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lOMoARcPSD|881539
CAPITOLO I
Introduzione
1. Premessa
Il diritto amministrativo può essere definito come quella branca del diritto pubblico interno che ha
per oggetto l'organizzazione e l'attività della pubblica amministrazione. In particolare riguarda i
rapporti che quest'ultima instaura con i soggetti privati nell'esercizio di poteri ad essa conferiti
dalla legge per la cura di interessi della collettività.
Prendendo in esame il caso francese, la nascita dello Stato moderno, con l'unificazione del potere
politico del re, andò di pari passo con la formazione di apparati amministrativi stabili, al centro e in
periferia, posti alle dirette dipendenze del sovrano (gli intendenti del re) e contrapposti a poteri
locali.
Nell'esperienza francese lo Stato assoluto si definiva già come Stato amministrativo. Era inoltre
uno Stato che estendeva il suo raggio di azione a numerosi campi.
Nel corso del XVIII secolo lo Stato assoluto assunse i caratteri dell'assolutismo illuminato, cioè
detto Stato di polizia, offrendo ai propri sudditi provvidenze di vario genere.
L'espansione dei compiti dello Stato e l'attribuzione di poteri amministrativi ai funzionari delegati
del sovrano e agli apparati burocratici stabili portarono poco a poco all'emersione della funzione
amministrativa come funziona autonoma, non più compresa in quella giudiziaria.
La Rivoluzione francese del 1789 e le costituzioni liberali approvate nei decenni successivi
portarono alla nascita del modello dello Stato di diritto (o Stato costituzionale).
Oggi lo Stato di diritto è uno dei principi fondanti dell'Unione europea, insieme a quelli della
dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza e del rispetto dei diritti umani citati
dall'art. 2 del Trattato sull'Unione europea.
Lo Stato di diritto si basa su alcuni elementi strutturali:
1
1. Lo Stato di diritto prevede il trasferimento della titolarità della sovranità dal rex legibus
solutus a un parlamento eletto da un corpo elettorale, prima ristretto poi a suffragio
universale.
2. Si fonda sul principio della separazione dei poteri, per togliere il monopolio del potere al
sovrano assoluto, e in più per evitare abusi a danno dei cittadini. Secondo la tripartizione
dei poteri (teorizzata nel XVIII secolo da Montesquieu) il potere legislativo spetta a un
parlamento elettivo, il potere esecutivo al re e agli apparati burocratici da esso dipendenti
e il potere giudiziario a una magistratura indipendente.
Il potere esecutivo in questo modo viene sottoposto alla legge, cioè alla supremazia del
parlamento, che è l'espressione della volontà popolare.
4. Per far si che sia effettiva la sottoposizione del potere esecutivo alla legge e la garanzia dei
diritti di libertà, lo Stato di diritto richiede che al cittadino sia riconosciuta la possibilità di
ottenere la tutela delle proprie ragioni anche nei confronti della pubblica amministrazione
davanti a un giudice imparziale, indipendente dal potere esecutivo.
Lo Stato di diritto costituisce un modello e un ideale al quale tendere e che sempre si rinnova. Per
esempio in Italia la Costituzione del 1948, la legge 7 Agosto 1990, n. 241, sul procedimento
amministrativo e il Codice del processo amministrativo del 2010 hanno contribuito ad avvicinarci
sempre più a tale ideale.
2.3. Stato guardiano notturno, Stato sociale, Stato imprenditore, Stato regolatore
Nel XIX secolo nacque lo Stato guardiano notturno che aveva due compiti: la garanzia dell'ordine
pubblico interno e la difesa del territorio da potenziali nemici esterni. Dunque alla società civile e
al mercato spettava lo svolgimento delle attività economiche e la cura di altri interessi della
collettività (es. sanità). La visione liberista e liberale di questo Stato entrarono in crisi verso la fine
del XIX, inizio XX secolo. Queste trasformazioni portarono il passaggio a un modello di Stato detto
“Stato interventista”, “Stato sociale” o “Stato del benessere” (Welfare State). I primi interventi
furono attuati dalla Germania bismarckiana e nell'Italia giolittiana. Nel corso del secolo si ebbero
grandi sviluppi che portarono lo Stato ad intervenire sempre più nei vari settori, in particolare
nelle attività economiche e sociali, i quali portarono a un aumento della spesa pubblica.
Lo “Stato imprenditore” si trasformò via via in “Stato regolatore”, il quale rinuncia cioè a dirigere o
gestire direttamente attività economiche e sociali e si fa invece carico di predisporre soltanto le
regole e gli strumenti di controllo necessari affinché l'attività dei privati, non vada a ledere
interessi pubblici rilevanti.
Però con la crisi del 2008, che ha colpito anzitutto gli Stati Uniti, si è visto le carenze strutturali di
tale modello. Per far si che si evitasse un crollo del sistema finanziario, sono state attuate misure di
intervento pubblico diretto e indiretto utilizzando un gran numero di risorse pubbliche.
A livello europeo è stato introdotto il Sistema europeo di vigilanza finanziaria (SEVIF).
A partire dalla seconda metà del XX secolo, con l'ulteriore sviluppo del Welfare State, le Corti
inglesi presero coscienza dell'esistenza di una distinzione tra diritto pubblico e diritto privato e
iniziarono a operare un sindacato giurisdizionale più intenso sull'attività dell'esecutivo. Però il
diritto amministrativo inglese non può ancora essere paragonato, per estensione e organicità, a
quello degli ordinamenti continentali.
Anche negli Stati Uniti lo sviluppo dello Stato regolatore avvenne in epoca recente. Esso
rappresentò una variante originale di intervento pubblico che si sviluppò proprio negli Stati Uniti,
un Paese che respinse sempre interventi diretti dei pubblici poteri nella gestione nella
socializzazione o collettivizzazione di imprese.
Nel 1946 venne approvata l'Administrative Procedure Act che costituisce uno dei modelli principali
di legge sul procedimento amministrativo. Questa legge, da una parte, legittimò e consolidò il
modello delle agenzie di regolazione; dall'altra, sottopose la loro attività a una serie di regole
procedurali che costituiscono l'ossatura del diritto amministrativo negli Stati Uniti.
Negli anni Ottanta lo Stato regolatore fu oggetto di ripensamento. Furono introdotte misure che
servirono a controllare e limitare l'attività delle Agenzie e a operare una riduzione della quantità e
intrusività della regolazione esistente (deregulation). Fu attuata la semplificazione delle procedure
burocratiche e promosso il ritiro dello Stato dalle politiche interventiste.
3.1. Premessa
Oggetto del diritto amministrativo sono l'organizzazione, l'attività della pubblica amministrazione e
i principi speciali che le regolano.
3.2. La sociologia
La sociologia analizza le relazioni fattuali di potere interne e esterne agli apparati burocratici e la
varietà dei bisogni e degli interessi della collettività di cui essi si fanno carico. Il potere è un
fenomeno sociale prima ancora che giuridico presente in ogni collettività un minimo organizzata.
Le scienze politiche ed economiche analizzano le situazioni nelle quali è giustificato l'intervento dei
pubblici poteri sotto forma di regolazione. Soprattutto nel mondo anglosassone ha avuto impulso
la teoria della regolazione pubblica (o regulation), che ha vari significati, riferita all'intervento dei
poteri pubblici in campo sociale e economico.
Si distinguono due modelli di regolazione pubblica, la prima indirizzava a promuovere scopi sociali
(social regulation – per es. la tutela della salute); la seconda indirizzata a massimizzare l'efficienza
economica e il benessere dei consumatori (economic regulation).
La regolazione economica considera l'istituzione di apparati pubblici come rimedio per le situazioni
di insuccesso o di “fallimento del mercato” (market failures). I principali casi di fallimento del
mercato che giustificano l'intervento dei poteri pubblici sono:
1. I monopoli naturali, come le infrastrutture non facilmente duplicabili (es. le reti di trasporto
ferroviarie). Esse pongono chi gestisce l'attività in una situazione di “potere di mercato”
che impedisce o altera lo sviluppo di un mercato concorrenziale e che consentono
extraprofitti dovuti alla rendita di posizione. I rimedi più frequenti consistono nel
sottoporre l'impresa monopolista a una serie di vincoli, come il controllo dei prezzi ecc.
2. I cosiddetti beni pubblici, come la difesa esterna o l'ordine pubblico, dei quali beneficia
l'intera collettività, inclusi coloro che non sarebbero disponibili a farsi carico di una quota
proporzionale di costi (freeriders).
3. Le esternalità negative dovute per esempio a produzioni industriali inquinanti i cui benefici
vanno a vantaggio dell'impresa, ma i cui costi gravano sull'intera collettività.
4. Le asimmetrie informative tra chi offre e chi acquista beni e servizi circa le caratteristiche
qualitative essenziali di questi ultimi, come nei rapporti tra istituzioni finanziarie o imprese
quotate in borsa e piccoli risparmiatori non in grado di valutare i rischi degli investimenti
proposti.
5. Le esigenze di coordinamento per esempio relative al sistema dei pesi e misure o al traffico
stradale che richiedono la fissazione di standard uniformi e di regole di comportamento al
cui rispetto sono proposte autorità pubbliche.
Con l'evolversi dei rapporti politici e sociali e con l'espandersi della legislazione amministrativa
soprattutto a partire dagli anni Trenta del XX secolo, la scienza del diritto amministrativo estese il
proprio campo di indagine a fenomeni nascenti come l'ordinamento di credito, gli enti pubblici,
l'impresa pubblica, ecc.
Verso la fine del secolo emerse anche una prospettiva volta a operare un riequilibrio nel rapporto
tra Stato e cittadino con due modalità principali. Il potenziamento delle garanzie formali e
sostanziali a favore di quest'ultimo; l'impiego di nuovi moduli consensuali di regolamentazione dei
rapporti privati e pubblica amministrazione.
Gli anni Novanta del secolo scorso, segnati dall'introduzione della legge 7 agosto 1990, n. 241 sul
procedimento amministrativo e dall'influenza del diritto europeo in particolare nel settore dei
servizi pubblici, costituiscono idealmente una rottura tra la concezione più autoritaria del diritto
amministrativo che privilegia il punto di vista dell'amministrazione e pone l'accento sui poteri
unilaterali attribuiti a quest'ultima e un nuovo paradigma interpretativo. Quest'ultimo valorizza la
posizione del cittadino, titolare ormai di diversi diritti e garanzie all'interno del rapporto
procedimentale, ed enfatizza la sottoposizione del potere al principio di legalità inteso in senso più
rigoroso.
Il diritto amministrativo resta sempre il diritto dell'autorità del potere pubblico per la cura degli
interessi della collettività ma ha perso i connotati di un diritto autoritario.
Il diritto amministrativo italiano ha acquisito una dimensione europea sotto cinque profili
principali: la legislazione amministrativa, l'attività, l'organizzazione, la finanza, la tutela
giurisdizionale.
1. L'art. 117, comma 1, Cost. stabilisce che la potestà legislativa dello Stato e delle regioni
deve essere esercitata nel rispetto, oltre che dalla Costituzione, “dei vincoli derivanti
dall'ordinamento comunitario”.
4. Il diritto europeo impone, poi, agli Stati membri vincoli sempre più pressanti alla finanza
pubblica che condizionano l'operatività delle pubbliche amministrazioni e l'attuazione dei
loro programmi di intervento.
5. Infine, il diritto europeo esercita un'influenza anche sul diritto processuale amministrativo.
Il Codice del processo amministrativo, adottato con il d.lgs. 2 luglio 2010, stabilisce che la
giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed effettiva secondo i principi della
costituzione e del “diritto europeo”.
Il diritto amministrativo si è aperto non soltanto a una dimensione europea, ma sta assumendo
anche una dimensione globale. Essa è legata allo sviluppo a livello mondiale di una serie di
organizzazioni internazionali (banca mondiale ecc.) che creano regole e standard che condizionano
direttamente e indirettamente i diritti nazionali.
I legami tra diritto amministrativo e diritto privato possono venir fuori da tre concetti principali: il
diritto amministrativo è un diritto autonomo dal diritto privato; non esaurisce tutta la disciplina
dell'attività e dell'organizzazione della pubblica amministrazione che attinge sempre più a moduli
privatistici; ha una capacità espansiva in quanto si applica anche a soggetti privati.
5. (manca)
CAPITOLO II
La funzione di regolazione e le fonti del diritto
1. Premessa
C'è una distinzione tra “fonti sull'amministrazione” e “fonti dell'amministrazione”. Le prime hanno
come destinatarie le pubbliche amministrazioni che diventano così soggetti etero-regolati,
sottoposti ai principi dello Stato di diritto. Esse disciplinano l'organizzazione, le funzioni e i poteri di
queste ultime e fungono da parametro per sindacare la legittimità dei provvedimenti da esse
emanati. Le fonti sull'amministrazione sono costituite, in base al principio della riserva di legge
relativa all'art. 97 Costituzione, prima di tutto da fonti normative di livello secondario (es.
regolamenti governativi).
Le seconde, invece, sono strumenti a disposizione delle pubbliche amministrazioni sia per regolare
comportamenti dei privati sia, nei limiti in cui la legge riconosca ad esse autonomia organizzativa,
per disciplinare i propri apparati e il loro funzionamento. Esse danno sostanza alla funzione di
regolazione propria delle pubbliche amministrazioni.
Le fonti dell'amministrazione hanno sempre un livello sub-legislativo (regolamenti dei singoli
ministeri e di enti pubblici, statuti), essendo la funzione legislativa riservata al parlamento. Esse
includono sia fonti normative in senso proprio, sia atti di regolazione che hanno natura non
normativa (atti di pianificazione e programmazione, atti amministrativi generali, direttive, circolari,
ecc.). La funzione di regolazione della pubblica amministrazione include tutti gli strumenti, anche
informali, idonei a orientare e condizionare i comportamenti dei privati.
2. La Costituzione
La Costituzione, entrata in vigore nel 1948, costituisce la fonte giuridica di livello più elevato.
Essa non definisce soltanto i diritti di libertà dei cittadini e delinea l'assetto generale dello Stato-
ordinamento, ma individua anche un'ampia serie di compiti che lo Stato, e per esso la pubblica
amministrazione, deve farsi carico nell'interesse della collettività (salute, istruzione ecc.).
La Costituzione non si occupa invece dell'assetto della pubblica amministrazione. Si basa su pochi
principi essenziali in tema di organizzazione (imparzialità, e buon andamento, art. 97), di raccordi
tra politica e amministrazione (art. 95, principio della strumentalità dell'amministrazione rispetto
alla politica generale del governo e il principio della responsabilità politica dei ministri in relazione
all'attività amministrativa), di assetto della giustizia amministrativa (artt. 103, 113, 125). Lo stesso
principio di legalità è dato per presupposto, ma non è esplicitato in disposizioni legislative.
Sul lato organizzativo la Costituzione si sofferma sul principio autonomistico (art. 5), ed enuncia il
principio di sussidiarietà come criterio generale di divisione delle funzioni amministrative (art.
118). Sul lato finanziario, pone il principio del pareggio di bilancio (art. 81, riscritto dalla legge
costituzionale 20 aprile 2012, n. 1).
La riforma del Titolo V della parte II della Costituzione da parte della legge costituzionale 18
ottobre 2001, n. 3 ha ridefinito i rapporti tra le fonti statali e regionali sulla base dei seguenti
principi: la parità tra competenza legislativa statale e regionale, esercitate nel rispetto della
Costituzione, e dei “vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”
(art. 117, comma 1); l'attribuzione alle regioni di una competenza generale rimanente, con
indicazione tassativa delle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva e concorrente
dello Stato (art. 117, comma 2 e 3).
Nella gerarchia delle fonti, le fonti dell'unione europea si pongono su un livello più elevato rispetto
alle fonti primarie. C'è il principio secondo cui le norme nazionali contrastanti con il diritto
europeo devono essere disapplicate.
Le fonti europee sono costituite prima di tutto dai Trattati istitutivi della Comunità modificati
diverse volte e integrati: da ultimo con i Trattati di Amsterdam del 1997, di Nizza del 2001 e di
Lisbona del 2007. Il trattato di Lisbona entra in vigore alla fine del 2009. I principi generali che ci
sono all'interno di essi (non discriminazione, legalità ecc.), insieme a quelli che la Corte di giustizia
ha ricavato dai principi generali comuni agli ordinamenti giuridici degli Stati membri, sono di
diretta applicabilità negli ordinamenti nazionali.
Oltre ai Trattati vanno considerate sia la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, sia la
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU).
I regolamenti hanno capacità generale e sono direttamente vincolati per gli Stati membri e per i
loro cittadini. I regolamenti europei devono essere motivati. Essi costituiscono un principio diretto
per sindacare la legittimità degli atti amministrativi.
Le direttive emanate dalla Commissione e dal Consiglio hanno per destinatari gli Stati e sono
vincolati “per quanto riguarda il risultato da raggiungere”. Anche loro devono essere motivati e
impongono agli Stati membri soltanto un obbligo di risultato. In base ai principi di sussidiarietà e di
proporzionalità, le direttive devono essere preferite ai regolamenti e le direttive quadro a quelle
dettagliate.
Infine, tra gli atti dell'Unione europea ci sono le decisioni, le quali applicano norme generali e
astratte previste da fonti comunitarie a casi particolari. Sono vincolanti per gli Stati membri, ma
non hanno un'efficacia diretta.
La Costituzione pone una disciplina completa delle fonti statali di livello primario e sono: la legge,
approvata dalle due Camere e promulgata dal Presidente della Repubblica (artt. 71-74), il decreto
legge, che può essere adottato dal governo in casi straordinari di necessità ed urgenza e che deve
essere convertito in legge dalle Camere entro 60 giorni (art. 77); il decreto legislativo, emanato dal
governo sulla base di una legge di delegazione che definisce l'oggetto e determina i principi e i
criteri direttivi e il limite di tempo entro il quale la delega può essere esercitata (art. 76).
- La riserva di legge. Si distinguono tre tipi di riserve di legge: assoluta, rinforzata e relativa.
La riserva di legge assoluta (es. quella in materia penale), richiede che la legge ponga una
disciplina completa e soddisfacente della materia ed esclude l'intervento di fonti sublegislative.
La riserva di legge rinforzata aggiunge al carattere dell'assolutezza il fatto che la Costituzione
stabilisce direttamente alcuni principi materiali o procedurali relativi alla disciplina della materia
che costituiscono un vincolo per il legislatore ordinario. E' prevista soprattutto in relazione ai diritti
di libertà.
La riserva di legge relativa (es. quella in materia tributaria), prevede che la legge ponga prescrizioni
di principio e consente l'emanazione di regolamenti di tipo esecutivo contenenti le norme più di
dettaglio che completano la disciplina della materia.
La riserva di legge va distinta dal principio di legalità, anche se hanno in comune la funzione di
garanzia dei soggetti privati nei confronti dell'amministrazione.
- Il principio di legalità. Il principio di legalità costituisce uno dei principi fondamentali in materia
di attività amministrativa. Esso è richiamato dall'art. 1 l. n. 241/1990 secondo il quale l'attività
amministrativa insegue i fini determinati per legge.
Il principio di legalità ha due funzioni: di garanzia delle situazioni giuridiche soggettive dei privati
che possono essere incise dal potere amministrativo (legalità-garanzia); di collegamento
dell'azione amministrativa al principio democratico e agli orientamenti che emergono all'interno
del circuito politico-rappresentativo, nel senso che la legge, espressione della sovranità popolare,
funge da fattore di legittimazione e da guida dell'attività amministrativa (legalità-indirizzo).
Il principio di legalità può avere due significati:
1. In un primo senso, esso coincide con il principio della preferenza della legge: gli atti
emanati dalla pubblica amministrazione non possono essere in contrasto con la legge.
Cioè la legge costituisce un limite negativo all'attività dei poteri pubblici che determina
l'illegittimità degli atti emanati.
2. In un secondo senso, oggi più rilevante, il principio di legalità richiede che il potere
amministrativo trovi un riferimento esplicito in una norma di legge. Quest'ultima
costituisce il limite positivo dei poteri dell'amministrazione: essa deve attribuire in modo
espresso alla pubblica amministrazione la titolarità del potere, disciplinandone modalità e
contenuti.
Il principio di legalità inteso nel secondo senso ha a sua volta una duplice dimensione: la legalità
formale (in senso debole) e la legalità sostanziale (in senso forte).
La prima si ha quando c'è la semplice indicazione nella legge dell'apparato pubblico competente a
esercitare un potere normativo secondario o amministrativo che è indeterminato nei suoi
contenuti. La seconda dimensione esige che la legge ponga una disciplina materiale del potere
amministrativo, definendone i presupposti per l'esercizio, le modalità procedurali e le altre sue
caratteristiche essenziali.
Come detto, la riserva di legge relativa e il principio di legalità sostanziale hanno alcuni punti in
comune perché entrambi hanno il compito di delimitare il potere esecutivo.
La riserva di legge relativa stabilisce condizioni e limiti al potere regolamentare del governo ed
esige che la legge disciplini almeno in parte la materia e che i regolamenti siano emanati nel
rispetto della disciplina posta dalla legge. Quindi definisce i rapporti interni al sistema delle fonti
normative.
Il principio di legalità indica che il potere dell'amministrazione, anche quando si chiarisce
nell'emanazione di norme secondarie, trovi un fondamento nella legge e qui emerge una qualche
sovrapposizione con il principio della riserva di legge relativa.
Tuttavia il principio di legalità si riferisce soprattutto ai poteri e ai provvedimenti amministrativi.
Esso chiede che il fondamento dei provvedimenti amministrativi sia costituito prima di tutto da
norme di livello primario.
Inoltre, secondo la giurisprudenza amministrativa, le esigenze subordinate al principio di legalità
possono essere soddisfatte anche da norme di livello secondario (regolamenti). Per essere
legittimo l'atto amministrativo deve essere conforme anche alle norme secondarie.
Infine, i principi che integrano il principio di legalità sono costituiti anche dai principi generali del
diritto amministrativo elaborati dall'art. 1 l. n. 241/1990. Questi principi hanno una valenza
prescrittiva e una rilevanza in sede di controllo giurisdizionale sull'attività amministrativa.
5. Le leggi provvedimento.
Le leggi provvedimento vanno analizzate in base al rapporto tra parlamento e potere esecutivo. Si
tratta di leggi (statali e regionali) prive della generalità e astrattezza, cioè che intervengono a porre
la disciplina di situazioni concrete riferite a volte a un’unica fattispecie. Per esempio le leggi che
revocano concessioni amministrative, costituiscono singole società per azioni di interesse
nazionale, erogano finanziamenti a una o più imprese, approvano un atto di pianificazione.
Il ricorso eccessivo alle leggi provvedimento è il sintomo di una disfunzione nei rapporti tra
parlamento e potere esecutivo.
6. I regolamenti governativi
2. I regolamenti per l’attuazione e l’integrazione possono essere emanati nelle materie non
coperte da riserva di legge assoluta nei casi in cui la legge si limiti a individuare i principi
generali della materia e autorizzi espressamente il governo a porre la disciplina di
dettaglio.
5. I regolamenti delegati o autorizzati sono per le materie non coperte da riserva assoluta di
legge e attuano la cosiddetta delegificazione, cioè sostituiscono la disciplina posta da una
fonte primaria con una disciplina posta da una fonte secondaria. Infatti la loro entrata in
vigore determina l’abrogazione delle norme vigenti contenute in fonti anche di livello
primario.
I regolamenti trattati fino ad ora sono attribuiti alla competenza del Consiglio dei ministri.
Dal punto di vista formale e procedurale portano la denominazione “regolamento” e sono adottati
previo parere del Consiglio di Stato, sono sottoposti al controllo preventivo di legittimità e alla
registrazione della Corte dei Conti e vengono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale. La partecipazione
dei privati è esclusa e non è richiesta neppure la motivazione.
Dopo la legge costituzionale n. 3/2001 che ha limitato l’ambito dei regolamenti governativi e
ministeriali alle materie che rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, molte
leggi recenti tendono ad aggirare il divieto autorizzando l’emanazione di decreti ministeriali poco
precisati “non aventi valore regolamentare”, che però contengono prescrizioni generali simili a
quelle proprie dei regolamenti.
Il regime giuridico dei regolamenti è in parte quello proprio dei provvedimenti amministrativi, in
parte quello proprio delle fonti del diritto.
In base al principio della preferenza della legge, i regolamenti sono soggetti di disapplicazione da
parte del giudice ordinario. Anche il giudice amministrativo può disapplicare una norma
regolamentare in almeno due ipotesi: quando il provvedimento impugnato viola un regolamento
che è difforme dalla legge, oppure quando il provvedimento impugnato è conforme a un
regolamento che però contrasta con una legge.
7. Cenni alle fonti normative regionali, degli enti locali e di altri enti pubblici
La Costituzione indica tre fonti normative regionali: gli statuti, le leggi e i regolamenti. Modificate
dalle leggi costituzionali 22 novembre 1999, n. 1 e 18 ottobre 2001, n. 3.
Lo statuto delle regioni ordinarie determina la forma di governo e i principi fondamentali di
organizzazione e funzionamento (art. 123, comma 1).
Le leggi regionali sono approvate dal Consiglio regionale e promulgate dal presidente (art. 121)
nelle materie attribuite dall’art. 117 Cost. alla competenza concorrente (comma 3) e residuale
(comma 4) delle regioni.
I regolamenti regionali sono adottati dalla Giunta regionale (art. 121) e possono essere emanati,
secondo il principio del parallelismo tra funzioni legislative e funzioni regolamentari, nelle materie
attribuite alla competenza legislativa concorrente e residuale delle regioni.
Le fonti normative di comuni, province e città metropolitane sono essenzialmente gli statuti e i
regolamenti.
Sotto il profilo della gerarchia delle fonti, lo statuto ha un livello subprimario poiché si pone al di
sotto delle leggi statali di principio.
Nell’ambito del diritto amministrativo, la distinzione tra atti normativi e nono normativi, riferita
soprattutto ai cosiddetti atti amministrativi generali, ha poca rilevanza poiché il loro regime
giuridico è in massima parte coincidente.
Infatti in teoria generale si ritiene che dalla qualificazione di un atto come normativo, si applica il
principio jura novit curia, e pertanto sotto il profilo decisivo la parte privata è sottratta all’onere di
allegazione e di prova delle norme applicabili al caso concreto, onere che vale soltanto per i fatti, è
consentito il ricorso per Cassazione per “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”.
Tra gli atti amministrativi generali privi di carattere di astrattezza, dei quali se ne deduce la natura
non normativa, fanno parte i bandi di concorso per l’assunzione di dipendenti nelle pubbliche
amministrazioni o i bandi e gli avvisi di gara per la selezione del contraente privato nei contratti di
fornitura, di lavori e servizi stipulati dalle pubbliche amministrazioni.
Gli ordinamenti statuali si dotano usualmente di strumenti per far fronte a situazioni di emergenza
imprevedibili che possono mettere a rischio interessi fondamentali della comunità ma che non
vengono disciplinate a livello di fonti primarie.
A livello subcostituzionale, numerose disposizioni di legge attribuiscono ad autorità amministrative
il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti. Tra gli esempi c’è prima di tutto il potere del
prefetto “nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica di adottare i provvedimenti
indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”.
Le ordinanze contingibili e urgenti vanno distinte da altri atti amministrativi che hanno come
presupposto l’urgenza, ma il cui contenuto e i cui effetti sono predefiniti in tutto e per tutto dalla
norma attributiva del potere (i c.d. atti necessitati).
13. d) Le direttive e gli atti di indirizzo
Caratteristica delle direttive amministrative è il loro contenuto. Esso non è costituito, come accade
per le fonti primarie e secondarie, da prescrizioni puntuali e vincolanti in modo assoluto, ma è
limitato alle indicazione di fini e obiettivi da raggiungere, criteri di massima, mezzi per raggiungere
i fini. Quindi esse hanno un certo grado di elasticità e consentono ai loro destinatari spazi di
valutazione e di decisione più o meno estesi in modo tale da poter tener conto in sede applicativa
di tutte le circostanze del caso concreto.
Si distinguono le direttive che si inseriscono in rapporti interorganici e le direttive che attengono a
rapporti intersoggettivi.
Nell’ambito dei rapporti interorganici le direttive sono uno strumento attraverso il quale l’organo
sovraordinato condiziona e orienta l’attività dell’organo o degli organi sottordinati.
Le direttive che si inseriscono in rapporti intersoggettivi costituiscono uno strumento attraverso il
quale il ministro competente o la regione esercitano il potere di indirizzo nei confronti di enti
pubblici strumentali, la cui attività deve essere resa coerente con i fini istituzionali propri del
ministero di settore o della regione.
In termini generali, si può vedere che le organizzazioni complesse, anche quelle private, hanno
regole interne volte a disciplinare il funzionamento e i raccordi tra le varie unità operative. Per
esempio, le grandi imprese approvano regolamenti aziendali, manuali di procedura e altri atti
organizzativi.
Le circolari sono il mezzo principale di comunicazione delle norme interne. Nella vita quotidiana
degli uffici esse sono uno strumento di orientamento e di guida dell’attività amministrativa, fino al
punto da imporsi, sul piano dell’effettività, come una vera e propria barriera tra le norme
giuridiche anche di livello primario e le pubbliche amministrazioni alle quali queste ultime sono
rivolte.
Il contenuto delle circolari può essere vario. Infatti esse possono contenere ordini, direttive,
interpretazioni di leggi ed altri atti normativi, informazioni di ogni genere e tipo. In questo modo le
circolari perdono il carattere di atto amministrativo tipico e conservano soltanto il significato di
strumento di comunicazione di atti ciascuno dei quali ha una propria configurazione tipica.
Quindi le circolari vanno divise in tre tipi: interpretative, normative e informative.
Le prime sono uno strumento che serve a rendere omogenea l’applicazione di nuove normative da
parte delle pubbliche amministrazioni. Le circolari normative hanno la funzione di orientare
l’esercizio del potere discrezionale degli organi titolari di poteri amministrativi. Le circolari
informative sono uno strumento con il quale vengono diffuse all’interno dell’organizzazione
notizie, informazioni e messaggi di varia natura e in questo senso possono essere assimilate a
bollettini e newsletter specializzate e a diffusione limitata previste in molti contesti anche privati.
15. I testi unici e i codici
1. Una prima linea direttrice dell’evoluzione è rappresentata dalla diffusione della cosiddetta
soft law, che consiste nell’insieme di strumenti, spesso informali (inviti, segnalazioni ecc.),
volti a influenzare i comportamenti delle autorità amministrative e degli amministrati.
2. Una seconda linea direttrice dell’evoluzione consiste nell’emergere di ipotesi nelle quali la
funzione di regolazione è cogestita dal regolatore pubblico e da soggetti privati.
3. Una terza linea direttrice dell’evoluzione recente consiste nell’attenuarsi della distinzione
tra procedimenti normativi in senso lato e procedimenti amministrativi che sfociano in
provvedimenti di tipo individuale.
Capitolo III
Il rapporto giuridico amministrativo
In base a ciascuna funzione la legge individua in modo puntuale i poteri (ordinatori, autorizzativi)
conferiti al singolo apparato.
- Il potere. I poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la titolarità una
capacità giuridica speciale di diritto pubblico che si concretizza nell’emanazione di provvedimenti
produttivi di effetti giuridici nella sfera dei destinatari. Essa si aggiunge, integrandola, alla capacità
giuridica generale di diritto comune, intesa come attitudine ad assumere la titolarità delle
situazioni giuridiche soggettive attive e passive previste dall’ordinamento, di cui essi, al pari delle
persone giuridiche private, sono dotati.
Bisogna fare una distinzione tra potere in astratto e potere in concreto. La legge definisce
gl’elementi costitutivi di ciascun potere (potere in concreto). Ove manchi la norma attributiva del
potere in astratto, si configura un difetto assoluto di attribuzione, che determina la nullità del
provvedimento. Il potere ha il carattere dell’inesauribilità, cioè fin tanto che resta in vigore la
norma attributiva, esso si presta a essere esercitato in una serie indeterminata di situazioni
concrete.
Ogni qual volta poi si verifica una situazione di fatto conforme alla fattispecie tipizzata nella norma
di conferimento al potere, l’amministrazione è legittimata a esercitare il potere (potere in concreto
o atto di esercizio del potere) e a provvedere così alla cura dell’interesse pubblico. Oltre che
legittimata l’amministrazione è tenuta ad avviare un procedimento che si conclude con
l’emanazione di un atto o provvedimento autoritativo idoneo a incidere unilateralmente nella
sfera giuridica del soggetto destinatario e a porre una disciplina del rapporto che nasce tra il
privato e l’amministrazione.
Il rapporto giuridico amministrativo è il rapporto che c’è tra la pubblica amministrazione che
esercita un potere e il soggetto privato titolare di un interesse legittimo.
I rapporti giuridici interprivati vengono ricostruiti partendo dalla coppia diritto soggettivo-obbligo, i
cui termini si imputano rispettivamente al soggetto attivo e passivo del rapporto. alla titolarità del
diritto soggettivo corrisponde, in capo al soggetto passivo del rapporto giuridico, a seconda dei
casi: un potere generico e negativo di astensione, cioè di non interferire o turbare l’esercizio del
diritto; oppure un vero e proprio obbligo giuridico, cioè il dovere specifico e positivo di porre in
essere un determinato comportamento o attività (prestazione) a favore del titolare del diritto, cui
corrisponde dal lato del soggetto attivo una pretesa, cioè il potere di esigere la prestazione.
Poi abbiamo la potestà, una situazione giuridica soggettiva attiva, che, a differenza di quanto
accade per il diritto soggettivo, è attribuita al singolo soggetto per il soddisfacimento, anziché di un
interesse proprio, di un interesse altrui.
Una particolare categoria di diritti soggettivi è costituita dal diritto potestativo, che consiste nel
potere di produrre un effetto giuridico con una propria manifestazione unilaterale di volontà. Tra i
casi più tipici di diritto potestativo ci sono il diritto di prelazione, il diritto di recesso, la revoca del
mandato, il diritto di chiedere la comunione forzosa di un muro di confine.
La produzione degli effetti giuridici segue usualmente lo schema norma-fatto-effetto giuridico. La
norma individua gli elementi della fattispecie e l’effetto giuridico che ad essa si ricollega, ponendo
direttamente essa stessa la disciplina degli interessi in conflitto in relazione a un determinato
bene. Tutte le volte che nella vita economica e sociale si verifica un fatto concreto che è
riconducibile nella fattispecie normativa si produce, in modo automatico un effetto giuridico.
Le norme che si riferiscono alla pubblica amministrazione sono di due tipi: norme di azione e
norme di relazione. Le prime disciplinano il potere amministrativo nell’interesse esclusivo della
pubblica amministrazione. Le norme di relazione regolano i rapporti intercorrenti tra
l’amministrazione e i soggetti privati, a garanzia anche di quest’ultimi, definendo direttamente
l’assetto degli interessi e annullando i conflitti insorgenti tra cittadino e pubblica amministrazione.
5. Il potere discrezionale
3. Sul quomodo, cioè sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento al di là
delle sequenze di atti imposti dalla legge che disciplina lo specifico provvedimento.
4. Sul quando, cioè sul momento più opportuno per esercitare un potere d’ufficio
avviando il procedimento e, una volta emanato quest’ultimo, per emanare il
provvedimento, pur tenendo conto dei termini massimi per la conclusione del
procedimento.
In questo manuale si distingue, da un lato, i principi che governano la disciplina delle funzioni che
sono rivolti al legislatore (statale, regionale); dall’altro, i principi che riguardano direttamente le
amministrazioni. In questa parte verranno trattati i principi collegati al rapporto giuridico
amministrativo, mentre nella terza parte verranno trattati quelli per l’organizzazione della
pubblica amministrazione.
- I principi sull’esercizio del potere. Fanno parte di questo gruppo: il principio di imparzialità, di
proporzionalità, di ragionevolezza, di tutela del legittimo affidamento, di precauzione.
Il principio di imparzialità è citato dall’art. 97 Cost. e dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali
Ue. Esso consiste essenzialmente nel “divieto di favoritismi” o, con il linguaggio dell’Ue, nel divieto
di discriminazione: l’amministrazione non può essere influenzata nelle sue decisioni da interessi
politici di parte, di gruppi di pressione privati (lobby), o di singoli individui o imprese, magari per
ragioni di amicizia o di legami di famiglia. Il principio di imparzialità è posto a garanzia della parità
di trattamento (par condicio) e dell’uguaglianza dei cittadini di fronte all’amministrazione.
Un secondo principio che guida l’esercizio della discrezionalità è il principio di proporzionalità, il
quale ha particolare importanza nel caso di poteri che influiscono negativamente nella sfera
giuridica del destinatario (sanzioni, imposizioni di obblighi, ecc.), richiede che l’amministrazione
dia un giudizio, mentre opera, guidato da tre criteri: idoneità, necessarietà e adeguatezza della
misura prescelta. L’idoneità mette in relazione il mezzo adoperato con l’obiettivo da perseguire. La
necessarietà mette a confronto le misure ritenute idonee e fa si che ci sia il minor sacrificio degli
interessi incisi dal provvedimento. L’adeguatezza consiste nella valutazione della scelta finale in
termini di tollerabilità della restrizione o incisione nella sfera giuridica del destinatario del
provvedimento.
Il principio di ragionevolezza è legato al fatto che in base alla teoria delle scelte razionali, anche la
pubblica amministrazione va considerata come un agente in grado di raggiungere determinati
obiettivi tramite azoni logiche, coerenti e ad essi funzionali. Questo principio ha importanza
nell’ambito del sindacato di legittimità dei provvedimenti amministrativi se c’è eccesso di potere.
Il principio del legittimo affidamento serve a tutelare le aspettative ingenerate dalla pubblica
amministrazione con un proprio atto o comportamento. Esso interviene a proposito del potere di
annullamento d’ufficio del provvedimento illegittimo, per il cui esercizio è richiesta
all’amministrazione una valutazione degli interessi dei destinatari del provvedimento e una
considerazione del tempo ormai trascorso (art. 21-nonies l. n. 241/1990).
Il principio della certezza del diritto garantisce un quadro giuridico stabile e chiaro, essenziale in
un’economia di mercato fondata sul calcolo razionale. Questo principio ha come destinatario il
legislatore.
Il principio di precauzione, riconosciuto in materia ambientale nel TFUE (art. 191, comma 2) e
applicabile nei campi di azione che riguardano interessi pubblici come la salute e la sicurezza dei
consumatori, comporta che, quando ci sono incertezze a livello di rischi per la salute delle persone,
le autorità competenti possono adottare misure protettive senza dover attendere che sia
dimostrata in modo compiuto la realtà e la gravità di tali rischi. Per esempio la giurisprudenza
italiana ha iniziato a utilizzarlo per gli OGM.
- I principi sul procedimento. I principi relativi al procedimento amministrativo sono il principio del
contraddittorio e il principio di pubblicità e di trasparenza.
Il primo è citato nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e stabilisce che ogni individuo ha diritto
“di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che
gli rechi pregiudizio” (art. 41, comma 2) ed è sviluppato nella l. n. 241/1990, che disciplina la
partecipazione al procedimento amministrativo (artt. 7 ss.).
Anche il principio di pubblicità e di trasparenza è enunciato nella Carta dei diritti fondamentali
dell’Ue, secondo la quale ogni individuo ha diritto “di accedere al fascicolo che lo riguarda, nel
rispetto dei legittimi interessi della riservatezza e del segreto professionale” (art. 41, comma 2).
Nelle disposizioni del TFUE è precisato che “Al fine di promuovere il buon governo e garantire la
partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione operano nel
modo più trasparente possibile” (art. 15).
Capitolo IV
Il provvedimento
1. Premessa.
4. c) L'esecutorietà e l'efficacia
5. d) L’inoppugnabilità
Anche per l'atto amministrativo possono essere individuati alcuni elementi strutturali che
consentono di identificarlo e qualificarlo. Essi sono: il soggetto, la volontà, l'oggetto, il contenuto, i
motivi, la motivazione, la forma.
1. Il soggetto è l'organo che, in base alle norme sulla competenza e l'investitura, è incaricato
di emanare l'atto. Di solito, si tratta di pubbliche amministrazioni, ma in casi particolari
anche soggetti privati sono titolari di poteri amministrativi e i loro atti sono qualificabili
come amministrativi.
4. Il contenuto del provvedimento che si ritrova nella parte dispositiva dell'atto, consiste in
“ciò che con esso l'autorità intende disporre, ordinare, permettere, attestare, certificare”
[Zanobini 1958].
Il contenuto necessario dell'atto discrezionale può essere integrato con clausole
accessorie che fissano condizioni e altre prescrizioni particolari (c.d. elementi accidentali).
Esse non possono alterare il contenuto tipico del provvedimento e devono essere coerenti
con il fine pubblico previsto dalla legge attributiva del potere.
Tra gli elementi dell'atto amministrativo, a differenza di quanto accade per i negozi
giuridici privati, non assume rilievo autonomo la causa. Questo perché i poteri
amministrativi sono tutti riconducibili a schemi tipici individuati per legge.
5. La motivazione, da cui si ricavano le ragioni (i motivi) che sono alla base dell'atto
amministrativo, è la parte del provvedimento che secondo la definizione contenuta
nell'art. 3 l. n. 241/1990 enuncia i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno
determinato la decisione dell'amministrazione in relazione alle risultanze dell'indagine.
Nel caso in cui il provvedimento si basi su una pluralità di motivi, basta che uno solo sia
conforme alla legge per essere legittimo (c.d. prova di resistenza).
L'obbligo di motivazione, la cui violazione può essere una causa di annullabilità,
costituisce, uno dei principi generali del regime degli atti amministrativi che lo differenzia
da quello sia degli atti legislativi sia degli atti negoziali.
La motivazione ha tre funzioni: promuove la chiarezza dell'azione amministrativa perché
esplicita le ragioni sottostanti le scelte amministrative; rende più agevole l'interpretazione
del provvedimento amministrativo; costituisce una garanzia per il soggetto privato che
subisca dal provvedimento un pregiudizio perché consente un controllo giurisdizionale più
incisivo sull'operato dell'amministrazione.
La motivazione può essere anche per relationem, cioè con un rinvio ad altro atto acquisito
al procedimento del quale si fanno proprie le ragioni (art. 3, comma 3, l. n. 241/1990).
La motivazione ha particolare importanza nel caso di provvedimenti discrezionali, mentre
in quelli vincolati essa può essere limitata all'enunciazione dei presupposti di fatto e di
diritto che giustificano l'esercizio del potere. Infatti essa è lo strumento principale per
controllare la legittimità, in particolare in termini di ragionevolezza e di proporzionalità,
delle scelte operate dall'amministrazione.
6. Infine c'è la forma dell'atto amministrativo. Di regola è richiesta la forma scritta. In alcuni
casi l'atto può essere emanato oralmente (la proclamazione del risultato di una
votazione). In seguito al processo di informatizzazione negli ultimi anni, l'atto può essere
sottoscritto con la firma digitale e comunicato utilizzando le tecnologie informatiche, in
base alle regole del codice dell'amministrazione digitale (d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82).
A volte in giurisprudenza viene fuori anche la nozione di provvedimento implicito, cioè che
si ricava da un altro provvedimento espresso o un comportamento concludente dei quali
costituisca un presupposto necessario (es. la nomina di un dipendente pubblico che, senza
l'atto formale, venga inserito nell'organizzazione).
Le principali subcategorie dei provvedimenti limitativi della sfera giuridica dei destinatari sono i
provvedimenti ablatori, gli ordini e le diffide, i provvedimenti sanzionatori.
- I provvedimenti ablatori reali. Tra i provvedimenti ablatori (reali, personali, obbligatori) fanno
parte un’amplissima gamma di atti autoritativi che restringono la sfera patrimoniale e personale
del destinatario, estinguendo o modificando una situazione giuridica soggettiva attraverso
l’imposizione di prestazioni (per esempio, le imposte e i tributi) o obblighi di non fare o di non fare.
Tra i provvedimenti ablatori reali è importante soprattutto l’espropriazione per pubblica utilità, in
cui si manifesta al massimo grado il conflitto tra interesse pubblico e gli interessi privati. Da un lato
consente alla pubblica amministrazione di trasferire coattivamente il diritto di proprietà dal
privato all'amministrazione o al soggetto beneficiario dell'espropriazione, prescindendo dal
consenso di quest'ultimo, dall'altro, attribuendo al privato il diritto, che è costituzionalmente
garantito, a un indennizzo (art. 42, comma 3, Cost.).
L’indennizzo non deve coincidere necessariamente con il valore di mercato, ma non deve essere
comunque irrisorio. Su questo aspetto è intervenuta più volte la Corte Costituzionale che ha posto
il principio del “serio ristoro”, in base al quale occorre far riferimento “al valore del bene in
relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di
esso, secondo legge” (C. Cost., 30 gennaio 1980, n, 5).
Tra i provvedimenti ablatori reali rientra anche l’occupazione temporanea di un bene immobile.
Per esempio l'occupazione temporanea preordinata all'espropriazione di opere dichiarate
indifferibili (inderogabili) e urgenti che consente così la presa in possesso e l'avvio immediato dei
lavori nelle more della conclusione del procedimento espropriato.
- I provvedimenti ordinatori. Tra i provvedimenti ablatori personali vanno collocati gli ordini
amministrativi e i provvedimenti che impongono ai destinatari obblighi di fare o di non fare
(divieti) puntuali.
Nelle organizzazioni, basate sul principio gerarchico (es. l'esercito e le forze di polizia), l’ordine, che
indica un comportamento specifico da adottare in una situazione concreta, è lo strumento in base
al quale il titolare dell’organo o dell’ufficio sovraordinato impone la propria volontà e guida
all’attività dell’organo o dell’ufficio subordinato. Esso può intervenire sull'ipotesi che l'ambito della
competenza attribuito a quest'ultimo sia inclusa nell'ambito della competenza del primo.
Come precisa in termini generali il Testo unico degli impiegati civili dello Stato (d.p.r. 10 gennaio
1957, n.3), l'impiegato deve eseguire gli ordini impartiti dal superiore gerarchico (art. 16). Se
l'ordine è illegittimo, l'impiegato è tenuto a fare reclamo motivata al superiore, il quale ha sempre
il potere di rinnovarlo per iscritto. In questo caso, l'impiegato è tenuto a darvi esecuzione, a meno
che non si tratti di un atto vietato dalla legge penale (art. 17). La mancata osservanza dell'ordine
ricevuto può comportare l'adozione di sanzioni disciplinari in capo al titolare dell'organo o
dell'ufficio sottordinato e può indurre il superiore gerarchico a chiamare a sé la competenza.
Tra gli ordini di polizia, emanati dalle autorità di pubblica sicurezza, uno è quello di comparire
dinanzi all’autorità di pubblica sicurezza entro un termine assegnato, la cui inosservanza è
sanzionata anche penalmente, oppure l’ordine di sciogliere una riunione o un assembramento che
metta in pericolo l’ordine pubblico preceduto da un invito e da tre intimazioni formali.
Un altro provvedimento ordinatorio è la diffida, che consiste nell’ordine di cessare da un
determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative, anche con la
fissazione di un termine per eliminare gli effetti dell’infrazione. La diffida può essere
accompagnata da sanzioni di tipo amministrativo.
Un esempio di diffida può essere preso dalla disciplina ambientale. L'autorità competente al
controllo degli scarichi di acque inquinanti può intimare il titolare dell'autorizzazione che non
rispetta le condizioni in essa contenute dal cessare dal comportamento entro un termine
determinato. In più, nel caso in cui si manifesti una situazione di pericolo per la salute pubblica e
l'ambiente, può sospendere l'autorizzazione (art. 130 Codice dell'ambiente approvato con d.lgs. 3
aprile 2006, n. 152).
- Le sanzioni amministrative. Sono volte a reprimere illeciti di tipo amministrativo e hanno dunque
una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva.
Le sanzioni amministrative sono previste dalle leggi settoriali per garantire effettività sia in caso di
violazione dei comandi in esse contenuti, sia nel caso di violazione dei provvedimenti emanati sulla
base di tali leggi.
Molte sanzioni del primo tipo sono contenuti nel Codice della strada.
Sanzioni amministrative collegate alla violazione di provvedimenti amministrativi sono invece
previsti dal Testo unico degli enti locali nel caso di violazione di regolamenti degli enti locali o delle
ordinanze contingibili e urgenti emanate dal sindaco o dal presidente della provincia.
Ci sono sanzioni pecuniarie, che fanno nascere l'obbligo di pagare una somma di denaro
determinata entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma; le sanzioni interdittive che
incidono sull'attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento (ritiro della
patente); le sanzioni disciplinari.
Per le sanzioni amministrative pecuniarie, l’obbligazione grava a titolo di solidarietà in capo a
soggetti diversi da colui che pone in essere il comportamento illecito (es. l'ente del quale è
dipendente l'autore dell'illecito: art. 6). Inoltre è data la facoltà di estinguere l’obbligazione
tramite il pagamento di una somma in misura ridotta (oblazione) entro 60 giorni dalla
contestazione della violazione, cioè prima che abbia corso il procedimento in contraddittorio per
l‘accertamento dell’illecito (art. 16). Quindi l'oblazione evita che si arrivi a un accertamento
definitivo dell'illecito e per l'amministrazione ha il vantaggio di non gravare gli uffici di u'attività
amministrativa a volte onerosa.
Le sanzioni disciplinari si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con e
pubbliche amministrazioni (dipendenti pubblici, professionisti iscritti ad albi, ecc.) e colpiscono
comportamenti che violano obblighi speciali collegati allo status particolare (doveri di servizio,
codici deontologici, ecc.). Esse consistono, a seconda della gravità dell’illecito, nell’ammonizione,
nella sospensione del servizio o dall’albo per un periodo di tempo determinato, nella radiazione da
un albo o nella destituzione. Queste sanzioni sono regolate da leggi speciali e sono quindi escluse
dal campo di applicazione della disciplina generale delle sanzioni amministrative.
Infine bisogna distinguere le sanzioni in senso proprio, che hanno un significato essenzialmente
repressivo e punitivo del colpevole, e le sanzioni ripristinatorie, che hanno lo scopo di reintegrare
l’interesse pubblico leso da un comportamento illecito.
Le sanzioni amministrative sono applicate di regola soltanto nei confronti della persona fisica del
trasgressore e ciò in coerenza con il carattere personale della responsabilità.
Di recente è stata introdotta una particolare forma di responsabilità amministrativa per fatto
proprio delle imprese e degl’enti “per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato” (art. 1, comma
1, d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231). Questa responsabilità sorge direttamente in capo all’ente “per
reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio” dagli amministratori e dipendenti.
Il rispetto delle norme poste dalle leggi amministrative può essere assicurato in un primo gruppo
di casi esclusivamente attraverso un'attività di vigilanza, che può portare all'esercizio di poteri
repressivi e sanzionatori se vengono accertate violazioni. Per esempio il pedone o il ciclista che
non rispettano le regole della strada.
Per agevolare i controlli effettuati dall'amministrazione, in un secondo gruppo di casi di attività
libere, la legge grava i privati di un obbligo di comunicare preventivamente a una pubblica
amministrazione l'intenzione di intraprendere un'attività. A volte, la comunicazione è
contemporanea all'avvio dell'attività: altre volte tra la comunicazione e l'avvio dell'attività è
previsto un termine minimo.
La fattispecie delle attività libere regolate da leggi di tipo amministrativo e sottoposte a un regime
di comunicazione preventiva è ora disciplinata dall'art. 19 l. n. 241/1990. Questo articolo prevede
l'istituto della segnalazione certificata di inizio attività (cosiddetta SCIA, introdotta nel 2010 in
sostituzione della cosiddetta dichiarazione d'inizio di attività o DIA).
L'avvio dell'attività può essere contemporaneo alla prestazione della dichiarazione. Il privato deve
dotare la segnalazione con un'autocertificazione del possesso dei presupposti e requisiti previsti
dalla legge per lo svolgimento dell'attività. In caso di dichiarazioni false scattano sanzioni
amministrative e penali (art. 19, comma 3 e 6).
La SCIA ha soltanto la funzione di sollecitare l'amministrazione a verificare se l'attività in questione
è adatta alle norme amministrative e a richiedere nel caso informazioni e chiarimenti.
In caso di “accertata carenza dei requisiti e dei presupposti” previsti dalla legge per lo svolgimento
dell'attività l'amministrazione, entro 60 giorni, può richiedere al privato di adattare l'attività alla
normativa vigente entro un termine fissato. Se ciò non avviene, emana un provvedimento
motivato di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione dei suoi effetti.
Quindi le attività assoggettate al regime della SCIA restano libere.
Il campo di applicazione della SCIA non è definito con precisione dalla legge. L'art. 19, che è
inserito nel Capo IV l. n. 241/1990 dedicato alla Semplificazione dell'azione amministrativa, si
limita a porre un criterio generale in base al quale la SCIA sostituisce di diritto ogni tipo di atto
autorizzativo “il cui rilascio dipenda esclusivamente dall'accertamento di requisiti e presupposti
richiesti dalla legge”. Un secondo criterio è che deve trattarsi di atti autorizzativi per i quali non sia
previsto alcun limite o contingente complessivo o altri strumenti di programmazione di settore.
Accanto a questi due criteri generali, l'art. 19 prevede alcuni casi di esclusione quando entrino in
gioco interessi pubblici particolarmente rilevanti (ambiente, difesa nazionale ecc.), oppure di atti
autorizzativi imposti dalla normativa europea.
Resta peraltro incerta la questione della tutela del terzo che affermi di subire una lesione nella
propria sfera giuridica per effetto dell'avvio dell'attività. Nel caso della SCIA manca un
provvedimento che consenta il ricorso al giudice amministrativo da parte del terzo.
Il terzo che desideri contrastare l'avvio dell'attività deve invitare l'amministrazione a emanare un
provvedimento che ne vieti l'avvio o la prosecuzione e se l'amministrazione non provvede può
rivolgersi al giudice per fare accertare l'obbligo di provvedere.
9. Le autorizzazioni e le concessioni
Ci sono figure intermedie di atti autorizzativi, di fatto si dividono in: autorizzazioni costitutive,
permissive e ricognitive. Per quanto riguarda le licenze (caccia, pesca ecc.), esse hanno due
caratteristiche: riguardano attività in cui non sono rinvenibili preesistenti diritti soggettivi dei
soggetti privati; il loro rilascio è subordinato a valutazioni di tipo tecnico o discrezionale o di
coerenza con un quadro programmatico che ne comporti la limitazione, previsto per esempio nei
piani commerciali.
La distinzione tra autorizzazioni e concessioni è stata rivalutata in base al diritto europeo, il quale
ignora la distinzione tra diritto soggettivi e interessi legittimi e che tende a considerare in modo
unitario gli atti che realizzano forme di controllo ex ante, sia alla luce del diritto interno. Alla fine
ciò che conta, sia per le autorizzazioni sia per le concessioni, è che in mancanza di assenso
preventivo dell'amministrazione l'attività non può essere intrapresa.
Nei casi in cui il numero delle autorizzazioni deve essere limitato “per ragioni collegate alla scarsità
delle risorse naturali o delle capacità tecniche disponibili” o per altri motivi interpretativi di
interesse generale, il loro rilascio deve avvenire attraverso una procedura di selezione pubblica
sulla base di criteri resi pubblici, atti ad assicurare l'imparzialità (art. 16).
In conclusione, alla luce dell'evoluzione del diritto europeo e del diritto interno, la distinzione più
rilevante in materia di autorizzazioni e concessioni, è tra atti vincolanti e atti discrezionali. Per le
prime l'atto amministrativo è la fonte diretta dell'effetto giuridico prodotto; nel seconde l'effetto
giuridico si ricollega direttamente alla legge , cioè al verificarsi di un fatto sussumibile nella norma.
10. Gli atti dichiarativi
Nella categoria degli atti dichiarativi fanno parte le certificazioni che sono dichiarazioni di scienza
effettuate da una pubblica amministrazione in relazione ad “atti, fatti, qualità e stati soggettivi”
(art. 18 l. n. 241/1990).
L'amministrazione pubblica organizza, elabora, verifica la correttezza e detiene stabilmente una
gran massa di dati e informazioni in registri, elenchi, albi, ecc. Per es. i registri dello stato civile dei
comuni contenenti i dati anagrafici, le liste elettorali ecc.
Le certificazioni costituiscono la modalità tradizionale per dimostrare il possesso di presupposti e
requisiti richiesti ai privati per potere svolgere molte attività.
La l. n. 241/1990 (art. 18) e il Testo unico sulla documentazione amministrativa (d.p.r. n.
445/2000) prevedono però due modalità alternative da preferire alle certificazioni. Da un lato, le
pubbliche amministrazioni dovrebbero scambiarsi d'ufficio le informazioni rilevanti senza gravare i
soggetti privati dell'onere di ottenere il rilascio dei certificati (art. 18, commi 2 e 3; art. 43 d.p.r. n.
445/2000). Dall'altro, in molti casi le certificazioni possono essere sostituite con
l'autocertificazione, cioè tramite una dichiarazione formale assunta sotto propria responsabilità
dal soggetto.
Le cosiddette dichiarazioni sostitutive di certificazioni possono avere ad oggetto la data, il luogo di
nascita, la residenza, la cittadinanza, l'iscrizione in albi, la qualità di studente o di pensionato, ecc.
(art. 46 d.p.r. n. 445/2000). Invece le dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà sono relative a
stati, qualità personali e fatti dei quali l'interessato sia a conoscenza e che si riferiscono anche ad
altri soggetti (art. 47 d.p.r. n. 445/2000).
Se l'autocertificazione è falsa possono essere inflitte sanzioni anche penali. Inoltre in caso di
dichiarazioni e attestazioni false, sempre tramite sanzioni, all'interessato è negata la possibilità di
adattare l'attività alla legge sanando la propria posizione (art. 21 l. n. 241/1990) e viene stabilita
nei suoi confronti la decadenza dai benefici eventualmente conseguiti dal provvedimento emanato
in base alla dichiarazione non veritiera (art. 75 d.p.r. n. 445/2000).
Tra gli atti dichiarativi vanno inclusi i cosiddetti atti paritetici e le verbalizzazioni. Quest'ultime
consistono nella “narrazione storico giuridica” da parte di un ufficio pubblico di atti, fatti e
operazioni avvenuti in sua presenza. Per esempio la polizia municipale, nell'ambito dell'attività di
vigilanza in materia edilizia, può andare in un cantiere e constatare in un processo verbale la
differenza delle opere già realizzate rispetto al permesso a costruire.
Tra gli atti amministrativi non provvedimentali ci sono i pareri e le valutazioni tecniche.
11. Altre classificazioni: atti collettivi, atti plurimi, atti di alta amministrazione, atti collegiali
2. Gli atti di alta amministrazione sono venuti fuori quando si è posta la questione di
distinguere gli atti amministrativi dagli atti politici, quest'ultimi non sottoposti a regime del
provvedimento amministrativo. Tra di essi rientrano gli atti che, a differenza di quelli
amministrativi, sono liberi nel fine e che sono emanati da un organo costituzionale (in
particolare il governo) nell'esercizio di una funzione di governo.
Prima di tutto, va detto che non tutti i casi di difformità tra il provvedimento e le norme che lo
disciplinano crea invalidità. Si ha invalidità quando la difformità tra atto e norme determina una
lesione di interessi tutelati da queste ultime e incide sull'efficacia del primo in modo più o meno
definitivo, sotto forma di nullità o di annullabilità.
L'invalidità è disciplinata nella l. 241/1990 con le modifiche introdotte dalla l. n. 15/2005.
Per prima cosa bisogna fare una distinzione tra norme che regolano una condotta e norme che
conferiscono poteri. Le prime impongono obblighi o attribuiscono diritti; le seconde conferiscono
poteri, come per esempio fare testamento, di contrarre un matrimonio ecc.
I comportamenti che violano il primo tipo di norme sono qualificabili come illeciti e contro di essi
l'ordinamento reagisce attraverso l'imposizione di sanzioni di varia natura (sanzioni penali, obbligo
di risarcimento, ecc.). Gli atti posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo sono
qualificabili come invalidi e contro di essi l'ordinamento reagisce negandone gli effetti.
L'invalidità può essere definita più precisamente come la difformità di un negozio o di un atto dal
suo modello legale. Essa può essere sanzionata, in base alla gravità della violazione, in due modi:
l'inidoneità dell'atto a produrre gli effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti e obblighi o altre
modificazioni nella sfera giuridica dei soggetti dell'ordinamento (nullità); l'idoneità a produrli in via
precaria, cioè fino a quando non interviene un giudice (o un altro organo) che, accertata
l'invalidità, rimuova gli effetti prodotti con efficacia retroattiva (annullamento).
Sempre in via generale, si fa una distinzione tra invalidità totale e parziale: la prima riguarda
l'intero atto, la seconda una parte di questo, lasciando inalterata la validità e l'efficacia della parte
non affetta dal vizio. Quest'ultima si ha nel caso di provvedimenti con effetti scindibili, come in
quello degli atti plurimi.
L'invalidità di un provvedimento può essere propria o derivata, originaria o sopravvenuta.
1. Nel caso di invalidità propria hanno importanza i vizi dei quali è affetto l'atto. Nel caso di
invalidità derivata, l'invalidità dell'atto deriva per propagazione dell'invalidità di un atto
presupposto (es. l'illegittimità di un bando di gara).
L'invalidità derivata può essere di due tipi: ad effetto caducante, e in questo caso
travolge in modo automatico l'atto assunto sulla base dell'atto invalido; a effetto
invalidante, e in questo caso l'atto affetto da invalidità derivata, per quanto a sua volta
invalido, conserva i suoi effetti fino a che non venga annullato. L'effetto caducante si
verifica in presenza di un rapporto di stretta casualità tra i due atti: il secondo costituisce
una semplice esecuzione del primo. Invece quando l'atto successivo non costituisce una
conseguenza inevitabile del primo, ma presuppone nuovi e ulteriori apprezzamenti,
l'invalidità derivata ha soltanto un effetto viziante, con la conseguenza che essa deve
essere fatta valere attraverso l'impugnazione autonoma di quest'ultimo.
Si parla di invalidità sopravvenuta dei provvedimenti amministrativi nel caso di legge retroattiva, di
legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale. Nelle prime due
ipotesi, la retroattività della nuova legge rende viziato il provvedimento emanato in base alla
norma abrogata. Nella terza ipotesi, poiché le sentenze di accoglimento Corte Costituzionale
hanno efficacia retroattiva, esse rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme
dichiarate illegittime e ai rapporti giuridici venuti fori anteriormente, a meno che non si tratti di
rapporti esauriti, cioè di fattispecie ormai interamente realizzate.
Il settore in cui è nata ed è stata più dibattuta la questione dell'espropriazione nel quale si
contrappone la cosiddetta “occupazione usurpativa” alla “occupazione appropriativa”. La prima
avviene quando il terreno viene occupato in carenza di qualsivoglia (in “via di fatto” o in carenza di
potere); la seconda quando l'occupazione avviene nell'ambito di una procedura di espropriazione
(a seguito della dichiarazione di pubblica utilità) sebbene illegittima.
L'annullabilità è disciplinata dall'art. 21-octies l. n. 241/1990 e dall'art. 29 Codice. Invece la nullità
è disciplinata dall'art. 21-septies l. n. 241/1990 e dall'art. 31, comma 4, Codice che disciplina
l'azione di nullità.
13. L'annullabilità
1. L'incompetenza per materia riguarda la titolarità della funzione (es. le materie urbanistica e
commerciale hanno ambiti di disciplina adiacenti);
2. L'incompetenza per grado si riferisce all'articolazione interna degli organi negli apparati
organizzati secondo il criterio gerarchico (organizzazioni militari o di polizia);
3. L'incompetenza per territorio riguarda gli ambiti in cui gli enti territoriali o le articolazioni
periferiche degli apparati statali possono operare (es. le prefetture di due province
adiacenti).
Dal punto di vista del regime giuridico, al vizio di incompetenza non si ritiene applicabile l'art. 21-
octies, comma 2. Inoltre, il vizio di incompetenza assume una priorità rispetto ad altri motivi
formulati nel ricorso.
La seconda tipologia di vizi che possono causare annullabilità è la violazione di legge, la quale è
considerata una categoria rimanente, perché in essa ci sono tutti i vizi che non sono elencati come
incompetenza o eccesso di potere.
La principale distinzione interna alla violazione di legge è quella tra vizi formali e vizi sostanziali.
L'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990 spiega tra le ipotesi di violazione di legge la “violazione di
norme sul procedimento o sulla forma degli atti”, cioè una subcategoria di vizi formali che, a certe
condizioni sono dequotati a vizi che non determinano l'annullabilità del provvedimento.
La disposizione pone le seguenti condizioni: che il provvedimento abbia “natura vincolata”; che
quindi “sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello il
concreto adottato”.
Il secondo periodo dell'art. 21-octies, comma 2, l. n. 241/1990 individua un'ipotesi particolare
costituita dall'omessa comunicazione dell'avvio del procedimento disciplinata dagli artt. 7 ss. della
stessa legge per la quale è previsto un regime in parte ugual in parte diverso. Uguale è
l'operazione richiesta all'interprete e cioè una ricostruzione di ciò che sarebbe stato l'esito del
procedimento dove tutte le norme sul procedimento e sulla forma fossero state rispettate. Se la
conclusione è che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in
concreto adottato, l'atto non può essere annullato.
L'irregolarità del provvedimento, può essere definita come un'imperfezione minore del
provvedimento che non determina la lesione di interessi tutelati dalla norma d'azione. Per
esempio danno origine a irregolarità l'erronea indicazione di un testo di legge o di una data, un
errore nell'intestazione del provvedimento, ecc. L'irregolarità non rende invalido il provvedimento
che è soggetto a regolarizzazione, attraverso la modifica del provvedimento.
6. Violazione delle circolari e delle norme interne, della prassi amministrativa. L'attività della
pubblica amministrazione deve essere posta in essere non solo in corrispondenza con le
disposizioni contenute in leggi, regolamenti e in altre fonti normative, ma anche in
corrispondenza con le norme interne contenute in circolari, direttive, atti di pianificazione o
di altri atti contenenti criteri e principi di vario tipo che hanno come scopo quello di
orientare l'esercizio della discrezionalità da parte dell'organo competente a emanare il
provvedimento.
1. Secondo alcune teorie, esse rilevano essenzialmente come prove indirette dello sviamento
di potere e hanno una valenza essenzialmente processuale. Cioè possono essere ricondotte
allo schema civilistico delle presunzioni.
2. Secondo altre teorie, le figure sintomatiche hanno ormai raggiunto una completa
autonomia dallo sviamento di potere e hanno una valenza sostanziale, prima ancora che
processuale. Cioè esse sono riconducibili a ipotesi di violazione dei principi generali
dell'azione amministrativa e più precisamente dei principi logici e giuridici che dirigono
l'esercizio della discrezionalità.
3. Di recente le figure sintomatiche sono state qualificate come clausole generali (buona fede,
imparzialità) che, analogamente a quanto accade nelle relazioni giuridiche privatistiche,
fanno nascere obblighi comportamentali nell'ambito del rapporto giuridico amministrativo
frapponendosi tra la pubblica amministrazione e il cittadino.
17. La nullità
L'art. 21-septies l. n. 241/1990 prima di tutto individua quattro ipotesi di nullità: la mancanza degli
elementi essenziali; il difetto assoluto di attribuzione; la violazione o elusione del giudicato; gli altri
casi espressamente previsti dalla legge.
1. La mancanza degli elementi essenziali associa la nullità del provvedimento a quella del
contratto (art. 1418, comma 2, cod. civ.), anche se la l. n. 241/1990 non li elenca in modo
preciso.
2. Il difetto assoluto di attribuzione corrisponde alla figura dello straripamento di potere che
avrebbe potuto costituire il primo modello dell'eccesso di potere.
4. La quarta ipotesi di nullità si riferisce ai casi in cui la legge qualifica espressamente come
nullo un atto amministrativo (nullità testuale).
Un'ipotesi di nullità prevista per legge riguarda gli atti adottati da organi collegiali scaduti,
passato il tempo di 45 giorni in cui possono comunque essere posti in essere solo gli atti di
ordinaria amministrazione (legge 15 luglio 1999, n. 444).
Sul versante processuale, l'art. 31, comma 4, Codice del processo amministrativo introduce
un'azione per la declaratoria della nullità che può essere proposta davanti al giudice
amministrativo entro un termine di decadenza breve (180 giorni) e ciò in relazione all'esigenza di
garantire stabilità all'ordine dei rapporti di diritto pubblico. A differenza di quanto accade per
l'annullabilità, la nullità può essere sempre rilevata d'ufficio dal giudice o opposta dalla parte
resistente (pubblica amministrazione).
- L'annullamento d'ufficio. L'annullamento del provvedimento può essere pronunciato oltre che
dal giudice amministrativo in caso di accoglimento del ricorso proposto dal titolare dell'interesse
legittimo, anche in altri contesti e da altri soggetti: dalla stessa amministrazione in sede di esame
dei ricorsi amministrativi, dagli organi amministrativi nominati al controllo di legittimità di alcune
categorie di provvedimenti; dal ministro con riferimento agli atti emanati dai dirigenti ad esso
sottoposti; dal Consiglio dei ministri nei confronti di tutti gli atti degli apparati statali, regionali e
locali.
Il cosiddetto annullamento straordinario da parte del governo previsto dalle disposizioni da ultimo
citate rientra tra gli atti di alta amministrazione ampiamente discrezionali e persegue appunto un
fine specifico, cioè quello di “tutela dell'unità dell'ordinamento” di fronte al rischio che gli enti
territoriali autonomi assumano determinazioni anomale. Proprio per la sua particolare delicatezza,
l'annullamento straordinario richiede l'acquisizione preventiva di un parere del Consiglio di Stato.
Un tale potere, in seguito a una sentenza della Corte Costituzionale (n. 227/1989) non può essere
esercitato nei confronti degli atti delle regioni, data la particolare posizione costituzionale di cui
godono.
L'annullamento d'ufficio è disciplinato in termini generali dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990.
Per far sì che l'amministrazione possa esercitare in modo legittimo il potere di annullamento
d'ufficio devono esistere quattro presupposti esplicitati dall'art. 21-nonies l. n. 241/1990.
1. Il primo è che il provvedimenti sia “illegittimo ai sensi dell'art. 21-octies”, e quindi sia
affetto da un vizio di violazione di legge, di incompetenza o di eccesso di potere, ma non
si deve ricadere in una delle ipotesi del comma 2 dell'articolo in questione.
- La sanatoria. Si parla di sanatoria nei casi in cui l'atto è emanato in mancanza di un presupposto
e quest'ultimo si materializza in un momento successivo, o nei casi in cui un atto della sequenza
procedimentale viene posto in essere dopo il provvedimento conclusivo.
- La conferma e l'atto confermativo. Ci può essere il caso in cui l'amministrazione arriva alla
conclusione che il provvedimento non è affetto da nessun vizio. In questi casi l'amministrazione
emana un provvedimento di conferma.
Nella giurisprudenza si distingue tra conferma, che costituisce un provvedimento amministrativo
autonomo dal contenuto identico di quello oggetto del riesame, e atto semplicemente
confermativo. Con quest'ultimo l'amministrazione si limita a comunicare al privato che chiede il
riesame che non ci sono motivi per riaprire il procedimento e procedere a una nuova valutazione.
- Il recesso dai contratti. L'art. 21-sexies l. n. 241/1990 disciplina anche il recesso unilaterale dai
contratti della pubblica amministrazione prevedendo che esso sia ammesso solo “nei casi previsti
dalla legge o dal contratto”.
Tra le disposizioni legislative che disciplinano in modo specifico il recesso dai contratti c'è quella in
tema di comunicazioni e certificazioni antimafia che lo prevede nei casi in cui emergano tentativi
di infiltrazione mafiosa (art. 4 d.lgs. 8 agosto 1994, n.490).
CAPITOLO V
Il procedimento
Il procedimento amministrativo può essere definito come la “sequenza di atti e operazioni tra loro
collegati funzionalmente in vista e al servizio dell'atto principale”. Esso è prima di tutto una
nozione teorica generale del diritto collegata alle modalità di produzione di un effetto giuridico.
Nello schema già esaminato norma-fatto-effetto, l’effetto giuridico nasce in collegamento, alcune
volte quando si verifica un singolo accadimento (fatto giuridico semplice); a volte quando si
verificano una pluralità di accadimenti (fatti complessi).
Il procedimento amministrativo ha diverse funzioni.
1. Una prima funzione è quella di consentire un controllo sull'esercizio del potere (soprattutto
ad opera del giudice), attraverso una verifica del rispetto della sequenza degli atti e
operazioni normativamente predefinite.
2. Una seconda funzione è quella di far venire fuori e dar voce a tutti gli interessi impressi
direttamente o indirettamente dal provvedimento. Ciò sia nell'interesse
del'amministrazione che può così ricoprire gli squilibri informativi che spesso ci sono nei
rapporti con i soggetti privati, sia nell'interesse di questi ultimi che hanno la possibilità di
rappresentare e difendere il proprio punto di vista. La partecipazione ha così una
dimensione collaborativa.
Questo avviene soprattutto nei procedimenti di tipo individuale in cui il procedimento
determina effetti verso il destinatario.
3. Una terza funzione è quella del contraddittorio (scritto e a volte anche orale) a favore dei
soggetti influiti negativamente dal provvedimento. Essa riguarda soprattutto i procedimenti
individuali, in cui l'amministrazione esercita un potere che determina effetti restrittivi o
limitativi della sfera giuridica del destinatario e il rapporto giuridico si definisce in termini di
contrapposizione, anziché di collaborazione.
Il contraddittorio procedimentale può essere verticale o orizzontale.
4. Una quarta funzione del procedimento è quella di operare da fattore di legittimazione del
potere dell'amministrazione e quindi di promuovere la democraticità dell'ordinamento
amministrativo.
3. In terzo luogo l'amministrazione si apre alle espressioni della società civile. Soprattutto
nei procedimenti di tipo pianificatorio e di programmazione ed esecuzione di grandi
opere pubbliche, che hanno un grande impatto sulle comunità locali e su interessi
come quello ambientale.
5. In quinto luogo, la l. n. 241/1990 elimina l'anonimato che c'era tra cittadino e gli
apparati amministrativi. La figura del responsabile del procedimento personalizza e
“umanizza” il rapporto con i soggetti privati.
In definitiva, la l. n. 241/1990 ha superato il modello autoritario dei rapporti tra Stato e cittadino a
favore di un modello che mette in evidenza i diritti del cittadino che entra in contatto con
l'amministrazione.
La sequenza degli atti e degli adempimenti in cui si articola il procedimento può essere divisa in
varie fasi: l'iniziativa, l'istruttoria, la conclusione.
4. a) L'iniziativa
Prima di tutto bisogna fare una distinzione tra obbligo di procedere e l'obbligo di provvedere. In
base al primo, l'amministrazione competente è tenuta ad aprire il procedimento e a porre in
essere le attività previste nella sequenza procedimentale propedeutiche alla determinazione
finale. Il secondo, una volta aperto il procedimento, impone all'amministrazione di portarlo a
conclusione attraverso l'emanazione di un provvedimento espresso. I due obblighi si deducono
dall'art. 2 l. n. 241/1990.
Nei procedimenti su istanza di parte, l'atto di iniziativa consiste in una domanda presentata
all'amministrazione da un soggetto privato interessato al rilascio di un provvedimento favorevole.
Però non tutte le domande del privato fa nascere l'obbligo di procedere. Infatti, quest'ultimo
nasce solo in base ai procedimenti amministrativi disciplinati nelle leggi amministrative di settore.
In alcuni casi il procedimento è aperto da pubbliche amministrazioni che formulano proposte
all'amministrazione competente.
Nei procedimenti d'ufficio, l'apertura del procedimento avviene da parte della stessa
amministrazione competente a emanare il provvedimento finale. Il problema dei procedimenti
d'ufficio è il momento in cui nasce l'obbligo di procedere. Infatti, in molte situazioni l’apertura
formale del procedimento avviene alla fine di attività cosiddette preistruttorie, condotte sempre
d'ufficio, dai quali nascono situazioni di fatto che portano all'esercizio di un potere.
Tra le attività preistruttorie va incluso il potere di ispezione attribuito della legge ad autorità di
vigilanza (Banca d'Italia, CONSOB) nei confronti di soggetti allo scopo di verificare il rispetto delle
normative di settore. L'ispezione consiste in una serie di operazioni di verifica effettuate tramite un
soggetto privato delle quali si dà atto in un verbale. L'ispezione può concludersi con la
constatazione che l'attività è conforme alle norme, o può far sorgere fatti che presentano qualche
violazione. Solo in quest'ultimo caso l'amministrazione è tenuta ad aprire un procedimento
d'ufficio per constatare la violazione e che può concludersi con l'adozione di provvedimenti
ordinatori o sanzionatori.
L'avvio dei procedimenti d'ufficio di tipo repressivo, inibitorio e sanzionatorio può avvenire anche
in seguito a denunce, istanze o esposti di soggetti privati.
L'amministrazione deve comunicare l'avvio del procedimento prima di tutto (e soprattutto) al
soggetto o ai soggetti destinatari diretti del provvedimento, cioè a coloro “nei confronti dei quali il
provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti” (art. 7l. n. 241/1990).
La comunicazione deve contenere l'indicazione dell'amministrazione competente, dell'oggetto del
procedimento, del nome del responsabile del procedimento, il termine di conclusione del
procedimento e l'ufficio in cui si può prendere visione degli atti (art. 8).
5. b) L'istruttoria
I procedimenti possono avere una struttura semplice o complessa in base al loro oggetto, al
numero e alla natura degli interessi pubblici e privati e quindi dalla necessità di coinvolgere una
pluralità di amministrazioni.
Si parla di: procedimenti autorizzatori semplici in cui la sequenza procedimentale consiste soltanto
in una domanda o istanza presentata dall’interessato in un’istruttoria limitata a poche verifiche
documentali e a una decisione affidata a un’unica autorità; procedimenti che richiedono
accertamenti fattuali, momenti partecipativi, acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con il
coinvolgimento anche nella fase decisionale di una molteplicità di amministrazioni statali, regionali
e locali.
I procedimenti complessi sono spesso articolati all’interno in subprocedimenti sequenziali, i quali
hanno ognuno una unità funzionale autonoma.
In generale, si parla di procedimenti collegati in tutti i casi in cui una pluralità di procedimenti, da
avviare in sequenza o in parallelo, sono funzionali a un risultato unitario. Un esempio di
procedimenti collegati in sequenza è l’espropriazione per pubblica utilità. Un esempio di
procedimenti collegati avviati in parallelo è la realizzazione e la messa in opera di un impianto
industriale.
Poi si possono distinguere i procedimenti di primo grado e i procedimenti di secondo grado. I primi
hanno il fine di emanare provvedimenti amministrativi con effetti esterni e la cura di un interesse
pubblico (es. licenza). Mentre i secondi hanno per oggetto provvedimenti amministrativi già
emanati e per scopo la verifica della loro legittimità e compatibilità con l’interesse pubblico (es.
annullamento d’ufficio).
Un’altra distinzione è tra procedimenti finali e procedimenti strumentali. I primi hanno la funzione
di curare interessi pubblici nei rapporti esterni con i soggetti privati, i secondi hanno una funzione
prevalentemente organizzatoria e riguardano principalmente la gestione dl personale e delle
risorse finanziarie.
Un’ulteriore distinzione è tra procedimento in senso proprio e procedura interna
all’amministrazione. Il primo si riferisce agli atti della sequenza procedimentale che trovano
disciplina nella legge o in una fonte normativa in senso proprio. Invece la procedura interna
riguarda gli atti e gli adempimenti interni dell’amministrazione che sono previsti da regole di tipo
organizzativo o per procedure informali.
3. Il terzo tipo di conferenza di servizi è quella preliminare (art. 14-bis) che può essere
convocata su richiesta motivata di soggetti privati interessati a realizzare progetti di
particolare complessità o di insediamenti produttivi. Il privato sottopone uno studio di
attuabilità alle amministrazioni competenti a rilasciare gli atti autorizzativi, i pareri e le
intese ancor prima di presentare formalmente le istanze necessarie.
Accanto alla conferenza dei servizi l’ordinamento prevede altre forme di coordinamento.
Prima di tutto il Testo unico enuncia il principio di legalità precisando che l’espropriazione “può
essere disposta nei soli casi previsti dalle leggi o dai regolamenti” (art. 2, comma 1).
Il potere espropriativo è attribuito a tutte le amministrazioni (Stato, regioni, comuni) competenti a
realizzare un’opera pubblica (art. 6). Quindi si parla di potere “diffuso” e accessorio (cioè
funzionale alla realizzazione dell’opera).
2. Molte leggi ritengono la fase della dichiarazione di pubblica utilità assorbita e inclusa
in altri atti. Infatti in molti casi la dichiarazione di pubblica utilità è implicita, perché
costituisce uno degli effetti automatici prodotti da alcuni atti come l’approvazione del
progetto definitivo di un’opera pubblica, oppure l’approvazione di un piano di
lottizzazione (art. 12).
La dichiarazione di pubblica utilità ha un’efficacia temporalmente limitata (5 anni,
soggetta a proroga) (art. 13) e prima della scadenza del termine deve intervenire il
decreto di esproprio. La scadenza del termine provoca l’inefficacia della dichiarazione
di pubblica utilità.
- Il procedimento per l’inflizione delle sanzioni di tipo pecuniario è disciplinato dalla legge 24
novembre 1981, n. 689 che distingue più fasi: l’accertamento; la contestazione degli addebiti;
l’ordinazione-ingiunzione.
3. L’autorità procedente, dove ritenga che sia provata la violazione, emana l’ordinanza-
ingiunzione, cioè un provvedimento motivato che determina la somma della sanzione
pecuniaria e impone al trasgressore il pagamento della stessa, insieme alle spese, entro
30 giorni. In caso contrario l’autorità dispone l’archiviazione con ordinanza motivata
comunicata all’organo che ha messo per iscritto il rapporto (art. 18).
L’ordinanza-ingiunzione può anche imporre sanzioni accessorie, come la confisca di
cose, il cui uso costituisce violazione amministrativa (art. 20), o la sospensione di una
licenza (art. 21, ultimo comma).
Il pagamento deve essere effettuato entro 30 giorni dalla notificazione del
provvedimento.
- Una specie di sanzioni amministrative è costituita dalle sanzioni disciplinari previste prima di
tutto per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ma anche per altri soggetti sottoposti a
regimi speciali e poteri di vigilanza attribuiti ad apparati pubblici (es. i promotori finanziari vigilati
dalla CONSOB).
IL d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, recante Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, prevede che il dirigente dell’ufficio o, per le sanzioni
più gravi, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari che vengono a conoscenza di
comportamenti illeciti di un dipendente pubblico devono contestare per iscritto l’addebito “senza
indugio e comunque non oltre venti giorni” (art. 55-bis, comma 2). Il dipendente è convocato con
un preavviso di 10 giorni per esercitare il proprio diritto di difesa con l’eventuale assistenza di un
procuratore o di un rappresentante di un’associazione sindacale (art. 55-bis, comma 2). Il
dipendente può decidere di non presentarsi e può limitarsi a inviare una memoria scritta.
L’amministrazione procede, se necessario, a un’ulteriore attività istruttoria.
Il procedimento si conclude con l’archiviazione o con l’inflizione della sanzione (rimprovero scritto,
licenziamento, sospensione temporanea del servizio), entro 60 giorni dalla contestazione
dell’addebito.
11. c) Le autorizzazioni. Il permesso a costruire
La direttiva 2006/123/CE pone il principio secondo il quale le procedure e le formalità per l’accesso
a un’attività di servizi devono essere “sufficientemente semplici” (art. 5). Gli stati membri devono
istituire sportelli unici presso i quali gli interessati possono eseguire tutte le procedure (art. 6) e
acquisire tutte le informazioni (art. 7).
Un esempio di procedimento autorizzatorio disciplinato dal diritto interno è quello relativo al
rilascio del permesso a costruire disciplinato dal Testo unico in materia edilizia approvato con
d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380 (art. 20).
Il procedimento inizia con la presentazione allo sportello unico per l’edilizia del comune di una
domanda sottoscritta, di regola, dal proprietario.
Entro 10 giorni lo sportello unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del
procedimento. Quest’ultimo cura l’istruttoria acquisendo i pareri degli uffici comunali, nonché altri
pareri come quello dell’Azienda sanitaria locale e dei vigili del fuoco.
All’esito dell’istruttoria, entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del
procedimento formula una proposta al dirigente del servizio che nei successivi 15 giorni rilascia il
permesso a costruire.
Passati tali termini “si intende formato il silenzio-rifiuto” (art. 20, comma 9). L’interessato può a
questo punto proporre un ricorso in sede giurisdizionale.
Per l’amministrazione si pone il problema di come scegliere tra più aspiranti allo stesso bene o
utilità. Alcune indicazioni si ricavano già dalla Costituzione e dal diritto europeo.
Per l’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e più in generale agli uffici pubblici, gli
artt. 51, comma 1, e 97, comma 3, pongono il principio di eguaglianza e il principio di concorso
pubblico.
I procedimenti di tipo competitivo o concorsuale hanno la funzione specifica di selezionare gli
aspiranti a una risorsa scarsa in base ad alcuni principi generali: il principio di pubblicità, che
consente a tutti gli interessati di aver notizia della procedura che sta per essere avviata; il principio
di parità di trattamento che ha lo scopo di mettere sullo stesso piano tutti gli aspiranti; il principio
di trasparenza della procedura, che consente un controllo sulla corretta applicazione dei criteri di
selezione; il principio di oggettività dei criteri, che fa privilegiare, dove possibile, principi di
riferimento che non lasciano spazi di discrezionalità, o che comunque tende a promuovere la non
arbitrarietà dei giudizi valutativi e della formulazione delle graduatorie.
Un esempio di questa tipologia di procedimenti è il concorso per l’accesso agli impieghi pubblici
che costituisce la modalità ordinaria per il reclutamento del personale alle dipendenze delle
pubbliche amministrazioni.
13. e) L’accesso ai documenti amministrativi
Il diritto di accesso ai documenti amministrativi è disciplinato, oltre che dalla l. n. 241/1990, dal
regolamento attuativo approvato con d.p.r. 12 aprile 2006, n. 184.
Il procedimento di accesso è a iniziativa di parte e si apre con la richiesta presentata dal soggetto
interessato.
La richiesta va rivolta a una pubblica amministrazione. Essa può riferirsi soltanto a documenti ben
individuati e già formati.
Il d.p.r. n. 184/2006 distingue due modalità di accesso, formale e informale. L’accesso informale si
può avere quando non ci sono soggetti controinteressati per i quali si ponga un problema di
riservatezza e in questo caso la richiesta può anche essere verbale (art. 5). Essa è esaminata
immediatamente e senza formalità ed è accolta senza l’adozione di un particolare atto, ma tramite
l’esibizione del documento o l’estrazione di copia.
L’accesso formale è necessario nei casi in cui l’amministrazione riscontri l’esistenza di potenziali
controinteressati, o quando nascono dubbi sulla legittimazione del richiedente sotto il profilo
dell’interesse o sulla accessibilità di un documento in base alle norme sull’esclusione e in altre
ipotesi che richiedono una valutazione più approfondita (art. 6, comma 1). La richiesta deve essere
presentata per iscritto e deve indicare gli estremi del documento o gli elementi che consentano di
individuarlo. Inoltre essa deve essere motivata.
Il procedimento di accesso deve concludersi entro 30 giorni dalla richiesta. Finito il termine la
richiesta “si intende respinta” (art. 25, comma 4, l. n. 241/1990). L’atto di accoglimento della
richiesta indica l’ufficio e il periodo di tempo (almeno 15 giorni) concesso per prendere visione o
per ottenere copia dei documenti (art. 7 del d.p.r. n.184/2006).
Il procedimento può concludersi, oltre che con un provvedimento che concede o nega l’accesso,
anche con un provvedimento che dispone il differimento dell’accesso. Infatti, l’accesso non può
essere negato quando possa essere sufficiente far ricorso al potere di differimento. Quest’ultimo si
giustifica nei casi in cui l’accesso possa compromettere il buon andamento dell’azione
amministrativa (art. 24, comma 4, l. n. 241/1990), fermo restando che una volta concluso il
procedimento non c’è alcuna ragione per non rendere disponibile sgli interessati l’intera
documentazione.
Un caso importante di differimento previsto per legge riguarda l’accesso ai documenti nei
procedimenti per l’affidamento di contratti pubblici, in relazione all’esigenza di non
compromettere la regolarità della procedura. Infatti l’art. 13 Codice dei contratti pubblici vieta
l’accesso all’elenco dei soggetti che hanno presentato l’offerta fino alla scadenza del termine per la
presentazione delle offerte.
Contro il diniego espresso o tacito dell’accesso (anche differimento) può essere proposto un
ricorso giurisdizionale entro 30 giorni davanti al giudice amministrativo.
In alternativa al ricorso giurisdizionale, la l. n. 241/1990 prevede un ricorso di tipo amministrativo
attuabile, a seconda dei casi, davanti al difensore civico o alla Commissione per l’accesso ai
documenti amministrativi istituita presso la presidenza del Consiglio dei ministri (art. 25, comma4,
e art. 27) che si devono pronunciare entro 30 giorni. Finito questo termine, il ricorso si intende
respinto e può essere proposto ricorso in sede giurisdizionale.
CAPITOLO VI
I controlli
1. Premessa
La funzione di controllo consiste nel monitorare l’attività posta in essere dalle strutture operative.
È una funzione accessoria e strumentale, cioè al servizio di una funzione principale. Ci sono
numerosi modelli di controllo.
Pr esempio, secondo il codice civile, la società per azioni include tra gli organi essenziali, accanto
all’assemblea e al consiglio di amministrazione, un organo di controllo interno, cioè il collegio
sindacale.
Nel settore del no profit, l’amministrazione delle fondazioni è sottoposta al controllo e alla
vigilanza dell’autorità governativa.
In ambito giuridico il controllo può essere definito come “verificazione di regolarità di una
funzione propria o aliena” o come “un giudizio di conformità a regole, che comporta in caso di
difformità una misura repressiva o preventiva o rettificativa” [Giannini 1974, 1264].
I principali elementi costitutivi del controllo sono: il soggetto titolare del potere di controllo; il
destinatario del controllo; l’oggetto del controllo; il criterio o standard di valutazione; le misure
che possono venire adottate all’esito del controllo.
1. Il soggetto titolare del potere di controllo, a livello statale è la Corte dei conti, cioè un
organo giurisdizionale “che esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del
governo e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e partecipa al
controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”
(art. 100, comma 2). La Corte dei conti è inserita dalla Costituzione tra gli organi
ausiliari del governo (Parte II, Titolo III, Sezione III) ed è composta da magistrati assunti
in massima parte per concorso. La Corte riferisce direttamente alle Camere sul risultato
del riscontro eseguito.
A volte il soggetto titolare del potere di controllo è posto in una posizione di sovra
ordinazione rispetto al destinatario del controllo.
2. I destinatari del controllo possono far parte della stessa organizzazione in cui è fondato
l’organo di controllo e in questo caso si parla di controllo interno, oppure possono
appartenere a un soggetto diverso e si parla di controllo esterno (la Corte dei conti nei
confronti delle ammirazioni statali).
Destinatari dei controlli esterni di tipo amministrativo possono essere sai soggetti
pubblici sia soggetti privati che svolgono determinate attività. In senso generico si parla
di funzione di vigilanza che è attribuita in via continuativa da organi e apparati
appositamente istituiti (aziende sanitarie locali, vigili del fuoco, ecc.). la funzione di
vigilanza ha diversi poteri istruttori (accessi, ispezioni ecc.) e decisori (ordini, sanzioni,
ecc,).
4. Il criterio o standard di valutazione può avere natura tecnica (controlli tecnici) o natura
giuridica (controlli di legittimità). Per il primo un esempio può essere il controllo sulle
scritture contabili di un ente.
5. Le misure che possono essere emanate all’esito del controllo possono essere diverse e
includono orini di adeguamento o di ripristino dello standard violato, annullamento o
riforma di atti, interventi di tipo repressivo, scioglimento dell’organo, ecc.
Il controllo sugli atti può essere preventivo o successivo a seconda che venga esercitato prima o
dopo che l’atto abbia prodotto i suoi effetti. Può essere di legittimità o di merito, a seconda che
l’organo di controllo faccia riferimento a criteri normativi e a principi giuridici, oppure a regole di
opportunità e convenienza.
In caso di esito negativo il controllo di legittimità impedisce all’atto di produrre i suoi effetti, se si
tratta di controllo preventivo; permette l’annullamento dell’atto con la rimozione degli effetti ex
tunc, se si tratta di controllo successivo. Se il controllo è esteso al merito l’autorità che esercita il
controllo può riformare direttamente l’atto oppure indirizzare all’autorità emanante una richiesta
di riesame.
A livello statale, il controllo preventivo di legittimità attribuito alla Corte dei conti è limitato a un
elenco tassativo di atti (art. 3 legge 14 gennaio 1994, n. 20). Si possono ricordare i provvedimenti
emanati con delibera del Consiglio dei ministri, le piante organiche, il conferimento di incarichi
dirigenziali, gli atti normativi a rilevanza esterna. Il procedimento di controllo deve concludersi
entro 60 giorni dal ricevimento dell’atto. In caso di esito negativo del controllo, il ministro può
chiedere al Consiglio dei ministri che l’atto abbia comunque corso e che venga ammesso al
cosiddetto visto (o registrazione) con riserva: così l’atto acquista efficacia nonostante l’illegittimità
rilevata dalla Corte dei conti che però ne dà comunicazione al parlamento.
Il controllo sull’attività ha per oggetto la gestione di un apparato considerato nel suo complesso e
ha lo scopo di valutarne i risultati globali. Si tratta i un controllo successivo che può avere diversi
oggetti, in particolare, la regolarità contabile e finanziaria della gestione e l’efficienza, l’efficacia e
l’economicità.
A livello centrale, in attuazione dell’art. 100, comma 2, Cost., la Corte dei conti svolge il controllo
successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio delle amministrazioni pubbliche. Cioè
verifica la legittimità e la regolarità delle gestioni, accertando la conformità dei risultati dell’attività
amministrativa agli obiettivi stabiliti dalla legge e valuta comparativamente costi, modi e tempi
dello svolgimento dell’attività amministrativa (art. 3, comma 4, l. n. 20/1994). La Corte verifica
anche il funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione, cosi creando un legame
tra controlli interni e controlli esterni.
3. I controlli gestionali
La specie principale di controlli interni delle pubbliche amministrazioni sono i controlli gestionali.
La disciplina generale è presente nel d.lgs. 30 luglio 1999, n. 286 ed individua quattro tipi di
controllo interno che devono essere introdotti in tutte le pubbliche amministrazioni statali e non
statali: il controllo di regolarità amministrativa e contabile, il controllo di gestione, la valutazione
della dirigenza pubblica, la valutazione e controllo strategico.
3. Il terzo tipo di controllo ha per oggetto la valutazione della dirigenza pubblica (art. 1,
comma 1, lett. c)). Esso è operato con periodicità annuale e consente nella valutazione
delle prestazioni dei dirigenti e delle competenze organizzative, anche sulla base dei
risultati del controllo di gestione. Questo tipo di controllo ha la funzione di far valere la
responsabilità di tipo dirigenziale che costituisce una particolare forma di
responsabilità prevista per figure dirigenziali. Per esempio essa può determinare il
mancato rinnovo dell’incarico.
1. Premessa
I modelli di responsabilità della pubblica amministrazione affermatisi a livello europeo sono due. Il
primo, adottato in Gran Bretagna, si fonda sul principio della responsabilità personale del
dipendente pubblico nei confronti dei terzi danneggiati, responsabilità che entro certi limiti può
essere estesa dalla legge agli apparati al servizio dei quali opera il dipendente. Il secondo modello,
adottato in Germania, si fonda sul principio opposto alla responsabilità oggettiva indiretta
dell’apparato.
Il modello di responsabilità della pubblica amministrazione e dei suoi agenti riferita a semplici
comportamenti tiene distinti tre rapporti fondamentali: il rapporto tra terzo danneggiato e il
dipendente pubblico che ha posto in essere il comportamento illecito; il rapporto tra il terzo
danneggiato e la pubblica amministrazione in cui è fondato il dipendente pubblico, il rapporto
interno tra dipendente e amministrazione di appartenenza.
In primo luogo, la responsabilità del funzionario e dell’amministrazione per danni provocati a terzi
è una responsabilità diretta di tipo solidale. Il danneggiato può scegliere liberamente se agire
contro il dipendente, contro l’amministrazione o contro entrambi (art. 22 Testo unico sugli
impiegati dello Stato).
In secondo luogo, l’area della responsabilità della pubblica amministrazione è più grande di quella
della responsabilità del dipendente. Infatti, la responsabilità personale di quest’ultimo per danni
provocati nell’esercizio delle funzioni alle quali è preposto è limitata ai casi di dolo e colpa grave
(art. 23 Testo unico).
In terzo luogo, l’amministrazione che abbia risarcito il terzo del danno cagionato dal dipendente
può esercitare un’azione di regresso contro quest’ultimo secondo i principi della responsabilità
amministrativa (art. 22 Testo unico).
Bisogna distinguere l’illecito riferito a semplici comportamenti degli agenti della pubblica
amministrazione e illeciti conseguenti l’emanazione di provvedimenti amministrativi.
Quest’ultimo rientra nella categoria di danni conseguenti a un incidente stradale causato da un
automezzo militare; quelli subiti da uno scolaro non sorvegliato adeguatamente dall’insegnante,
ecc.
La condotta illecita deve essere imputabile all’agente in base all’art. 2046 cod. civ., che esclude che
l’imputabilità in caso di incapacità di intendere e di volere al momento in cui la condotta è stata
posta in essere. Inoltre deve essere riferibile all’amministrazione in base al rapporto di
immedesimazione organica. Quest’ultimo può spezzarsi solo nei casi in cui il dipendente agisce per
scopi personali ed egoistici al di fuori delle propri doveri.
Cioè affinché nasca la responsabilità occorre un legame di “occasionalità necessaria” tra attività
illecita e mansioni del dipendente e a questo scopo occorre verificare se il comportamento
colposo o anche doloso sia comunque riconducibile a un interesse dell’amministrazione.
Analizzando il requisito della colpa bisogna soffermarsi sul rapporto tra colpa e discrezionalità. La
giurisprudenza afferma il principio secondo cui il potere discrezionale dell’amministrazione
incontra un limite, non soltanto nelle disposizioni di legge e di regolamento che stabiliscono
determinate modalità di comportamento, ma anche nelle comuni regole di diligenza e prudenza.
La Corte di cassazione ha operato una nuova interpretazione della nozione di “danno ingiusto” ex
art. 2043 cod. civ. Per la sua applicazione l’art. 2043 non richiede che si rinvengano altre norme
primarie che hanno divieti e costitutive di diritti, ma pone direttamente il criterio per stabilire se il
danno possa essere qualificato come “ingiusto”. Non ha più importanza determinare la
qualificazione formale della situazione giuridica soggettiva del danneggiato in termini di diritto
soggettivo, ma è sufficiente che in capo al danneggiato sia riscontrabile “la lesione di un interesse
giuridicamente rilevante”.
Bisogna valutare quando un interesse è giuridicamente rilevante. Non tutti gli interessi legittimi
sono risarcibili.
1. Nel caso di interessi legittimi pretensivi, la cui lesione può derivare sia dal rifiuto
illegittimo del provvedimento favorevole richiesto, sai dal ritardo ingiustificato
nell’adozione di quest’ultimo, il collegamento con il bene della vita è meno automatico
e richiede una valutazione più complessa.
La responsabilità della pubblica amministrazione nel diritto europeo può essere analizzata da due
punti di vista: la responsabilità degli organi dell'Unione europea nei confronti dei terzi in relazione
all'attività giuridica posta in essere in contrasto con il diritto europeo; la responsabilità degli Stati
membri nei confronti dei terzi in relazione alla violazione del diritto europeo.
2. Per la responsabilità degli stati membri è importante la sentenza Francovich (19 novembre
1991, in cause riunite C-6 e 9/90). Il caso riguardava il mancato accoglimento da parte della
Repubblica italiana di una direttiva europea (80/987/CEE) entro il termine prescritto.
La sentenza enuncia tre presupposti in presenza dei quali può nascere una tale
responsabilità: che la direttiva comporta l'attribuzione di diritti a favore dei singoli; che i
contenuti di questi diritti posa essere individuato sulla base della direttiva stessa; che esiste
un legame di casualità tra la violazione dell'obbligo a carico dello Stato e il danno subito dai
soggetti lesi.
La sentenza Lomas del 23 maggio 1996, in causa C-5/94 stabilisce il principio secondo il
quale la responsabilità dello stato può nascere non solo in base a un atto normativo, ma
anche a un atto amministrativo adottato in violazione del diritto europeo.
6. La responsabilità amministrativa
Quando l’amministrazione deve risarcire un terzo del danno provocato dal comportamento
illecito, la somma corrisposta al terzo costituisce un danno all’erario del quale l’amministrazione si
rivale sul proprio dipendente (danno erariale cosiddetto indiretto). A parte questo, la
responsabilità amministrativa riguarda ogni genere di danno causato all’amministrazione dal
proprio dipendente che determini una diminuzione patrimoniale o un mancato incasso dello Stato
(danno erariale diretto). Esempi di danno erariale sono i danni arrecati ad attrezzature e
macchinari dell’amministrazione, consulenze non necessarie affidate a professionisti esterni, ecc.
La responsabilità amministrativa ha una finalità essenzialmente risarcitoria, ma in alcuni casi
particolari viene fuori anche una finalità sanzionatoria.
Questo tipo di responsabilità, sotto il profilo soggettivo, viene applicato ai funzionari, impiegati,
agenti pubblici e amministratori delle amministrazioni pubbliche statali e non statali e di enti
pubblici (aziende sanitarie locali, enti parastatali, ecc.).
La Corte di cassazione (Sezioni Unite 19 dicembre 2009, n. 26806) ha affermato in linea di principio
che le società pubbliche non rientrano nell’area della pubblica amministrazione.
Sotto il profilo oggettivo, la responsabilità nasce in relazione “ai fatti ed alle omissioni commessi
con dolo e colpa grave” (art. 1, comma 1, l. n. 20/1994).
Il “danno obliquo” (art. 1, comma 4, l. n. 20/1994) può venir fuori nel caso di un dipendente
pubblico distaccato o comandato presso un’altra amministrazione, o nel caso di un componente di
un consiglio di amministrazione di un ente pubblico nominato da un ministero o altro ente.
Il diritto al risarcimento del danno si stabilisce in 5 anni dalla data in cui il fatto si è verificato, o , in
caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta (art. 1, comma 2, l. n.
20/1994).
Ai fini della quantificazione del danno erariale, vanno valutati la diminuzione patrimoniale o la
mancata entrata in parte dell’amministrazione. Al danno patrimoniale si aggiunge in alcuni casi il
danno all’immagine dell’amministrazione, per esempio nel caso di riscossione di tangenti da parte
di amministratori per il compimento di atti in violazione dei doveri d’ufficio.
Sotto il profilo processuale, la responsabilità amministrativa viene accertata in un giudizio davanti
alla Corte dei conti. L’iniziativa processuale spetta alla Procura regionale della Corte dei conti
competente. La Procura agisce d’ufficio o anche su denunzia dei direttori generali e dei capi di
servizio che vengono a conoscenza di fatti soggetti a costituire un illecito erariale (art. 53 testo
unico Corte dei conti).
CAPITOLO VIII
L'organizzazione
L'organizzazione può essere definita come una unità di persone, strutturata e gestita su base
costitutiva allo scopo di perseguire scopi comuni che i singoli non sarebbero in grado di
raggiungere individualmente. Ogni organizzazione ha una propria struttura gestionale che
stabilisce le relazioni tra le funzioni e i ruoli e attribuisce compiti e responsabilità ai singoli
appartenenti. C'è una distinzione tra organizzazioni informali o di fatto (clan, gruppo sportivo, ecc.)
e organizzazioni formali o di diritto (partito politico, fondazione, ecc.).
L'organizzazione politica è disciplinata nel nostro ordinamento da una pluralità di fonti che
regolano la struttura degli apparati amministrativi in modo molto preciso rispetto alle
organizzazioni private (associazioni, società, fondazioni).
L'organizzazione delle pubbliche amministrazioni è citata nella Costituzione che esprime alcuni
principi generali: il principio del buon andamento, il principio di imparzialità, il principio
autonomistico.
Prima di tutto l'art. 97 Cost. contiene una riserva di legge relativa connessa all'organizzazione dei
pubblici uffici e fonda i primi due principi sopra detti (comma 1).
1. Il principio del buon andamento è citato anche dalla Carta dei diritti fondamentali
dell'Unione europea che richiama “il diritto a una buona amministrazione” (art. 41). In
esso ci sono diverse disposizioni legislative, come il divieto di aggravare il procedimento
con adempimenti non necessari, la tempestività dell'azione amministrativa, il
reclutamento del personale in base a concorso e secondo le esigenze effettive
rappresentate nelle piante organiche, ecc.
3. La Costituzione pone anche il principio autonomistico (art. 5) che ispira i rapporti tra Stato
e enti territoriali. Esso va oltre il centralismo amministrativo e in cui lo Stato è superiore
ad ogni altro apparato amministrativo. L'art. 114 rende chiaro che la Repubblica è
composta, oltre allo Stato, dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle
regioni, definiti come “enti autonomi” (art. 114, comma 2). Questo principio ha effetti su
diversi punti: autonomia statutaria, titolarità di funzioni proprie distribuite in base al
principio di sussidiarietà verticale (art. 118), autonomia finanziaria di entrata e di spesa
(art. 119), potestà legislativa e regolamentare (art. 117).
La teoria dell'organizzazione si basa su tre concetti: persona giuridica, organo (e ufficio), persona
fisica titolare dell'organo.
2. Per instaurare rapporti esterni, le persone giuridiche utilizzano gli organi, che possono
essere definiti come centri di imputazione giuridica di competenza: la persona fisica
titolare dell'organo ha il potere di esprimere la volontà della persona giuridica attribuendo
ad essa l'atto e gli effetti da esso prodotti. Tra persona fisica e persona giuridica c'è un
rapporto di immedesimazione (organica), nel senso che per mezzo della persona fisica
nominata all'organo è la stessa persona giuridica che vuole e agisce.
Rispetto all'immedesimazione organica, la rappresentanza stabilisce un legame meno
forte perché l'atto è riferibile solo al rappresentante, mentre gli effetti dell'atto, sempre
che esso rientri nei limiti della facoltà conferite al rappresentato, si attribuiscono
direttamente a quest'ultimo. Se il rappresentante agisce senza averne i poteri o andando
oltre il limite della procura, l'atto e i suoi effetti non si attribuiscono al rappresentato, salvo
l'eventuale ratifica (artt. 1398 e 1399 cod. civ.).
Le persone giuridiche utilizzano per la propria attività, oltre agli organi, gli uffici (o servizi),
cioè unità operative interne definite da organigrammi, dotate degli strumenti necessari
(locali, attrezzature, ecc.), alle quali sono addette una o più persone fisiche.
A differenza degli organi, gli uffici svolgono un'attività che rilevanza semplicemente
interna e natura strumentale rispetto a quella degli organi in senso proprio.
3. Gli organi e gli uffici agiscono tramite persone fisiche. Alcune di esse ne divengono titolari;
altre fanno parte del personale addetto che svolge l'attività di supporto al titolare
dell'organo o dell'ufficio.
L'assegnazione di una persona fisica a un organo o un ufficio, nel caso delle organizzazioni
pubbliche, richiede un atto formale: la cosiddetta investitura nel caso del titolare, o
l'assegnazione in altri casi. L'atto è emanato a volte da vertici dell'apparato o anche, a
livello meno elevati, dal dirigente dell'ufficio del personale.
L'atto formale di investitura o di assegnazione stabilisce il rapporto di immedesimazione
organica tra la persona fisica e l'organo o ufficio. In questo modo la persona fisica è
assegnata all'organo o ufficio e la sua attività è direttamente imputabile a quest'ultimi e di
conseguenza alla persona giuridica.
Il rapporto di immedesimazione organica tra persona fisica, organo o ufficio e persona
giuridica è un rapporto interno di tipo organizzatorio. Però la persona fisica è legata alla
persona giuridica anche da un rapporto esterno, cioè dal cosiddetto rapporto di servizio (o
d'impiego). Quest'ultimo è un rapporto giuridico bilaterale che contiene dei diritti
(compenso, ferie, ecc.) e degli obblighi assunti dal dipendente nei confronti del titolare del
lavoro. Si tratta di un rapporto che è disciplinato da un contratto individuale di lavoro in
applicazione di un contratto collettivo.
Il funzionario di fatto è colui che anche in assenza di un'investitura formale esercita di
fatto funzioni pubbliche.
1. Gli organi possono essere interni o esterni. Gli organi esterni sono gli strumenti attraverso
i quali la persona giuridica opera nei rapporti con altri soggetti dell'ordinamento. Tuttavia
l'organizzazione degli apparati pubblici è sottoposta a una disciplina giuridica e gli uffici in
cui essi è articolata pongono in essere atti che, anche se non sono rilevanti nei confronti di
terzi, assumono un'importanza giuridica interna e sono imputabili alla persona giuridica.
Per questo alcuni uffici possono essere qualificati come organi interni.
2. Gli organi e uffici possono essere necessari e non necessari, a seconda che la loro
istituzione sia prevista come obbligatoria dalle norme che disciplinano l'organizzazione
dell'ente.
3. In terzo luogo gli organi possono essere monocratici o collegiali. Nel primo caso all'organo
è attribuita una sola persona fisica che ne assume la titolarità (es. il ministro, il sindaco del
comune, ecc.). Nel secondo caso, ad esso è attribuita una pluralità di persone fisiche che
esprimono la volontà dell'apparato attraverso delibere assunte sulla base di un
procedimento formale. Quest'ultimo è disciplinato da norme che hanno termini per la
convocazione, l'ordine del giorno, il quorum costitutivo, il quorum deliberativo, la
verbalizzazione, ecc.
Le modalità previste per la nomina dei componenti dell'organo collegiale variano a
seconda dei casi.
Gli organi collegiali costituiscono collegi perfetti (o reali) quando è previsto che essi
possono operare legittimamente solo se sono presenti tutti i componenti (es. commissioni
di concorso), anziché la metà più uno dei componenti (quorum costitutivo).
Anche la nomina dei titolari degli organi monocratici in alcuni casi è elettiva (sindaco,
presidente della Camera di commercio, ecc.); in altri casi è affidata a uno o più soggetti
esterni (i ministeri); in altri casi ancora agli stessi organi collegiali.
4. In base al tipo di funzioni esercitate, gli organi e uffici possono essere: attivi, quando fanno
sia atti amministrativi collegati alle funzioni proprie dell'ente, sia le attività materiali (vigili
del fuoco, ecc.); consultivi, quando esprimono pareri tecnici o giuridici; di controllo (es.
strutture attribuite ai controlli di gestione).
Si fa distinzione anche tra organi ordinari e straordinari; uffici semplici e uffici complessi,
quest'ultimi composti da diversi uffici semplici; uffici centrali e periferici; organi e uffici
amministrativi e tecnici a seconda che svolgono attività che richiedono o no particolari
conoscenze tecniche.
3. Le amministrazioni pubbliche
1. Un primo insieme di norme speciali pubblicistiche è contenuto nel d.lgs. n. 165/2001 che
pone la disciplina generale dell'organizzazione degli uffici pubblici e dei rapporti di lavoro.
L'art. 1, comma 2, definisce l'ambito di applicazione delle norme facendo un elenco che
include tutte le amministrazioni e agenzie dello Stato, gli enti territoriali (regioni, province,
comuni), una serie di enti pubblici (università, enti del servizio sanitario) che non rientrano
tra gli enti pubblici non economici.
La definizione esaminata però non coincide con quella di pubblica amministrazione posta
a livello europeo a proposito della libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione
europea. L'art. 45, comma 4, TFUE esclude l'applicazione di questa libertà “agli impieghi
nella pubblica amministrazione”.
3. Un terzo insieme di norme pubblicistiche riguarda i contratti per l'acquisto di beni, servizi
e lavori. Esse sono contenute nel Codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. 12
aprile 2006, n. 163.
I criteri principali per individuare le amministrazioni pubbliche e per distinguerle dal settore delle
imprese derivate dal regolamento sono: deve trattarsi di enti che producono beni e servizi che non
siano destinati alla vendita sul libero mercato; i beni e i servizi devono essere invece messi a
disposizione della collettività gratuitamente; l'attività dell'ente deve essere finanziata soprattutto
dalle finanze pubbliche; infine la funzione principale di essi deve essere quella di retribuzione del
reddito e della ricchezza del Paese.
L'elenco dell'ISTAT, in base a questi criteri, pubblicato in Gazzetta Ufficiale, divide le
amministrazioni pubbliche per tipologie: enti di regolazione dell'attività economica, agenzie, enti a
struttura associativa, ecc.
In definitiva, da qui si ricava la nozione di pubblica amministrazione, la quale caratteristica è quella
di produrre beni pubblici materiali o immateriali, cioè quelli che il mercato non è in grado di
garantire in modo adeguato (ordine pubblico, sicurezza, difesa, ecc.) con scopi anche redistributivi.
Il finanziamento di questa attività è posto a carico della collettività attraverso la tassazione.
Queste attività possono consistere, a seconda delle funzioni attribuite alla singola
amministrazione, sia nell'emanazione di atti o provvedimenti amministrativi, sia in attività
materiali (prestazioni sanitarie, istruzione scolastica, ecc.), sia in erogazione di denaro (trattamenti
pensionistici, contributi finanziari alle imprese, ecc.).
4. Lo Stato
Lo Stato è da sempre l'amministrazione pubblica per eccellenza. Fin dalla riforma di Cavour (legge
23 marzo 1853, n. 1483 e r.d. 23 ottobre 1853, n. 1611), la struttura amministrativa principale
dello Stato è costituita dai ministeri.
In base all'art. 95, comma 4, Cost. spetta alla legge determinare il numero, le attribuzioni e
l'organizzazione dei ministeri. La disciplina generale dei ministeri è contenuta nel d.lgs. 30 luglio
1999, n. 300. esso contiene l'elenco completo dei ministeri (art. 2), pone una disciplina generale
della loro organizzazione centrale e periferica (incluse le agenzie), specifica le attribuzioni le
principali aree funzionali dei singoli ministeri. Ogni ministero è disciplinato poi da un regolamento
governativo (art. 17, comma 4-bis, l. n. 400/1990) che ne specifica l'organizzazione, prevede la
dotazione organica, individua gli uffici di livello dirigenziale generale.
Accanto ai ministeri indicati dal d.lgs. 300/1999 possono essere addetti a singoli uffici o
dipartimenti della presidenza del Consiglio dei ministri, i cosiddetti ministri senza portafoglio con
funzioni delegate dal presidente del Consiglio dei ministri (es. dipartimento per la funzione
pubblica e l'innovazione).
L'organizzazione dei ministeri è di due tipi a seconda che siano formati da dipartimenti o da
direzioni generali.
I dipartimenti assicurano l'esercizio organico e integrato di funzioni e compiti finali riguardanti
grandi aree di materie omogenee (art. 5 d.lgs. n. 300/1999). Ad essi è addetto un capo
dipartimento che coordina gli uffici di livello dirigenziale generale compresi nel singolo
dipartimento. L'incarico di capo dipartimento, è dato con un procedimento che coinvolge i vertici
istituzionali dell'ordinamento (decreto Presidente della Repubblica, dopo la deliberazione del
Consiglio dei ministri, art. 19, comma 3, d.lgs. n. 165/2001).
I ministeri strutturati in direzioni generali possono prevedere come figura di coordinamento un
segretario generale.
In tutti i ministeri ci sono uffici di diretta collaborazione con il ministro (gabinetto, segreteria
tecnica).
Fanno parte dell'organizzazione di alcuni ministeri anche strutture periferiche, che realizzano il
cosiddetto decentramento burocratico. Per esempio i provvedimenti agli studi, la direzione
provinciale del tesoro.
Dal punto di vista descrittivo, si distinguono i ministeri con funzioni di ordine (Interno, Difesa,
Giustizia, Esteri), con funzioni economiche e finanziarie (Sviluppo, economico, Politiche agricole,
alimentarie forestali), con funzioni di servizio sociale e culturale (Salute, Istruzione, Università e
Ricerca), con funzioni che riguardano le infrastrutture e i servizi collettivi (Infrastrutture e
Trasporti).
Ogni ministero ha una propria pianta organica, è titolare di fondi propri nell'ambito del bilancio
dello Stato, ha un'autonomi di spesa, può assegnare una alcuni beni mobili e immobili. In ciascun
ministero opera un ufficio particolare, la ragioneria centrale che dipende organizzativamente e
funzionalmente dalla ragioneria generale dello Stato, collocata presso il ministero dell'Economia e
delle Finanze.
Fanno parte dell'organizzazione dei ministeri le agenzie, definite dal d.lgs. n. 300/1999 come
strutture che servono a svolgere attività di carattere tecnico-operativo di interesse nazionale (art.
8). esse hanno un'autonomia operativa, ma sono sottoposte ai poteri di indirizzo e di vigilanza di
un ministro. Hanno un organico e un bilancio propri. Sono disciplinate da uno statuto approvato
con regolamento governativo.
Una specie particolare di agenzia è costituita dalle agenzie fiscali (artt. 10 e 61 ss.), cioè l'Agenzia
delle entrate, che riscuote i tributi, l'Agenzia delle dogane, che riscuote i diritti doganali e altre
imposte, l'Agenzia del territorio, che si occupa dei servizi relativi al catasto e l'Agenzia del
demanio.
Alcuni ministeri hanno istituito al proprio interno, a partire dal secolo scorso, strutture, definite
come aziende, che hanno un'autonomia operativa e che s volgono l'esercizio di attività di
erogazione di servizi pubblici (azienda di Stato per i servizi telefonici).
La presidenza del Consiglio dei ministri, disciplinata dal d.lgs. n. 303/1999, è composta da una serie
di dipartimenti (es. dipartimento per gli affari giuridici legislativi, ecc.) e uffici posti alle dipendenze
di un segretario generale che ha il compito di gestire le risorse umane e strumentali (art. 7 d.lgs. n.
303/1999). Le strutture della presidenza si occupano dei rapporti con il Parlamento, con gli organi
costituzionali, con le istituzioni europee e con il sistema delle autonomie, il coordinamento
dell'attività amministrativa del governo, la promozione delle pari opportunità (art. 2 d.lgs. n.
303/1999).
Alla presidenza del Consiglio dei ministri, e in particolare, al segretario generale, attiene, per gli
aspetti organizzativi, l'avvocatura dello Stato. Si tratta di un organo ausiliario di livello non
costituzionale che ha due funzioni: di consulenza generale, in alcuni casi obbligatoria; di
rappresentanza legale in giudizio delle amministrazioni statali. Essa è articolata nell'avvocatura
generale, situata a Roma, e nelle avvocature distrettuali, situate nei capoluoghi regionali dove
hanno sede le Corti di appello.
Secondo l’art. 114 Cost. la Repubblica è costituita, oltre che allo Stato, dai comuni, dalle province,
alle città metropolitane e dalle regioni, definiti come enti autonomi con propri statuti, poteri e
funzioni.
Lo Stato ha il potere legislativo esclusivo in tema di legislazione elettorale, di organi di governo e di
funzioni fondamentali di comuni, province e città metropolitane (art. 117, comma 2, lett. p), Cost.).
Inoltre la Costituzione gli organi fondamentali delle regioni (consiglio regionale, giunta,
presidente), definendone le funzioni principali (art. 121). I principi fondamentali per l’assegnazione
delle funzioni tra i vari livelli di governo sono la sussidiarietà (verticale), la differenziazione e
l’adeguatezza (art. 118 Cost.). Inoltre è garantita autonomia finanziaria di entrata e di spesa,
inclusa l’applicazione di tributi propri (art. 119).
Il rapporto che c’è tra Stato, regioni ed enti locali non è a cascata, ma triangolare, visto che i
comuni intrattengono rapporti istituzionali diretti con lo Stato, senza l’intervento delle regioni.
Dal punto di vista del diritto amministrativo, gli enti locali e le regioni sono una particolare
categoria di enti pubblici. In primo luogo si tratta di enti territoriali necessari, nel senso che essi
sono istituiti obbligatoriamente in tutto il territorio nazionale. In secondo luogo, sono enti ad
appartenenza necessaria, perché ogni cittadino, in base al criterio della residenza, trova un
riferimento stabile in ognuno di essi (es. esercizio di voto). In terzo luogo, sono enti a competenza
generale, perché possono curare gli interessi della popolazione di riferimento con grande libertà.
In quarto luogo, si tratta di enti integralmente inseriti nell’ordinamento amministrativo poiché
tutti i loro atti normativi e non normativi sono sempre e necessariamente atti formalmente
amministrativi la sola eccezione è costituita dalle leggi regionali.
Gli enti locali sono disciplinati dal Testo unico approvato con d.lgs. n. 367/2000. Partiamo dai
comuni.
1. Il comune viene definito, dal Testo unico, come l’ente locale che rappresenta la comunità,
ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo (art. 2 del Testo unico d.lgs. n. 267/2000).
Le funzioni dei comuni vengono date nelle varie materie con legge statale o con legge
regionale (art. 3, comma 5, d.lgs. n. 167/2000). I comuni esercitano anche alcune funzioni
statali (anagrafe, stato civile, ecc.) (art. 14 e 54). Al sindaco viene attribuita la qualifica di
ufficiale di governo.
L’autonomia dei comuni si manifesta prima di tutto tramite il potere statutario. Lo statuto,
approvato dal consiglio comunale a maggioranza qualificata, stabilisce le norme
fondamentali dell’organizzazione dell’ente e specifica le attribuzioni degli organi, le forme
di collaborazione tra comuni e province, la partecipazione popolare, l’accesso dei cittadini
alle informazioni e ai procedimenti amministrativi (art. 6, comma 2, Testo unico).
Le funzioni principali dei comuni sono quelle che riguardano i servizi alla persona e alla
comunità (anziani, tossicodipendenti, disabili, ecc.), la polizia locale (vigilanza in materia di
commercio, edilizia, ambiente, ecc.), l’ordinamento e utilizzazione del territorio
(pianificazione urbanistica, ecc.), le infrastrutture (strade, ecc.), i trasporti e la circolazione
stradale, l’ambiente, lo sviluppo economico, i servizi pubblici locali.
Sotto il profilo organizzativo, gli organi di governo del comune sono il consiglio, la giunta e
il sindaco (art. 36 d.lgs. n. 267/2000).
Il consiglio comunale è composto da un numero variabile di consiglieri eletti con un
sistema proporzionale. Il sindaco è eletto direttamente dal corpo elettorale per non più di
due mandati quinquennali (art. 51 testo unico). E’ titolare della maggior parte dei poteri
comunali.
La giunta è composta dal sindaco e da un numero variabile di assessori nominati da
quest’ultimo anche al di fuori dei componenti del consiglio (art. 46). La giunta collabora
con il sindaco ed è titolare di tutte le competenze che non spettano al consiglio e al
sindaco (art. 48).
In tutti i comuni, accanto agli organi di governo c’è un segretario comunale che ha compiti
di collaborazione e di assistenza giuridico-amministrativa (art. 97, comma 2).
Il direttore generale è una figura presente soltanto nei comuni con una popolazione
superiore ai 15000 abitanti. E’ nominato con delibera dalla giunta ed è assunto con un
contratto a tempo indeterminato al di fuori della pianta organica. Funge da accordo tra gli
organi di governo dell’ente e la dirigenza.
I dirigenti degli enti locali sono addetti agli uffici e ai servizi e sono responsabili della
gestione amministrativa, finanziaria tecnica, con autonomi poteri di spesa, di
organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.
Nei comuni può essere istituito anche il difensore civico. Si tratta di un ufficio, che è
indipendente all’interno dell’ente e che svolge compiti di garanzia di imparzialità e del
buon andamento della pubblica amministrazione (art. 11).
Per favorire la cooperazione tra comuni, il Testo unico prevede le convenzioni che hanno
per oggetto l’esercizio coordinato di funzioni e servizi (art. 30), i consorzi, istituti per
l’esercizio associato di funzioni e amministrati da un assemblea rappresentativa degli enti
associati e da un consiglio di amministrazione (art. 31), le unioni di comuni per l’esercizio
in comune di una serie di funzioni (art. 32).
2. Le province sono enti intermedi tra i comuni e le regioni. Il Testo unico applica ad esse
gran parte delle disposizioni previste per i comuni. Esse sono hanno funzioni
amministrative limitate a pochi settori svolgono soprattutto funzioni di programmazione.
Le funzioni amministrative riguardano principalmente i settori della viabilità e dei
trasporti, la difesa del suolo e la tutela dell’ambiente, l’igiene e la profilassi pubblica,
l’istruzione secondaria, lo smaltimento dei rifiuti (art. 19 d.lgs. n. 267/2000). I compiti di
programmazione includono l’emanazione di programmi propri, la partecipazione alle
procedure di programmazione regionale, il coordinamento della pianificazione dei comuni
(art. 20 d.lgs. n. 267/2000).
Gli organi di governo delle province sono costituiti dal consiglio provinciale, che è l’organo
di indirizzo politico amministrativo, dalla giunta e dal presidente della provincia, eletto
direttamente dal corpo elettorale locale.
Il territorio delle province fa anche in molti casi da perimetro delle competenze esercitate
dagli uffici periferici delle amministrazioni statali (es. le prefetture e le questure).
3. Per quanto riguarda le regioni, la cui organizzazione è quasi uguale a quella degli enti
locali, ha come organi di governo il consiglio regionale, la giunta, il presidente (art. 121
Cost.), quest’ultimo eletto direttamente dalla popolazione. Le regioni possono disciplinare
con legge regionale il sistema di elezione, anche se nei limiti dei principi fondamentali
stabiliti con legge statale (art. 122), e individuare nello statuto la forma di governo e i
principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento (art. 123).
Un controllo sugli organi di governo regionale è previsto direttamente dalla Costituzione.
Infatti, l’art. 126, comma 1, Cost. prevede che con decreto motivato del presidente della
Repubblica possa essere sciolto il consiglio regionale e rimosso il presidente della giunta
per atti contrari alla Costituzione, per gravi violazioni di legge, o per motivi di sicurezza
nazionale. Di recente, sono stati rafforzati i poteri di controllo della Corte dei conti sulla
gestione finanziaria degli organi regionali.
In generale, in base all’art. 120, comma 2, Cost. il governo è titolare di un potere
sostitutivo nei confronti di organi della regione, ma anche degli enti locali, quando non
vengono rispettate le norme e i trattati internazionali o della normativa comunitaria o di
pericolo grave per l’incolumità e sicurezza pubblica o quando lo richiedono la tutela
dell’unità giuridica dell’ordinamento. Come si è già detto, il governo può annullare
d’ufficio gli atti amministrativi di tutte le amministrazioni pubbliche, inclusi gli enti
territoriali, a tutela dell’unità dell’ordinamento (art. 2, comma 3, lett. p), l. n. 400/1988).
A partire dal XX secolo, accanto allo Stato e agli enti territoriali, vennero istituiti numerosi enti
pubblici, diversi per struttura, funzioni, poteri e ambiti di autonomia (statutaria, organizzativa,
ecc.). La crescita degli enti pubblici , per superare la pesantezza dello stato, diede origine a quella
che venne definita l’amministrazione parallela [Melis 1996].
Ci sono varie tipologie di enti pubblici.
1. Una prima distinzione è tra enti disciplinati da leggi generali che ne definiscono i caratteri
comuni ed enti pubblici di tipo singolare, istituiti con una legge ad hoc. I primi, per
esempio, sono le camere di commercio, industria e artigianato, le aziende sanitarie locali,
ecc. una legge generale è necessaria per assicurare una omogeneità di struttura ad enti
che sono su tutto il territorio nazionale.
Tra gli enti a statuto singolare ci sono, per esempio, l’Ente nazionale di assistenza al volo
(ENAC), il Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), l’Istituto nazionale di statistica
(ISTAT), ecc.
2. Una seconda distinzione è tra enti pubblici nazionali e regionali a seconda che si tratti di
enti istituiti a livello statale o a livello regionale. Per esempio, sono enti dipendenti dalla
regione le aziende sanitarie locali. Esse sono aziende definite come aziende che hanno una
personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale (art. 3, comma 1, d.lgs. 30
dicembre 1992, n. 502).
3. Un’altra distinzione è tra enti di tipo associativo e non associativo. I primi sono enti
esponenziali di categorie o gruppi (gli ordini e collegi professionali, ecc.). Molti di essi sono
caratterizzati per la presenza di organi di tipo rappresentativo. Gli enti non associativi
hanno natura prevalentemente patrimoniale e sono amministrati generalmente da un
consiglio di amministrazione con componenti nominati, a seconda dei casi, da ministeri e
enti di riferimento individuati dalla legge o dallo statuto. Hanno ambiti di autonomia
maggiori.
Un’ultima distinzione da fare è tra enti pubblici e enti privati. Essa ha acquisito grande importanza
in base a una tendenza giurisprudenziale recente che tende a qualificare come enti pubblici anche
alcune società per azioni in mano pubblica, soprattutto con lo scopo di stabilire se gli atti da essa
emanati è competenza del giudice amministrativo. Questo è accaduto per società che svolgono
attività di importanti interessi pubblici, istituite e disciplinate da leggi speciali. Esse sono così
legate alle strutture ministeriali da rapporti di dipendenza così stretti che si avvicinano molto
all’ambito pubblicistico (Poste italiane Spa, ENEL Spa, Gestore dei servizi elettrici, ecc.).
7. Le autorità indipendenti
Le autorità indipendenti sono una tipologia recente di enti pubblici. Esse si distinguono, rispetto
alle amministrazioni di tipo tradizionale, oltre che per un elevato tasso di tecnicità e di
professionalità, soprattutto per un livello di indipendenza dal potere esecutivo. Cioè esse si
sottraggono all’indirizzo politico amministrativo del governo.
Si possono analizzare quattro aspetti delle autorità indipendenti: le ragioni dell’indipendenza, gli
strumenti atti a garantirla, i tratti più caratteristici del loro regime, le categorie principali.
2. Gli strumenti istituzionali che garantiscono l’indipendenza si ricavano dalle leggi istitutive
delle singole attività.
In primo luogo, le autorità indipendenti hanno un legame istituzionale privilegiato con il
parlamento piuttosto che con il governo. La nomina dei componenti dell’organo collegial
delle autorità è attribuita ai presidenti dei due rami del parlamento. Le autorità svolgono
un ruolo attivo di consulenza nei confronti del parlamento attraverso il potere di
segnalazione e di proposta con lo scopo di sollecitare gli interventi legislativi ritenuti
necessari nelle materie di competenza. Infine le autorità inviano al parlamento una
relazione annuale e i loro presidenti sono di frequente convocati in audizione davanti alle
commissioni al dine di acquisire informazioni.
In secondo luogo la disciplina degli organi. I componenti sono scelti in base a requisiti
rigorosi di professionalità, competenza, e di indipendenza. La durata in carica dell’organo
è particolarmente lunga (in genere 7 anni). I componenti dell’organo non possono essere
confermati per un secondo mandato e ciò li rende meno influenzabili.
In terzo luogo c’è l’ampia autonomia, organizzativa, funzionale e finanziaria delle autorità.
Le leggi istitutive prevedono che esse operino “in piena autonomia e con indipendenza di
giudizio e di valutazione”. Inoltre esse possono modellare liberamente le proprie strutture
interne con regolamenti di organizzazione. Possono dotarsi del personale di cui
necessitano.
Come quarta cosa c’è l’inserimento in un circuito di autorità nazionali che fa capo a un
regolatore europeo previsti nei Trattati e nel diritto derivato.
4. Le autorità indipendenti sono state istituite dal legislatore in un arco di tempo molto
lungo e per finalità e con assetti organizzativi e funzionali non del tutto omogenei.
1. Le autorità di tipo generalista esercitano i loro poteri nei confronti di tutte le imprese o di
altri soggetti pubblici o privati. Quelle principali sono l’Autorità garante della concorrenza
e del mercato e il Garante per la protezione dei dati personali.
8. Le società pubbliche
1. Le prime sono disciplinate integralmente dal diritto comune. Esse svolgono attività
d’impresa spesso in mercati non regolamentati in concorrenza con imprese private.
2. Una seconda categoria di società pubbliche si caratterizza per il fatto che le leggi speciali
che le disciplinano introducono prescrizioni puntuali o deroghe espresse più o meno
marcate rispetto alla disciplina codicistica.
3. Un’altra tipologia è la società in-house, le quali sono così strettamente legate sul piano
organizzativo e operativo a una pubblica amministrazione da poter essere eguagliate a un
ufficio interno (in-house, appunto) della stessa.
2. Per quanto riguarda il rapporto di direzione, si era già fatta la distinzione tra direttive che
si inseriscono in rapporti interorganici e direttive che riguardano rapporti intersoggettivi.
Nell’ambito di rapporti interorganici, le direttive sono uno strumento attraverso il quale
l’organo sovraordinato condiziona e orienta l’attività dell’organo o degli organi
sottordinati quando quest’ultimo è titolare di una competenza autonoma. Nei rapporti
intersoggettivi le direttive sono uno strumento attraverso il quale il ministro competente
o la regione esercitano il potere di indirizzo nei confronti di enti pubblici strumentali, la
cui attività deve essere resa coerente con i fini istituzionali propri del ministero di settore
o della regione.
Due nozioni utili per lo studio dell’apparato amministrativo sono: il disegno organizzativo degli enti
pubblici e il cosiddetto spazio regolatorio.
2. Il disegno organizzativo tende a fornire un’immagine statica per così dire fotografica di
ciascun apparato. La sua collocazione nel cosiddetto “spazio regolatorio” tende invece a
coglierne anche l’aspetto dinamico all’interno di un sistema complesso di relazioni in
qualche misura mobili tra apparati pubblici.
Capitolo IX
I servizi pubblici
1. Premessa
I servizi pubblici sono menzionati in vari articoli della Costituzione che attribuisce allo Stato compiti
come, per esempio, quello di tutelare la salute, non solo come diritto dell’individuo, ma anche
come interesse della collettività (art. 32); di garantire l’istruzione pubblica, facendo erogare anche
i privati questo tipo di servizio (art. 33); di provvedere all’assistenza sociale con organi ed istituti
addetti o integrati dallo Stato (art. 38); di riservare o trasferire allo Stato imprese o categorie di
imprese che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, a fonti di energia o a situazioni di monopolio
(art. 43). Inoltre, l’art. 117, comma 3, menziona una serie di servizi pubblici quali le comunicazioni
elettroniche, l’energia elettrica, i porti, gli aeroporti civili, le reti di trasporto.
I servizi pubblici possono essere divisi in servizi aventi un’importanza economica (trasporti, energia
elettrica, ecc.) e in servizi non economici (scuola, sanità, ecc.). i primi sono soggetti a essere
esercitati in forma imprenditoriale e sono gestiti più che altro da soggetti privati in regime di
concorrenza. Dei secondi si occupano direttamente le pubbliche amministrazioni con oneri a
carico della fiscalità generale.
Una seconda distinzione è tra servizi a fruizione collettiva necessaria e servizi a fruizione
individuale. I primi nel caso per esempio dell’illuminazione pubblica delle stradee sono erogati alla
collettività gratuitamente. Un esempio dei secondi sono i biglietti dell’autobus o la bolletta
telefonica.
1. Secondo la prima direttrice essi costituiscono prima di tutto “elementi essenziali per
garantire la coesione sociale e territoriale e salvaguardare la competitività dell’economia
europea”. I servizi sono citati dalla Carta dei diritti fondamentali Ue che richiama
specificamente il diritto ad accedere all’assistenza sociale (art. 34), alla prevenzione
sanitaria e alle cure mediche (art. 35) e ai servizi d’interesse economico generale (art. 36).
2. La seconda direttrice è presente nel Trattato che contiene una disposizione, la quale pone
come regola generale l'applicabilità delle regole comuni in materia di concorrenza e
ammette deroghe, in base al principio di proporzionalità, solo nei limiti dello stretto
necessario allo scopo di consentire il conseguimento degli scopi di interesse pubblico che
gli Stati membri si prefiggono.
Il diritto europeo pone una distinzione tra servizi di interesse economico generale, che riguardano
beni o servizi offerti in un determinato mercato (es. trasporti, poste, ecc.), e servizi non economici
di interesse generale, che invece sono fuori dal mercato (servizi sociali, istruzione, ecc.).
Negli anni Novanta ci sono state numerose direttive europee di settore (energia elettrica, gas, ecc.)
che servirono per la liberalizzazione dei servizi di interesse economico generale. Cioè queste
direttive hanno aperto il mercato alla concorrenza tra più operatori, smantellando la riserva
originaria di attività (nel linguaggio europeo, i diritti speciali o di esclusiva).
Le direttive di liberalizzazione fanno una distinzione tra concorrenza “nel mercato” e concorrenza
“per il mercato”.
1. La concorrenza “nel mercato” riguarda i servizi pubblici per i quali, date le caratteristiche
particolari del mercato, la fornitura del servizio può essere svolta da una pluralità di
operatori in concorrenza tra loro.
2. La concorrenza “per il mercato” riguarda le situazioni, in cui per ragioni di tipo tecnico o
economico (monopolio naturale, ecc.), il servizio pubblico viene svolto in modo efficiente
da un unico gestore.
Il tema dei servizi pubblici si divide in tre momenti logici (e giuridici): l'assunzione del servizio; la
regolazione; la gestione.
1. L'assunzione di un'attività come servizio pubblico viene da una decisione politica dei
pubblici poteri che, constatata l'insufficienza del mercato nell'offrire alla collettività
determinati beni e servizi, opera interventi di regolazione che servono a garantire livelli
minimi qualitativi e quantitativi delle prestazioni. Se necessario, vengono messe a
disposizione anche risorse pubbliche.
Ci sono due caratteristiche della nozione di servizio pubblico: storicità e la relatività.
Quanto alla storicità, i beni e i servizi essenziali per il benessere della collettività da
considerare come servizi pubblici variano nel tempo in base alle esigenze della società e
alla situazione di mercato concreta.
Quanto alla relatività, partendo dal fatto che le situazioni economiche e sociali sono
differenziate, l'area del servizio pubblico cambia da contesto a contesto.
2c) Un terzo principio è quello della parità di trattamento. Cioè tutti gli utenti hanno pari
diritto ad accedere al servizio e a ottenere prestazioni di eguale qualità. Il fornitore di beni
e servizi che non costituisce servizio pubblico può selezionare la propria clientela, mentre il
gestore del servizio no. Il principio dell'obbligo a contrarre osservando la parità di
trattamento è contenuto già nel codice civile a carico dell'impresa che opera in condizione
di monopolio legale (art. 2597 cod. civ.).
2e) Un quinto principio è quello della “abbordabilità”. Cioè il servizio deve essere fornito
agli utenti a prezzi accessibili. La regolazione prevede a volte agevolazioni a favore di
categorie di utenti meno abbienti o svantaggiate.
2f) Un sesto principio è quello della economicità, in base al quale il gestore del servizio
deve essere posto nella condizione di svolgere l'attività in modo imprenditoriale, con la
possibilità di conseguire un certo livello di utile. Questo principio vincola il regolatore, nei
casi in cui il servizio è erogato all'utenza in base a tariffe, a definire criteri per la loro
determinazione che siano convenienti.
Rientra tra i compiti di regolazione anche l'individuazione delle forme di gestione del servizio.
3. Le principali forme di gestione dei servizi pubblici che hanno importanza economica sono le
seguenti.
Le prime, più tradizionali e ancora interne all'area della pubblica amministrazione, sono la
gestione diretta e la gestione indiretta.
3a) Si ha gestione diretta quando l'attività è svolta da strutture dell'ente titolare del servizio
(le aziende speciali).
3b) Si ha gestione indiretta quando è affidata a un ente pubblico incaricato dello
svolgimento del servizio.
3c) La terza forma è la cosiddetta società in-house. Essa può ricevere in affidamento il
servizio attraverso una connessione o convenzione senza prima concludere una gara.
3d) Una quarta forma è la cosiddetta società mista, a partecipazione pubblica o privata, che
opera una prima esternalizzazione, ancora parziale al servizio.
La società mista è una forma di partenatario pubblico-privato istituzionale che realizza una
collaborazione stabile e di lunga durata attraverso l'istituzione di un'organizzazione
comune. Il partenatario pubblico-privato può avere due forme: di tipo istituzionale;
partenatario di tipo contrattuale.
La prima si caratterizza per il fatto di instaurare una relazione di durata particolarmente
lunga tra soggetti pubblici e privati che interagiscono all'interno della società. La seconda si
riferisce invece ai casi in cui un'amministrazione si rivolge al mercato, sula base di un
contratto, per acquisire un bene o un servizio.
3e) Nel partenatario di tipo contrattuale rientra la quinta forma di gestione dei servizi
pubblici, costituita dalla concessione del servizio a soggetti terzi selezionati sulla base di
procedure competitive nei casi in cui per ragioni tecniche e economiche il servizio si presta
a essere erogato da un solo gestore (concorrenza di mercato).
Per quanto riguarda specificamente l'attività di gestione del servizio, il soggetto incaricato di
svolgerla provvede a operare, in forma imprenditoriale, tutte le attività giuridiche (contatti con i
fornitori, con i dipendenti, ecc.) e materiali necessarie.
L'erogazione del servizio da parte del concessionario deve avvenire nel rispetto del contratto di
servizio, delle carte dei servizi e dei contratti di utenza.
Il contratto di servizio regola i rapporti tra amministrazione titolare del servizio e gestore.
I gestori del servizio devono dotarsi di carte dei servizi che specificano i livelli qualitativi e
quantitativi dei servizi, prevedendo sistemi di indennizzo a favore dell'utente in caso di
inadempimenti da parte del gestore.
I rapporti tra il gestore e gli utenti sono disciplinati su base privatistica per mezzo di contratti di
utenza stipulati spesso in conformità a contratti tipo stabiliti dal regolatore.
4. Le autorità di regolazione
le autorità di regolazione sono una sottospecie delle autorità di gestione. La composizione della
regolazione è molto complessa sia sul versante dei rapporti tra gestori e servizi e autorità di
regolazione, sia su quello di rapporti reciproci tra gestori di concorrenza, sia su quello dei rapporti
tra gestori e utenti.
1. Sul primo versante, i regolatori devono predisporre una serie di regole che consentono
sia lo sviluppo di un mercato concorrenziale in un ambiente dove ci sono monopoli
naturali.
2. Sul secondo versante, i gestori del servizio in concorrenza sono sottoposti in molti casi a
obblighi reciproci.
3. Sul terzo versante, il rapporto tra gestore e utenti del servizio è disciplinato da una serie
di regole attuate dalle autorità di settore e dalle carte dei servizi.
Le principali autorità di regolazioni settoriali istituite a livello nazionale sono l'Autorità per l'energia
elettrica e il gas (AEEG), l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGOM), l'Autorità per i
trasporti.
Una serie minima di disposizioni comuni alle autorità sono presenti nell'a l. n. 481/1995 alla quale
si aggiungono altre numerose disposizioni presenti nelle singole leggi e nella disciplina di settore.
La l. n. 481/1995 prima di tutto individua le finalità della regolazione (art. 1). Inoltre pone alcune
regole organizzative che servono a garantire l'indipendenza delle autorità (art. 2). la l. . 481/1995
delinea in termini generali le funzioni e i poteri delle autorità, specificati poi nella disciplina di
settore (art. 2, comma 12).
1. L'Autorità per l'energia elettrica e il gas, disciplinata dalla l. n. 481/1995 (art. 3), regola i
settori dell'energia elettrica, del gas e, di recente, del settore idrico (art. 21, comma 19,
legge 22 dicembre 2011, n. 214). Essa è stata istituita dopo la liberalizzazione delle attività
di produzione, acquisto, vendita, importazione, esportazione dell'energia elettrica.
L'Autorità opera in modo integrato con le corrispondenti autorità europee.
2. L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, istituita nel 1997 (legge 31 luglio 1997, n.
249), riguarda il settore delle comunicazioni elettroniche (telefonia fissa e mobile,
internet, ecc.), il settore dei media (radio, televisione, stampa), e da ultimo il settore
postale. Inoltre nel settore dei media l'Autorità opera allo scopo di garantire il pluralismo
dell'informazione, la tutela dei minori e la par condicio nelle campagne elettorali. Oltre
all'organo collegiale (il consiglio), ci sono due sotto organi con competenze specializzate
nei settori, che sono la commissione per le infrastrutture e la commissione per i servizi e i
prodotti.
3. L'Autorità di regolazione dei trasporti istituita nel 2012, che non è ancora operativa (art.
36 legge 24 marzo 2012, n. 27) si occupa dei settori ferroviario, portuale, aeroportuale e
autostradale. L'Autorità ha il potere di stabilire i criteri per la fissazione delle tariffe, i
pedaggi e delle regole applicate agli utenti. Ha anche poteri di intervento in materia di
servizio taxi.
5. I servizi pubblici locali.
La disciplina dei servizi pubblici locali è contenuta nel Testo unico degli enti locali (artt. 112 ss.
d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267) e in leggi settoriali (statali e regionali) che regolano servizi specifici
come la distribuzione dell'energia elettrica e del gas o i trasporti locali.
In termini generali, i servizi pubblici locali sono definiti come tutti i servizi “che abbiano per
oggetto la produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo
economico e civile delle comunità locali” (art. 112 TUEL).
Le delibera riguardanti l'organizzazione dei servizi vengono prese dal consiglio comunale o
provinciale (art. 42, comma2, lett. e)).
I servizi pubblici locali si dividono in due categorie: i servizi che hanno importanza economica e i
servizi che non hanno importanza economica.
I primi sono gestiti in forma imprenditoriale e in regime di concorrenza nel mercato, quando ci
siano diversi gestori, oppure in regime di concorrenza per il mercato, per ragioni di funzionalità e
di presenza di elementi di monopolio naturale. Invece i secondi, sono gestiti principalmente da
strutture pubbliche.
In base alle disposizioni legislative del TUEL (art. 113, abrogato in parte) le forme di gestione sono
tre: le società di capitali individuate tramite una procedure a evidenza pubblica, le società a
capitale misto pubblico-privato con selezione del socio privato attraverso procedure a evidenza
pubblica, le società in-house.
Attualmente la scelta tra l'affidamento in-house e l'avvio di procedure a evidenza pubblica è
condizionata soltanto dai principi di diritto europeo, i quali non pongono nessuna priorità. Inoltre
è previsto che gli enti locali debbono scegliere le modalità di affidamento del servizio sulla base di
una relazione, pubblicata sul proprio sito internet, che spiega le ragioni e l'esistenza dei requisiti
previsti dall'ordinamento europeo per la forma di affidamento prescelta (art. 34, comma 20, d. l.
18 ottobre 2012, n. 179).
Analizziamo alcuni servizi privi di rilevanza economica oggetto di leggi statali e regionali.
- Il servizio sanitario nazionale. Uno dei più importanti è il servizio sanitario nazionale che è citato
nell'art. 32 Cost. secondo il quale “LA Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale
dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. L'art. 117,
comma 3, trasmette questa materia alla competenza legislativa dello Stato e delle regioni. A livello
europeo, il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea attribuisce a quest'ultima la
competenza a svolgere azioni che sostengono, coordinano o completano l'azione degli Stati
membri in vari settori, tra i quali, la “tutela e miglioramento della salute umana” (art. 6 lett. a),
TFUE) e prevede che venga garantito “un livello elevato di protezione della salute umana” (art. 168
TFUE).
Le prestazioni offerte dal servizio nazionale includono sia servizi di tipo erogativo (assistenza
medico-generico), sia attività amministrative in materie di igiene (sicurezza sul lavoro).
Il finanziamento è posto a carico della collettività e della fiscalità generale.
L'organizzazione del servizio dà origine a un'amministrazione composita, in cui partecipano lo
Stato (in particolare con il ministero della salute), al quale sono riservate competenze per
garantire un minimo di regole uniformi; le regioni, che hanno ormai la responsabilità primaria di
organizzazione del servizio; gli enti locali che hanno un ruolo più limitato.
Le Unità (o Aziende) sanitarie locali sono definite come “aziende con personalità giuridica pubblica
e autonomia imprenditoriale” (art. 3, comma 1-bis d.lgs. n. 502/1992) i cui organi sono il direttore
generale e il collegio sindacale.
Le Aziende sanitarie locali (ASL) assicurano “l'assistenza sanitaria collettiva in ambiente di vita e di
lavoro, l'assistenza distrettuale e l'assistenza ospedaliera” (art. 2, comma 2-sexies, lett. a)).
anche strutture private possono partecipare a erogare le prestazioni sanitarie per il servizio
pubblico sulla base di un sistema di autorizzazione, di accreditamento e di accordi contrattuali.
- Il servizio scolastico. Il servizio scolastico può essere definito come un servizio pubblico sociale a
uso individuale e a erogazione gratuita.
I principi fondamentali del servizio scolastico sono stabiliti nella Costituzione che tutela la libertà di
insegnamento (art. 33, comma 1) e garantisce il diritto all'istruzione (art. 34, comma 1). Anche la
Carta dei diritti fondamentali Ue cita il diritto all'istruzione (art. 14).
l'obbligatorietà e la gratuità sono enunciate dalla Costituzione per l'istruzione inferiore (scuola
dell'obbligo) che non può avere una durata inferiore a otto anni (art. 34, comma 2).
L'istruzione è definita a livello legislativo sia come diritto soggettivo riconosciuto a tutti, sia come
dovere sociale ai sensi dell'art. 4, comma 2, Cost.
Il servizio scolastico costituisce un compito costituzionalmente obbligatorio per lo Stato che deve
organizzarlo e gestirlo con proprie strutture. Infatti, in base all'art. 33, comma 2, Cost. la
Repubblica detta norme generali sull'istruzione e istituisce scuole statali per tutti gli ordini e i
gradi.
Le istituzioni scolastiche pubbliche, articolate in cicli di istruzione (scuola primaria, scuola
secondaria, ecc.), hanno personalità giuridica e autonomia organizzativa, didattica e finanziaria
(art. 21, l. n. 59/1997).
Gli organi dell'istituzione scolastica pubblica sono il dirigente scolastico, responsabile della
gestione ministeriale; il collegio dei docenti; il consiglio d'istituto.
Accanto alle istituzioni scolastiche pubbliche, il servizio scolastico si articola in scuole private
parificate. Esse sono soggette alla vigilanza statale allo scopo di verificare la permanenza dei
requisiti e il rispetto degli obblighi di servizio pubblico.
- I servizi sociali. I servizi sociali includono “tutte le attività relative alla predisposizione e alla
erogazioni di servizi, gratuiti e a pagamento, o di prestazioni economiche destinati a rimuovere e
superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua
vita” (art. 128 d.lgs. n. 112/1998, richiamato dall'art., comma 2, legge quadro in materia di servizi
sociali 8 novembre 2000, n. 328).
La definizione legislativa mette i servizi sociali come materia autonoma, escludendo il sistema
previdenziale.
La disposizione costituzionale di riferimento è l'art. 38 che prevede che il diritto dei lavoratori di
avere mezzi adeguati in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione
involontaria.
Con la riforma del Titolo V della Costituzione operata dalla legge n. 3/2001, i servizi sociali sono
attribuiti alla competenza residuale esclusiva delle regioni, mentre alla legge statale compete
soltanto la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (art. 117, comma 2, lett. m), Cost.).
Il sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali (assistenza agli anziani, ecc.) coinvolge tutti i
livelli di governo locale, in base al principio di sussidiarietà verticale. I servizi sociali sono un settore
dove viene applicato anche il principio di sussidiarietà orizzontale.
Spetta ai comuni rilasciare l'autorizzazione e provvedere all'accreditamento dei soggetti privati in
modo che garantiscono che tali soggetti abbiano i requisiti strutturali necessari previsti dalla
legislazione regionale e che siano in grado di erogare le prestazioni richieste dalla
programmazione regionale. Uso dei requisiti per ottenere l'accreditamento è l'adozione della carta
dei servizi.
CAPITOLO X
Il personale
1. Premessa
Il campo di applicazione delle norme generali dell’impiego pubblico privatizzato contenute nel
d.lgs. n. 165/2001 è definito nell’art. 1, che individua un elenco molto ampio di amministrazioni
pubbliche (Stato, enti territoriali, camere di commercio, ecc.) i cui dipendenti ricadono nel regime
privatistico (art. 2, comma 2).
Però alcune categorie di personale restano sottoposte al diritto privato. Esse sono il personale
militare e delle forze di polizia, i magistrati, gli avvocati dello Stato, i vigili del fuoco, ecc. (art. 3).
Per alcune di esse il regime è integralmente pubblicistico.
Per il personale che fa parte del regime privatistico il sistema delle fonti dà origine a un diritto
privato differenziato. Infatti, il rapporto di lavoro è disciplinato dalle disposizioni del codice civile e
dalla legge sui rapporti di lavoro subordinato dell’impresa.
In aggiunta alle disposizioni legislative generali e speciali di livello primario, il rapporto di lavoro
dei dipendenti pubblici è regolato da due tipi di strumenti privatistici: i contratti collettivi e i
contratti individuali (art. 2, comma 3).
La contrattazione collettiva “determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di
lavoro, nonché le materie relative alle relazioni sindacali” (art. 40, comma 1).
I contratti individuali, che instaurano il rapporto di lavoro tra dipendente e amministrazione di
regola all’esito di un concorso pubblico, devono garantire la parità di trattamento, in particolare
per quanto riguarda gi aspetti retributivi previsti nei contratti collettivi (art. 2, comma 3).
Per i contratti collettivi vanno approfonditi due temi: l’ambito in cui essa opera; le modalità
organizzative e procedurali per la conclusione del contratto collettivo.
1. La contrattazione collettiva è ammesso entro uno spazio delimitato dal d.lgs. n. 165/2001.
Sono escluse da essa le materie che riguardano l’organizzazione degli uffici che sono