illogica, ma fomentatrice di dubbi
ragionevoli.
L’art. 606.3 prevede la sanzione dell’inammissibilità dal momento in cui il ricorso per Cassazione venga proposto
per motivi diversi da quelli tassativamente elencati o manifestamente infondati (= volendo si fa riferimento
limitatamente a quella serie di ricorsi con cui vengono denunciati dal ricorrente vizi palesemente insussistenti), o
se venga proposto per violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello… oltre che per questi motivi,
l’inammissibilità del ricorso per Cassazione può aversi anche in relazione alle cause generali previste ex art. 591
c.p.p. per tutti i mezzi d’impugnazione. Se contemporaneamente sussista una causa di inammissibilità
dell’impugnazione ed una causa di estinzione del reato, bisogna effettivamente stabilire quale delle due va
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dichiarata considerato che entrambe hanno delle conseguenze non da poco: la pronuncia di inammissibilità, ove
non impugnata a sua volta, provoca infatti il passaggio della sentenza in giudicato, mentre la pronuncia di
estinzione del reato (per prescrizione intervenuta nelle more del giudizio di impugnazione) comporta che il fatto
non sia più punibile. Per contenere la prassi delle impugnazioni meramente dilatorie [quando il ricorso viene
proposto sulla base di argomenti palesemente inconsistenti, avanzati per prolungare artificiosamente il processo
fino all’estinzione del reato] la giurisprudenza, limitandone l’area di operatività, ha deciso di escludere la
declaratoria di determinate cause di non punibilità prevista ex art. 129 laddove l’atto di impugnazione risulti
inammissibile tanto ex art. 591, fatta eccezione per la rinuncia, quanto per uno dei motivi previsti ex art. 606.3.

Per quanto concerne la cognizione dalla Corte di Cassazione, non possiamo ragionare come per l’appello: in base
quanto sancito infatti ex art. 609.1 stavolta non è più vincolata al punto, bensì è limitata ai motivi addotti dalle
parti che possono essere solo accolti o rigettati a meno che, ex comma 2, non si tratti di questioni rilevabili
d’ufficio o non deducibili in appello… il ricorso per cassazione è definibile infatti come un azione di annullamento
della sentenza impugnata: ove i motivi siano ritenuti validi e quindi sia accertato il vizio la Corte accoglie il
ricorso ed annulla la sentenza impugnata, con o senza rinvio al giudice che l’ha emessa, in caso contrario invece
rigetta e la sentenza resta in piedi.

Fatte queste doverose nonché funzionali premesse, possiamo passare all’aspetto procedimentale: il
procedimento per cassazione si apre con una fase preliminare dedicata essenzialmente a verificare
l’ammissibilità del ricorso con la conseguente assegnazione alla sezione competente per materia. Quindi in
primo luogo il ricorso viene posto al vaglio del magistrato delegato dal presidente della corte in modo che possa
appurare la sussistenza di un’eventuale inammissibilità… a questo punto ove la appuri affida il caso alla settima
sezione in modo che essa possa dichiararla, in base alla Riforma Orlando, a seconda che si tratti di
inammissibilità meramente formali o di altre inammissibilità, secondo le procedure previste.

• Ove il ricorso presenti inammissibilità meramente formali, ex art. 610.5bis, vanno dichiarate de plano,
senza avvisi e senza facoltà di partecipare all’udienza e contro tale pronuncia è possibile ricorso
straordinario.
• Ove il ricorso presenti in via residuale altre inammissibilità, vanno dichiarate in camera di consiglio
dando comunicazione al procuratore generale e ai difensori della data fissata per la decisione dal
presidente nonché della causa di inammissibilità rilevata… le parti possono solo presentare nuovi motivi
e memorie fino a 15 gg. prima dell’udienza.
Dal momento in cui non sia appurata invece inammissibilità, o comunque la settima sezione non l’abbia
dichiarata, il presidente assegna ex art. 610.1bis alla singola sezione semplice il ricorso, disponendo solo ove
necessario la riunione dei giudizi nonché la data per la trattazione in udienza pubblica o in camera di consiglio
che dovrà essere comunicata almeno 30 gg prima al procuratore generale e ai difensori assieme alle modalità di
svolgimento. Di regola la Corte di Cassazione procede ex art. 614 in udienza pubblica, mentre solo nei tassativi
casi eccezionali previsti per legge in camera di consiglio…

• L’udienza in camera di consiglio può essere basata o su contraddittorio scritto o su contraddittorio


orale.
a. Quando l’udienza in camera di consiglio è basata sul contraddittorio scritto o cartolare, la suprema corte
decide esaminando i motivi, le richieste del procuratore generale e le memorie delle altre parti senza
intervento dei difensori in deroga al 127 e fino a 15 gg prima dell’udienza tutte le parti possono
presentare motivi nuovi e memorie, nonché fino a 5 gg prima possono presentare memorie di replica.
Inoltre quando possa derivarne grave ed irreparabile danno, su richiesta dell’imputato o del
responsabile civile, la Corte può sospendere l’esecuzione della condanna civile in pendenza del ricorso.
b. L’udienza in camera di consiglio basata sul contraddittorio orale, invece ammette l’intervento orale dei
difensori e del procuratore generale ai sensi del 127.
• Come abbiamo già detto, di regola si procede in udienza pubblica. Prima di tutto, dobbiamo ricordare
che essendo protagonista la sentenza impugnata per questo le altre parti private non sono citate, ma
sono rappresentate dai difensori e possono comparire in udienza mediante questi. Ad ogni modo

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l’udienza si apre con la verifica della costituzione delle parti e la regolarità degli avvisi da parte del
presidente... si procede poi con la relazione della causa e l’esposizione delle difese nell’ordine ordinario
in virtù del quale parla prima il procuratore generale, poi difensori di parte civile quelli del responsabile
civile ed infine quello dell’imputato, tenendo ben presente del fatto che non sono ammesse repliche,
tranne che per la questione dedotta per la prima volta nel corso della discussione… in seguito la Corte si
ritira in camera di consiglio e al termine viene data lettura dei dispositivi, salvo che la deliberazione non
sia differita ad altra udienza… La pubblicazione della sentenza avviene con la lettura in pomeriggio del
dispositivo in udienza mentre la motivazione è depositata entro 30 gg. dalla deliberazione.
La suprema corte può emanare diverse tipologie di sentenze: di inammissibilità, di rigetto, di rettificazione e di
annullamento. Analizziamole.

• La Corte di Cassazione emana sentenze di inammissibilità quando accerta che il ricorso sia macchiato da
una causa di inammissibilità (quindi se sia stato proposto per motivi diversi da quelli consentiti dalla
legge o manifestamente infondati o se è proposto per violazioni di legge non dedotte nei motivi
d’appello) non preliminarmente dichiarata in camera di consiglio, potendo essere l’inammissibilità
dichiarata in ogni stato e grado del procedimento, così che la parte ricorrente, a meno che essa non si
sia verificata per sua colpa, sia condannata al pagamento delle spese relative al procedimento nonché
ad una somma a favore della cassa delle ammende. Nei casi di inammissibilità la cancelleria della corte
di Cassazione trasmette senza ritardo atti e copia del solo dispositivo al giudice che ha emesso la
decisione.
• La Corte di Cassazione emana ex artt. 615 ss. sentenze di rigetto quando il ricorso è infondato non
essendo stato accolto per nessuno dei motivi proposti… anche stavolta con tale provvedimento il
ricorrente è condannato al pagamento delle spese del procedimento ed eccezionalmente al pagamento
della somma a favore della cassa delle ammende.
• La Corte di Cassazione emana sentenze di rettificazione quando ex art. 619 accerta che vi siano errori di
diritto nella motivazione o erronee indicazioni di testi di legge che non hanno avuto influenza sul
dispositivo della decisione impugnata, in modo che si possa appunto sopperire ad essi indicando
specificamente le censure e le rettificazioni occorrenti. Il co. 2 prescrive tra l’altro che è possibile
rettificare la specie o la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, oppure anche
quando è necessario applicare una legge più favorevole all’imputato anche se sopravvenuta dopo la
proposizione del ricorso. Nei casi di rettificazione, la cancelleria della corte di Cassazione trasmette
senza ritardo atti e copia della sentenza al medesimo giudice.
• La Corte di Cassazione quando accoglie uno o più motivi di ricorso o quando deve emettere tale
pronuncia d’ufficio emana sentenze di annullamento con o senza rinvio al giudice di merito, a seconda
che sia o meno necessario procedere ad ulteriori accertamenti di fatto.
a. L’annullamento senza rinvio è disposto in genere quando l’accoglimento del ricorso non impone di
procedere ad accertamenti di fatto ulteriori rispetto a quelli compiuti nella sentenza impugnata…
più precisamente ex art. 620 quando… a) il fatto non costituisce reato b) il reato è estinto c) l’azione
penale non doveva essere iniziata o proseguita, d) il reato non appartiene alla giurisdizione del
giudice ordinario e) il provvedimento impugnato eccede i poteri della giurisdizione f) il
provvedimento non è consentito dalla legge g) la sentenza è nulla relazione ad un reato concorrente
o ad un fatto nuovo h) se vi è contraddizione fra la sentenza o l'ordinanza impugnata e un'altra
anteriore concernente la stessa persona e il medesimo oggetto, pronunciata dallo stesso o da un
altro giudice penale i) se la sentenza impugnata ha deciso in secondo grado su materia per la quale
non è ammesso l'appello. Questo elenco è stato esteso dalla riforma Orlando, con cui si è aggiunta
la lettera l) con cui si precisa che tale sentenza può essere disposta anche qualora la Cassazione
ritenga di poter decidere o di rideterminare la pena sulla base delle statuizioni del giudice di merito,
nonché in ogni altro caso in cui ritiene superfluo il rinvio; ai sensi dell’art. 622, in caso di
annullamento, se la parte civile ha impugnato la sentenza di proscioglimento dell’imputato, si ha un
rinvio al giudice civile competente per valore in grado d’appello, anche se l’annullamento ha ad

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oggetto una sentenza inappellabile. Nei casi di annullamento senza rinvio, la cancelleria della corte
di Cassazione trasmette senza ritardo atti e copia della sentenza al medesimo giudice.
b. L’annullamento con rinvio è disposto quando l’accoglimento del ricorso impone di procedere ad
ulteriori accertamenti di fatto ontologicamente preclusi al giudice di legittimità… dunque in questi
casi la Corte demanda la decisione al giudice di merito, il quale, come vedremo, nel pronunciarsi
dovrà conformarsi al principio di diritto da essa sancito nel momento in cui ha annullato con rinvio
senza travalicarlo. Il giudice di merito è individuato in ossequio a quanto posto ex art. 623:
➢ se è annullata un'ordinanza, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al
giudice che l'ha pronunciata…
➢ se è annullata una sentenza di condanna quando la Corte d’Appello avrebbe dovuto
annullare e non lo ha fatto la sentenza di primo grado ed ordinare in via eccezionale la
regressione del processo in tale sede, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano
trasmessi al giudice di primo grado…
➢ se è annullata la sentenza di una corte di assise di appello o di una corte di appello ovvero
di una corte di assise o di un tribunale in composizione collegiale, il giudizio è rinviato
rispettivamente a un'altra sezione della stessa corte o dello stesso tribunale o, in
mancanza, alla corte o al tribunale più vicini…
➢ se è annullata la sentenza di un tribunale monocratico o di un giudice per le indagini
preliminari, la corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al medesimo
tribunale… tuttavia, il giudice deve essere diverso da quello che ha pronunciato la sentenza
annullata.

Nei casi di annullamento con rinvio la cancelleria della corte di Cassazione trasmette senza ritardo gli atti del
processo con la copia della sentenza al giudice del nuovo giudizio.

L’annullamento parziale ex art. 624 si ha quando l’annullamento non colpisce tutte le diposizioni della sentenza
impugnata, la quale diviene praticamente sì cosa giudicata però nelle sole parti che non hanno una connessione
essenziale con quella annullata… dove per connessione essenziale si intende un vincolo sussistente quando la
parte annullata costituisce una premessa indispensabile per quella che non lo è stata. La Corte stessa provvede a
mettere per iscritto nel dispositivo stesso quali parti della sentenza siano diventate irrevocabili e nel caso in cui
ciò non sia fatto, essa stessa, su domanda o d’ufficio, pronuncia un’ordinanza integrativa da trascrivere al
margine della sentenza e ad ogni copia… invece per le parti non toccate dall’annullamento, si ha il fenomeno del
giudicato progressivo che comporta l’impossibilità per il giudice di rinvio di poter accertare la prescrizione del
reato sopravvenuta, preesistente o non accertata in sede di Cassazione.

Andando a vedere più nel dettaglio il giudizio di rinvio, dobbiamo partire analizzando l’art. 627 in virtù del quale
la Corte di Cassazione, quando annulla la sentenza con rinvio, fissa il principio di diritto e rimette al giudice di
merito, avente gli stessi poteri del giudice la cui sentenza è stata annullata, il compito di decidere conformandosi
ad esso senza travalicarlo… questo principio di diritto gli viene praticamente imposto e infatti, dal momento in
cui egli nel riesaminare la questione se ne distacchi o comunque non si uniformi ai motivi già decisi in
Cassazione, dal combinato disposto degli art. 627.3 e 628, la sentenza da lui emessa, sarà ricorribile per
Cassazione in modo da ottenere un nuovo annullamento e quindi un nuovo giudizio… in caso di impugnazione è
tranquillamente possibile che si instauri una serie infinita di rinvio e successive impugnazioni, dal momento che
l’art. 628 non pone alcuna limitazione in merito materialmente, infatti potrebbe accadere che la pronuncia di
rinvio venga annullata con rinvio per poi essere a sua volta nuovamente impugnabile. Dobbiamo inoltre
ricordare che nel giudizio di rinvio non è ammessa la discussione sulla competenza attribuita dalla sentenza di
annullamento, salvo quando risultino nuovi fatti da cui derivi la competenza di un giudice superiore… inoltre, il
giudice del rinvio non può rilevare nullità, anche se assolute, o inammissibilità verificatesi nei precedenti gradi di
giudizio o nelle indagini preliminari, in quanto la sentenza di annullamento della Cassazione ne copre la
deduzione, mentre è invece possibile dichiarare le inutilizzabilità.

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Pur in presenza del principio di tassatività, si è ritenuto ingiusto che fosse impedito al giudice di accertare le
violazioni della legge processuale non espressamente previste dal legislatore e per introdurre un correttivo a tale
situazione, la giurisprudenza ha escogitato la categoria del provvedimento abnorme, cioè non conforme dal
punto di vista strutturale (in quanto avulso dall’ordinamento processuale: es. il giudice ordina al PM di formulare
l’imputazione contro un soggetto ignoto) o funzionale (in quanto il potere è esercitato al di fuori delle ipotesi
previste: es. il PM chiede al GUP il rinvio a giudizio e questi dispone l’archiviazione) ai tipi previsti
dall’ordinamento processuale. Il provvedimento abnorme è ricorribile direttamente per Cassazione, poiché per
la sua stravagante natura va contro quanto sancito all’art. 111.7 Cost., ovvero che ogni provvedimento, in
quanto motivato, deve essere legale o meglio rispondente al modello della fattispecie processuale penale… da
questa norma è stato tratto un principio a dir poco rivoluzionario, in virtù del quale l’impugnabilità per
cassazione del provvedimento abnorme, esperibile entro i termini ordinari, dipende dalla sua conoscenza
effettiva e non da quella legale, potendo quest’ultima mancare. La regressione del procedimento quando essa è
dovuta ad un provvedimento del giudice compiuto nell’esercizio dei propri poteri, non determina abnormità in
quanto il cattivo esercizio porta non ad un atto abnorme bensì ad un atto illegittimo per cui è prevista anche
sanzione disciplinare. Per quanto riguarda invece la disciplina da seguire in merito al ricorso per cassazione dei
provvedimenti abnormi, dobbiamo sottolineare che esso stavolta si svolge in camera di consiglio de plano e che
l’impugnazione può essere proposta personalmente da un difensore iscritto nell’albo speciale… ove sia rilevata
abnormità, la corte annulla senza rinvio e si ha o la restituzione degli atti al p.m. o al giudice competente per la
prosecuzione del procedimento.

P5, C4 – Le Impugnazioni Straordinarie

Dopo aver analizzato le impugnazioni ordinarie, la cui proponibilità impedisce il passaggio in giudicato della
sentenza impugnata, passiamo ad analizzare quelle straordinarie le quali deducibilmente sono quelle che
possono essere fatte valere a prescindere dal passaggio in giudicato delle sentenze e quindi anche dopo il suo
verificarsi… dopo che siano quindi diventate irrevocabili ed in ciò sta la straordinarietà di tali mezzi
d’impugnazione. Il giudicato, come sappiamo, ha un effetto preclusivo tale da cristallizzare quanto affermato in
una sentenza in modo che contro lo stesso imputato e per lo stesso fatto storico, per cui sia stato prosciolto o
condannato, non possa più aprirsi un successivo procedimento penale… ma in relazione alle impugnazioni
straordinarie, in via del tutto eccezionale, i suoi effetti vengono meno per un’esigenza di giustizia ritenuta
stavolta dal legislatore prevalente rispetto a quella di certezza: infatti, lo stesso art. 649.1, afferma che solo di
regola non possa esserci un nuovo processo penale nei confronti dello stesso imputato e per lo stesso fatto
storico riferendosi implicitamente alla revisione, al ricorso straordinario per cassazione e alla rescissione del
giudicato che possono quindi essere eccezionalmente posti nei confronti di una sentenza divenuta ormai
irrevocabile. Analizziamoli nel dettaglio.

La revisione si presenta come un mezzo d’impugnazione molto particolare essendo infatti prevista non solo per
ridare libertà all’innocente erroneamente giudicato, ma anche per restituirgli dignità, ove la pena sia esaurita o il
condannato sia defunto. Essa infatti ex art. 629, ha per oggetto una sentenza di condanna divenuta irrevocabile
o, in seguito ad un apposito intervento legislativo del 2003, una sentenza di patteggiamento e competente ad
eseguirla è esclusivamente la corte di appello determinata alla luce della tabella prevista dalla legge n. 420 del
1998 art. 11… che è quindi appartenente ad un distretto diverso da quello in cui si è svolto il giudizio divenuto
irrevocabile, il tutto per evitare influenze ambientali e consentire lo svolgimento di un giudizio sereno cosa che
potrebbe prevedibilmente accadere allo stravolgimento di un giudicato. Materialmente la revisione non è altro
che un giudizio (c.d. di revisione appunto) posto in essere per ovviare ai soli errori di fatto con riguardo alla
condotta, al nesso causale o all’evento e per di più connessi all’attribuzione soggettiva di colpevolezza ed
imputabilità fatti in quello precedente… a seguito di questo ennesimo giudizio ex art. 637 o l’istanza di revisione
viene rigettata oppure vi è proscioglimento dell’imputato con conseguente revocazione della sentenza
impugnata. Infatti gli elementi [e quindi le prove dell’errore di fatto, il cui oggetto, va precisato, è contenuto
rispetto a quello del processo], in base a cui chiedere la revisione devono essere a pena di inammissibilità tali da
dimostrare ai sensi dell’art. 631 che l’imputato deve essere prosciolto perché il fatto non sussiste, l’imputato
non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato, la persona non è imputabile o punibile, essendovi espresso

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rinvio agli art. 529-530-531 cosa che tra l’altro comporta anche l’ammissibilità del giudizio di revisione anche se
possa ipotizzarsi al suo esito un ragionevole dubbio circa la colpevolezza dell’imputato. Ad ogni modo
inizialmente la revisione era essenzialmente prevista in quattro tipologie di casi, poi è stata prevista una nuova
ipotesi di revisione esperibile dal momento in cui sia ricevuta una condanna dalla Corte europea dei diritti
dell’uomo. Analizziamo quindi nel dettaglio le due singole categorie, la prima riguardante i quattro casi in cui
tradizionalmente è possibile esperire revisione ex art. 630 e la seconda in cui invece riguardante l’ipotesi
configuratasi in seguito alla condanna della CEDU..

La revisione può essere tradizionalmente chiesta ex art. 630 in quattro casi, più precisamente:

1. ove nella sentenza irrevocabile di condanna vi siano fatti incompatibili con quelli accertati da un’altra
sentenza penale irrevocabile;
2. ove la sentenza irrevocabile di condanna sia fondata su di una questione pregiudiziale, concernente lo
stato di famiglia o di cittadinanza oppure controversie civili o amministrative di particolare complessità,
accertata in una sentenza anch’essa passata in giudicato e successivamente revocata;
3. ove in seguito alla sentenza irrevocabile di condanna, vengano scoperte o comunque sopravvengano
nuove prove le quali, sole o congiunte a quelle già valutate, dimostrino che il condannato debba essere
prosciolto… dove per nuove prove, le SS.UU. intendono tanto quelle preesistenti ma non acquisite
quanto quelle che, pur essendolo state, non siano state valutate dal giudice nella sentenza.
4. ove la sentenza irrevocabile di condanna sia pronunciata in seguito ad una falsità in atti [stiamo
sostanzialmente facendo riferimento ad una prova, una testimonianza ad esempio, poi rivelatasi falsa] o
in giudizio [stiamo sostanzialmente facendo riferimento ad un caso in cui la sentenza sia stata
pronunciata in conseguenza di un altro fatto previsto come reato], poi accertata in una successiva
sentenza anch’essa passata in giudicato.
La revisione, come abbiamo già detto, può essere chiesta anche in un altro caso, radicalmente diverso dai
precedenti, ovvero quando la Corte europea dei diritti dell’uomo condanni il nostro stato per aver pronunciato
una sentenza di condanna ormai divenuta definitiva in violazione delle norme relative al giusto processo,
previste dall’omonima Convenzione, e sia quindi necessario riaprire il processo per garantire all’imputato di
esser sì giudicato ma alle condizioni previste per legge. Tale fattispecie non era inizialmente prevista nel nostro
sistema ed è entrata a farne parte solo in seguito all’emanazione da parte della Corte Costituzionale della
sentenza n. 113/2011, con cui è stata dichiarata l’illegittimità dell’art. 630 in quanto effettivamente quest’ultimo
non contemplava un caso di revisione volto a consentire la riapertura del processo al fine di conformarsi ad una
sentenza definitiva della corte europea dei diritti dell’uomo. Ad ogni modo, in termini di disciplina la Consulta
stessa afferma che vada posto in essere un vaglio di compatibilità tra la nuova ipotesi di revisione e le norme che
regolano invece quella tradizionale in modo da applicare esclusivamente quelle compatibili con l’obiettivo
perseguito e comunque nel rispetto di alcune linee guida da essa stessa fornite nella sentenza… ovvero che per
la corte d’appello sarà possibile, in sede di revisione, pronunciarsi sulla base di una diversa valutazione delle
prove assunte nel precedente giudizio… nonché addirittura sarà possibile ottenere revisione anche se non è
possibile ottenere ai sensi dell’art. 631 il proscioglimento del condannato… inoltre al fine di valutare la natura
della violazione ed il rimedio più idoneo occorrerà tener conto delle indicazioni contenute nella sentenza della
corte europea… ulteriormente la Corte ricorda che vi è una deroga al principio per cui i vizi processuali restano
coperti dal giudicato, per cui il non aver proceduto secondo le regole del giusto processo va tradotto come un
vizio processuale alla stregua del diritto interno e pertanto, una volta rilevato, deve essere conseguentemente
eliminato adottando tutti i rimedi necessari nel nuovo giudizio… infine, la Corte esorta il legislatore ad indicare
un termine per poter porre istanza di revisione con consequenziale apertura del processo nonché delle
condizioni a cui subordinarla connesse alla natura delle conseguenze della violazione stessa.

Passando all’aspetto procedimentale, la prima cosa da sottolineare è che ove la revisione debba essere esperita
in seguito ad una condanna della CEDU dovrà essere data un’interpretazione adeguatrice di quanto
generalmente previsto... ad ogni modo prima di andare ad analizzare le due fasi in cui essa è suddivisa,
dobbiamo prima di tutto soffermarci su chi può richiederla: ovviamente, il potere d’iniziativa spetta al
condannato, ma il 632 precisa che esso possa effettivamente spettare anche ad un suo prossimo congiunto,

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ancora al suo tutore oppure, ove egli sia deceduto, all’erede, nonché al procuratore generale presso la corte di
appello nella cui circoscrizione fu pronunciata la condanna… quest’ultimi dovranno materialmente presentare,
personalmente oppure mediante procuratore speciale, ex art. 633 una richiesta di revisione contenente
l’indicazione specifica delle ragioni e delle prove che la giustificano unitamente ad eventuali atti e documenti
presso la cancelleria della corte d’Appello competente in base alla tabella prevista all’art. 11.

La revisione, come abbiamo già accennato, consta essenzialmente di due fasi… una preliminare in cui avviene la
delibazione ed un’altra in cui invece si svolge il giudizio, analizziamole singolarmente.

1. La fase preliminare consta essenzialmente della delibazione segreta sull’ammissibilità della richiesta ed
in particolare sulla sua eventuale manifesta infondatezza, la quale deve però essere preceduta dal
parere del procuratore generale presso la corte di appello, nonché di una valutazione sulla novità della
prova giustificante l’apertura del giudizio di revisione. La Corte d’Appello infatti nel corso della
delibazione può generalmente pronunciare l’inammissibilità della richiesta ove quest’ultima sia
contraria al disposto degli art. 629 a 633 ed inoltre del 641 [ai sensi del quale l'ordinanza che dichiara
inammissibile la richiesta o la sentenza che la rigetta non pregiudica il diritto di presentare una nuova
richiesta fondata su elementi diversi], ed in particolare può invece farlo quando la richiesta risulti
manifestamente infondata alla luce di una deliberazione sommaria sull’idoneità della prova a ribaltare la
sentenza di primo grado… per quanto concerne invece la valutazione sulla novità della prova, la corte
d’Appello deve anche stavolta farla sommariamente, in quanto è in dibattimento che deve essere
effettivamente dimostrata con conseguente emissione della sentenza di inammissibilità. Infatti nella
fase preliminare l’eventuale inammissibilità va sancita con ordinanza, con cui si condanna tra l’altro il
richiedente al pagamento a favore della cassa delle ammende di una somma di denaro da 258 a 2065€,
ricorribile per Cassazione… ove invece la richiesta venga ritenuta ammissibile, si apre il predibattimento
del giudizio di revisione in cui la parte privata riassume lo status di imputato e la Corte d’Appello potrà
eventualmente disporre con ordinanza in qualunque momento la sospensione dell’esecuzione della
pena o della misura di sicurezza, e applicare una delle misure cautelari coercitive previste dal codice.
2. L’altra fase consta essenzialmente del giudizio di revisione, ovviamente preceduto dall’emissione da
parte del presidente della corte d’Appello di un decreto di citazione simile a quello previsto per il
giudizio d’appello con cui vanno obbligatoriamente citate parte civile e responsabile civile osservando le
norme disposte per il giudizio di primo grado in quanto applicabili e nei limiti delle ragioni indicate nella
richiesta. Il giudizio di revisione materialmente inizia con le richieste di assunzione di quelle prove a
discarico già in precedenza indicate o allegate… ciononostante, non è prevista obbligatoriamente la
rinnovazione dell’istruzione in merito alle prove già assunte nel dibattimento di primo grado: è la novità
delle prove che deve convincere dell’innocenza o, quanto meno, farne sorgere il ragionevole dubbio
nella Corte… se questa efficacia persuasiva non si palesa la richiesta di revisione viene rigettata, in caso
contrario ovviamente viene accolta dal giudice con conseguente revoca della sentenza di condanna e
pronuncia di proscioglimento nei confronti dell’imputato indicandone la causa nel dispositivo. In tal
caso, ex art. 639 la corte d’Appello ordina la restituzione delle somme pagate in esecuzione della
condanna per le pene pecuniarie, per le misure di sicurezza patrimoniali, per le spese processuali e di
mantenimento in carcere e per il risarcimento dei danni a favore della parte civile citata per il giudizio di
revisione oltre alla restituzione delle cose che sono state confiscate fatta eccezione per quelle oggetto di
confisca obbligatoria. Inoltre ex art. 642 la sentenza di accoglimento, su richiesta dell’interessato, a cura
della cancelleria, può essere affissa per estratto, nel comune in cui la sentenza impugnata era stata
pronunciata e in quello dell’ultima residenza del condannato… ed inoltre il presidente della Corte può
anche disporre, sempre su richiesta dell’interessato, che essa venga pubblicata su un giornale da lui
stesso comunicato a spese della cassa delle ammende. La decisione è ricorribile per Cassazione, la quale
può scendere nel merito della fondatezza delle prove nuove, realizzando così un doppio grado di
giurisdizione.
Abbiamo fin qui parlato come deducibile di casi di revisione in melius, ciò non toglie però che vi siano dei casi di
revisione in peius secondo un procedimento da svolgersi in osservanza delle disposizioni previste per quella in
melius in quanto applicabili… ergo ove la richiesta venga accolta, il giudice modificherà la sentenza di condanna
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e determinerà la nuova misura della pena. Il tutto può aversi in merito a delitti di mafia e assimilati, nei confronti
di quei collaboratori di giustizia che abbiano ottenuto dei benefici in base a dichiarazioni false o reticenti oppure
che ad ogni modo, ottenutili, abbiano commesso, entro 10 anni dal passaggio in giudicato della sentenza, un
delitto per il quale l’arresto in flagranza è obbligatorio ed indicativo della permanenza del soggetto nel circuito
criminale.

Ergo, grazie alla revisione nell’ambito di una sentenza irrevocabile di condanna si palesano veri e propri errori
giudiziari su cui non si può soprassedere… è la stessa costituzione infatti che affida al legislatore il compito
determinare modi e condizioni per riparare a quelle che sono vere e proprie ingiustizie sostanziali., I presupposti
affinché possa aversi riparazione, possono essere positivi o negativi.

➢ presupposto della riparazione in positivo è che deve aversi revisione del giudicato di condanna con
conseguente conoscimento dell’errore giudiziario… non occorre però che tale giudicato sia stato
eseguito, in quanto ineseguibile o per sottrazione all’esecuzione mediante protrazione della latitanza o
evasione, perché la ratio della riparazione è solo quello di accertarne l’ingiustizia.
➢ presupposto della riparazione in negativo è che il soggetto prosciolto in sede di revisione non deve aver
causato per dolo o colpa grave all’errore giudiziario… inoltre, sempre in negativo, il diritto alla
riparazione è escluso per quella parte della pena detentiva che sia computata nella determinazione
della pena da espiare per un reato diverso.

Detto ciò possiamo andare a vedere concretamente come la riparazione avviene, analizzando dapprima l’azione
riparatoria e le prestazioni riparatorie. L’azione riparatoria dell’errore giudiziario ex art. 644 ss. è l’azione con cui
l’innocente fa valere il suo diritto alla riparazione dell’errore giudiziario proponibile esclusivamente davanti alla
corte di appello che ha deciso sulla revisione, ovviamente dai soli soggetti legittimati a farlo, ovvero: se il
prosciolto è deceduto, il coniuge, i discendenti e gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, gli affini entro il primo grado
e le persone legate da vincolo adozione, salvo che siano indegni. Quest’ultimi possono presentare
personalmente o per mezzo di procuratore speciale, entro lo scadere del secondo anno dal passaggio in
giudicato della sentenza di revisione, apposita domanda scritta di riparazione nella cancelleria penale della corte
d’appello che l’ha pronunciata: in merito ad essa deciderà la corte di appello in camera di consiglio, ovviamente
previa notificazione della stessa con in calce il provvedimento che fissa l’udienza al ministro dell’economia
domiciliato presso l’avvocatura distrettuale dello Stato, al procuratore generale e a tutti gli interessati… giunto il
giorno dell’udienza si segue la procedura prevista ex art. 127 al termine della quale viene emessa un’ordinanza,
di ammissibilità rigetto o accoglimento, che è comunicata al procuratore generale e notificata, in vista del ricorso
per Cassazione, all’avvocatura distrettuale ed a tutti gli interessati. Per quanto concerne in ultima battuta le
prestazioni di riparazione ne abbiamo diverse: la prima forma di riparazione è quella pecuniaria, la quale è
indeterminata nel massimo e deve essere commisurata alla durata dell’eventuale espiazione della pena o
internamento e alle conseguenze personali e familiari derivanti dall’ingiusta condanna… le altre forme di
riparazione, in alternativa a quella pecuniaria, sono la rendita vitalizia ed il ricovero in un istituto a spese dello
Stato.

Avendo esperito tutti gli argomenti connessi al mezzo d’impugnazione straordinario più complesso, passiamo ad
analizzare il ricorso straordinario per Cassazione che, previsto ex art. 625bis, è esperibile nei confronti di
sentenze da essa stessa emanate e divenute irrevocabili per ovviare ad errori materiali o un errori di fatto in esse
contenute in favore dei condannati.

L’errore materiale L’errore di fatto


È… un errore o un’omissione che non un errore ostativo, in quanto vi è
determina nullità e la cui stata da parte della Corte una falsa
*N.B.: tale da averla indotta eliminazione non porta una modifica percezione di ciò che invece
ad affermare erroneamente essenziale dell’atto. emergeva in modo incontrovertibile
l’esistenza o l’inesistenza di Tale errore è causato da una mancata dagli atti interni al giudizio di
un fatto decisivo. corrispondenza tra la volontà legittimità…* la sua

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dell’estensore della sentenza e la correzione può essere richiesta
rappresentazione grafica della sua soltanto a favore del condannato e
volontà. non avrà effetto sospensivo.
Sono legittimati a presentare Il procuratore generale e il Il procuratore generale e il
la richiesta… condannato entro 180 gg. dal condannato entro 180 gg. dal
deposito del provvedimento deposito del provvedimento
impugnato. impugnato.
Con la riforma Orlando la in ogni momento a favore del entro 90 gg. dalla deliberazione.
Corte di Cassazione può condannato senza formalità.
rilevare d’ufficio…

L’inammissibilità del ricorso, dichiarabile anche d’ufficio dalla Corte, sussiste se è presentato per motivi diversi
dell’errore materiale o di fatto, se, ove previsti, è presentato fuori termine, o infine se è manifestamente
infondato. Ove il ricorso sia stato presentato nel rispetto dei suddetti requisiti, sarà ritenuto ammissibile e la
Corte deciderà in camera di consiglio con la partecipazione facoltativa delle parti ed ove accolga la richiesta,
adotterà i provvedimenti necessari per correggere l’errore.

Avendo esperito tutti gli argomenti connessi al ricorso straordinario per Cassazione, passiamo ad analizzare
l’ultimo mezzo d’impugnazione straordinario previsto dal codice esattamente all’art. 629bis: la rescissione del
giudicato, esperibile nei confronti delle sentenze di condanna irrevocabili o anche di proscioglimento con cui sia
applicata una misura di sicurezza. L’art. 629bis è stato introdotto con la L.67/2014 proprio nei confronti delle
sentenze irrevocabili di condanna, la quale a sua volta aveva attribuito la competenza a decidere
sull’impugnazione alla Corte di Cassazione… cosa che però ad oggi non è più prevista, poiché in seguito alla
riforma Orlando è passata alla Corte d’Appello.

Il presupposto per richiedere di rescissione del giudicato è l’essersi proceduto in assenza dell’imputato per tutta
la durata del processo… quindi, sia egli un condannato o un sottoposto a misura di sicurezza, potrà esperire
contro la sentenza emessa un’impugnazione straordinaria chiedendo alla Corte d’Appello la rescissione del
giudicato qualora provi che la sua assenza si sia verificata a causa di un’incolpevole mancata conoscenza della
celebrazione del processo sulla base dell’esistenza di fatti sintomatici dai quali essa poteva essere presunta… La
richiesta va quindi presentata personalmente dall’interessato o mediante difensore dotato di procura speciale
entro 30 gg. dal momento dell’avvenuta conoscenza del procedimento alla Corte d’Appello nel cui distretto ha
sede il giudice che ha emesso il provvedimento, a pena di inammissibilità. Il procedimento si svolgerà poi in
camera di consiglio ex art. 127 ed ove la Corte d’Appello accolga la richiesta, revocherà la sentenza e disporrà la
trasmissione degli atti al giudice di primo grado in cui l’imputato avrà il diritto di chiedere il giudizio abbreviato o
il patteggiamento.

Domande frequenti: bene o male chiedono tutto, ma specialmente si soffermano su udienza preliminare, poteri
gup (421bis,422cpp), riesame, misure cautelari, il gip, le indagini preliminari, il p.m., astensione e ricusazione del
giudice, cause di invalidità, art. 129, imputazione e sua eventuale modifica, accertamento tecnico ripetibile e non
ripetibile, polizia giudiziaria, arresto e fermo, misure precautelari, dichiarazioni rese prima del dibattimento,
principio dispositivo e poteri di iniziativa probatoria del giudice, riti speciali e impugnazioni dopo l'intervento
della riforma orlando, procedimento davanti al giudice di pace e testimonianza assistita.

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