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Il tema dell’amministrazione consensuale è solo apparentemente nuovo, anzi è forse uno dei
temi più antichi del diritto amministrativo. Quindi è stato oggetto di tantissimi studi da parte
della dottrina che dibatteva circa l’ammissibilità di questo tipo di amministrazione, cioè sulla
possibilità che il soggetto pubblico desse vita ad un accordo con il privato per perseguire un
pubblico interesse.
In base a ciò, la pubblica amministrazione esercita un potere autoritativo nei confronti del
cittadino in quanto portatrice del pubblico interesse, che deve prevalere su quello privato.
Questo sistema si fonda sul potere d’imperio dell’amministrazione che dà origine a delle
garanzie a vantaggio del cittadino.
La prima garanzia è la solenne affermazione del principio di legalità in base al quale
l’amministrazione può agire solo in base alla legge.
Il cardine di questo principio è la tipicità dei provvedimenti amministrativi che hanno la forza
particolare di modificare le situazioni giuridiche destinatarie.
Si pensi, ad esempio, alle concessioni che pur avendo un contenuto economico e natura
patrimoniale, hanno assunto la configurazione del provvedimento amministrativo.
Un altro esempio è riconducibile al pubblico impiego: si è discusso se l’atto di nomina del
pubblico dipendente avesse o meno natura contrattuale, come si sarebbe portati a pensare (c’è
scambio retribuzione/prestazione). Invece l’atto di nomina fu costruito come provvedimento
autoritativo.
Le obiezioni sollevate in ordine all’ammissibilità sul piano teorico del contratto di diritto
pubblico erano principalmente due.
1) Il potere non è negoziabile e non può essere oggetto di scambio -> perché
l’amministrazione è destinata a soddisfare un interesse generale.
C’è il timore che se si accedesse ad una figura di tipo contrattuale si potrebbe violare
il principio di imparzialità, favorendo qualcuno a danno di altri.
In realtà, attraverso il provvedimento imperativo, la possibilità di favorire qualcuno è
identica ma l’idea che si possa creare un rapporto di scambio sul piano formale tra
amministrazione e cittadini è stata messa da parte.
2) Difficoltà ad immaginare la confluenza in un unico atto di due tipi di volontà e di
potere—> ciò perché l’autonomia privata è libera, mentre la discrezionalità
amministrativa è un potere vincolato nel fine.
Sono manifestazioni di volontà inconciliabili. In realtà, il momento del potere
amministrativo autoritativo è garantito dall’esistenza di un provvedimento.
Si ritiene il contratto successivo un vero e proprio contratto di diritto privato, la cui
sorte è subordinata al provvedimento. Per cui l’annullamento o la revoca del
provvedimento amministrativo fa venir meno un presupposto del concetto stesso.
Allo stesso tempo, però, si cominciò a parlare della nuova figura del contratto di diritto
pubblico. Secondo questa impostazione avremo un tertium genus tra provvedimento e
contratto di diritto privato.
È un contratto che ha ad oggetto l’esercizio del potere amministrativo ma ha delle sue regole
proprie esorbitanti, secondo la dottrina francese, dai poteri di cui dispone normalmente uno
dei contraenti (come la possibilità di recesso da parte dell’amministrazione).
Quindi ha delle sue regole proprie e non corrisponde al contratto codicistico ex articolo 1321
del Codice Civile.
Ci sono state diverse discussioni in dottrina secondo l'ammissibilità di quest’ultimo. In
Germania il dibattito si è chiuso con l’emanazione della legge sul procedimento
amministrativo del 1976 che ha stabilito l’esistenza del contratto di diritto pubblico,
tracciando una serie di regole molto analitiche.
4. La legge n 241 del 1990 in Italia. L’articolo 11: gli accordi tra amministrazione e
privati. Gli accordi integrativi e sostitutivi. Utilità degli accordi: stabilità del
rapporto e impossibilità per il privato che ha prestato il consenso di opporsi
Negli anni 80’ in Italia cambia il clima culturale e politico e si vanno a creare le condizioni
che portarono poi alla legge 241 del 1990.
L’ammissibilità del rapporto consensuale passa attraverso una trasformazione del Paese e
soprattutto del mutato ruolo che ha l’amministrazione, infatti si passa da un’amministrazione
di tipo autoritativo ad un’amministrazione di prestazioni.
Questo mutato ruolo va a sottolineare l’esistenza di un rapporto di scambio tra cittadino e
amministrazione.
È questo il contesto che favorì l’approvazione della legge n 241 del 1990, che risulta essere il
risultato di diverse modifiche apportate al testo originario redatto dalla commissione Nigro.
Infatti erano previsti, oltre alla solenne affermazione del principio di consensualità, anche
una serie di accordi ma è rimasto nel testo di legge soltanto l’articolo 11 che prevede due
figure di accordi: integrativi e sostitutivi.
Tuttavia, la legge 241 non ha posto fine al dibattito sull’ammissibilità del contratto di diritto
pubblico perché c’è chi sostiene che gli accordi in oggetto siano contratti di diritto privato,
mentre la maggioranza ritiene che siano figure diverse.
L’articolo 11 ha carattere di norma generale e secondo la maggior parte della dottrina non si
riferisce solo ai due tipi di accordi da esso previsti (integrativi e sostitutivi) ma viene
interpretata come una norma che disciplina tutti i rapporti consensuali tra soggetti privati e
pubblica amministrazione.
Ma non nell’esercizio di attività di diritto privato dell’amministrazione.
La norma ipotizza l’esistenza di questi accordi come continuazione o conclusione della
partecipazione.
Che questo contratto abbia un oggetto pubblico (cioè l’esercizio di una funzione
amministrativa) lo si ricava, non solo dalla topografia della norma all’interno della legge, ma
anche dal dato testuale allorché si prevede che gli accordi procedimentali hanno ad oggetto il
contenuto discrezionale del provvedimento. Quindi oggetto dell’accordo è il contenuto del
provvedimento e ciò indica che l’accordo è una conclusione possibile del procedimento ed è
un’alternativa possibile al provvedimento.
Inoltre, l’articolo 11 prevede che sono applicabili i principi desumibili dalle norme del codice
civile in materia di obbligazioni e contratti, ove compatibili.
Sicché, i fautori della natura privatistica dell’accordo fanno leva su questo riferimento ma in
realtà si tratta di principi desumibili dalle norme solo ove compatibili.
Si deve sottolineare l’ambiguità della disposizione che carica sull’amministrazione ma anche
sul giudice la responsabilità dell’applicazione.
La circostanza che sia stata devoluta alla giurisdizione esclusiva ogni questione circa
l’accordo è un elemento che ha fatto propendere per la natura pubblicistica di questi accordi.
I fautori dell’unilateralità della funzione amministrativa hanno tentato di sminuire il
significato degli accordi procedimentali, in base alla considerazione che comunque è
necessario il provvedimento poiché gli effetti diretti nei confronti dei terzi discendono dal
quest’ultimo. Ma un’attenta lettura della norma porta a conclusioni completamente diverse
perché il momento nel quale viene adottata la decisione è quello dell’accordo.
A questo punto il provvedimento risulta essere un veicolo in quanto serve a portare quei
contenuti all’esterno del procedimento ma il momento della decisione è quello dell’accordo.
Infatti, l’amministrazione non può rifiutarsi di emanare il provvedimento ma può recedere
dall’accordo.
Uno dei principali vantaggi dell’accordo è la maggiore adattabilità della struttura contrattuale
rispetto al provvedimento, cioè strumento più idoneo a soddisfare il principio di adeguatezza.
Inoltre, la potenziale maggiore ricchezza di contenuti può portare l’amministrazione a
introdurre nell’accordo clausole e condizioni che non potrebbero essere inserite nel
provvedimento, ancora imprigionato nel principio di tipicità.
Questa considerazione andrebbe riferita anche all’accordo integrativo.
L’accordo ha poi il vantaggio che gli deriva dal possedere la forza e l’effettività di una
decisione condivisa e stabile. Effettività deriva dal vincolo e la discrezionalità si è consumata
nell’accordo.
Altra caratteristica è la sua stabilità: l’adesione all’accordo determina acquiescenza del
privato che non potrà più impugnare quella decisione o provvedimento, però ha garanzia di
sapere che quell’assetto di interessi può essere rimosso o modificato per nuove ragioni di
pubblico interesse.
Si accompagna a ciò il diritto all’indennizzo e l’amministrazione deve comportarsi secondo
buona fede per cui è tenuta a fare un tentativo di rinegoziazione dell’accordo prima di
esercitare il recesso.
L’intervento del legislatore con la legge 15 del 2005 ha comportato due importanti
innovazioni per quanto riguarda l’articolo 11:
- Caduta della barriera che limitava l’applicabilità degli accordi sostitutivi solo i casi
previsti dalla legge. Da allora l’accordo sostitutivo è diventato un modulo
assolutamente alternativo rispetto al provvedimento, ripristinando la previsione del
testo della commissione Nigro.
- Introduzione di una nuova disposizione dell’articolo 11 perché al comma 4- bis si
prevede che la stipula dell’accordo è preceduta da una determinazione dell’organo che
sarebbe competente all’adozione del provvedimento per garantire imparzialità e buon
andamento dell’azione amministrativa.
7. I commi 1-bis e 2-bis dell’art 1 della legge 241 del 1990. Ricorso al diritto privato per
l’esercizio di poteri non autoritativi, buona fede e affidamento
Il tema della consensualità si è reso ancora più complesso a causa dell’articolo 1-bis della
legge 241 secondo cui “La pubblica amministrazione nell’adozione di atti di natura non
autoritativa agisce secondo le norme di diritto privato, salvo che la legge disponga
diversamente”
Bisogna cercare di capire se ci troviamo di fronte a una figura diversa dall’articolo 11 che si
applica a moduli pubblicistici.
La previsione del ricorso al diritto privato da parte dell’amministrazione come si colloca
rispetto all’articolo 11?
Si deve tener presente che l'art 1 bis è il risultato di un sofferto iter parlamentare. Infatti, nella
sua originaria configurazione sembrava che la norma dicesse che l’amministrazione agisce
normalmente attraverso norme di diritto privato.
La versione attuale parla di atti di natura non autoritativa salvo che la legge disponga
diversamente: l’amministrazione nei casi previsti dalla legge continua ad agire secondo le
norme di diritto pubblico.
Quindi sembra che in qualche modo sia prevista una riserva di procedimento pubblicistico.
Avendo solo una clausola generale di preferenza del diritto privato, a condizione che la legge
non disponga diversamente, possiamo fare due ipotesi:
● caso in cui l’amministrazione utilizzi il diritto privato in assenza di una previsione
legislativa che attribuisca questo potere—> Dovremmo considerare un’attività
amministrativa che si ponga al di fuori del principio di legalità; ma l’amministrazione
per definizione agisce in base a tale principio.
● caso in cui l’amministrazione agisca sulla base di una norma di legge—> dovremmo
concludere che abbiamo solo una previsione di carattere programmatico, un mero
invito alle legislatore; quindi bisognerebbe immaginare una norma che tipizzi il
ricorso al diritto privato altrimenti questa disposizione non avrebbe senso,se non come
opzione ideologica.
Quella prefigurata dall’arti 1 bis è un’attività che dovrebbe sostituire l’attività amministrativa
vera e propria per cui il ricorso alle norme del diritto privato dovrebbe essere qualcosa di
diverso dall’accordo previsto dall’articolo 11.
Il problema è che anche questo tipo di attività l’amministrazione rimane legata al rispetto dei
principi di imparzialità e vincolata al perseguimento di un pubblico interesse pur avendo
un’attività di diritto privato.
Si può allora ipotizzare che in realtà il ricorso al diritto privato comunque nasca dal
procedimento e si formi nel procedimento. Cioè l’articolo 1 bis potrebbe anche far intendere
che il procedimento rimanga uguale ma cambia l’atto finale, per cui la produzione degli
effetti potrebbe derivare da un contratto anziché da un provvedimento.
Però il procedimento rimarrebbe il luogo di formazione della decisione perché consente di
assicurare un’adeguata tutela e presa in considerazione di tutte le posizioni.
Questa norma potrebbe essere l’occasione per meditare sulla necessità di considerare
provvedimenti amministrativi quegli atti che hanno un bassissimo tasso di autoritatività.
Inoltre, la norma parla di atto non autoritativo e bisogna capire cosa significhi:
-se atto autoritativo significa esercizio di poteri—>quindi riguarda tutto il panorama della
pubblica amministrazione
- o se come non autoritativo si può identificare tutto un settore di atti amministrativi che per
situazioni contingenti nel nostro ordinamento sono stati considerati provvedimenti (ad
esempio: atti di aggiudicazione delle gare pubbliche, atti ampliativi della sfera giuridica dei
destinatari come le concezioni e le sovvenzioni)
Infine, è stato aggiunto il comma 2-bis dell’articolo 1 della legge n 241, riprendendo
l’articolo 12 comma 1 della legge n120 del 2020 secondo cui” I rapporti tra il cittadino e la
pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona
fede”.
Questa previsione può considerarsi la codificazione di un orientamento delle Sezioni Unite
della Cassazione affermatosi a partire dal 2020.
Si è posto un problema in giurisprudenza circa il caso di annullamento giurisdizionale del
provvedimento favorevole, sulla cui legittimità il privato aveva confidato in ragione del
rapporto di fiducia tra cittadino e amministrazione.
La conseguente lesione di un legittimo affidamento dà luogo, secondo la Cassazione, al
risarcimento del danno da richiedersi dinanzi al giudice ordinario, trattandosi di lesione di un
diritto soggettivo.
Al contrario, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in due pronunce n 19 e 20 del
2021, non solo ha rivendicato la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di
posizione di interesse legittimo, ma ha affermato che non è tutelabile la posizione nascente
dall’affidamento derivante da un atto illegittimo.
Anche l’Adunanza plenaria dà rilievo all’affidamento come interesse legittimo, diversamente
da quanto ritenuto dalle Sezioni Unite per cui l’affidamento costituirebbe sempre un diritto
soggettivo.
3. Semplificare e liberalizzare
4. Le attività libere
Nel caso di servizi di interesse generale, alcune attività (servizio postale), sono libere nel
senso che non è necessario un contatto con l’autorità amministrativa ma sono comunque
soggette a regole di tipo amministrativo.
L'adunanza plenaria del consiglio di stato (pronuncia n.15 del 2011) ha ritenuto la
ricostruzione pubblicistica debole perché: Elide ogni differenza sostanziale tra s.c.i.a. e
silenzio-assenso: l’attività soggetta a s.c.i.a. può essere intrapresa senza il consenso
dell’amministrazione che é surrogato da un’assunzione di responsabilità del privato.
La qualificazione dell’istituto come provvedimento tacito di assenso non appare giustificata
nemmeno dal richiamo ai poteri di autotutela: (artt. 21 quinquies e 21 nonies della legge
n.241/1990) ad avviso dell’ adunanza con tale prescrizione il legislatore ha solo chiarito che
il termine per l’esercizio del potere inibitorio è perentorio e che successivamente la pubblica
amministrazione conserva solo potere di autotutela.
Successivo apporto di diritto sostanziale qualifica la s.c.i.a. come atto con valenza
comunicativa, non sostitutiva del provvedimento di assenso.
Chiarisce la natura di diritto soggettivo della posizione del segnalante.
Mette in risalto la consustanzialità tra l’originarietà del diritto soggettivo tuttavia sottoposto a
regime amministrativo.
Ulteriore apporto legislativo, il D.L. n.138 del 2011, stabilisce la natura non provvedimentale
della s.c.i.a dichiarando che non si tratta di un titolo tacito.
Ma prevede che la tutela del terzo si sostanzi nell’azione avverso il silenzio inadempimento.
Il decreto legge del 2011 ribadisce anche la doverosità del controllo prevedendo che: Le
verifiche possono essere sollecitate dagli interessati;
L’omissione delle verifiche integra un inadempimento giustiziabile con l’azione avverso il
silenzio inadempimento.
La doverosità del controllo non va confuso con un dovere dell’amministrazione di
pronunciarsi.
Doveroso è anche l’esercizio dei poteri inibitori e ripristinatori che devono essere esercitati
ogni qual volta l’attività oggetto della s.c.i.a. risulti non consentita.
L’eventuale provvedimento presuppone un procedimento che viene avviato attraverso la
presentazione della s.c.i.a. che impone all’amministrazione di procedere ma non le impone di
provvedere.
Il controllo che si chiude in modo sfavorevole non produce rigetto ma inibizione. Si avvalora
così la natura di atto privato su cui però si innesta una fase autoritativa eventuale.
La tutela civile tuttavia non può essere soppiantata da quella di tipo amministrativo,
quest’ultima può giudicare solo i rapporti tra cittadini e amministrazione e non anche i
rapporti tra privati.
Il giudice amministrativo, anche nelle materie di sua competenza, non ha titolo per impartire
ordini al privato, potendo solamente intimare all’amministrazione di assumere le
determinazioni consequenziali all’accertamento della mancanza dei presupposti legittimanti
l’attività.
Il terzo pertanto può solo chiedere tutela contro l’inosservanza delle regole dettate per l’avvio
della e lo svolgimento dell’attività, cioè pretendere l’applicazione del diritto obiettivo.
Trattandosi di diritto obiettivo, l’iniziativa dei terzi può rapportarsi solamente a poteri che
dalla legge sono sottoposti a termini perentori, per assicurare un equilibrio tra l’affidamento
di chi intraprende l’attività e l’effettività della regolazione.
La legge Madia espande il ruolo dell’intervento successivo rispetto all’esercizio del potere
inibitorio esperibile nel limite di 60 giorni dal provvedimento.
Il termine ragionevole entro cui è ammesso l’intervento, sulla scorta del D.L. n.76/2020, è di
12 mesi dall’adozione del provvedimento, e non più 18 come individuato dall’art 21 -nonies
della legge 241/1990.
Il potere esercitabile dall’amministrazione decorsi i primi 60 giorni è sempre un potere di
controllo e di inibizione-conformazione, condizionato però in questa fase dall’esigenza di
tutela dell’affidamento. Potere che diviene quindi discrezionale e non più vincolato come
durante i primi 60 giorni.
Il D.L. n.76/2020 rende l’affidamento ancora più centrale disponendo che i provvedimenti di
divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli effetti sono inefficaci quando
adottati decorso il termine di 60 giorni.
Obiettivo della legge Madia e del D.L. n.76/2020 è quello di aumentare il tasso di certezza e
di affidamento: realizzandolo con la limitazione del tempo per l’inibitoria; e con la
cancellazione del potere di intervenire in ogni tempo in caso di dichiarazioni false e mendaci.
Sempre la legge Madia, con la normalizzazione dell’art 19 comma 6-ter e la modifica dell’art
4 della legge 241/1990, chiarisce che il rimedio attivabile dal terzo va riferito al potere
dell’amministrazione di controllo e di inibizione-conformazione. Il rimedio quindi sarebbe
esperibile soltanto fino a che questo potere esiste (60 giorni + 12 mesi).
Il sollecito del terzo senza che l’amministrazione si attivi permette l’impugnazione del
silenzio-inadempimento.
La cassazione nella pronuncia n.45 del 2019 ribadisce che la locuzione “verifiche spettanti
all’amministrazione’’ contenuta nel comma 6-ter dell’art 19 ricomprende oltre che il potere
inibitorio anche quello di autotutela, sempre da esercitarsi nel termine di 12 mesi.
Per il Tar Toscana l’art 19 comma 6-ter della legge 240/1990 andava interpretanto nel senso
che il terzo resta sempre libero di presentare l’istanza sollecitatoria dei poteri amministrativi
inibitori.
1.Introduzione.
Il silenzio assenso tra le amministrazioni è stato introdotto dalla 1.n.124 del 2015, la
cosiddetta legge Madia, che ha inserito l’art.17-bis nel testo della legge n.241. L’istituto del
silenzio assenso viene inserito in un rapporto tra più amministrazioni, assumendo una
funzione differente rispetto alla tradizionale figura disciplinata dell’art.20 della stessa legge.
La norma viene applicata sia ai procedimenti amministrativi e a quelli normativi, dove
l’autorità precedente debba richiedere un atto di assenso, o nulla osta all’alta amministrazione
o a un gestore di beni e servizi pubblici che deve essere pronunciato su uno schema di
provvedimento finale entro 30 giorni dall’aver ricevuto questo schema con la propria
documentazione. Il termine può essere sospeso, ma trascorsi i 30 giorni senza comunicare
l’assenso, il concerto o nulla osta, l’assenso è comunque acquisito. L’aspetto che viene messo
più in discussione riguarda la probabilità che il silenzio assenso si formi anche nel caso in cui
gli atti di assenso, concerto o nulla osta, devono essere emessi da autorità che si occupano di
tutela ambientale, dei beni culturali e della salute dei cittadini che non si siano pronunciate
dopo i 90 giorni, a meno che la legge non preveda un termine diverso. L’art 17-bis non
introduce soltanto il nuovo istituto del silenzio assenso tra le amministrazioni, ma anche alle
autorità che curano gli interessi sensibili, ponendosi secondo molti commentatori, in
contrasto con principi e valori di rilievo costituzionale, come la tutela ambientale, del
paesaggio e della salute. Per gli interessi sensibili si riserva una tutela differente, che consiste
in un termine più lungo, scaduto il quale, l’accelerazione dei tempi per procedimento prevale
secondo una gerarchia di valori imposta dal legislatore del 2015, su quelle relazionata ad
un’adeguata valutazione degli interessi coinvolti e un’attenta decisione. L’istituto è stato
oggetto di molti contributi da parte di studiosi di diritto amministrativo, sia per la sua
innovazione che per i problemi cha sollevato, sia per quanto riguarda i principi che regolano
l’attività amministrativa, sia per quanto riguarda le relazioni e le differenze con istituti
all’apparenza simili, come il silenzio assenso disciplinato dall’art.20 della stessa legge, la
conferenza di servizi oppure il ritardo di pareri obbligatori o ancora valutazioni tecniche,
incluse negli art.14,16 e 17. Il tema più delicato riguarda gli interessi sensibili, ai quali
l’art.17-bis riserva un trattamento inferiore rispetto a quello riconosciuto dalle norme già
citate, in quanto rispetto agli altri interessi pubblici l’unica differenza è la durata maggiore
del periodo oltre il quale, in caso di inattività, c’è il silenzio assenso, in quanto il termine di
30 giorni diventa di 90 giorni. Fino all’emanazione dell’art.17-bis,gli interessi sensibili
sembravano essere un fattore importante, infatti essi, impediscono ai sensi del 4° comma
dell’art.20 il silenzio assenso previsto come istituto di carattere generale, mentre secondo
l’art.16 non consentono all’autorità precedente di prendere la decisione, anche in assenza di
parere obbligatorio, inoltre ai sensi dell’art.17 le valutazione tecniche che spettano alle
autorità che tutelano l’ambiente e della salute dei cittadini non possono essere affidate ad altri
organi dell’amministrazione pubblica. Tuttavia, questo privilegio degli interessi sensibili era
stato limitato dalla probabilità che queste autorità possano proporre l’opposizione a
condizione che abbiano espresso il proprio motivato dissenso prima della fine della
conferenza. Già nel regime precedente con la legge Madia, nel 2010 fu estesa la previsione
secondo la quale si prende in considerazione acquisito l’assenso dell’amministrazione cui
rappresentante all’esito dei lavori della conferenza non abbia già espresso la volontà
dell’amministrazione (fatta eccezione dei provvedimenti di VIA, VAS e AIA). Quella che è
stata definita come ‘’la guerra di logoramento’’ degli interessi sensibili era già iniziata da
tempo, ma è improbabile che l’art.17-bis evidenzi un cambio da parte del legislatore.
2.La nuova figura introdotta dal decreto semplificazione
Il decreto-legge n.76/2020, convertito nella legge 120/2020 è intervenuto sull’art.17-bis,
apportando modifiche sulla rubrica e introducendo una nuova figura di silenzio assenso. Il
testo sulla rubrica è ‘’Effetti del silenzio e dell’inerzia nei rapporti tra amministrazioni
pubbliche e tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni e servizi pubblici’’. La nuova
figura riguarda la codecisione tra le amministrazioni, a cui non sarebbe stata applicata la
disposizione nella versione originaria. È una nuova misura di semplificazione da applicare
nel caso in cui un’autorità fosse inattiva, dalla quale deve pervenire una proposta, la cui
mancanza significherebbe mancato provvedimento da parte dell’amministrazione. Se un
provvedimento deve essere preceduto da una proposta da una diversa autorità rispetto a
quella titolare del potere di provvedere dopo 30 giorni dalla richiesta, quest’ultima può
comunque procedere. In tal caso lo schema di provvedimento, corredato dalla relativa
documentazione, è trasmesso all’amministrazione che avrebbe dovuto formulare la proposta
per acquisirne l’assenso ai sensi del presente articolo. La proposta invece di precedere il
provvedimento, in caso di inerzia del proponente viene sostituita da un atto successivo di
assenso. Il decisore finale prende un provvedimento e lo sottopone all’organo che avrebbe
dovuto formulare la proposta. In caso di silenzio alla fine dei 30 giorni l'assenso si intende
acquisito. Non
vengono in rilievo gli interessi sensibili, poiché la norma non è applicabile alle
amministrazioni preposte alla tutela esclusi i casi di cui al comma 3 da disposizione. Secondo
il legislatore in un procedimento in cui l'interesse sensibile deve essere oggetto di una
proposta, esso deve avere più rilevanza rispetto all’ipotesi in cui l'autorità che lo tutela debba
esprimere un nulla osta oppure un parere, ma si tratta di un'ipotesi che richiede altri
approfondimenti.
Secondo la costituzione si tratta di un'evoluzione normativa che deve eliminare gli effetti
negativi del silenzio amministrativo, non solo nei rapporti coi privati ma anche tra pubbliche
amministrazioni, definiti rapporti verticali (tra amministrazione e cittadino) e orizzontali (con
un’altra amministrazione codecidente). Nell'evidenziare la negatività del silenzio
amministrativo il Consiglio di Stato evidenzia la contrarietà del legislatore nei confronti
dell'inerzia amministrativa che viene stigmatizzata al punto da ricollegare al silenzio
dell'amministrazione interpellata la più grave delle sanzioni o il più efficace dei rimedi, che si
traduce, attraverso l'equiparazione del silenzio all’assenso, nella perdita del potere di
dissentire e di impedire la conclusione del procedimento’’. Il fondamento del silenzio-assenso
come strumento di semplificazione risiede nel principio di buon andamento di cui all'articolo
97 Cost., “in un'ottica moderna” che tiene conto dell'esigenza di assicurare il primato di diritti
della persona, dell’impresa e dell'operatore economico rispetto a qualsiasi forma di dirigismo
burocratico.
il d.lgs 33/2013 cd. CODICE della TRASPARENZA segna una svolta perché:
mantiene una continuità rispetto al d.lgs 150/2009 e la l.190/2012
MA rappresenta il punto di arrivo della trasformazione del concetto di trasparenza
(che vedremo nelle prossime pagine)
a questo atto si sono ispirate le legislazioni della maggior parte dei paesi democratici
e, pur se con notevole ritardo, anche l’ordinamento italiano con il d.lgs. 33/2013
nb: sempre però con il limite però di non fare accedere i cittadini a informazioni sensibili
riguardanti ad esempio: difesa, affari militari, sicurezza, ordine pubblico e dati personali
il FOIA ha rappresentato uno degli aspetti più interessanti dell’evoluzione dei diritti di 4°gen
e inoltre per tale via dovrebbe realizzarsi un passaggio importante cioè:
▪ dal potere invisibile della Pubblica Amministrazione
▪ alla concezione della Pubblica Amministrazione come casa di vetro
Recentemente (durante l’amministrazione Obama)
i principi del FOIA sono stati integrati e rafforzati da 2 nuovi concetti:
1. OPEN GOVERNAMENT -> finalizzato alla partecipazione attiva dei cittadini alle
scelte amministrative; ratio 🡪 garantire amministrazione aperta e info fruibili alla
collettività
2. OPEN DATA -> possibilità che le info prodotte dalle amm siano raccolte in banche
dati
ratio 🡪 garantire trasparenza tra istituzione e cittadino
nb: a questo modello si è ispirato per certi aspetti anche il legislatore italiano
il diritto all’informazione:
● garantisce un controllo diffuso sull’operato del governo e dell’ amministrazione
anche ai fini di prevenzione della corruzione (ACCUNTABILITY);
background:
storicamente l’amministrazione italiana si è fondata sul SEGRETO e NON PUBBLICITA’
degli atti
INFATTI dobbiamo aspettare la l.241/1990 per parlare di DIRITTO DI ACCESSO
la TRASPARENZA è il valore giuridico a cui sono rivolti istituti operanti nei singoli proced
come:
obbligo di motivazione, responsabile del procedimento, partecipazione, diritto di accesso
nella prospettiva della l.241/1990 l’accesso era:
▪ un diritto di natura individuale
▪ esercitabile su domanda che doveva essere motivata
▪ esercitabile per tutelare una posizione giuridica riconosciuta dall’ordinamento
▪ riferibile solo ai documenti già formati e non alle informazioni
nb: la motivazione era richiesta anche se si voleva accedere a un atto pubblico
questa nuova prospettiva del diritto di accesso la vediamo nel c. digitale 2005 e nella
l.150/2009
art.1 co.29: ogni amministrazione pubblica rende noto, tramite il proprio sito web
istituzionale, almeno un indirizzo di posta elettronica certificata cui il cittadino possa
rivolgersi per trasmettere istanze
nb: la logica è -> se i comportamenti dei pubblici funzionari sono resi pubblici,consultabili
è più difficile che questi mettano in atto forme di corruzione
QUINDI mettere in campo la trasparenza per combattere la corruzione
infatti si può dire che la trasparenza è un mezzo fondamentale di prevenzione della
corruzione
tant’è che ogni amministrazione deve avere un piano anticorruzione e un piano per la
trasparenza
la trasparenza:
si realizza attraverso la pubblicazione nei siti delle PA
di documenti e info concernenti l’organizzazione e l’attività delle PA
e tutti hanno il diritto di accedere ai siti direttamente e immediatamente
(quindi senza una autentificazione o identificazione)
tutto ciò
- concorre alla realizzazione di un’amministrazione aperta e al servizio del cittadino
- attua i principi cost. di uguaglianza, imparzialità, buon andamento, efficienza della
PA
il dlgs 33/2013 individua una serie di atti e informazioni che devono essere pubblicati
obbligatoriamente, ad esempio:
- provvedimenti finali di procedimenti
- affidamenti di appalti
- concorsi e prove selettive
- accordi stipulati con privati
- rendiconti dei gruppi consiliari
- atti di conferimento di incarichi dirigenziali
- atti riguardanti settori speciali come opere pubbliche, servizio sanitario nazionale
PERO’ allo stesso tempo bisogna stare attenti a non creare ‘forme di opacità per confusione’
cioè bisogna evitare che la massa di dati resi pubblici sia talmente ingente da renderne
difficile
se non impossibile la consultazione
per evitare che questo accada devono essere individuate forme di pubblicazione idonee a
mettere in evidenza le informazioni rilevanti.
le PA devono assicurare:
- qualità
- integrità
- completezza
- semplicità di consultazione
- comprensibilità
- costante aggiornamento
- tempestività
- conformità all’originale
delle info che pubblicano nella sezione apposita denominata ‘amministrazione trasparente’
però questa riutilizzabilità dei dati da parte di chiunque potrebbe comportare un problema:
cioè potrebbe accadere che info e documenti che non hanno più valore
continuino ad essere disponibili e consultabili anche dopo molti anni
in questi casi ci sono 2 diritti che vanno a scontrarsi: diritto all’oblio e diritto
all’informazione
ovviamente prevarrà il diritto all’oblio rispetto al diritto all’informazione
(proprio perché queste informazioni non sono più attuali e di pubblico interesse)
sempre facendo riferimento al diritto all’oblio l’Autorità garante dei dati personali
ha pubblicato delle linee guida in materia di trattamento dei dati personali
proprio perché il perseguimento del valore della trasparenza
potrebbe travolgere la dignità dell’individuo
infatti è stato introdotto:
- obbligo di cancellazione dei dati non più rilevanti
- prevalenza del diritto all’oblio e alla riservatezza
A fronte dell’obbligo di pubbl sul sito -> vediamo un nuovo diritto = DIRITTO DI
ACCESSO CIVICO
è un diritto funzionale ad assicurare un corretto adempimento degli obblighi di pubblicazione
infatti in virtù di questo diritto :
tutti hanno diritto a richiedere la pubblicazione
nel caso in cui l’amministrazione non abbia rispettato l’obbligo di pubblicazione
la richiesta non deve essere motivata, è gratuita e va presentata al responsabile della
trasparenza
in caso di diniego è ammesso il ricorso al giudice amministrativo
e il ricorrente può stare in giudizio personalmente senza l’ assistenza del difensore
C’è da dire però che al di là di tutti questi progressi comunque la riforma ha dei limiti:
la nuova disciplina non è del tutto riconducibile al modello di riferimento FOIA
proprio perché non c’è accesso a qualsiasi informazione detenuta dalle PA
a differenza di quanto avviene negli ordinamenti anglosassoni dove
le informazioni detenute dagli uffici pubblici sono di proprietà della collettività (dei cittadini)
secondo Savino l’idea centrale dell’accesso generalizzato alle informazioni pubblico (tutto a
tutti)
è quella per le cui le amministrazioni pubbliche detengono le informazioni nell’interesse
pubblico
quindi le PA sono custodi dell’interesse generale.
QUINDI da questo modello italiano iniziale possiamo concludere che l’obiettivo prioritario
del legislatore italiano non era quello di riconoscere un diritto a favore dei cittadini
▪ Dlgs 97/2016
il decreto legislativo 97/2016, attuativo della l.Madia, ha innovato il dlgs 33/2013
con questa nuova versione del dlgs 33/2013 si può parlare a pieno titolo di un FOIA italiano
art.5 comma 2 -> chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenute dalle PA
questo comma fa un riferimento ai dati e documenti generico quasi omnicomprensivo
infatti si può parlare di TOTAL DISCLOSURE (amplissima estensione dell’accesso civico)
art.15 TFUE -> al fine di promuovere il buon governo le istituzioni dell’Unione operano nel
modo più trasparente possibile, e qualsiasi persona fisica o giuridica residente all’interno
dell’UE ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi dell’UE
art.42 Carta di Nizza -> rubricato ‘diritto di accesso ai documenti’-> Ogni cittadino
dell'Unione nonché ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno
Stato membro ha il diritto di accedere ai documenti delle istituzioni, organi e organismi
dell'Unione, a prescindere dal loro supporto.
allo stesso tempo però bisogna tutelare il diritto alla riservatezza dei titolari delle info e dei
dati
QUINDI l’accesso civico generalizzato incontra maggiori limitazioni rispetto quello semplice
e quello documentale .
CENNI CONCLUSIVI
Da una parte si instaura, grazie alla trasparenza, un nuovo modello di relazione tra cittadino e
PA
dall’altra i titolari delle funzioni pubbliche devono mettersi al servizio dei cittadini e favorire
la massima apertura alla conoscenza.
6. Le principali novità del decreto legislativo n. 127 del 2016 attuativo della legge n.
124/2015 (riforma Madia) e gli interventi più recenti:
Una tappa fondamentale nell’evoluzione della conferenza è quella avvenuta con la riforma Madia, con
il decreto legislativo 30 giugno 2016, n. 127, sulla base della delega contenuta nella legge 7 agosto
2015, n.124: è una ristrutturazione integrale dell’istituto, avvertita come necessaria, visto che gli viene
ancora riconosciuto un ruolo fondamentale in caso di decisioni plurali e che viene concepito come un
luogo di sintesi fra interessi pubblici e tentativo di semplificazione.
I punti su cui si è cercato di intervenire sono differenti: definire e ridurre i casi in cui la conferenza è
obbligatoria, determinare i diversi tipi di conferenza (introducendo anche modelli di istruttoria
pubblica per garantire la partecipazione agli interessati, anche in via telematica), ridurre i termini del
procedimento, dare una durata certa ad ogni conferenza, semplificare il modello decisionale e dei
lavori in generale, infine precisare i poteri dell’amministrazione procedente.
-Innanzitutto, sono stati ripresi tre diversi modelli di conferenza: istruttoria, decisoria e preliminare.
Per quanto riguarda la prima, è utilizzabile nella fase istruttoria di un procedimento o in più
procedimenti connessi fra loro, quando è necessario esaminare gli interessi coinvolti
La seconda è obbligatoria nel caso in cui sia necessario acquisire più pareri o atti, prima che ci sia la
conclusione positiva del procedimento.
Quella preliminare, è una possibilità collegata a delle circostanze, al fine di indicare al richiedente,
prima della presentazione di un progetto definitivo, le condizioni per ottenere i necessari pareri,
intese, autorizzazioni, ecc.
-In secondo luogo, soffermandosi sui meccanismi di funzionamento della conferenza, sono state
previste due modalità, quella “semplificata, asincronica” e l’altra “simultanea, sincronica”:
La prima (disciplinata dall’art 14-bis), è quella generalmente usata e che prevede, per l’autorità
procedente, la possibilità di una scelta di una scansione temporale in funzione acceleratoria e di
semplificazione nella fase conclusiva. Le amministrazioni devono consegnare le proprie
determinazioni entro un termine perentorio non superiore a 45 giorni, o 90 giorni in caso di
amministrazioni che si occupano di interessi sensibili. La mancata comunicazione della
determinazione equivale all’assenso senza condizioni e in tal caso, l’amministrazione procedente si
occupa di adottare entro cinque giorni la determinazione motivata, che conclude in modo positivo la
conferenza. In caso di dissensi insuperabili, si conclude invece in modo negativo.
Quella simultanea è il meccanismo tradizionale, disciplinato dall’art 14-ter, e presenta tre aspetti del
tutto nuovi.
Il primo è dato dalla partecipazione alla conferenza di un unico rappresentante, per tutte le
amministrazioni statali convocate, nominato dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal Prefetto,
che esprima una posizione vincolante per tutti.
Il secondo riguarda la gestione dei dissensi: le amministrazioni preposte alla tutela
ambientale/paesaggistica/ecc. possono proporre opposizione alla determinazione conclusiva della
conferenza (entro dieci giorni dalla comunicazione di quest’ultima) al Presidente del Consiglio, nel
caso in cui abbiano espresso in modo inequivoco il proprio dissenso motivato prima della conclusione
dei lavori. Ciò vale anche per le amministrazioni delle regioni o province autonome di Trento e
Bolzano, nel caso in cui il loro rappresentante abbia manifestato dissenso in conferenza. In caso di
opposizione, naturalmente, la determinazione di conclusione della conferenza perde efficacia ed entro
quindici giorni, il Presidente del Consiglio dei ministri indice una riunione con le amministrazioni per
individuare una conclusione.
Se necessario, può susseguirsi entro i successivi quindici giorni, un’atra riunione e in caso di esito
positivo, l’amministrazione procedente adotta una nuova determinazione di conclusione della
conferenza.
Se non si raggiunge un accordo, interviene il Consiglio dei ministri, che può non accogliere
l’opposizione o accoglierla solo parzialmente, nel primo caso l’atto conclusivo diventa definitivo, nel
secondo viene modificato.
Il terzo aspetto innovativo riguarda l’esercizio del potere di autotutela, art 14-quater comma 2,
prevede infatti che le amministrazioni i cui atti sono sostituiti dalla determinazione motivata di
conclusione della conferenza, possono sollecitare con congrua motivazione l’amministrazione
procedente ad assumere, previa indizione di una nuova conferenza, determinazioni in via di autotutela,
purché abbiano partecipato.
In ultima analisi, c’è una delle maggiori problematiche, quella delle decisioni sulla base di posizioni
prevalenti, che è un modo per il legislatore per dare pari valorizzazione alle posizioni espresse in
conferenza con l’assunzione di una determinazione che sia una sintesi di quanto emerso.
Pur non essendoci una specificazione normativa, è chiaramente differente dallo schema decisionale
basato sulla maggioranza. Non è da intendersi nemmeno come una dimensione quantitativa, perché
sarebbe impossibile conciliarla con la novità per cui possa esserci un rappresentante unico per le
amministrazioni statali, che si troverebbero in una posizione di soggezione. Quindi la spiegazione va
ricercata nel procedimento, nel quale il confronto tra interessi propone la prevalenza da cogliere e
trasferire in idonea motivazione.
Infine, è stata apportata un’ultima modifica alla materia nel 2020 con il decreto-legge del 16 luglio
n.76, in cui il legislatore ha adottato l’inefficacia per i provvedimenti intervenuti dopo la scadenza dei
termini e ha introdotto anche una conferenza super accelerata, a causa del periodo di emergenza
Covid.
5. Il decreto di esproprio.
Il decreto di esproprio definisce il procedimento, poiché dispone in favore dell’amministrazione il
passaggio del diritto di proprietà del privato, perfeziona, quindi, l’esercizio del potere autoritativo di
tipo ablatorio.
La legittimità di tale provvedimento è subordinata alla perdurante efficacia della dichiarazione di
pubblica utilità e della validità di tutte le fasi subprocedimentali che lo hanno preceduto.
Anche in tale fase è garantita la partecipazione del privato.
Tali adempimenti sono rilevanti in quanto sia la redazione del verbale, sia l’immissione in possesso
non sono surrogabili con prove testimoniali, con conseguente presunzione legale che
l’amministrazione sia effettivamente entrata in possesso del bene.
3. Il potere normativo delle Autorità indipendenti quale espressione del sistema pluralistico
dell'ordinamento
L'inquadramento delle Autorità amministrative indipendenti nel quadro istituzionale ha contribuito a
inserire il ruolo delle stesse nell'ambito dell'organizzazione pubblica, ispirata al pluralismo
istituzionale del nostro ordinamento. Tale ruolo si concreta attraverso una funzione regolatoria,
connotata da peculiari caratteri atipici, complessa ed eterogenea, in quanto sia giurisprudenza
amministrativa che legislatore hanno mostrato una tendenza a riconoscere alle Autorità
amministrative un ampio potere normativo.
Il «punto di non ritorno» si ebbe quando il Supremo Giudice degli interessi, in una ormai nota sentenza del
2002, dichiarò che le Autorità amministrative indipendenti risultavano titolari di poteri normativi, anche
indipendentemente da una espressa disposizione legislativa. In particolare, il Consiglio di Stato, con la sentenza
n. 2987, sancì la legittimità della direttiva data dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas in riferimento al
vincolo per le società distributrici di mettere fine alle fuoriuscite di gas avvertite su impianti a valle del punto di
consegna. Nonostante tale vincolo non avesse nessun fondamento legislativo, il Supremo Giudice non ritenne
questo un deficit sul piano del rispetto assoluto del principio di legalità e, salvaguardando il principio di
efficienza, motivò la sua scelta con la necessità di salvare la vita delle persone minacciate dalle dispersioni di
gas.
Il potere normativo si concreta attraverso atti normativi tra loro diversi per denominazione, varietà
di forma e contenuti, anche se poi essi hanno in comune:
-sia la fonte= che ha origine nel principio costituzionale che delinea la separazione fra politica e amm,
-sia la fase della formazione del procedimento dell'atto nella disposizione di legge istitutiva
dell'Amministrazione indipendente, che prevede gli aspetti procedimentali e regola il settore
attribuitole.
I poteri, il cui esercizio sfocia nell'adozione di tali atti, si fondano sull'ampia discrezionalità che la
legge conferisce alle Autorità indipendenti di scegliere lo strumento formale mediante cui arrivare
all’emanazione dell'atto normativo. Ma l'esistenza di plurime ed eterogenee tipologie di poteri ha
comportato:
-da un lato, attività regolative i cui atti sono formalmente espressione di diritto obiettivo, e della cui
efficacia costitutiva nell'ordinamento giuridico complessivamente inteso non sembrano suscitare
dubbi (in questo caso si è dinnanzi a veri e propri regolamenti che soddisfano i requisiti classici del
tipo), -dall'altro, poteri che si esplicano mediante una serie di
atti riconducibili alla categoria di atti amministrativi fonte del diritto obiettivo, per effetto
dell’utilizzazione di criteri sostanziali.
A tal proposito, vanno considerati gli atti di regolazione connessi con atti negoziali di natura
privatistica, autorizzazioni, segnalazioni, atti di indirizzo, a cui si aggiunge l'implicazione di una
sequenza di attività non decisionali che rilevano per la specificazione del contributo degli organismi
in esame alla formazione della disciplina normativa di un settore di competenza. Rientrano nel loro
potere normativo: -atti che regolano attività
di comunicazione e di proposta agli indirizzi del Governo e del Parlamento, - atti
che si innestano in procedimenti volti a produrre diritto oggettivo non riconducibile direttamente alle
Autorità in esame che hanno partecipato al relativo procedimento,
-quei provvedimenti emanati precedentemente al verificarsi di un fatto o di una serie di
comportamenti, imponendo regole la cui violazione comporta, talvolta, l'irrogazione di sanzioni.
Questi atti, che non assumono la veste tipica del regolamento, ma quella provvedimentale, sono a
contenuto generale ed esercitano funzioni diverse, anche di natura decisoria, producendo diritto
oggettivo anche in chiave di funzione interpretativa del disposto legislativo. Altra espressione del
potere normativo delle Autorità in esame è riscontrabile in quegli atti che le Autorità emettono sulla
scorta della loro moral suasion= complesso di attività (di persuasione morale) che portano alla
produzione di atti espressione di poteri para normativi o collaborativi. Tali atti (risoluzioni, istruzioni
ecc...), pur formalmente sforniti di forza coercitiva, perverrebbero al dispiegamento di effetti
consustanziali a quelli cogenti, contribuendo a garantire l'applicazione omogenea delle regole, ovvero
il principio di trasparenza nel settore di riferimento.
Alla luce di queste considerazioni, l'aver presentato il potere regolatorio delle autorità amm.
indipendenti in termini cosi ampi, porta a ritenere che la legge non ricopra più il ruolo di fonte
«suprema», venendosi a porre nell'ambito di un modello eterogeneo e variegato non assimilabile ad un
principio di unità gerarchicamente ordinato, ma piuttosto che riordinandola secondo una logica di tipo
pluralistico, ove rilievo va assegnato al principio di competenza come criterio che regola i rapporti tra
le fonti nell'ordinamento.
La soluzione indicata porta rilevanti implicazioni in quanto, se è lecito dubitare della considerazione
che il valore della posizione istituzionale di un organo possa costituire effettivamente il fondamento
del relativo potere normativo (regolamentare o di normazione secondaria in generale), maggiori
certezze affiorano quando si attribuisce al suo «peso istituzionale» la capacità di ingenerare tra la
legge e il potere regolamentare un diverso rapporto. Ciò vale soprattutto per le Autorità indipendenti
per le quali l'intervento legislativo, pur sempre necessario, assume un diverso contenuto in quanto non
si prospetta quale regolatore delle differenti materie, «dovendo essa lasciare al potere regolamentare
dell'organo in questione lo spazio costituzionale spettante e conseguenzialmente il rapporto legge -
regolamento viene ad atteggiarsi in maniera differente proprio in ragione del rapporto intercorrente fra
Parlamento e soggetto dotato di potestà regolamentare».
=>La legge per far spazio alla produzione della fonte secondaria, anziché disciplinare
dettagliatamente la materia, valorizza il ruolo istituzionale dell'Autorità, proponendosi come
legge di principio.
=>Ne consegue che, quello che potrebbe, a prima vista, essere delineato quale un «naturale» rapporto
tra due tipi di fonti di grado diverso, le cui 2 rispettive funzioni normative (l'una che fissa i principi
generali della materia, l'altra che ne attua i dettagli) sono da ricondursi nel perimetro del principio
costi. di ripartizione delle competenze normative, ad un'analisi più attenta tale rapporto suscita
perplessità, atteso che la disinvolta «indeterminatezza» che connota le leggi istitutive produce, in capo
alle Autorità indipendenti, l'attribuzione di un «generico» potere normativo, il cui esercizio non è
sottoposto a limiti previsti ed entro principi e criteri predeterminati, ma alla conformità di fini
generalissimi indicati dalla legge.
E’ opportuno evidenziare che dinnanzi ad un dettato legislativo che non determina nei dettagli il relativo
contenuto, né tantomeno fissa le condizioni e i limiti di esercizio della relativa attività, il più delle volte il
giudice ha dedotto il fondamento del potere normativo dell'autorità in una lettura sistematica delle varie
normative del settore.
È il caso dell'Agem che, servendosi di un'ampia discrezionalità, adotta decisioni dirette ad essere
vincolanti nei riguardi del soggetto interessato. Trattasi di atti atipici, poiché non prefissati dalla
legge, ma riposti alla libera valutazione dell'Autorità, che ricadono soprattutto sulla libertà di
iniziativa economica privata.
Dal rapporto delineato si ingenera un fenomeno quale il carattere di atipicità degli atti emanati che
hanno reso più complessa la sistemazione degli stessi nel sistema delle fonti normative
dell'ordinamento, e rappresenta anche l'eventualità che alle Autorità vengano conferiti ulteriori ed
impliciti poteri, la cui portata normativa è, tuttora, di difficile interpretazione.
Ciò ha indotto parte della dottrina ad avvertire del rischio che siffatte leggi istitutive costituirebbero
una sorta di vere e proprie deleghe in bianco, essendo prive di specifici contenuti capaci di vincolare
le scelte che le Autorità indipendenti possono poi effettuare.
È stato sostenuto che tali deleghe in bianco, oltre a causare una deviazione rispetto al tradizionale modello delle
fonti, attribuiscono al libero convincimento di tali soggetti ogni tipo di decisione inerente agli ambiti di loro
competenza, in evidente deroga al principio di separazione dei poteri.
La questione rileva innanzitutto per gli atti regolativi «funzionali», con cui le Autorità amm.
indipendenti disciplinano autonomamente e preventivamente l'esercizio delle funzioni amministrative
conferite loro dalla legge. Tali atti producono norme a carattere generale disciplinanti i problemi di
settore ed incidenti nella normativa del c.c. e di leggi speciali privatistiche, disciplinando direttamente
posizioni giuridiche soggettive e rapporti giuridici di soggetti terzi.
L'esempio non può che ricadere, dati i suoi rilevanti poteri di regolazione (nonché di controllo,
sanzionatori e para-giurisdizionali) su alcuni atti regolativi dell'Autorità per le garanzie nelle
comunicazioni (Agcom) che svolge un'intensa attività normativa - principalmente in forza della
legge istitutiva n. 249 del 1997, che prevede una serie di regole flessibili - incidente sui diritti
costituzionalmente tutelati. Attività normativa che ha assunto definitivo slancio con la legge del 28
febbraio del 2000, n. 28, che ha attribuito all'Agcom (e alla Commissione parlamentare) delicati
compiti di vigilanza sui servizi televisivi. Nell'esercizio di tale potere normativo si segnalano
provvedimenti e delibere che, per il solo fatto di incidere nelle situazioni giuridiche di terzi, sollevano
questioni problematiche. Infatti Recenti delibere e disposizioni come:
*nn. 403/18/CONS, Avvio del procedimento per l'adozione di un regolamento in materia di rispetto della
dignità umana e del principio di non discriminazione e di contrasto all'hate speech e all'istigazione all'odio;
*490/18/CONS, Disposizioni per la tutela del diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica per
contrastare le violazioni più gravi attraverso appositi poteri cautelari e misure contro la reiterazione delle
violazioni;
*403/18/CONS Disposizioni di attuazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di
accesso ai mezzi di informazione relative alle campagne per le lezioni del Presidente della Giunta regionale e
del Consiglio regionale delle regioni Abruzzo e Sardegna,
*94/19/CONS, Disposizioni di regolazione della disciplina in materia di comunicazione politica e di parità di
accesso ai mezzi di informazione relative alla campagna per l'elezione dei membri del Parlamento Europeo
spettanti all'Italia
- palesano come l'autonomia decisionale dei soggetti in esame sia sempre più svincolata dai
criteri orientativi fissati dalla legge.
Che il rapporto tra le leggi istitutive e i regolamenti delle Autorità indipendenti non si profili secondo
i classici canoni del criterio gerarchico è fatto comune ai molti orientamenti dottrinali. In questo
contesto, è stato sottolineato che la correlazione che lega la legge e l'atto normativo delle Autorità
dovrebbe intendersi quale rapporto di «complementarietà che ha sulla volontà del legislatore di
assegnare alla autorità amministrativa una sfera di competenza esclusiva nella tutela di determinati
interessi».
Tale ordine di idee, mostra un modello in cui le leggi istitutive operano per mero rinvio, nonostante
indichino indirizzi di massima circa le finalità da raggiungere al potere regolamentare.
Ne discende che gli atti normativi adottati dalla autorità sarebbero da ricondurre alla tipologia dei
regolamenti indipendenti o, con definizione più appropriata, ad un potere normativo «principale»,
capace di disciplinare i comportamenti degli operatori del settore di riferimento e di portare a termine
il procedimento normativo originato dalla legge con la formulazione della regola finale che regola il
caso concreto.
Recentemente a tali conclusioni sembra essere pervenuto il TAR Lazio nella decisione del 22 marzo 2018, sez.
III, n. 3259, che in riferimento all'attività regolatoria dei soggetti in argomento, ha ribadito che la legge non
definisce in via dettagliata il contenuto degli atti prodotti dalla relativa attività, poiché gli ambiti in cui operano
tali Autorità sono caratterizzati da una progressiva evoluzione tecnologica capace di generare una rapida
inattuabilità delle regole.
Il quadro delineato potrebbe essere sospettato di forzare il sistema costituzionale che prevede un
sistema chiuso di fonti a livello primario, nonché l'assenza di una riserva di amministrazione e/o di
regolamento, confermata, dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che ha chiarito in più
occasioni come la Cost. non positivizzi alcuna riserva di amministrazione, precisando che «nessuna
disposizione costituzionale comporta una riserva agli organi amministrativi o esecutivi degli atti a
contenuto particolare e concreto».
Ma, il problema rimane. Le leggi istitutive contengono enunciazioni che presentano margini di
elasticità, lasciando spazio a valutazioni discrezionali, spesso a rilevanza tecnica, nel quale il
rischio che le Autorità eccedano dalle potestà loro conferite è serio, soprattutto quando
intervengono sui diritti fondamentali, per i quali la presenza di riserve di legge escludono
l'intervento di regolamenti se non di tipo esecutivo-integrativo. In questa tipologia di atti
normativi non facilmente inquadrabili in modelli tradizionali sembrano collocarsi quelle delibere della
Consob adottate prima ai sensi dell'art.24 del Regolamento di organizzazione e funzionamento
approvato con dpcm 8 ottobre del 1986 aventi ad oggetto «l'interpretazione che la Commissione
stessa ritiene di assumere nell'applicazione delle norme di legge o di norme regolamentari», e poi ai
sensi dell'art. 7 del nuovo Regolamento, adottato con dpcm del 25 novembre del 1994. La natura
ampliativa di dette delibere, che non si limita ad interpretare ed integrare le norme legislative, sembra
aver assunto un compito più delicato che è quello di ricostruire il quadro normativo di riferimento, in
forza di un minor grado di determinatezza della disposizione di legge. Se questi sono i parametri entro
i cui ragionare, allora è prioritario determinare il rapporto tra norma legislativa e normazione delle
Autorità che è punto di partenza per individuare il criterio risolutore di eventuali antinomie che
potrebbero insorgere tra le 2 fonti.
4. La legge statale quale fonte sulla produzione dell'attività normativa delle Autorità indipendenti
Per capire meglio l’impatto e la pervasività nell'ambito del modello delle fonti oggettive della
normazione delle Autorità indipendenti è necessario intendere se l'interpositio legislatoris:
-debba porsi a fondamento della potestà normativa delle Autorità,
-o se debba indicare i principi e i criteri direttivi cui quest'ultima dovrà ispirarsi.
Perché, nonostante gli sforzi della dottrina di determinare precisamente la natura degli atti normativi
secondari delle Autorità, restano ancora su posizioni contrapposte:
1. coloro che includono tali fonti normative tra i regolamenti «quasi indipendenti».
Questa 1° ricostruzione concentra l'attenzione sulle lacune legislative presenti nelle leggi istitutive, da
cui scaturirebbero ambiti di autonomia normativa a vantaggio delle Amm indipendenti che
dispiegherebbero una normazione capace di derogare a disposizioni legislative.
2. coloro che sottolineano la necessità di inquadrarle tra i regolamenti di delegificazione. Questa 2°
ricostruzione parte dal presupposto che la legge istitutiva è la fonte di delegazione del potere
normativo secondario, da cui discenderebbero una serie di regolamenti di diversa natura e forza
innovativa a seconda dell'ambito di discrezionalità più o meno ampio attribuito alla fonte secondaria.
Si andrebbe a registrare un potere normativo talvolta di mera esecuzione, talaltra di integrazione volta
a colmare lacune legislative, altre volte atto a produrre veri e propri regolamenti delegificati. =>Tale
tesi è da preferire poiché:
-da una parte ha il merito di mostrarsi espansiva nel rilevare una varietà di tipologia di atti di maggior
o minor grado di creatività che connotano il fenomeno normativo delle Autorità amministrative
indipendenti, -dall'altra, accoglie il principio secondo cui l'esercizio di un potere amministrativo
trova la sua legittimazione attraverso la descrizione del valore precettivo della norma di legge che
indirizza l'attività amm verso il raggiungimento di specifici fini pubblici.
Attraverso quest'ultima teoria è più logico affermare che pur in assenza di un’espressa attribuzione
dell'esercizio del potere normativo secondario delle Autorità da parte della legge, la legittimazione
può discendere anche da un'investitura generica di quest'ultima che si limita a valorizzare gli interessi
pubblici del settore alla cui cura e regolazione i medesimi organismi sono investiti.
A titolo esemplificativo può essere preso in considerazione l'art. 1, c. 1, della legge 31 luglio 1997 n.
249*, istitutivo dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM), che le attribuisce un
settore di competenza generico, dichiarando che gli ambiti affidati alla sua regolazione sono i sistemi
delle telecomunicazioni e radiotelevisivo=> La legge riserva all’AGCOM un'attribuzione generale da
cui discende un potere normativo secondario, anche in virtù del 5° comma , lett. b) n. 5* che dispone
che l'AGCOM in materia di «pubblicità sotto qualsiasi forma e di televendite, emana i regolamenti attuativi
delle disposizioni di legge e regola l'interazione organizzata tra il fornitore del prodotto o servizio o il gestore
di rete e l'utente, che comporti acquisizione di informazioni dall'utente, nonché l'utilizzazione delle informazioni
relative agli utenti».
=>Se tali considerazioni sono esatte, la possibilità che l'atto normativo secondario si ponga in
posizione integrativa, sostitutiva o derogatoria rispetto alla legge istitutiva, dipende dalla legge
stessa che autorizza la nascita di tali atti. D'altro canto, la circostanza che l'Agcom (tali
considerazioni si ritengano estensibili anche ad altre Autorità) ricorra non di rado a regolamenti
delegati al fine di regolare le materie di propria competenza non trova nessun limite nell'art. 17 della
legge n. 400 del 1988.
Nell'ampio e variegato potere normativo attribuito alle Autorità, si individuano atti normativi
secondari che:
-sostituiscono la precedente normazione in materia=regolamenti sostitutivi,
-chiamati per relationem ad aggiornare ruoli o tabelle attinenti la legge abilitante=regolamenti
modificativi,
-autorizzati a derogare, previe indicazioni precise e delimitate alla previgente disciplina=regolamenti
derogatori.
In riferimento a questi ultimi il legislatore deve attivare un articolato meccanismo, mediante tali
passaggi:
⁃ fissazione delle norme generali regolatrici della materia
⁃ autorizzazione all'esercizio della potestà regolamentare dell'Autorità
⁃ individuazione delle norme di legge da derogare (a patto che tale effetto derogatorio discenda
direttamente dalla legge stessa).
L’alterazione anche di 1 solo di questi passaggi del modello appena indicato, che segue quello
prefigurato dall'art. 17, comma 2, della legge n. 400 del 1988, può comportare il verificarsi di casi
in cui non sia la legge istitutiva ad aprire uno spazio al regolamento, ma è lo stesso regolamento che,
in base ai suoi contenuti, si apre uno spazio nella legislazione.
Anche in questa circostanza il momento degli effetti della delegificazione (rimesso al regolamento) e
il momento della sussistenza della stessa (che trova fondamento nella legge autorizzativa), rimangono
ancora distinti, di modo che questa si ripropone come la condizione indispensabile per il
dispiegamento degli effetti della norma secondaria. Del resto, l'ammissibilità di ricorrere ad una
normazione secondaria delegata da parte delle Autorità indipendenti trova conferma, nella
giurisprudenza della Corte cost. che ha più volte affermato l'insindacabilità dei profili di
determinatezza della legge di autorizzazione, e soprattutto nella giurisprudenza dello stesso
Consiglio di Stato. Quest'ultimo, inizialmente suggerì alle varie Amministrazioni di “indicare quali
fossero le norme di legge sostituite o abrogate” (indicazione che non sarebbe dovuta risultare molto
difficile per un'amministrazione che aveva inciso nella materia e che la padroneggiava con sicurezza
in tutte le sue implicazioni); successivamente negò la possibilità per le Autorità amm. indipendenti di
emanare regolamenti delegati, poiché riteneva che il legislatore fosse sprovvisto degli strumenti
necessari a sanzionare eventuali eccessi posti in essere dalle Autorità.
Recentemente invece, si è espresso in favore dell'ampiezza delle prerogative normative riguardanti le
Amm. indipendenti. In particolare ha statuito, in riferimento alla potestà normativa riconosciuta
all'Autorità per l'energia e per il Gas, che questa «nell'emanazione delle direttive che rientrano
nella sua potestà regolatrice non dovrebbe limitarsi ad imporre comportamenti già individuati dal
legislatore», premesso che, contrariamente, ciò «finirebbe per rendere evanescente anche quella
finzione di regolazione e di controllo, attribuita ad essa per il settore di competenza, che costituisce
lo scopo primario della sua istituzione».
Più recentemente, il Giudice di Palazzo Spada ha dichiarato che “l'Autorità per l’energia e per il gas
è titolare di poteri di regolazione anche nei settori liberalizzati, affinché siano salvaguardate le
dinamiche concorrenziali, a tutela dell'utenza”. Infatti, la liberalizzazione di un mercato non
comporta automaticamente il passaggio ad una situazione di concorrenza, la cui promozione rientra
tra le competenze dell'Autorità.
I poteri di regolazione per favorire la concorrenza:
-sono stati previsti dalle disposizioni fondamentali della legge n. 481 del 1995;
-consentono all'Autorità di regolare ogni segmento della filiera delle attività dei settori energetici,
-possono essere esercitati indipendentemente dal regime giuridico che caratterizza tali attività e anche
quando esse siano liberalizzate;
-non coincidono con quelli tariffari, poiché comprendono anche il potere di determinare i
comportamenti tali da consentire una effettiva concorrenza (col conseguente contenimento dei prezzi),
a tutela degli utenti e dei consumatori.
Nella fase iniziale di liberalizzazione è del tutto consono al sistema che l'Autorità vigili
sull'andamento del mercato e indichi ex ante quali siano le regole in assenza delle quali possano
verificarsi/aggravarsi effetti distorsivi. In altri termini, la voluntas legis di liberalizzare un settore
implica il potere-dovere dell'Amministrazione indipendente di disporre tutte le misure volte a
favorire l'affermarsi di un mercato caratterizzato da una effettiva concorrenza, anche nell'interesse
dell'utenza, non solo con azioni repressive ex post, ma anche imponendo comportamenti che ex
ante possano rimuovere o prevenire effetti distorsivi.
Da tali pronunce giurisprudenziali si evince il riconoscimento di un sistema di regolazione che si
concreta in varie tipologie di atti normativi secondari, le cui enunciazioni normative configurabili nel
novero dei regolamenti delegati rappresentano l'esempio più illustre, ma anche il principio che
stabilisce che la normazione anticipatamente adottata dall'Autorità potrà acquisire determinati
caratteri di stabilità solo se ad essa fa seguito una disposizione legislativa.
5. La regolazione di soft law: la potestà normativa delle Autorità indipendenti non si esaurisce con
l'analisi delle tipologie di atti indicati. In linea con un’atipicità che caratterizza l'attività normativa di
tali soggetti, si rilevano atti di regolazione che non hanno formalmente una veste regolamentare (o di
un atto tipico di normazione secondaria) e che impropriamente vengono definiti di soft law.
Quest’ultimo trova terreno fertile in sistemi di bottom up= di legittimazione dal basso, consta di
accordi che non comportano obblighi giuridici tra parti stipulanti ma solo impegni di natura politica il
cui rispetto è lasciato alle parti contraenti.
C'è da dire che la produzione di norme di soft law può essere prodotta anche dagli atti normativi tipici, ove si
manifesta la volontà di non vincolare il destinatario di obblighi vincolanti sul piano giuridico (c.d. soft
obligation).
Ma non di rado si presentano con particolarità tipiche della legge in quanto condizionano e limitano la
volontà e la libertà dei destinatari, a tal punto che si è arrivati a definirli, non senza forzatura «fonti
atipiche». Ciò ha suscitato molte critiche in quanto il "diritto morbido" rappresenterebbe una
produzione di norme provenienti da soggetti privi di quella legittimazione politica che connota il
nostro sistema costituzionale. La soft law, nonostante non sia vincolante secondo i criteri tradizionali,
sul piano giuridico produce determinati effetti. Viene alla luce un sistema multiforme, dinamico,
dove all'imposizione si sostituisce la condivisione (si parla di moral suasion). Il fatto che la norma
sia spontaneamente osservata deriva dall’autorevolezza dei soggetti promananti. Il motivo del
ricorso a tali norme va cercato nella volontà di creare una disciplina capace di adeguarsi
maggiormente al costante mutamento di certi campi della vita economica e sociale.
Tale normazione, derivante dal diritto internazionale o sovranazionale, si è diffusa anche negli
ordinamenti nazionali, concorrendo il più delle volte con le tradizionali fonti del diritto interno.
Soprattutto negli ultimi anni la diffusione del fenomeno nel contesto ordinamentale italiano ha
assunto proporzioni significative.
La c.d. soft regulation è comunemente adottata presso le Pubbliche Amministrazioni nazionali,
suscitando molte perplessità tra gli operatori del diritto, soprattutto per la loro difficile collocazione
nell'ambito del sistema delle fonti. A questi tipi di atti, informali e pervasivi, ricorrono le stesse Amm.
indipendenti che, dall'alto delle loro qualifiche tecniche, si fanno portavoce di interventi non del tutto
privi di effetti giuridici: per colmare una lacuna di un precedente atto vincolante, o perché si ricorre a
un atto efficace al fine di non ingessare le regole del mercato di riferimento, o perché alla formazione
di tali atti partecipano gli stessi destinatari dei loro effetti.
Istruzioni, comunicazioni, indirizzi interpretativi, indicazioni, rappresentano solo una parte di quegli
atti appartenenti al vasto armamentario a disposizione delle Autorità che si concreta nell'esercizio di
un efficace potere interpretativo che si svolge in modo destrutturato e, talvolta, non
procedimentalizzato.
In più gli atti sovra indicati non sono sottoposti né alla valutazione degli AIR, né all'obbligo di
determinare preventivamente ai probabili destinatari le finalità e i possibili vantaggi che si intendono
raggiungere, né sono previsti nei loro confronti criteri di valutazione successivi alla decisione.
Tuttavia, l'attività c.d. di moral suasion delle Autorità amministrative indipendenti si caratterizza
per una varietà di atti di impulso, persuasivi e collaborativi, non aventi tutti la medesima forza
cogente nel momento di impattare con i settori regolatori. Può accadere che:
-alcuni di questi atti si limitino solo a mere esortazioni prive di particolare rilevanza,
-altri, nonostante contengano indicazioni informali, diventano veri e propri moniti, volti a
specificare al Parlamento e al Governo alcune «regole di mercato» e evitare che in esso continuino
pratiche scorrette e incongrue.
In mezzo a queste 2 categorie si frappongono una serie di atti che si distinguono tra loro sia dal punto
quantitativo, sia dal punto di vista qualitativo.
1° categoria va individuata nelle COMUNICAZIONI INTERPRETATIVE= atti a contenuto
generale e talvolta astratto mediante cui le Autorità indipendenti, sulla base di quesiti che vengono
posti ad esse, indicano l'interpretazione da dare alla legge regolatrice e l'esatta applicazione della
stessa. Vi fanno parte: -le comunicazioni interpretative
dell'Ivass sui limiti di applicabilità di particolari clausole contrattuali in materia di polizza r.c. auto,
-quelle adottate dalla Consob che indicano i suoi orientamenti ufficiali sulla corretta interpretazione e
applicazione della normativa di settore, o e per rispondere ai singoli quesiti posti dagli operatori del
mercato.
Il fatto che questi atti orientino gli operatori in sede di applicazione concreta di disposizioni
normative dettate dal legislatore fa assumere loro, a tutti gli effetti, una veste normativa.
Le comunicazioni interpretative non vanno confuse con i MERI PROVVEDIMENTI
AMMINISTRATIVI che non hanno alcuna rilevanza normativa, e si limitano ad indicare indirizzi e
chiarimenti operativi, o l'entrata in vigore di norme nazionali o europee (si pensi alle comunicazioni
della Banca d'Italia).
Dubbi sulla qualificazione giuridica si pongono per i c.d. CHIARIMENTI APPLICATIVI che
alcune Autorità forniscono in ordine alla normativa di settore. La disomogeneità di contenuti induce a
considerare che si è dinanzi ad atti a carattere generale, mediante cui si forniscono mere indicazioni
(si pensi ai chiarimenti applicativi dell'Isvap in tema di vendita a distanza, pubblicati il 13 aprile 2010,
per agevolare l'interpretazione delle norme sull'attività di vendita a distanza, di cui al regolamento
Isvap n. 34 del 19 marzo 2010).
Interessanti sono quegli atti di moral suasion dell'Avep che si concretano in DETERMINAZIONI;
questi atti, poiché preceduti da una procedura di consultazione pubblica, sono stati rapportati al
modello statunitense di notice and comment. La consultazione si determina attraverso la
presentazione a monte da parte degli interessati, di memorie, sia orali che scritte, contenenti le risposte
ai quesiti talora problematici posti dall'Autorità. Al fine di rispettare il principio di trasparenza, la
documentazione depositata dagli operatori economici e dalle amministrazioni, partecipanti
all'audizione, è consultabile on line sul sito istituzionale dell'Autorità indipendente. Prima di adottare
l'atto di soft law, l'Autorità dà atto della procedura di consultazione e dell'audizione svolta nelle
premesse dell'atto, anche se poi non è obbligata a motivare il non accoglimento delle memorie
presentate. Ciò comporta l'oggettiva difficoltà di constatare la percentuale di recepimento delle
osservazioni ricevute, e di conoscere il ragionamento che ha ispirato l'Autorità.
Gli ORIENTAMENTI INTERPRETATIVI sono atti di moral suasion che senza dubbio assumono
contenuto normativo. Pur essendo connessi a questioni particolari acquistano con la pubblicazione,
che si effettua in forma autonoma, una capacità persuasiva che produce i propri effetti ben al di là del
caso singolo.
E’ il caso degli orientamenti interpretativi deliberati il 15 luglio del 2008 dal Covip in merito all'art.
14, comma 3 del D. Lgs. n. 352 del 2005 - riscatto della posizione in caso di decesso dell'iscritto -
che hanno assicurato, attraverso un unico documento interpretativo, maggiore uniformità alla
disciplina della concessione delle anticipazioni.
Il peso del potere di moral suasion è più evidente quando è usato su professionisti e operatori del
mercato con prassi atipiche e non istituzionali, che si conformino maggiormente a quei comparti
particolarmente innovativi del mercato. Di recente infatti, l'Agem ha deliberato un comunicato, con
esito positivo, riguardo al c.d. influencer marketing, considerato ultima e nuova forma di potente
pubblicità, che è un'attività promozionale compiuta da importanti persone del mondo on line (c.d.
influencer) capaci di influire sulle tendenze e sui gusti dei loro fans mediante i più usati social media,
sostenendo alcuni marchi, senza però fare pubblicità, in modo palese ai consumatori. L'Agem ha
spedito a 7 influencer e 11 società titolari di brand di grande notorietà lettere in cui li si invitava alla
massima trasparenza e chiarezza qualora questi si facessero promotori di messaggi pubblicitari. Tali
informali comunicazioni hanno avuto come risvolto l'immediata adesione da parte degli influencer e
dei titolari dei marchi coinvolti, anzi quest'ultimi hanno invitato, a loro volta, i loro testimonial per il
futuro ad avvertire con chiarezza i rispettivi followers delle finalità promozionali dei contenuti diffusi
tramite i social. Tale caso dimostra come l'Agem obbliga, in sostanza, una pluralità di soggetti con atti
atipici, poiché atipici e non formalizzati sono, oramai, anche i settori sottoposti a controllo. Alla luce
di tali considerazioni di carattere generale è chiaro che gli atti che discendono dal potere normativo
di moral suasion delle Autorità indipendenti non si limitano ad eseguire il disposto legislativo o
regolamentare, ma talvolta lo integrano e, in talune circostanze, lo ampliano. Questo "anomalo"
potere normativo, capace di orientare le istituzioni, i mercati, i loro operatori e i singoli privati
cittadini, è stato riconosciuto legittimo da certa dottrina che lo ritiene capace «in presenza di
opportune garanzie dal punto di vista procedimentale» di «produrre effetti apprezzabili
nell'ordinamento».
Si sottolinea con coerenza che la forza delle linee guida non vincolanti sia tipica del soft law, capace
di affermarsi solo in senso persuasivo e/o interpretativo, ma flessibile da un punto di vista formale
davanti agli effetti normativi sprigionati dalle fonti positive di hard law, (a differenza di quanto capita
per le linee guida vincolanti, la cui obbligatorietà è stata riconosciuta non solo dalla giurisprudenza
amministrativa).
Al di fuori di questa circostanza sembra che il Supremo Giudice consideri l'inosservanza delle linee
guida non vincolanti in sede giurisdizionale quale “fattore sintomatico dell'eccesso di potere”, sull'
esempio dello svolgimento che si è tenuto in relazione alla violazione delle circolari o direttive
amministrative, in quanto attribuisce a tali atti un valore precettivo (interno) nei riguardi degli uffici
chiamati a renderne attuazione mediante il principio del "comply or explain".
Ciò è stato confermato anche dal TAR in ordine alla delibera di ANAC n. 241 del 8 marzo 2017,
avente ad oggetto "Linee guida recanti indicazioni sull'attuazione” dell'art. 14, del D. Lgs. 33/2013
«Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione
o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali come modificato dall'art. 13 del D. Lgs. 97/2016».
Per l'Autorità in questione «per gli ordini professionali, sia nazionali che territoriali sussiste l'obbligo
di pubblicare i dati di cui all'art.14, relativamente agli incarichi o cariche di amministrazione, di
direzione o di governo comunque denominati». Contro tale atto diversi consigli nazionali hanno
esperito istanza di ricorso per l'annullamento parziale, previa sospensione, del provvedimento.
Con la sent. 1736 del 14 febbraio 2018 il Giudice di prime cure ha sancito l'inammissibilità del
ricorso avverso le linee guida, alla luce proprio del suindicato parere della Commissione speciale n.
1257 del 29 maggio 2017. Questo percorso del Giudice di Palazzo Spada dimostra quanto sia
scivoloso il concetto di regolazione, la cui ampiezza è rappresentata da una molteplicità di atti posti in
essere dalle Autorità indipendenti per i quali, nonostante la dottrina e la giurisprudenza trovino un
nomen iuris, non si riesce a risolvere il dibattuto tema se un certo atto sia atto normativo o atto
amministrativo generale, con tutte le conseguenze giuridiche che tale distinzione comporta, sul piano
dell'impugnabilità, del procedimento di formazione, della collocazione nel sistema delle fonti e sul
piano degli effetti prodotti nei confronti dei 3°.
Si pensi al caso dei comunicati del Presidente dell'ANAC, che nonostante la loro funzione di supporto e di
collaborazione delle Stazioni appaltanti, sembrano non avere alcun fondamento né nelle funzioni di regolazione
flessibile, né in quelle riconosciute all'ANAC dagli artt. 211 e 213 del codice “per quanto a norma dell'art. 213
D. Lgs. n. 50/2016 il novero dei poteri e compiti di vigilanza affidati all'ANAC sia penetrante ed esteso, non può
ammettersi nel vigente quadro costituzionale, in tal settore, un generale vincolante potere interpretativo con
effetto erga omnes affidato ad organo monocratico di Autorità amm. indipendente, i cui comunicati ermeneutici
- per quanto autorevoli - possono essere senz'altro disattesi».
Alla luce di tali considerazioni sembra che tali atti, pur avendo rilevanza giuridica dal punto di vista
sostanziale, sono un complesso di congegni complementari usufruibili per l'interpretazione di altre
disposizioni da impiegare per determinare la regola da applicare al caso concreto e ad essi va attribuita
un'efficacia variabile a seconda della singola fattispecie regolata.
Gli indirizzi e le istruzioni generali inclusi nelle linee guida non vincolanti possono presentare il
contenuto più diverso: fornire, dare un sostegno rispetto all'interpretazione e all'applicazione di una
determinata fonte normativa "tipica" (legislativa o regolamentare), che non possono sostituire o
integrare.
In tal senso, Cons. Stato, sez. VI, 25 marzo 2015, n. 1584, ha affermato, in ordine ai criteri di valutazione delle
riviste scientifiche, che «la soft law può riguardare gli spazi di controllo della regola legale ma non può porsi
in modo esuberante come diretta fonte del diritto».
Tenuto conto di tale analisi, non sembra incongruo affermare che, poiché le linee guida non
vincolanti si limitano alla riproduzione di atti già dotati di una loro propria efficacia normativa,
esse devono essere considerate "fonte regolatrice della fattispecie", esercitando quella efficacia
persuasiva che è tipica dei precedenti.