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22/10/2020 Ottava lezione di Diritto Amministrativo

Il procedimento amministrativo (continuazione della Legge n.


241/1990)

Ieri si è parlato della motivazione (art. 3 della legge 241/1990) e ci siamo fermati
con la motivazione per relationem, cioè il fatto che la motivazione, se risulta da
altro atto, l’amministrazione è tenuta a mettere a disposizione l’altro atto, in modo
che il provvedimento sia leggibile nella sua motivazione e, quindi, la funzione della
motivazione sia assolta.
L’art. 3 ha anche un altro comma (fin dalle origini) che è il quarto e che pone un
tema su cui dovremo tornare (in realtà non si capisce bene perché non ha alcun
legame con la motivazione, però sta in questo articolo e quindi se ne parla in questa
occasione). Questo comma apre uno scenario diverso, nuovo, cioè noi abbiamo detto
che tutto il sistema si fonda sulla legittimità, partendo da questa per poi arrivare
all’efficacia, all‘efficienza, alla leale collaborazione (una miriade di principi che poi
vedremo), ma il punto di partenza è, appunto, la legittimità, perché nello stato di
diritto l’amministrazione deve rispettare la legge. Il sistema si è formato in questo
modo, se l’amministrazione viola la legge e, cioè, il provvedimento è illegittimo,
questo deve essere annullato. Cioè per l'illegittimità abbiamo l’annullabilità
(annullamento). Sistema di invalidità vede l’illegittimità e la nullità, il provvedimento
produce effetti anche se illegittimo, però l’annullamento è un principio generale per il
quale retroagisce come se il provvedimento non avesse prodotto effetti (ma
torneremo su questo punto). Un punto fermo, è che il provvedimento illegittimo è
annullabile (su questo sistema si sono fondate decine di generazioni di giudici, di
studiosi e di amministratori). Il comma 4 introduce questo principio (il prof non trova
il comma e quindi va a memoria) “se l’illegittimità può essere fatta valere ed è stata
lesa la posizione di un soggetto, questo vizio lo può far valere solo il soggetto leso e
non chiunque, pur se il provvedimento è illegittimo”.
(Il prof trova l’articolo e legge la norma) “In ogni atto notificato al destinatario
devono essere indicato il termine e l’autorità a cui è possibile ricorrere”.
Es: voi vi iscrivete al secondo anno di scienze dell’amministrazione e non avete
pagato le tasse e quindi vi arriva un atto del rettore che vi comunica che non è
possibile iscrivervi al secondo anno. In questo atto ci deve essere anche indicata
l’autorità giurisdizionale e il termine per ricorrere contro quest’atto (cioè è possibile
fare ricorso al tribunale amministrativo regionale o il ricorso al presidente della
repubblica, il primo entro 60 giorni e il secondo entro 120 giorni).
Un atto, quindi, che non ha questa indicazione deve considerarsi un atto illegittimo
perché viola questo comma 4 (qualunque atto che vi viene inviato e notificato alla
fine deve indicare l’autorità emanante ed il termine, e queste sono norme a tutela del
cittadino). Il punto è se l‘atto non contiene questa indicazione, infatti, l‘atto è
illegittimo e dovrebbe essere annullato secondo l‘equazione analizzata. Voi
immaginate che facciate ricorso lo stesso, anche se l’atto non lo dice e impugnate
l’atto, che senso ha annullare quell’atto, se voi avete proposto ricorso e quindi fatto
quello che l’atto prevedeva che voi poteste fare (cioè vi comunica una facoltà che voi
avete già esercitato)? C’è poi l‘ipotesi in cui voi non fate ricorso, e su questo la
giurisprudenza ha espresso i seguenti principi:
- Nel primo caso, c’è l’ipotesi in cui voi, comunque, proponete ricorso contro questo
provvedimento, vale il principio del vizio formale (su cui poi dovremmo tornare) ed
il principio della strumentalità delle forme, cioè la forma è finalizzata a raggiungere
un risultato, se questo risultato comunque è raggiunto, abbiamo una invalidità che
non comporta illegittimità dell’atto. In realtà l’atto è un’altra cosa, qui stiamo
parlando di una comunicazione che deve essere messa in calce all’atto, ma è separata
dall’atto in se e, quindi, l’atto non è affetto da illegittimità (o quando è un vizio lieve,
irregolarità, finalizzato ad ottenere un risultato che può prodursi a prescindere da
questa indicazione). Non sempre, quindi, il vizio formale determina un’illegittimità di
gravità tale da determinare l’annullamento. Questo allorchè l’effetto si produca lo
stesso e cioè con il principio della strumentalità delle forme, cioè la forma è
finalizzata ad assicurare la garanzia (e quindi la tutela → se io la tutela riuscissi ad
ottenerla da solo, non avrebbe senso annullare il provvedimento). C'è quindi
un’interesse alla conservazione del provvedimento la cui illegittimità non ha leso la
posizione del soggetto.
- Nel caso in cui il provvedimento non contenga quest’indicazione, c’è stata una fase
della giurisprudenza che diceva “non fa niente è un vizio formale”, l’ignoranza della
legge non è giustificata e, di conseguenza, se fai ricorso oltre I 60 giorni il ricorso è
tardivo. Oggi, invece, la giurisprudenza tende maggiormente ad ammettere l’errore
scusabile, cioè questa figura processuale per la quale l’atto non conteneva
l’indicazione. Quest’idea dei vizi formali di violazione di legge, che determinano
l’illegittimità, ma non determinano necessariamente l’annullamento, lo ritroviamo
quando parleremo del famigerato art. 21-octies della legge 241/1990.

RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO

Andiamo avanti e parliamo del responsabile del procedimento che ha una disciplina
molto precisa, ma quello che a noi interessa al di là dei profili organizzativi è il ruolo,
la funzione e l’importanza di questa figura innovativa.
Ci sono una serie di parti della legge 241 che l’amministrazione italiana non ha mai
sopportato perché valutava con un appesantimento del procedimento, invece la figura
del responsabile del procedimento è stata una delle riforme che è stata
immediatamente attuata. La legge 241 ha comportato un cambiamento culturale nella
pubblica amministrazione, c’è chi l’ha recepito facilmente e chi invece ha fatto una
serie di resistenze, in particolare su certi aspetti. Stiamo per parlare della
partecipazione che è uno degli elementi che maggiormente si sono scontrati contro
una cultura contraria alla partecipazione stessa e vedremo, poi, in che limiti. Il
responsabile del procedimento, invece, è stata una figura che è stata subito accettata
(ad esempio già all'università, se non avete avuto la borsa di studio sapete che potete
rifarvi ad un responsabile del procedimento, così come si possono prendere visione
dei documenti in giorni prestabiliti ecc). Il responsabile del procedimento è una figura
che ha più funzioni (polifunzionale) perché è, certamente, un’espressione di
trasparenza. Affinché abbia una funzione, deve avere un nome, indicando la persona
fisica responsabile della pratica. Non solo è indicata, ma questa nomina del
funzionario del responsabile del procedimento deve essere comunicata e se non c’è
comunicazione non abbiamo il responsabile del procedimento. La funzione
fondamentale è che si sappia chi è, perché è colui che è responsabile e quindi ha il
principio della responsabilità (la caratteristica fondamentale dell’amministrazione
italiana è l’irresponsabilità e l’anonimato {il porto delle nebbie} → quando si dice
che per far passare una pratica da una scrivania ad un’altra ci vogliono venti giorni, il
responsabile del procedimento è la persona fisica con la quale voi potete dialogare, ha
una funzione di trasparenza apparendo all’esterno, il cosiddetto volto
dell’amministrazione. Pensate al cosiddetto castello di Kafka per il quale un accusato
non sa di cos’è accusato, da chi è accusato e con chi deve parlare). Il responsabile,
quindi, se da un lato è una figura di trasparenza, dall‘altro è una figura di efficienza,
cioè lui è il motore e colui che segue il procedimento dall’inizio alla fine, colui che
porta il procedimento al provvedimento, colui che può anche redigere il
provvedimento o proporre il provvedimento a colui che lo deve adottare e, quindi, ha
un ruolo fondamentale dall’inizio alla fine. Il responsabile ha a cura anche il tempo,
come abbiamo visto ieri, in caso di silenzio c’è la responsabilità dirigenziale, da
danno erariale, contabile, la responsabilità disciplinare e quindi si è veramente
responsabili, non vi è più una responsabilità collettiva per la quale “dipende da tutti e
quindi nessuno è responsabile”, ma lui è responsabile nel vero senso della parola,
anche della conclusione del procedimento stesso. Su questo soggetto ricadono una
serie di oneri, di scelte, di decisioni per le quali non ci troviamo di fronte (tipo) alla
legge austriaca, alla legge tedesca che ti imponevano di fare cose, il responsabile ha
la responsabilità dell’istruttoria, però non ti obbliga ma è una legge che serve ad
indicarti a fare cose, indicarti per degli obiettivi. Lui ti indirizza, poi sta a te scegliere
un determinato indirizzo piuttosto che un altro nell’istruttoria. Ricordiamo il principio
del non aggravamento, non ha senso chiedere pareri a mezzo mondo, assumiti le tue
responsabilità e decidi da solo, se la legge non ti dice che devi richiedere pareri a
qualcuno, se lo chiedi ti assumi la responsabilità della perdita di tempo e, quindi,
sono rimessi a costui le scelte su come portare avanti il procedimento (principio del
non aggravamento perché in alcuni casi i pareri possono essere inutili, magari su un
argomento già consolidato). Il responsabile è stata una grande riforma di apertura
democratica, per far conoscere l’amministrazione al cittadino. Come dicevamo la
figura del responsabile va sempre vista accanto alla figura del tempo, con l’obbligo di
adottare il provvedimento, di chiudere, completare il procedimento con un
provvedimento espresso, questo tempo che incombe (non a caso durante il lockdown
sono stati sospesi i termini processuali, ma anche i termini dei procedimenti
amministrativi perché non si poteva andare a lavoro e non poteva decorrere il
termine).
Le norme sul responsabile del procedimento sono, forse, eccessive: art. 4, 5, 6.

Art. 4: l’idea di fondo è che deve essere prestabilito prima l’unità organizzativa che
si dovrà occupare di quel tipo di procedimento, cioè prima che abbia inizio quel tipo
di procedimento, l’amministrazione deve essere già organizzata, sapendo quale unità
organizzativa è responsabile.

“Ove non sia già direttamente stabilito per legge o per regolamento, le pubbliche
amministrazioni sono tenute a determinare per ciascun tipo di procedimento relativo
ad atti di loro competenza l’unità organizzativa responsabile della istruttoria e di
ogni altro adempimento procedimentale, nonché dell’adozione del provvedimento
finale.”

La trasparenza sta anche in questo: si stabilisce prima, anche in base alle competenze.

Sul sito delle amministrazioni, i dirigenti sono resi pubblici, cosa e quali settori
dirigono.

Art. 5: “Il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad


altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro
adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione
del provvedimento finale”.

Il responsabile del procedimento può anche, a seconda delle amministrazioni e


regolamenti, adottare il provvedimento finale. Negli altri casi, lui lo propone.

“Fino a quando non sia effettuata l’assegnazione di cui al comma 1, è considerato


responsabile del singolo procedimento il funzionario preposto alla unità
organizzativa determinata a norma del comma 1 dell’articolo 4.
L’unità organizzativa competente, il domicilio digitale e il nominativo del
responsabile del procedimento sono comunicati (questo è il cuore del problema →
“sono comunicati” ) ai soggetti di cui all’articolo 7 e, a richiesta, a chiunque vi abbia
interesse”.

(L’art.7 è una norma fondamentale di cui parleremo).

COMPITI DEL RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO

Il responsabile può fare tutto e il contrario di tutto, se è necessario/opportuno.

Art. 6:
“Il responsabile del procedimento:
a) valuta, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione
(es. tu sei il proprietario e puoi chiedere allora il permesso di costruire;
se vuoi partecipare ad un concorso verifica se hai il titolo di studio richiesto) ed i
presupposti che siano rilevanti per l’emanazione di provvedimento;
b) accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e
adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito (devi fare bene e devi fare presto.
Spesso per fare presto non si fa bene e quindi il responsabile deve trovare un
equilibrio tra il fare bene e presto. Es. se c’è una segnalazione che sta crollando un
palazzo, lui immediatamente fa fare un sopralluogo dall’ufficio tecnico per vedere se
bisogna chiudere la strada) svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere
il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o
incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni
documentali;
c) propone l’indizione o, avendone la competenza, indice le conferenze di servizi di
cui all’articolo 14 (questa è una cosa molto importante);
d) cura le comunicazioni, le pubblicazioni e le notificazioni previste dalle leggi e dai
regolamenti;
e) adotta, ove ne abbia la competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmette gli
atti all’organo competente per l’adozione. L'organo competente per l'adozione del
provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può
discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria condotta dal responsabile del
procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale.”
(Es. il responsabile del procedimento mi ha detto di fare cosi ma io non sono
d’accordo e quindi motivo l’atto ma anche le ragioni per cui non sono d’accordo con
il responsabile del procedimento che, invece, mi aveva detto di fare in un altro modo,
quindi, deve fare una duplice motivazione).

Questa norma è stata aggiunta nel 2005.

Anche l’art. 6-bis è stato aggiunto nell’epoca anti-corruttista, dalla legge 190/2012,
la legge anti-corruzione (legge del governo Monti).

Art. 6-bis: “Il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad
adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il
provvedimento finale (tutti i pubblici funzionari che devono esprimersi su ogni
singola questione) devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni
situazione di conflitto, anche potenziale.”

E’ una norma banalissima. Prima non c’era una norma di questo genere.
Prima si applicavano i principi, le norme che riguardano l’astensione del giudice,
applicandosi automaticamente; qui, c’è proprio la norma riguardante il pubblico
funzionario, il giudice, perché è stata introdotta la legge anti-corruzione, si è questo
art.6-bis.

Del responsabile del procedimento ne parleremo durante il corso ma di esso


bisogna capire bene solo il ruolo e la funzione.

LA PARTECIPAZIONE AL PROCEDIMENTO

Tema molto delicato di cui già in parte ne abbiamo parlato.


L’art. 7 (comunicazione di avvio del procedimento) è il fulcro del sistema su cui si
basa la partecipazione al procedimento, ed è la norma più discussa, disapplicata,
ignorata dall’amministrazione, poiché abituata a decidere da sola.
Prima che la decisione venga adottata io ho la possibilità di intervenire nel
procedimento per introdurre, manifestare il mio interesse per ottenere una decisione
favorevole. Come già detto il procedimento ha una funzione di garanzia, una
funzione di conoscenza (collaboro, es. sono un’associazione ambientalista, sono
contrario al ponte sullo stretto di Messina e quindi partecipo al procedimento e cerco
di fare in modo che il ponte non venga realizzato, in quanto sono portatore di un
interesse generale e non di un mio interesse personale).
L’inizio di tutto questo è l’art. 7 .

Art. 7: Comunicazione di avvio del procedimento: io ti comunico che sto per


iniziare il procedimento (pensate alla tutela degli interessi oppositivi. Es. voi avete
avuto la concessione del suolo pubblico per mettere i tavolini ma ad un certo punto vi
arriva la revoca della concessione. Ti comunicano che stanno iniziando il
procedimento volto alla revoca della concessione). L’art.7 è la forma che
l’amministrazione deve seguire per arrivare all’adozione del provvedimento (ti
comunico che stiamo iniziando il procedimento finalizzato alla revoca della tua
concessione, ti dico, quindi che sto per iniziare, ti indico chi è il responsabile del
procedimento, ti dico quali sono i documenti a mia disposizione e ti do un termine
per fare le tue osservazioni, quindi per depositare memorie e documenti). Questo
avviene quando non ci sono condizioni di estrema urgenza.
Es. se sta crollando un palazzo non ti invio la comunicazione di avvio del
procedimento per dirti che sta crollando il palazzo e quindi te ne devi andare ma ti
sgombero e basta.

“Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di


celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le
modalità previste dall’articolo 8, ai soggetti (primo aspetto: a chi va comunicato?)
nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed
a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni
di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio
a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari,
l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio
del procedimento.”

Es. Nel procedimento di chiusura di una strada, ad esempio, devono intervenire le


associazioni sindacali, i rappresentanti degli esercenti, ecc., la legge dice quali
persone invitare, per convocarli, ed io devo capire quali persone subiranno gli effetti.
Se chiedo un permesso di costruire, e chiedo se la costruzione possa realizzarsi fino al
confine, l’amministrazione deve invitare al procedimento a coloro che sembra
possano subire pregiudizio, in quanto se un atto favorisce uno, può recarne danno ad
un altro, anche se non sono diretti destinatari.

“Nelle ipotesi di cui al comma 1 resta salva la facoltà dell’amministrazione di


adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo
comma 1, provvedimenti cautelari.”
Anche la giurisprudenza del giudice amministrativo ha visto con sfavore questa
modalità, in quanto rallenta la procedura, con questa comunicazione.
Però, quando il procedimento ha varie fase, cioè, ad es. se volete costruire, non
sempre decide solo il Comune ma deve anche intervenire un’altra autorità, dunque il
procedimento è complesso, è come se avesse una semi fase, posso sapere quando ho
presentato la domanda ma non quando il Comune ha trasmesso le carte, quindi non so
precisamente quando parteciperò.
Questo serve anche per capire da quando iniziano i 30 giorni, dunque mi deve essere
detto dall’amministrazione.

Questo era un tema molto discusso perché, da una parte, ovviamente, nell’ambito
delle cose viste con sfavore dall’amministrazione ci stava anche quello di escludere
dall’obbligo di comunicazione i procedimenti ad iniziativa di parte. E invece no,
infatti, nel 2005 la legge 241 ha subito grandi modifiche e fra l’altro si è risolto il
problema che è stato dibattuto per 15 anni (dal 1990 al 2005).

Art. 8: “L’amministrazione provvede a dare notizia dell’avvio del procedimento


mediante comunicazione personale.
(Quindi c’è la norma che dice cosa deve contenere la comunicazione).
Nella comunicazione devono essere indicati:
- l’amministrazione competente;
-l’oggetto del procedimento;
- l’ufficio e la persona responsabile del procedimento;
Questo c’è sempre stato nel procedimento ma nel 2005 è stato aggiunto all’elenco
delle cose che devono essere contenute nella comunicazione:
- la data entro la quale, secondo i termini previsti dall'articolo 2, commi 2 o 3, deve
concludersi il procedimento e i rimedi esperibili in caso di inerzia
dell'amministrazione (comma c-bis);
Quindi mi deve anche dire che se io non provvedo entro quel termine, tu puoi fare
ricorso al TAR, proporre un intervento sostitutivo,
Questo comma c-bis è stato introdotto dalla legge 15/2005.
- nei procedimenti ad iniziativa di parte, la data di presentazione della relativa
istanza (comma c-ter);
Questo comma ha risolto il problema in maniera inequivocabile.
- l’ufficio dove è possibile prendere visione degli atti.
Qualora per il numero dei destinatari la comunicazione personale non sia possibile o
risulti particolarmente gravosa, l’amministrazione provvede a rendere noti gli
elementi di cui al comma 2 mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta
stabilite dall’amministrazione medesima.
L’omissione di taluna delle comunicazioni prescritte può esser fatta valere solo dal
soggetto nel cui interesse la comunicazione è prevista”.
Se io non ho dato comunicazione di avvio del procedimento ad un soggetto a cui la
dovevo dare, ciò diventa un vizio dell’atto ma questo vizio dell’atto non può farlo
valere un altro, ma lo può far valere solo colui a danno del quale l’omissione è stata
commessa. Anche qui c’è questa filosofia di fondo, cioè quella di non buttare a mare
un’attività amministrativa per vizi formali quando in realtà l’amministrazione
dovrebbe essere una risorsa, cioè, è inutile far perdere tempo, risorse
all’amministrazione, annullare per vizi formali, quando l’amministrazione agisce
negli interessi della collettività (l’amministrazione è, comunque, un bene comune),
quindi noi non abbiamo un interesse ad intralciare l’attività dell’amministrazione
perché, comunque, se perde tempo su delle cose non ne fa altre. Per l’interesse
collettivo è inutile annullare atti al solo fine di dare una garanzia di tipo formale ma
che poi non cambia le cose. Quindi se la persona non l’ha fatto valere non puoi farlo
tu solo perché è stata violata la norma.
La filosofia è la stessa dei vizi formali. Prima abbiamo visto il principio della
strumentalità delle forme, qua, invece, abbiamo visto che la forma è
strumentalizzata a tutelare l’interesse del singolo.
L’art. 9 ci dice chi può intervenire. Noi abbiamo visto coloro nei confronti dei quali
l’amministrazione è tenuta a dare la comunicazione ma c’è, poi, la possibilità di
intervenire anche senza la comunicazione.

“Qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati (quindi anche gli


interessi privati. Ad es. io so che c’è il procedimento e intervengo), nonché i portatori
di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, (qui sembrerebbe che la legge
sbagli, cioè, in realtà, questi interessi diffusi che hanno portato alla costituzione di
un’associazione, di un comitato, cioè di un interesse che si è formalizzato.
Es. si costituisce un comitato di cittadini che rappresenta gli interessi degli abitanti di
una zona in cui si verifica la movida. Questo comitato può partecipare al
procedimento del Comune di Napoli che decide l’orario di chiusura degli esercizi
pubblici. Quindi non può farlo il singolo cittadino o 10 cittadini ma lo possono fare i
cittadini costituiti in associazione.
Questo tipo di interesse non si chiama interesse diffuso ma si chiama interesse
collettivo anche se la legge li chiama interessi diffusi).
cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel
procedimento”.

Infine vi è la norma chiave, cioè l’art. 10, in cui si racchiude l’idea di interesse
legittimo. Questo art. dice tutto quello che dobbiamo capire della partecipazione.

Art. 10: “I soggetti di cui all’articolo 7 e quelli intervenuti ai sensi dell’articolo 9


hanno diritto (quindi coloro che partecipano hanno diritto:

a) di prendere visione degli atti del procedimento. Come abbiamo visto nell’art. 7 si
dice dove puoi prendere visione degli atti, quali sono i documenti. E’ la filosofia del
contraddittorio: io mi devo difendere. Quando il pubblico ministero, dopo una serie di
proroghe, finisce di indagare su di me, mi comunica che ha finito le indagini e mi
dice che ho 30 giorni di tempo (perché io chiederò il rinvio a giudizio per
concussione, corruzione, abuso d’ufficio) e che questi sono gli atti a mia disposizione
che mi invita a conoscere. Si tratta del principio del contraddittorio: gli avvocati
prendono visione degli atti su cui si basa l’inchiesta. Qui c’è la stessa filosofia perché,
come dicevamo, il procedimento nasce dal processo: il principio del giusto
procedimento (principio tenuto dalla legge) che si basa sul contraddittorio. Quindi io
devo vedere i documenti in base ai quali tu vuoi revocarmi la concessione, ad
esempio c’è una consulenza geologica che mi dice che la non si può costruire e io
posso presentare un’altra consulenza tramite un consulente tecnico privato che dice il
contrario. Quindi, innanzitutto, devo prendere visione.
b) di presentare memorie scritte e documenti, che l’amministrazione ha l’obbligo di
valutare ove siano pertinenti all’oggetto del procedimento”. Questa norma già
l’abbiamo vista e in questo consiste la partecipazione nel nostro ordinamento. Non è
prevista la partecipazione orale, non sono previste assemblee pubbliche, non è
previsto un incontro tra amministrazioni e e cittadini per discutere. Erano inseriti nel
testo della commissione Nigro, nei procedimenti di massa (c’era una norma sui
procedimenti di massa: in tutti i casi in cui era coinvolto un territorio c’era la
possibilità di fare assemblee pubbliche che sono state adottate dalla legislazione
americana. Da noi la partecipazione, nei procedimenti di massa, è successiva o
intermedia, cioè si fanno osservazioni su qualcosa che si è già fatto.

L’amministrazione da incarico ad un urbanista di fare il piano regolatore. La giunta


adotta questo piano e questo piano viene reso pubblico. Poi vengono affissi i
manifesti per strada che dicono che i cittadini possono prendere visione del piano e
fare osservazioni. Poi c’è un’altra delibera, questa volta del Consiglio comunale, che
si pronuncia in merito alle osservazioni raccogliendole o respingendole e
motivandole e infine approva il piano. Questo procedimento risale al 1942. Negli
Stati Uniti, prima del progetto di piano, si ascoltano i cittadini. Questa parte, nel testo
della commissione Nigro, saltò per cui da noi è rimasta solo questa partecipazione
individuale, sui singoli procedimenti ed è, quindi, una partecipazione garanzia,
partecipazione finalizzata alla tutela dell’interesse individuale. Unica eccezione sono
i portatori di interessi collettivi, interesse diffuso che è anche un interesse individuale
solo che è l’interesse di ciascun componente della collettività, non sono titolari
esclusivi di quell’interesse. Giannini, studioso del secolo scorso, diceva che sono
interessi adespoti, cioè che non hanno un padrone, sono interessi che appartengono a
ciascuno dei loro portatori. Quindi il momento di tutela dell’interesse pubblico è
rimesso o alle autorità che devono partecipare (portatori di interessi pubblici) oppure
alle associazioni portatrici di interessi collettivi.

La norma chiave sta nel fatto che si può presentare osservazioni e memorie che
l’amministrazione ha l’obbligo di prendere in considerazione ma queste osservazioni
e memorie devono essere collegate, pertinenti all’oggetto del procedimento. Questa
norma è la trasposizione in chiave normativa, legislativa dell’idea di interesse
legittimo e va letta in combinazione con l’obbligo di motivazione. È evidente che se
non c’è l’obbligo di motivazione io non posso capire se tu hai valutato, preso in
considerazione. Quindi non avrebbe senso la partecipazione se non vi fosse l’obbligo
di presa in considerazione e se non vi fosse l’obbligo di motivazione non avrebbe
senso l’obbligo di presa in considerazione.

L’ Art. 7 è il momento che sancisce il trionfo del procedimento partecipato. Il


momento della comunicazione di avvio del procedimento è il momento che esalta i
valori del procedimento. L’art. 7 è il momento più alto della partecipazione insieme
all’art. 10 (obbligo di presa in considerazione). La partecipazione può essere un
feticcio formale, una garanzia per situazioni che non la meritano, quindi, può essere
un intralcio all’attività amministrativa, che rallenta, comporta degli oneri che
potrebbero essere inutili, quindi, è un valore ambivalente. La partecipazione ha un
senso in quanto io posso veramente portare delle informazioni e sono portatore di un
interesse che è veramente meritevole di considerazione. Però la partecipazione non
deve essere un adempimento formale che l’amministrazione è tenuta a seguire ma che
allo stesso tempo non arricchisce minimamente l’istruttoria. È giusto il momento
della difesa, però, il problema è capire se la mancanza della partecipazione non ha
colmato un deficit informativo e ha determinato un atto che poteva essere diverso se
io avrei partecipato.
Va detto che l’amministrazione italiana ha sempre visto con sfavore l’art. 7, la
comunicazione di avvio del procedimento non è stata seguita come le altre vicende
della legge 241, soprattutto nei casi di provvedimenti vincolati. Se io abolisco un
grattacielo abusivo costruito in mezzo alla piazza Plebiscito tu cosa mi puoi dire in
più, qualunque cosa tu mi dica il mio provvedimento è giusto. È vero che io non te
l’ho comunicato. Qui arriviamo al punto del ragionamento, cioè alla mancata
comunicazione di avvio del procedimento, c’è una violazione di legge ma questa
violazione di legge non deve portare necessariamente all’annullamento del
provvedimento.

L’art.21-octies è stato introdotto anche esso nel 2005, quindi dopo 15 anni di
sperimentazione (il mondo era cambiato con la globalizzazione). Quindi si è parlato
di qualità e quantità della partecipazione, cioè ci vuole pure la qualità, la
partecipazione deve essere costruttiva, deve avere un ruolo, altrimenti è un feticcio
vuoto.

È giusto annullare dei provvedimenti che hanno dei vizi formali ma di cui il
contenuto non poteva essere diverso? È vero che c’è un vizio ma non merita di essere
annullato. C’è un discorso tutela di provvedimenti che seppur formalmente illegittimi
contengono delle decisioni giuste. Quindi il provvedimento è rispettoso della legge,
rispettoso dell’interesse pubblico ma allo stesso tempo è formalmente illegittimo
perché viola la norma. Ma anche se io non avessi violato la norma il suo contenuto
sarebbe stato lo stesso, quindi non ha senso annullarlo.

In questo clima, l'amministrazione ha vissuto con sofferenza questi annullamenti di


provvedimenti ingiusti, che comportavano il riesercizio del potere con l'adozione di
atti assolutamente uguali solo però con l’aver adempiuto alla comunicazione di
avviso di procedimento. E allora cresce questa insofferenza anche con il sostegno del
giudice amministrativo, il Consiglio di Stato spesso è contrario all’ annullamento
degli atti solo per violazione dell'art. 7, cioè si forma un orientamento
giurisprudenziale o che dice: la partecipazione non avrebbe potuto modificare il
provvedimento. Perché come è possibile? Perché in realtà se io non partecipo al
procedimento (ritorniamo all'idea dell'interesse legittimo di natura esclusivamente
processuale), io tutto quello che non ho detto nel procedimento sono tenuto a dirlo nel
ricorso davanti al giudice: tu non mi hai fatto partecipare e io non ho avuto la
possibilità di introdurre nel procedimento, quindi nella rappresentazione del mio
interesse particolare. Es. di un'azienda che esporta in tutto il mondo, e tu vuoi
espropriarmi per costruire la tav Napoli-Bari se tu avessi saputo e avessi avuto la
possibilità di partecipare dovevi valutare di prendere quantomeno in considerazione
la mia situazione di fatto. Questo cosa significa? Significa che nel processo io, che ho
un’azienda, rappresento i miei interessi, faccio capire al giudice quello che avrei detto
e non ho avuto la possibilità di dire in sede procedimentale. Quindi, nel processo,
come avveniva una volta prima della legge Nazionale 241/1990, si scaricava tutto
quello che non si era potuto dire o fare nel procedimento. La norma che c'era prima
della Legge 241 del 90 diceva che dal provvedimento venivo a conoscenza
dell'istruttoria che aveva fatto l'amministrazione contro quel provvedimento, io
facevo valere le mie ragioni davanti al giudice. Qui si tratta di farlo valere davanti
all'amministrazione, di anticipare il momento della tutela. Però questo non toglie che
la tutela ci può essere dopo e quindi il giudice è consapevole del fatto che, anche se io
non ho avuto la comunicazione di avvio del procedimento, comunque quello che ha
costruito a Piazza Plebiscito il grattacielo non avrebbe potuto dire nulla se non
chiedere pietà, ma non avrebbe potuto chiedere giustizia. Non avrebbe potuto
introdurre nel procedimento qualcosa che avrebbe fatto cambiare idea. Allora si
forma questo filone molto interpretativo, giurisprudenziale innanzitutto, cioè che la
violazione dell'art. 7 non sempre comporta l'annullamento del provvedimento.
Ricordate che il diritto amministrativo nasce come Diritto di garanzia cioè io
comunque devo avere la possibilità di tutelarmi anche se l'amministrazione sbaglia.
Es. Io ho interesse ad avere l'annullamento del provvedimento se subisco
l'espropriazione anche se manca una virgola, anche se manca una firma io posso
sfruttare quell'errore per tutelarmi, quindi mi difendo con tutte le armi che
l'ordinamento mi mette a disposizione contro un potere più forte di me. Quindi se
manca la motivazione bisogna annullare e basta il provvedimento, se non ci fosse
stata la motivazione l'amministrazione non avrebbe potuto inserirla dopo. Con l’art. 7
l'atto va annullato e deve essere rifatto. Infatti, il ricorso amministrativo veniva e
viene definito come caccia all'errore, infatti, quando noi abbiamo un provvedimento
ad esempio a noi sfavorevole, andiamo dall'avvocato, il compito della dell'avvocato è
quello di individuare nel termine di 60 giorni tutti gli errori che ha commesso
l'amministrazione. Dall'altra parte quindi c'è l'idea della tutela giurisdizionale che è
anche diciamo una tutela formale però come sempre dovete inquadrare il diritto
amministrativo da un punto di vista di evoluzione storica, in passato è chiaro che se
c'era un'amministrazione fortemente autoritativa non si poteva partecipare al
procedimento e allora anche la tutela formale era un modo di dare giustizia, nel
momento in cui invece si capisce che l'amministrazione è al servizio della collettività
e quindi del bene di tutti , quando cambia il contesto e si introduce anche l'idea del
risarcimento del danno, la tutela demolitoria quindi l'annullamento del
provvedimento era l'unica forma di tutela. Allora è chiaro che anche la tutela
meramente formale è finalizzata a riequilibrare il rapporto amministrazione-cittadino.
Oggi invece si parla di giudizio sulla spettanza, cioè in una certa fase storica il
giudice amministrativo svolgeva una giurisdizione generale di diritto oggettivo cioè il
giudice della legalità della legittimità e che decide sul nostro ricorso, ma in realtà la
quarta sezione del Consiglio di Stato nasce come controllo sulla legalità dell'azione
amministrativa. Un giudice di giurisdizione di diritto oggettivo giudica la legittimità,
la legalità dell'azione. Cioè se hai rispettato la legge o meno. Negli anni 70 si
comincia a discutere del giudizio sull'atto e del giudizio sul rapporto Qual è l'oggetto
del giudizio amministrativo? La legittimità di un atto oppure stabilire se
l'amministrazione ha agito bene o ha agito male? Cioè si è esposta verso il giudizio
sul rapporto che vuol dire giudizio sulla spettanza, il bene della vita vi spetta o non
vi spetta? Il giudice su questo si deve pronunciare cioè non deve dare una tutela
meramente formale e quindi nei confronti di situazioni giuste se io sono o non sono
portatore di una situazione meritevole di tutela. il giudizio sulla spettanza è collegato
anche alla possibilità di risarcimento del danno, un'altra forma di tutela diversa dalla
tutela demolitoria cioè dall'annullamento. In questo clima di discussione , i formalisti
da una parte e i sostanzialisti dall'altra, chi difende l'amministrazione che dice che
oggi è l'amministrazione che si deve difendere dai privati, pensate alle grandi lobby
economiche, nasce questa norma art 21 octies l.n. 241/90 che è stata molto discussa
ed è tutt'ora discussa perché fino a quando questo discorso della non annullabilità
dell'atto in assenza di comunicazione di avvio del procedimento, è un orientamento
giurisprudenziale il giudice caso per caso valuta, a grande discrezionalità di
interpretare la singola specie, quindi valuta se ci troviamo di fronte all'ipotesi in cui ci
sarebbe stato un eccesso di tutela del privato o un abuso di tutela del privato oppure
la partecipazione avrebbe cambiato la decisione quindi abbiamo questa norma che è
stata discussa ed è tutt'ora discussa però adesso non è più solo un orientamento
giurisprudenziale ma è una norma il giudice deve fare i conti, la deve prendere in
considerazione e stabilire caso per caso se può annullare o non annullare. L'articolo
21 octies ha 2 Commi il primo comma è assolutamente banale Cioè è come la legge
del 1889 dice la stessa cosa: è annullabile il provvedimento amministrativo
adottato in violazione di leggi, viziata da eccesso di potere o da incompetenza.
quindi la regola è che è annullabile il provvedimento amministrativo adottato in
violazione della legge, eccesso di potere o incompetenza. Il secondo comma: - Non è
annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o
sulla forma degli atti…-, Quindi un'eccezione. Qui abbiamo due ipotesi: la cosa
sorprendente è che la seconda ipotesi è stata inserita su indicazione dell'associazione
dei giudici amministrativi cioè i giudici questo articolo 7 lo vedevano proprio come
un nemico infatti questa cosa è partita più dai Giudici.

Però la norma generale in realtà prende le mosse da una riforma avvenuta in


Germania, perché i tedeschi si sono resi conto prima di tutti che in realtà non ha
senso annullare atti che hanno vizi formali e quindi bisogna convalidarli, sanarli ,
perché sono atti che hanno vizi formali, discorso che facevamo prima della
strumentalità della forma, quindi in realtà quella non è una norma processuale è una
norma che riguarda l'amministrazione e prevede la possibilità di sanare atti affetti da
vizi formali. Quindi questa è una norma che è rivolta al giudice ed è rivolta anche
all'amministrazione. Però nasce come norma rivolta al giudice questo articolo 21-
octies, non è annullabile il provvedimento in violazione delle norme sul
procedimento e sulla forma degli atti, quindi qui non abbiamo l'articolo 7, o meglio
abbiamo anche l'articolo 7, ma abbiamo una categoria più generale: violazione delle
norme sul procedimento o sulla forma, quindi abbiamo una molteplicità di vizi
formali e di procedimento qualora per la natura vincolata del provvedimento, cioè se
ci troviamo di fronte un provvedimento vincolante, che non poteva avere alternative
quindi era vincolante e palese, l'esempio che facevamo prima sul grattacielo io non
devo valutare se bisogna farlo o meno ma devo demolirlo e basta, Questo significa
vincolato e palese, cioè che il suo contenuto dispositivo non poteva essere diverso,
quindi non ha senso annullare sulla base di un vizio formale se quel provvedimento
non poteva essere diverso, che senso ha adottare lo stesso provvedimento con lo
stesso contenuto ma sanando il vizio di forma quando in realtà gli effetti sono
assolutamente gli stessi? Pensate alle ipotesi in cui abbiamo un potere
amministrativo che però si esaurisce nel tempo, quindi pensiamo ad es. al parere della
soprintendenza che si deve esprimere sul vostro progetto, che deve intervenire entro
45 giorni altrimenti si forma il silenzio assenso, ecco se voi riuscite ad ottenere
l'annullamento di quell'atto anche per vizio formale quel potere che si è esaurito non
può essere riesercitato, perché mentre normalmente l'amministrazione può esercitare
quel potere, se c'è un termine entro il quale quel potere si esaurisce, l'amministrazione
deve tenerlo in conto. Una volta c'erano i comitati regionali di controllo che
controllavano gli atti dei comuni, se voi ottenevate l'annullamento del provvedimento.
quindi laddove c'è un termine, abbiamo un potere che si esaurisce quindi, immaginate
che voi ottenete per vizio formale un annullamento di un annullamento di un atto,
(perché l’annullamento può essere disposto solo entro 18 mesi). Se voi siete al
18esimo mese e viene adottato l’atto e voi ottenete l’annullamento comunque
quell’atto non può essere annullato, annullamento per vizio formale. Quindi in queste
situazioni, questa norma non da tutela, perché fa prevalere un discorso di sostanza,
era comunque un atto giusto. Quindi l’atto non poteva avere un contenuto diverso. Il
principio che è alla base di queste norme non è tanto la strumentalità delle forme, ma
lo hanno chiamato in dottrina Principio della mancanza di alternative, non ci sono
alternative.
La seconda parte del secondo comma è molto più discussa perché riguarda
provvedimenti discrezionali, perché mentre la prima parte parla di provvedimenti
vincolati, la seconda parte non lo dice. Quindi rientrano anche i provvedimenti
discrezionali e mentre la prima parte riguardava provvedimenti discrezionali, consulti
palesi, vizi di forma e di procedura, cioè una pluralità di vizi formali, la seconda parte,
la seconda fattispecie riguarda solo il famigerato art. 7. Cioè il famigerato art. 21-
octies che si occupa del famigerato art. 7 e quindi è una norma che riguarda questo
unico vizio che poi è quello che si è posto migliaia di volte nella pratica: quando
l’amministrazione non dà comunicazione di avvio del procedimento e adotta il
provvedimento. Allora io che faccio io impugno il provvedimento e dico “non ho
avuto la comunicazione di avvio del procedimento!”. Torniamo al discorso: cosa
avrei ottenuto se avessi partecipato? E quindi qui c’è anche una componente di
discrezionalità non solo dell’amministrazione ma anche del giudice, perché il giudice
deve valutare ex post che cosa avrebbe fatto l’amministrazione. C’è un’inversione
dell’onere della prova, nel senso che, io ho le mie ragioni: mi è stato comunicato un
provvedimento SFAVOREVOLE e non mi è stato comunicato l’avvio del
procedimento. Di conseguenza è stato violato l’art. 7, quindi questo atto è illegittimo.
Io chiedo al giudice di annullarlo. Il giudice in realtà lo devo annullare a meno che,
inversione dell’onere della prova, l’amministrazione in giudizio non dimostri che il
provvedimento non avrebbe potuto avere un contenuto diverso. Quindi nel primo
caso risulti palese (atto vincolato), qui l’amministrazione deve dare la prova in
giudizio, quindi siamo in giudizio, la prova che la partecipazione non avrebbe
cambiato la decisione (mancanza di alternative), non ci sarebbero state alternative.
Quindi è una valutazione discrezionale, siamo sui poteri discrezionali che però, visto
che non è palese, l’amministrazione deve dimostrare. Quindi si dice che, in realtà, il
privato che propone il ricorso è sufficiente che dimostri le alternative. Cioè è vero che
c’è l’inversione dell’onere della prova, però se il privato è il grado (il discorso che
facevamo prima della rilevanza della partecipazione, cioè che della partecipazione
che senso in quanto contribuisce alle decisioni, in quanto porta degli elementi che
sono utili alla decisione). Se io avessi potuto partecipare, avrei portato degli elementi
che avrebbero potuto, non necessariamente che avrebbero dovuto, avrebbero
POTUTO far cambiare idea all’amministrazione. Quindi essere, comunque, in grado
di portare delle alternative, dimostrare al giudice che ci sarebbero state delle
alternative. A sua volta l’amministrazione, per evitare l’annullamento del
provvedimento, cioè mentre nel primo caso risulti palese, in questo secondo caso
l’amministrazione deve dimostrare che non ci sarebbero state alternative. Il
provvedimento amministrativo non è comunque annullato, qui diamo per scontato
che è illegittimo, cioè che c’è una violazione di legge, anche nel primo caso è
illegittimo ma non è annullato. Si è anche detto, questi sono casi di irregolarità, di
vizi lievi che non comportano l’illegittimità. Non è vero! Questi sono vizi di
legittimità che non comportano l’annullabilità, cioè il provvedimento rimane in piedi.
C’è anche la norma aggiunta da poco che l’amministrazione non lo può annullare se
rientriamo nel 21-octies, proprio per consolidare le posizioni. Il provvedimento
amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio
del procedimento (in violazione dell’art. 7). Quindi rimane ipotesi singola, qualora
l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non
avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Quindi questa è una
norma con la quale il giudice si misura quotidianamente, che ancora molto spesso
l’amministrazione evita di dare comunicazione dell’avvio di procedimento perché
vige ancora una mentalità pre-legge 241. Quello che è importante è che, in realtà, se
io deduco il vizio di violazione dell’art. 7 o comunque il vizio formale, il giudice
deve valutare anche l’interesse al ricorso cioè nel senso che se io dico che c’è stato un
vizio formale, cioè rientriamo in una di queste due ipotesi del art. 21-octies, in realtà
il giudice dichiara la carenza di interesse al ricorso, che tu non hai interesse ad un
ricorso che non ti avrebbe portato all’annullamento dell’atto. Cioè l’interesse al
ricorso equivale ad avere un vantaggio, il vantaggio del processo amministrativo è
l’annullamento dell’atto del singolo della posizione dell’interesse legittimo. Se io
deduco un motivo che non comporta l’annullamento dell’atto il ricorso è privo di
interesse quindi il giudice dichiara l’inammissibilità e non l’infondatezza,
(l’infondatezza è quando non accoglie nel merito il ricorso, dice che tutti i punti di
ricorso sono infondati, quindi rigetta, respinge il ricorso). Invece in questo caso, lo
dichiara inammissibile per carenza di interesse, non rientriamo in un’ipotesi di cui la
legge prevede la possibilità di un annullamento del provvedimento.

DOMANDA: Per quanto riguarda questo secondo comma, stiamo parlando


sostanzialmente di vizi formali. Non mi è ben chiara la questione del principio della
mancanza di alternativa, perché stiamo parlando di atti che davvero hanno
discrezionalità così bassa oppure è una norma che tenta, in qualche modo, di
salvaguardare eventuali ruoli dell’amministrazione anche su atti che avrebbero una
discrezionalità più ampia?
RISPOSTA: Lo spirito è quello di non buttare a mare un’attività che è legittima ma
che è incappata nell’omissione della comunicazione, quando in realtà il giudice si
rende conto con mano che non ci sarebbero state alternative. Quella doveva essere la
decisione. Esempio ‘avrò anche l’azienda agricola, ma se stiamo in montagna e non
c’è spazio per far passare la strada, per forza da lì deve passare, non si può fare il
tunnel perché c’è un tipo di roccia che non si può “lavorare”. Cioè non ci sono
alternative. Se tu avessi partecipato, mi avresti detto delle cose bellissime, ma
comunque il giudice valuta che la decisone non poteva cambiare perché non ci sono
alternative. Si tratta di un principio generale a monte che è quello di salvare gli atti
che sono viziati da vizi formali ma che non incidono sulla fondatezza, sulla giustizia
dell’atto. E’ un atto in se legittimo che però ha questo vizio, allora il vizio non deve
trascinare con se l’atto che invece sostanzialmente è legittimo, giusto. Si sono posti
una serie di problemi, per esempio, paradossalmente, la motivazione di un vizio
formale quando si parla di vizi di forma e di procedura. Nei vizi di forma c’è anche il
difetto di motivazione, art. 3. Lo possiamo considerare un vizio formale la mancanza
della motivazione? Secondo alcuni si, secondo la maggioranza no, la motivazione è
una conquista di giustizia, dello stato democratico. Non è pensabile che un difetto di
motivazione possa essere considerato come un vizio di forma. Però questa norma
apre la possibilità di far rientrare tutta una serie di vizi formali, vizi di procedura.
Perché quella parla di vizi di forma e di procedura però qui è temperata dal fatto che
risulti palese l’esercizio di poteri vincolati. Ha queste limitazioni alla sua applicabilità,
però riguarda tutti i vizi possibili di forma e di procedura e quindi si dice che la
motivazione non è pensabile che sia considerato un vizio di forma o di procedura,
però c’è comunque chi lo sostiene. Sempre perché la logica è non buttare a mare
un’attività amministrativa che non poteva essere diversa.

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