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C.M. BIANCA – DIRITTO CIVILE - III


“IL CONTRATTO”

CAPITOLO I – NOZIONI INTRODUTTIVE


ART. 1321 c.c.: Il contratto è l’accordo di due o più parti per
costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico
patrimoniale.
Il contratto rientra nella più ampia categoria dell’atto di autonomia
privata e negozio giuridico, cioè dell'atto mediante il quale il
soggetto dispone della propria sfera giuridica.
Il contratto ha struttura bilaterale o plurilaterale, in quanto si
perfeziona col consenso di due o più parti. Si distingue pertanto dal
negozio unilaterale, che si perfeziona con la sola manifestazione di
volontà dell'autore dell'atto senza che occorra l’altrui accettazione
(es. testamento).
Il contratto si caratterizza per la sua patrimonialità: è un negozio
patrimoniale in quanto ha per oggetto rapporti suscettibili di
valutazione economica.

Elementi costitutivi del contratto sono:


a) Accordo: reciproco consenso delle parti in ordine alla vicenda
contrattuale
b) Oggetto: il contenuto sostanziale del contratto, ciò che le
parti programmano in ordine al loro rapporto (es. oggetto della
vendita è trasferimento della proprietà o altro diritto reale
verso prezzo); ma può essere anche alla realtà materiale o
giuridica su cui cadono gli effetti del contratto stesso (es.
oggetto della vendita è anche il bene alienato)
c) Causa: la funzione pratica, ossia l'interesse che il contratto è
diretto a soddisfare
d) Forma (se necessaria): mezzo attraverso il quale si manifesta la
volontà contrattuale

Elementi accidentali del contratto sono:


- Termine
- Condizione
- Modo
- Clausola penale
- Caparra
Possono essere stabiliti dalla legge o dagli usi, e in tal caso fanno
parte della disciplina generale o particolare del rapporto
integrandone il contenuto (es. modalità relativa al luogo di
esecuzione delle prestazioni).

Oltre agli elementi del contratto di distinguono i presupposti


legali, che possono essere stabiliti a pena di nullità ovvero come
condizioni legali di efficacia.

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Il contratto come accordo e come autoregolamento di rapporti


giuridici patrimoniali:
Due momenti essenziali nella nozione di contratto:
- Momento soggettivo: identifica il contratto quale atto
decisionale delle parti.
Contratto come accordo: Sul piano sociale l’accordo è una
manifestazione di volontà (quando manca, non c’è contratto). Ciò
non esclude la possibilità che la parte/le parti abbiano un
volere diverso da quello manifestato: il vizio o la mancanza di
una corrispondente volontà interna non impediscono il
perfezionamento del contratto se il comportamento del soggetto
ha il significato obiettivo di una manifestazione di volontà.
Il rimedio che può spettare al soggetto leso nella sua libertà
negoziale non è quello della nullità ma di un’azione di
annullamento del negozio.

- Momento oggettivo: Contratto come autoregolamento di interessi


giuridici patrimoniali.
È la ‘disposizione’ o ‘regola’ che le parti pongono in essere
mediante il loro accordo.
Il semplice riferimento al momento obiettivo è insufficiente a
identificare il contratto poiché la regola potrebbe derivare da
una fonte esterna (es. atto amministrativo), dovendosi escludere
allora la natura negoziale. Per poter parlare di contratto è
necessario che la disposizione sia posta in essere dalle parti,
che abbia fonte nel loro accordo quale atto di autonomia
privata.

IL NEGOZIO GIURIDICO:
La categoria del negozio giuridico, in cui si inquadra la figura del
contratto, è stata elaborata dalla dottrina pandettistica.
= Il negozio giuridico è un atto di volontà diretto ad uno scopo
rilevante per l'ordinamento giuridico.
La categoria consente di distinguere gli atti giuridici in:
- atti di autonomia privata;
- atti giuridici in senso stretto.
Il negozio è esplicazione dell'autonomia privata, quale potere del
soggetto di decidere della propria sfera giuridica, personale o
patrimoniale. Il soggetto esplica la propria autonomia privata
mediante atti negoziali. Il negozio giuridico può allora definirsi
senz’altro come atto di autonomia privata. In questa definizione
rientra anche il contratto, che è la principale ma non l’unica figura
di negozio.
Il nostro codice, seguendo il codice francese, contiene una
disciplina generale del contratto, ma non del negozio. Il codice
riconosce il principio dell’autonomia contrattuale quale potere del
soggetto di autodeterminare i propri rapporti con i terzi mediante
contratti tipici e atipici, purchè diretti a realizzare interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento (art. 1322 c.c.).

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La disciplina del contratto si presta in larga parte ad essere


applicata agli atti negoziali non contrattuali (ad es. atti
unilaterali tra vivi a contenuto patrimoniale, in quanto compatibile
con la natura di tali atti). ex art 1324).
Rispetto agli altri atti negoziali l’applicazione di singole norme di
diritto contrattuale dovrà essere di volta in volta giustificata da
un’apposita valutazione degli interessi confligenti. Questa
possibilità deve ammettersi in misura ridotta anche con riguardo agli
atti giuridici in senso stretto.

La categoria del negozio è stata ampiamente contestata per l'astrattezza


di tale figura, inidonea a ricomprendere unitariamente atti di natura
profondamente diversa (es. contratti, negozi di diritto familiare,
testamenti…). La figura è stata contestata anche sul piano ideologico,
come simbolo di un esasperato individualismo che eleva il soggetto ad
arbitro della sua sfera giuridica, favorendo in realtà i detentori del
potere economico.

Contratto e norma giuridica


La scelta del nostro codice per una disciplina generale del contratto
anziché del negozio giuridico si spiega in ragione della centralità
del contratto quale atto principale di esplicazione dell’autonomia
privata, come potere di autodeterminazione del soggetto (potere del
soggetto di decidere della propria sfera giuridica).
L’idea di autonomia esclude che il soggetto possa disporre della
sfera giuridica altrui: non può costituire, modificare o estinguere i
suoi rapporti senza per ciò stesso modificare la sfera giuridica dei
altri.
Secondo una parte della dottrina il nostro codice avrebbe anche
ribadito l’esclusività del contratto, come unico strumento generale
di esplicazione dell’autonomia privata. La tesi dell’esclusività
contesta che il contratto abbia il potere di autodeterminare
unilateralmente la propria sfera giuridica. L’unico strumento di
esplicazione generale dell’autonomia privata sarebbe il contratto
mentre i negozi unilaterali sarebbero ammessi se e in quanto
specificamente previsti dalla legge. Lo si è argomentato dalla norma
che nega effetti obbligatori alla promessa unilaterale di una
prestazione fuori dei casi consentiti dalla legge.
La necessità del consenso altrui si spiega in considerazione
dell’esigenza di rispetto della sfera giuridica dei terzi. Tuttavia
la regola secondo la quale l’atto negoziale non può produrre effetti
rispetto ai terzi deve intendersi nel senso che l’atto negoziale non
può produrre effetti pregiudizievoli a carico di terzi. Può
ammettersi invece che il negozio incida direttamente sulla sfera
giuridica altrui quando l’effetto sia insuscettibile di pregiudizio
personale e patrimoniale.
Il terzo ha inoltre la libertà di non essere destinatario di un
beneficio altrui. Egli può rifiutare, porre in essere un atto diretto
a rimuovere dall’origine l’effetto del negozio altrui.

→ La regola dell’inefficacia del contratto rispetto ai terzi va


intesa nel senso che il contratto, e in generale il negozio, possono
produrre effetti rispetto ai terzi purchè si tratti di effetti

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insuscettibili di pregiudizio, e salva comunque la facoltà di rifiuto


del destinatario.

Accordo e delibera (atto collettivo e atto complesso)


Il contratto, quale figura di accordo, deve essere tenuto distinto
rispetto a:
- Delibera = atto collettivo con il quale il gruppo manifesta la
volontà in ordine a un interesse di sua competenza.
Mentre nell’accordo ciascuna delle parti decide in ordine a un
interesse di sua spettanza, nella delibera ciascun partecipante
concorre a una decisione comune in ordine a un interesse di
competenza del gruppo.
La delibera si perfeziona secondo la regola della maggioranza:
pur perfezionandosi mediante il concorso di più atti unilaterali
(voti), è rispetto al gruppo un atto unilaterale, cioè un atto
decisionale imputato al gruppo stesso.
La delibera può eccezionalmente avere natura contrattuale,
quando è diretta all’esterno esprimendo una proposta o
accettazione di proposta di contratto.
- Atto soggettivamente complesso: atto che richiede il consenso di
autonome dichiarazioni di volontà a servizio di un unico
interesse (es. atto dell’inabilitato al quale si accompagna
l’autorizzazione del curatore). Ciascuna dichiarazione ha una
sua distinta posizione e funzione, e anche una sua diretta
rilevanza sulla validità o efficacia dell’atto.

ATTI GIURIDICI IN SENSO STRETTO:


= Atto giuridico è qualsiasi comportamento umano (operazione materiale
o dichiarazione) giuridicamente rilevante.
Nell’ambito degli atti giuridici il negozio si distingue come atto
mediante il quale il soggetto dispone della propria sfera giuridica,
cioè come atto di autonomia privata.
Nell’atto giuridico in senso stretto gli effetti non sono disposti
dal soggetto agente ma da una fonte esterna che è principalmente la
legge. Tali effetti possono essere favorevoli o sfavorevoli al
soggetto, in relazione al suo risultato di fatto e agli interessi sui
quali incide.
Secondo la tesi tradizionale, gli effetti dell’atto giuridico
prescindono dalla volontà dell’agente. Anche se l’atto è volontario,
la volontà ha ad oggetto il suo compimento ma non vale a determinarne
gli effetti.

Il dibattito sulla natura giuridica del contratto:


Teoria della volontà:
ravvisa l’essenza del contratto, e più in generale del negozio
giuridico, nella volontà dell’individuo. La volontà ha bisogno
di manifestarsi all’esterno, ma una manifestazione alla quale
non corrisponda una reale volontà del soggetto non avrebbe
valore di negozio.
Teoria della dichiarazione:

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ciò che costituisce il contratto è la dichiarazione, non la


volontà psichica del dichiarante.
Teoria precettiva:
muove dal rilievo che la volontà “come fatto psicologico
meramente interno, è qualcosa di incontrollabile”, e che essa
può avere rilevanza giuridica solo in quanto si sia tradotta in
un fatto sociale. La nozione di contratto non consiste
nell’elemento psicologico della volontà e neppure nel dato
materiale della dichiarazione, bensì in un fenomeno sociale –
identificato nella disposizione con la quale il soggetto regola
da sé i propri interessi in rapporto ad altri, e cioè appunto
nell’autoregolamento.

Il superamento del dogma della volontà è un risultato acquisito sul


piano del diritto positivo. Il contratto non è valutato come un
fenomeno psichico ma come un fenomeno sociale.
La disciplina del contratto, risultante anche dagli orientamenti
giurisprudenziali, conferma che: secondo il diritto positivo ha
valore negoziale l’atto imputabile al soggetto e obiettivamente
valutabile come atto di autonomia privata, cioè come atto decisionale
del soggetto in ordine alla sua sfera giuridica.
Questa nozione importa che il soggetto può restare impegnato per un
atto che egli non ha realmente voluto. Al riguardo parla di un
principio di autoresponsabilità: il dichiarante rimane impegnato
dalle sue dichiarazioni o dalle dichiarazioni alle quali abbia dato
causa a prescindere da una valutazione della sua condotta in termini
di colpa. Questo lascia a carico del dichiarante il rischio di una
dichiarazione non conforme alla volontà reale o non voluta. La
spiegazione è nell’esigenza di tutela dell’affidamento del
destinatario.
Il principio dell’autonomia privata è integrato dal principio
dell’autoresponsabilità, il quale trova la sua giustificazione e il
suo limite nell’esigenza di tutela dell’affidamento.

L’imputazione dell’atto al soggetto quale suo atto negoziale lascia


aperto il problema della possibilità di riconoscere il rimedio
dell’impugnazione dell’atto quando la volontà del suo autore risulti
viziata o carente per incapacità naturale.
In linea di massima la soluzione del nostro ordinamento è nel senso
della prevalenza della regola di autoresponsabilità, in funzione di
tutela dell’affidamento. Questa soluzione risponde all’esigenza di
certezza del traffico giuridico, avvertita soprattutto nei rapporti
commerciali.
In base al principio dell’autoresponsabilità i vizi del consenso non
invalidano l’atto se il suo destinatario non li conosceva né avrebbe
potuto riconoscerli secondo un criterio di normale diligenza.
- Nell’ipotesi di incapacità naturale il rimedio dell’annullamento
presuppone la malafede della controparte.
- Sull’esigenza di affidamento prevale la tutela contro la
violenza: la dichiarazione estorta è impugnabile anche se la
violenza è stata esercitata da un terzo ad insaputa della
controparte.

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- Sull’esigenza di affidamento prevale inoltre il principio di


tutela dell’incapace legale.

La teoria della volontà esprimeva l’idea della signoria della volontà


individuale, che l’ordinamento deve riconoscere e tutelare nella sua
interezza. Il principio fu formato dalla scuola giusnaturalistica,
che ne ravvisava il fondamento in un diritto naturale dell’uomo a
disporre liberamente delle proprie azioni come dei propri beni.
La nozione generale di contratto fondata sulla volontà creatrice
dell’individuo, già elaborata dalla dottrina francese, trovava
espresso riconoscimento nel codice Napoleone e in altre codificazioni
europee.
Questa nozione di contratto trovava rispondenza nell’assetto liberale
in cui si sviluppava il capitalismo industriale e commerciale.
L’ordinamento doveva limitarsi a garantire all’individuo le
condizioni per l’esercizio delle sue libertà e, tra queste, quella di
iniziativa economica.

Nella dottrina italiana e tedesca la teoria oggettiva del contratto


si ispirò inizialmente all’ideologia fascista: lo Stato riconosce
rilevanza all’autonomia privata nella misura in cui essa realizza una
funzione socialmente utile secondo i fini superiori della nazione.
La dottrina oggettiva del negozio ha tuttavia abbandonato questa
ispirazione politica. Secondo la dottrina precettiva, la volontà non
sarebbe elemento costitutivo della fattispecie contrattuale perché la
legge non darebbe rilevanza alla volontà dei privati ma alla loro
normazione.
La contestazione del dogma della volontà è stata elaborata dalla
dottrina marxista. Nel sistema liberale e borghese il dogma della
volontà serve semplicemente a mascherare i rapporti di forza del
mercato. Attraverso l’uguaglianza giuridico-formale delle parti si
rafforza la loro disuguaglianza di fatto e la libertà negoziale si
appalesa come strumento per l’affermazione degli interessi
capitalistici.

Analisi economica:
Il contratto non è riducibile a un’operazione economica:
a) è un fenomeno giuridico distinto rispetto alla sottostante
operazione economica: esso è il titolo giuridico sul quale
l’operazione è fondata. È l’accordo, tacito o esplicito,
mediante il quale gli interessati decidono l’affare e in base al
quale deve accertarsi quali sono le prestazioni spettanti alle
parti.
b) il rapporto contrattuale non è una semplice risultante di leggi
economiche o la trasposizione in termini giuridici di un
fenomeno economico. Il contratto è influenzato dalle leggi
economiche (es. la fissazione del prezzo non è un atto di
arbitrio ma una statuizione che si adegua alle leggi economiche
della domanda e dell’offerta).
Il contratto può essere influenzato anche da fattori non economici
(es. particolari motivazioni di carattere personale possono spingere
la parte a derogare al criterio della convenienza economica). Il
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contratto si inserisce in un contesto sociale che tende a


privilegiare il principio di solidarietà; l’ordinamento può
intervenire per assicurare alla parte una posizione contrattuale
minima in deroga a quella che risulterebbe dal gioco delle forze
economiche.

Analisi giuridica:
è l’analisi del contratto come fenomeno giuridicamente rilevante.
Questo fenomeno deve essere identificato nella sua realtà sociale.
Si svolge in due direzioni principali: l’interpretazione e la
determinazione degli effetti giuridici. Le due operazioni non possono
comunque prescindere dall’accertamento degli interessi che il
contratto è diretto a realizzare, cioè della sua causa.

Autonomia delle parti e libertà negoziale:


L’autonomia privata, oltre che come potere di decidere della propria
sfera giuridica personale e patrimoniale, può essere vista come un
diritto di libertà.
La mancanza di un’esplicita previsione cost. ha indotto a dubitare
che rientri nei diritti costituzionalmente garantiti, muovendo dal
rilievo che spetta alla legge segnare i limiti dell’autonomia
privata.
In contrario può però osservarsi che la Cost. sancisce la libertà
effettiva di esplicazione della personalità umana. Nei rapporti
sociali il soggetto esplica la propria personalità principalmente
mediante rapporti giuridici.
In realtà il riconoscimento della libertà del soggetto di disporre
dei propri beni e impegnarsi verso terzi deve considerarsi un valore
basilare dell’ordinamento. Nel campo dei rapporti economici questo
valore trova riconoscimento nel principio della libertà di iniziativa
(art. 41 Cost.), di cui l’autonomia privata è strumento necessario.
Come tutte le libertà anche quella negoziale si inserisce in un
contesto di valori cost. gerarchicamente ordinati: si tende a
privilegiare sulla libertà individuale la solidarietà sociale.
L’autonomia privata può e deve essere controllata per garantire
rapporti giusti.

Il riconoscimento della libertà del singolo si inserisce ormai in una


concezione dell’ordinamento che si ispira al prevalente valore della
solidarietà sociale, quale valore di fondo della nostra Cost. Questo
principio trova la sua prima espressione nel principio
dell’uguaglianza di fatto (art. 3 Cost.). Lo stato non può limitarsi
a riconoscere il diritto di ciascuno a regolare da sé i propri
interessi se questo diritto diviene uno strumento di abuso a danno di
altri. Con particolare riguardo all’iniziativa privata economica,
essa è costituzionalmente garantita ma tale iniziativa non può
svolgersi in contrasto con l’utilità sociale (art. 41 Cost.).
È difficile dire in che misura il principio di solidarietà incida
direttamente sull’autonomia privata. Il principio di solidarietà però
impone l’intervento della legge là dove il principio dell’autonomia
privata non è sufficiente a assicurare giusti rapporti. Es.
tradizionalmente si è riconosciuto che al monopolista legale deve

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limitarsi la libertà di stipulazione per evitare un’arbitraria


discriminazione del consumatore. Ma il problema interessa soprattutto
la libertà di determinazione del contenuto del contratto, e si pone
per i contratti di massa che si caratterizzano per la disparità
socio-economica tra predisponente e aderente (consumatore).
Il contratto ha sempre incontrato dei limiti di liceità nella legge
(norme imperative, ordine pubblico, buon costume), ed ha conosciuto
in occasioni di gravi crisi economiche clausole e prezzi imposti.

Contratto e norma giuridica:


La nozione di contratto quale autoregolamento di rapporti giuridici
patrimoniali ravvisa nel contratto una norma negoziale, una regola
giuridica posta in essere dai singoli interessati e destinatari della
regola stessa. Ai sensi dell’art. 1372: il contratto ha forza di
legge tra le parti.
Norme negoziali e norme pubbliche si differenziano:
- le prime esprimono il principio di autonomia privata, le altre
il principio di autorità pubblica.
- le prime sono massime individuale e concreta (concernono persone
e rapporti singolarmente determinati), le seconde sono generali
e astratte.
- le norme negoziali hanno fonte in un atto di autonomia privata,
quale potere di diritto comune in base al quale il singolo o un
gruppo di soggetti decidono dei loro rapporti. La norma
giuridica ha invece la sua fonte in un potere autoritario
pubblico, cioè in una speciale posizione si supremazia che esula
dal campo del diritto privato.

Perciò alla norma negoziale deve applicarsi la disciplina


dell'interpretazione del contratto, mentre alla norma pubblica deve
applicarsi la disciplina dell'interpretazione della legge e degli
atti aventi forza di legge.
Diversa è inoltre la disciplina della validità del negozio e degli
atti normativi pubblici.

I rapporti contrattuali di fatto


= Per rapporti contrattuali di fatto si intendono i rapporti
modellati secondo il contenuto di un determinato contratto tipico, che
non scaturiscono però da atti di autonomia privata ma da atti
socialmente rilevanti.
La dottrina dei rapporti contrattuali di fatto è nata in Germania
nell’era nazista, ebbe in origine il significato di una denuncia
della crisi della concezione individualistica dell’ordinamento
espressa dal contratto, e dall’affermazione della forza dei fatti
sociali quale fonte generale dei rapporti interprivati.
Essa ha continuato ad avere un certo seguito come spiegazione della
formazione dei rapporti contrattuali di massa, che si costituiscono
mediante utilizzazione del servizio o apprensione del bene (es. chi
sale su un autobus è per ciò stesso tenuto a pagare il biglietto). In
questi rapporti non ci sarebbe una fattispecie contrattuale perché

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ciò che pone in essere il rapporto non è lo scambio dei consensi ma


il fatto obiettivo dell’utilizzazione della prestazione.
Altra dottrina ha ritenuto che il comportamento dell’utente non sia
una manifestazione di volontà ma abbia il significato socialmente
tipico di una volontà di accettazione che prescinde dalla volontà
effettiva del soggetto.
In termini generali, il problema dei rapporti contrattuali di fatto
dev’essere risolto in base al significato sociale del comportamento
dei soggetti. Se questo depone per l’accettazione di una prestazione
o servizio resi disponibili verso un corrispettivo, rientriamo nello
schema del contratto. Diversamente, il rapporto non è contrattuale e
le eventuali obbligazioni scaturiranno da fatti extranegoziali
(arricchimento, gestione di affari altrui…).
Escludendo i contratti di massa, rapporti contrattuali di fatto si
presentano in ipotesi di rapporti costituiti per legge nonostante la
nullità del contratto: rapporti di lavoro subordinato e rapporti di
società.
- Rapporti di lavoro subordinato: la nullità o annullamento del
contratto non produce effetto per il periodo in cui il rapporto
ha avuto esecuzione (art. 2126 c.c.). Il datore di lavoro è
tenuto alla retribuzione e alle altre obbligazioni inerenti al
rapporto di lavoro. Il fatto obiettivo della prestazione sembra
dar luogo al rapporto.
In realtà neanche il rapporto di lavoro può prescindere da una
fattispecie contrattuale minima consistente nell’accettazione
della prestazione lavorativa da parte del datore. La fonte del
rapporto di lavoro non è il mero fatto della prestazione
lavorativa, ma il fatto della prestazione accettata dal datore
(= fatto che assume il significato sociale dell’accordo)
- Rapporti di società: la società si costituisce per il solo fatto
dello svolgimento dell’attività sociale, ma questo non
contraddice il carattere contrattuale del rapporto. La
costituzione della società si riconduce all’accordo, secondo il
significato sociale del comportamento delle parti, con la
conseguente applicazione della normativa sulla capacità,
rappresentanza, vizi della volontà…
La società di fatto esula dallo schema del rapporto contrattuale
di fatto. Questo schema è piuttosto configurabile in relazione
alle società di capitali dichiarate nulle dopo l’iscrizione nel
registro delle imprese. La dichiarazione di nullità infatti
lascia efficaci gli atti compiuti in suo nome dopo l’iscrizione
e non esonera i soci dall’obbligo dei conferimenti. Questi
effetti legali si atteggiano piuttosto a salvaguardia dei terzi,
come afferma la giurisprudenza.
La stipulazione di un contratto nullo di società e la sua
iscrizione danno luogo a una quasi società, quale peculiare
situazione patrimoniale legalmente regolata per alcuni aspetti
come una società.

I contratti della pubblica Amministrazione:

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= Accordi che lo Stato e altri enti pubblici non economici stipulano


con i privati per costituire, modificare o estinguere rapporti
giuridici patrimoniali.
Da questa nozione esulano gli atti amministrativi emanati dall’ente
pubblico su richiesta o con adesione del privato. Qui il rapporto ha
la sua fonte in un atto unilaterale dell’amministrazione e rispetto
ad esso la volontà del privato ha semplice valore complementare.
La mancanza dell’accordo si spiega in dottrina si spiega in dottrina
in quanto l’atto di esercizio di una potestà pubblicistica ha natura
diversa rispetto all’atto di autonomia privata, e non potrebbe
fondersi in un atto di comune volontà delle parti.
I contratti della p.a. sono contratti di diritto comune pur se
caratterizzati dalla diretta incidenza dell’interesse pubblico
sull’atto. I contratti stipulati nell’esercizio di un’attività
imprenditoriale dell’ente pubblico non presentano alcuna
particolarità rispetto ai comuni contratti, essendo interamente
regolati dal diritto privato.
I contratti che l’ente stipula quale titolare di una funzione
pubblica sono invece sempre caratterizzati dalla rilevanza diretta
dell’interesse pubblico di cui l’ente è portatore. Questo si
manifesta principalmente nella formazione del contratto (ente deve
esplicare la sua attività negoziale nelle forme e nei modi previsti
dalla legge, e il suo impegno è condizionato all’approvazione degli
organi di controllo). La rilevanza dell’interesse pubblico può
ulteriormente manifestarsi in alcuni tipi di contratto
nell’applicabilità di una disciplina particolare che preveda
specifici poteri di autotutela (es. nei contratti di appalto
stipulati dalla p.a. all’appaltante spetta il potere di risolvere il
contratto per frode o grave inadempimento dell’appaltatore).
→ La rilevanza dell’interesse pubblico non toglie che l’efficacia
vincolante dell’atto discenda dall’accordo secondo la regola
contrattuale, e che l’impegno della p.a. rimanga fondamentalmente
disciplinato da principi contrattuali.
La l. 241/1990 ha previsto la stipulazione di accordi tra p.a. e
privati al fine della determinazione del contenuto del provvedimento
finale del procedimento amministrativo: a tali accordi si applicano i
principi del c.c. in materia di contratti e obbligazioni in quanto
compatibili.
I principi privatistici possono ritenersi applicabili anche alle
convenzioni amministrative, quali contratti mediante i quali gli enti
pubblici assumono impegni reciproci o verso privati in ordine
all’esercizio dei loro poteri.
In tema di contratti ad evidenza pubblica la giurisprudenza riconosce
di massima al privato la normale tutela privatistica, giungendo a
riconoscere l’obbligo dell’amministrazione di comportarsi secondo
buona fede e ammettendo la responsabilità precontrattuale della
stessa.
Accanto ai rimedi di diritto privato occorre tenere distinti i rimedi
di diritto amministrativo contro gli atti illegittimi
dell’amministrazione. La possibilità di esercitare tali rimedi è
subordinata all’accertamento di un interesse legittimo del privato
che si assume leso dall’atto.

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CAPITOLO II – LE PARTI
Parte del contratto o contraente in senso sostanziale è il titolare
del rapporto contrattuale, cioè il soggetto cui è direttamente
imputato l’insieme degli effetti giuridici del contratto.
Parte del contratto o contraente in senso formale è l'autore del
contratto, cioè il soggetto che emette le dichiarazioni contrattuali
costitutive.
Questi due significati di parte hanno riguardo ai due profili del
contratto quale atto e quale rapporto. Di massima chi è parte
dell’atto è anche parte del rapporto. Le posizioni possono non
coincidere:
- Rappresentanza diretta: rappresentante è parte formale (concorre
con la propria dichiarazione alla formazione del contratto),
rappresentato è parte sostanziale (a lui vengono imputati i
diritti e obblighi scaturenti dal contratto).
- Cessione del contratto: un terzo subentra nella titolarità del
rapporto contrattuale, divenendo parte del rapporto ma non parte
all’atto costitutivo.

La dottrina ritiene che la nozione di parte prescinda dai soggetti e


debba essere identificata come un centro di interessi. La parte
rimane quindi unica anche se comprende più persone (es. la vendita è
un contratto con due parti – venditore e compratore – anche se più
persone possono concorrere a formare la parte venditrice o
acquirente).

Nel concetto di parte non entrano gli interventori esterni, cioè


coloro che intervengono nel contratto senza assumere la titolarità
del rapporto (intervento può avere contenuto riconoscitivo,
autorizzativi, di garanzia). Es.: fideiussore che interviene per
garantire le obbligazioni assunte da un contraente, coniuge che
interviene nell’atto di acquisto di un bene personale dell’altro
coniuge in regime di comunione legale.

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Il contratto plurilaterale:
= Contratto costituito da più parti in senso sostanziale.
Secondo l'opinione comune della dottrina per parte deve intendersi il
centro di interessi; pertanto il contratto plurilaterale si
caratterizza anzitutto per la presenza di più centri di interessi
(es. contratto di società). Non vanno considerati contratti
plurilaterali i contratti cui partecipa una pluralità di persone
riconducibili a due contrapposti centri di interesse (es. vendita del
bene da parte di più comproprietari) – sono chiamati contratti a
parte complessa.
La pluralità di parti si riscontra nei contratti a comunione di scopo
(es. contratti di società, associazione, consorzio). La comunione di
scopo consiste nell’unità del risultato giuridico o nel vantaggio
comune delle prestazioni delle parti.
Un principio generale valido per questi tipi di contratto è che il
vizio che colpisce il vincolo partecipativo di uno dei contraenti non
si estende all'intero contratto (come invece accadrebbe nei contratti
bilaterali) salvo però che il vincolo debba considerarsi, secondo le
circostanze, essenziale per la vita del contratto stesso (si tratta
di nullità parziale in senso soggettivo). In applicazione, infatti,
del principio di conservazione del contratto la legge considera
valido il contratto quando, prescindendo dalla partecipazione di quel
soggetto, sia comunque possibile il raggiungimento dello scopo.
L'altra specie di contratti plurilaterali, peraltro non numerosi, è
formata da quelli caratterizzati non dallo scopo comune in quanto
ciascun contraente è spinto alla conclusione del contratto da un
interesse proprio, distinto rispetto a quello degli altri contraenti.
Proprio in considerazione di ciò si esclude che nei confronti di
questa tipologia di contratto possa trovare applicazione il principio
prima esposto.
Es. il contratto divisorio (contratto che si stipula tra i titolari
di un bene in comunione e che ha per oggetto lo scioglimento della
stessa e dopo del quale ciascuno dei contitolari diventa proprietario
della porzione del bene attribuitagli); transazione plurilaterale;
convenzioni matrimoniali plurilaterali.

Le parti del contratto devono essere determinate o determinabili.


Determinatezza: obiettiva certezza dell’identità del soggetto cui è
imputabile il vincolo contrattuale. Questo risponde alla generale
determinatezza dei titolari dei rapporti giuridici.
Può ammettersi che il vincolo contrattuale si costituisca in capo a
un soggetto non determinato ma determinabile:
- contratto stipulato per conto di chi spetta: cioè come atto di
gestione di un patrimonio attualmente privo di un titolare (es.
contratti stipulati dal curatore per l’eredità giacente);
- contratto per persona da nominare.

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L’identificazione della parte è l’accertamento della sua identità. Di


regola l’identificazione si intende quale accertamento dell’identità
giuridica – costituita dal nome, luogo, data di nascita.
Non è sempre necessario che le parti si identifichino reciprocamente
nella formazione del contratto. Ad es. nei contratti di massa la
prestazione può formarsi tra parti anonime e anche prescindere da una
loro reciproca identificazione fisica. L’identificazione può rendersi
necessaria al solo fine di accertare l’avente diritto alla
prestazione principale o alle prestazioni di garanzia (a tale scopo
può essere sufficiente l’identificazione mediante contrassegni di
legittimazione: scontrini, biglietti…).
L’identificazione della parte diviene invece necessaria nei contratti
a rilevanza personale.
Negli atti pubblici è compito dell’ufficiale rogante identificare
giuridicamente le parti.

L’identità della parte è importante nella categoria dei contratti


personali: contratti che implicano una prestazione o un’attività
diretta della persona (es. contratto di lavoro, mandato, società di
persone…).
La considerazione dell’identità del contraente o delle sue qualità
personali (intuitus personae) è determinante il consenso secondo un
criterio di normalità.
- sono intrasmissibili: si estinguono per la sopravvenuta morte di
una delle parti.
- errore sull’identità della persona è essenziale e può importare
l’annullamento dell’atto. (L’errore sulla persona può essere
essenziale anche al di fuori della categoria dei contratti
personali quando la considerazione della parte è stata
determinante il consenso).

Al di fuori della categoria dei contratti personali la persona del


contraente è generalmente rilevante in quanto l’esattezza e la
puntualità dell’adempimento dipendono dalle qualità personali e
patrimoniali della parte: contratti a rilevanza personale.
- nei contratti a prestazioni corrispettive la parte non può
cedere la propria posizione contrattuale senza l’autorizzazione
della controparte.
Contratti a soggetto indifferente: identità della parte non ha
influenza ai fini della conclusione del contratto.

Il contratto sotto falso nome e sotto nome altrui


Contratto sotto falso nome: contratto che la parte stipula assumendo
una falsa identità giuridica.
- nei contratti a soggetto indifferente la circostanza è
irrilevante (es. contratti di massa aventi ad oggetto servizi e
beni di consumo);
- nei contratti a rilevanza personale l’indicazione di un nome
falso non impedisce il sorgere del vincolo contrattuale in capo
al contraente falsamente denominatosi. La falsa denominazione
giuridica non esclude infatti che la persona sia esattamente
identificata nella sua identità fisica o professionale.

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L’uso del falso nome può consistere, più particolarmente,


nell’usurpazione del nome altrui.
- la controparte potrà far valere il suo errore sull’identità
dell’usurpatore. Occorre comunque che l’errore sia essenziale,
cioè che il convincimento di contrattare con la persona cui il
nome è usurpato sia stato determinante del consenso secondo
criteri di normalità.
- usurpatore assume in proprio l’impegno contrattuale , mentre il
contratto rimarrà privo di effetti in capo ala persona di cui è
stato usurpato il nome.

Fermo restando che tale contratto non produce alcun effetto per il
soggetto il cui nome è stato usurpato, si discute se esso produce
effetti per l'usurpatore.
1) Una corrente di pensiero riferisce il contratto alla
persona di cui il contraente assume il nome ma (ovviamente) lo
reputa nullo per mancanza del consenso, in quanto la parte cui
il contratto si riferisce non ha manifestato alcuna volontà
negoziale.
2) La dottrina prevalente ritiene che il riferimento del
contratto al dichiarante o al vero portatore del nome dipenda
dalla valutazione della volontà contrattuale.
• Il contratto dovrebbe riferirsi al vero
portatore del nome quando, secondo l’interpretazione del
contratto stesso, non è rilevante la persona fisica del
dichiarante ma solo la persona di cui il dichiarante assume
il nome. Si può applicare lo schema della rappresentanza
senza potere ogni qualvolta risulti che la controparte ha
contrattato con l'usurpatore solo a causa del nome speso e
che, a sua volta, l'usurpatore ha utilizzato il nome altrui
con tale consapevolezza. L'usurpatore sarebbe, infatti, da
considerare come un rappresentante del vero portatore del
nome.
(!) In realtà, punto debole di quest'opinione rimane il
fatto che chi contrae in proprio sotto nome altrui
riferisce comunque il contratto a se medesimo quale autore
della dichiarazione, ed è lui che assume l’impegno
contrattuale.
• L'ipotesi di contratto riferito esclusivamente
alla persona di cui il contraente assume il nome è stata
ravvisata nella conclusione del contratto tra assenti. In
questo caso infatti l’unico elemento di identificazione
della parte è il nome speso, e il contratto sarà pertanto
riferibile soltanto al portatore del nome.
(!) Può tuttavia obiettarsi che neppure tale circostanza
(la lontananza dei contraenti) vale ad escludere il
riferimento alla persona del contraente come colui che
emette (comunicandola per posta o con altri mezzi) la
dichiarazione contrattuale. Conferma dal rilievo che chi
contrae a distanza assume pur sempre il vincolo
contrattuale quale autore della proposta o
dell'accettazione anche se ricorre ad un nome di fantasia.

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È l’emissione della dichiarazione contrattuale che


identifica obiettivamente l'autore del contratto.

Sul piano degli interessi, la controparte è tutelata nella scelta


tra:
- esecuzione del contratto nei confronti del contraente che ha
contratto sotto non altrui;
- annullamento del contratto per errore essenziale sulla persona
(se ne ricorrono gli estremi).
Colui che ha usurpato il nome non merita alcuna particolare tutela,
per il principio di autoresponsabilità risponde comunque dell'impegno
assunto.

LEGITTIMAZIONE CONTRATTUALE: potere della parte di disporre


dell’oggetto del contratto, di determinare gli effetti giuridici
previsti dal contratto.
- può mancare rispetto a determinati effetti (es. venditore non
può disporre del bene venduto).
- È un requisito soggettivo di efficacia del contratto: mancanza di
legittimazione non comporta l’invalidità del contratto ma
l’inefficacia di esso rispetto all’oggetto di cui la parte non è
competente a disporre.
Di regola il soggetto è legittimato a disporre delle posizioni
che ricadono nella sua sfera giuridica, mentre non è legittimato
a disporre della sfera giuridica altrui (art. 1372 c.c.: Il
contratto produce effetti tra le parti e non rispetto a terzi).
Eccezionalmente il soggetto può avere la legittimazione a
disporre dell’altrui sfera giuridica:
- in forza di un’autorizzazione privata del titolare della
posizione giuridica;
- in forza di un’autorizzazione legale quando un soggetto non
è presumibilmente in grado di provvedere in modo adeguato ai
propri interessi;
- a causa dell’inerzia del titolare se questa pregiudica un
interesse del terzo (es. coniuge in regime di comunione può
essere autorizzato dal giudice a compiere atti di
straordinaria amministrazione in caso di rifiuto del consenso
o lontananza dell’altro coniuge).
La legittimazione del soggetto a disporre dell’altrui sfera
giuridica può essere in nome proprio o in nome altrui
(rappresentanza).

L’autorizzazione privata è un atto permissivo che rimuove un limite di


validità o di efficacia a carico dell’autorizzato.
- È condizione di validità dell’atto autorizzato quando essa è
richiesta dalla legge a pena di nullità o annullabilità
dell’atto (es. autorizzazione del curatore dell’inabilitato al
compimento di un atto di straordinaria autorizzazione). Si parla
anche di autorizzazione integrativa perché al disponente non
manca la legittimazione ma il negozio non può essere validamente
stipulato senza l’autorizzazione, che assolve a una funzione di
controllo nell’interesse dell’autorizzante e autorizzato.

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- È condizione di efficacia dell’atto autorizzato quando questo


incide sulla sfera giuridica dell’autorizzante. L’autorizzazione
in questo caso attribuisce la legittimazione a modificare
l’altrui sfera giuridica.

Nella nozione di autorizzazione rientra la procura = negozio


aattributivo del potere di rappresentanza diretta, è
un’autorizzazione ad agire in nome dell’autorizzante.

Accanto alla procura si distingue l’autorizzazione ad agire in nome


proprio = cioè a compiere atti giuridici in nome dell’autorizzato con
effetto sulla sfera giuridica dell’autorizzante.
Può essere rilasciata:
- nell’interesse esclusivo dell’autorizzato: atto autorizzato
incide principalmente sulla sfera del suo autore e esplica
effetti secondari o riflessi sulla sfera giuridica
dell’autorizzante (es. autorizzazione data dal debitore al
creditore a cedere un credito strettamente personale);
- nell’interesse esclusivo o concorrente dell’autorizzante: es.
commissione, cessione dei beni ai creditori, contratto
estimatorio…
L’autorizzazione non è presupposto di liceità dell’atto: l’atto da
autorizzare non è di per sé un atto illecito nei confronti
dell’autorizzante in quanto si tratta di un atto che senza
autorizzazione non produce effetti sulla sfera giuridica di tale
soggetto ed è quindi insuscettibile di ledere un suo diritto.

L’autorizzazione è oggetto di dibattito in dottrina:


a) da una parte si ammette un’ampia nozione di autorizzazione come
conferimento di poteri di ingerenza nella sfera giuridica
dell’autorizzante;
b) un diverso orientamento contesta che il nostro ordinamento
accolga la figura dell’autorizzazione a compiere in nome
dell’autorizzato atti incidenti direttamente sulla sfera
giuridica dell’autorizzante (mancanza di un’esplicita previsione
normativa). Si è negato che il titolare di un diritto possa
attribuire ad altri il potere di disporne (il potere di
disposizione è un aspetto della capacità d’agire, la quale non
può essere ceduta ad altri). Questa autorizzazione inoltre
altererebbe il naturale collegamento posto dalla legge tra
potere di agire e titolarità del diritto (il privato non
potrebbe raggiungere tale risultato attraverso un negozio).
(!) L’asserita incedibilità del potere di disposizione non
escluderebbe di per sé la possibilità che il titolare
costituisca un nuovo e autonomo diritto in capo all’autorizzato.
L’autorizzazione ad agire in nome proprio non coinvolge un
problema di tutela del terzo, posto che il rapporto contrattuale
si instaura tra le parti, mentre gli effetti che si producono in
capo all’autorizzante sono conformi all’atto autorizzativo.

Se si guarda la disciplina positiva, questa prevede tipiche


figure contrattuali dove una parte riceve il potere di disporre
in nome proprio dei beni dell’altra. Queste figure confermano

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che la legge riconosce l’esigenza, avvertita nella pratica


commerciale, che il titolare del diritto possa permettere
l’altrui atto di disposizione senza assumere in proprio la
titolarità del contratto.
→ Deve quindi concludersi che nell’esercizio della sua
autonomia negoziale il soggetto può autorizzare altri a compiere
atti in nome proprio che incidono sulla sfera giuridica
dell’autorizzante.
L’autorizzazione non è una cessione parziale del diritto ma un
atto permissivo che attribuisce all’autorizzato un autonomo
potere dispositivo avente un determinato oggetto e determinati
limiti. La figura più comune di autorizzazione a compiere atti
giuridici in nome dell’autorizzato ma in nome dell’autorizzante
si riscontra nel mandato senza rappresentanza.

Incapacità negoziale = inidoneità giuridica del soggetto a essere


destinatario di determinati effetti contrattuali. Consegue a un
divieto che colpisce la persona nell’interesse altrui e comporta la
nullità del contratto (es. divieto per gli amministratori di enti
pubblici di acquistare beni affidati alle loro cure).
Impedimento soggettivo = particolare limitazione del soggetto in
relazione a determinate vicende negoziali. Anch’esso è posto
nell’interesse altrui ma comporta l’annullabilità (e non la nullità)
del contratto. Può essere rimosso preventivamente e il contratto può
anche essere convalidato da parte di colui al quale spetta l’azione
di annullamento.

→ In dottrina incapacità legale e impedimento soggettivo sono stati


considerati come difetto di legittimazione.
(!) Il difetto di legittimazione si traduce nella semplice
inefficacia del contratto rispetto alla situazione per la quale il
soggetto non è competente a decidere. L’incapacità speciale e
l’impedimento soggettivo indicano invece un’imposizione negativa a
carico del soggetto, la cui inosservanza comporta l’invalidità
dell’atto in termini di nullità o annullabilità.

LA RAPPRESENTANZA
Rappresentanza diretta: il potere di un soggetto (detto
rappresentante) di compiere atti giuridici in nome e per conto di un
altro soggetto (detto rappresentato).
- rappresentato diventa parte sostanziale del contratto assumendo
la titolarità del rapporto. Rappresentante agisce in nome del
rappresentato, imputazione del rapporto contrattuale
direttamente a quest’ultimo.

Rappresentanza indiretta (o di interessi): legittimazione del


soggetto ad agire in nome proprio nell'interesse altrui (agire per
conto altrui).
- rappresentato non diviene di regola parte del contratto.
Tuttavia, anche se gli effetti non si producono immediatamente

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in capo al rappresentato, il risultato del contratto deve essere


riversato in capo a quest’ultimo. Rappresentante agisce in nome
proprio ma per conto del rappresentato, responsabilità personale
del rappresentante nei confronti del terzo contraente.

→ Si accoglie una nozione ampia di rappresentanza: legittimazione ad


agire per contro altrui.

Dibattito dottrinario sulla rappresentanza:


a) tesi sostanziale: ravvisa la rappresentanza nell’agire per altri
b) testi formale: ravvisa la rappresentanza nell’esercizio del potere di
sostituzione giuridica o di spendita del nome altrui, svalutando il
momento della cura dell’interesse del rappresentato.
(!) L’agire in nome proprio non comporta gli stessi effetti dell’agire in
nome altrui: preclude al terzo contraente di esercitare la sua pretesa
contrattuale nei diretti confronti dell’interessato. Affinché l’interessato
diventi parte sostanziale del rapporto contrattuale occorre che il
rappresentante agisca in suo nome: la spendita del nome del rappresentato è
il dato caratterizzante della rappresentanza diretta.
(?) L’effetto proprio dell’esercizio del potere rappresentativo presuppone
l’esplicazione di un rapporto di gestione? La soluzione normativa è nel senso
della rilevanza del conflitto di interessi con il rappresentato. Il conflitto
di interessi però non priva di legittimazione il rappresentante, ma rende
annullabile l’atto, sempre che il conflitto fosse conosciuto o riconoscibile
da parte del terzo.
In definitiva, la cura dell’interesse del rappresentato è causa
giustificativa dell’attribuzione del potere rappresentativo, e elemento di
qualificazione di tale potere, mentre il perseguimento effettivo
dell’interesse del rappresentato non incide sul potere rappresentativo ma sul
buon uso di esso.

In dottrina l’istituto della rappresentanza è talvolta inquadrato in un’ampia


nozione di sostituzione, connotata dall’agire di un soggetto in luogo di un
altro.
Per la legge processuale la sostituzione è riferita all’ipotesi di chi faccia
valere in nome proprio un diritto altrui (art. 81 c.p.c.).

La rappresentanza diretta:
= potere di un soggetto (rappresentante) di compiere atti giuridici
in nome di un altro soggetto (rappresentato).
- Legale: ha titolo nella legge;
- Negoziale: ha titolo in un altro atto di conferimento del
rappresentato (procura).

- Il rappresentante che stipula in nome del rappresentato è parte


in senso formale;
parte in senso sostanziale è il rappresentato, il quale assume
la titolarità del rapporto contrattuale.
Il rappresentante non assume la titolarità del rapporto, né è
destinatario degli effetti del contratto, né è responsabile
della sua esecuzione. → Art. 1388 c.c.: Il contratto concluso
dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato
produce direttamente effetto nei confronti di quest’ultimo.

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Anche quando il rappresentante si uniforma interamente alla


volontà predeterminata del rappresentato, la volontà che
perfeziona il contratto è pur sempre quella del rappresentante.
È il rappresentante che emette la dichiarazione di volontà
contrattuale formativa dell’accordo, cioè fa la proposta o la
accetta.

La figura del rappresentante si distingue da quella del NUNCIO = non


emette una propria dichiarazione di volontà, ma riferisce ad una
parte la volontà dell’altra.
- non è parte materiale del contratto: l’atto del nuncio può
essere qualificato come un atto comunicativo avente ad oggetto
una volontà altrui. Egli sarà responsabile per falsa
comunicazione, riconducibile alla responsabilità
extracontrattuale (per lesione dell’altrui libertà
contrattuale).
- Il soggetto che si serve di un nuncio sopporta il rischio della
divergenza tra contenuto della volontà affidata al nuncio e
contenuto della volontà comunicata.
- Sul problema se l’atto del falso nuncio sia ratificabile con
effetto retroattivo, la dottrina ha posizioni diverse (prevale
la tesi negativa).

Oggetto della rappresentanza: di regola tutti i negozi si prestano ad


essere oggetto di rappresentanza.
Si discute però in dottrina se la rappresentanza riguardi
esclusivamente i negozi o possa avere ad oggetti anche altri atti
giuridici:
→ Soluzione prevalente: la rappresentanza può avere ad oggetto
qualsiasi atto giuridico lecito. Ciò che rileva è che gli effetti
siano imputati a persona diversa dall’autore dell’atto. Questo
trova riscontro nel comune ricorso alla rappresentanza anche al di
fuori del compimento di negozi (comunicazioni, diffide, pagamenti,
atti processuali…).
Il rappresentante può anche limitarsi a ricevere atti o prestazioni
in nome del rappresentato: rappresentanza passiva.
Il rappresentante volontario o legale può avere anche la
rappresentanza sostanziale nel processo = potere di agire o essere
convenuto in nome del rappresentato.
[diverso da rappresentanza processuale = potere del difensore di
rappresentare la parte nel giudizio. Ha per oggetto il compimento o
il ricevimento di quegli atti attraverso i quali si attua il diritto
di difesa, che la legge riserva al difensore.
Si discute in dottrina se la rappresentanza processuale possa ricondursi
alla generale figura di rappresentanza. La soluzione negativa muove
principalmente dal rilievo che l'avvocato non sostituisce la parte, in
quanto, compie atti che il rappresentante non è di massima autorizzato a
compiere direttamente. In realtà anche se di massima la parte non può
compiere o ricevere direttamente gli atti del processo, si tratta pur
sempre di atti che l'avvocato compie in nome della parte e i suoi
effetti sono imputati a quest'ultima secondo il principio fondamentale
della rappresentanza.

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Infine, la rappresentanza processuale non deve essere confusa con la


legittimazione processuale = competenza del soggetto ad esercitare o
ad essere destinatario di una data azione].

Rappresentanza organica = potere rappresentativo che spetta agli


organi esterni di un ente giuridico.
Il potere rappresentativo di un ente spetta solo agli organi esterni
o rappresentativi, cioè gli organi che secondo la disciplina
dell’ente hanno il potere di compiere atti giuridici in nome
dell’ente (es. amministratore di una società).
- L’organo rappresentativo si immedesima nella struttura
dell’ente, agisce come parte integrante di esso. L’attività
dell’organo è attività di una parte dell’ente, e come tale viene
imputata all’ente stesso. Questo rileva principalmente ai fini
della responsabilità extracontrattuale.
- L’imputazione all’ente del negozio è imputazione degli effetti:
la dichiarazione di volontà è pur sempre della persona fisica.
Ai fini dell’impegno dell’ente occorre accertare se la persona
fisica ha la qualifica vantata e poi se l’organo ha la
necessaria competenza rappresentativa.
→ La distinzione tra persona fisica esercente la funzione organica e
ente (secondo lo schema: parte formale – parte sostanziale), consente
di giustificare l’applicazione della disciplina della rappresentanza.

Funzione della rappresentanza:


La differenza tra rappresentanza legale e rappresentanza volontaria,
oltre che alla fonte, attiene alla funzione che esse reciprocamente
assolvono.
- Rappresentanza legale: mira a rendere possibile a soggetti
legalmente incapaci (nelle forme della potestà e della tutela
dei minori e degli interdetti) o diversamente impediti il
compimento di atti che altrimenti sarebbero loro preclusi. Di
qui la sua qualificazione come rappresentanza necessaria.
- Rappresentanza volontaria: la sua funzione è strettamente legata
ai criteri di opportunità e di convenienza del singolo, che
ritiene più proficuo agire per mezzo di sostituto. Infatti,
spesso varie circostanze (quali la lontananza, malattie ecc.)
richiedono che la persona si avvalga di sostituti per lo
svolgimento della vita di relazione. Il ricorso poi ai
rappresentanti diventa necessario, indispensabile nell'esercizio
dell'attività imprenditoriale quanto la complessità e la
molteplicità degli affari non ne consentono una trattazione
diretta da parte dell'imprenditore.
Le norme dettate in materia di rappresentanza volontaria si
applicano, nei limiti della compatibilità, anche alla
rappresentanza legale.

Il potere rappresentativo:
La dottrina incontra una tradizionale difficoltà a spiegare il
fenomeno della rappresentanza poiché questo fenomeno sembrerebbe

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contraddire un postulato fondamentale dell'autonomia privata e cioè


che il negozio è l'atto mediante il quale il soggetto decide della
propria sfera giuridica.
Questa difficoltà era stata avvertita maggiormente dalla dottrina
tedesca del secolo scorso che aveva raccolto l'eredità del pensiero
giuridico romano (al quale tra l'altro eraignoto l'istituto generale
della rappresentanza diretta) e che aveva elaborato la concezione del
negozio quale espressione della signoria della volontà che la persona
esercita sulla sua sfera individuale.
Tra i vari tentativi elaborati per cercare di superare questa
difficoltà si può ricordare:
- Teoria della volontà del rappresentato: secondo la quale il
rappresentante altro non sarebbe che il portatore della volontà
del rappresentato.
- Teoria del concorso delle volontà: secondo la quale la volontà
del rappresentato si integrerebbe con quella del rappresentante
nella dichiarazione contrattuale.
(!) Tuttavia si tratta di teorie non rispondenti al fenomeno della
rappresentanza la quale prescinde dalla volontà del rappresentato
in ordine al contratto stipulato dalla rappresentante
nell'esercizio del suo potere; la volontà del rappresentato può
avere la sua rilevanza ai fini della validità del contratto ma non
è costitutiva di questo.
- Teoria dell'autorizzazione: ravvisa nella rappresentanza
un'espressione di autonomia privata in quanto è il rappresentato
che autorizza rappresentante.
(!) Anche questa teoria, di più recente formulazione, pare
insufficiente. Indubbiamente, afferma il Bianca, la procura è un
atto di autonomia privata, ma ciò che si tratta di spiegare è come
mai si possa parlare di un atto di autonomia privata con
riferimento all'atto compiuto dalla rappresentante e cioè con
riferimento ad un atto che, diversamente dal principio di
autonomia negoziale, produce i suoi effetti in capo ad un terzo
(il rappresentato).

→ Per intendere l'atto del rappresentante come esplicazione di


autonomia privata occorre, piuttosto, riconoscere che il
rappresentante si sostituisce alla rappresentato ed esplica il potere
di autonomia negoziale di questo soggetto. Ciò spiega perché l'atto
del rappresentato da un lato esiga anzitutto la legittimazione del
rappresentato e sia precluso dalle incapacità che colpiscono il
rappresentato.
L'atto del rappresentante è, quindi, atto di esplicazione
dell'autonomia del rappresentato. Ma in quanto l'atto è compiuto in
sostituzione rappresentato, al rappresentante occorre il potere di
sostituirsi all'interessato cioè il potere rappresentativo.

Il potere rappresentativo è un potere giuridico che trova il suo


titolo specifico o nella legge o nell'atto autorizzativo del
rappresentato.
Il conferimento negoziale del potere rappresentativo da parte del
rappresentato non è traslativo in quanto il rappresentato non perde
la generale legittimazione a disporre dei propri diritti.

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- Cessione: atto mediante il quale il rappresentante sostituisce


interamente a sé un’altra persona nella titolarità del potere
rappresentativo.
- Subdelega: atto mediante il quale il rappresentante conferisce a
un terzo l’esercizio totale o parziale del potere
rappresentativo conservando la titolarità di quest’ultimo.

→ La cessione e la subdelega del potere rappresentativo sono


vietate, in ragione del carattere fiduciario e personale del
potere rappresentativo.
Il rappresentante può cedere o subdelegare il proprio potere
quando ciò sia previsto dal titolo. La subdelega può anche
ammettersi quando ciò si renda necessario in relazione alla
natura del rapporto gestorio. In giurisprudenza si ammette la
possibilità della subdelega di poteri determinati da parte di
organi di enti giuridici privati e di rappresentanti generali.

La procura:
= negozio unilaterale mediante il quale un soggetto conferisce ad un
altro il potere di rappresentarlo.
- Si inquadra nell'ambito dei negozi autorizzativi: autorizzazione
ad agire in nome dell’autorizzante.
- È un atto unilaterale: si perfeziona con la sola manifestazione
di volontà del suo autore senza che occorra il consenso del
destinatario. L’unilateralità della procura si spiega in quanto
essa attribuisce al soggetto destinatario una semplice posizione
di potere senza comportare né per il rappresentato né per il
rappresentante la perdita di un diritto o l'assunzione di un
obbligo.
- Si afferma comunemente che la procura è un negozio astratto, nel
senso che produce il suo effetto a prescindere dal rapporto
sottostante tra rappresentante e rappresentato.
(!) Tuttavia, afferma il Bianca è dubbio che si possa parlare
propriamente di astrattezza dal momento che la procura esprime
essa stessa una tipica sufficiente ragione giustificativa
dell'atto, e cioè l'interesse del dominus a farsi sostituire da
altri nel compimento di attività giuridiche. Se, pertanto, la
causa non esistesse o fosse illecita il negozio di procura deve
reputarsi nullo in applicazione del generale principio di
causalità del negozio giuridico. La nullità della procura non può,
tuttavia, essere opposta ai terzi che abbiano fatto ragionevole
affidamento su di essa potere, pertanto sul principio
dell'invalidità prevale quello dell'apparenza imputabile alla
rappresentato.
- Secondo l'opinione prevalente, è un negozio recettizio nel senso
che la sua efficacia sarebbe subordinata alla sua ricezione da
parte del rappresentante o secondo altri da parte del terzo.
Altri ancora non lo ritengono un negozio recettizio in quanto la
conoscenza non è funzionale all'effetto e non risponde ad
un'esigenza di tutela del destinatario. Questa teoria tra
l'altro è accolta, anche, dal Bianca.

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- La procura richiede la stessa forma che richiesta dalla legge


per l'atto che il procuratore è autorizzato a compiere (es. la
procura vendere un bene immobile esige a pena di nullità la
forma scritta).
Se gli atti che il rappresentante è autorizzato a compiere non
richiedono la forma scritta, la procura può anche essere orale.
Tuttavia, la procura orale, pur se valida, può rendere difficile
al rappresentante l'onere di provare i suoi poteri
rappresentativi. Infatti, il soggetto che contratta con chi si
dichiara rappresentante può chiedere a quest'ultimo di
giustificare i poteri e cioè di dimostrare l'esistenza e il
contenuto della sua posizione rappresentativa.

- La procura, ancora, può essere generale o speciale.


o Generale: conferisce al rappresentante il potere di
compiere tutti gli atti relativi alla gestione di interessi
patrimoniali del rappresentato o alla gestione di una
determinata attività. Non comprende gli atti di
straordinaria amministrazione che non sono in essa
indicati, come pure gli atti che devono essere
specificamente autorizzati dal rappresentato (es. il
rappresentante non può stipulare contratti con sé stesso
senza una procura specifica). Il rappresentante non può
compiere donazioni in nome del rappresentato senza una
procura specifica a donare. Non comprende la rappresentanza
in giudizio (salvo che il rappresentato non abbia né
residenza né domicilio nel territorio nazionale).
o Speciale: conferisce il potere di compiere singoli atti
giuridici.

Procura e rapporto gestorio:


Sebbene sia teoricamente possibile che un soggetto si limiti a
conferire ad un altro soltanto il potere rappresentativo, è anche
normale che la procura si accompagni ad un rapporto di mandato o ad
un'altro rapporto gestorio con il quale il rappresentante è obbligato
a compiere un’attività di gestione per conto del rappresentato.
Tipico contratti di gestione che si accompagna alla procura è il
mandato (= contratto in base al quale un soggetto – mandatario - si
obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto di un altro
soggetto – mandante).
- Se il mandante conferisce il potere di rappresentanza: trovano
applicazione le norme sul mandato e sulla rappresentanza;
- se il mandante non conferisce il potere di rappresentanza:
mandatario ha l’obbligo di svolgere una certa attività giuridica
a favore del mandante senza avere il potere di agire in nome di
questi. Egli acquista i diritti e assume gli obblighi in prima
persona salvo l'obbligo di ritrasferire tutto al mandante.

Rappresentanza gestoria:
Il potere di rappresentanza è normativamente previsto in capo a chi
ha una funzione gestoria nell’ambito di enti giuridici o imprese.
Trattandosi di un effetto legale del rapporto si ritiene che possa

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parlarsi di rappresentanza legale, tuttavia la rappresentanza


gestoria trova il proprio titolo in un rapporto negoziale.
La disciplina legale della rappresentanza gestoria ha normalmente
carattere dispositivo: comporta che i terzi possono presumere che il
potere rappresentativo sia conforme alla previsione normativa mentre
incombe sul rappresentato l’onere di portare a conoscenza dei terzi
che il potere rappresentativo ha diverso contenuto.
- Società di persone: la rappresentanza spetta a ciascun socio e
si estende a tutti gli atti che rientrano nell’oggetto sociale.
Lo statuto può escludere o limitare il potere di rappresentanza
dei soci. Queste modifiche devono essere portate a conoscenza
dei terzi con mezzi idonei e, in mancanza, occorre di volta in
volta provare che il terzo era consapevole di contrattare con un
socio privo in tutto o in parte del potere di rappresentanza. Se
questa prova non viene data, gli atti compiuti dal socio hanno
effetto nei confronti della società.
- Società di capitali: potere rappresentativo spetta agli
amministratori, e le limitazioni di tale potere pur se
risultanti dall’atto costitutivo o dallo statuto non sono
opponibili ai terzi, salvo che questi abbiano agito
intenzionalmente a danno della società.
- Associazioni riconosciute e fondazioni: potere di rappresentanza
spetta agli amministratori. Le limitazioni a tale potere devono
essere pubblicizzate mediante iscrizione nel registro delle
persone giuridiche. In mancanza non sono opponibili ai terzi,
salva la prova che questi ne erano a conoscenza.
- Associazioni non riconosciute: potere di rappresentanza spetta
di massima agli organi che hanno il potere di amministrazione.
In mancanza di un regime di pubblicità, il terzo ha l’onere di
verificare l’esistenza e il contenuto del potere di
rappresentanza di chi assume di agire in nome dell’associazione.
- Institore: (preposto dal titolare all’esercizio dell’impresa o
di una sede o ramo di essa) Ha la rappresentanza generale per
tutti gli atti pertinenti all’esercizio dell’impresa cui è
preposto e la legittimazione processuale per i giudizi relativi
ai rapporti dipendenti dall’esercizio.
Commesso: ha un limitato potere rappresentativo.
Agente: non ha la rappresentanza del preponente. Egli può
tuttavia ricevere dichiarazioni e reclami inerenti
dall’esecuzione del contratto, può chiedere provvedimenti
cautelari e presentare reclami nell’interesse del preponente.

I soggetti del rapporto rappresentativo sono:


- rappresentante: cioè il titolare del potere di rappresentanza;
- rappresentato: cioè la persona in nome della quale il potere è
esercitato.

Nella rappresentanza volontaria la legge richiede la capacità di


agire del rappresentato affinché quest'ultimo possa controllare
l'operato delle rappresentante (condizione legale di efficacia del
rapporto);

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tale capacità non è richiesta per il rappresentante, dal momento che


gli effetti dell'atto non si ripercuotono sul suo patrimonio:
tuttavia, il rappresentante deve essere consapevole delle significato
giuridico di ciò che dichiara e quindi deve essere capace di
intendere e di volere (in mancanza, il contratto è annullabile).
L’incapacità di intendere e volere non è influente quando il
contenuto del contratto sia già stato determinato dal rappresentato.

L’inesistenza del rappresentato comporta di massima la nullità del


contratto per l’impossibilità di costituire il rapporto in capo alla
persona cui il rapporto è riferito. Diversa soluzione per gli enti in
via di formazione o riconoscimento, data la possibilità del
riferimento soggettivo dell’atto.

Stati soggettivi:
Per il perfezionamento del negozio stipulato dal rappresentante
rileva la dichiarazione di volontà dello stipulante. La volontà
costitutiva delle negozio compiuto nell'esercizio del potere
rappresentativo è esclusivamente quella delle rappresentante.
- La validità del negozio presuppone l’integrità e la libertà del
consenso prestato dal rappresentante. Pertanto, secondo le
regole generali il negozio è suscettibile di annullamento se la
volontà manifestata dalla rappresentante era viziata da dolo,
terrore o violenza, o se il rappresentante era affetto da
incapacità naturale.
- Sono anche rilevanti, per la legge, gli stati soggettivi di
buona fede o malafede del rappresentante, perché l’atto rientra
nella sua sfera di decisione; tuttavia se si tratta di elementi
predeterminati dal rappresentato saranno rilevanti gli stati
soggettivi di quest'ultimo. (Es. il rappresentato che decide di
acquistare un immobile da parte di una determinata persona, può
avvalersi dell’usucapione se era in buonafede e se anche il
rappresentante ignorava che l’alienante non era proprietario.
Per converso, se il rappresentante sapeva che l’alienante non
era il proprietario, egli non può giovarsi dell’eventuale
buonafede del rappresentante).
(?) Rappresentato può valersi della buonafede del rappresentante
pur quando il compimento personale dell’atto lo avrebbe
preservato dall’errore (es. pagamento del rappresentante al
creditore apparente)? Il rappresentato può giovarsi della norma
che dichiara liberatorio il pagamento eseguito in buonafede al
creditore apparente?

Esercizio del potere di rappresentanza:


Affinché il negozio possa considerarsi stipulato dal rappresentante
nell’esercizio del suo potere occorre che esso sia compiuto in nome
del rappresentato: spendita del nome (contemplatio domini).
- = esternazione del potere rappresentativo. L’atto deve apparire
al terzo, alla stregua di una normale valutazione, come atto

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compiuto dal rappresentante nella sua qualità, cioè come atto da


riferire direttamente al rappresentato. Questo può desumersi
anche dalla natura dell’affare e dalle circostanze in cui l’atto
è compiuto.
Se l’atto non appare compiuto nell’esercizio del potere di
rappresentanza, il rappresentante rimane personalmente impegnato
nei confronti del terzo. Egli può però giovarsi degli effetti
dell’atto secondo la regola della rappresentanza indiretta.

La cura dell'interesse delle rappresentato:


Il rappresentante deve esercitare il suo potere di rappresentanza
dell'interesse del rappresentato.
L'obbligo del rappresentante di esercitare il suo potere
conformemente all'interesse del rappresentato, oltre a trovare il suo
fondamento nella legge che dice espressamente che il contratto
dev'essere concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse delle
rappresentato; è espressione del principio generale secondo il quale
il titolare di un potere conferito nell'interesse altrui deve usare
il potere conformemente all'interesse per il quale esso è stato
conferito.
Sebbene normalmente il potere rappresentativo si accompagni ad un
rapporto contrattuale che determina gli obblighi a carico del
rappresentante (mandato); non di rado accade che il rappresentato si
limiti a conferire solamente il potere rappresentativo (mediante
procura).
La cura effettiva dell'interesse del rappresentato non è, comunque,
elemento essenziale della rappresentanza nel senso che, all'atto del
rappresentante, è efficace nei confronti del rappresentato anche se
il primo (rappresentante) non agisce nell'interesse del secondo
(rappresentato). Affinché il rappresentato possa respingere l'atto
del rappresentante non basta che tale atto sia pregiudizievole ma
occorre che sia compiuto in conflitto di interessi con il
rappresentato e che il conflitto sia conosciuto o conoscibile dal
terzo (atto del rappresentante è annullabile).

Il conflitto di interessi:
Art. 1394: Il contratto concluso dal rappresentante in conflitto di
interessi con il rappresentato è annullabile se il conflitto era
riconosciuto o riconoscibile da parte del terzo.
Il conflitto di interessi è un’ipotesi di contrasto tra interesse del
rappresentante e interesse del rappresentato. Ciò che rileva non è
che l’atto sia svantaggioso per il rappresentato ma occorre che il
rappresentante sia portatore di interessi incompatibili con quelli
del rappresentato.
Il rappresentante può agire anche nel proprio o nell’interesse di
terzi (ciò si desume dalla disciplina del mandato: mandato conferito
nell’interesse del mandatario o di terzi – art. 1723 c.c.). Il
rappresentante però non può esercitare il suo potere nell’esclusivo
interesse suo o di altri. Nell’ipotesi di conflitto di interessi il

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rappresentante si trova in una posizione che non può salvaguardare


senza sacrificare l’interesse del rappresentato (es. il
rappresentante vende o acquista da una società nella quale ha una
rilevante partecipazione). → Il contratto concluso è annullabile
anche senza una prova specifica del danno che il rappresentato abbia
sofferto.

Il conflitto di interessi è tipicamente presente nell'ipotesi del


contratto con se stesso:
= contratto nel quale i rappresentante assume la posizione di parte
(sostanziale) contrapposta al rappresentato oppure stipula in
rappresentanza delle parti contrapposte.
La legge prevede espressamente l'annullabilità del contratto concluso
dal rappresentante con se stesso, salve le ipotesi in cui il
rappresentante sia stato specificamente autorizzato a concluderlo o
in cui il contenuto del contratto sia stato predeterminato in maniera
tale da escludere la possibilità del conflitto di interessi.
L'invalidità consegue alla violazione del divieto legale posto a
carico del rappresentante, di agire in contrasto con l'interesse del
rappresentato. Infatti, il contratto con se stesso denunzia un palese
conflitto di interessi che in via presuntiva impedisce al
rappresentante, portatore dell'interesse contrapposto a quello del
rappresentato, di salvaguardare adeguatamente l'interesse di
quest'ultimo. La ragione dell'invalidità è la tutela delle
rappresentato contro il presunto pregiudizio dell'atto.
Tale ragione di tutela, pertanto, viene meno:
- quando lo stesso rappresentato valuta come i desideri per il
pericolo di pregiudizio autorizzato il compimento dell'atto;
- quando la predeterminazione del contenuto dell'atto esclude che
il rappresentante possa operare a nuove rappresentato.
- Secondo alcuni il pericolo di pregiudizio è scongiurato dalla
predeterminazione del prezzo di vendita o di acquisto.
(!) Tuttavia, sostiene il Bianca che ad escludere il pericolo di
pregiudizio del rappresentato non basta che questi abbia fissato
il prezzo di vendita o di acquisto del bere. La fissazione del
prezzo da parte del rappresentato deve, infatti, intendersi come
un limite minimo per la vendita o come un limite massimo per
l'acquisto, fermo restando per il rappresentante l'obbligo di
cercare di ottenere il prezzo più vantaggioso possibile.
- Il pericolo di pregiudizio, sostiene il Bianca, deve piuttosto
escludersi quando si tratta di beni che il rappresentato vende
usualmente a condizioni standard e a prezzi fissi.

Secondo la regola generale l'azione di annullamento spetta


rappresentato ossia alla parte nel cui interesse l'annullamento è
previsto dalla legge e ad essa si accompagna il rimedio del
risarcimento del danno (si tratta di responsabilità contrattuale del
rappresentante).

Abuso del potere rappresentativo:

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Vi è abuso di potere rappresentativo quando il rappresentante, pur


fornito del potere rappresentativo:
- abbia fatto cattivo uso di esso agendo in conflitto di interessi
con il rappresentato;
- trascura o lede l'interesse di quest'ultimo (cioè perseguendo un
interesse proprio o di terzi in contrasto con l'interesse del
rappresentato);
- si discosta dalle istruzioni ricevute.

L'abuso significa un cattivo uso del potere rappresentativo di cui il


rappresentante è comunque titolare; precisamente il rappresentante
esercita il potere di cui è titolare ma non in conformità degli
obblighi verso il rappresentato. Quindi, l'atto è efficace ma da
luogo alla responsabilità del rappresentante per il suo
inadempimento.
A carico del rappresentante sussiste, infatti, l'obbligo legale di
esercitare il potere rappresentativo nell'interesse delle
rappresentato. La violazione di tale obbligo non rende tuttavia
l'atto invalido salva l'ipotesi di conflitto di interessi.
Infatti, come già osservato, la cura effettiva dell'interesse delle
rappresentato non è comunque elemento essenziale della rappresentanza, per
cui l'atto delle rappresentante è efficace nei confronti delle
rappresentato anche se il rappresentante non agisce nell'interesse del
rappresentato. Per cui il rappresentato non potrà respingere l'atto del
rappresentato soltanto perché si tratta di un atto pregiudizievole ma
occorre che sia compiuto in conflitto di interessi.
Talvolta la procura si accompagna ad un rapporto di mandato o ad
un'altro rapporto gestorio con il quale il rappresentante è obbligato
a compiere un’attività di gestione per conto del rappresentato. Al
riguardo occorre tenere presente che l'inosservanza degli obblighi
inerenti al rapporto di gestione comporta l'inefficacia dell'atto
quando le istruzioni date al mandatario concorrono a determinare il
contenuto della procura.
Spesso il rappresentante riceve un potere rappresentativo più ampio
rispetto al contenuto del rapporto di gestione. La possibilità
dell’abuso si pone quando il rappresentante si avvale del potere di
rappresentanza per compiere atti che esulano dagli obblighi nascenti
dal rapporto di gestione. → L’atto rimane valido nei
confronti del terzo, salvo il diritto del rappresentato a essere
risarcito del danno.

Cause di estinzione del potere rappresentativo:


Le cause di estinzione del potere di rappresentante sono:
- revoca della procura
- rinuncia del rappresentante
- fallimento rappresentato o rappresentante
- scadenza del termine
- condizione risolutiva
- estinzione del rapporto di gestione

REVOCA:

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= negozio unilaterale mediante il quale il rappresentato prima di


efficacia la procura, estinguendo il potere delle rappresentante.
Il rappresentato può anche modificarlo. La modifica della procura è
una revoca parziale del podere di rappresentanza e come tale deve
essere quindi distinta rispetto all’integrazione della procura,
mediante la quale il rappresentato specifica o amplia il potere
conferito.
La revoca può essere espressa o tacita:
- revoca tacita: quando il rappresentato tiene un comportamento
incompatibile con la volontà di mantenere alla rappresentante di
potere di rappresentanza (es. la nomina di una rappresentante
esclusivo per il compimento dello stesso affare che abbia
costituito oggetto della procura, oppure compimento dell’atto da
parte del rappresentato).
La revoca, sia tacita che espressa, deve essere portata conoscenza
dei terzi con mezzi idonei. Se il rappresentato è un imprenditore, la
revoca deve essere portata a conoscenza dei terzi mediante iscrizione
nel registro delle imprese. Se è una persona giuridica, nel registro
delle persone giuridiche.
→ Il revocante che non assolve a questo onere non può opporre la
revoca al terzo contraente, salva la possibilità di provare che
questi al momento della conclusione del contratto sapeva che la
procura era stata revocata o modificata.
La necessità che la revoca sia portata conoscenza dei terzi ha indotto la
dottrina prevalente a parlare di atto recettizio.
In contrario, afferma il Bianca, deve osservarsi che la legge non prevede
l'onere della comunicazione bensì quello della adeguata pubblicazione
dell'atto. In altri termini in presenza di terzi interessati, la
comunicazione si rende necessaria ma non come specifico onere del
revocante bensì come mezzo concretamente idoneo per portare la revoca a
conoscenza dei terzi. Dal momento in cui il rappresentante ha avuto
conoscenza dell'avvenuta revoca egli deve astenersi dallo svolgere
attività rappresentativa.

La legge non richiede la comunicazione della revoca al rappresentante


ai fini dell’efficacia dell’atto, ma il rappresentante ha diritto ad
essere indennizzato per le spese sostenute e compensato per
l’attività svolta nell’ignoranza della revoca.
Dal momento in cui il rappresentante ha avuto conoscenza
dell’avvenuta revoca, deve astenersi dallo svolgere attività
rappresentativa.
Il problema del compenso è legato al rapporto sottostante la procura:
- mandato: a tempo determinato → mandatario ha diritto al mancato
guadagno se la revoca è fatta prima della scadenza del termone o
del compimento dell’affare oggetto del mandato; a tempo
indeterminato → revoca dev’essere data con un congruo
preavviso, a pena di risarcire il danno (non se la revoca è per
giusta causa).
- lavoro subordinato: si applicano le norme a tutela di tale
rapporto.

Limiti al potere di revoca: la procura (speciale) irrevocabile

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Il principio della revocabilità della procura trova il suo fondamento


nel principio generale della revocabilità degli atti consessi ad un
soggetto dell'interesse altrui (proprio).
Tuttavia, sussiste un limite al potere di revocabilità della procura
che si ha nel caso della c.d. procura irrevocabile.
1) La prima ipotesi si ha nel caso in cui il potere rappresentativo
è conferito anche nell'interesse del rappresentante o di terzi
(es. procura conferita al creditore per vendere un bene del
rappresentato al fine di soddisfarsi sullo ricavato).
L’irrevocabilità della procura trova la sua giustificazione nel
fatto che l'eventuale revoca verrebbe a ledere un diritto delle
rappresentante o del terzo. In tali casi, comunque, la procura
può essere revocata se sussiste una giusta causa o se ne è stata
prevista la revocabilità.
2) La procura collettiva (= conferita da più persone con un unico
atto e per un affare comune) non può essere revocata
separatamente dal singolo rappresentato, salvo che ricorra una
giusta causa.
3) La procura può essere irrevocabile per espressa volontà del
rappresentato. Al riguardo si deve precisare che il
rappresentato non potrebbe rendere irrevocabile la procura
conferita nel suo esclusivo interesse, in quanto sarebbe priva
di causa e come tale nulla. Se invece la procura è conferita
nell'interesse del procuratore o di un terzo, l’irrevocabilità
risponde alla regola legale.

→ La revoca della procura irrevocabile deve ritenersi inefficace


anche rispetto ai terzi pur se non risultino esternamente le cause
dell’irrevocabilità. Non si pone infatti un problema di tutela
dell’affidamento.

Rinuncia del rappresentante:


- si spiega in ragione del carattere fiduciario del rapporto che
si instaura tra rappresentante e rappresentato.
- È ammessa anche quando il rappresentante si sia obbligato al
compimento degli atti rappresentativi. In tal caso l’incaricato
è tenuto al risarcimento del danno salvo che la rinuncia abbia
giusta causa.
Sopravvenuta incapacità del rappresentato o del rappresentante:
Rilevano: morte della persona fisica, estinzione persona giuridica,
interdizione, inabilitazione.
- La sopravvenuta incapacità del rappresentato non estingue il
potere di rappresentanza conferito anche nell’interesse del
rappresentante o di terzi, in quanto tali soggetti hanno
acquisito un diritto all’espletamento della rappresentanza.
- La sopravvenuta incapacità del rappresentante comporta
l’estinzione del potere rappresentativo, ma gli eredi del
rappresentato possono pretendere la nomina di un nuovo
rappresentante.

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Fallimento del rappresentante o del rappresentato (salvo che la


procura sia stata conferita nell’interesse del rappresentante).
Estinzione del rapporto sottostante: la procura ha una funzione
strumentale rispetto al sottostante rapporto di gestione e pertanto
decade con il venir meno di tale rapporto.

→ Le cause di estinzione della procura diverse dalla revoca non


sono opponibili ai terzi che le hanno ignorate senza colpa. Ciò
comporta l’onere di portare l’estinzione a conoscenza dei terzi con
mezzi idonei salva la possibilità per il terzo di far valere la sua
incolpevole ignoranza.
Talune cause devono comunque ritenersi opponibili a prescindere
dalla loro pubblicazione: es. fallimento, sopravvenuta incapacità del
rappresentato.

Il difetto di rappresentanza:
= ipotesi del contratto stipulato da chi non ha alcun potere
rappresentativo o eccede i limiti della procura (falso
rappresentante).
→ In difetto del potere di rappresentanza di contratto non è
efficace né rispetto a rappresentante, né rispetto al rappresentato e
neppure rispetto al terzo contraente.
- Rispetto al rappresentato il contratto non è efficace in quanto
l'imputazione dei difetti del negozio direttamente in capo al
rappresentato discende dal potere rappresentativo dello
stipulante. Se questo potere non sussiste, il negozio rimane
estraneo alla sera giuridica del rappresentato.
- Rispetto al rappresentante il negozio è inefficace in quanto si
tratta di un atto compiuto nel nome del rappresentato. Il
negozio cioè è destinato a produrre effetti nella sfera
giuridica delle rappresentato e non su quella del sedicente
rappresentante, il quale non assume alcun impegno né compie
alcun atto dispositivo in nome proprio.
- Nei confronti del terzo il contratto è egualmente inefficace. In
capo al tale soggetto non possono prodursi effetti obbligatori o
reali provvide contratto, poiché tali effetti presuppongono
l'operatività del contratto nei confronti del rappresentato.
L'inefficacia del contratto stipulato dal falso rappresentante
non significa che tale contratto sia nullo o annullabile. Il
contratto è semplicemente privo di un requisito di efficacia che
può essere integrato successivamente mediante la ratifica da
parte del rappresentato.

Il contratto concluso dal falso rappresentante è un contratto


perfetto, in quanto consta di tutti gli elementi costitutivi
(accordo, oggetto, causa, forma). La ratifica non è integrativa
dell’accordo, ma lo rende efficace.
In dottrina è anche sostenuta la tesi della nullità e quella
dell’incompletezza del negozio stipulato dal falso rappresentante.

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La ratifica:
= negozio unilaterale mediante il quale il soggetto (il
rappresentato) rende efficace nei propri confronti l'atto del non
autorizzato.
Con la ratifica il rappresentato non conclude un nuovo contratto con
il terzo né stipula il contratto già stipulato da rappresentante. La
volontà del ratificante è diretta, piuttosto, ad accettare l'operato
del falso rappresentante, e quindi a conferirgli quella posizione di
legittimazione che il falso rappresentante avrebbe dovuto avere sin
dal momento della stipulazione del negozio.
- Negozio diretto a integrare un elemento costitutivo del
contratto stipulato dal falso rappresentante. Tale negozio si
deve però intendere perfezionato nei suoi elementi costitutivi.
Secondo altri sarebbe la ratifica avrebbe natura autonoma:
negozio con cui il ratificante si appropria dell’atto del falso
rappresentante. (! L’appropriazione dell’atto si realizza
attraverso gli effetti del contratto stipulato dal falso
rappresentante, risultando la ratifica un sopravvenuto requisito
di efficacia di tale contratto!).
- La ratifica esprime il potere di legittimazione dell’interessato
attraverso il quale questo recupera l’atto nella propria sfera
giuridica: si tratta di una procura successiva.
- Quale procura successiva la ratifica è interamente sottoposta
alla disciplina della la procura, ed in particolare, richiede la
stessa forma cioè la forma scritta per il contratto stipulato
dal rappresentante.
- Anche la ratifica può essere manifestata tacitamente (es.
volontà del rappresentato di avvalersi delle posizioni derivanti
dal negozio posto in essere dal falso rappresentante).
- La ratifica è, secondo l'opinione dominante, un atto recettizio
nei confronti del terzo contraente: questa opinione si
giustifica in data rilievo che l'atto rende operante il rapporto
contrattuale tra il terzo e di rappresentato.
- La ratifica ha effetto retroattivo, nel senso che il contratto
concluso dal falso rappresentante acquista la sua efficacia fin
dall'origine come se fosse stato concluso dal rappresentante
legittimato. Tuttavia, detto effetto retroattivo non può operare
in pregiudizio di terzi, ossia di coloro che anteriormente alla
ratifica abbiano acquistato di incompatibili con l'atto
dispositivo della rappresentante.
- In attesa della ratifica il contratto concluso dal falso
rappresentante è vincolante per il terzo contraente, il quale
non può sciogliersi unilateralmente dal vincolo contrattuale.
La legge non prevede un limite temporale per l'esercizio del
potere di ratifica da parte delle rappresentato, tuttavia questa
situazione di pendenza non può di certo protrarsi a tempo
indefinito in pregiudizio del terzo. A quest'ultimo la legge
accorda pertanto un diritto interrogatorio, cioè il potere di
assegnare a rappresentato un termine (di decadenza) per

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l'esercizio della ratifica. Trascorso tale termine il


rappresentato non può più ratificare del contratto.
Suscettibili di ratifica sono in generale gli atti giuridici, diversi
dal contratto, compiuti dal falso rappresentante (anche i negozi
giuridici unilaterali).
(? Può rendere efficace retroattivamente un atto interruttivo della
prescrizione? Prevale la soluzione negativa).

La responsabilità del falso rappresentante


Il falso rappresentante è tenuto a risarcire il danno che il terzo
contraente ha sofferto per avere confidato, senza sua colpa,
dell'efficacia del contratto o in generale dell'atto compiuto dal
falso rappresentante.
- Non è responsabilità contrattuale per inadempimento: il
rappresentante non contrae il nome proprio e non assume un
impegno in ordine all'esecuzione del negozio.
Il fatto illecito consiste nella lesione della libertà
contrattuale del terzo. Il rappresentante è responsabile in
quanto, dolosamente o colposamente, si è avvalso di una
legittimazione inesistente inducendo il terzo a compiere un
negozio inefficace. → responsabilità extracontrattuale, e più
in particolare, responsabilità precontrattuale.
- Il risarcimento cui è tenuto il falso rappresentante non ha ad
oggetto l'interesse positivo (cioè l'interesse che sarebbe stato
soddisfatto dall'atto inefficace) bensì l'interesse negativo
(cioè l'interesse del terzo a non essere partecipe o
destinatario di un atto inefficace).
Es. se il falso rappresentante ha alienato un immobile, il
risarcimento comprenderà: spese inutilmente sostenute per il
contratto, per il bene e la sua utilizzazione, maggiori oneri
derivanti dal ritardo nell’acquisto di un bene di rimpiazzo.
Il danno deve essere risarcito in quanto sia certo. La certezza
non sussiste sino a quando l’inefficacia del contratto concluso
non sia diventata definitiva. La ratifica fa venir meno il danno
derivante dall’inefficacia definitiva del contratto concluso dal
falso rappresentante, ma non esclude il danno derivante
dall’inefficacia temporanea (es. ritardo nell’esecuzione del
contratto.
- La responsabilità del falso rappresentante presuppone che il
terzo abbia confidato senza sua colpa nella legittimazione di
tale soggetto. Il terzo è in colpa quando sia caduto in un
errore inescusabile, cioè in un errore evitabile con la normale
diligenza dell'esercizio dell'autonomia negoziale. In tal caso
l'esclusione di responsabilità del falso rappresentante trova
fondamento del principio della compensazione delle colpe. Il
terzo non può pretendere il risacimento di un danno che egli
stesso ha causato con la propria negligenza. La colpa si
identifica come colpa obiettiva, quale inosservanza del modello
diligente di condotta a prescindere dagli stati soggettivi che
possono aver influito sul comportamento.
- Se il falso rappresentante ha dolosamente creato l’apparenza
della propria legittimazione, la colpa del terzo diviene

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irrilevante. Trova infatti applicazione il generale principio


secondo cui l’autore del dolo non può invocare a propria
esimente la colpa di chi si è lasciato raggirare.

La rappresentanza apparente:
= è rappresentante apparente colui che in base a circostanze univoche
mostra di avere un potere rappresentativo di cui in realtà è privo.
La semplice apparenza della legittimazione non vale a supplire la
mancanza di una legittimazione effettiva.
• Il rischio della falsa rappresentanza ricade sul terzo poiché il
presunto rappresentato non può sottostare agli effetti giuridici
di un negozio che gli è estraneo. → Il rimedio del terzo è
quello del risarcimento dei danni nei confronti del falso
rappresentante per aver confidato nell’efficacia del contratto.
• Il contratto concluso dal falso rappresentante è efficace nei
confronti del rappresentato se questo ha dato causa
all’apparente legittimazione. La situazione di apparenza creata
o causata dall’apparente rappresentato deve essere tale da
giustificare l’affidamento di una persona normalmente diligente.

L’ipotesi più comune di procura apparente imputabile al rappresentato


è quella della rappresentanza tollerata.
= il rappresentato, pur sapendo che il falso rappresentante agisce in
nome di esso rappresentato, non interviene per far cessare tale
ingerenza.

Il fondamento dell’efficacia della procura apparente si riconduce al


generale principio dell’apparenza, e cioè al principio secondo il
quale chi crea l’apparenza di una condizione di diritto o di fatto è
assoggettato alle conseguenze di tale condizione nei confronti di chi
vi abbia fatto ragionevole affidamento.
Tuttavia, il principio dell'apparenza dà luogo a qualche perplessità in
quanto tale principio, sostanzialmente, rende efficace una situazione
inesistente dando luogo all'applicazione di una regola giuridica in
contrasto con la realtà che essa presuppone (nel senso che si potrebbe
al massimo parlare di una responsabilità precontrattuale del
rappresentato apparente). Questa difficoltà può essere superata
riconoscendo che la rilevanza dell'apparenza esprime una particolare
forma di autoresponsabilità del soggetto per il falso affidamento
suscitato di terzi.
Se l’affidamento concerne la condizione di un terzo, il soggetto è
tenuto al risarcimento dei danni secondo la regola della
responsabilità extracontrattuale. Se concerne la propria condizione,
il soggetto è direttamente tenuto in conformità dell’affidamento
suscitato.

La rappresentanza indiretta (o di interessi):


= indica il potere del soggetto di compiere atti giuridici in nome
proprio nell’interesse altrui.

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Generalmente questa posizione di potere si accompagna a un obbligo


assunto dal gestore di agire per conto dell’interessato. Il contratto
tipico dal quale scaturisce tale obbligo è il mandato.
Il mandante può conferire o meno al mandatario il potere di
rappresentanza:
- Mandato con rappresentanza: mandatario agisce in nome e per
conto del mandante;
- Mandato senza rappresentanza: il mandatario che agisce in nome
proprio acquista diritti e assume obblighi derivanti dal
negozio, mentre i terzi non entrano in alcun rapporto con il
mandante. Il mandatario senza procura è titolare di una
posizione che si definisce di rappresentanza indiretta (→
mandatario è autorizzato a incidere sulla sfera giuridica del
mandante, che ha l’obbligo e il diritto di recepire gli effetti
giuridici dell’atto autorizzato).
Tuttavia, taluni effetti del contratto stipulato dalla rappresentante
indiretto si riproducono direttamente in capo al rappresentato:
o le cose mobili e i crediti acquistati dal mandatario in nome proprio
ma per conto del mandante, cadono automaticamente nella sfera
giuridica di quest'ultimo.
o Per gli immobili e i beni mobili registrati, il mandatario che li ha
acquistati diventa proprietario ma ha l'obbligo di ritrasferirli al
mandante con un successivo negozio, altrimenti il mandante stesso
può chiedere il trasferimento mediante l'esecuzione forma specifica.

Il mandante non è parte né formale né sostanziale del contratto.


È il mandatario che rimane obbligato nei confronti del terzo
all’esecuzione del contratto, rispondendo per l’inadempimento,
che acquista i crediti derivanti dal contratto stesso, che è
legittimato a esercitare la impugnazioni contrattuali.
La legge prevede per altro il potere del mandante di agire in
sostituzione del mandatario per esercitare i diritti di credito
derivanti dal mandato, in quanto ciò non pregiudichi i diritti
del mandatario.

L'atto dispositivo del non legittimato:


- Il soggetto che dispone in nome proprio del diritto altrui senza
esserne legittimato stipula un negozio che non ha effetto nei
confronti del titolare del diritto. Ma a differenza del
contratto stipulato dal falso rappresentante, il disponente
stipula il nome proprio e il negozio è efficace nei suoi
confronti.
Il contratto, quindi, non ha l'effetto di trasferire
all'alienatario il diritto del terzo ma l'alienante, che ha
assunto in proprio il rapporto contrattuale, è tenuto a
procurare all'acquirente il diritto non è alienato (art. 1476:
il venditore è tenuto a fare acquistare al compratore della
proprietà della quota o il diritto, se l'acquisto non è effetto
immediato del contratto).
L’effetto traslativo dell’alienazione può intervenire
successivamente, a seguito dell’acquisto del diritto da parte
del non legittimato (art. 1478: nella vendita di cosa altrui il

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compratore diviene automaticamente proprietario del bene nel


momento in cui il venditore acquista la proprietà di esso).
In caso contrario, il mancato trasferimento in proprietà del
bene all'acquirente, in buona fede, costituisce inadempimento
del contratto e pertanto dà luogo alla responsabilità
contrattuale dell'alienante.

L'approvazione del titolare:


L’atto di disposizione del diritto altrui da parte del non
legittimato in nome proprio può produrre l'effetto traslativo a
seguito dell'approvazione da parte del titolare.
= atto mediante il quale il titolare del diritto autorizza
successivamente il negozio di alienazione stipulato da un terzo in
nome proprio. L'approvazione comporta l'acquisto della legittimazione
da parte dell'alienante e quindi prodursi dell'effetto traslativo
direttamente in capo all'alienatario.

- Si distingue dalla ratifica da parte del rappresentato perché


questa ha per oggetto l'atto compiuto dal non legittimato in
nome altrui. Il ratificante diviene titolare del vincolo
contrattuale, mentre l’approvante vi è estraneo.

Il contratto per conto di chi spetta (o per conto


dell’avente diritto):
= contratto stipulato in rappresentanza di chi risulterà titolare di
una data posizione giuridica.
- menzionato dalla legge nell’ipotesi di verifica giudiziale dei
difetti della cosa venduta: su istanza dell’interessato il
giudice può ordinare il deposito o il sequestro della cosa e, se
ciò appare giustificato, la vendita per conto di chi spetta
(art. 1513).
Altri casi di atti di disposizione destinati a incidere su chi
risulterà il titolare del bene/patrimonio: atti di gestione e
vendita di beni ereditari da parte del curatore dell’eredità
giacente o del chiamato all’eredità giudizialmente autorizzato,
vendita del bene sottoposto a sequestro convenzionale…

- Il potere di stipulare il contratto per conto di chi spetta può


essere conferito dagli stessi interessati o può inerire
all’ufficio ricoperto dallo stipulante.
Lo stipulante comunque non assume la posizione si parte
sostanziale del contratto, non stipula per sé. In attesa che
diventi certa la persona del rappresentato, lo stipulante può
dover provvedere all’attuazione di tutto il rapporto
contrattuale, ma i suoi adempimento sono eseguiti nell’esercizio
del potere rappresentativo e devono quindi essere imputati al
rappresentato. Questo contratto rientra quindi nello schema
della rappresentanza.

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IL CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE


= (art. 1401) contratto nel quale una delle parti (lo stipulante) si
riserva il potere di nominare entro il termine legale o convenzionale
un altro soggetto che diverrà parte sostanziale del contratto.

La riserva di nomina di un terzo dà luogo ad una parziale


indeterminatezza soggettiva, nel senso che il rapporto si costituisce
tra le parti originarie (stipulante e prominente) ma sussiste
l'alternativa che il rapporto faccia capo ad un terzo.
Infatti, con l'atto di nomina (cd. electio amici) il terzo subentra
come parte sostanziale del contratto in sostituzione o in aggiunta
allo stipulante, acquistando con effetto retroattivo diritti e
obblighi derivanti dal contratto. Scaduto il termine senza che sia
comunicata alla controparte una efficace dichiarazione di nomina, il
contratto si consolida definitivamente in capo allo stipulante.

La riserva di nomina costituisce un tipico patto accessorio.


Originariamente era in uso nelle aste pubbliche e serviva
principalmente a consentire l'intervento di persone che non gradivano
apparire tra i partecipanti, ma successivamente si estese anche alle
vendite private in quanto consentiva di rivendere il bene senza dover
pagare nuovi tributi di trasferimento.
Nell'attuale pratica negoziale questo patto si rinviene, solitamente,
nei preliminari di compravendita immobiliare e può servire allo
stipulante per attribuire al terzo un rapporto gestito nell’interesse
di quest’ultimo oppure nel proprio interesse evitando gli oneri
fiscali di un doppio passaggio di proprietà.

La riserva di nomina non può essere accostata alla clausola che


autorizza la cessione del contratto:
- la nomina assegna al nominato la posizione di parte con effetto
retroattivo,
- Con la cessione del contratto la posizione contrattuale si
trasferisce dal cedente al cessionario con effetto dal momento della
cessione (non ha effetto retroattivo).

La natura giuridica del contratto per persona da nominare è oggetto


di discussione:
a) Secondo l’opinione prevalente si ha una rappresentanza in
incertam personam, perché il terzo dichiara di agire in nome
altrui (dichiara di acquistare non per sé ma per la persona da
nominare) ma non dichiara la persona per cui agisce. La
rappresentanza è poi eventuale perché se manca la procura
anteriore alla conclusione dl contratto o l’accettazione
contemporanea alla dichiarazione di nomina, la figura della
rappresentanza viene a mancare, in quanto il contratto produce i
suoi effetti nei confronti dei contraenti originari.
b) Tuttavia, afferma il Bianca, quest'inquadramento non può essere
condiviso: può osservarsi che lo stipulante, a differenza dei
rappresentante, diviene sin dall'origine parte sostanziale del
rapporto salva la possibilità di fatti sostituire con efficacia
retroattiva. L’esercizio del potere di rappresentanza attiene al
momento successivo e eventuale della nomina.

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Il Bianca ritiene che la riserva di nomina sia una figura di


autorizzazione che si identifica nell'autorizzazione che una
parte concede all'altra di mutare nel proprio interesse la
titolarità del rapporto contrattuale con effetto retroattivo.
Tale autorizzazione rende efficace la nomina rispetto
all’autorizzante sempre che essa sia efficace rispetto al terzo.
c) Un'altra costruzione inquadra il contratto per persona da
nominare nello schema della condizione: ravvisa nel contratto
concluso tra stipulante e promittente un contratto sottoposto a
condizione risolutiva (la nomina del terzo). A tale contratto si
accompagna un secondo contratto, quello intercorrente era il
terzo e il promittente sottoposto a condizione sospensiva
(l'evento condizionante sarebbe sempre la electio amici). Per
altri il contratto tra prominente e terzo sarebbe il via di
formazione.

Effetti della riserva di nomina


La riserva non impedisce né il perfezionamento né l'efficacia del
contratto tra le parti originarie. Il contratto per persona da
nominare, già prima della dichiarazione di nomina, è perfetto ed
efficace, non essendovi incertezza sulla esistenza di un contraente,
ma solo sulla circostanza se allo stipulante debba sostituirsi o meno
un'altra persona.
D'altronde, afferma il Bianca, l'idea di una sospensione degli
effetti finali non ha riscontro né nella previsione legislativa e
neppure nella funzione della clausola la quale è pienamente
compatibile con l'immediata operatività degli indegni assunti.
L'immediata efficacia traslativa del contratto comporta l'ingresso
del bene nel patrimonio dello stipulante. I creditori possono
compiere atti esecutivi e conservativi sul bene ma il soddisfacimento
del loro diritto rimane subordinato al consolidamento del contratto
in capo allo stipulante.

Applicabilità della riserva di nomina


In linea di principio la riserva di nomina può essere apposta a
qualsiasi tipo di contratto, sia esso ad effetti reali sia ad effetti
obbligatori.
Secondo un’interpretazione restrittiva la riserva non è invece
applicabile ai contratti stipulati intuitu personae, cioè in quel
contratti in cui assume rilevanza l'identità e le qualità personali
del contraente.Tuttavia, non può escludersi la validità della riserva
di nomina in questi contratti posto che la fungibilità
(scambiabilità) dei soggetti è rimessa alle parti del contratto.

Requisiti della riserva di nomina


In quanto lo stipulante assume la veste di parte sostanziale e
formale del contratto è allo stipulante che occorre avere riguardo
per quanto attiene ai requisiti di capacità e all'integrità del
consenso.
La riserva di nomina non esige specifici requisiti di forma, la sua
forma si determina in base a quella del contratto cui tale clausola
accede.

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La riserva di nomina richiede l'osservanza degli oneri di


opponibilità prescritti per il contratto principale: non è opponibile
agli aventi causa o al creditore dello stipulante che abbiano
anteriormente reso opponibile il loro acquisto o compiuto anche di
esecuzione.

La nomina:
= La dichiarazione di nomina è il negozio unilaterale mediante il
quale lo stipulante imputa il rapporto contrattuale al terzo con
effetto retroattivo.
- ha efficacia se lo stipulante è legittimato a imputare al terzo
il rapporto contrattuale: cioè se al momento della nomina abbia
il relativo potere di rappresentanza del terzo. La mancanza del
potere rappresentativo comporta l'inefficacia della nomina, la
quale può tuttavia essere accettata dal terzo. Questa
accettazione è intesa come una ratifica, in quanto supplisce
all'originario difetto del potere rappresentativo dello
stipulante.
- La dichiarazione di nomina e l'accettazione sono negozi che
servono ad integrare il contratto per ciò essi devono rivestire
la stessa forma che le parti hanno usato per il contratto.
- È soggetta allo stesso regime di pubblicità del contratto cui
inerisce.
- È un atto recettizio: deve essere comunicata al promittente nel
termine di 3 giorni dalla stipulazione del contratto. (Le parti
possono stabilire un termine più lungo ma ai fini fiscali se la
nomina è fatta oltre il terzo giorno si considera come se lo
stipulante avesse acquistato in proprio e rialienato al terzo).

Effetti della nomina e della mancata nomina


A seguito della nomina fatta dal soggetto il terzo acquista la
posizione di parte sostanziale del rapporto a far data dalla
stipulazione del contratto. Nei confronti del prominente il nominato
assume tutti i diritti e io gli scaturenti dal contratto. Il nominato
non potrà, invece, opporre le eccezioni attinenti al suo rapporto con
lo stipulante, rispetto al quale il promittente rimane estraneo.
Il rapporto intercorrente tra stipulante e terzo nominato può avere
cause diverse: può trattarsi di un mandato o di qualsiasi altro
contratto col quale lo stipulante utilizzi un affare concluso nel
proprio interesse. Nei confronti del terzo, lo stipulante dovrà
rispondere secondo i termini dell'impegno assunto, e in generale
dovrà ritenersi responsabile se il terzo consegue una posizione
contrattuale diversa da quella prevista. In applicazione delle regole
sulla cessione, lo stipulante è tenuto a garantire la validità del
contratto ma non la solvenza del promittente.

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CAPITOLO III – L’ACCORDO


LA RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
= responsabilità per lesione della libertà negoziale realizzata
durante le trattative che precedono la stipulazione di un contratto
mediante un comportamento doloso o colposo ovvero mediante
l'inosservanza del precetto di buona fede (art. 1377).
- Art. 1337: fa esplicito riferimento alla resp. precontrattuale
nel sancire l’obbligo per le parti di comportarsi secondo
buonafede nello svolgimento delle trattative e nella formazione
del contratto.
- Art. 1338: dichiara la resp. della parte che, conoscendo o
dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del
contratto, non ne ha dato notizia all’altra parte. Il
responsabile è tenuto a risarcire il danno che l’altra parte ha
sofferto per aver confidato senza sua colpa nella validità del
contratto.

Nelle trattative le parti devono comportarsi secondo buonafede e con


diligenza. La responsabilità precontrattuale si ravvisa infatti in
ipotesi di comportamento colposo del soggetto il quale, ad es., porta
avanti le trattative senza verificare le sue concrete possibilità di
impegnarsi o conclude il contratto senza accertare le cause di
invalidità che ricadono sotto il suo controllo. → può essere
ricondotta alla responsabilità extracontrattuale (art. 2043).

Natura giuridica della responsabilità precontrattuale


Secondo la giurisprudenza, la resp. precontrattuale rientra nella
generale resp. extracontrattuale.
La dottrina è divisa sul se inquadrare la resp. precontrattuale
nell'ambito della resp.contrattuale o in quella extracontrattuale,
oppure configurarla come un tertium genus di responsabilità.

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→ La tesi della responsabilità contrattuale


Si incentra sul dovere di buonafede: tra i contraenti nascerebbe un
obbligazione legale di buonafede che si specificherebbe ulteriormente
in obblighi di informazione, custodia e segreto.
Obiezioni:
- la circostanza che l’obbligo di buonafede debba essere osservato
dai contraenti nel rapporto contrattuale non vuol dire che si
tratti di un rapporto obbligatorio tra soggetti predeterminati.
- L’obbligazione è posta a carico di un soggetto determinato per
soddisfare un particolare interesse individuale – l’interesse
del creditore, mentre l’obbligo generico è posto a carico dei
consociati per tutelare interessi della vita di relazione
suscettibili di essere lesi nei contatti sociali. L’interesse
che rileva nella resp. precontrattuale è un interesse della vita
di relazione, l’interesse alla libertà negoziale.

→ La tesi della responsabilità extracontrattuale


Secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalente, la responsabilità
precontrattuale rientra nella generale responsabilità
extracontrattuale.
A favore di questa degli sembra deporre l'ovvia considerazione che
tra le parti ancora non c'è un rapporto contrattuale, ma solo un
contatto. Le parti, del resto, sono libere di concludere o meno il
contratto, non c'è nessun obbligo alla conclusione del contratto,
tuttavia tra le parti incombe l'obbligo di comportarsi secondo buona
fede nella fase delle trattative, ma questo costituisce soltanto un
dovere generico di condotta.
L'obbligazione vera e propria, infatti, presupporrebbe l'esistenza di
uno specifico dovere nei confronti di un soggetto determinato, dovere
previsto, dunque, a tutela dell'interesse di quest'oggetto, per
soddisfare un particolare interesse individuale. L'obbligo di buona
fede, invece, è imposto alla generalità dei consociati per la
tutelare interessi della vita di relazione suscettibili di essere
lesi nei contatti sociali. Ora, appunto, l'interesse che rileva nella
responsabilità precontrattuale è un interesse della vita di relazione
e precisamente l'interesse all'altrui libertà negoziale, intesa come
leale svolgimento delle trattative ed è inoltre preesistente alle
trattative stessa.
Pertanto, la lesione dell'altrui libertà negoziale si inquadra
appropriatamente nell'ambito della responsabilità extracontrattuale
in questa prospettiva all'art. 1337 sembrerebbe soltanto una
specificazione dell'art. 2043.

→ La tesi intermedia e conclusioni


Secondo la tesi intermedia la responsabilità precontrattuale dovrebbe
considerarsi un tertium genus di responsabilità, non inquadrabile né
nell'ambito della responsabilità contrattuale né nell'ambito di
quella extracontrattuale.
Quest'ultima tesi non ha trovato proseliti, e rimase sola in quanto
non è assolutamente ipotizzabile un terzo genere di responsabilità al
di fuori dell'alternativa, al di fuori della dicotomia resp.
contrattuale -resp. extracontrattuale. È chiaro o c'è un contratto e
allora si può parlare di responsabilità contrattuale, che ricordiamo
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si ha nel caso di violazione di uno specifico dovere derivante da un


precedente rapporto obbligatorio; o non c'è un contratto e allora si
potrebbe parlare di responsabilità extracontrattuale che si ha nel
caso di violazione del generico dovere di neminem laedere, cioè nel
dovere di collega del altrui sfera giuridica. Per tale ragione, il
Bianca, accoglie la tesi della responsabilità extracontrattuale che
tra l'altro si basta su precedenti storici e di tipo comparatistico.

Anche il sistema francese, ad esempio, non ha una regola sulla


responsabilità precontrattuale ipotesi elaborata dalla giurisprudenza e
dalla dottrina è fatta rientrare nell'ambito dell'illecito
extracontrattuale. Né tale regola esisteva nel nostro codice del 1865
per cui si applicava l’allora vigente art. 1151 (che era l'omologo
dell'attuale art. 2043).
D'altronde sia il modello francese sia quello italiano del 1865
attribuiscono un ruolo centrale alla volontà delle parti; e proprio in
virtù della centralità dell'elemento volontaristico non può immaginarsi
una restrizione della libertà contrattuale tale da imporre un obbligo di
concludere il contratto solo perché si è iniziata una trattativa.

Le varie ipotesi di responsabilità precontrattuale:


1) Violazione dei doveri di buona fede nelle trattative e
nella formazione del contratto
La buona fede cui fa riferimento l'art. 1337, secondo dottrina e
giurisprudenza, è la cosiddetta buona fede in senso oggettivo (intesa
come generale dovere di correttezza e deve essere distinta rispetto
alla buona fede soggettiva intesa come ignoranza di ledere una
situazione giuridica altrui).
La buona fede esprime il principio della solidarietà contrattuale che
si specifica nelle fondamentali aspetti della lealtà e della
salvaguardia. La buona fede, precisamente, impone alla parte di
comportarsi lealmente e di attivarsi per salvaguardare l'utilità
dell'altra nei limiti di un apprezzabile sacrificio.
Obblighi tipici di buona fede nella fase precontrattuale sono sotto
il profilo della lealtà e della salvaguardia:
a) informazione: cioè il dovere di informare l'altra parte sulle
circostanze di rilievo che attengono all'affare. La violazione
del dovere di informazione si qualifica come reticenza.
Non riguarda la convenienza del contratto ma le circostanze
obiettive che lo rendono invalido, inefficace o inutile:
o cause di invalidità e inefficacia del contratto. Stipulato
il contratto, la reticenza perde la sua rilevanza in quanto
la parte sarà responsabile per aver stipulato il contratto
senza averne diligentemente verificato le condizioni di
validità e efficacia (non per non aver comunicato ciò che
sapeva).
o cause di inadempimento del contratto (es. merce viziata).
Anche qui stipulato il contratto il silenzio della parte è
irrilevante e questa dovrà rispondere per l’inadempimento o
l’inesatto adempimento del contratto.
o pericolosità della prestazione o del bene, e dare le
opportune istruzioni. Se il contratto è stipulato, tale
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dovere rientra nel suo contenuto e dà luogo a resp.


contrattuale. Un autonomo rilievo conserva la resp.
extracontrattuale per il danno arrecato alla persona o ai
beni della controparte o di terzi.
o cause di inutilità del contratto ovvero della prestazione
(es. sta per verificarsi un evento che lo rende inefficace
o ineseguibile). Ad es. è richiesta l’assistenza legale per
esperire un’azione già estinta. L’inutilità della
prestazione può costituire errore essenziale del contraente
se l’errore cade su una qualità del bene o del servizio. Se
l’interesse da realizzare rientra nel contenuto della
prestazione, l’inutilità costituisce inadempimento del
contratto (es. il bene non ha la qualità promessa).
→ Specifici doveri di informazione sono previsti da
leggi speciali: es. vendita al di fuori dei locali
commerciali, vendita di valori mobiliari, vendita di
multiproprietà, di contratti di viaggio.
→ Doveri di informazione sono inoltre sanciti a carico del
produttore che immette prodotti sul mercato.

b) Chiarezza: il contraente deve evitare un linguaggio suscettibile


di non essere pienamente compreso dalla controparte. Il
contraente non si comporta secondo buonafede se approfitta
dell’ignoranza dell’altra parte in ordine al significato della
clausola accettata.

c) Segreto: i contraenti non devono divulgare le notizie riservate


che abbiano appreso in quanto partecipi alle trattative.

d) Atti necessari per la validità o efficacia del contratto: sotto


questo riguardo rileva l’inerzia, dolosa o colposa, del
contraente che non presenta la domanda per ottenere
un’autorizzazione pubblica richiesta a pena di nullità o
inefficacia del contratto. (Es. alienazione del bene di un
minore fatta dal genitore: deve essere preventivamente
autorizzata dal giudice tutelare, in mancanza della quale il
contratto è annullabile. Il genitore incorre in resp.
precontrattuale se, dopo aver raggiunto l’accordo con il terzo,
non presenta la relativa richiesta di autorizzazione).

2) Il recesso ingiustificato dalle trattative


Si ha quando il contraente recede senza una valida giustificazione da
trattative condotte fino al punto da indurre l’altra parte a
confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto.
Lo svolgimento delle trattative non comporta nessun obbligo di
contrarre. Il contraente ha il potere di revocare la propria proposta
o la propria accettazione fino a quando il contratto non è concluso,
e l'esercizio di tale potere e non costituisce come tale violazione
di un obbligo di comportamento. La responsabilità del soggetto deriva
piuttosto dall'avere dolosamente o colposamente indotto l'altra parte
a confidare ragionevolmente nella conclusione del contratto.

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- Il comportamento doloso sussiste quando il soggetto inizia o


prosegue le trattative pur avendo l'intenzione di non concludere
il contratto.
- Sussiste la colpa quando il soggetto non si attiene alla normale
prudenza nell'indurre l'altra parte a confidare nella
conclusione del contratto e cioè porta avanti le trattative
senza verificare le proprie possibilità o senza avere una
sufficiente determinazione.
Il limite delle trattative oltre il quale il contraente può confidare
ragionevolmente nella conclusione del contratto dipende dalle
circostanze concrete. In via esemplificativa questo limite può
ravvisarsi quando i contraenti hanno raggiunto un'intesa di massima
sui punti essenziali dell'affare dovendo ancora definire dettagli di
minore importanza, o quando l’accordo è completamente raggiunto ma
rimane da tradurre nella forma scritta necessaria per la validità del
contratto.
Conformemente alla regola della responsabilità extracontrattuale è il
danneggiato che deve fornire prova del fatto lesivo, non occorre
invece dimostrare la mancanza di una giusta causa perché il
comportamento lesivo è presuntivamente colposo in quanto non conforme
al modello di diligente rispetto dell’altrui libertà negoziale
secondo un criterio di normalità. Di conseguenza è a carico del
danneggiante fornire la prova delle circostanze che hanno
giustificato da parte sua l'interruzione delle trattative.

3) Stipulazione dolosa o colposa di contratto invalido o


inefficace
→ Mentre nel recesso ingiustificato il soggetto è coinvolto in una
trattativa inutile, qui è coinvolto in una stipulazione inutile. Il
soggetto è precisamente leso nella sua libertà negoziale in quanto il
comportamento doloso o colposo dell'altra parte lo ha coinvolto nella
stipulazione di un contratto invalido o inefficace.
Il codice prevede espressamente la responsabilità della parte che,
conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa di invalidità
del contratto, non è ha dato notizia all'altra parte. Quest'ultima
ha, allora, il diritto ad essere risarcita del danno subito per avere
confidato senza sua colpa nella validità del contratto (art. 1338).
La norma è intesa come una specificazione del precetto di buona fede
nelle trattative. Tuttavia, qui il fatto lesivo non è costituito
dalla mancata comunicazione delle cause di invalidità o inefficacia,
ma direttamente dalla stipulazione del contratto invalido o
inefficace di chi conosce o dovrebbe conoscere le cause.
- La formula legislativa fra generico riferimento alle cause di
invalidità del contratto. Comprende: casi di annullabilità che
abbiano portato all’annullamento del contratto, casi di
inefficacia. Non comprende, secondo la dottrina, il contratto
inesistente.
- La legge richiede che la parte lesa abbia confidato senza colpa
nella validità del contratto. Questa è previsione costituisce
applicazione del generale principio in base al quale il danno
che una parte avrebbe evitato con il proprio comportamento

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diligente non può essere causalmente imputato al comportamento


dell'altra parte.
Quando il silenzio della parte integra la fattispecie del dolo:
il dolo si pone esso stesso come fattispecie illecita e come
causa esclusiva del danno che è diretto a realizzare (inganno
della vittima).
La colpa dell'essere valutata nel concreto delle circostanze.
Può essere esclusa quando l’invalidità deriva da presupposti di
fatto che ricadono nell’ambito di controllo dell’altra parte. In
giurisprudenza si ritiene in colpa il contraente che ignora
cause di invalidità previste direttamente dalla legge (? Sarebbe
necessaria una valutazione in concreto, per la specifica
competenza tecnica che potrebbe richiedere, o se si tratti di
diritto straniero).

4) Violenza e dolo. Colposa induzione in errore


- La VIOLENZA è sempre causa di invalidità del contratto anche
quando sia esercitata dal terzo senza essere nota alla
controparte. Se quest'ultima è consapevole o partecipa alla
violenza, la resp. precontrattuale graverà solidalmente su di
essa e sul terzo. Se la violenza proviene dal terzo e la
controparte non ne era a conoscenza, la resp. ricadrà
esclusivamente sul terzo.
Se la violenza è esercitata per alterare il contenuto del
contratto: vittima può impugnare il contratto, può limitarsi a
chiedere il risarcimento del danno rappresentato dalle deteriori
condizioni contrattuali subite.
La violenza può inoltre essere esercitata per impedire la
conclusione del contratto.

- Il DOLO è causa di annullamento del contratto se posto in essere


dalla controparte, ma anche da un terzo se la controparte che ne
ha tratto vantaggio ne era a conoscenza (resp. solidale
controparte e terzo). Se la controparte non ne era a conoscenza
il contratto non è annullabile, ma il terzo è comunque
responsabile per avere leso la libertà negoziale della vittima
(dovrà risarcire il danno della misura dell'interesse della
vittima a non stipulare il contratto).
Trattandosi di contratto valido l'interesse leso è costituito
dalla perdita della vittima avrebbe evitato o dalle migliori
condizioni che avrebbe potuto realizzare se non lo avesse
stipulato. Il riferimento alle migliori condizioni realizzabili
deve essere fatto in tutti i casi di raggiri che hanno inflitto
non sulla conclusione del contratto ma sul suo contenuto (dolo
incidente: art. 1440). Il contratto è allora valido ma l'autore
risponde del danno costituito dalla minore convenienza economica
dell'affare a causa dell'intervento doloso.

- La lesione della libertà negoziale è altresì riscontrabile


quando la controparte o un terzo abbiano colposamente indotto il
contraente in ERRORE. Sotto questo profilo l'errore può rilevare

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anche se non si tratta di errore essenziale (è essenziale in


errore quando senza di esso la parte non avrebbe concluso il
contratto) ma anche se l'attività di dire errore incidente sul
contenuto del contratto.

Il danno risarcibile
Il danno risarcibile non consisterà nella lesione del c.d. interesse
positivo (cioè l'interesse all'esecuzione del rapporto contrattuale,
criterio seguito nel campo della responsabilità contrattuale) ma
nella lesione del c.d. interesse negativo = interesse del soggetto a
non essere leso nell'esercizio della sua libertà negoziale.
Bisogna distinguere tra il danno per lesione dell'interesse positivo
e dell'interesse negativo:
- Il danno per lesione dell'interesse positivo (quale interesse
all'esecuzione del contratto) è rappresentato dalla perdita di
soggetto avrebbe evitato (danno emergente) e dal vantaggio
economico che avrebbe conseguito se il contratto fosse stato
eseguito (lucro cessante).
- Il danno per lesione dell'interesse negativo (quale interesse a
non essere leso nell'esercizio della libertà negoziale) consiste
nel pregiudizio che il soggetto subisce:
1) per aver confidato inutilmente nella conclusione o nella
validità del contratto;
2) per aver stipulato un contratto che senza l’altrui illecita
ingerenza non avrebbe stipulato, o avrebbe stipulato a
condizioni diverse.
Il soggetto avrà diritto al risarcimento del danno consistente
nelle spese inutilmente erogate (per trattative, stipulazione,
per eseguire o ricevere la prestazione) e nella perdita di
favorevoli occasioni contrattuali (possibilità vantaggiose
sfuggite al contraente a causa dell’inutile trattativa o
stipulazione).
Occorre tener ferma la distinzione rispetto al danno per
l’inadempimento del contratto: questo è determinato in ragione
dell’utile netto che il creditore avrebbe conseguito dall’esatto
adempimento del contratto.
Il danno da impedimento alla conclusione del contratto invece
consiste nella perdita di un’occasione favorevole e va quindi
determinato tenendo conto delle probabilità positive e negative.
Se il contratto rimane valido ed efficace, il danno da illecito
precontrattuale consiste nelle migliori condizioni che il contraente
avrebbe ottenuto senza l’illecita ingerenza della controparte o del
terzo (es. vantaggio che la parte avrebbe presumibilmente avuto se
non fosse stata vittima di dolo).

La responsabilità precontrattuale dell'incapace


- L’incapace non può incorrere in resp. precontrattuale in tutti i
casi in cui il contratto è annullato per la sua incapacità.
L'invalidità del contratto è, infatti, prevista a preminente
tutela dell'incapace e il pregiudizio che deriva da tale

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invalidità è un rischio a carico del contraente capace, il quale


ha l'onere di essere accertarsi dello stato di capacità legale
della controparte già al momento di iniziare le trattative.
- Deve anche escludersi la resp. precontrattuale dell'incapace che
recede dalle trattative, dato che il recesso è sempre
giustificato dal preminente interesse dell'incapace.
 Una deroga principio dell'invalidità a tutela dell'incapace
è ammessa solo nell'ipotesi in cui minore abbia con raggiri
occultato la sua minore età. In tal caso il contratto non è
annullabile e non è dunque prospettabile una resp. precontrattuale
in capo al minore.
 Al di fuori dell’ipotesi di annullamento per incapacità,
non vi è una lesione che consegue alla tutela dell’incapace. La
lesione che il contraente subisce ad opera dell’incapace non è
diversa dalla lesione che può essere arrecata da qualsiasi
soggetto (es. violenza esercitata dall’incapace).
La resp. dell’incapace legale può ammettersi solo in quanto
risulti concretamente accertata la sua capacità di intendere e
volere. Accanto alla sua resp. può poi rilevare la resp. dei
genitori e di altri soggetti tenuti alla sua vigilanza.

Responsabilità precontrattuale della P.A.:


La giurisprudenza ha affermato che anche in capo alla P.A. è
riscontrabile resp. precontrattuale.
La resp. precontrattuale della P.A. non presuppone una pretesa del
terzo né alla stipulazione del contratto né alla sua approvazione da
parte dell’autorità tutoria. Ciò che può pretendere chi contratta con
un ente pubblico è che nelle trattative e nella fase di formazione
del contratto l’ente tenga un comportamento improntato ai principi
della buonafede e della normale diligenza ai quali sono tenuti tutti
i contraenti.
La stipulazione di un contratto invalido prospetta anch’essa la resp.
della P.A.: quando in sede di controllo sia riscontrato un vizio di
legittimità imputabile all’amministrazione.

GLI OBBLIGHI DI CONTRARRE

Il contratto preliminare
= contratto mediante il quale una o entrambe le parti si obbligano
alla stipulazione di un successivo contratto, detto definitivo.
- preliminare unilaterale: vincola una sola parte,
- preliminare bilaterale: vincola entrambe le parti.

Il ricorso al preliminare è frequente soprattutto nelle vendite


immobiliari. Mediante il preliminare le parti costituiscono
immediatamente un vincolo obbligatorio in ordine all’alienazione di
un bene, riservando a un successivo atto la creazione del titolo
costitutivo dell’effetto reale.

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→ L’interesse che il preliminare consente di realizzare è quello di


creare un impegno provvisorio riservando a un futuro contratto la
completa e definitiva regolamentazione dell’affare. Causa del
preliminare è la stessa causa del contratto definitivo.

Le maggiori obiezioni contro la figura del preliminare quale impegno alla


conclusione del contratto sono derivate in passato dalla difficoltà di
distinguere tra l’impegno preliminare e quello definitivo.
- Oggetto del consenso: se entrambe le parti sono vincolate alla
stipulazione del contratto, esse hanno per ciò stesso manifestato la
volontà in ordine a tale contratto, il quale non potrebbe essere oggetto
di una nuova volontà negoziale.
- Effetti:
 Nel sistema germanico (dove la vendita è essenzialmente
obbligatoria): la dottrina è giunta ad affermare la sostanziale
coincidenza di effetti tra vendita e promessa di vendita.
 Nel sistema francese: la promessa di compravendere, in quanto
esprime l’accordo sul bene da trasferire e sul prezzo, contiene
essa stessa gli elementi della vendita, rendendo superfluo il
rinvio alla stipulazione di un nuovo contratto quale fonte
dell’effetto traslativo.
 Nel nostro sistema: la previsione del codice ha suscitato un
dibattito, alimentato dalla previsione dell’esecuzione in forma
specifica mediante una sentenza che produce gli effetti del
contratto non concluso (art. 2932).
Tesi estreme: ravvisano nel preliminare la fonte di attribuzioni
patrimoniali finali; la promessa di vendita esprime essa stessa la
volontà dispositiva dell’effetto reale il quale, per il suo
costituirsi, non avrebbe bisogno di un ulteriore atto di volontà.
La sentenza si limiterebbe a consentire al contratto di produrre i
suoi effetti.
Altra dottrina: nella pratica l’esecuzione coattiva dell’obbligo
di contrarre trova utile applicazione solo quando il debitore sia
tenuto al trasferimento di un diritto determinato. Il rimedio
dell’esecuzione in forma specifica sarebbe diretto a far
raggiungere al contraente il bene che rappresentava l’oggetto
dell’obbligo preliminare dell’altro contraente. La sentenza
costituirebbe il titolo mediante il quale il titolo viene
trasferito: ma attraverso questa esecuzione verrebbe reso
definitivo il preliminare, il quale sarebbe la fonte di tutti gli
effetti.
Tesi secondo cui il preliminare obbligherebbe direttamente alla
prestazione finale: il preliminare di vendita sarebbe una vendita
obbligatoria. Il contratto definitivo avrebbe una funzione
meramente solutoria.

Effetti dei contratto preliminare


Effetto principale dei contratto preliminare è quello di obbligare le
parti alla stipulazione del contratto definitivo. Il preliminare
obbliga le parti non soltanto in relazione alla prestazione del
consenso idoneo a perfezionare il contratto definitivo, ma anche a
impegnarsi in ordine alle prestazioni che ne sono oggetto.
Di regola le prestazioni finali non devono essere immediatamente
adempiute in quanto la loro esecuzione si intende rinviata

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successivamente alla stipulazione del definitivo. Tuttavia, già dal


momento iniziale si rende attuale il tempo di compimento di tutte
quelle attività preparatorie della prestazione che esigono un
tempestivo intervento anteriore rispetto all'adempimento finale.
Es.: il prominente venditore deve approntare il bene in maniera che
questo possa essere attribuito al momento della stipulazione del
contratto: se il soggetto non è in grado di compiere esattamente la
prestazione traslativa per il tempo della vendita, la fattispecie di
inadempimento deve ritenersi presente ancor prima della stipulazione di
tale contratto.

Il contratto preliminare ad effetti anticipati


= le parti non si limitano all'assunzione reciproca dell'obbligo di
concludere un futuro contratto, ma anticipano delle prestazioni delle
prestazioni che seguono al contratto definitivo, disponendo
l'immediata immissione nel possesso del bene a favore del promittente
acquirente ed il pagamento di parte del prezzo a favore del
promittente venditore.
Il contratto preliminare e quindi può anche prevedere una parziale
anticipata esecuzione delle prestazioni finali. Anzi si potrebbe
affermare che anzi rientra nel normale atteggiarsi della pratica
negoziale che venga data parziale attuazione al rapporto finale.
Ovviamente, si deve trattare soltanto di una parziale anticipazione
perché nel caso in cui il preliminare prevedesse l'integrale
attuazione del rapporto finale si porrebbe esso stesso come
definitivo e la prevista stipulazione di un contratto ulteriore altro
non sarebbe, in realtà, che un impegno alla ripetizione del
contratto.

Il contratto definitivo
- Il contratto preliminare risponde all'intento delle parti di
creare un vincolo strumentale e provvisorio in ordine alla
stipulazione del contratto definitivo. La normale attuazione di
tale vincolo conduce alla stipulazione di un contratto che si
pone come fonte esclusiva del rapporto contrattuale.
Il contratto definitivo non può essere considerato una
ripetizione del contratto preliminare ma esso è un nuovo accordo
che le parti stipulano in conformità dell'impegno e al quale
vengono tutti gli effetti obbligatori reali.
- Il preliminare inoltre obbliga le parti non soltanto alla
prestazione del consenso ma anche alle prestazioni che questo
consenso implica. Ciò non esclude che il contratto definitivo
sia comunque la fonte esclusiva del rapporto contrattuale: esso
è infatti destinato a sostituire il titolo provvisorio del
preliminare.
→ In quanto definitivo, è un normale contratto con il quale le parti
costituiscono il loro rapporto: richiede i requisiti di
legittimazione, liceità e possibilità dell’oggetto, integrità del
volere.
Con la stipulazione del definitivo le parti adempiono la loro
obbligazione, ma ciò non incide sulla causa del contratto, che deve
sempre essere individuata nell’interesse pratico perseguito.

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Il rimedio dell'esecuzione in forma specifica


Nel caso di ritardo nel adempimento dell'obbligo di stipulare il
contratto definitivo l'altra parte può avvalersi del rimedio
dell'esecuzione in forma specifica, e cioè può chiedere una sentenza
(costitutiva) produttiva degli effetti del contratto definitivo non
concluso (art. 2932).
Il rimedio dell'esecuzione in forma specifica è precluso quando la
situazione di fatto o di diritto impedisce che gli effetti della
sentenza realizzino il risultato del contratto definitivo (es.
sopravvenuta distruzione o mancata costruzione del bene, appartenenza
del bene a terzi…), salvo che si tratti di inesattezze o
impossibilità parziali compatibili con la pretesa all'esecuzione del
contratto.
Il contenuto del contratto può essere modificato se ciò sia domandato
dalla parte e ciò rientri nei poteri di questa o del giudice.
Altrimenti è inammissibile la domanda diretta ad ottenere un
risultato in tutto o in parte diverso rispetto da quello programmato
nel preliminare.

Sono due i presupposti necessari per ottenere l'esecuzione in forma


specifica del preliminare:
1) ritardo del promittente: può essere connesso alla semplice
scadenza del termine oppure alla costituzione in mora, nei casi
in cui questa è necessaria. Il ritardo prescinde dalla colpa in
quanto la sentenza è volta a far conseguire l’oggetto originario
della prestazione (cioè l’esatto adempimento), questa rileva ai
fini del risarcimento del danno.
2) esecuzione o offerta della controprestazione se esigibile:
concerne i contratti che hanno per oggetto il trasferimento
della proprietà di un bene determinato o la costituzione o
trasferimento di altro diritto.
L’offerta da parte del promittente alienante si concreta
nell’offerta della stipulazione del contratto mediante invito
presso un notaio, con esatta indicazione del tempo e luogo. Da
parte del promissario occorrerebbe l’offerta del corrispettivo
(ma si ritiene sufficiente l’invito alla stipulazione del
contratto, considerando implicita l’offerta della prestazione).
Se l’offerta del corrispettivo non è accettata, si può giungere
all’emanazione della sentenza che trasferisce il diritto
all’acquirente senza che questi abbia eseguito la sua
prestazione.

Il provvedimento giudiziale di esecuzione in forma specifica ha


natura costitutiva: produce gli effetti del contratto non concluso
(art. 2932).
Il carattere costitutivo della sentenza non esclude che il rapporto
abbia natura contrattuale. Questo perché si tratta di un rapporto
conforme all’impegno contrattuale: gli effetti che la sentenza
produce sono quelli previsti dal contratto.
La sentenza, come tale, non è assoggettabile alla disciplina del
contratto: essa può essere annullata nei limiti e nei modi di
impugnazione delle decisioni giudiziali.

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→ L’inadempimento del preliminare può dare luogo agli altri rimedi


secondo la disciplina generale: risarcimento del danno, risoluzione
del contratto, eccezione di inadempimento…
- L’inadempimento può riguardare sia la mancata stipulazione del
definitivo, sia l’impossibilità di eseguire la prestazione
finale o di eseguirla esattamente. L’inadempimento può quindi
sussistere ancor prima della scadenza del termine di
stipulazione del definitivo se la parte non ha posto in essere
la necessaria attività preparatoria o se comunque è certo che la
prestazione finale non potrà essere esattamente eseguita (es. il
bene da alienare risulta difforme rispetto al dovuto).

- E’ applicabile il regime di rimedi previsto per il definitivo?


Con riguardo alla vendita, la giurisprudenza escludeva la disciplina
delle garanzie (di fronte all’inesattezza della cosa il compratore non
avrebbe potuto chiedere la riduzione del prezzo).
Questo orientamento è stato superato: le garanzie della vendite
rientrano nella tematica dell’inadempimento, la riduzione del prezzo
deve essere ammessa in via generale e a preferenza della risoluzione del
contratto (in alternativa, il compratore può chiedere la condanna
all’eliminazione dei vizi).

Rapporto tra preliminare, opzione e prelazione


Il contratto preliminare si distingue da:
OPZIONE:
- Nell’opzione l'effetto finale si produce semplicemente con la
dichiarazione di accettazione della parte non obbligata, essendo
la proposta già manifestata. Esso si distingue dal contratto
preliminare in quanto in questo le parti sono obbligate alla
conclusione dei contratto, con la conseguenza che ci sarà sempre
il contratto definitivo, mentre l'optante ha la libertà di
scelta se costituire il contratto meno.
- Qualche difficoltà può sorgere con riferimento al cd.
preliminare unilaterale, in quanto sostanzialmente l'interesse
perseguito sarebbe il medesimo e cioè quello di creare uno
strumento che assicuri per un certo tempo alla controparte la
libertà di scelta in ordine alla conclusione dell'affare.
Tuttavia, si ritiene che al fine di distinguere due ipotesi
sarebbe irrilevante il nomen iuris utilizzato dalle parti,
avendo invece rilevanza l'obiettivo significato dell'affare
secondo le regole interpretative regali, tenendo conto anche
dell'interesse concretamente perseguito.
In generale può dirsi che sebbene la distinzione tra contratto
preliminare unilaterale e opzione sia piuttosto sottile, la
differenza consiste nel fatto che mentre il contraente di un
contratto preliminare deve manifestar un nuovo consenso, nel
caso dell'opzione se il beneficiario accetta non occorre per
perfezionare il contratto un nuovo consenso della controparte
(opzionario).

PATTO DI PRELAZIONE:
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- = accordo in forza del quale un soggetto (promittente) si


obbliga a dare un altro soggetto (prelazionario) la preferenza
rispetto ad altri a parità di condizioni, nel caso in cui decida
di stipulare un determinato contratto.
Da patto di prelazione nascono a carico del promittente un
obbligo di carattere positivo (comunicare al promissario
l'intenzione di concludere il contratto e le condizioni dello
stesso) ed un obbligo di carattere negativo (di astenersi dalla
stipula con terzi prima di aver informato il promissario o di
aver ricevuto la sua risposta).
→ La differenza con il contratto preliminare sta che mentre
questo obbliga a contrarre a condizioni prefissate, nel patto di
prelazione ci si obbliga soltanto a dare una preferenza restando
immutata la libertà di contrarre.

La prenotazione:
= indica varie ipotesi di impegni preliminari che si diversificano in
relazione alle circostanze e al tipo di rapporto.
- Prenotazione di vendita: atto di ordinazione di un bene prodotto
in serie che il venditore si impegna ad alienare in un tempo
futuro indipendenza degli altri impegni già assunti.
L’accettazione della prenotazione perfeziona un contratto
preliminare bilaterale di vendita: il venditore si obbliga a far
seguito all’ordinazione accettata. Si evince inoltre un tacito
rinvio alla stipulazione del contratto definitivo al momento
della consegna del bene.
- In altri contratti (di albergo, di viaggio…) la prenotazione
semplice può esprimere l’impegno a termine di una sola parte
(quella che accetta la prenotazione) alla stipulazione del
contratto. Se la prenotazione si accompagna alla corresponsione
di un anticipo, l’impegno deve intendersi a carico di entrambe
le parti. Se il prenotante corrisponde l’intero corrispettivo,
la prenotazione accettata esprime in realtà l’attuale formazione
del contratto.

Natura giuridica della prenotazione:


a) Dottrina dominane la inquadra nella figura dell’opzione.
b) In mancanza di un preciso tipo sociale, occorre avere riguardo ai
contenuti e agli scopi che le parti perseguono in concreto.
c) Di recente si è descritta la prenotazione come un’autonoma figura
nell’ambito dell’autonomia di impresa: negozio unilaterale che
attribuisce il diritto all’utente all’erogazione del bene o del
servizio, preferibilmente ad altre successive prenotazioni.

L'obbligo legale di contrarre


= obbligo che ha la sua fonte della legge. Esso si distingue dunque
rispetto all'obbligo negoziale che ha la sua fonte in un impegno
negoziale del soggetto.

Ciò non si pone in contrasto con il principio dell'autonomia


contrattuale, anzi si armonizza con esso: sia pur vincolato, il

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soggetto è pur sempre chiamato ad esprimere il proprio consenso in


ordine alla formazione dei contratto.
L'obbligo legale di contrarre non contraddice la natura contrattuale
dell’atto, quale atto di esercizio del potere di autonomia del
soggetto, e fonte costitutiva del rapporto. L’obbligo legale
rappresenta, invece, una limitazione autoritaria della libertà
contrattuale. L'ammissibilità di tale limitazione trova il suo
fondamento normativo nell'art. 41 comma 2 Cost., in forza del quale
l'iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l'utilità
sociale o in modo da danneggiare la sicurezza, la libertà e la
dignità umana. Tale fondamento si riscontra negli obblighi legali di
contrarre sanciti principalmente in tema di: assunzioni di prestatori
di lavoro subordinato, monopoli legali, trasporti pubblici di linea,
esercizi pubblici…
- Monopolista, esercente di un pubblico servizio di linea:
la dottrina si è orientata nel riconoscere, in correlazione al
loro obbligo, un diritto soggettivo in capo al richiedente (non
un mero interesse legittimo).
Sul contenuto del diritto la dottrina è divisa, ma la tesi
prevalente ravvisa in esso la pretesa alla stipulazione di un
contratto secondo i termini della richiesta. Secondo altra tesi,
avrebbe ad oggetto la prestazione del bene o del servizio.
L’obbligo di stipulare i contratti sussiste verso il pubblico,
ma diviene attuale solo a seguito delle specifiche richieste.
L’ingiustificato inadempimento del monopolista comporta
l’obbligo del risarcimento del danno a favore del richiedente,
rapportato al mancato conseguimento della prestazione.

- Si discute se la disciplina prevista dal codice possa essere


applicata in via analogica con riguardo al monopolio di fatto.
Sostanzialmente, si ha monopolio legale solo quando una
disposizione legislativa prevede in modo espresso, per un
soggetto, una riserva di mercato. Monopolio di fatto si quando
sussistono all'interno del mercato posizioni di preminenza di
un'impresa dovute non già ad una regolamentazione normativa ma a
regole del mercato stesso che determinano, in favore
dell'impresa, una situazione di esclusività nel settore.

L’estensione analogica è difficilmente giustificabile, perché è


dubbio che una situazione di monopolio di fatto sia equiparabile
a un monopolio di diritto e comporti la stessa esigenza di
imporre all’imprenditore l’obbligo di approvvigionamento del
mercato che grava su chi ha il privilegio dell’esclusiva.
Rimane aperto il problema se, al di fuori di specifiche
previsioni normative, possa riconoscersi un obbligo legale di
contrarre nei termini dell’obbligo dell’imprenditore di non
rifiutare la richiesta delle prestazioni quanto questo rifiuto
sia lesivo della posizione del richiedente.
Comunque, in generale l'imprenditore ha normalmente interesse a
contrattare, e il rifiuto è un'ipotesi eccezionale che può
trovare spiegazione in:
a) boicottaggio commerciale: intesa diretta a impedire il
normale approvvigionamento di un concorrente al fine di

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eliminarlo dal mercato. È un illecito, rientra nella


concorrenza sleale.
b) rifiuto discriminatorio: motivato da ragioni politiche,
religiose, razziali… è contrario all’ordine pubblico.
c) motivi personali: la possibilità dell’illecito si configura
quando dall’ipotesi di rifiuto si passa al boicottaggio.
L’interesse giuridicamente tutelato che qui risulta leso è
quello della libertà negoziale, posto che il boicottaggio è
volto a impedire la libera esplicazione dell’autonomia
contrattuale del boicottato.

LA CONTRATTAZIONE
L’accordo contrattuale
La definizione di contratto data dall'articolo 1321 c.c. pone
l'accento sulla volontà delle parti esso definisce contratto come:
l’accordo di due o più parti per costituire,regolare o estinguere tra
loro un rapporto giuridico patrimoniale.
Dalla definizione si evince che il primo elemento costituente la
fattispecie contrattuale è l'accordo. L'art. 1321 deve essere
coordinato e letto congiuntamente con l'art. 1325 che nell'elencare i
requisiti essenziali del contratto pone l'accordo come primo di tali
requisiti.
Il contratto, essendo un autoregolamento di privati interessi, si
conclude nel momento in cui si ha l'incontro delle volontà delle due
o più parti che lo costituiscono.
Per stabilire se le parti hanno perfezionato l’accordo occorre
accertare se sono stati osservati gli oneri giuridici relativi alla
formazione del contratto (completezza proposta, rispetto forma,
tempestività accettazione…) ma anche se il comportamento delle parti
integri una fattispecie socialmente valutabile come accordo.
- l’idea secondo cui l’accordo consisterebbe nella congruenza
formale/esteriore delle dichiarazioni non può essere condivisa.
Questa fa presumere l’accordo ma non vuol dire necessariamente
che l’intesa sia raggiunta. Non bisogna fermarsi al significato
delle parole ma bisogna indagare la comune intenzione delle
parti, desumibile dal loro comportamento.
- Occorre che il significato del complessivo comportamento delle
parti, obiettivamente valutato, esprima la loro concorde volontà
di costituire/modificare/estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale.

Lo schema principale di formazione del contratto è quello che si


realizza attraverso la proposta e l’accettazione. Il contratto può
anche formarsi attraverso altri schemi: dichiarazione unica, adesione
a contratto aperto, esercizio del diritto di opzione…

Il problema della formazione unilaterale del contratto


La dottrina più recente ha contestato che la formazione del contratto
debba necessariamente identificarsi nell'accordo ammettendo la
possibilità di una formazione unilaterale del contratto.

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Questa corrente dottrinaria sostanzialmente si basa sul fatto che la


legge prevede delle ipotesi nelle quali parlare di incontro di due o
più volontà sarebbe una finzione:
- contratto con se stesso - il rapporto contrattuale è posto in
essere attraverso l'atto di una sola persona. Di contro vi è chi
continua a sostenere che il contratto con se stesso realizzi
comunque gli effetti tipici di un regolamento contrattuale, con
la sola differenza ravvisata nella circostanza per la quale
l'intero apporto volitivo che sorprende al contratto fa capo ad
uno stesso soggetto (essendo nella normalità dei casi posto in
capo ad almeno due soggetti distinti).
- contratti con obbligazione a carico del solo proponente: genera
l'obbligo della prestazione per una sola parte.
- contratti conclusi con una parte legalmente obbligata a
contrarre.
Il Bianca in conclusione afferma che il contratto esige sempre
l'accordo e che quando il rapporto si costituisce senza il consenso
di due parti il richiamo alla figura del contratto appare arbitrario,
dovendosi piuttosto riconoscere che si è in presenza di un negozio
unilaterale.

Accordo espresso e tacito


L'accordo può essere:
- Espresso: quando risulta dalle dichiarazioni di volontà delle
parti. La dichiarazione di volontà contrattuale è una
manifestazione di consenso esternata mediante mezzi di
linguaggio (parole, gesti).
- Tacito: quando le parti manifestano la loro volontà mediante
comportamenti concludenti, che non costituiscono mezzi di
linguaggio e dai quali, tuttavia, secondo le circostanze si
presume l'implicito intento negoziale (es. accettazione mediante
esecuzione della prestazione richiesta). La concludenza del
comportamento deve essere valutata con riguardo all'obbiettivo
significato che esso assume nell'ambiente socio-economico.

Di regola il contratto è validamente stipulato mediante accordo


espresso o tacito. Nei casi in cui la legge richiede l’atto scritto è
controverso se possa ammettersi una manifestazione tacita di volontà.
La forma pubblica comporta sempre l’onere di accordo espresso.
In generale la dichiarazione si perfeziona con la sua emissione:
occorre che la dichiarazione sia resa conoscibile ai terzi.

Il silenzio
Il silenzio, in generale, indica l'inerzia del soggetto che non
manifesta una volontà sia essa positiva o negativa.
Il silenzio in sé e per se è un fatto equivoco e come tale non può
avere il valore giuridico di positivo consenso (o negativo di
diniego).
- Tuttavia, si ritiene che l'accordo si possa perfezionare
nonostante il silenzio della parte quando sia la legge stessa ad
attribuire all'inerzia del soggetto il valore di consenso.

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- Si ritiene, inoltre, che possa valere come manifestazione tacita


di consenso il c.d. silenzio circostanziato = silenzio
accompagnato da circostanze, oggettive e soggettive, tali da
renderlo significativo come sintomo rivelatore dell'intenzione
della parte. In altri termini, nel silenzio circostanziato
l'intento negoziale si desume dal complessivo comportamento del
soggetto che, in relazione alle circostanze, può esprimere
significato di consenso.
Di silenzio circostanziato si è discusso concretamente in
riferimento ad ipotesi in cui una parte chiede o dichiara di
modificare il contenuto della prestazione propria o di quella
della controparte, e quest’ultima prosegue il rapporto senza
contestazioni. → La necessità del parlare si spiegherebbe qui
in relazione al significato che ragionevolmente una parte può
attribuire al silenzio dell’altra. Agirebbe contro buonafede la
parte che negasse al proprio tacere quel significato che essa ha
fatto intendere all’altra.

Una determinata fattispecie può perfezionarsi o acquistare efficacia


pur in mancanza di una dichiarazione di volontà della parte. Per
quanto attiene al contratto la spiegazione può essere che il rapporto
si costituisce anche senza l’accordo (es. promessa di prestazione
gratuita) oppure che il consenso è stato già prestato e il silenzio
indica il mancato esercizio di un potere di revoca (es. vendita con
clausola di non gradimento).

Proposta e accettazione
Lo schema principale di formazione del contratto è quello che si
articola nella sequenza proposta-accettazione.
- Proposta: manifestazione attuale di volontà contrattuale aperta
all’adesione del suo destinatario.
- Accettazione: atto di accoglimento della proposta.
Il contratto si considera concluso nel momento e nel luogo in cui il
proponente ha avuto notizia dell’accettazione dell’altra parte (art.
1326).

Requisiti:
- La proposta e l’accettazione manifestano la volontà contrattuale
della parti: tali atti, pertanto, devono avere il requisito
fondamentale dell’idoneità a esprimere il consenso costitutivo
del contratto.
- Possono essere tacite o espresse e devono rivestire la forma
eventualmente necessaria per la validità del contratto. Se il
contratto non è formale, possono avere forma libera. Un
particolare onere di forma per l’accettazione può essere imposto
dal proponente. L’accettazione in forma diversa “non ha effetto”
(art. 1326).
- Completezza della proposta: sufficienza del suo contenuto ai
fini della formazione del contratto. Deve contenere la
determinazione degli elementi essenziali del contratto oppure

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deve rimetterne la determinazione a criteri legali o


convenzionali. Essa è incompleta quando la loro determinazione
richiede un ulteriore accordo delle parti. Una proposta
incompleta può assumere il valore di un invito ad offrire, e può
comunque segnare l’inizio di una trattativa.
La proposta può essere completa ma prevedere un ulteriore atto
di gradimento o controllo da parte del proponente (clausola
“salvo approvazione della casa”), o ancora una possibile
caducazione dell’accettazione a seguito di “migliore offerta” di
un terzo.
- Conformità dell’accettazione: indica totale adesione alla
proposta. Un’ accettazione che modifica o integra il contenuto
della proposta ha il valore di una nuova proposta o
controproposta.
- Tempestività dell’accettazione: deve pervenire entro il termine
fissato nella proposta o, in mancanza, entro il tempo
ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o
secondo gli usi. L’accettazione tardiva è inefficace (limite di
efficacia posto nell’interesse del proponente, il quale oltre un
certo termine non è più assoggettato al potere di accettazione
dell’oblato). Il proponente, tuttavia, può considerare efficace
l'accettazione tardiva (e sanare così il ritardo) dandone
immediatamente avviso all’accettante. Il mancato onere di
immediato avviso, invece, impedisce la conclusione del
contratto.

Carattere recettizio
La proposta e l'accettazione sono di regola atti recettizi.
= Un atto si dice recettizio quando per la sua efficacia è
necessario che esso sia portato a conoscenza del destinatario.
La recettizietà è sancita per gli atti unilaterali aventi un
destinatario (art. 1334) ed è specificamente ribadita per la proposta
e l’accettazione (art. 1335). Essa ha la sua ratio o nella funzione
partecipativa dell'atto o nell’esigenza di tutela del destinatario.
- Proposta a persona determinata: atto recettizio in quanto la sua
funzione è quella di rendere partecipe il destinatario della
volontà del proponente al fine di provocarne l’accettazione.
- Proposta al pubblico: non è atto recettizio, diviene efficace
nel momento in cui è resa conoscibile.
- Accettazione: carattere recettizio è posto a tutela di un
interesse del proponente ma la comunicazione dell’atto non è
sempre presupposto necessario della sua efficacia. Infatti, la
legge prevede che in determinati casi l'inizio della esecuzione
della prestazione vale a perfezionare la conclusione del
contratto. In questi casi l'accettazione produce il suo effetto
a prescindere dalla conoscenza di essa da parte del proponente e
a prescindere anche dalla comunicazione dell'atto.

La recettizietà degli atti non ha un autonomo rilievo quando i


contraenti sono presenti o si avvalgono di mezzi comunicativi a
percezione diretta, come il telefono.

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La rilevanza di uno specifico onere del dichiarante di portare il


proprio atto a conoscenza del destinatario si pone piuttosto nella
c.d. contrattazione tra assenti, cioè tra persone che si trovano in
luoghi diversi e che si avvalgono di mezzi mediati di comunicazione.
Le teorie che si fronteggiano sono due:
a) Teoria della cognizione: richiede l'effettiva conoscenza del
destinatario;
b) Teoria della spedizione: richiede la semplice comunicazione del
lato.
c) La soluzione adottata dalla nostra legge è quella della
ricezione: ai fini dell'efficacia dell'atto è necessaria
sufficiente che esso sia stato ricevuto dal destinatario e cioè
che sia pervenuto al suo indirizzo (residenza, domicilio, luogo
di lavoro, sede legale). Tuttavia, la legge tempera questa
regola consentendo al destinatario la prova di essere stato,
senza colpa, nell'impossibilità di prendere conoscenza dell'atto
pervenuto suo indirizzo.
→ Di conseguenza l'efficacia dell'atto non è subordinata
all'evento psichico della conoscenza. Dimostrato che l’atto è
pervenuto all’indirizzo del destinatario, si presume che
quest’ultimo ne abbia conoscenza. La legge non pone una
presunzione di conoscenza bensì una presunzione di conoscibilità
dell'atto. Il destinatario dovrà provare l’impossibilità
incolpevole della conoscenza dell’atto, data da un impedimento
estraneo alla sfera della propria organizzazione o al suo fatto
volontario (non potrà opporre che il proprio dipendente, ad es.,
non ha trasmesso la dichiarazione all’organo competente).

Natura giuridica della proposta e dell'accettazione


Si fronteggiano diverse teorie:
a) Proposta e accettazione sarebbero atti giuridici in senso
stretto, e precisamente atti prenegoziali (precedono il negozio
e lo predispongono).
(!) Questa tesi non spiega come il contratto, atto di autonomia
negoziale, possa essere costituito da atti non negoziali.
b) Altra tesi riconosce alla proposta e all’accettazione la natura
di negozi giuridici in considerazione degli effetti che ciascuna
di esse produce anteriormente alla conclusione del contratto. Ma
in quanto produttive di propri effetti la proposta e
accettazione andrebbero qualificate come negozi giuridici
unilaterali.
(!) Si tratterebbe di negozi diversi dal contratto, e non si
spiegherebbe come il contratto possa essere la risultante di
negozi giuridici di altra natura e struttura.
c) Il Bianca sostiene, sostanzialmente, che la proposta e
l'accettazione sono manifestazioni di consenso costitutive del
contratto. Anche anteriormente alla conclusione del contratto
esse non sono atti di diversa natura, ma dichiarazioni che
integrano il contratto in formazione: sono quindi dichiarazioni
contrattuali.
Oltre che manifestazioni attuali di consenso, proposta e
accettazione hanno anche una loro autonoma rilevanza in

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relazione agli effetti immediatamente prodotti. Proposta: atto


che conferisce al destinatario il potere di perfezionare una
determinata fattispecie contrattuale; accettazione: atto di
esercizio di tale potere. In quanto attributiva del potere di
accettazione, la proposta è un atto unilaterale che produce un
suo autonomo effetto preliminare, e che ha una distinta
disciplina giuridica e un distinto contenuto, volti a regolare
il potere di accettazione.

Si ritiene in dottrina che il potere di accettazione conferito


all’oblato non sia un diritto potestativo. Si è argomentato:
mancanza di una sua autonoma rilevanza patrimoniale, rappresenta
una facoltà inerente alla capacità d’agire.
Si può obiettare a questa tesi: a differenza della capacità
d’agire, il potere dell’oblato costituisce una posizione
particolare, che ha la sua fonte nell’atto del proponente.
Contenuto di questo potere non è direttamente quello di
modificare la sfera giuridica del proponente poiché tale
modifica ha fonte esclusiva nell’accordo, bensì quello di
formare una data fattispecie contrattuale.

Problema: questo potere è autonomamente tutelabile quale posizione


giuridica attiva del titolare? Soluzione positiva nelle ipotesi in cui
il proponente contesti tale potere o, ad es., escluda chi ne abbia i
requisiti dal partecipare a un concorso.
La tesi che esclude la configurabilità del potere di accettare la
proposta in termini di diritto potestativo argomenta che tale potere
sarebbe incedibile. In realtà, nulla esclude che il proponente
facoltizzi l’oblato a cedere ad altri la proposta. La configurabilità
della posizione dell’oblato in termini di diritto potestativo non
risolve il problema nel senso opposto della cedibilità della proposta.
La cedibilità del diritto potestativo dipende dalla cedibilità della
posizione su cui esso è destinato a incidere. Il diritto di accettare la
proposta tende a costituire una posizione contrattuale, che è di regola
incedibile → tutela dell’interesse del contraente a non vedersi imposta
come controparte una persona diversa da quella originariamente scelta. È
quindi giustificata la tesi che considera cedibile la proposta se e nei
limiti in cui sia cedibile il contratto finale (es. trasferimento
dell’azienda comporta la cessione delle proposte contrattuali ancora
accettabili).

Formazione del contratto e negozi preparatori


Proposta e accettazione possono essere qualificati come negozi
preparatori?
In dottrina si è prospettata una nozione ampia di negozi preparatori,
comprensiva di tutti gli atti finalizzati alla conclusione del
contratto, e comprensiva anche degli atti mediante i quali le parti
esprimono il loro consenso costitutivo del contratto finale.
In realtà, proposta e accettazione sono le manifestazioni di volontà
costitutive del contratto finale. la loro autonoma rilevanza si
esaurisce nel momento di formazione del contratto.
→ Appare preferibile riservare la qualifica di preparatorio al
negozio che rimane distinto rispetto al contratto finale: il negozio

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preparatorio è strumentale rispetto al contratto finale ma non entra


quale elemento formativo della fattispecie.

Negozi preparatori sono:


- contratto preliminare: le parti si obbligano alla conclusione
del contratto definitivo;
- patto di prelazione: una parte si obbliga a preferire l’altra
nella conclusione di un futuro contratto;
- autorizzazioni, procure, convenzioni sulla forma contratti
normativi…

La conclusione del contratto mediante scambio di proposta e


accettazione
In generale, il contratto si considera concluso quando le parti
manifestano validamente il loro consenso attuale e definitivo, cioè
il loro accordo.
Nell’ordinario schema di formazione del contratto (proposta-
accettazione), il contratto si considera concluso nel momento e nel
luogo in cui il proponente ha avuto notizia dell’accettazione
dell’altra parte (art. 1326).
- L’accettazione deve essere conforme alla proposta. Se presenta
variazioni, sia pure su punti secondari del contratto, l’accordo
non si perfeziona, e l’accettazione vale piuttosto come
controproposta.
- La controproposta non è accettazione dell’offerta ma non
costituisce nemmeno un rifiuto. Essa implica l’intento di
proseguire le trattative sulla base dell’offerta originaria.
- Rispetto all’accettazione difforme il proponente assume a sua
volta la veste di oblato, e può quindi accettarla o fare
un’ulteriore controproposta.

Formazione progressiva dell’accordo


L’accordo può essere raggiunto gradatamente: le parti possono cioè
approvare alcuni punti e proseguire le trattative su altri.
In generale, il contratto non può dirsi concluso finchè l’accordo non
è totale. Può anche darsi che il contratto si concluda pur avendo le
parti lasciato in sospeso la definizione di alcuni punti (qualora le
parti abbiano manifestato chiaramente la volontà di costituire
immediatamente il vincolo contrattuale, e di rimettere a un momento
successivo la determinazione degli elementi in discussione).
Affinché il contratto possa dirsi concluso occorre:
- che vi sia una determinazione minima dalla quale risulti la
causa e il tipo delle prestazioni contrattuali;
- che gli elementi lasciati in sospeso siano legalmente
determinabili.
Finchè il contratto non è concluso i contraenti non sono vincolati in
ordine ai punti via via definiti, trattandosi di intese provvisorie
che ciascuna parte può rivedere in relazione all’ulteriore
svolgimento delle trattative.

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Nel corso delle trattative è possibile che le parti elaborino minute,


cioè stesure provvisorie destinate a essere sostituite da un testo o
da un documento finale.
- Possono contenere un testo ancora da integrare: non è
vincolante, perché esprime solo un accordo parziale, quindi
provvisorio.
- Possono consistere in un progetto contrattuale: le parti
elaborano un testo ma si riservano di deciderne l’approvazione.
- Possono consistere in un documento provvisorio: le parti
considerano concluso l’accordo sottoscritto nella minuta, ma si
riservano di trascriverlo in altro documento o ripeterlo in
forma pubblica.

La revoca della proposta e della accettazione


Fino al momento della conclusione del contratto ciascuna delle parti
può revocare il proprio consenso.
In generale, gli atti giuridici negoziali sono revocabili, salvo che
a seguito del negozio sia sorto in capo al destinatario o al terzo un
diritto incompatibile con la revoca. La legge riconferma il principio
della revocabilità con riferimento alla proposta e accettazione (art.
1328 commi 1 e 2). La proposta può essere tuttavia irrevocabile per
volontà dello stesso proponente.
- La revoca del consenso è efficace pur se ingiustificata.
→ La revoca ingiustificata può dar luogo a responsabilità
precontrattuale se lede un ragionevole affidamento della
controparte sulla conclusione del contratto.
- Il principio della revocabilità del consenso anteriormente al
perfezionamento dell’accordo trova un temperamento nell’ipotesi
in cui l’accettante abbia già dato inizio all’esecuzione del
contratto. Il proponente può di regola revocare il proprio
consenso finchè non abbia avuto notizia della accettazione da
parte dell’oblato.
→ Egli è tenuto a indennizzare l’oblato delle spese e delle
perdite subite per avere iniziato inutilmente l’esecuzione prima
di aver avuto notizia della revoca.
Si tratta di una forma di responsabilità per atto lecito che
realizza un contemperamento tra interesse alla revoca della
proposta e interesse dell’oblato a dare inizio all’esecuzione
del contratto dopo l’accettazione.

- La revoca della proposta e dell’accettazione sono atti recettizi


(art. 1335): la revoca non vale a impedire la conclusione del
contratto se essa non perviene al destinatario prima che
l’accordo si sia perfezionato.
Se l’oblato revoca la sua accettazione, occorre che la revoca
pervenga al proponente prima dell’accettazione. Ugualmente, se
il proponente revoca la proposta, occorre che la revoca pervenga
all’oblato prima che l’accettazione dell’oblato pervenga al
proponente.

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Il carattere recettizio della revoca della proposta non è


opinione pacifica. La dottrina e la giurisprudenza prevalente lo
negano: il proponente potrebbe quindi impedire la conclusione
del contratto con la sola omissione o spedizione della revoca, a
prescindere dal momento della sua ricezione.
Argomentazione:
o il codice civile prevede espressamente che l’accettazione deve
pervenire tempestivamente al proponente mentre la stessa previsione
non è ripetuta per la revoca della proposta (art. 1328 comma 2).
o Previsione normativa dell’indennizzo a carico del proponente (art.
1328 comma 1): sembrerebbe presupporre che la revoca della proposta
precluda immediatamente la conclusione del contratto senza che
l’accettante ne abbia cognizione.
La tesi che riconosce lo stesso carattere recettizio alla revoca
della proposta e dell’accettazione trova, viceversa, un
argomento importante nell’esigenza di pari trattamento
dell’accettante e del proponente. Non sussiste un interesse
sostanziale sottostante alla posizione di proponente che ne
giustifichi un trattamento normativo privilegiato rispetto a
quella di accettante.

La proposta irrevocabile
= è quella in cui il proponente si impegna a non ritirare la proposta
per un certo tempo, rinunciando preventivamente al suo diritto di
revoca fino allo scadere del termine. Qualora, il proponente ritiri
la proposta, la revoca sarà inefficace.
È stato sostenuto che l’indicazione del termine sarebbe un elemento
essenziale della clausola di irrevocabilità:
- secondo alcuni, in mancanza di un termine l’atto si
convertirebbe in una proposta semplice.
- Altra tesi propone l’alternativa della fissazione giudiziale del
termine.
- Bianca sostiene che se il termine non è indicato dal proponente,
esso si determinerà in base alla regola ordinaria – quello
ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare o
secondo gli usi (art. 1326 comma 2). La clausola di
irrevocabilità non muta la natura giuridica della proposta e ne
rende direttamente applicabile la disciplina normativa, salve le
regole particolari giustificate dalla specifica funzione della
clausola.
La proposta irrevocabile non è di massima soggetta a decadenza per
morte o sopravvenuta incapacità del proponente.

Caducazione della proposta e dell’accettazione


La proposta e l'accettazione si caducano se, prima della conclusione
del contratto, il proponente o l'oblato muoiono o diventano
legalmente incapaci.
Questa regola generale subisce due importanti deroghe:
1) Proposta irrevocabile: è previsto che in questo caso la morte o
la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie efficacia
alla proposta (salvo che la natura dell'affare o altre

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circostanze non escludono tale efficacia). Questa eccezione si


spiega considerando che il legislatore ha, in questo caso,
inteso privilegiare l'interesse perseguito dal proponente al
tempo in cui si è obbligato a mantenere ferma la proposta.
2) Morte o incapacità dell'imprenditore: la norma in questo caso
vuole assicurare la continuità nei rapporti di impresa (media e
grande), ai quali la proposta e l'accettazione si riferiscono e
si giustifica per il collegamento dell'affare con
l'organizzazione imprenditoriale, che non può risentire delle
vicende personali dell'imprenditore. Questa norma non si applica
nel caso di piccoli imprenditori in quanto la conclusione del
contratto è influenzata dalle qualità personali di questi
ultimi, il cui venir meno fa cadere l'interesse alla conclusione
del contratto.

La rilevanza della morte e della sopravvenuta incapacità del


dichiarante è stata spiegata in vari modi:
a) il dogma della volontà vede nell’accordo la fusione delle
volontà reali delle parti, la quale deve essere realmente
presente nel momento perfezionativo dell’accordo. Se tale
momento è successivo all’emissione della proposta e
dell’accettazione, la volontà di entrambe le parti deve
persistere sino al momento finale della conclusione del
contratto.
(!) Tuttavia, ciò che preclude la conclusione del contratto non
è il fatto materiale della perdita della capacità di intendere e
volere ma il mutamento della condizione legale del soggetto.
b) essi sarebbero eventi che precluderebbero concretamente al
dichiarante di esercitare il potere di revoca. Verrebbe meno, in
tal modo, la regolarità del procedimento formativo del contratto
con pregiudizio del dichiarante (o dei suoi eredi).
c) La ragione della caducazione deve piuttosto essere ravvisata
nell’esigenza che la decisione sull’affare non ancora concluso
sia rimessa a colui sul quale ormai ne ricadono gli effetti
(erede) o sia assoggettata alle forme e controlli predisposti a
tutela dell’incapace. Se la proposta è irrevocabile viene
privilegiata l’esigenza di tener fermo l’obbligo già vlaidamente
assunto dal proponente, salvo che la natura dell’affare o altre
circostanze indichino come incongrua l’imposizione del contratto
all’erede o all’incapace.

Modi di conclusione del contratto diversi dalla sequenza


proposta-accettazione
Non sempre l’accordo si raggiunge attraverso lo scambio proposta-
accettazione. La formazione del contratto può realizzarsi attraverso
altri schemi:

→ Elaborazione comune del testo


= quando il testo, il programma contrattuale è il frutto di una
collaborazione tra le parti o attraverso persone di loro fiducia.
In questo caso non può parlarsi di proposta e di accettazione. Se
però ciascuna parte procede all’approvazione del testo in un luogo
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diverso, deve applicarsi analogicamente la regola generale rendendosi


necessario lo scambio dei consensi. Il contratto dovrà reputarsi
concluso nel momento e luogo in cui il primo firmatario abbia notizia
dell’adesione dell’altra parte.

→ Conclusione del contratto mediante inizio dell'esenzione


(art.1327)
La regola secondo la quale il contratto è concluso quando il
proponente ha conoscenza dell'accettazione trova una prima deroga nei
casi in cui su richiesta del proponente o per la natura dell'affare o
secondo gli usi, la prestazione deve essere eseguita senza una
preventiva risposta. In tali casi il contratto è concluso nel tempo e
nel luogo in cui ha avuto l'inizio l'esecuzione (art. 1327 comma 1).
La ratio della deroga viene comunemente ravvisata nell’ esigenza di
prontezza della prestazione da parte del proponente, che prevale sul
suo interesse ad avere preventivamente conoscenza dell'avvenuta
accettazione.
Seppure non necessaria ai fini della conclusione del contratto, la
pronta comunicazione dell'accettazione è comunque un atto dovuto.
L'accettante che ritarda ad effettuare tale comunicazione è tenuto a
risarcire il danno subito dal proponente: il danno che il proponente
ha subito per avere confidato nella mancata accettazione dell’oblato.
Tale affidamento può ritenersi giustificato quando si è trascorso un
tempo superiore alla durata di efficacia della proposta. Solo dopo
tale termine, infatti, il proponente può ragionevolmente presumere
che la sua proposta sia rimasta caducata.
La conclusione del contratto mediante esecuzione costituisce un
particolare schema di formazione del contratto, che integra comunque
gli estremi dell'accordo. L'esecuzione della prestazione rileva come
manifestazione tacita del consenso dell'accettante. Anzi si può dire
che in generale l'esecuzione del contratto rappresenta il modello
tipico di accettazione tacita cioè il modello di comportamento che
alla stregua della valutazione sociale indica l'intento serio di
accettare la proposta.
La nota caratteristica pertanto risiede nel fatto che l'inizio
dell'esecuzione perfeziona l'accordo senza che occorra preventiva
partecipazione (comunicazione) al proponente.

Secondo una parte della dottrina, che recepisce una teoria elaborata
dalla dottrina tedesca, l'ipotesi del contratto concluso mediante
esecuzione rientrerebbe invece in un’autonoma categoria negoziale, e
precisamente nella categoria dei negozi di attuazione, che sono due
negozi che avrebbero come nota peculiare quella di realizzare
immediatamente la volontà del soggetto.
Tuttavia, questo inquadramento non è del tutto condivisibile posto che i
contratti che si concludono mediante esecuzione possono ugualmente
concludersi mediante accettazione espressa. L'attuazione è solo uno dei
modi in cui può manifestarsi la volontà dell'oblato e non giustifica
pertanto l'idea di una speciale categoria di negozi.

→ I contratti reali
= contratti che si perfezionano con la consegna della cosa che ne è
oggetto (es. mutuo, comodato, deposito, pegno, riporto).

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Le contratti reali la consegna non è un mero momento esecutivo del


contratto bensì un elemento costitutivo, nel senso che è senza la
consegna il contratto non si intende formato.
La nozione di contratto reale non va confusa con quella di contratto ad
effetti reali nei quali la costituzione ho il trasferimento del diritto
avviene per effetto immediato del consenso delle parti, senza la
necessità di consegnare il bene o l'oggetto del contratto.

La nozione di contratto reale, inoltre, è stata criticata da un lato


perché in contrasto con il moderno principio dell'autonomia
contrattuale e dall'altro perché in contrasto con un dato di
esperienza quotidiana che vede comunemente il costituirsi vincoli
contrattuali relativi ad operazioni di mutuo, deposito ecc. senza la
preventiva consegna della cosa.
Tuttavia afferma il Bianca, che questa critica non vale a stravolgere
la nozione di contratto reale inteso come contratto che si perfeziona
con la consegna della cosa. Si tratta piuttosto di vedere se le
tipiche operazioni di contratti reali possono essere oggetto di
contratti consensuali, in altri termini se accanto ad un mutuo reale
possa esistere anche un mutuo consensuale. La risposta non può che
essere positiva (es. nulla vieta che la parte, anziché dare una somma
a mutuo, si obblighi a corrispondere le somme richieste dal
mutuatario fino a un certo importo).
Tuttavia, anche quando può parlarsi di contratto consensuale, la
consegna non rappresenta semplicemente una prestazione dovuta, ma
emerge come requisito necessario per la produzione degli effetti
tipici del negozio.
Un terzo possibile inquadramento delle operazioni a consegna
necessaria (oltre al contratto reale e al contratto consensuale) è
quello del preliminare: le parti possono infatti concludere un
preliminare avente ad oggetto la stipulazione di un futuro contratto
reale (la stessa legge prevede la promessa di mutuo – art. 1822).

→ Adesione al contratto aperto


Una particolare ipotesi di formazione del contratto è quella che
concerne l'adesione successiva di nuove parti. La possibilità
dell'adesione di nuove parti è tipica dei contratti con comunione di
scopo dove le parti cooperano per la realizzazione dell'interesse
comune. Il contratto che prevede l'adesione successiva di nuove parti
si dice aperto.
In questi contratti, sostanzialmente, è prevista una particolare
clausola detta clausola di adesione che consente ad altri soggetti di
aderire al contratto successivamente.
L’adesione al contratto deve essere diretta o all'organo che sia
stato costituito per l'attuazione del contratto (cioè all'organo
rappresentativo esterno al quale è conferita la competenza
rappresentativa del gruppo), o in mancanza deve essere comunicata a
tutti i contraenti originari.

Natura della clausola di apertura:


- alcuni la considerano una sorta di proposta;

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- secondo altri è un contratto già perfezionato, definito e idoneo


a produrre tutti i suoi effetti a prescindere dall’accettazione;
- secondo altri ancora, in quanto è rivolta a una generalità di
terzi, si configura come un’offerta al pubblico e come tale è
suscettibile di revoca.
- Solitamente il contratto aperto prevede un controllo delle
adesioni: verifica delle condizioni di ammissione oppure
necessità di un’accettazione dell’adesione. Quest’ultima assume
il valore di una proposta, dovendosi invece ravvisare nella
clausola di apertura un invito a offrire.

→ L'offerta al pubblico
= offerta di contratto che si caratterizza per il fatto di essere
rivolta ad una generalità di destinatari o, senz’altro, a chiunque ne
voglia profittare (art. 1336).
Trattandosi di una proposta, l'offerta al pubblico deve presentare
tutti i requisiti e cioè:
- deve essere completa: deve contenere tutti elementi essenziali
del contratto);
- deve manifestare, sia pure tacitamente, la volontà attuale delle
proponente di concludere il contratto. Il contratto è concluso
quando un soggetto accetta la proposta e il proponente ha la
notizia dell’accettazione.
Un’offerta incompleta è insuscettibile di accettazione, e vale
piuttosto come invito a trattare.

L'offerta al pubblico, a differenza degli atti recettizi, non è


subordinata alla ricezione dell’atto da parte di un determinato
soggetto. E’ sufficiente che il proponente abbia emesso la sua
offerta rendendola conoscibile.
Secondo la regola generale, l'accettazione non conforme vale come
controproposta. In ogni caso di rifiuto del singolo soggetto lascia
afferma l'efficacia dell'offerta e quindi anche chi rifiuta può
successivamente accettare.
La forma adottata per l’emissione vincola l’offerente per quanto
attiene alla revoca, la quale è efficace nei confronti della
generalità quando sia fatta nella stessa forma dell’offerta o in
forma equivalente. L’osservanza delle stesse modalità rende efficace
la revoca anche rispetto a chi non ne abbia avuto notizia.

Forme particolari di offerta al pubblico. Le offerte a prelievo


diretto.
- La più comune forma di offerta al pubblico è quella fatta
mediante esposizione della merce con relativo prezzo da parte
del negoziante. Ad essa è tradizionalmente riconosciuto il
valore di proposta. Il contratto, pertanto, si conclude quando
il cliente rende nota al negoziante la sua accettazione.
- La pubblicità di un prodotto invece ha generalmente il
significato di un invito all’acquisto, salva disponibilità della

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merce e senza che il pubblicizzante sia vincolati dai prezzi


indicati.
- Nei contratti di massa altre forme di offerta sono quelle a
prelievo diretto, attuate mediante macchine automatiche ovvero
mediante servizi direttamente utilizzabili o magazzini self-
service.
→ La semplificazione di queste forme di contrattazione non
giustifica l’idea secondo la quale mancherebbe qui la fattispecie
dell’accordo. Sia l’offerta sia il prelievo hanno il tipico
significato sociale di atti negoziali (mediante l’esposizione della
merce l’imprenditore manifesta il suo intento di vendere, mediante il
prelievo il cliente manifesta il proprio intento di comprare).
La natura contrattuale di queste operazioni si conferma nell’esigenza
di applicare la disciplina del contratto non solo per quanto attiene
all’esecuzione del rapporto (es. azione di inadempimento per vizi del
bene), ma anche per quanto attiene al presupposto soggettivo della
capacità d’agire e alla tutela della formazione del consenso (es.
offerta ingannevole).

Le gare (aste, concorsi).


Altra forma di offerta al pubblico è quella della gara, quale
procedura aperta alla competizione di più interessati.
Una tipica gara è costituita dall’ incanto o asta, quale procedura
che prevede una seduta con offerte al rialzo da parte dei presenti e
l’aggiudicazione a chi abbia offerto il prezzo più alto prima della
scadenza del tempo.
- Dottrina: è un’offerta al pubblico o un invito ad offrire?
Sembra doversi ammettere che il contratto (normalmente una
vendita) si perfezioni con chi ha indicato il prezzo più alto
senza che occorra un’ulteriore manifestazione di volontà del
promotore rispetto a quella risultante dall’offerta del bene
all’incanto.
L’offerta del partecipante è quindi una vera e propria
accettazione, con l’unica particolarità che è soggetta a
decadere di fronte a un’offerta più alta. Il promotore quindi,
intervenuta l’accettazione, non ha il potere di revocare
l’incanto.

Nella nozione di gara rientra anche il concorso, quale procedura che


prevede l’esame comparativo dei concorrenti e la prevalenza di chi
abbia ottenuto il risultato migliore.
- il bando di concorso costituisce un’offerta di contratto
destinato a perfezionarsi nei confronti di chi risulterà più
qualificato secondo i criteri fissati dal promotore. Il
contratto deve quindi ritenersi perfezionato nel momento in cui
il concorrente ha realizzato il risultato richiesto dal bando.
- Il diritto del vincitore alla stipulazione del contratto non
potrebbe essere negato in base alla discrezionalità del
promotore. Questa riguarda esclusivamente il giudizio che può
dover essere formulato in ordine alle qualità o ai titoli di
studio del candidato.

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- Il promotore deve esercitare i suoi poteri discrezionali nel


rispetto dell’obbligo di buonafede. La violazione di tale
obbligo importa la resp. precontrattuale del promotore quando
rimanga preclusa l’instaurazione del rapporto.

La promessa al pubblico:
= è un negozio unilaterale, e precisamente l'assunzione di
un'obbligazione gratuita nei confronti di chiunque del pubblico sia
in una da una situazione o compia una determinata azione (art. 1989).
→ La promessa al pubblico è pertanto fonte di obbligazione,
direttamente produttiva del vincolo obbligatorio per il promittente
non appena è resa pubblica; l'offerta al pubblico è invece una
proposta di contratto che richiede l'accettazione per tradursi in
accordo (è il contratto che si pone come fonte del rapporto).

La distinzione diviene tuttavia un po' più problematica con riguardo


a:
- Offerta al pubblico di contratto con obbligazioni a carico del
solo proponente:
se si ammette che tale offerta dia luogo alla conclusione del
contratto anche senza accettazione del destinatario, deve
riconoscersi che essa integra in una sostanza una promessa al
pubblico in quanto l'offerente promittente è egualmente
vincolato dalla sua dichiarazione mentre il terzo è ugualmente
libero di rifiutare l'attribuzione.
L’offerta al pubblico di contratto a titolo gratuito non è che
una promessa al pubblico. La menzione di “contratto” si spiega
non sin quanto sussista l’accordo ma in quanto oggetto della
promessa è una tipica prestazione contrattuale.
- Promessa al pubblico condizionata a una controprestazione:
chi promette in cambio di una prestazione, propone un affare
oneroso che esige il consenso di entrambe le parti, con l’unica
particolarità che l’adesione dell’interessato deve manifestarsi
direttamente con l’esecuzione della prestazione. Eseguita la
prestazione, l’obbligo del corrispettivo ha la sua fonte non
nella promessa ma nell’accordo ormai raggiunto.

Formazione dei contratti degli enti pubblici


- Il concorso è una delle procedure alle quali gli enti pubblici
devono ricorrere nello svolgimento della loro attività
contrattuale secondo la disciplina che li governa.
- Altra procedura è la licitazione privata, quale gara ristretta
ai soggetti invitati dall’ente a parteciparvi.
- Infine l’ente pubblico può ricorrere alla trattativa privata,
cioè alla formazione del contratto mediante scelta diretta della
controparte.
Quale che sia la procedura seguita, le regole sulla formazione del
contratto trovano in generale applicazione anche riguardo agli enti
pubblici. Per stabilire se il contratto si è concluso occorrerà
accertare di volta in volta, tenendo conto delle circostanze del

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caso, se gli atti dell’ente e dell’altra parte integrino la


fattispecie dell’accordo come definitiva manifestazione di consenso.
Una regola specifica che vale per la formazione dei contratti degli
enti pubblici è quella che richiede la forma scritta.

→ Il contratto con se stesso


È stato inteso in dottrina come un’ipotesi di formazione unilaterale
del contratto: conferma la differenza tra contratto e accordo.
La nozione di accordo non si identifica nella fusione delle volontà
reali delle parti, ma richiede che alla stregua di una valutazione
obiettiva sia riscontrabile la loro adesione al programma
contrattuale. Ai fini dell’accordo occorre che a ciascuna parte sia
giuridicamente imputabile un atto di consenso negoziale. Tale
imputazione è possibile attraverso l’istituto della rappresentanza,
il quale svincola il contratto dalla necessità di una diretta
manifestazione di volontà della parte sostanziale: a questa è
giuridicamente imputato l’atto del rappresentante, le è imputato il
complesso degli effetti giuridici di tale atto.
- Lo stesso soggetto può quindi manifestare la volontà in nome di
rappresentati diversi. L’accordo è riscontrabile nell’ipotesi in
cui il proponente faccia la proposta attraverso un
rappresentante, e la proposta sia poi accettata dalla stessa
persona diventata rappresentante dell’oblato. Qui vi sono due
dichiarazioni emesse in tempi diversi da parte di uno stesso
soggetto e imputabili rispettivamente all’una e all’altra parte.
- È inoltre possibile che il rappresentante esprima in un unico
contesto la volontà formativa del contratto. In questa ipotesi
la configurabilità dell’accordo è stata esclusa.
- L’accordo appare riscontrabile anche quando il rappresentante
dichiari contestualmente la volontà per l’una e per l’altra
parte. Anche in questo caso sono riscontrabili due diversi atti
decisionali giuridicamente imputabili alle parti.
Deve allora ammettersi che la fattispecie del contratto con sé stesso
si presenta in termini di accordo, posto che rispetto a ciascuna
parte è identificabile l’atto di adesione al programma contrattuale.

Proposta di contratto con obbligazioni a carico del solo proponente


Una particolare previsione normativa è dedicata alla proposta di
contratto da cui derivano obbligazioni a carico del solo proponente.
Caratteristiche proprie di fattispecie sono:
- La proposta è irrevocabile appena ricevuta dal destinatario
(art. 1333 comma 1);
- Per la costruzione del rapporto è sufficiente il mancato rifiuto
del destinatario. Precisamente questi può rifiutare la proposta
entro il termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi,
se non risulta tempestivamente il contratto è concluso (art.
1333 comma 2).

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Contratti con obbligazioni a carico del solo proponente sono i


contratti a titolo gratuito. Tuttavia l’ambito di applicazione della
norma è più ristretto, non si applica a:
- Donazioni: per le quali è di regola richiesta la forma pubblica;
- Contratti che stabiliscono a carico del beneficiario
obbligazioni modali.
La ragione della norma può identificarsi nell’esigenza di
semplificare la costituzione del rapporto quando il destinatario
dell’atto del dichiarante non è esposto a pregiudizio dall’efficacia
dell’atto.

È possibile costituire il rapporto nel caso di mancato rifiuto del


destinatario nel caso di attribuzioni traslative di diritti reali?
→ La risposta deve essere tassativamente negativa. La soluzione
opposta contrasterebbe con il principio del rispetto dell’altrui
sfera giuridica (consente ingerenze aventi effetti non
pregiudizievoli per il soggetto).
Tra gli esempi giurisprudenziali di proposte senza necessaria
accettazione del destinatario: proposte aventi ad oggetto il mandato,
deposito gratuito, fideiussione, concessione gratuita del diritto di
prelazione…
La promessa dell’offerente può sostanziarsi in una promessa
unilaterale di contratto, cioè nell’assunzione di un obbligo
unilaterale di contrarre: in tal caso la promessa rientra nell’ambito
di applicazione della norma anche se l’impegno riguardi un contratto
a titolo oneroso (perché l’obbligo di stipulare il definitivo
scaturisce a carico del solo promittente).

Problema: se il rapporto si può costituire a seguito del mancato


rifiuto del promissario, si può parlare di contratto?
- La dottrina ha sempre risposto positivamente, ravvisando nel
mancato rifiuto una manifestazione tacita di accettazione o un
comportamento (negativo) che acquista il valore legale di
accettazione.
Questa tendenza si spiega come il tentativo di salvare il
principio del contratto quale unico strumento generale
dell’autonomia negoziale. Il principio tuttavia non può essere
salvato attraverso una finzione come il ravvisare
un’accettazione nel silenzio del promissario.
Se si esclude che la mancata risposta ad una promessa gratuita
abbia socialmente il significato di un’accettazione, deve anche
escludersi che questo significato sia legalmente imposto dalla
legge. Questo costituirebbe una finzione nel convertire la mera
inerzia in un atto di autonomia negoziale.
- La dottrina più recente ha ammesso che il contratto possa
formarsi con unica dichiarazione, ossia senza accordo.
(!) Contro questa soluzione si obietta che la nozione di
contratto non può essere svincolata da quella di accordo.
Inoltre, si dice, la natura contrattuale non attiene al
contenuto ma alla fonte del rapporto (l’obbligazione nasce dal
contratto e non dalla legge o da atti unilaterali).

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- Se si vuole intendere la norma per ciò che essa prevede: deve


ammettersi che i rapporti che non comportano obbligazioni o pesi
a carico del destinatario possono costituirsi per effetto della
sola volontà dell’obbligato, salvo il potere di rifiuto del
beneficiario che vale a cancellare il rapporto dall’origine.

Le offerte di contratti gratuiti altro non sono che promesse gratuite: chi
offre un contratto senza obbligazioni per il destinatario, offre una
prestazione gratuita. Chi fa una promessa gratuita è obbligato se il
destinatario non la rifiuta: risulta così confermato il principio della
vincolatività delle promesse unilaterali gratuite.
Come nella promessa al pubblico la prestazione può assumere a suo presupposto
un’attività del promissario. Trattandosi di un’attività già compiuta senza
diritto a corrispettivo è certo che la ricompensa, giuridicamente non dovuta,
è promessa a titolo gratuito.
Se, invece, la promessa è subordinata ad una futura azione del promissario,
occorre vedere se tale azione si concreta in una prestazione a favore del
promittente o di terzi. In tal caso siamo in presenza di un contratto a
prestazioni corrispettive, o comunque con oneri a carico della controparte,
che richiede l’accettazione cioè l’accordo.

→ L'opzione
= contratto che attribuisce a una parte (opzionarlo) il diritto di
costituire il rapporto contrattuale finale mediante una propria
dichiarazione di volontà.

Nella previsione normativa la dichiarazione della parte vincolata si


considera quale proposta irrevocabile per quanto attiene
all’inefficacia della revoca e alla persistente efficacia della
dichiarazione pur a seguito del decesso o della sopravvenuta
incapacità del dichiarante (art. 1331). → L’opzione non è una
proposta irrevocabile, è un contratto!
La natura contrattuale dell’opzione comporta, sul piano degli
effetti:
- che la dichiarazione rimane ferma non per un particolare impegno
del concedente ma per il generale principio di vincolatività del
contratto.
- Un’accettazione difforme non toglie la possibilità di una
successiva, efficace, dichiarazione conforme. In quanto
l’efficacia della dichiarazione discende dal vincolo
contrattuale, essa viene meno solo con la scadenza del termine,
l’estinzione del contratto o la rinunzia dell’opzionario al suo
diritto.

Al di fuori delle conseguenze strettamente legate alla sua natura


contrattuale, gli effetti dell’opzione tendono a identificarsi con
quelli dell’offerta irrevocabile, pur rimanendo due figure diverse.
- L’opzione da’ luogo alla formazione del contratto secondo lo
schema particolare contratto di opzione-esercizio del potere di
accettazione, non proposta-accettazione. Il contratto di opzione
determina il contenuto del rapporto finale (oggetto dell’accordo

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delle parti) e rimette la costituzione di tale rapporto a un


atto unilaterale di una di esse.

Differenza con contratto preliminare:


- L’atto dell’opzionario è sufficiente a costituire il rapporto
finale senza che occorra un ulteriore accordo delle parti; dal
contratto preliminare sorge l’obbligo di stipulare il contratto
definitivo.
- Al diritto di opzione non fa riscontro una posizione di obbligo:
si tratta piuttosto di una posizione di soggezione rispetto al
potere dell’opzionario.
Da qui consegue che la parte vincolata all’opzione non è tenuta
né alla prestazione contrattuale finale né all’attività
strumentale di cura e preparazione della stessa. L’opzionario
potrà costituire il rapporto se e quando l’operazione gli parrà
conveniente. Il comportamento del concedente che rende
impossibile la prestazione dà luogo a resp. precontrattuale per
violazione del dovere di buonafede (restituzione dell’eventuale
premio o corrispettivo dell’opzione, risarcimento danno nei
limiti dell’interesse negativo).

In quanto destinato a formare il contratto finale, il patto di


opzione e l’accettazione dell’opzione devono rivestire la forma
richiesta per tale contratto.
Il patto di opzione prevede normalmente un premio a favore del
concedente, cioè un corrispettivo.
Il diritto di opzione è cedibile quando vi sia il consenso del
concedente e, in generale, quando sia cedibile il contratto finale.

Il patto di prelazione
= accordo con il quale un soggetto (promittente) si impegna a dare al
promissario (o prelazionario) la preferenza rispetto ad altri, a
parità di condizioni, nel caso in cui decida di stipulare un
determinato contratto.

- Prelazione legale: diritto di prelazione trova la sua fonte


nella legge.
In molti casi è la stessa legge a stabilire, in relazione agli
interessi coinvolti, quali soggetti devono essere preferiti nel
caso in cui si intenda stipulare contratto.
Un'ipotesi rilevante di prelazione legale è prevista in tema di
successioni: cd. retratto successorio - istituto in base al quale i
coeredi sono titolari di un diritto di prelazione in caso di alienazione
della quota ereditaria da parte di altro coerede. Il fondamento del
retratto successorio previsto dalla legge è quello di evitare
l'ingresso, nella comunione ereditaria, di soggetti non legati da
vincoli di parentela, nonché quello di evitare un eccessivo
frazionamento del patrimonio ereditario.

- Prelazione convenzionale: diritto trova la sua fonte


nell’accordo delle parti. Si fonda su un apposito patto con cui
il promittente si obbliga a dare al prelazionario la preferenza

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rispetto ad altri a parità di condizioni nel caso in cui decida


di stipulare un determinato contratto.

Il patto di prelazione è spesso accostato a:


- Preliminare unilaterale: si ritiene che obbligarsi a dare la
preferenza equivalga ad obbligarsi a contrarre con l’avente
diritto. (!) Il promittente rimane del tutto libero di contrarre
o non contrarre, non può riconoscersi alcuna pretesa del
promissario in ordine alla conclusione del contratto.
- Opzione: (!) Anche qui il promissario non ha alcun potere di
costituire direttamente il rapporto contrattuale finale mediante
una propria manifestazione di volontà, né può riscontrarsi una
soggezione del promittente.

La prelazione convenzionale ha una propria funzione: l’interesse


concretamente perseguito è quello di assicurare a una parte il
vantaggio della preferenza rispetto ad altri eventuali contraenti.
Questa funzione giustifica il patto, che può considerarsi validamente
stipulato anche senza che sia previsto un corrispettivo a carico del
prelazionario.

Il patto esige la stessa forma del contratto per il quale è concesso


il diritto di prelazione.
L’interpretazione del patto di prelazione può deporre nel senso della
cedibilità del diritto di prelazione ma, in linea di massima, la
cedibilità del diritto deve ritenersi esclusa in applicazione del
principio che tutela l’interesse del contraente a non vedersi imposta
come controparte una persona diversa da quella originariamente
prescelta.

Efficacia della prelazione convenzionale:


A differenza delle prelazioni legali, la prelazione convenzionale
conferisce un diritto di natura obbligatoria non opponibile ai terzi.
- La violazione di tale diritto attuata con l’alienazione del bene
ad altro acquirente non comporta un potere di riscatto ma solo
il rimedio del risarcimento del danno.
- E’ esclusa la trascrizione.
La tesi secondo cui la prelazione convenzionale potrebbe avere
efficacia reale non può essere condivisa: verrebbe a violare il
principio generale della inopponibilità ai terzi dei limiti
obbligatori alla disponibilità dei beni (principio desumibile dalla
norma sul divieto di alienazione: art. 1379).

Contenuto dell’obbligo del concedente:


Il concedente è tenuto a fare quando normalmente occorre, secondo
l’ordinaria diligenza, per soddisfare l’interesse del prelazionario
ad essere preferito al terzo.
- obbligo positivo di denuncia: obbligo di comunicare al
prelazionario la proposta che intende fare a terzi o quella
ricevuta da terzi, una volta determinatosi alla conclusione del
contratto.

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→ Si ritiene che la denunzia abbia la natura di una proposta


contrattuale e che, come tale, debba essere completa per
consentire al prelazionario di manifestare la propria
accettazione.
La mancata accettazione della proposta consente al concedente di
alienare al terzo alle stesse condizioni (o a condizioni più
gravose).
- L’inizio di trattative con il terzo non impone al concedente di
farne denuncia al prelazionario: la denunzia dev’essere fatta
con valore di proposta e in maniera tale da mettere il
prelazionario in condizione di esercitare il suo diritto. Fatta
la denunzia, il concedente può sempre revocarla senza ledere per
ciò stesso il diritto del prelazionario.
- La violazione di tale diritto è riscontrabile solo quando il
concedente conclude il contratto con il terzo, ma anche quando
il concedente abbia già stipulato un preliminare con il terzo.
Il danno risarcibile è pari al vantaggio patrimoniale che il
promissario avrebbe conseguito se fosse stato preferito al
terzo.
- In quanto il patto di prelazione comporta un vincolo di
alienazione è applicabile il principio che consente il divieto
di alienazione solo entro convenienti limiti di tempo, con
conseguente nullità di un patto perpetuo o con termine
eccessivamente lungo (es. somministrazione: 5 anni).

Contratto a prova, con riserva di gradimento e di non gradimento:


Tra le clausole tipiche che accompagnano la formazione del contratto:
- Clausola di prova: subordina l’efficacia del contratto al
positivo accertamento dei requisiti legali o convenzionali del
bene (art. 1521).
- Clausola di riserva di gradimento: fa dipendere il
perfezionamento del contratto da un atto di gradimento del bene
da parte dell’acquirente (art. 1520).
- Clausola di riserva di non gradimento: facoltizza l’acquirente a
recedere dal contratto comunicandolo alla controparte entro un
certo termine che il bene non è di suo gradimento (art. 1520).

CAPITOLO IV – LA FORMA
La forma del contratto
= mezzo sociale attraverso il quale le parti manifestano il loro
consenso.
Le principali forme per la conclusione del contratto sono:
a) Atto pubblico;
b) Scrittura privata;
c) Forma orale;
d) Comportamento materiale.

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Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma,


pertanto le parti sono libere di manifestare il loro consenso con
qualsiasi mezzo idoneo: quello che importa è che il consenso si sia
esternato in un fatto socialmente valutabile come accordo.
I contratti che rientrano nella regola generale sono detti a forma
libera, e si distinguono rispetto ai contratti formali o solenni.

I contratti formali
= contratti per i quali la legge richiede una determinata forma a
pena di nullità (ad substantiam): qui la forma è un elemento
costitutivo del contratto (art. 1325 n. 4),e viene indicata come
forma legale.

I contratti formali si distinguono in:


- Contratti che devono essere stipulati per atto pubblico:
donazione, convenzioni matrimoniali, atto costitutivo delle SPA;
- Contratti che devono essere stipulati per atto pubblico o per
scrittura privata: alienazioni immobiliari; atti dispositivi di
diritti reali immobiliari (proprietà, usufrutto…); locazioni
immobiliari ultranovennali; contratti di società e associazione
che prevedono conferimenti in godimento di beni immobili per
oltre nove anni.

Le prescrizioni normative di oneri formali costituiscono deroghe al


principio della libertà di forma: la loro applicazione ai casi non
previsti incontra quindi il divieto di analogia sancito per le norme
eccezionali.

Esigenze cui rispondono le prescrizioni di forma:


La prescrizione della forma quale elemento costitutivo risponde ad
una duplice esigenza:
- Principalmente risponde all’esigenza della responsabilizzazione
del consenso, che si rileva particolarmente in relazione
all’onere dell’atto pubblico, per richiamare l’attenzione del
dichiarante sull’importanza dell’atto che compie.
- Altro interesse è quello della certezza dell’atto: una
dichiarazione orale è percepita solo dai presenti e la prova di
essa e del suo contenuto resta affidata solo alla parola e alla
memoria di coloro che l’hanno ascoltata, mentre la scrittura
affida la dichiarazione ad un mezzo durevole di conoscenza.
Il contratto privo della forma necessaria deve ritenersi nullo anche
se le parti avessero espresso un consenso consapevole e certo.
D’altro canto, una volta che l’onere formale sia assolto, il
contratto è validamente stipulato anche se di fatto la parte non
abbia prestato attenzione alla dichiarazione sottoscritta o il
documento sia andato distrutto.

Le prescrizioni legali di forma del contratto sono inderogabili. Esse


impongono un onere all’autore del negozio.

Contratti a prova formale:

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= contratti per i quali una determinata forma è richiesta ai fini


probatori (ad probationem).
Qui la forma non è elemento costitutivo del contratto, ma un onere
richiesto ai fini della prova dell’avvenuta stipulazione dell’atto
(es. art. 2556: il contratto di alienazione dell’azienda).
La mancata osservanza dell’onere formale non impedisce che il
contratto sia validamente stipulato: se ne può dare prova mediante un
documento ricognitivo o la confessione.

Contenuto e linguaggio dell’atto formale


Quali elementi devono risultare nell’atto formale affinché il
contratto possa dirsi validamente stipulato nella forma richiesta?
a) Il contenuto minimo dell’atto formale è dato dal contenuto
minimo che è necessario e sufficiente per la validità del
contratto. In base a questo criterio occorre che il consenso
delle parti, manifestato nella forma richiesta, determini
direttamente o indirettamente gli elementi essenziali del
contratto.
b) Una tesi più rigorosa richiede che le determinazioni
contrattuali risultino direttamente dall’atto formale,
escludendo il rinvio a determinazioni estranee al documento. Il
contratto formale è completo quando abbia un oggetto
determinabile, cioè quando l’atto rinvii all’atto determinativo
di un terzo ovvero si richiami ad elementi obiettivi esterni.
- Nel primo caso l’atto del terzo è un autonomo atto
giuridico di arbitraggio che concorre a determinare il
contenuto del rapporto contrattuale.
- Nel secondo caso il fattore esterno è un dato di fatto che
entra direttamente nel contenuto dell’accordo: riferimento ad
elementi materiali esterni (es. segni naturali di
delimitazione del fondo), rinvio al contenuto di altri
contratti o documenti. In quest’ultimo caso il rinvio
incontra il limite della preclusione di dichiarazioni
contrattuali prive della forma dovuta: è inammissibile il
rinvio a un documento che non sia sottoscritto dalle parti.
Se le parti esprimono una volontà conforme al contenuto di un
altro contratto, per rispettare l’onere della forma devono
riprodurre tale contenuto nella propria dichiarazione ovvero
fare proprio formalmente il documento altrui mediante la
propria sottoscrizione.

L’onere della forma si estende anche agli elementi non essenziali?


a) La tesi positiva muove dal rilievo che gli elementi secondari
fanno comunque parte del contratto, il quale deve essere
formalizzato nella sua interezza.
b) La giurisprudenza ritiene che all’onere del requisito formale si
sottraggono le determinazioni attinenti alle modalità di
esecuzione delle attribuzioni contrattuali.
La disciplina dell’atto notarile detta specifiche indicazioni sugli
elementi di cui occorre fare menzione. Per l’omissione di alcuni di
questi elementi è sancita la nullità dell’atto.

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L’onere della forma pubblica richiede che le parti dichiarino


espressamente la loro volontà in una lingua ufficiale.
Per quanto attiene alla scrittura privata si discute se l’onere della
forma possa dirsi assolto quando le parti ricorrono ad un linguaggio
convenzionale. La soluzione negativa si giustifica in base al rilievo
che il linguaggio convenzionale è un modo di occultamento della reale
volontà delle parti, il quale comporta che l’intento occultato deve
rivestire la forma dovuta (secondo il principio dettato in tema di
simulazione). Se non vi è occultamento della volontà contrattuale
l’onere formale deve considerarsi assolto pur nel ricorso a
espressioni equivoche, erroneamente formulate o necessarie di
esplicazione.

L'atto pubblico
= Art 2699: L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste
formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad
attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l'atto è formato.

Pubblica fede = piena efficacia probatoria dell’atto. L’atto pubblico


fa piena prova, fino a querela di falso, di ciò che in esso è
documentato:
- provenienza del documento dal pubblico ufficiale;
- dichiarazioni delle parti;
- altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in
sua presenza.
Il pubblico ufficiale non documenta la verità e la serietà del suo
contenuto. Chi contesta che la dichiarazione sia stata fatta o che
sia stata fatta con quel contenuto ha quindi l’onere di dimostrare in
giudizio penale la falsità (materiale o ideologica) del documento.
Chi invece afferma, ad es., che la dichiarazione è stata estorta con
violenza si limiterà a esercitare la normale azione di annullamento.
Occorre comunque ricordare che il notaio non si limita a registrare
ciò che le parti dicono, ma deve indagare la loro volontà. Il notaio,
inoltre, è tenuto a non rogare atti nulli per contrarietà alla legge,
all’ordine pubblico o al buon costume, e deve quindi accertare
l’insussistenza di alcuna di tali cause di invalidità. Si è poi
giunti a ritenere che il notaio debba assicurare gli effetti utili
del negozio: accertare che lo stipulante è dotato della necessaria
legittimazione, che non sussistono trascrizioni a carico
dell’alienante aventi ad oggetto limitazioni e vincoli non
dichiarati.
Le irregolarità si distinguono in invalidanti e non invalidanti, a
seconda che comportino la nullità dell’atto o solo sanzioni
disciplinari a carico dell’ufficiale rogante.
La nullità dell’atto pubblico comporta la nullità sostanziale del
negozio. Esso può tuttavia valere come scrittura privata, nelle
ipotesi di: irregolarità formali dell’atto pubblico, incompetenza o
incapacità del pubblico ufficiale → conversione dell’atto.

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La scrittura privata
= documento firmato dall’autore o dagli autori dell’atto.
Di regola non è necessaria l’autografia della dichiarazione, che può
essere scritta da un terzo o a macchina. E’ necessario che sia
autografa la firma con cui il soggetto sottoscrive il terzo.
La firma deve contenere il nome del sottoscrivente (non
necessariamente il prenome, anche la sigla può ritenersi
sufficiente). Essa è un segno autografo mediante il quale il soggetto
fa proprio il contenuto di un testo.
A differenza dell’atto pubblico, la scrittura privata non costituisce
piena prova della provenienza dell'atto, salvo che:
- sia stata autenticata (art. 2703), o
- sia stata riconosciuta dalla parte contro cui è stata prodotta
(art. 2702).
Il contratto è stipulato per scrittura privata quando il consenso è
manifestato in uno o più documenti sottoscritti dalle parti. Le
dichiarazioni possono essere rese in tempi separati e con documenti
diversi (es. contratto formato mediante scambio epistolare di
dichiarazioni).
In quanto il contratto è un accordo, devono risultare per iscritto le
manifestazioni di volontà attraverso le quali l’accordo si perfeziona
(es. proposta e accettazione devono assolvere l’onere della forma
scritta).
Secondo la giurisprudenza, deve ammettersi che la parte non
firmataria possa esprimere il proprio consenso mediante una
manifestazione tacita di volontà – sempre che si tratti di una
manifestazione scritta e attuale (es. intimazione scritta a eseguire
il contratto, non basterebbe la semplice esecuzione del contratto né
una dichiarazione probatoria con la quale la parte riconosce
l’avvenuta stipulazione).

La firma in bianco
Si ha quando un soggetto firma una dichiarazione incompleta o un
foglio in bianco (biancosegno). In questi casi si può parlare di una
dichiarazione fatta per iscritto?
a) Se il riempimento del foglio è autorizzato dal firmatario, la
dichiarazione in esso contenuta è direttamente imputabile al
firmatario, in quanto questi, apponendo la firma sul foglio, ha
espresso la volontà di far proprio il futuro testo.
b) Se il firmatario non ha autorizzato il riempimento del foglio, o
chi l’ha riempito ha ecceduto i limiti dell’autorizzazione
ricevuta, non può dirsi che il firmatario abbia voluto far
propria la dichiarazione successivamente inserita nel foglio. In
base al principio dell’apparenza imputabile, il firmatario potrà
dover subire gli effetti della dichiarazione come propria. Tale
principio è inoperante quando l’altra parte sapeva, o avrebbe
dovuto sapere, che il riempimento era avvenuto all’insaputa o
contro la volontà del firmatario.

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c) In dottrina si è prospettata la tesi secondo cui il firmatario


avrebbe senz’altro il potere di far proprio, ora per allora,
quello che sarà il contenuto del documento. Ma in quanto il
firmatario esprime la volontà di appropriarsi del testo che
altri è autorizzato a redigere, non può prescindersi da questa
autorizzazione e dai limiti di essa.

La sottoscrizione al buio
= sottoscrizione di un testo completo che però il firmatario non ha
né scritto né letto.
In generale, chi sottoscrive una dichiarazione negoziale la fa
propria in quanto la firma ha il significato obiettivo di consenso
sul testo sottoscritto. La possibilità di contestare questo
significato deve essere verificata con riguardo a due ipotesi:
1) Errore, cioè divergenza tra il testo sottoscritto e il testo che
si voleva sottoscrivere:
per il principio dell’autoresponsabilità, l’autore della
dichiarazione negoziale è assoggettato alle conseguenze di essa
secondo il suo obiettivo significato. Questo principio è
tuttavia in funzione dell’affidamento altrui, ed esso non ha
ragione di applicarsi quando la controparte abbia riconosciuto o
avrebbe dovuto riconoscere l’errore ostativo del firmatario. La
soluzione si conferma quando sia la controparte a trarre in
inganno il firmatario circa il contenuto del documento
sottoscritto.
2) Ignoranza del firmatario sul contenuto del documento:
cioè il firmatario sottoscrive il documento senza curarsi delle
clausole in esso contenute. Questa ipotesi ricorre di frequente
in tema di condizioni generali di contratto, si spiega in quanto
al firmatario interessano i punti essenziali del contratto, per
il resto si affida a quanto predisposto dalla controparte.
Con la sottoscrizione il firmatario fa proprio l'intero testo
quindi, in base al principio dell'auto responsabilità, non
potrebbe poi dire di non avere letto il testo o di non averlo
compreso. Tuttavia anche qui il principio cede quando non vi è
un affidamento della controparte da tutelare: quest’ultima può
presumere che il firmatario abbia letto per intero il testo ma
in concreto può sapere che non lo ha fatto ovvero che non era in
grado di comprenderlo. In questo caso occorre cedere se il testo
rispetti i limiti di una normale disciplina del rapporto: se
questi limiti sono rispettati l’ignoranza del firmatario è
irrilevante.
Se invece si tratta di clausole a sorpresa (non previste e che
alterano apprezzabilmente la posizione del firmatario) si cade
nell'ipotesi di errore essenziale: se una parte sa che il
firmatario non ha conoscenza del testo sottoscritto, devono
ritenersi annullabili le clausole non concordate che incidono
sulla posizione del firmatario.

La ripetizione del contratto

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= atto con il quale le parti rinnovano il loro consenso, esprimendo


una volontà attuale corrispondente a quella del contratto già
concluso.
Avviene solitamente quando le parti stipulano un contratto per
scrittura privata e prevedono una successiva ripetizione per atto
pubblico.

Essa si differenzia da:


• Contratto definitivo, in cui le parti non rinnovano un consenso
già manifestato ma pongono in essere il rapporto contrattuale
finale in adempimento del contratto preliminare
• Atto di ricognizione in senso proprio, con cui le parti
attestano l’avvenuta stipulazione di un contratto
• Rinnovazione del documento, quale operazione materiale di
ricostruzione del documento contrattuale
Questi ultimi due atti hanno efficacia meramente probatoria, mentre
con la ripetizione le parti stipulano nuovamente il contratto anche
se con il medesimo oggetto del contratto già stipulato.
L’attualità del consenso rinnovato spiega che:
- la stipulazione del contratto per atto pubblico non possa essere
ritenuta invalida sulla base di un’eventuale divergenza tra
prima e seconda dichiarazione: poiché le parti ripetono il loro
consenso, è del tutto ammissibile che la nuova dichiarazione
modifichi il contenuto o le modalità stabilite nella prima
dichiarazione.
- il secondo contratto va ritenuto valido quando siano venute meno
le cause di invalidità del primo: in tal caso può configurarsi
l’annullabilità del negozio ripetuto per errore di diritto,
quando la convinzione della necessità giuridica di rinnovare il
consenso sia stata la ragione determinante del contratto.
Di fronte all’inadempimento dell’obbligo di ripetere il contratto per
atto pubblico, l’altra parte può chiedere l’accertamento del
contratto già stipulato o l’accertamento giudiziale della
sottoscrizione della scrittura privata. Inammissibile è il ricorso al
rimedio dell’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre
(il contratto è già stipulato).

Le forme volontarie
= sono forme previste da atti negoziali mediante un patto di forma,
cioè un patto scritto con cui le parti convengono di adottare una
determinata forma per la futura conclusione di un contratto (art.
1352).
Il patto di forma rientra nella categoria dei negozi normativi: può
essere autonomo o accessorio di un altro contratto.
Ratio: consentire la pubblicità dell’atto (è frequente che il
contratto preliminare preveda la stipulazione del definitivo per atto
notarile), esigenza di certezza del diritto.
Il patto può prevedere una data forma come necessaria ai fini della
prova o come requisito essenziale del contratto. La legge presume che

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la forma volontaria sia voluta per la validità del negozio (art.


1352). In realtà, è stato rilevato che non si tratta di una
presunzione in senso proprio ma piuttosto di una regola legale
interpretativa la quale opera solo quando l’interpretazione
soggettiva del patto non accerta una diversa volontà delle parti.
Problema: il patto sulla forma è valido? Stabilisce un requisito
formale necessario (ad substantiam) o meramente probatorio?
a) La formula legislativa (“si presume che la forma sia stata
voluta per la validità…”) ha indotto parte della dottrina a
parificare la forma volontaria alla forma legale costitutiva, e
a reputare conseguentemente nullo il negozio che non presenti la
forma prevista.
b) La dottrina prevalente afferma che solo la legge può sancire
l’invalidità del negozio. (!) A questo argomentato può tuttavia
replicarsi che sarebbe proprio la legge a riconoscere nella
forma volontaria un requisito di validità del contratto.
c) Il patto è diretto alla tutela di interessi particolari; la
disciplina della nullità è inapplicabile posto che le parti
potrebbero voler ugualmente dar corso all’esecuzione del
contratto.
Le alternative prospettate in dottrina rispetto alla figura della
nullità vanno dall’ipotesi dell’inefficacia a quella di una
particolare invalidità convenzionale, a quella della nullità
relativa, all’inesistenza del contratto per irrilevanza del consenso.
Occorre rilevare, afferma Bianca, che la forma costituisce un
requisito volontario che le parti stabiliscono per il loro contratto.
Subordinare il contratto a un determinato requisito volontario
significa subordinarlo a un requisito di efficacia. La soluzione in
termini di inefficacia consente anche di spiegare come le parti o la
parte possano rinunziarvi e, quindi, recuperare al contratto la sua
efficacia.

Forme determinate possono essere previste con riguardo ad atti


negoziali unilaterali o oneri formali aventi ad oggetto atti di
comunicazione (es. disdetta comunicata mediante raccomandata) o di
adempimento (es. pagamenti eseguiti mediante vaglia postale).
→ Se la forma non ha ad oggetto un negozio, è inoperante la
presunzione legale della sua essenzialità. L’incidenza della sua
mancanza deve quindi essere valutata in relazione alla funzione
dell’atto alla stregua del principio di buonafede.

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CAPITOLO V – IL CONTENUTO DEL CONTRATTO


Il contenuto del contratto in senso formale e sostanziale
- Contenuto in senso formale: indica il testo del contratto, cioè
insieme delle dichiarazioni che rientrano nell'accordo
contrattuale. Di esso fanno parte dichiarazioni espositive e di
altra natura (motivazioni personali, confessioni…), le premesse
e le narrative mediante le quali le parti chiariscono gli
antecedenti del contratto. Esse non hanno natura dispositiva ma
possono, comunque, concorrere a interpretare il contenuto
sostanziale del contratto.
- Contenuto in senso sostanziale: è l'insieme delle disposizioni
contrattuali, ossia l'insieme delle disposizioni mediante le
quali i contraenti determinano il rapporto contrattuale.
Il contenuto concreta l'atto di autonomia privata: esso è
l’autoregolamento delle parti. Esso deve quindi essere distinto
rispetto alle determinazioni legali che concorrono a integrare il
rapporto contrattuale.
Solo le disposizioni contrattuali costituiscono oggetto di
interpretazione. Al contenuto, ancora, occorre fare riferimento per
qualificare il contratto, cioè per accertare l’interesse economico e
la natura giuridica dell’operazione posta in essere dalle parti.
È al contenuto che vanno riferite le valutazioni di liceità,
possibilità e determinatezza del contratto.

Contenuto del contratto ed effetti giuridici


Il contenuto del contratto comprende ciò che le parti stabiliscono in
ordine a:
- effetti materiali;
- effetti giuridici: essi devono essere tenuti distinti in ordine
al contenuto del contratto, perché questo esprime la decisione
delle parti mentre gli effetti giuridici rappresentano le
modifiche di situazioni di diritto che conseguono al contratto e
che in questo hanno il loro titolo.

Il riferimento della legge al contratto come mezzo dispositivo di


rapporti giuridici appare confermare la tesi secondo la quale la
volontà contrattuale è sempre diretta a un effetto giuridico, cioè a
un risultato in quanto giuridicamente tutelabile.

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Nei casi comuni la mancata menzione degli effetti giuridici non


toglie che le parti intendono pur sempre creare, modificare o
estinguere rapporti giuridici. Il problema della direzione della
volontà delle parti si riduce semplicemente al problema
dell’accertamento del contenuto dell’accordo, e questo procede anche
sulla base del linguaggio usato dalle parti (che non necessariamente
deve essere tecnico-giuridico).
Le parti possono escludere effetti giuridici, la rilevanza giuridica
del loro atto?
- La risposta deve essere positiva con riguardo alle promesse: chi
assume un impegno può chiarire che non intende vincolarsi
giuridicamente, nel senso che il suo è solo un impegno morale.
Tale promessa non costituisce contratto, in quanto l’accordo non
è diretto a creare una pretesa socialmente tutelabile.
- Se si tratta della prestazione di un bene l’intento di
escluderne la rilevanza giuridica può significare l’intento di
escluderne l’effetto traslativo e l’onerosità, ossia può
significare che il bene viene prestato in comodato semplice.
- Le prestazioni di servizi possono porsi al di fuori di un
rapporto giuridico nel senso che tali servizi sono resi
gratuitamente e spontaneamente, al di fuori di un impegno
giuridicamente rilevante.

Il contenuto in senso sostanziale come oggetto del contratto


L'art. 1325 nell'elencare i requisiti essenziali del contratto fa
riferimento anche all'oggetto.
Nel suo primario significato l'oggetto è il contenuto sostanziale del
contratto, indicando ciò che le parti hanno stabilito o programmato.
In base all'art. 1346 l'oggetto del contratto deve essere:
- possibile;
- lecito;
- determinato o determinabile.
La nozione di oggetto quale contenuto sostanziale del contratto è
stata largamente contestata dalla dottrina. Esso viene ravvisato in:
a) interessi regolati;
b) bene quale entità reale sulla quale cadono gli effetti
negoziali;
c) bene nel quale ideale previsione delle parti;
d) prestazione;
e) termine esterno alla struttura del contratto.
→ Su un piano concreto la questione si riduce ad accertare in quale
significato è usato il termine “oggetto”. Con riferimento al
contratto, il termine designa l’intera operazione voluta dalle parti,
che costituisce il contenuto dell’accordo. In tale significato
l’oggetto si presta ad essere valutato come lecito, determinato e
possibile.

Il bene come oggetto del contratto

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La nozione di oggetto quale contenuto del contratto comprende i beni


in esso previsti: il contenuto si determina infatti anche in
relazione ai beni cui le parti riferiscono diritti e obblighi.
- In quanto concorre a determinare il contenuto del contratto, il
bene rileva come rappresentazione ideale delle parti, come bene
dovuto.
- Di bene come oggetto del contratto si può parlare anche in altro
senso, cioè come bene reale, quale porzione della realtà
materiale sulla quale cadono gli effetti del contratto.
Occorre distinguere tra bene dovuto e bene reale: se le parti
identificano un bene reale come oggetto del contratto, l’impegno
contrattuale ha per oggetto tale bene con riferimento alla sua
identità. Ma oltre all’identità occorre considerare gli altri aspetti
del bene, tenendo conto della complessiva previsione contrattuale e
dei criteri legali.
Es. alienazione di un bene immobile identificato dai suoi attuali
confini. Al compratore spetta questo bene reale (non un altro, anche se
di uguali caratteristiche) privo di vizi occulti. Se il bene alienato
presenta vizi non basterà eccepire che si tratta dell’oggetto del
contratto, poiché l’esattezza dell’attribuzione deve essere verificata
con riguardo al bene idealmente dovuto secondo le determinazioni
convenzionali e legali, e non semplicemente con riguardo al bene reale.

Possibilità dell’oggetto. L’esistenza del bene.


L’oggetto del contratto deve essere, a pena di nullità:
- Materialmente possibile: cioè astrattamente suscettibile di
attuazione (es. sarà materialmente impossibile l’impegno di
vendere un bene distrutto).
Il giudizio di possibilità non riguarda la concreta attitudine
delle parti ad assolvere l'impegno assunto ma l'astratta
realizzabilità di tale impegno. Quando l'impegno è astrattamente
possibile il contratto è valido anche se di fatto la parte non
abbia in quel momento i mezzi per adempiere (es. se
l'imprenditore assume l'impegno di produzione per il quale non
abbia l'idonea attrezzatura industriale, il contratto deve
reputarsi validamente costituito e nel caso in cui non riuscisse
a mantenere l'impegno dovrà rispondere per inadempimento).
Il giudizio di possibilità non esige l’attuale esistenza del
bene previsto: il contratto può avere ad oggetto un bene futuro.
L’impegno contrattuale non è condizionato a una situazione di
fatto se tale situazione è il risultato in ordine al quale la
parte si è impegnata (es. il contratto di alienazione di beni
confezionati non è nullo se la scatola contiene beni di genere
diverso, l’alienante risponderà per non aver attribuito il bene
dovuto).
L’inesistenza del bene comporta impossibilità originaria del
contratto solo quando ha per oggetto un bene insuscettibile di
esistenza o identificazione.
Come l'impossibilità sopravvenuta anche quell'originaria può
essere: temporanea o definitiva.

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· La legge ammette la validità del contratto temporaneamente


impossibile se la possibilità sopravviene prima della scadenza
del termine o dell'avveramento della condizione sospensiva.
· L' impossibilità definitiva comporta la nullità del contratto.

- Giuridicamente possibile: l'impossibilità giuridica si ha quando


l'ostacolo che si oppone alla deducibilità dell'oggetto è dato
dalla sua incompatibilità con l'ordinamento giuridico.
L'impossibilità giuridica indica l'inidoneità dell'atto a
realizzare l'effetto giuridico programmato (es. la vendita di
una cosa già di proprietà dell'acquirente, l'impegno di vendere
un bene demaniale).
Il concetto di impossibilità giuridica è ben diverso da quello
di illiceità: l'illiceità esprime un giudizio di riprovevolezza
da parte dell'ordinamento giuridico, riguarda tutto ciò che è in
contrasto con un precetto giuridico; l'impossibilità è un fatto
di incoerenza logica con l'ordinamento.

I beni futuri
= bene attualmente inesistente come autonomo oggetto di diritti di
godimento ma suscettibile divenire ad esistenza (es. cose non ancora
esistenti natura, cose esistenti in natura che non sono di proprietà
di alcuno ma suscettibili di occupazione; prodotti d'opera non ancora
formati nella loro individualità economica; prodotti naturali non
ancora staccati dalla cosa madre).

La legge, all'art. 1348, prevede espressamente la possibilità che il


contratto abbia ad oggetto beni futuri → sia le cose sia i diritti
futuri (cose future e diritti derivanti da fattispecie negoziali o
legali non ancora perfezionate).
L'attuale inesistenza del bene futuro non comporta la mancanza
dell'oggetto del contratto: in quanto le parti prevedono un bene
futuro l'oggetto del contratto è appunto il bene previsto.
Il contratto avente ad oggetto un bene futuro è quindi un contratto
obbligatorio, nel senso che impegna la parte alla sua attribuzione e,
di regola, la impegna ad adoperarsi per la sua produzione.
Se la produzione del bene diviene impossibile il contratto si risolve
per sopravvenuta impossibilità della prestazione. In questo caso non
si tratta di constatare la nullità del contratto per mancanza
dell'oggetto, bensì di accertare se la sopravvenuta impossibilità sia
o no imputabile alla parte (cioè se si tratta di un evento che essa
avrebbe evitato con l'uso della dovuta diligenza).
La responsabilità della parte comporta l'obbligo del risarcimento del
danno per inadempimento. Il danno risarcibile è costituito dalla
violazione dell'interesse positivo all'esecuzione del contratto
(mentre l'invalidità del contratto limita il danno risarcibile alla
violazione per dell'interesse negativo a non stipulare un contratto
invalido).

La liceità

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L'oggetto del contratto può dirsi lecito quando non sia contrario a
norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.
- La liceità non è un requisito positivo dell’oggetto del
contratto bensì un requisito negativo.
L’illiceità si distingue rispetto all’impossibilità giuridica in
quanto essa esprime un giudizio di riprovevolezza da parte
dell’ordinamento giuridico mentre l’impossibilità giuridica indica la
semplice inidoneità dell’atto a realizzare l’effetto giuridico
programmato.
Determinatezza e determinabilità dell’oggetto
Il requisito della determinatezza o determinabilità richiede che
l'accordo convenga le indicazioni sufficienti a rendere determinato o
determinabile il rapporto contrattuale.
- Oggetto è determinato quando sia compiutamente identificato
nella sua qualità o quantità già nel momento della conclusione
del contratto.
- Oggetto è determinabile quando i contraenti non lo individuano
subito ma predispongono i criteri per la sua successiva
determinazione.
La determinabilità del rapporto rimessa a elementi esterno non
può tuttavia essere totale, in quanto il nucleo essenziale del
rapporto contrattuale deve essere direttamente stabilito dalle
parti. Non basta che il contratto indichi i criteri per la
determinazione del rapporto, ma occorre che risulti già la causa
e la natura delle prestazioni principali.
La nostra tradizione esclude poi che la determinazione del
rapporto sia rimessa all’arbitrio della parte (esigenza di
tutelare la parte contro le sorprese di una determinazione
interessata).

L’identificazione del bene


= accertamento del bene specifico dedotto in contratto. Elementi di
identificazione sono quegli elementi che valgono a distinguere il
bene nella sua identità (nomi, confini, contrassegni…).
Gli elementi sono sufficienti quando essi consentono di accertare
nella sua identità il bene specifico al quale le parti hanno fatto
riferimento.
Se a contenuto del contratto è dedotto un bene specifico, la
determinazione del contenuto non può prescindere dalla
identificabilità del bene:
- determinazione: stabilisce quale prestazione spetta alla parte;
- identificazione: concorre a determinare la prestazione, il
contenuto del contratto, è uno degli elementi di tale
determinazione.

Il contratto per relationem


Le disposizioni contrattuali indirette sono quelle che rimettono la
determinazione del rapporto a fattori esterni all’accordo. Le
determinazioni indirette si caratterizzano come disposizioni per
relationem quando determinano il contenuto del rapporto in relazione

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ad altri atti, delle parti o di terzi, che non hanno di per sé una
funzione determinativa del contratto.
Gli elementi richiamati integrano il contenuto del contratto ma
rimangono strutturalmente distinti rispetto alle dichiarazioni delle
parti.

Determinazioni rimesse all'arbitrio del terzo


I contraenti possono stabilire che il loro rapporto contrattuale si è
determinato da un terzo (art. 1349).
La determinazione del terzo è, comunque, una determinazione parziale.
Le parti non possono, infatti, rimettersi interamente alla decisione
del terzo perché ciò creerebbe un ingiustificato assoggettamento del
contraente al potere altrui, in violazione del principio della parità
reciproca. Occorre, pertanto, che le parti abbiano direttamente
determinato la causa del contratto e la natura delle principali
prestazioni.
La determinazione del terzo è esclusa con riguardo all’oggetto della
donazione e al testamento.
Un’apposita previsione normativa è dedicata alla determinazione del
prezzo da parte del terzo nel contratto di vendita (art. 1473).

- Se non è stabilito diversamente, si presume per legge che le


parti intendono affidarsi all'equo arbitrio del terzo, cioè che
il terzo deve procedere secondo il criterio dell'equo
contemperamento di entrambi i contraenti.
- Se, invece, le parti si affidano al mero arbitrio del terzo,
questi può procedere alla determinazione del contratto secondo
la sua libertà di scelta.
La differenza tra equo arbitrio e mero arbitrio rileva in ordine alla
sindacabilità dell'atto del terzo:
- Nel caso di equo arbitrio: la determinazione del terzo può
essere impugnata se manifestamente iniqua o erronea;
- Nel caso dell'affidamento delle parti al mero arbitrio del
terzo: la sua decisione è insindacabile salvo che il terzo abbia
agito in mala fede, cioè abbia deciso intenzionalmente in favore
di una parte.

La determinazione del terzo come atto giuridico di arbitraggio


La determinazione del terzo è un tipico atto giuridico qualificabile
come atto di arbitraggio.
= atto mediante il quale un terzo, detto arbitratore, determina su
incarico delle parti uno degli elementi del loro rapporto
contrattuale.

La determinazione del terzo è stata intesa in dottrina ora come


negozio ora come semplice fatto.
a) Alla tesi della natura negoziale può obiettarsi che
l'arbitratore non esprime una volontà in ordine alla
costituzione, estinzione o modifica di un rapporto giuridico, ma
si limita a determinare un elemento di un contratto altrui.
Inoltre, la tesi negoziale giunge a ravvisare nell'arbitratore
una sorta di rappresentante e questa idea sembra trovare

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riscontro nel frequente riferimento giurisprudenziale


all'attività dell'arbitratore come attività sostitutiva di
quella delle parti. In realtà, pur essendo esatto che
l'arbitratore si sostituisce alle parti nella determinazione del
rapporto contrattuale, non può dirsi che esse assuma la veste di
un rappresentante. Infatti, la figura del rappresentante rileva
per il suo potere rappresentativo esterno cioè per il potere di
compiere un atto che impegna il rappresentato di fronte ai
terzi. L'arbitratore, invece, non si avvale di tale potere
poiché le sue determinazioni rilevano nell'ambito del rapporto
già instaurato dalle parti che gli hanno deferito l'arbitraggio.
Gli effetti giuridici dell'atto dell'arbitratore sul rapporto
contrattuale derivano esclusivamente dall'accordo delle parti in
quanto queste hanno preventivamente deciso di far propria la
determinazione del terzo.

b) La determinazione del terzo non può nemmeno qualificarsi come un


mero fatto: le parti infatti non si limitano a recepire la
determinazione del terzo alla stregua di un qualsiasi dato
obiettivo esterno ma affidano la determinazione del loro
rapporto ad un apposito atto del terzo. Questo atto ha per suo
specifico oggetto la determinazione di un elemento del
contratto.

c) L'atto di arbitraggio, in definitiva, si conferma come un


autonomo atto giuridico che si caratterizza come atto avente ad
oggetto la determinazione di un altrui contratto.

L'atto di arbitraggio è e rimane un atto del terzo, la determinazione


è operante in base richiamo delle parti. Gli effetti di tale
determinazione hanno la loro fonte immediata nell’atto del terzo ma
la loro fonte mediata è pur sempre il contratto.
Il contratto che deferisce al terzo la determinazione dell'oggetto
non è un contratto incompleto o in via di formazione. Il contratto è
perfetto perché sono presenti tutti gli elementi costitutivi di esso,
compreso l'oggetto, anche se questo deve ancora essere ulteriormente
determinato. L'atto di arbitraggio è una vicenda successiva
all'accordo già raggiunto dalle parti, che incide sul rapporto e non
sull’accordo.

Arbitrato irrituale e perizia contrattuale


L'arbitraggio deve essere tenuto distinto rispetto a:
- Arbitrato irrituale: negozio con cui due o più arbitri pongono
fine ad una controversia definendo in modo vincolante le pretese
dei contendenti. L'arbitro irrituale (a differenza
dell'arbitratore) esprime una sua volontà in forza del potere
rappresentativo che gli è stato conferito dalle in funzione di
composizione della lite.
- Perizia contrattuale: l'accertamento tecnico che le parti
deferiscono ad un terzo per determinare un elemento della
prestazione dedotta in contratto.

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Impossibilità o rifiuto del terzo di procedere alla determinazione


La previsione delle parti circa la determinazione del terzo non trova
applicazione nei casi in cui li terzo non può o non vuole procedere
alla determinazione. La volontà del terzo di non procedere alla
determinazione può risultare dalla mancata accettazione del mandato o
anche dal suo ingiustificato inadempimento.
Il terzo linea di massima può essere sostituito da un'altra persona
scelta dalle parti mediante accordo preventivo o successivo. In
mancanza, la determinazione può essere fatta dal giudice su richiesta
di una delle parti.
• La determinazione del giudice non è ammessa quando le parti si
erano rimesse al mero arbitrio del terzo. Se le parti si
affidano al mero arbitrio del terzo, ciò significa che esse si
sono affidate esclusivamente del suo giudizio e di conseguenza,
se il terzo non può o non vuole procedere alla determinazione e
le parti non si accordano per la sua sostituzione, il contratto
deve considerarsi nullo. La nullità deriva dalla impossibilità
di determinare un elemento del rapporto contrattuale.
• Quando le parti non si rimettono al mero arbitrio del terzo,
trova applicazione il principio di conservazione del contratto
in quanto l’equa determinazione del terzo può essere sostituita
dall’equa determinazione del giudice senza che venga alterata
l’economia del contratto.

La determinazione giudiziale
Se manca la determinazione del terzo equo arbitratore, la
determinazione è fatta dal giudice.
Per quanto attiene, invece, alla determinazione del prezzo, il
giudice provvede a nominare il terzo in sostituzione della persona
che le parti hanno designato o avrebbero dovuto designare (il
carattere tecnico della determinazione del prezzo è un atto di
valutazione che rende opportuna la nomina di un esperto).
La legge non disciplina il procedimento di determinazione giudiziale.
Può ritenersi analogicamente applicabile, in quanto compatibile, la
norma riguardante la determinazione del prezzo.
La determinazione giudiziale può essere richiesta da una delle parti
mediante ricorso al presidente del tribunale del luogo di esecuzione
della prestazione da determinare, da notificare alle altre parti. Il
presidente, dopo aver sentito gli interessati, provvede con decreto
non motivato. Contro tale provvedimento è ammesso reclamo al primo
presidente della corte d’appello.

Mancato accordo sulla designazione del terzo


La determinazione del terzo può mancare già per il fatto che le parti
non si accordo sulla sua designazione.
In questo caso, l'inammissibilità della determinazione giudiziale si
giustifica in base al rilievo che di regola il contratto deve
reputarsi non concluso in quanto le parti non hanno raggiunto
l'accordo su tutti i punti dedotti nella trattativa.
E' tuttavia possibile che le parti concludano il contratto pur senza
essersi accordate sulla designazione del terzo. La volontà delle
parti, precisamente, può essere interpretata nel senso che esse hanno

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inteso costituire il vincolo contrattuale rinviando la determinazione


di un elemento di esso a un successivo accordo. In tal caso
l'impossibilità di designazione del terzo è una vicenda successiva
alla formazione contratto e il principio di conservazione giustifica
pertanto il ricorso al giudice per consentire l'esenzione. Spetterà
allora al giudice fare la determinazione o nominare il terzo
arbitratore.

Invalidità della determinazione del terzo


La determinazione del terzo quale equo arbitratore è nulla quando:
a) È manifestamente iniqua o erronea: cioè sacrifica notevolmente e
ingiustificatamente l'interesse di una parte;
b) È viziata da errore, dato dalla falsa conoscenza o utilizzazione
degli elementi attraverso i quali il terzo è pervenuto alla
determinazione (es. errore di calcolo, deduzione contrastante
con le promesse alla stregua di riconosciute regole di tecnica e
esperienza);
c) Malafede, cioè la voluta parzialità della determinazione a
favore di uno dei contraenti;
d) Violenza, può essere considerata rilevante se ed in quanto sia
diretta ad alterare a danno di una delle parti l'esercizio del
potere di determinazione del contratto;
e) Violazione delle istruzioni impartitegli;
f) Incapacità di intendere, se ed in quanto abbia impedito una
valutazione obiettiva degli interessi contrattuali conformemente
alla funzione dell'atto.

L’invalidità dell’arbitraggio ne importa la radicale nullità. Le


parti possono tuttavia sempre accettare l’atto del terzo a
prescindere dalla sua invalidità (accettazione può anche essere
tacita quando danno esecuzione al contratto pur essendo a conoscenza
dell’invalidità della determinazione fatta dal terzo).
La determinazione nulla può essere sostituita dalla determinazione
del giudice come nei casi in cui il terzo non può non vuole eseguire
l'incarico salvo che si tratti di mero arbitrio.

La determinazione rimessa ad una delle parti


Il problema se la determinazione del rapporto contrattuale possa
essere rimessa a una delle parti trova in dottrina soluzioni
contrastanti:
La tradizionale soluzione negativa risponde all'esigenza di evitare
un'ingiustificata soggezione di una parte all'arbitrio dell'altra
nella determinazione del rapporto. Questa esigenza non esclude in via
assoluta la possibilità che un limitato potere di determinazione sia
affidato ad una delle parti se l'altra risulta fondamentalmente
salvaguardata contro il pericolo di abusi.
L’ammissibilità di una parziale determinazione del rapporto da parte
del titolare interessato trova esplicito riconoscimento in tema di
obbligazione alternativa (art. 1285). Questo riconoscimento può
ritenersi espressione di un più ampio principio: la determinazione
successiva del contratto può essere rimessa a uno dei contraenti nei
limiti in cui non si presti ad alterare la posizione dell’altro
contraente. → La giurisprudenza ha ammesso la possibilità di

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rimettere ad una parte il potere di precisare il contenuto della


prestazione (già fondamentalmente fissata) ovvero di apportare delle
modifiche giustificate in base a esigenze obiettive.

Le clausole d'uso o usi negoziali


= Sono pratiche generalizzate degli affari. Elemento costitutivo
degli usi negoziali è la loro applicazione costante e generalizzata
in un dato luogo o in un determinato settore di affare.
- Le clausole d'uso si intendono inserite nel contenuto del
contratto salvo che risulti che esse non sono state volute dalle
parti (art. 1340). Esse sono quindi considerate come clausole
contrattuali, e come tali prevalgono sulle norme dispositive di
legge.
- Gli usi negoziali trovano applicazione senza che occorra la
prova che le parti gli abbiano conosciuti e accettati.
→ Ci si può chiedere pertanto se gli usi negoziali rientrino
tra le determinazioni contrattuali oppure tra le fonti esterne
di disciplina del rapporto. Si pone cioè il problema se le
clausole d'uso abbiano natura negoziale o normativa.
Il problema dell'essere risolto nel senso della natura negoziale
delle clausole d'uso prescindendo peraltro dalla rilevanza della
volontà delle parti in ordine alla loro applicazione.
Ciò che conta è che il significato obiettivo della proposta e
dell'accettazione, che si determina secondo la pratica corrente
del luogo e del settore di affari.
Gli usi negoziali possono accomunarsi agli usi interpretativi: la
pratica corrente può svolgere una funzione interpretativa in
relazione a clausole ambigue o una funzione determinativa del
significato obiettivo dell’accordo.

Gli usi negoziali devono essere distinti rispetto a:


- Usi individuali: sono la prassi che si insatura nei rapporti tra
determinati contraenti la quale rileva ai fini
dell’interpretazione del contratto come comportamento
complessivo delle parti.
- Usi interpretativi:
Più complessa è la distinzione rispetta gli usi normativi: la
dottrina tentato di puntualizzare la differenza ipotizzando che
l'uso negoziale richiederebbe requisiti meno rigorosi rispetto a
quelli costitutivi dell'uso normativo. Ad es. si potrebbe
pensare che per gli usi negoziali non occorra il convincimento
dei consociati in ordine alla loro vincolatività giuridica, ma
negli usi normativi ciò che realmente rileva non è tale
convincimento in senso psicologico bensì il fatto obiettivo che
la generalità dei consociati osservi la consuetudine come norma
di diritto. In realtà se si ravvisa nell'uso negoziale una
pratica generalizzata degli affari riconosciuta come
giuridicamente rilevante non è più possibile riscontrare un
apprezzabile differenza di struttura rispetto agli usi normativi
in ordine ai requisiti costitutivi.

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La differenza degli usi negoziali rispetto a quelli normativi si


volge piuttosto sul piano dell'oggetto e dell'efficacia:
- Sul piano dell'oggetto: gli usi negoziali precisamente si
caratterizzano in quanto hanno ad oggetto il rapporto
contrattuale e concorrono quindi ad integrare il contenuto
del contratto.
- Sul piano dell'effiacia: gli usi negoziali valgono come
clausole contrattuali, in quanto, e si esprimono il
significato che l'accordo assume nella pratica corrente.
Gli usi normativi hanno efficacia normativa e secondo la
disciplina delle fonti del diritto obiettivo (art.8 disp.
att.) si applicano nelle materie regolate da leggi o
regolamenti quando sono richiamato da queste norme.

Come per gli usi normativi, la prova dell’esistenza degli usi


negoziali deve essere data da chi ne chiede l’applicazione. La prova
della loro esistenza risulta normalmente dalle raccolte pubblicate
dalle camere di commercio.
La natura negoziale delle clausole d’uso comporta:
- la loro in operatività in ordine a quelle determinazioni
per cui è imposto un onere formale.
- la loro interpretazione deve uniformarsi ai criteri che
valgono per l’interpretazione del contratto.

LE CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO


= Sono le clausole che un soggetto, il predisponente, utilizza per
regolare uniformemente i suoi rapporti contrattuali.
Si tratta, quindi, di condizioni destinate regolare una serie
indefinita di rapporti, contrapponendosi perciò alle clausole
specificamente elaborate per i singoli rapporti. Il predisponente è
di solito un imprenditore che utilizza le clausole generali per
disciplinare in modo uniforme i rapporti di erogazione di beni e
servizi alla clientela.

Natura giuridica:
Le teorie che si fronteggiano riguardo alla natura giuridica delle
condizioni generali di contratto sono due: la teoria normativa e la
teoria negoziale.
a) La Teoria Normativa sottolinea che solo in apparenza il
contratto per adesione è il risultato della volontà delle parti,
in realtà il predisponente esprime una volontà unilaterale che
di fatto gli permette di imporre il contenuto del contratto non
più ad un individuo determinato ma ad una collettività
indeterminata, la quale aderisce ad un regolamento che non può
negoziare e di cui spesso ignora anche il contenuto. A conferma
di tale tesi sembrerebbe deporre la norma del codice art. 1341
secondo cui "le condizioni generali di contratto sono efficaci
nei confronti dell'aderente che le conosceva o che avrebbe
dovuto conoscerle". La ratio di fondo della teoria normativa è

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in definitiva da rinvenire nella situazione di superiorità, sul


piano del mercato economico, del predisponente nei confronti
dell’altra parte.

b) In senso contrario (Teoria negoziale) è stato osservato che la


base del rapporto è pur sempre un accordo delle parti. Le
condizioni generali di contratto sono efficaci in quanto hanno
titolo nel contratto e cioè in quanto siano accettate
dall'aderente. La posizione economicamente forte di una parte
che riesce ad imporre la sua volontà in ordine contenuto del
contratto, è una circostanza di fatto che non snatura il
contratto e non lo invalida salvo che, ovviamente, l'imposizione
venga esercitata con dolo o violenza viziando la volontà
dell'aderente. La regola legale per le condizioni generali non
esclude la necessità dell'accettazione dell'aderente ma
riconosce come sufficiente la generica accettazione di quanto
predisposto dall'altra parte. Le clausole, in definitiva, sono
efficaci non perché così vuole la legge ma perché l'aderente ha
accettato il regolamento dell'altra parte.

L'interpretazione delle condizioni generali


Le condizioni generali devono essere interpretate secondo i criteri
di interpretazione valevoli per il contratto (art. 1362), in quanto
si tratta di disposizioni che hanno titolo nel contratto.
La predisposizione unilaterale di tali contratti da parte del
predisponente non altera il fondamentale principio ermeneutico
secondo il quale la comune intenzione dei contraenti deve essere
ricercata nel significato in cui la proposta poteva essere
ragionevolmente intesa dall'accettante.
Una particolare regola interpretativa valevole per le condizioni
generali è quella che in caso di dubbio impone di adottare
l'interpretazione più favorevole all'aderente.

La predisposizione delle condizioni generali


Le condizioni generali si caratterizzano anche in quanto predisposte
unilateralmente da una parte. Esse sono predisposte da una parte
quando questa abbia comunque utilizzate come regolamento dei propri
rapporti.
- Nella pratica è usuale che l’imprenditore si avvalga del testo di
condizioni elaborate da altri del settore o organizzazioni di categoria:
anche in tal caso deve parlarsi di predisposizione unilaterale, perché
l’imprenditore fa proprie queste condizioni nel disciplinare i rapporti
della sua impresa.
- Deve escludersi che sussista la predisposizione unilaterale quando
il regolamento è concordato dalle parti ovvero dalle contrapposte
organizzazioni di categoria.

Le condizioni generali si distinguono da:


- contratti collettivi: disciplina dei rapporti individuali
di lavoro subordinato concordata dai contrapposti sindacati;
- accordi economici collettivi: disciplina dei rapporti
individuali concordata da associazioni professionali.
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Questi si sottraggono alla disciplina delle condizioni generali


di contratto in quanto si tratta di regolamenti riconosciuti
portatori degli opposti interessi di categoria.
- Contratto normativo individuale: contratto mediante il quale le
parti disciplinano i loro futuri rapporti contrattuali. In
questa ipotesi l’efficacia del regolamento deriva da un
precedente contratto tra le parti.
Condizioni generali e contratto-tipo
Le condizioni generali di contratto devono essere tenute distinte
rispetto al contratto-tipo = modello o formulario di contratto (art.
1342).
→ Le condizioni generali sono le clausole che il predisponente
utilizza per regolare in modo uniforme i suoi rapporti contrattuali.
Il contratto-tipo è, invece, uno strumento utilizzabile per una serie
indefinita di rapporti mediante il riempimento di punti bianco e la
sottoscrizione.

Normalmente, il contratto-tipo contiene una parte regolamentare che


integra vere e proprie condizioni generali. Si tratta infatti, di
clausole predisposte unilateralmente o comunque da organizzazioni
professionali per la regolarizzazione una serie indefinita di
rapporti. Il contratto-tipo è anzi lo strumento materiale più comune
attraverso il quale il predisponente provvede alla disciplina
uniforme dei propri rapporti contrattuali.
Alle condizioni generali incluse dei contratti- tipo si applica la
norma che esige l'approvazione specifica delle clausole vessatorie.
Tale norma trova applicazione anche se il contratto-tipo è utilizzato
occasionalmente dalle parti. Tuttavia, in questo caso il contratto-
tipo rimane un semplice schema astratto di contratto in quanto non vi
è un predisponente che lo destina alla disciplina uniforme dei suoi
rapporti contrattuali (es. ai modelli dei contratti di locazione).
La conclusione del contratto mediante un testo a stampa non negoziato
espone comunque le parti al pericolo dell'accettazione inconsapevole
di clausole particolarmente gravosa che giustifica, quindi, il
requisito formale della specifica approvazione per iscritto.
Le clausole aggiunte al modulo o formulario sottoscritto
dall'aderente possono integrare, chiarire o modificare il testo dello
stampato originario. Al riguardo il testo può dirsi modificato quando
la clausola aggiunta contrasta con esso: in tal caso la clausola
aggiunta prevale sulla clausola incompatibile del modulo o formulario
anche se non si sia proceduto alla sua materiale cancellazione.

Condizioni generali e clausole d'uso


Il ricorso costante e generalizzato a determinate condizioni generali
prospetta la possibilità che tali condizioni si configurino come
clausole d'uso o usi negoziali. In tal caso le clausole si intendono
inserite nel contenuto del contratto, salvo che risultino non volute
dalle parti (art. 1340), a prescindere dalla circostanza che
l'aderente le abbia conosciute o avrebbe dovuto conoscerle.
L'accostamento delle condizioni generali alle clausole d'uso si
risolverebbe, dunque, a favore delle imprese dominanti del settore
traducendosi nella diretta inclusione di tali clausole nel contenuto
dei contratti. Tuttavia, affinché si possa parlare di usi negoziali è

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necessario che sussista una pratica sicuramente generalizzata, nel


senso dell’applicazione delle clausole a prescindere dal loro
richiamo nella stipulazione dei singoli contratti.
In definitiva, le condizioni generali possono diventare clausole
d'uso e come tali entrano nel contratto senza che occorra una
specifica approvazione; se però hanno il carattere della vessatorietà
occorre il requisito formale della specifica approvazione per
iscritto.

Clausole vessatorie
= Sono condizioni generali che aggravano la posizione dell'aderente
rispetto alla disciplina legale del contratto.
La legge prevede una serie di clausole vessatorie e ne condiziona
l'efficacia alla specifica approvazione scritta dell'aderente (art.
1341). Precisamente, non hanno effetto per l'aderente senza la sua
specifica approvazione per iscritto le condizioni che stabiliscono:
a) A favore del predisponente:
- limitazioni di responsabilità
- facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne
l'esenzione.
b) A carico dell'aderente:
- decadenze
- limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni
- restrizioni della libertà contrattuale nei rapporti con i
terzi
- proroghe tacite o rinnovazioni del contratto
- clausole compromissorie e deroghe alla competenza
dell'autorità giudiziaria

In quanto le condizioni generali sono utilizzate dal predisponente


nel proprio interesse, l'aderente è particolarmente esposto al
pericolo di trovarsi assoggettato ad un regolamento che, in deroga
alla disciplina legislativa, aggravi ingiustificatamente la sua
posizione contrattuale. Pertanto il requisito formale della specifica
approvazione per iscritto che la legge richiede per l'efficacia delle
clausole vessatorie si pone in funzione della tutela dell'aderente
(per prevenire la sorpresa di clausole gravose accertate
inavvertitamente o senza sufficiente attenzione).
- La soluzione normativa che richiede l'onere formale della
specifica approvazione per iscritto comporta l'inefficacia della
clausola vessatoria non sottoscritta a prescindere dalla
circostanza che l'aderente la conoscesse o meno o si trovasse in
posizione economica inferiore o meno rispetto al predisponente.
- Irrilevante è che la clausola sia bilaterale. Ciò che conta è
che il predisponente abbia inserito nel testo la clausola
vessatoria utilizzabile a proprio vantaggio.

- È opinione generalmente seguita che la revisione dell'onere


formale della specifica sottoscrizione riguarda esclusivamente
le clausole indicate dalla legge e che non possa estendersi

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analogicamente ad altre clausole egualmente gravosa (tassatività


delle ipotesi normativamente previste). La norma non sarebbe,
quindi, suscettibile di estensione analogica ma solo di
interpretazione estensiva. L'inapplicabilità dell'analogia è
giustificata dalla eccezionalità della norma.
Tuttavia, nella pratica anche attraverso l'interpretazione
estensiva la giurisprudenza aggiunge peraltro a includere fra le
clausole vessatorie talune clausole particolarmente gravose per
l'aderente non esplicitamente indicate nel senso della norma.

a) Clausole che limitano la responsabilità del predisponente:


= clausole che esonerano in tutto o in parte il predisponente
dalle conseguenze dell’inadempimento (es. clausole che
precludono all’aderente il diritto di chiedere la risoluzione
del contratto, che escludono in tutto o in parte il diritto al
risarcimento del danno). Il requisito della specifica
approvazione per iscritto rileva solo per le clausole di esonero
da responsabilità per il predisponente per colpa lieve che non
siano contrarie all’ordine pubblico. Le clausole di esonero per
dolo o colpa grave sono vietate a prescindere dalla loro
specifica approvazione (art. 1229).

b) Facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione:


= il predisponente si attribuisce una facoltà di recesso o di
sospensione che per legge non gli compete.
Si ritiene che non sia vessatoria la clausola risolutiva espressa in
quanto il predisponente avrebbe comunque diritto di ottenere la
risoluzione per inadempimento dell’aderente. La vessatorietà è però
riscontrabile anche per le clausole risolutive che consentono al
predisponente di recedere in presenza di fatti diversi
dall’inadempimento.
La vessatorietà non deve ritenersi esclusa dal fatto che uguale facoltà
di recesso sia stabilita a favore dell’aderente.
Controversa è la vessatorietà della clausola “salvo approvazione della
Casa”: sarebbe riscontrabile se la clausola potesse intendersi come un
potere di recesso dell’imprenditore; se venga intesa come patto
d’opzione potrebbe ritenersi vessatoria in quanto limitativa della
libertà contrattuale con i terzi.
c) Decadenze:
= sono le clausole che impongono particolari oneri per
l’acquisto o la conservazione di un diritto ovvero che aggravano
gli oneri imposti dalla legge (es. clausole che stabiliscono, a
pena della perdita del diritto di garanzia, l’onere di
denunziare i vizi della cosa mediante una determinata forma,
clausole che restringono il termine legale entro il quale la
denunzia dev’essere fatta).
Sono comunque nulli i termini di decadenza che rendono
eccessivamente difficile ad una delle parti l’esercizio del
diritto (art. 2965).

d) Limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni:


= clausole che limitano sul piano processuale la posizione
dell’aderente (es. clausola che preclude di avvalersi

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dell’eccezione di inadempimento al fine di sospendere


l’esecuzione della prestazione).
A prescindere dal requisito della specifica approvazione per
iscritto, la legge sancisce la nullità delle clausole limitative
delle eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione del
contratto (art. 1462).
La previsione delle clausole limitative della facoltà di opporre
eccezioni come clausole vessatorie non riguarda i patti che
limitano le eccezioni sostanziali dell’aderente (tali clausole
non limitano la facoltà di opporre eccezioni ma il diritto
sostanziale della parte).
La vessatorietà di esse deve essere giudicata secondo il loro
contenuto e non secondo la loro formula (es. clausola che
preclude all’acquirente la facoltà di eccepire la deficienza di
peso non è vessatoria solo perché espressa in termini di
limitazione della facoltà di opporre eccezioni).

e) Restrizione alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi:


= clausole che limitano l’autonomia dell’aderente in ordine alla
stipulazione di negozi, alla determinazione del loro contenuto
ovvero alla scelta dei contraenti o destinatari dell’atto (es.
divieti di alienazione, prezzi imposti, patti di non
concorrenza, patti di prelazione, patti che riservano al
predisponente la facoltà di prorogare o rinnovare il contratto).
Una restrizione della libertà contrattuale è contenuta
nell’obbligo di tenere ferma la proposta nei confronti
dell’oblato.

f) Proroghe o rinnovazioni tacite del contratto:


= clausole che sanciscono l’automatica proroga o rinnovazione
del contratto in mancanza di un’apposita denunzia. Vessatorie
sono ugualmente le clausole che ampliano la previsione
legislativa della proroga o rinnovazione tacita, imponendo ad
es. un più lungo termine di preavviso o una determinata forma
all’atto di denunzia o disdetta.
Esse sono vessatorie anche se stabilite nei confronti delle due
parti.
Ugualmente vessatoria deve considerarsi la clausola che riserva
al predisponente la facoltà di prorogare o rinnovare il
contratto. Tale clausola rientra tra quelle che restringono la
libertà contrattuale dell’aderente (es. libertà di utilizzare la
propria prestazione a favore di altri al termine del rapporto
contrattuale).

e) Clausole compromissorie e deroghe alla competenza dell’autorità


giudiziaria:
= clausole che compromettono ad arbitri la risoluzione delle
eventuali controversie tra aderente e predisponente o terzi.
Esse devono essere stipulate in forma scritta a pena di nullità.
Se tali clausole rientrano tra le condizioni generali di
contratto occorre anche la specifica approvazione dell’aderente.
Vessatorie sono anche: clausole che affidano la risoluzione
delle controversie ad un arbitrato libero o irrituale, clausole

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che derogano alle norme sulla giurisdizione o sulla competenza


territoriale dell’autorità giudiziaria fissando un foro diverso
da quello competente per legge (o limitando la scelta tra i fori
previsti alternativamente dalle norme processuali). m

La specifica approvazione come essenziale requisito di forma a


tutela dell'aderente
La ragione della norma che richiede la specifica approvazione scritta
delle clausole vessatorie deve ricercarsi nell'esigenza di tutelare
l'aderente contro le condizioni generali gravose, cioè le condizioni
che aggravano la sua posizione rispetto a quella risultante
dall'applicazione della disciplina legale del contratto.
L'esigenza di una particolare tutela dell'aderente è stata ravvisata
nel pericolo della sorpresa, cioè nel pericolo che chi accetta in
blocco le clausole predisposte unilateralmente da altri non si renda
sufficientemente conto della portata e del significato di ciascuna
clausola. Per cui, la specifica approvazione per iscritto
consentirebbe di rendere attento l'aderente sulle clausole più
gravose.
Trattandosi di un requisito di forma, la specifica approvazione per
iscritto è comunque necessaria a prescindere dalla circostanza che
l'aderente abbia o non abbia avuto sufficiente consapevolezza delle
clausole vessatorie. Pertanto, in mancanza della specifica
approvazione per iscritto la clausola vessatoria è priva di effetto
anche se l'aderente ne abbia preso effettiva conoscenza al momento
della conclusione del contratto.
Occorre comunque precisare che il requisito della specifica
approvazione per iscritto non esime il predisponente dall'onere di
rendere le condizioni generali normalmente conoscibili anche nel
senso di facilmente intellegibili. Nel caso in cui non venga
rispettato il requisito della normale conoscibilità la clausola
vessatoria deve ritenersi priva di effetto, anche se formalmente
accettata dall'aderente. E' invece efficace la clausola ambigua, ma
in tal caso prevale il significato più favorevole all'aderente.

Ipotesi nelle quali non è richiesta la specifica approvazione


La specifica approvazione per iscritto non è necessaria quando:
- la clausola vessatoria sia stata negoziata dalle parti: esclude
la predisposizione unilaterale, ossia un presupposto
caratterizzante le condizioni generali.
- il testo è stato concordato dalle contrapposte associazioni di
categoria: manca il presupposto della predisposizione
unilaterale del testo in quanto l'intervento di organizzazioni
di categoria sufficientemente rappresentative comporta che il
testo sia negoziato nell'interesse di entrambe le parti.
- la stipulazione avviene per atto pubblico: anche in tal caso
manca il presupposto della predisposizione unilaterale delle
clausole. Pur se il testo sia stato preparato da una delle
parti, il contratto si conclude in quanto il pubblico ufficiale
accerta che esso è l'espressione della comune volontà di
entrambe le parti.

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- il testo del contratto, pur essendo predisposto unilateralmente


da una parte, non è destinato a regolare una serie indefinita di
rapporti: perché le clausole vessatorie sono condizioni
generali.

I contratti stipulati con gli enti pubblici. Le clausole approvate


da pubbliche autorità.
La giurisprudenza aveva tradizionalmente escluso la necessità della
specifica approvazione per iscritto delle condizioni generali
vessatorie predisposte dalla p.a. in forma di capitolati – non si
tratterebbe di clausole contrattuali bensì di regolamenti pubblici,
quali fonti del diritto, sottratti perciò alla disciplina del
contratto.
Alla fine è prevalso anche in giurisprudenza il convincimento che non
vi sono ragioni sufficienti per sottrarre la p.a., che si avvalga
delle condizioni generali di contratto, all’applicazione della regola
sulla specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie
indicate dal codice (art. 1341).
La giurisprudenza ancora tende a negare la necessità della specifica
approvazione per iscritto quando le clausole siano state oggetto di
un controllo di pubbliche autorità in quanto inserite in un testo
approvato da tali autorità.
Modalità della specifica approvazione per iscritto
La norma che richiede la specifica approvazione per iscritto delle
clausole vessatorie deroga:
- alla regola valevole in linea di massima per le condizioni
generali di contratto le quali sono efficaci nei confronti
dell'aderente che le conosceva o avrebbe dovuto conoscerle
usando l'ordinaria diligenza;
- alla regola generale sulla formazione del contratto: non solo in
quanto esige la scritta ma in quanto esige che le clausole
vessatorie siano oggetto di una specifica approvazione. Non
basta, quindi, che l'aderente sottoscriva il testo del contratto
contenente le clausole vessatorie ma è necessaria un'apposita
sottoscrizione avente ad oggetto tali clausole.
L'interpretazione giurisprudenziale puntualizza al riguardo che
non occorre sottoscrivere ciascuna clausola essendo sufficiente
sottoscrivere un'apposita dichiarazione che raggruppi le
clausole vessatorie. Non è sufficiente la sottoscrizione globale
quando le clausole vessatorie siano presentate in modo tale da
non essere chiaramente identificabili. Trattandosi di più
clausole vessatorie non è sufficiente il semplice richiamo al
numero di ordine, ma occorre che sia richiamato il loro
contenuto mediante indicazione del titolo e oggetto.
La mancanza della specifica approvazione non è supplita dal
fatto che l’aderente produca in giudizio il documento
contrattuale.

Inefficacia delle clausole vessatorie non specificamente approvate


per iscritto:

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a) La prevalente interpretazione dottrinale e giurisprudenziale


ritiene che la mancanza della specifica approvazione importi la
nullità assoluta delle clausole vessatorie.
b) Tuttavia, in aderenza al testo della legge sembra più corretto
parlare di inefficacia della clausola vessatoria come estranea
al contenuto del contratto. In mancanza della specifica
approvazione per iscritto la clausola vessatoria non effetto
(non rientra tra le condizioni generali che sono efficaci nei
confronti dell’aderente).
c) Secondo un’altra tesi la mancanza della specifica approvazione
avrebbe come conseguenza la semplice inopponibilità della
clausola all’aderente: la clausola sarebbe inefficace nei
confronti del solo aderente, e solo questo sarebbe ammesso ad
eccepirne l’inefficacia.
Occorre specificare però che l'inefficacia della clausola
vessatoria non preclude all'aderente di chiederne giudizialmente
l'applicazione qualora la reputi conveniente.
L'inefficacia delle clausole vessatorie prive di specifica
approvazione scritta non si estende all'intero contratto. La
nullità parziale rende nullo l’intero contratto quando risulta
che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte
del suo contenuto che è colpita da nullità. Se pertanto si
riconosce che le clausole non sono entrate nel contenuto
dell’accordo (in quanto non accettate), queste principio appare
inapplicabile poiché concerne una parte del contenuto del
contratto e non una clausola che un contraente credeva esservi
inclusa. Si prospetta piuttosto la possibile rilevanza
dell’errore.

CAPITOLO VI - LA TUTELA DEL CONTRAENTE DEBOLE


I CONTRATTI DEL CONSUMATORE
La disciplina della tutela dei consumatori nel corso degli anni si è
sempre più evoluta: la direttiva CE n.5/1993 ha imposto agli Stati
membri di adottare una tutela contrattuale minima del consumatore nei
confronti del professionista. In esecuzione di questa direttiva, la
legge n. 52/1996 ha dettato una nuova disciplina dei contratti del
consumatore, immettendola nella normativa codicistica dei contratti

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in generale (Capo XIV bis). Tale disciplina è poi stata trasfusa


negli artt. 33 e ss. del d. lgs. 206/2005, intitolato “Codice del
consumo”.
La ratio della normativa in esame va ravvisata nell'esigenza di
garantire un giusto equilibrio tra le posizioni contrattuali a fronte
dei possibili abusi provenienti dalla parte contrattualmente più
forte (il professionista).
Punti salienti di questa disciplina sono:
- l'ambito oggettivo (esteso a tutte le clausole contrattuali
anche se non integranti le condizioni generali di contratto);
- l'ambito oggettivo (delimitato ai contratti stipulati tra
professionisti e consumatori);
- il divieto di inserimento di clausole vessatorie nei singoli
contratti e conseguente nullità delle stesse;
- la tutela inibitoria contro la predisposizione di condizioni
generali di contratto vessatorie.

In questo modo la nuova normativa ha previsto una duplice tutela


sostanziale dei consumatori:
- una tutela individuale, che può essere fatta valere mediante
l'accertamento giudiziale della vessatorietà delle clausole
inserite nei singoli contratti;
- una tutela collettiva, volta ad impedire in via preventiva
l'inserimento di condizioni generali di contratto nei singoli
contratti.

L'ambito oggettivo
La nuova normativa prescinde dal tipo contrattuale: essa colpisce
tutte le clausole contrattuali che presentano il carattere della
vessatorietà, siano o no predisposte dal professionista in forma di
condizioni generali di contratto.
Essa è tuttavia destinata a operare normalmente nel campo delle
condizioni generali di contratto, in quanto l’erogazione
imprenditoriale di beni e servizi si esplica necessariamente mediante
contratti a contenuto standard, e in quanto è proprio il potere di
predisposizione unilaterale del regolamento contrattuale che dà luogo
al fenomeno delle clausole vessatorie.

L'ambito soggettivo
A differenza della norma di cui all'art. 1341, che fa esclusivo
riferimento alla posizione delle parti nella formazione del contratto
(il predisponente e l'aderente), la nuova normativa ha riguardo alle
figure del professionista e del consumatore.
- Professionista: è il produttore o distributore di beni o servizi
che pone In essere il contratto nell'esercizio della sua
attività imprenditoriale o professionale (art. 3 lett. c).
- Consumatore: persona fisica che agisce per scopi estranei
all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente
svolta (art. 31 lett. a).
Al riguardo si sono delineate due ipotesi interpretative:

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a) consumatore è colui che contrae per scopi privati o


domestici.
L'imprenditore che, ad es., acquista un televisore per usi
familiari sarebbe tutelato come consumatore mentre sarebbe privo
di tale tutela se acquistasse il televisore per il suo ufficio.
Questa interpretazione imporrebbe di accertare di volta in volta
le intenzioni del contraente e lascerebbe insoluto il problema
degli scopi misti, se cioè considerare professionista o
consumatore l'imprenditore che, ad es., acquisti un'autovettura
per scopi personali e per scopi professionali.
b) Consumatore è chiunque contragga per acquisire beni o
servizi al di fuori dell'esplicazione della sua specifica
attività professionale.
Il produttore di elettrodomestici, allora, non è consumatore se
acquista materie prime per la sua industria; è invece consumatore
se contratta con la banca per ottenere un finanziamento.
Si ritiene che la posizione debole del contraente è la medesima,
sia esso persona fisica o persona giuridica.
c) Altra impostazione ha prospettato l’ampliamento in sede
interpretativa del quadro dei soggetti a prescindere dalla
loro qualifica imprenditoriale, rilevando la contrarietà a
buonafede di una limitazione che penalizza i professionisti
pur se contrattanti nelle stesse posizioni di debolezza dei
consumatori.

Le clausole vessatorie
La normativa sui contratti del consumatore definisce in generale come
vessatorie le clausole che "malgrado la buona fede, determinano a
carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e
degli obblighi derivanti da contratto" (art. 33 comma 1).
- Locuzione "malgrado la buona fede": il testo italiano assume la
buona fede in senso soggettivo cioè credenza, consapevolezza di
non ledere d'altrui diritto. Altri testi, invece, definiscono
come abusive le clausole che in contrasto con la buona fede
squilibrano la posizione del consumatore: la buona fede è quindi
assunta in senso obiettivo, come precetto di condotta.
- Il significativo squilibrio che connota la vessatorietà non
attiene alle determinazioni dell'oggetto e del corrispettivo le
quali in qualche modo dipendono e sono condizionate dal gioco
del libero mercato della concorrenza (fermo restando l'onore del
professionista di formularle in modo chiaro e comprensibile). In
realtà, ciò da cui il consumatore deve essere protetto è
piuttosto l'abuso del potere regolamentare del contratto.
In questo senso, non sono vessatorie:
a) le clausole che sono state "oggetto di trattativa
individuale" (art. 34) e cioè quando sono il risultato di
una negoziazione tra le parti.
b) le clausole che riproducono norme di legge o di trattati
vincolanti l’UE o che attuano principi di tali trattati.
Il carattere vessatorio delle clausole deve essere accertato in
concreto tenendo conto della natura della prestazione e delle
circostanze del contratto, e soprattutto valutando nel suo complesso

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il contenuto del contratto e degli altri contratti che vi sono


collegati o da cui dipende. Per cui, valutata nel complesso
dell'operazione contrattuale, una clausola gravosa per il consumatore
può perdere la sua vessatorietà se risulta "compensata" da un
particolare vantaggio offertogli.

La " lista grigia"


L'accertamento della gravosità delle singole clausole è agevolato
dalla legge che prevede un elenco di clausole presuntivamente
vessatorie (c.d. lista grigia, art 33). Le clausole rientranti in
questo elenco si presumono vessatorie fino a prova contraria. L'onere
di tale prova incombe sul professionista, ma la non vessatorietà
della clausola nel caso concreto può anche essere rilevata
direttamente dal giudice. L'elenco non è tassativo.

Clausole presuntivamente vessatorie sono quelle che:


a) escludono o limitano la responsabilità del professionista in caso di morte
o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da una
omissione del professionista;
b) escludono o limitano le azioni o i diritti del consumatore nei confronti
del professionista o di un'altra parte in caso di inadempimento totale o
parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista;
c) escludono o limitano l'opponibilità da parte del consumatore della
compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito
vantato nei confronti di quest'ultimo;
d) impongono al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo
nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di
risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo
eccessivo;
e) riconoscono al solo professionista la facoltà di recedere dal contratto;
f) consentono al professionista di modificare unilateralmente le clausole del
contratto senza un giustificato motivo; ….

Fondamentalmente si potrebbe dire che le ipotesi considerate in


questa c.d. lista grigia sono divisibili in due gruppi: clausole che
comportano una sproporzione tra diritti e obblighi del contraente e
quelle che alterano l'iter di esecuzione del contratto.

La nullità delle clausole vessatorie


Le clausole vessatorie sono nulle, ferma la validità del contratto
per la parte restante (art. 36):
- la nullità è sancita in favore esclusivo del consumatore e può
essere rilevata d’ufficio dal giudice: si tratta dunque di
nullità relativa sancita a tutela del contraente nei confronti
dell’altro.
- Deve escludersi la validità di una preventiva rinunzia del
consumatore a far valere la nullità delle clausole vessatorie,
nonché la validità di un’accettazione delle stesse.
- Eccezione di vessatorietà è imprescrittibile.

Il principio di trasparenza
Le clausole contrattuali devono essere formulate dal professionista
"in modo chiaro e comprensibile" (art. 35).

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- Il testo della nuova norma conferma che l'onere del


professionista non si limita a fare conoscere al consumatore il
testo delle clausole ma richiede ulteriormente l’utilizzazione
di clausole intelligibili.
- L'inosservanza dell'onere di esprimersi con chiarezza può dare
luogo a clausole incomprensibili o a clausole di significato
dubbio.
→ Le clausole ambigue vanno interpretate nel significato più
favorevole al consumatore, in conformità alla regola dettata in
tema di interpretazione delle clausole inserite nelle condizioni
generali di contratto, moduli o formulari.
→ Le clausole insuscettibili di essere comprese da un soggetto
di media capacità e intelligenza devono invece ritenersi non
incluse nel contenuto del contratto, ferma restando la
possibilità di una loro accettazione da parte del consumatore.
- Un peculiare effetto del difetto di trasparenza è quello di
attrarre nella valutazione della vessatorietà le clausole che
determinano l’oggetto o il corrispettivo. Lo squilibrio a carico
del consumatore dovrà allora essere corretto dichiarando
l’invalidità della clausola oscura e, se del caso, riportando ad
equità il rapporto (es. sostituendo un prezzo equo al prezzo
difficilmente percettibile nel suo ammontare).

Azione inibitoria
Un’importante novità introdotta dalla disciplina dei contratti del
consumatore è rappresentata dall'azione inibitoria intesa a rimuovere
le clausole abusive dai testi delle condizioni generali di contratto
(art. 37).
- rimedio collettivo: non tutela il consumatore quale parte di un
determinato contratto ma tutela i destinatari delle condizioni
generali di contratto, cioè la generalità dei soggetti i cui
rapporti contrattuali sono destinati ad essere regolati dalle
condizioni generali predisposte dal professionista.
- L'azione è diretta a fare inibire dal giudice l'uso delle
condizioni generali di contratto di cui sia accertata la
vessatorietà. La vessatorietà dev'essere sempre valutata nel
contesto globale del regolamento contrattuale, mentre non è dato
tener conto delle circostanze del contratto.
Come per le clausole individuali, la vessatorietà è comunque
esclusa per le condizioni generali di contratto che riproducono
norme di legge o che sono state oggetto di trattativa, cioè
negoziate con le contrapposte associazioni di consumatori.

- Conformente al suo carattere collettivo l'azione inibitoria è


esercitabile non dal singolo consumatore ma dalle associazioni
rappresentative dei consumatori e dei professionisti nonché
dalle camere di commercio.
La legittimazione attiva delle associazioni dei professionisti si
giustifica in quanto le condizioni generali abusive ledono i consumatori
ed altresì i professionisti del settore, svantaggiati dalla presenza sul
mercato di un concorrente che si avvale di un regolamento contrattuale
abusivamente più favorevole.

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La legittimazione passiva spetta al professionista o alle


associazioni di professionisti che utilizzano le contestate
condizioni generali di contratto. L'utilizzazione va intesa come
impiego attuale delle clausole ma anche come loro
predisposizione. Non occorre quindi che il professionista abbia
già iniziato ad avvalersi delle condizioni generali che appaiono
vessatorie, essendo sufficiente che abbia elaborato e reso noto
il testo di tali condizioni.

- L'inibitoria può essere concessa anche in via cautelare quando


ricorrono giusti motivi di urgenza (ravvisati ora
nell'importanza dell'interesse minacciato, nell’irreparabilità
del danno, nell'ampiezza di diffusione delle clausole).
Queste interpretazioni appaiono tuttavia riduttive, posto che le
clausole vessatorie sono di per sé suscettibili di provocare un
rilevante danno sociale e reclamano un tempestivo rimedio
cautelare.
Se non si voglia aderire alla tesi che nega qualsiasi rilevanza
alla menzione del requisito dei giusti motivi d'urgenza, appare
piuttosto appropriata la tesi che ne ravvisa senz'altro la
sussistenza a fronte della utilizzazione in atto delle
condizioni vessatorie mentre riserva la necessità
dell'accertamento di tali motivi in presenza della mera
predisposizione.

La tutela del consumatore quale principio generale del contratto


La disciplina dei contratti del consumatore ha ormai mutato il
vecchio quadro normativo fondato sul principio della intangibilità
dell'atto di autonomia privata: tale disciplina introduce il
principio del controllo sostanziale del contratto quale regola che
tutela il contraente in ragione della sua soggezione al potere di
regolamentazione del contratto detenuto dai produttori e distributori
di beni e servizi.
Il controllo sostanziale del contratto è cioè in funzione della
tutela di un contraente istituzionalmente debole e il nuovo principio
del diritto dei contratti sancisce il dovere della parte forte di non
abusare del suo potere contrattuale per squilibrare a suo favore il
regolamento del contratto.
Anche se attualmente limitata a favore dei consumatori, l'innovazione
è radicale perché essa investe tutti i contratti attraverso i quali
sono erogati al pubblico beni e servizi. I vari interventi settoriali
di leggi speciali in favore del consumatore vanno ormai inquadrati
nell'ambito del principio introdotto da tale innovazione come
specificazioni del nuovo principio qualificate da particolari ragioni
di tutela di parti deboli.
Il Codice del consumo (2005) riconosce e garantisce i diritti dei
consumatori, specificandoli come diritti fondamentali. Gli interessi
protetti attengono a: salute, sicurezza e qualità dei prodotti e
servizi, adeguata informazione e corretta pubblicità, educazione al
consumo, correttezza, trasparenza ed equità nei rapporti
contrattuali.

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Il mutamento del sistema normativo verso la tutela del consumatore è


avvenuto, e continua ad avvenire, sotto l'impulso delle Direttive
comunitarie.

LA SUBFORNITURA
L’orientamento che ha identificato la parte debole nella figura
esclusiva del consumatore ha segnato una svolta di rilievo con la
disciplina di tutela del subfornnitore, ossia di un tipico
imprenditore debole (l. 192/1998).
→ Con il contratto di subfornitura, un imprenditore si impegna a
compiere per conto di un’impresa committente lavorazioni su prodotti
semilavorati o su materie prime forniti dallo stesso committente,
ovvero si impegna a fornire all’impresa prodotti o servizi destinati
ad essere utilizzati nell’ambito dell’attività economica del
committente o nella produzione di un bene complesso, in conformità a
progetti esecutivi, conoscenze tecniche e tecnologiche, modelli o
prototipi forniti dal committente.
La definizione comprende due distinte ipotesi: la lavorazione dei
prodotti, la fornitura di beni o servizi. Entrambe sono
caratterizzate dalla subordinazione imprenditoriale del subfornitore
al committente, che consiste nel fatto che l'attività del
subfornitore si conforma alle specifiche esigenze del committente. Da
qui nasce l'esigenza di tutela del subfornitore.

La disciplina:
La legge detta particolari prescrizioni su:
a) Forma del contratto: deve avere la forma scritta a pena di
nullità.
b) Determinatezza del contenuto: in esso dev’essere specificato il
prezzo pattuito. Esso dev’essere determinato o determinabile con
chiarezza e precisione, in modo che risulti chiara la
corrispondenza tra prezzo e prestazioni dovute.
c) Termini di pagamento del subfornitore: la legge fissa i termini
massimi di pagamento del prezzo (60 giorni dalla consegna o
dalla comunicazione dell’avvenuta esecuzione della prestazione),
salvo il risarcimento del maggior danno e una penale del 5%
delle somme il cui pagamento ritardi di più di 30 giorni.
d) Nullità di alcune clausole vessatorie: sono nulle le clausole
che attribuiscono al committente il potere di modificare
unilateralmente clausole del contratto; che attribuiscono al
committente o subfornitore il potere di recesso senza congruo
preavviso; che attribuiscono al committente diritti di privativa
industriale o intellettuale senza congruo corrispettivo. Sono
nulli i patti che esonerano il subfornitore da responsabilità
per l’inesatta esecuzione della prestazione o che lo gravano
della responsabilità per difetti di materiali o attrezzi forniti
dal committente.

La subfornitura quale tipo contrattuale generale

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La previsione normativa di due distinti oggetti della subfornitura


conferma che questa non è un particolare tipo di contratto, ma
piuttosto un tipo contrattuale generale in cui possono rientrare vari
tipi di contratto: appalto, subappalto, vendita, somministrazione,
contratto d'opera.
→ La ricorrenza della fattispecie della subfornitura implicherà
allora l’applicazione della relativa disciplina e, insieme,
l’applicazione della disciplina del singolo tipo contrattuale che non
contrasti con essa.

La subfornitura si distingue da:


- Subappalto: è uno dei vari tipi contrattuali in cui può
riscontrarsi la fattispecie della subfornitura.
- Subcontratto: questo presuppone un contratto principale
(contratto-base) mentre la subfornitura può esaurirsi nel
rapporto con il committente senza che quest’ultimo sia a sua
volta parte di un altro contratto.
Deve tuttavia ammettersi che la subfornitura possa dar luogo a un
subcontratto.

La subfornitura costituisce una tipica situazione di dipendenza


economica del subfornitore rispetto alla posizione dominante del
committente, poiché l'attività del primo è organizzata in funzione
delle esigenze del secondo e le prestazioni destinate a questo non
hanno altri sbocchi sul mercato.
La normativa della subfornitura sancisce in ampi termini il divieto
di abuso di dipendenza economica: esso colpisce l’approfittamento di
una situazione di dominio, la situazione dell’impresa che è in grado
di dettare ad un’altra impresa condizioni eccessivamente squilibrate
a proprio vantaggio. l divieto si concretizza nella nullità dei patti
attraverso cui l'abuso è esercitato.

CAPITOLO VII – L’INTERPRETAZIONE


L’interpretazione è l'operazione che accerta il significato
giuridicamente rilevante dell'accordo contrattuale.
In quanto il contratto è l’atto di autonomia privata mediante il
quale le parti dispongono della loro sfera giuridica, interpretare il
contratto significa accertare il significato di ciò che le parti
hanno disposto, ossia accertare il contenuto sostanziale del
contratto.
L'attività interpretativa non è diretta ad accertare semplicemente
l'intenzione che ciascuna delle parti aveva al momento della
conclusione del contratto in quanto, come dice il Bianca “è volta ad
accertare quella volontà che si sia tradotta nell'accordo e che
abbia, pertanto, acquisito un'espressione socialmente rilevante".
Il compito dell'interprete non è, tuttavia, necessariamente limitato
a verificare la comune intenzione delle parti. Infatti, quando questa
non è chiaramente manifestata, l'interprete deve procedere secondo
criteri diretti ad accertare il contenuto sostanziale del contratto

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sulla base di valutazioni normative. Su questi due momenti della


ricerca dell'unico obiettivo significato del contratto è fondata la
distinzione tra:
- interpretazione soggettiva
- interpretazione oggettiva.

L’operazione interpretativa ha ad oggetto anche i negozi unilaterali,


dovendo ugualmente accertare il significato giuridicamente rilevante
dell’atto. → Le norme sull’interpretazione del contratto trovano
applicazione, salvo che risultino incompatibili con la particolare
natura del negozio.

Interpretazione e valutazione giuridica


E' necessario effettuare una distinzione tra interpretazione del
contratto e valutazione giuridica.
- L'interpretazione del contratto è volta ad accertare che cosa le
parti hanno stabilito.
- La valutazione giuridica è, invece, volta ad accertare il valore
giuridico dell'atto. Essa è un'operazione (che peraltro
presuppone la già intervenuta effettuazione della
interpretazione ed integrazione) diretta ad individuare lo
schema causale nell'ambito del quale il contratto debba essere
classificato, inquadrato.
La valutazione giuridica può comprendere tre momenti: qualifica,
verifica degli effetti, integrazione degli effetti.

1) La qualifica segue all’interpretazione in quanto tende a


qualificare il contratto, cioè ad accertare in quale schema causale-
giuridico esso debba essere inquadrato.

2) La verifica degli effetti tende a stabilire la rilevanza giuridica


del contenuto del contratto. Anch’essa è ulteriore e distinta
rispetto all’atto interpretativo.
Le parti possono stabilire gli effetti giuridici del contratto e
quando si tratta di accertare tali effetti siamo ancora nell’ambito
del procedimento interpretativo. La successiva valutazione dell’atto
quale verifica degli effetti tende invece ad accertare quali sono gli
effetti programmati che hanno rilevanza sul piano del diritto (es.
clausola che esonera il debitore da resp. per inadempimento, valutata
senza effetto perché contraria all’art. 1229).

3) Per integrazione del contratto si intende l’applicazione della


disciplina extranegoziale.
L’integrazione suppletiva presuppone la lacuna contrattuale non
suscettibile di essere colmata mediante il ricorso alle regole legali
di interpretazione. Per lacuna contrattuale si intende un vuoto del
contenuto dell'accordo, cioè la mancanza della previsione delle parti
con riguardo ad un aspetto del rapporto.
L’interpretazione è invece diretta ad accertare il significato di ciò
che le parti hanno stabilito, ossia del contenuto dell’accordo.

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Interpretazione e valutazione giuridica nel controllo della


Cassazione
La distinzione tra interpretazione e valutazione giuridica rileva
anche sotto il profilo del controllo della sentenza da parte della
Cassazione.
- L’interpretazione del contratto è riservata al giudice di
merito, ed è incensurabile da parte della Cassazione alla
stregua delle valutazioni di fatto.
- L’interpretazione erronea può però essere contestata per
violazione di uno dei criteri legali: in tali casi la Cassazione
non può sostituire la propria interpretazione a quella censurata
ma deve rinviare ad altro giudice di merito affinché sia questo
a interpretare il contratto.
L’errata qualifica del contratto rileva invece come errore di
diritto (falsa applicazione della legge): la Cassazione può
indicare direttamente la corretta soluzione giuridica.

Le regole legali di interpretazione. Interpretazione soggettiva e


oggettiva.
Il c.c. detta una serie di norme sull'interpretazione del contratto
(artt. 1362-1371).
- art. 1362: nell’interpretare il contratto si deve indagare quale
sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al
senso letterale delle parole.
Il comportamento delle parti va valutato nel suo complesso
(interpretazione globale);
si deve procedere all’interpretazione complessiva delle clausole
(interpretazione sistematica);
si deve presumere che le espressioni generali siano limitate
agli oggetti del contratto e che i casi indicati a spiegazione
di un patto abbiano sempre valore esemplificativo
(interpretazione presuntiva).
2) Un secondo gruppo di norme stabilisce che
nel dubbio il contratto deve interpretarsi nel senso in cui
possa avere qualche effetto (interpretazione utile);
le clausole ambigue devono interpretarsi secondo le pratiche
generali del luogo di conclusione del contratto o del luogo
dell’impresa, se una delle parti è un imprenditore;
le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto
devono interpretarsi nel senso più favorevole all’aderente;
nel dubbio persistente il contratto deve essere interpretato nel
senso meno gravoso per l’obbligato se si tratta di contratto a
titolo gratuito, e nel senso che realizzi l’equo contemperamento
degli interessi delle parti se a titolo oneroso.

Secondo l’opinione maggioritaria, il primo gruppo di norme attiene


all’ interpretazione soggettiva;
il secondo gruppo attiene invece all’ interpretazione oggettiva.
Tra il primo e il secondo gruppo è collocata la regola che impone di
interpretare il contratto secondo buonafede (art. 1366).

Le regole interpretative come norme giuridiche

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L' interpretazione del contratto è regolata da norme giuridiche la


cui violazione da parte del giudice di merito comporta la
censurabilità della sentenza da parte della Cassazione.
I destinatari di tali norme non sono soltanto i giudici ma tutti
coloro che hanno l'obbligo di interpretare il contratto. Anzitutto è
la parte adempiente che all'obbligo di interpretare correttamente il
contratto in quanto l'interpretazione rientra nello sforzo diligente
richiesto al debitore ai fini dell'esatto adempimento.
Le norme ermeneutiche sono derogabili dalle parti ad eccezione di
quella sulla interpretazione secondo buona fede, dovendo reputare
quest'ultima un principio di ordine pubblico.
Il contratto deve essere interpretato in base ai criteri ermeneutici
propri della legge del contratto. Se l’individuazione della legge del
contratto dipende dall’interpretazione di esso, trova applicazione la
regola secondo la quale il giudice applica la propria legge fino a
quando non risulta l’applicabilità di altra legge.

La ricerca della comune intenzione delle parti


Il contratto deve essere interpretato indagando la comune intenzione
delle parti (art. 1362).
Al contratto deve pertanto riconoscersi il significato che esso ha
avuto per le parti e in relazione al quale queste si sono impegnate.
Cosa significa “comune intenzione”? In dottrina possono distinguersi
due concezioni:
a) Una concezione cd. psicologica la identifica nella volontà reale
delle parti;
b) Una concezione cd. obiettiva la identifica nel valore obiettivo
del contratto riconoscibile dalle congruenti dichiarazioni e
condotta delle parti.
c) → L’interpretazione del contratto deve, in realtà, tenere conto
della comune intenzione delle parti obiettivizzata nell’accordo.
La comune intenzione si concreta nel significato che per le
parti stipulanti ha avuto l’impegno assunto, il significato che
in un dato ambiente socio-economico può attribuirsi alle
dichiarazioni e ai comportamenti dei contraenti alla stregua di
una valutazione normalmente diligente.
Nell’interpretare il contratto occorre avere riguardo al
significato che ciascun contraente, in base alle concrete
circostanze, doveva ragionevolmente attribuire all’accordo.

Interpretazione soggettiva
= tende ad accertare la comune intenzione delle parti. I criteri di
interpretazione soggettiva sono rivolti ad accertare in via diretta e
immediata il senso e la portata dell'accordo e quindi l'intenzione
delle parti sulla base delle loro dichiarazioni e dei loro
comportamenti.
Regole primarie dell’interpretazione sono:
a) interpretazione secondo buonafede;
b) interpretazione letterale;
c) interpretazione globale;
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d) interpretazione sistematica;
e) interpretazione funzionale.

A) Interpretazione secondo buona fede


Il contratto deve essere interpretato secondo buona fede (art. 1366).
Questa regola è collocata tra le regole della interpretazione
soggettiva e quelle sulla interpretazione oggettiva e in dottrina si
discute ancora se essa faccia parte delle une o delle altre.
a) Una prima opinione ravvisa nella buona fede fondamentale
precetto di lealtà e di chiarezza sul cui presupposto andrebbe
interpretato il contratto e in cui verrebbero al sintetizzarsi
il momento soggettivo e quello oggettivo.
b) Altri autori tendono invece ad accentuare il momento soggettivo
dell'interpretazione secondo buona fede.
c) Un terzo orientamento riconduce la buona fede ad un criterio di
controllo del contratto.
d) Altra dottrina, ancora, ravvisa senz'altro nell' interpretazione
secondo buona fede un criterio di integrazione del contratto.
In questa incertezza di opinioni occorre muovere da un dato
generalmente riconosciuto: qui si tratta della buona fede in senso
obiettivo o correttezza, ossia della buona fede quale regola di
condotta.
Occorre anche prendere atto dell'importanza assunta dalla buona fede
nell'esercizio dell'autonomia contrattuale: la buona fede è, infatti,
richiamata dalla legge sia nella formazione che nell'esecuzione del
contratto. Questi molteplici richiami rispondono all'idea della buona
fede quale principio etico-sociale che impronta tutta la materia
contrattuale.

La buona fede non ha un contenuto prestabilito ma è un principio di


solidarietà contrattuale che si specifiche dei fondamentali aspetti:
a) Obbligo di salvaguardia: inteso come dovere di attivarsi per
tutelare la posizione della controparte contrattuale, nei limiti
di un apprezzabile sacrificio.
b) Obbligo di lealtà: inteso come dovere di non ingenerare nella
controparte false aspettative e, per converso, di non speculare
sui falsi affidamenti in cui la controparte sia incolpevolmente
caduta. Esso esprime l'esigenza di tutelare l'affidamento di
ciascuna parte sul significato dell'accordo. Il ragionevole
affidamento di una parte si determina in relazione a quanto
l'altra parte abbia lasciato intendere mediante le proprie
dichiarazioni e il proprio comportamento valutati secondo un
metro di normale diligenza.
→ La buonafede emerge allora come primario criterio di
interpretazione soggettiva del contratto: l’interprete dovrà adeguare
l’interpretazione del contratto al significato sul quale le parti
potevano e dovevano fare ragionevole affidamento. La buonafede vieta
interpretazioni “cavillose” in contrasto con la causa del contratto,
ovvero basate su espressioni inserite per un errore materiale al
testo, ovvero facenti parte del testo ma non rispondenti all’intesa
raggiunta.
La regola della buonafede è applicabile anche alle dichiarazioni
unilaterali recettizie.

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B) Interpretazione letterale
Nell'indagare la comune intenzione delle parti l'interprete non può
limitarsi al senso letterale delle parole usate, sebbene il senso
letterale costituisca il primo elemento dell'operazione
interpretativa.
- Il significato al quale occorre fare riferimento è quello
usuale. In relazione al tipo e al luogo del contratto dovrà
aversi riguardo al significato tecnico o dialettale dei termini.
- L'interprete dovrà anche tenere conto del significato
peculiare o convenzionale dei termini usati: ma se si tratta di
contratti formali il significato reale dell'accordo deve essere
manifestato nella forma richiesta.
- È inopponibile a terzi un significato occulto contrapposto
a quello apparente del contratto quale risulta
dall’interpretazione letterale del testo.

C) Interpretazione globale (valutazione del comportamento


complessivo delle parti)
L'intenzione comune delle parti deve essere dedotta dal loro
comportamento complessivo, anche successivo alla conclusione del
contratto.
In linea generale, il comportamento considerato è quello comune ad
entrambe le parti, anche se dottrina e giurisprudenza riconoscono un
certo valore al comportamento di una sua parte qualora:
* assuma valore di riconoscimento di una interpretazione favorevole
alla controparte;
* sia accettato dalla controparte senza proteste e si possa escludere
che tale accettazione sia dovuta ad una forma di mera cortesia o mera
tolleranza.

Oltre al comportamento tenuto al momento della conclusione del


contratto può rilevare anzitutto il comportamento precedente,
costituito da:
- pratiche individuali seguite dalle parti, e particolarmente
dai contratti analoghi che in passato le parti stesse hanno
posto in essere tra loro.
- trattative attraverso cui le parti sono giunte alla
conclusione del contratto: il testo dell’accordo può dover
essere chiarito anche in relazione alle preventive discussioni e
manifestazioni d'intento, da quanto espresso negli accordi
preliminari e negli accordi definitivi destinati ad essere
tradotti in forma pubblica.

Ci si chiede se il comportamento precedente abbia rilevanza anche


quando sia incompatibile con il testo finale dell'accordo. Si ritiene
che nel caso di contrasto tra il testo finale dell'accordo e le
indicazioni delle trattative è il primo che deve prevalere, poiché le
intenzioni espresse da ciascun contraente nelle trattative possono
essere modificate nell’accordo in cui si compongono le divergenti
pretese.

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È però possibile che la redazione del testo tradisca il senso


dell’accordo. In tal caso è l’intesa raggiunta che prevale sul testo.
Si tratta allora di provare che effettivamente il significato
letterale non risponde alla comune intenzione delle parti.

Anche il comportamento successivo vale ad accertare il senso che le


parti hanno concretamente riconosciuto al loro accordo. Esso può
consistere in ulteriori dichiarazioni delle parti e soprattutto
nell'attività esecutiva.
Il comportamento successivo può avere valore interpretativo anche se
contrasta con il testo del contratto, purchè trovi riscontro nella
complessiva condotta delle parti consentendo di accertare con
ragionevole certezza che la comune intenzione divergeva dal
significato letterale delle dichiarazioni.
Il mero contrasto tra testo del contratto e atti successivi non
consente di attribuire a questi valore interpretativo. Tuttavia, il
fatto che la parte accetti consapevolmente un’esecuzione divergente
ha la sua importanza: può significare che la parte ha tollerato
l’inesatta esecuzione del contratto senza autorizzare ulteriori
adempimento inesatti. Il ripetersi delle accettazioni tolleranti può
deporre per una tacita modifica del contratto.

D) Interpretazione sistematica
= Le singole clausole del contratto devono essere interpretate le une
per mezzo delle altre, attribuendo loro il senso che risulta dal
complesso dell'atto.
La presenza di questa norma impedisce una interpretazione c.d.
atomistica della singola disposizione negoziale, limitata al
significato suo proprio ed avulsa dall'intero contratto.
La giurisprudenza ha avuto modo di puntualizzare diverse volte questa
regola, chiarendo che l'interpretazione deve tenere conto anche delle
clausole negoziali eventualmente invalide, in quanto queste comunque
sono state volute dalle parti ed hanno quindi concorso alla
formazione della loro volontà.

E) Interpretazione funzionale
= La legge prevede che le espressioni con più sensi devono essere
interpretate nel senso più conveniente alla natura e ad oggetto del
contratto.
L’interpretazione di buonafede, letterale, globale e sistematica sono
inscindibilmente connesse con l’interpretazione funzionale, cioè con
l’interpretazione diretta a ricercare il significato del contratto in
coerenza con la causa concreta di esso.
Il significato di ciò che le parti hanno concordato non può infatti
essere adeguatamente accertato se non si tiene conto della ragione
pratica dell’affare, ossia della causa concreta – che giustifica il
contratto e il relativo regolamento, e pertanto consente di chiarire
il significato delle dichiarazioni e dei comportamenti delle parti.
La ragione pratica dell’affare, a sua volta, può essere identificata
solo considerando il contenuto dell’accordo in cui si rivela il
disegno unitario del contratto.

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F) Interpretazione presuntiva delle espressioni generali -


G)Indicazioni esemplificative
Sempre nell’ambito della cd. interpretazione soggettiva valgono le
regole legali ermeneutiche relative alle espressioni generali e alle
indicazioni esemplificative.
• Espressioni generali, da interpretare limitatamente ai soli
oggetti sui quali le parti si sono proposte di contrattare (es.
se le parti compongono transattivamente una lite e dichiarano di
non avere più nulla a pretendere, tale espressione deve
intendersi con riguardo al punto controverso, senza incidere su
altri eventuali punti estranei alla lite).
• Espressioni esemplificative, ossia quelle che fanno riferimento
ad un caso concreto al puro ed esclusivo fine di esemplificare
il significato di una disposizione contrattuale.
Tali espressioni devono essere intese nel senso di non
escludere, a meno che diversamente non risulti dal testo
negoziale, altri casi non contemplati ai quali può essere esteso
per analogia il contenuto della clausola contrattuale cui
l'esempio è riferito.

Interpretazione oggettiva
Un secondo gruppo di regole legali di interpretazione sono quelle
c.d. oggettive, caratterizzate dal fatto di trovare applicazione
sussidiaria, ossia di intervenire del solo caso in cui
dall'applicazione delle regole di interpretazione soggettiva non sia
possibile individuare la comune intenzione delle parti.
I criteri di interpretazione oggettiva sono anch'essi diretti a
stabilire il significato e la portata del contratto, ma prescindono
in qualche modo dalla comune intenzione (questi criteri intervengono
quando è dubbia la comune intenzione delle parti) e mirano a
ricostruire il significato dell’accordo sulla base di valutazioni
normative.
Occorre sottolineare la distinzione tra interpretazione oggettiva ed
integrazione negoziale. Si tratta, infatti, di due operazioni
nettamente diverse in quanto: mentre con l'interpretazione oggettiva
si mira ad evincere la volontà delle parti trasfusa del contratto
(seppure mediante una valutazione operata direttamente dalla norma
giuridica); l'integrazione è, invece, diretta a colmare una lacuna
del testo contrattuale supplendo alla carenza di volontà delle parti.
Le regole dell'interpretazione oggettiva, inoltre, sono
caratterizzate da una sorta di gerarchia "interna" in quanto trovano
applicazione nel seguente ordine:
1. interpretazione utile (ossia il principio di conservazione del
contratto);
2. interpretazione secondo gli usi;
3. interpretazione contro il predisponente;
4. interpretazione equitativa.

A) Interpretazione utile: il principio di conservazione del


contratto

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La prima regola di interpretazione oggettiva è quella della


conservazione del contratto, un principio generale che trova
applicazione anche in tema di nullità e che riguarda tutti gli atti
negoziali.
= sia il contratto sia le singole clausole di esso devono essere
interpretate nel senso in cui possono avere qualche effetto anziché
in quello in cui non ne avrebbero alcuno.
Tale principio è di fondamentale importanza in quanto impone
l'interprete di valutare le singole disposizioni contrattuali in modo
tale da conservare comunque la volontà delle parti ed evitare per
quanto possibile, l'invalidità dell'intero negozio o di parte di
esso.
Questo principio, peraltro, non impone espressamente l'adozione
dell'interpretazione "di massima utilità" in forza della quale la
clausola possa spiegare il suo massimo effetto negoziale, rendendo
solo obbligatoria l'adozione di una interpretazione che garantisca la
validità dell'accordo nel suo insieme e delle sue singole clausole.
Sul punto giurisprudenza e dottrina sono divise.
La regola di conservazione del contratto non concerne le c.d.
clausole di stile, cioè le clausole che vengono aggiunte per prassi
stilistica senza esprimere una specifica volontà delle parti.

B) Interpretazione secondo gli usi


Una fondamentale regola di interpretazione oggettiva è quella in
forza della quale "le clausole ambigue" devono essere interpretate:
• secondo ciò che si pratica generalmente nel luogo in cui il
contratto è stato concluso;
• ovvero, qualora una delle parti contrattuali sia un
imprenditore, secondo ciò che generalmente si pratica nel luogo
in cui si trova la sede dell'impresa.
Le "pratiche generali" cui fa riferimento questa regola altro non
sono se non gli usi negoziali. Essi concorrono a determinare
direttamente il contenuto del contratto (art. 1340). Tali usi
assolvono anche una funzione specificamente interpretativa come
criterio di chiarimento delle clausole ambigue. Si parla in tal caso
di usi interpretativi. Si tratta sempre di usi negoziali ma in
funzione di interpretazione.
La pratica generalizzata degli affari è identificata da
un’applicazione costante e generalizzata in un dato luogo, anche se
relativamente a un dato settore di affari o tipo di contratto.
Il ricorso alle pratiche degli affari trova la sua giustificazione di
fondo nel rilievo che il contratto si adegua normalmente al
significato che in un dato ambiente socio-economico gli viene
riconosciuto.
Il ricorso agli usi interpretativi prescinde dalla prova che essi
siano stati voluti o richiamati dalle parti. E’ tuttavia possibile
provare che le parti ne abbiano escluso l’applicazione.
L’uso interpretativo deve essere provato da chi ne allega
l’esistenza. Il giudice può comunque applicare direttamente l’uso
interpretativo di cui abbia conoscenza.

C) Interpretazione contro il predisponente

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Una particolare regola interpretativa prevede che le clausole


inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli o
formulari predisposti da una parte devono interpretarsi, nel dubbio,
nel senso più favorevole all’aderente.
La regola dell’interpretazione contro il predisponente pone a carico
di quest’ultimo l’onere di evitare ambiguità nel testo del contratto,
al quale si accompagna quello di rendere le condizioni generali
facilmente conoscibili all’aderente, nel senso che il predisponente
deve manifestare la loro esistenza e mettere il testo a disposizione
dell'aderente.
La regola dell'interpretazione contro il predisponente prevale sulla
regola che impone di interpretare le clausole ambigue secondo ciò che
si pratica generalmente nel luogo di conclusione del contratto e
della sede dell'impresa. Infatti, l'onere del parlare chiaro non
consente al predisponente di fare riferimento ad una pratica locale
che può essere ignota alla generalità dei consumatori cui il
regolamento è destinato.

D) Interpretazione equitativa
Ultima delle regole legali di interpretazione dettate dal c.c. è
quella dell'interpretazione equitativa.
Precisamente, se l'applicazione degli altri canoni di interpretazione
soggettiva ed oggettiva non consente di accertare il significato del
contratto, questo deve essere interpretato:
• nel modo meno gravoso per il debitore, se si tratta di un
negozio a titolo gratuito;
• in modo da realizzare l'equo contemperamento degli interessi
delle parti, qualora si tratti di negozio titolo oneroso.
Questa regola assume a criterio interpretativo finale il principio di
equità = giusto contemperamento degli interessi delle parti in
relazione allo scopo e della natura dell'affare.
L'equità, quale criterio di interpretazione, va tenuto d'istinto
rispetto all'equità quale criterio di integrazione del contratto:
infatti inserire nella prima esso è diretto ad accertare il
significato di una previsione contrattuale oscura, in sede di
integrazione è volto a colmare le lacune belle regolamento
contrattuale.
La regola dell'interpretazione secondo equità è espressamente
indicata come regola di chiusura da applicare quando gli altri canoni
ermeneutici non consentano di accertare il significato del contratto.
Tuttavia, quando il giudice è chiamato a decidere secondo l'equità,
il canone dell'interpretazione equitativa prevale sulle altre regole
di interpretazione oggettiva mentre rimangono prioritarie quelle di
interpretazione soggettiva. E' importante notare che ad essere
oggetto di valutazione equitativa non sia la singola clausola
contrattuale, ma il significato del contratto unitariamente inteso,
con la conseguenza che il giudice non potrà operare interpretazioni
parziali, ossia ristrette a singole clausole.

Interpretazione del contratto formale

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I criteri legali di interpretazione del contratto trovano


applicazione anche quando sia richiesta una determinata forma a pena
di nullità.
L’uso di termini errati o impropri non esclude che la comune
intenzione delle parti risulti espressa nella forma richiesta.
L'onere della forma non consente, invece, di dare rilevanza alla
volontà delle parti che si manifesti al di fuori ed in contrasto con
il testo in ordine agli elementi essenziali del contratto. Le
manifestazioni di volontà extratestuale che non abbiano valore
interpretativo devono anch’esse rispettare l’onere formale se
modificano le determinazioni assoggettate a tale onere.

Significato apparente e tutela dei terzi


Il problema della tutela dei terzi che si pone riguarda in generale
in tutte le ipotesi di divergenza tra il significato normalmente
desumibile dal testo contrattuale e quello particolare che le parti
gli attribuiscono.
L'esigenza di tutela dei terzi trova appropriata risposta nel
principio adottato in tema di simulazione. Questo principio consente
ai terzi di buona fede, che abbiano acquisito diritti sulla base del
significato apparente, di opporre tale significato alle parti.

L'interpretazione autentica
= fatta d'accordo dalle parti per chiarire significato del contratto.
L'interpretazione autentica può essere: contestuale al contratto o
successiva.
• L’interpretazione contestuale del contratto farà parte
integrante del contratto trattandosi di una dichiarazione che
completa, precisandolo, il contenuto della volontà delle parti.
• L’interpretazione successiva interviene, invece, per accertare
il significato di un contratto che le parti hanno già stipulato
e che quindi ha già un suo significato. Il problema che si pone
è quello se le parti hanno il potere di stabilire per contratto
quello che è un dato storicamente determinato, se cioè rientri
nella nozione di autonomia negoziale anche l'accertamento del
rapporto giuridico.
La soluzione positiva, ormai riconosciuta dalla giurisprudenza,
porta ad ammettere che le parti possono accertare tra di loro
quale fosse il significato del loro accordo. In quanto le parti
interpretano d'accordo il contenuto del contratto, esse
esprimono implicitamente una volontà negoziale attuale che li
esime dai criteri legali di interpretazione.
Superando il limite del significato risultante dall’atto in
applicazione dei criteri d’interpretazione, l’atto può perdere
la sua funzione interpretativa per integrare una modifica del
contratto originario. L’alternativa tra interpretazione e
modifica è priva di rilevanza rispetto alle parti; rispetto ai
terzi trova applicazione il principio che tutela coloro che
abbiano in buonafede acquistato diritti sulla base del
significato apparente del contratto.

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CAPITOLO VIII - LA CAUSA


= è la ragione pratica del contratto, cioè l’interesse che
l’operazione contrattuale è diretta a soddisfare.
La causa, si può affermare, è alla base del riconoscimento
dell'autonomia contrattuale. Le parti possono stipulare liberamente
contratti al di fuori dei tipi previsti dalla legge purchè siano
diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l'ordinamento giuridico.
• è un elemento essenziale del contratto, e la sua mancanza
comporta di regola la nullità dell’atto.
• Si distingue rispetto all’oggetto del contratto: l’oggetto
indica il programma (ossia il contenuto dell’accordo delle
parti), mentre la causa indica l’interesse che tale programma è
volto a soddisfare.
• Costituisce fondamento della rilevanza giuridica del contratto:
affinché il contratto sia riconosciuto come giuridicamente
impegnativo non è sufficiente che sussista l’accordo ma occorre
che anche l’accordo sia giustificato da un interesse
apprezzabile. Ne consegue la nullità del contratto diretto a
realizzare un interesse non meritevole di tutela.
• Assume anche il ruolo di criterio di interpretazione e di
qualificazione del contratto.
• Assume il ruolo di criterio di adeguamento del contratto.

La natura giuridica:
A) Teoria oggettiva classica:
la causa non corrisponderebbe tanto ad un elemento psicologico,
soggettivo rispetto ai contraenti, quanto ad un elemento avente
natura oggettiva, proprio della struttura dell'atto: essa si
dovrebbe identificare nel fondamento di ciascuna singola
attribuzione dedotta nel sinallagma contrattuale (es. causa
dell’obbligazione del venditore è il prezzo).
Uno dei punti deboli di questa dottrina è dato dalle donazioni
dove, in mancanza di un fondamento oggettivo, si ammette che la
causa consista nell’intento di liberalità.

B) Teoria soggettiva:
la causa si dovrebbe identificare concreto scopo per il quale il
soggetto assume l'obbligazione. Essa viene quindi intesa, in
definitiva, come la motivazione del consenso.
D’altro canto si avverte anche la necessità di distinguere la
causa rispetto ai tanti e variabili motivi che possono indurre

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il soggetto a contrattare. La causa viene quindi identificata:


nello scopo che entra nel contenuto dell’atto di volontà; nel
motivo ultimo che risulta costante in ciascun tipo di contratto;
nell’insieme delle ragioni particolari che di volta in volta
muovono le parti al contratto.
Tuttavia, così intesa, la causa non appare nulla di diverso se
non l'enunciazione tautologica del motivo, ciò che solitamente
viene opposto come concetto antitetico rispetto a quello
attinente all'elemento causale.

C) Teoria della causa quale tipica funzione economico-sociale:


Nella nostra dottrina è prevalsa la nozione di causa quale
obiettiva funzione economico-sociale del negozio.
Questa nozione si allontana dalla teoria oggettiva classica
della causa in quanto la causa diviene la funzione tipica e
astratta del negozio. Essa prescinde anche dagli scopi delle
parti e dalle finalità per le quali le parti intendono
strumentalizzare il contratto.
La causa non è semplicemente la ragione pratica per la quale le
parti stipulano il contratto ma, oltre, la ragione per la quale
l’ordinamento riconosce rilevanza giuridica al contratto.
Questa regola, che trova testuale riscontro nel codice vigente,
è stata intesa da una parte della nostra dottrina in termini di
utilità sociale: il contratto deve realizzare un interesse che
sia utile alla stregua dell’apprezzamento sociale. In tal senso
la causa è stata definita quale funzione d’interesse sociale
dell’autonomia privata.

D) Teorie anticausaliste:
Sia la teoria soggettiva che la teoria della funzione tipica
portano, nel loro estremo svolgimento, a contestare l’autonoma
rilevanza della causa. Se la causa viene intesa come
rappresentazione intellettuale della controprestazione o come
intento di liberalità, essa, si afferma viene a identificarsi
senz’altro nel consenso.
Queste teorie hanno trovato argomento nel richiamo a codici che,
come quello tedesco, non indicano la causa tra gli elementi
costitutivi del contratto.

E) Teoria della causa in concreto:


Venuta meno la matrice ideologica che aveva spinto ad elevare la
causa come mezzo di controllo dell’utilità sociale del
contratto, la nozione di causa tipica quale elemento del
contratto è risultata insoddisfacente. Se il contratto ha la
causa già astrattamente determinata per ogni tipo di contratto,
non è più spiegabile come, ad es., une vendita possa avere una
causa illecita. La causa tipica, ancora, resta estranea ai
contratti innominati.
Occorre riconoscere nella causa la ragione concreta del
contratto, l’interesse concretamente perseguito. Non basta
verificare se lo schema usato dalle parti sia compatibile con
uno dei modelli contrattuali ma occorre ricercare il significato

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pratico dell’operazione con riguardo a tutte le finalità che,


sia pure tacitamente, sono entrate nel contratto.
È la causa concreta, ancora, che rileva quale criterio di
interpretazione e di qualificazione del contratto. Essa assume
il ruolo di criterio di adeguamento del contratto.
Il collegamento negoziale e la conseguente connessione della
sorte di un contratto alla sorte dell’altro possono essere
rilevati solo con riferimento alla causa concreta che le
operazioni erano complessivamente dirette a realizzare.

Unitarietà della nozione di causa


La nozione della causa quale ragion giustificativa del contratto ha
superato la concezione che individuava nella causa un requisito
dell’obbligazione.
L’idea atomistica della causa veniva recepita dal codice francese, il
quale sancì che l’obbligazione senza causa o fondata su causa falsa o
illecita non può avere effetto. Questo principio consentiva di
elaborare la nozione di causa quale ragione dell’obbligazione.
La proclamazione, contenuta nel codice francese, del contratto quale
fonte unitaria degli effetti reali e obbligatori poneva le premesse
dell’idea unitaria della causa. Questa idea ha trovato esplicito
riconoscimento nel nostro codice, che ha indicato la causa come un
requisito del contratto, evitando ogni riferimento alla causa
dell’obbligazione.

Causa del contratto e causa della prestazione


La nozione unitaria della causa consente di ricercare la ragione
pratica dell’operazione e di giustificare in essa sia il contratto
sia le singole attribuzioni. Se l’attribuzione ha titolo nel
contratto non si pone per essa un distinto problema causale in quanto
la causa di essa deve essere identificata nella stessa causa del
contratto. Allo stesso modo, le prestazioni contrattuali si
giustificano nella causa del contratto del quale costituiscono
esecuzione.
L’obbligazione non è la causa ma il titolo della prestazione, e la
sua mancanza non comporta un giudizio di invalidità ma di indebito.

Con riguardo alla prestazione autonoma, cioè la prestazione che non è


un mero atto esecutivo, si tratterà di vedere se questo atto
dispositivo sia accettato e giustificato da una causa sufficiente.
- Dalla disciplina dell’obbligazione naturale sappiamo che se
un soggetto effettua spontaneamente una prestazione
giuridicamente non dovuta ma rispondente a un dovere morale o
sociale, tale prestazione non è ripetibile.
- L’assunzione negoziale di un impegno a effettuare una
prestazione gratuita può invece non trovare causa sufficiente
nella doverosità morale o sociale della prestazione.

La causa come fondamento della rilevanza giuridica del contratto


Il principio causale, cioè dell’essenzialità della causa, formulato
nel codice francese e accolto da quello italiano del 1865, ha

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significato storicamente il rigetto dell’idea della vincolatività


della nuda promessa, cioè dell’idea per cui l’impegno giuridico del
soggetto dipende esclusivamente dalla parola data. La volontà
negoziale è giuridicamente rilevante solo se essa abbia una ragione
pratica che la giustifichi.
Causa è qualsiasi ragione, oggettiva o soggettiva, per la quale le
parti stringono il loro accordo. Ciò che si richiede è che la causa
non sia illecita, cioè non sia contraria alla legge, all’ordine
pubblico e al buon costume.
Al tradizionale principio causale è estraneo quello che può
considerarsi l’attuale problema della causa, cioè il problema se la
causa possa essere strumento di controllo sostanziale del contratto.
L’idea secondo la quale l’interesse perseguito dalle parti deve
essere giustificativo del contratto ha trovato risposta nel codice
vigente con la norma che sancisce il principio dell’autonomia
contrattuale: le parti possono concludere anche contratti non
appartenente ai tipi legali purchè diretti a realizzare interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
Il dibattito sulla portata di questa norma è ancora aperto:
a) Tesi che giunge a richiedere una funzione sociale del contratto:
porta a ammettere come validi solo i contratti che realizzano
interessi socialmente utili. Questa tesi è stata criticata quale
espressione di un’ideologia dirigistica contrastante con
l’impostazione liberistica del nostro codice, il quale
consentirebbe di realizzare attraverso il contratto tutti gli
interessi individuali salvo il limite dell’illiceità.
Tuttavia, non qualsiasi interesse giustifica il contratto in
quanto l’interesse che il contratto è diretto a realizzare deve
essere meritevole di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Il
giudizio sulla meritevolezza dell’interesse non può prescindere
dalla scelta costituzionale nel senso che l’iniziativa privata è
libera ma non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o
in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla
dignità umana (art. 41 Cost.). Questi principi indicano che la
causa dev’essere quantomeno compatibile con l’utile sociale.
b) Tesi che giunge a disconoscere la sindacabilità nel merito degli
interessi perseguiti dalle parti

I motivi:
= interessi personali e particolari che la parte tende a realizzare
mediante la conclusione di un contratto ma che non rientrano nel
contenuto in questo.
Essi sono irrilevanti in quanto le finalità esterne al contenuto del
contratto non possono incidere sui diritti e obblighi delle parti.
Tradizionalmente, l’irrilevanza dei motivi è stata spiegata
considerando il motivo un impulso psichico che non si traduce
nell’atto di volontà negoziale.
Riguardo alla rilevanza o alla irrilevanza dei motivi si fronteggiano
due teorie:
a) Per la teoria della causa tipica l'irrilevanza dei motivi è
spiegata semplicemente considerando la loro estraneità alla

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causa. La legge si interessa esclusivamente della funzione


tipica del contratto, e non degli scopi variabili che di volta
in volta possono indurre le parti a contrarre.
b) Per la teoria della funzione pratica i motivi sono rilevanti
quando si sono obiettivizzati nel contratto, divenendo interessi
che il contratto è diretto a realizzare.
Gli interessi che il contratto è diretto a realizzare non sono
dei meri motivi ma sono interessi che concorrono a integrare la
causa del contratto. Di semplici motivi può invece parlarsi con
riguardo agli interessi che non rientrano nel contenuto del
contratto.

Tuttavia i motivi non sono sempre giuridicamente irrilevanti, vi sono


delle ipotesi espressamente previste dalla legge in cui il motivo può
essere rilevante:
• motivo illecito comune ad entrambe le parti: art. 1345 - "il
contratto è illecito quando le parti si sono determinate a
concluderlo esclusivamente per un motivo illecito comune ad
entrambe" (contratto è nullo);
• errore sul motivo è causa di annullabilità del testamento e
della donazione, quando il motivo risulta dall’atto e sia stato
il solo a determinare il suo compimento.
• Una specifica rilevanza deve essere riconosciuta al semplice
motivo in base al principio di buonafede. Anche se il
soddisfacimento di un determinato interesse non rientra nel
contenuto del contratto, la parte deve tuttavia adoperarsi per
salvaguardarlo se ciò non comporti un suo apprezzabile
sacrificio.

La presupposizione
= circostanza esterna che senza essere prevista quale condizione dle
contratto ne costituisce un presupposto oggettivo.
• presupposti oggettivi generali: sono le condizioni di mercato e
della vita sociale che incidono sull’economia del contratto;
• presupposti specifici: sono le circostanze particolari alle
quali è subordinato il vincolo contrattuale.
Es. il contratto di vendita è stipulato sul presupposto che il compratore
ha ottenuto o è certo otterrà un determinato finanziamento pubblico senza
che tale circostanza si indicata come una condizione del contratto.

Nel nostro ordinamento la rilevanza dei presupposti generali ha


trovato un riconoscimento legislativo nell’istituto della risoluzione
per eccessiva onerosità (art. 1467).
La giurisprudenza ha ormai introdotto il principio della
presupposizione, mentre una larga parte della dottrina lo contesta in
quanto ne ravvisa una condizione non sviluppata del negozio, ovvero
un motivo che non si è tradotto in clausola condizionale.
Generalmente favorevole alla soluzione positiva si è mostrata la
dottrina tedesca, che ha ricondotto la presupposizione al fondamento
del contratto.
In realtà, il problema della presupposizione non può essere risolto
unitariamente ma occorre procedere a una netta distinzione

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nell’ambito delle circostanze giuridicamente influenti sul contratto,


cioè dei presupposti oggettivi.
Non rientrano nel concetto di presupposizione:
• i presupposti causali, cioè quei fatti o circostanze che
condizionano la realizzazione della causa del contratto. Se la
causa non si può realizzare il contratto si risolve perché viene
meno l’interesse che giustificava l’impegno delle parti.
Es. balcone affittato per assistere al Palio: questo evento attiene
direttamente alla causa del contratto, e il suo impedimento preclude la
realizzazione di essa. La locazione è qui stipulata per soddisfare lo
specifico interesse del conduttore ad assistere al Palio in buona
posizione.
• i risultati che entrano nel contenuto dell’impegno contrattuale,
ossia i risultati dovuti. Qui si verte nel tema
dell’adempimento.
In questo secondo gruppo possono inquadrarsi i precedenti
giurisprudenziali nei quali si è fatto richiamo al concetto di
presupposizione, e che riguardano spesso casi di alienazione di
beni acquistati per una determinata utilizzazione.
Es. la parte acquista un terreno con il dichiarato proposito di edificarvi
una casa d’abitazione. La rilevanza data alla circostanza che il bene è
inidoneo all’uso previsto dall’acquirente è certamente fondata. Ma occorre
notare che qui si tratta di una qualità giuridica dell’oggetto: occorre
allora accertare, attraverso l’interpretazione del contratto, se tale
qualità è dovuta, nel qual caso l’alienante è inadempiente per inesattezza
della prestazione traslativa.

La Cassazione ha definito la presupposizione come: "La situazione di


fatto o di diritto, presente, passata o futura, certa nella
rappresentazione delle parti, di carattere obiettivo che - anche in
mancanza di un'espressa previsione tra le clausole contrattuali -
possa ritenersi tenuta presente dai contraenti come presupposto
comune avente valore determinante ai fini del sorgere e del permanere
del vincolo contrattuale".
Affinché una data circostanza acquisiti rilevanza come
presupposizione occorre:
• che essa sia comune alle parti o che una parte abbia
riconosciuto l’importanza determinante che la circostanza assume
per l’altra. La semplice conoscenza dell’importanza che una
circostanza ha per l’altra parte non vale a invece a subordinare
a tale circostanza la sorte del contratto, poiché l’esigenza
dell’affidamento ne risulterebbe violata.
• che si tratti di una circostanza certa nella rappresentazione
delle parti (e questo probabilmente per negare rilevanza a mere
aspettative),
• che abbia il carattere dell'obiettività: cioè indipendenza del
presupposto dalla volontà e dall'attività delle parti
• che debba che essere determinante per la sussistenza e la
persistenza del contratto.

Il venir meno della presupposizione non importa come tale


l'automatica risoluzione del contratto ma il rimedio del recesso
unilaterale a favore della parte per la quale il vincolo contrattuale
è divenuto intollerabile o inutile.

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Il recesso può essere esercitato anche nell'ipotesi in cui il


presupposto obiettivo del contratto sia già in origine inesistente o
impossibile a verificarsi.

Negozio causale e negozio astratto


L'astrattezza designa in generale lo svincolamento del negozio dal
requisito della causa.
• Nel suo significato più rigoroso l'astrattezza è intesa come
astrattezza sostanziale = irrilevanza della causa ai fini della
validità del negozio.
L'astrattezza sostanziale si distingue a sua volta in assoluta e
relativa a seconda che la mancanza della causa sia del tutto
irrilevante o dia luogo ad un'azione diretta a rimuovere le
conseguenze dannose del negozio.
• Accanto all'astrattezza sostanziale si distingue l'astrattezza
(o astrazione) processuale la quale esprime semplicemente
l'esonero dalla prova della causa del negozio.
Un ricorrente esempio di questa affermazione è dato dalla
promessa di pagamento (art.1988): la promessa dispensa il
destinatario di essa dall’onere di provare il rapporto
sottostante. Il promittente può peraltro provare che la causa è
insussistente o illecita. In tal caso si accerta che la promessa
non ha prodotto l’effetto suo proprio e che il promittente non è
obbligato nei confronti del promissario. Analogamente, se viene
eseguita una prestazione si presume che questa sia giustificata
da una causa adeguata, salva la possibilità di provare il
contrario.

I NEGOZI CAUSALI sono quei negozi in cui la causa è elemento


essenziale e costitutivo: essi, pertanto, non producono alcun effetto
in caso di mancanza o illiceità della causa.
Si può affermare che la causalità del negozio costituisce la regola.
La regola causale non si applica tuttavia sempre con lo stesso rigore
e talvolta essa cede ad altre esigenze.
- Il massimo rigore della regola causale si coglie nei negozi
traslativi di diritti reali immobiliari: in tali negozi non solo
è necessaria la forma scritta, ma l'atto è nullo se la causa non
risulta dal contenuto del contratto.
- Per i contratti che prevedono l’alienazione di diritti o la
prestazione di servizi, che non richiedono una determinata
forma, la stipulazione può essere documentata senza che sia
necessario indicare la causa dell’atto. Secondo questa regola la
causa si presume.
La presunzione della causa non comporta che il contratto sia
astratto. Se si dimostra che la causa è inesistente o illecita
il contratto è senz’altro invalido.

Il NEGOZIO ASTRATTO è propriamente il negozio i cui effetti si


producono a prescindere dalla causa.
- Nell’ambito delle eccezionali ipotesi di negozi astratti
non devono essere ricomprese quelle figure negoziali nelle quali
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l’operazione indica già una ragione sufficiente di


giustificazione dell’atto (es. rinunzie, autorizzazioni,
revoche, contratti estintivi e di accertamento…). La causa
concreta dell’atto potrebbe essere diversa da quella che risulta
dall’atto stesso. Ma, in mancanza di altre indicazioni, la causa
risultante dall’atto costituisce una sufficiente ragione pratica
dell’operazione.
Es. Mutuo disenso: non occorre ricercare una ragione giustificativa
dell’atto posto che l’interesse delle parti a revocare il loro contratto è
di per sé sufficiente.
- Il principio della causa non esclude che di fatto si
ricorra all’espediente di far figurare una causa lecita e
meritevole quando in realtà la causa è illecita e insussistente.
Sul piano giuridico il contratto deve reputarsi nullo e privo di
efficacia. Lo stesso per la donazione, in quanto la forma
pubblica dell’atto non basta a salvare da nullità l’attribuzione
che abbia la sua causa reale ad es. in un atto di estorsione.
Un’attribuzione con causa illecita o inesistente potrebbe essere
realizzata anche attraverso il ricorso a una transazione o a un
negozio di accertamento. Anche in tali casi si deve verificare
qual è la causa concreta e qualificare in conseguenza il negozio
(non si parlerà così di transazione se la controversia è
fittizia e se la concessione transattivi è in realtà
un’attribuzione che ha una sua diversa ragione giustificativa).
Esempi classici di negozi astratti sono la stipulatio e la mancipatio. Nel
diritto tedesco il trasferimento della proprietà si attua mediante un contratto
traslativo astratto, che produce effetto quale sia la causa dell’alienazione (la
mancanza di una causa adeguata conferisce tuttavia in capo all’alienante la
pretesa obbligatoria alla restituzione del bene). Questa astrattezza è
preordinata alla maggiore sicurezza della circolazione dei beni: essa si
realizza separando il negozio traslativo da quello obbligatorio nel quale si
esprime la giustificazione del trasferimento. Così, non è la vendita che
trasferisce il diritto ma il distinto negozio traslativo astratto. =>
L’eventuale nullità o illiceità della vendita non toglie che il compratore
divenga titolare del diritto.
Il nostro ordinamento ha invece accolto il principio con sensualistico, seguendo
l’indicazione del codice francese. Il diritto si trasferisce per effetto di un
unico contratto – il contratto causale che è assoggettato alla regola della
causa quale requisito essenziale. Se la causa manca o è illecita il contratto è
nullo e non produce effetti.

La causa come criterio di qualificazione dell'atto


In generale qualificare giuridicamente un atto vuol dire assegnarlo
ad una data categoria giuridica o giuridicamente rilevante. La
qualificazione del contratto è la sua valutazione giuridica secondo i
criteri distintivi della materia contrattuale.
Dobbiamo distinguere la qualificazione dall'interpretazione:
- L'interpretazione è una valutazione di fatto, mentre la
qualificazione è una valutazione giuridica la quale presuppone
l'avvenuta interpretazione, e cioè l'avvenuto accertamento del
contenuto del contratto e ha per oggetto tale contenuto.
- La distinzione tra qualificazione e interpretazione rileva sul
piano processuale:

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L’interpretazione è riservata al giudice di merito: la


Cassazione può censurare l'interpretazione del contratto per
violazione delle regole ermeneutiche ovvero per insufficienza o
incongruenza del ragionamento, ma non può sostituire la propria
interpretazione a quella censurata.
La qualificazione del contratto, in quanto valutazione
giuridica, non è invece riservata esclusivamente giudice di
merito. Se quest'ultimo qualifica erroneamente il contratto la
Cassazione può procedere direttamente alla corretta
qualificazione.
Le parti possono qualificare il contratto e la loro qualificazione
può rilevare, a sua volta, ai fini dell'interpretazione, in quanto
concorre ad accertare il significato dell'accordo. La qualificazione
delle parti non è tuttavia vincolante né per le parti stesse né per i
terzi, dovendo in ogni caso valere la qualificazione più appropriata
al complessivo contenuto del contratto.
Sono possibili varie qualificazioni del contratto in relazione alle
varie categorie in cui può essere intesa la materia contrattuale
secondo i diversi profili: dei soggetti (es. contratti
plurilaterali), degli effetti (es. contratti obbligatori), della
forma (es. contratti a forma pubblica) ecc.
La qualificazione del contratto è principalmente quella che lo
assegna ad un determinato tipo contrattuale. Questa qualificazione
procedere in base alla causa concreta del contratto.

Il contratto tipico (o nominato)


Il tipo contrattuale è in ampio senso il modello di un’operazione
economica ricorrente nella vita di relazione. L’attività negoziale
tende infatti a uniformarsi a determinati modelli che corrispondono a
ricorrenti bisogni della vita di relazione. Il tipo contrattuale si
distingue in:
- tipo legale: è un modello di operazione economica che si è
tradotto in un modello normativo, cioè in un modello di
contratto previsto e disciplinato dalla legge.
- tipo sociale: è un modello affermatosi nella pratica degli
affati ma non regolato specificamente dalla legge.
Il tipo viene solitamente riferito al primo significato: quando si
parla di CONTRATTO TIPICO si intende il contratto tipico legale (o
contratto nominato).
Il contratto nominato è, precisamente:
- una figura normativa che disciplina un tipo di operazione
economica (es. vendita, mutuo, appalto,…);
- il singolo, concreto contratto che si qualifica in un tipo
contrattuale legale (es. le parti hanno stipulato una vendita,
un mutuo, un appalto…).
Quando il singolo contratto trova integrale riscontro in uno di
questi modelli si qualifica come contratto tipico, in quanto
corrispondente a un determinato tipo legale.

I contratti tipici, proprio perché previsti e regolati dalla legge,


hanno tutti una causa (cd. causa tipica), e per essi non si pone il
problema di accertare la ricorrenza o no di una funzione economico-

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sociale. L'operazione di qualificazione del contratto procede proprio


in base al confronto di tale contratto con le tipiche operazioni
negoziali.
Tuttavia occorre anche tenere presente la causa concreta del
contratto: il contenuto del contratto è importante in quanto concorre
a rilevare qual è l’interesse effettivamente perseguito dalle parti.
Ciò che occorre vedere è se tale interesse corrisponde o meno a uno
degli interessi negoziali tipici.

Variazioni del tipo legale


L'importanza del riferimento alla causa può essere evidenziata quando
le parti predispongono un contenuto contrattuale che deroga alla
disciplina del tipo legale. La semplice non coincidenza del
regolamento negoziale con quello legale non basta ad escludere la
qualifica del contratto secondo quel determinato tipo. D'altro canto,
occorre anche sapere quali sono i limiti oltre i quali la disciplina
del contratto non può essere derogata senza alterare il tipo legale.
L'accertamento di questo limite può essere compiuto solo con
riferimento al significato dell'operazione economica espressa dal
contratto tipico.
La compatibilità delle varianti con il tipo legale deve essere
riconosciuta, in particolare, quando gli elementi ulteriori che le
parti perseguono hanno carattere di complementarietà o accessorietà
rispetto all'interesse principale.
- Quando le particolari finalità dell'operazione sono compatibili
con il tipo legale il contratto si qualifica in base a
quest'ultimo con l'applicazione della relativa disciplina. Le
finalità particolari conservano tutta la loro rilevanza ai fini
di un trattamento del contratto aderente alla realtà
dell’operazione che le parti hanno voluto porre in essere.
- La disciplina dei contratti tipici è generalmente quella che
meglio risponde a un’equilibrata considerazione degli interessi
delle parti secondo un dato modello. La presenza di particolari
finalità può tuttavia rendere appropriata una deroga al
regolamento legislativo. Se tali finalità tendono a tipizzarsi
al di fuori degli schemi legali, la disciplina del contratto
deve adeguarsi alle varianti emergenti nella pratica. In tal
senso trovano ingresso le clausole negoziale d'uso.

Il contratto innominato (o atipico)


= contratto che non rientra in un dato tipo negoziale.
La possibilità di stipulare contratti innominati è espressamente
prevista in sede di riconoscimento normativo dell'autonomia
contrattuale. Nell'esercizio di tale autonomia le parti possono,
infatti, stipulare contratti che non rientrano nei tipi legali purché
diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo
l'ordinamento giuridico.
La semplice coincidenza del contratto con uno schema legale non è
sufficiente a verificare la meritevolezza dell’interesse perseguito.
In ogni caso si tratta di ricercare la causa concreta del contratto,
la quale non deve violare i limiti generali imposti all’autonomia
privata e dev’essere meritevole di tutela.

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Nella pratica degli affari si assiste al continuo fenomeno della


tipizzazione sociale di contratti innominati, quali modelli che
rispondono a nuove esigenze pratiche.

I contratti innominati sono regolati dalla disciplina del contratto


in generale.
Tale disciplina può essere integrata dall’applicazione della
specifica regolamentazione di determinati tipi legali. Questa
applicazione deve tuttavia prescindere dalla qualificazione parziale
del contratto secondo figure tipiche. Si tratta invece di ricorrere a
un procedimento analogico che confronti le singole situazioni
contrattuali con situazioni simile regolate dalla legge e, tenendo
conto della ragione di questa, verifichi di volta in volta quale
soluzione normativa appare più appropriata in relazione al caso
concreto.

Il contratto misto
Di contratto misto si hanno due distinte nozioni:
a) Secondo la nozione corrente in giurisprudenza il contratto si
dice misto quando in esso concorrono gli elementi di più negozi
tipici che si fondono in un’unica causa.
Es. accordo mediante il quale una società si obbliga a svolgere
un’attività promozionale per la diffusione di un prodotto
ottenendo l’esclusiva della vendita del prodotto stesso
(commistione di vendita e mandato).
b) Di contratto misto si parla anche con riferimento all’ipotesi di
una pluralità di cause concorrenti nell'unicità del rapporto
(es. la vendita mista a donazione).

Nell'una e nell'altra ipotesi (fusione e concorrenza di cause) il


contratto misto è inteso come un contratto unico, essendo unica la
causa o la prestazione. L'alternativa al contratto misto è quella dei
contratti funzionalmente collegati.
Il contratto misto non costituisce un autonomo tipo negoziale. Se le
cause, secondo la nozione di contratto misto accolta dalla
giurisprudenza, si fondono in un'unica causa, il contratto è allora
senz'altro un contratto innominato poiché tale unica causa non trova
riscontro in un tipo legale.

Tuttavia la commistione di più cause tipiche corrispondenti agli


schemi di più contratti nominati pone il problema di quale sia la
disciplina legale tipica alla quale ricondurre il contratto.
La dottrina del contratto misto propone due principali criteri per
risolvere tale problema:
a) Teoria dell'assorbimento: sarebbero applicabili le norme di
quello che presenta elementi prevalenti sull'altro (o altri);
b) Teoria della combinazione: ciascun elemento contrattuale
dev’essere disciplinato dalle regole del tipo cui l’elemento
appartiene.
La giurisprudenza si avvale sia del criterio dell'assorbimento sia di
quello della combinazione: essa applica la disciplina del tipo
identificato dall’elemento principale (o prevalente), se però il

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contratto presenta elementi riconducibili ad altri tipi contrattuali


applica ad esse la disciplina di quei tipi (sempre che si tratti di
discipline compatibili).

La vendita mista a donazione:


= alienazione in cui l’alienante cede il bene per un corrispettivo
inferiore al suo valore di mercato con l’intento di realizzare una
parziale attribuzione gratuita, o l’alienatario corrisponde un prezzo
superiore al valore del bene per arricchire l’alienante della
differenza.
Esempio di contratto misto, inteso nel significato di contratto unico
caratterizzato da più cause concorrenti.

Il collegamento negoziale
= Più contratti si dicono collegati quando sussiste tra di essi un
nesso di interdipendenza.
Il collegamento può essere:
- volontario: è previsto specificamente, risulta dallo specifico
intento delle parti di subordinare la sorte di un contratto a
quella dell’altro;
- funzionale: risulta dall’unitarietà della funzione perseguita,
ossia quando i vari rapporti negoziali posti in essere tendono a
realizzare un fine pratico unitario. In tal caso i singoli
rapporti perseguono un interesse immediato che è strumentale
rispetto all’interesse finale dell’operazione. Questo interesse
finale concorre a determinare la causa concreta del contratto
poiché è l’interesse che il contratto è diretto a realizzare.

In giurisprudenza si ammette, infatti, che le parti nell'esercizio della loro


autonomia contrattuale possono dare vita con un solo atto a diversi e distinti
contratti che, pur conservando l'individualità propria di ciascun tipo negoziale
e pur rimanendo sottoposti alla relativa disciplina, possono tuttavia risultare
collegati tra loro, funzionalmente e con rapporto di reciproca dipendenza, in
modo che le vicende dell'uno si ripercuotono sugli altri, condizionandone la
validità e l'esecuzione.

Esempio di contratti collegati è quello, già segnalato, della vendita


di merce che si accompagna a noleggio, da parte dell'alienante, delle
navi occorrenti per il trasporto della merce. Qui i contratti sono
funzionalmente collegati per il soddisfacimento di un interesse
economico unitario.
Il collegamento funzionale risponde al significato oggettivo
dell’operazione. L’interdipedenza dei rapporti non è un effetto
legale ma un risultato conforme all’interpretazione del contratto.
In dottrina si distingue anche il collegamento genetico e cioè quelle
collegamento per cui un negozio esercita un'azione (vincolativa o
meno) sulla formazione di un altro o di altri negozi (es. contratto
preliminare e contratto definitivo).

L'interdipendenza dei rapporti negoziale è normalmente reciproca nel


senso che la sorte di ciascun rapporto è legata alla sorte
dell'altro. E' tuttavia possibile anche un'interdipendenza

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unilaterale nel senso della sorte di un rapporto si ripercuote


sull'altro ma non viceversa.
Es.: l'interdipendenza unilaterale è riscontrabile delle ipotesi di
contratti accessori i quali seguono la sorte dei contratti principali cui
accedono (es. contratto di garanzia).

Il collegamento negoziale non presuppone necessariamente la


coincidenza soggettiva di tutte la parti; esso presuppone la
pluralità di contratti dovendosi altrimenti parlare di contratto
complesso.
La distinzione tra contratti collegati e contratti complessi deve
procedere con riferimento alla causa.
In un caso e nell'altro vi è una pluralità di prestazioni, ma nel
contratto complesso tali prestazioni sono riconducibili ad un unico
rapporto caratterizzato da un'unica causa. Nel collegamento
negoziale, invece, le singole prestazioni sono autonomamente
inquadrati in distinti schemi causali.

Ai contratti collegati si applicano (in virtù dell'unitarietà


funzionale dell'operazione) le regole:
- della nullità parziale (per cui l'invalidità di un contratto può
comportare l'invalidità degli altri che ad esso sono collegati);
- dell'impossibilità parziale sopravvenuta (per cui
l'impossibilità di esecuzione di un contratto può comportare la
risoluzione degli altri contratti);
- dell'inadempimento parziale (per cui l'inadempimento di un
contratto può comportare la risoluzione anche degli altri
contratti);
- dell'eccezione di inadempimento (per cui l'inadempimento di un
contratto può legittimare la parte a non eseguire gli altri
contratti).

Il negozio indiretto
= negozio volto al conseguimento di un risultato ulteriore o
addirittura diverso che non quello normale o tipico del negozio
stesso.
Es. matrimonio contratto per conseguire la nazionalità del coniuge,
mandato irrevocabile a vendere al fine di attribuire il bene al
mandatario; vendita a scopo fiduciario...
Il negozio indiretto si distingue da quello simulato: mentre nel
negozio simulato le parti si accordano per escludere gli effetti
dell'atto, in quello indiretto le parti vogliono realmente gli
effetti giuridici del negozio sebbene poi si prefiggano scopi
ulteriori rispetto a quelli normali dell'atto posto in essere. Questo
fine ulteriore, pur essendo anomalo, sarebbe comunque compatibile con
la causa di esso.
Parte della dottrina identifica nel fine ulteriore un semplice motivo
e ne deduce la inconfigurabilità di una categoria autonoma di negozio
indiretto.
Effettivamente, secondo il Bianca, il negozio indiretto non presenta
caratteri che ne giustificano l'inquadramento in un'autonoma categoria
giuridica. L'indicazione del negozio come indiretto vale solo a

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sottolineare che il negozio è uno strumento per il perseguimento di un


fine che va oltre quello desumibile dal tipo legale.
È discutibile, piuttosto, l’irrilevanza del fine ulteriore perseguito:
se si ha riguardo alla causa concreta del negozio, il fine ulteriore
incide su tale causa. Es. il mandato irrevocabile a vendere
nell’interesse esclusivo del mandatario appare estraneo alla causa del
mandato, essendo insussistente la ragione pratica del conferimento di un
incarico a compiere atti giuridici. Allo stesso modo, la vendita
fiduciaria con obbligo di ritrasferire il bene è estranea alla causa
della vendita quale operazione di scambio bene-prezzo.
Il richiamo al negozio indiretto è frequente in tema di vendita mista
a donazione e di vendita a scopo di garanzia. Anche qui si rileva
come l’intento di liberalità si sostituisce alla causa della vendita
e si traduce nella gratuità dell’attribuzione. Analogamente, la causa
della vendita risulta esclusa quando l’alienazione ha la funzione di
garantire l’adempimento dell’obbligazione del venditore o l’obbligo
di restituzione della somma versata (apparentemente) a titolo di
prezzo.
Diversa dalla nozione di negozio indiretto è la donazione indiretta,
quale atto diverso dalla donazione che porta ad un risultato di
liberalità (art. 809). La donazione indiretta non implica il
perseguimento di un fine anomalo rispetto al negozio giuridico
utilizzato, in quanto l’effetto giuridico favorevole può essere
connaturato all’atto (es.: remissione del debito).

Tipi contrattuali generali


I contratti si possono distinguere secondo tipi contrattuali generali
che rispecchiano generali esigenze della vita di relazione. Possono
distinguersi:
• contratti di scambio • contratti associativi;
• liberalità; • transazioni;
• concessioni in godimento; • accertamenti;
• prestazioni di servizi; • rinunzie;
• garanzie; • risoluzioni.

Di un’autonoma categoria contrattuale sembra che si possa parlare con


riguardo ai contratti del consumatore, assoggettati a un corpo di
norme che si inseriscono nella parte generale del contratto.

La corrispettività
I contratti a prestazioni corrispettive sono detti anche
sinallagmatici. Essi comprendono principalmente:
• i contratti di scambio,
• i contratti di concessione in godimento e di servizi a titolo
oneroso (locazione, lavoro subordinato, ecc.) in cui la
prestazione di una parte è compensata dalla controprestazione
dell'altra.

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La corrispettività comporta normalmente l'interdipendenza delle


prestazioni, che esprime in generale il condizionamento di una
prestazione all'altra.
Al riguardo si è soliti distinguere tra sinallagma genetico e
sinallagma funzionale.
• Sinallagma genetico: indica l'interdipendenza iniziale delle
prestazioni, nel senso che l’impossibilità iniziale di una
prestazione rende nullo l’intero contratto e quindi rende non
dovuta la controprestazione.
• Sinallagma funzionale: indica l'interdipendenza delle
prestazioni nell'attuazione del contratto, nel senso che una
parte può rifiutarsi di eseguire la prestazione se l'altra parte
non esegue la propria (eccezione di inadempimento: art. 1460) e
può essere liberata se la controprestazione diviene impossibile
per causa non imputabile alle parti (art. 1463) o se vi è grave
inadempimento della controparte (art. 1453).
Il principio dell'interdipendenza può entro certi limiti essere
derogato dalle parti. Es. il contratto può stabilire che una parte
non può rifiutasi di adempiere adducendo l’inadempimento dell’altra
(clausola solve et repete). Una parte può inoltre assumere il rischio
dell’impossibilità della controprestazione, come ad es. nella vendita
a sorte.
L’esclusione del diritto alla risoluzione del contratto per
inadempimento incontra il limite posto dal divieto delle clausole di
irresponsabilità per dolo o colpa grave (art. 1229).
Un punto concordemente ammesso in dottrina è che la corrispettività
non si identifica con l'onerosità. Non basta il dato dell'esistenza
di prestazioni a carico delle due parti per identificare in nesso di
corrispettività.
Qualche difficoltà sorge quando si vuole puntualizzare esattamente il
significato del nesso che intercorre tra prestazione e
controprestazione.
a) Secondo una prima definizione vi è corrispettività quando
ciascuna prestazione è causa dell'altra.
b) Secondo un'altra formula la corrispettività consisterebbe nell'
interdipendenza delle prestazioni.
Tuttavia si potrebbe obiettare a questa formula che
l'interdipendenza è una regola che consegue alla corrispettività
delle prestazioni.
Inoltre, l'interdipendenza non è una regola esclusiva dei
contratti a prestazioni corrispettive e non può quindi servire a
identificare il concetto di corrispettività. Quale vincolo di
reciproco condizionamento l'interdipendenza si riscontra,
infatti, in tutti contratti in cui la prestazione di ciascuna
parte assume un'importanza determinante per la realizzazione
della causa del contratto. Così, ad es., nel contratto di
società, che certamente non è a prestazioni corrispettive, la
prestazione di ciascuno dei soci può essere talmente importante
per l'economia del contratto da condizionare la attuazione del
programma sociale e da condizionare le prestazione degli altri.
c) Altra formula intende la corrispettività come nesso di
reciprocità tra prestazioni.

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L’equivalenza delle prestazioni


Nozione distinta rispetto alla corrispettività è quella
dell'equivalenza delle prestazioni.
• L' equivalenza oggettiva: indica che il valore economico di una
prestazione corrisponde al valore dell'altra. Questa equivalenza
non è un requisito necessario dei contratti di scambio nè in
generale nei contratti a titolo oneroso. Le parti sono, infatti,
generalmente libere di determinare l'entità della prestazione e
della controprestazione. Di per sé lo squilibrio di valori tra
prestazione e controprestazione non esclude il nesso di
corrispettività.
• L'equivalenza soggettiva: indica l'equilibrio iniziale di valori
quale risulta fissato nei singoli contratti. Questa concreta
equivalenza delle prestazioni è rilevante soprattutto quando una
prestazione deve essere ridimensionata in relazione alla
parziale inesattezza o impossibilità della controprestazione. Ad
es. la riduzione del prezzo per i vizi della cosa deve avvenire
in maniera proporzionale alla diminuzione del valore del bene in
modo da rispettare l'iniziale equilibrio delle prestazioni
fissato nel contratto.

I contratti aleatori
= contratti nei quali alla prestazione certa di una parte corrisponde
una prestazione incerta dell'altra o nei quali vi è incertezza per
entrambe le parti.
Pertanto, all'atto della stipulazione del contratto, non è nota
l'entità del sacrificio o del vantaggio cui ciascuna parte si espone
(es. assicurazione, scommessa).
Il contratto aleatorio è, in altri termini, caratterizzato dal
rischio (posto a carico di una o di entrambe le parti) di un evento
casuale che incide sul contenuto del diritto o della prestazione
contrattuale.
L' assunzione del rischio può inerire al tipo di operazione negoziale
(es. assicurazione) o può essere prevista dalle parti in deroga alla
regola legale di ripartizione dei rischi (es. contratti aleatori per
volontà delle parti).

I contratti aleatori si contrappongono a contratti commutativi:


contratti in cui l’entità delle reciproche prestazioni non dipende da
fattori casuali.
I contratti aleatori non si contrappongono, invece, ai contratti
corrispettivi, in quanto l'aleatorietà non esclude la corrispettività
delle prestazioni. L'alea si traduce, infatti, nella incertezza
totale o parziale di una delle prestazioni ma il diritto ad una
prestazione incerta costituisce pur sempre termine di scambio verso
la controprestazione.
• In certi casi l’interesse che il contratto è diretto a
realizzare è proprio l’assicurazione del rischio. L’interesse di
una parte è quindi soddisfatto per il fatto stesso che l’altra è

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obbligata a corrispondere un indennizzo nella eventualità di un


evento dannoso non imputabile ai contraenti.
• In altri casi l’interesse della parte è costituito
dall’acquisizione di un’occasione favorevole, in ragione della
quale si giustifica il corrispettivo (es. scommessa).
• In altri casi, ancora, la parte assume a suo carico il rischio
di un eventi che colpisce la prestazione dovutagli. Ma anche se
questa mancasse del tutto, non verrebbe meno la funzione di
scambio del contratto.

Il carattere aleatorio del contratto rileva principalmente in tema di


rescissione per lesione.
L'alea che caratterizza i contratti aleatori incide sul contenuto
delle prestazioni ed è quindi estranea all'alea delle variazioni di
costi e di valori delle prestazioni. Quest’ultima inerisce di regola
ad ogni operazione contrattuale ed è a carico di ciascuno dei
contraenti quando non supera i limiti della normalità. L'alea delle
variazioni di costi e valori che rimane entro il limiti della
normalità costituisce l'alea normale del contratto.
Superati i limiti dell'alea normale la prestazione diviene
eccessivamente onerosa prospettando, quando ne ricorrano gli estremi,
il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità (art. 1467).
Tale rimedio è precluso nei contratti aleatori (art. 1469), ma sempre
che ha la sopravvenuta eccessiva onerosità rientri nel rischio
assunto dalla parte.

I contratti a titolo oneroso e gratuito


→ Il contratto è a titolo oneroso quando alla prestazione principale
di una parte corrisponde una prestazione principale a carico
dell'altra.
- contratti a prestazioni corrispettive;
- contratti associativi.
Il connotato del contratto a titolo oneroso è visto specificamente
nel vantaggio che ciascuna parte riceve in corrispondenza della sua
prestazione.
- Tale vantaggio non significa che la prestazione della parte
debba trovare un compenso in un incremento economico (es.
potrebbero soddisfare un interesse non patrimoniale). Ciò che
conta è che all’attribuzione di una parte faccia riscontro
un’attribuzione a carico dell’altra.
- Il contratto rimane a titolo oneroso anche se la parte riversa
il vantaggio a favore di altri, poiché a tale risultato è
raggiunto mediante un atto di disposizione del diritto
contrattuale. Ciò deve dirsi in particolare per il contratto a
favore di terzi che è a titolo oneroso in quanto ciascuna parte
è tenuta ad una prestazione principale.

→ Il contratto è a titolo gratuito quando conferisce un bene o un


servizio senza una corrispondente prestazione a carico del
beneficiario.

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- La previsione di una prestazione secondaria a carico del


beneficiario, cioè di un onere o modo, non toglie il carattere
di gratuità dell'atto. In primo luogo la prestazione può infatti
essere a vantaggio dello stesso beneficiario. In secondo luogo,
anche se a vantaggio del beneficiante o di un terzo, il modo
costituisce una semplice limitazione del beneficio attribuito.
Quale limitazione dell’attribuzione gratuita, il modo
costituisce una parziale onerosità del contratto.
- A titolo gratuito è normalmente l'atto di disposizione a favore
del terzo.

La donazione
Il più importante contratto a titolo gratuito è rappresentato dalla
donazione.
= contratto con il quale una parte (donante) per spirito di
liberalità arricchisce l'altra (donatario) disponendo di un diritto a
suo favore o assumendo un’obbligazione (art. 769).
Lo spirito di liberalità è causa del contratto: disporre dei propri
beni a beneficio altrui.
La rilevanza di questa causa è stata messa in dubbio assumendo che
ciò che conta è l’attribuzione donativa mentre lo spirito di
liberalità potrebbe essere solo un motivo dell’atto.
In realtà non basta l’intento di attribuire ad altri un proprio
diritto, ma occorre sempre che questa attribuzione abbia una sua
causa – quella di liberalità. Se l’attribuzione non ha il significato
sociale della liberalità, non è una donazione.
La causa della donazione è esclusa quando la finalità dell’atto non è
compatibile con il significato sociale della liberalità (es. quando
il fine dell’operazione sia unicamente quello di far pervenire il
bene a un terzo mediante l’imposizione di un “modo” al “donatario”:
non sussiste la causa della donazione bensì quella del mandato ad
alienare).
Il problema circa la rilevanza della causa della donazione deve
comunque essere discusso tenendo conto della causa concreta del
contratto. Il riscontro dell’intento di liberalità concorre a
identificare la causa del contratto, ma non può bastare in quanto
occorre avere riguardo alle varie finalità che integrano la causa
concreta nelle singole fattispecie.
A parte la rilevanza attribuita ad alcune specifiche finalità del
donante (es. donazione in riguardo di matrimonio), la rilevanza della
causa concreta della liberalità è generalmente riconosciuta in tema
di errore e illiceità del negozio.
- La donazione è annullabile per l’errore sul motivo che risulta
dall’atto e che è stato il solo a determinare il donante a
compiere la liberalità (art. 787);
- L’illiceità del motivo comporta la nullità della donazione (art.
788).

La distinzione tra atti onerosi e gratuiti rileva tendenzialmente nel senso di


una maggiore tutela del contraente a titolo oneroso:
- Azione di annullamento, che non dipenda da incapacità legale, non
pregiudica i diritti dei terzi di buonafede se tali diritti sono stati
acquistati a titolo oneroso.

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- Azione di petizione dell’eredità non pregiudica i terzi che in buonafede


abbiano acquistato diritti dall’erede apparente se l’acquisto è avvenuto a
titolo oneroso.
Il titolo gratuito comporta una minore responsabilità per l’inadempimento.
La distinzione rileva ancora in tema di revocatoria:
- per la revoca degli atti a titolo oneroso occorre il requisito della
consapevolezza del terzo in ordine al pregiudizio del creditore o la
partecipazione alla dolosa preordinazione nel caso di atto anteriore al
sorgere del credito.
- Il fallimento comporta senz’altro l’inefficacia degli atti a titolo
gratuito compiuti dal fallito nel biennio precedente. Gli atti a titolo
oneroso sono invece soggetti a revoca solo se si prova che l’altra parte
conosceva lo stato di insolvenza del debitore e semprechè sussista una
notevole sproporzione tra prestazione e controprestazione.

CAPITOLO IX - L'INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO


= insieme delle determinazioni del rapporto che hanno titolo nella
legge o in altre fonti esterne al contratto.
La regola di fondo dell'integrazione prevede che il contratto obbliga
le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte
le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza,
secondo gli usi e l'equità (art. 1374). Altra fonte di integrazione
del contratto, cui si riconosce particolare rilevanza, è la buona
fede (art. 1375).
L'integrazione può essere:
- cogente: quando determina coattivamente il rapporto contrattuale
nonostante una diversa volontà delle parti (es. prezzi
d’imperio).
- Suppletiva: quando determina il contenuto del rapporto
contrattuale in mancanza di una diversa previsione delle parti.
L'integrazione dei contratto, sia essa cogente o suppletiva, incide
su un rapporto che rimane pur sempre di natura contrattuale, perché
ha sempre la sua fonte costitutiva nell'atto di autonomia delle
parti.

a) La buona fede
La buona fede costituisce fonte primaria di integrazione del
contratto.
Il principio di buona fede è richiamato numerose volte nell'ambito
della disciplina generale del contratto: le parti devono comportarsi
secondo buona fede già nelle trattative, è richiamata come criterio
di interpretazione ed esecuzione del contratto. In questa previsione
emerge il ruolo della buonafede quale fonte di integrazione del
contratto.

In tema di esecuzione del contratto la buona fede assume significato


di buona fede in senso oggettivo o correttezza: generale dovere di
correttezza e di lealtà, che impone a ciascuna parte di tenere quei
comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali,
siano idonei a preservare gli interessi dell'altra parte.

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La buona fede nel nostro ordinamento, come già evidenziato,


rappresenta la fonte primaria di integrazione del rapporto in quanto
essa rappresenta uno dei principi cardine del nostro ordinamento
sociale (proprio perché essa comporta un obbligo di solidarietà
sociale).
Tuttavia, non mancano orientamenti secondo i quali la buona fede non
può essere considerata fonte di integrazione del contratto: per i
teorici di questa tesi la buonafede varrebbe solo a correggere il
rigoroso giudizio di formale conformità del comportamento alla legge.
La buona fede invece, precisa il Bianca, è pur sempre una regola
obiettiva che concorre a determinare il comportamento dovuto. La
buona fede non impone un comportamento a contenuto prestabilito, ma è
piuttosto una clausola generale che richiede comportamenti diversi,
positivi od omissivi, in relazione alle concrete circostanze di
attuazione del rapporto.
Nel nostro ordinamento l’applicazione giurisprudenziale del principio
di buonafede ha incontrato una certa difficoltà. Le massime
rispecchiano due diversi orientamenti:
a) Una tesi tende a sminuire il fondamento giuridico del principio
di buona fede;
b) Un'altra tesi, al contrario, esalta questo principio definendolo
come uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni,
ma non indica che cosa debba intendersi per buonafede o
correttezza.
A questo punto occorre chiarire che cosa si deve intendere per buona
fede o correttezza.
- I riferimenti al senso di solidarietà sociale, all'onestà,
alla schiettezza e alla diligente correttezza sono equivoci o
eccessivamente generici. Il tentativo dottrinario di dare al
precetto di buona fede il contenuto dei principi generali
dell'ordinamento o dei principi costituzionali non ha sortito
alcun risultato concreto in quanto il precetto è rimasta una
formula in bianco, non sufficientemente determinata e quindi
scarsamente utilizzabile come criterio di condotta e di
decisione.
- L'esigenza di ricercare una nozione operativa, avente un
reale valore pratico, ha indotto la dottrina a delimitare il
concetto di buona fede specificandolo come rispetto del
reciproco affidamento. In questo senso la buona fede non risulta
essere soltanto una generica solidarietà nei confronti dei
propri simili ma rappresenta la specifica lealtà che si impone
tra due individui legati da un vincolo di natura particolare.

Specificazione del principio di buona fede nei canoni della lealtà


e della salvaguardia
La buona fede è una clausola generale che non impone un comportamento
a contenuto prestabilito. Ciò peraltro non vuol dire che essa non si
presti ad essere sufficientemente determinata con riferimento a dati
effettivi tratti dall'esperienza della vita di relazione. Sulla base
dell'esperienza si può, infatti, affermare che la buona fede in senso
oggettivo o correttezza si riporta l'idea di fondo della solidarietà.
Ma con riferimento alle parti del rapporto contrattuale essa esprime

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una particolare esigenza di solidarietà che può indicarsi come


solidarietà contrattuale.
La buona fede come principio di solidarietà contrattuale si
specifica, ulteriormente, in due fondamentali canoni di condotta:
Lealtà del comportamento;
2) Obbligo di salvaguardia: impone l'obbligo di
ciascuna parte di agire in modo da preservare gli interessi
dell’altra a prescindere da specifici obblighi contrattuali e
dal dovere extracontrattuale del neminem laedere. Questo impegno
trova il suo limite nell’interesse proprio del soggetto: è
tenuto a far salvo l’interesse altrui ma non fino al punto di
subire un apprezzabile sacrificio, personale o economico.

La buona fede e la diligenza


L’obbligo di buona fede non deve essere confuso con l'obbligo di
diligenza.
- L'obbligo di diligenza, nei rapporti obbligatori e della
vita di relazione, impone l'adeguato sforzo volitivo e tecnico
per realizzare l'interesse del creditore e per non rendere di
diritti altrui. La diligenza misura, quindi, l'obbligo cui il
soggetto è tenuto per soddisfare l'interesse altrui
giuridicamente tutelato. Essa indica l’impegno del soggetto in
relazione al diritto altrui.
- La buona fede è invece una regola di condotta che impone
alla parte la considerazione dell’utilità dell’altra parte, cioè
la considerazione di quegli interessi che non sono oggetto di
una specifica tutela giuridica ma che, tuttavia, il corrente
deve salvaguardare in forza della solidarietà contrattuale.
L’obbligo della buonafede vieta un comportamento sleale e impone
di salvaguardare l’utilità della controparte, ma non giunge a
richiedere un impegno elevato sino alla soglia dello sforzo
diligente.

Tipizzazione dei comportamenti di buonafede


L'obbligo di buona fede non si presta ad essa è predeterminato nel
suo contenuto in quanto esso richiede comportamenti diversi in
relazione alle concrete circostanze. Tuttavia, ciò non preclude la
possibilità di poter tipizzare di massima dei comportamenti di
buonafede.
Il canone della lealtà si concretizza in tre principali comportamenti
negativi:
- non suscitare intenzionalmente falsi affidamenti,
- non speculare su falsi affidamenti,
- non contestare ragionevole affidamenti comunque ingenerati
nell'altra parte.
Con riguardo all' obbligo di salvaguardia possono segnalarsi i
seguenti comportamenti tipici:
a) Esecuzione di prestazioni non previste: pur se il
contratto non lo prevede, la parte è tenuta secondo buona fede a
compiere gli atti giuridici e materiali per salvaguardare
l'utilità dell'altra, nei limiti in cui ciò non comporti un
apprezzabile sacrificio.
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b) Modifiche del proprio comportamento: la parte è


tenuta secondo buonafede a modificare il proprio comportamento,
per salvaguardare l'utilità della controparte, salvo sempre il
limite dell'apprezzabile sacrificio.
c) Tolleranza delle modifiche della prestazione di
controparte: secondo buona fede, la parte tenuta a tollerare che
la controparte esegua una prestazione diversa da quella
prevista, se ciò non pregiudica apprezzabilmente il proprio
interesse.
d) Avvisi: la parte è tenuta a comunicare all'altra le
circostanze di cui sia venuta a conoscenza se tali circostanze
sono rilevanti per l'esecuzione del contratto.
e) Esercizio di poteri discrezionali: la parte è tenuta
ad esercitare il poteri discrezionali in modo da salvaguardare
l'utilità dell'altra compatibilmente con il proprio interesse o
con l’interesse per il quale il potere è stato conferito.
Un particolare merito deve essere riconosciuto alla nostra
giurisprudenza per avere introdotto il controllo giudiziale dei
poteri discrezionali sulla base del principio di buona fede. Il
principio è stato dichiarato applicabile in materia di poteri
disciplinari e di promozioni.

b) La legge. Norme dispositive.


Tra le fonti eteronome (= estranee alla volontà dei contraenti) di
integrazione del contratto la legge assume senz'altro un ruolo di
grande rilevanza.
Il contratto è ampiamente disciplinato, infatti, da norme legislative
e generali e particolari, che possono essere dispositive o cogenti.
L'applicazione delle norme dispositive dà luogo all'integrazione
suppletiva del contratto e le stesse norme sono dette suppletive.
Tali norme concorrono a determinare gli effetti del contratto in
mancanza una diversa volontà delle parti.
Le norme suppletive presuppongono, quindi, la lacuna contrattuale
cioè la mancanza della previsione delle parti in ordine ad un aspetto
del rapporto non suscettibile di essere colmata mediante
l'applicazione dei criteri ermeneutici.
In dottrina si vorrebbe ravvisare nelle norme suppletive una categoria
speciale di norme, le quali avrebbero la funzione di supplire,
nell’interesse del privato, una lacuna del contratto.
In realtà le norme suppletive rientrano nella comune categoria delle
norme dispositive e derogabili. L’autonomia delle norme suppletive
dovrebbe cogliersi nella peculiarità del loro presupposto, cioè
l’assenza di una diversa disposizione delle parti.

Norme cogenti. La sostituzione delle clausole invalide con


disposizioni legali.
Le norme integrative del contratto possono assumere il carattere
dell'inderogabilità quando tutelano un interesse generale prevalente
su quello delle parti o di una delle parti, o anche l’interesse di
una delle parti contro la forza contrattuale dell’altra.
Le disposizioni imperative si applicano direttamente al rapporto
contrattuale, nonostante la diversa previsione delle parti,

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realizzando, pertanto, un’integrazione cogente del contratto (es.


prezzi imperativi fissati mediante atti della pubblica autorità).
La tendenza dell’ordinamento è chiaramente nel senso di allargare
l’area di protezione della parte debole, introducendo una sempre più
ampia gamma di determinazioni legali del contratto che possono essere
derogate solo a favore della parte tutelata.
• Nullità parziale: le clausole contrattuali eventualmente
contrarie alle determinazioni legali inderogabili, sono colpite
da nullità in quanto contrarie a norme imperative. Ne consegue
la nullità parziale del contratto.
• Nullità totale: secondo la regola generale la
nullità di singole clausole importa la nullità del contratto se
risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza la
parte colpita da nullità (art. 1419). Questa regola non trova
applicazione quando si tratta di clausole nulle che derogano
alla determinazione imperativa del contratto. In tal caso opera
la regola della sostituzione delle clausole invalide con le
clausole e i prezzi imposti dalla legge o da altre fonti
autoritarie.
La modifica autoritaria del rapporto non ne tocca il suo carattere
negoziale in quanto costituito da un atto di autonomia privata. Gli
effetti legali concorrono a determinare diritti e obblighi che
ineriscono a tale rapporto, e sono assoggettabili alla sua disciplina
e alle sue vicende.

c) I contratti collettivi
Un’importante fonte di integrazione del contratto è costituita dai
contratti collettivi.
= contratti normativi stipulati dalle contrapposte associazioni
sindacali per disciplinare uniformemente i rapporti di lavoro della
categoria.
La Cost. prevede che il contratto collettivo possa assumere efficacia
generale, vincolante per tutti gli appartenenti alla categoria,
iscritti o meno al sindacato (art. 39). Questa norma non ha peraltro
avuto attuazione, e attualmente i sindacati stipulano contratti di
diritto comune.
Le parti dei contratti individuali possono accettare la tutela
collettiva del sindacato iscrivendosi ad esso, oppure possono
accettare l’attività o i singoli atti della tutela collettiva.
Nell’ambito della sua sfera di applicazione, il contratto collettivo
di diritto comune è fonte cogente di integrazione dei contratti
individuali di lavoro. I singoli rapporti, precisamente, sono
disciplinati dalle norme collettive che prevalgono sulle clausole
contrattuali in contrasto con esse. Le clausole difformi sono
sostituite di diritti da quelle del contratto collettivo, salvo che
contengano speciali condizioni più favorevoli al prestatore di
lavoro.
In quanto i contratti collettivi si presentano formalmente quali atti
negoziali di diritto comune la giurisprudenza non esita ad
assoggettarli alle norme di interpretazione del contratto e a

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escludere che l’errata applicazione della norma collettiva sia


censurabile in sede di legittimità.

d) Gli usi normativi


= norme non scritte che un ambiente sociale osserva costantemente il
tempo con il convincimento che si tratti di norme giuridicamente
vincolanti.
In generale, si fa ricorso alla consuetudine nelle materie non
regolate da leggi o da regolamenti o quando essa sia richiamata da
tali norme (art. 8 prel.).
La disciplina legale del contratto contiene numerosi richiami agli
usi:
- per determinare termini modalità o limiti del procedimento
formativo del contratto, della diffida ad adempiere, della
risoluzione della vendita per vizi…
- per concorrere a determinare le prestazioni contrattuali:
luogo di consegna del bene mobile venduto, termine di pagamento
del prezzo, ammontare del compenso dovuto al mandatario…
- richiamo generale come fonte di integrazione del contratto:
"il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo
espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano
secondo la legge, o, in mancanza, secondo gli usi e l'equità"
(art. 1374).

Questo richiamo consente una generale applicabilità degli usi in


materia contrattuale, senza la necessità di richiami specifici.
L’operatività di essi rimane tuttavia strettamente limitata in quanto
gli usi intervengono a colmare le lacune della disciplina legale. Se
non risulta diversamente, gli usi non possono prevalere sulla legge.

e) L'equità
L'equità è un fondamentale principio di integrazione del contratto.
Infatti, per tutti quegli aspetti del contratto che non sono
determinati dalla legge o dagli usi, è l'equità che assurge a
criterio generale di determinazione (art. 1374).
Tale criterio esprime l'esigenza dell'equilibrio contrattuale e cioè
che i singoli interessi siano contemperati in relazione all'economia
dell'affare.
Quale criterio di integrazione del contratto, l'equità va intesa come
criterio del giusto contemperamento dei diversi interessi delle parti
in relazione allo scopo e alla natura dell'affare.
L’equità è un precetto di giustizia contrattuale che ha come
destinatari le parti e trova applicazione al fine di integrare le
lacune delle regolamento contrattuale. Nell’esercizio della loro
autonomia contrattuale le parti non sono tenute a attenersi al
criterio dell’equità: tale criterio subentra piuttosto a contratto
concluso quando rimangono da definire aspetti non determinabili
mediante le altre regole di integrazione. Al criterio equitativo deve
poi attenersi il giudice tutte le volte in cui occorra determinare
taluni elementi del contratto già perfezionato.

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Il contratto può perfezionarsi anche nel silenzio delle parti in


ordine alla controprestazione di beni o servizi se la legge ne indica
specificamente i criteri di determinazione (tra questi, quello
equitativo). Nell’applicare questi criteri il giudice accerta il
contenuto del diritto spettante alla parte, non esercita un peculiare
potere di determinazione del contratto.
L’equità come fonte di integrazione è l'ultima, nella scala
gerarchica, delle fonti di integrazione del rapporto e interviene sul
rapporto contrattuale laddove non intervenga né la legge, né gli usi,
per regolamentare, secondo quella che per il caso concreto, può
costituire il miglior adattamento alla norma generale ed astratta, al
giudizio di il “comune buon senso” (di senso o giuridico in
generale).
Infine, l'equità opera anche nell'interpretazione del contratto. Sia
nell’integrazione che nell’interpretazione del contratto rileva la
stessa nozione di equità. In sede interpretativa l'equità è diretta
ad accettare il significato di una previsione contrattuale, in sede
di integrazione del contratto è volta a colmare le lacune del
contratto.

Equità e buonafede
Quale fonte di integrazione del contratto l'equità si pone assieme
alla buonafede tra i principi della giustizia contrattuale. Anche la
buonafede opera infatti nel senso di un giusto contemperamento degli
interessi delle parti.
• L’equità delimita i diritti e i doveri delle parti;
• la buonafede va oltre a questa delimitazione e richiede un
impegno di solidarietà che obbliga ciascuna parte a tener conto
dell'interesse dell'altra pur se si tratta di un interesse che
non trova specifica tutela nella pretesa contrattuale o in altri
diritti.
L'impegno della buona fede prevale su quanto hanno stabilito le
parti; l’equità, invece, può essere disattesa dalle parti, perché
alla loro decisione è rimessa la determinazione del contratto. La
violazione del criterio equitativo ha tuttavia una sua rilevanza in
quanto rende annullabile o rescindibile il contratto quando
l'iniquità ha causa nell'incapacità naturale del contraente o nella
sua eccezionale situazione di bisogno o necessità.
Attualmente il nostro ordinamento non appresta alcun rimedio se
l’iniquità del contratto è il risultato della diversa forza
contrattuale dei contraenti. Si avverte tuttavia la crescente
esigenza di un controllo del contratto secondo parametri di giustizia
quando l’iniquità risponde a una disparità socio-economica dei
contraenti. A questa concezione si ispira la nuova normativa a tutela
del contraente debole.

CAPITOLO X - L'EFFICACIA
L'efficacia indica, in generale, la produttività degli effetti
giuridici. Un contratto, pertanto, si può definire efficace quanto

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risulta produttivo dei suoi effetti giuridici (cioè il mutamento di


una situazione di diritto).
Il contratto è essenzialmente diretto a produrre effetti giuridici:
esso è l’accordo volto a costituire, modificare o estinguere rapporti
giuridici. L’efficacia del contratto rappresenta quindi l’attuazione
di ciò che le parti hanno disposto mediante il loro atto di autonomia
negoziale.
Gli effetti possono tuttavia divergere dal contenuto del contratto:
• Anzitutto, agli effetti previsti dalle parti si aggiungono gli
effetti integrativi, i quali possono colmare le lacune del
contratto o anche modificarne il contenuto. Possono quindi
esserci effetti giuridici non corrispondenti alle determinazioni
convenzionali, pur se compatibili con la causa del contratto.
• La divergenza tra contenuto ed effetti può, poi, rappresentare
un inadempimento del contratto, cioè la mancata o difettosa
attuazione dell'impegno della parte in ordine al risultato
programmato. In tal caso, il contratto è pur sempre efficace
perché obbliga la parte a realizzare quel risultato, ma esso
produce un effetto obbligatorio in luogo del previsto effetto
reale.

All'efficacia si contrappone l'inefficacia del contratto: può


indicare, in generale, l'improduttività di effetti del contratto ma
usualmente è intesa nella nozione più ristretta di inefficacia
provvisoria.
L'inefficacia provvisoria indica la temporanea improduttività
giuridica dipendente da una condizione volontaria o legale.
Precisamente, il contratto è provvisoriamente inefficace quando:
a) le parti stesse ne hanno subordinato l'efficacia ad un evento
futuro ed è incerto (condizione volontaria) oppure,
b) manca un requisito legale esterno al contratto (ossia non
facente parte dei suoi elementi costitutivi) al quale la legge
subordina l'efficacia del contratto (condizione legale).
Si parla di inefficacia provvisoria proprio perché essa è destinata a
venir meno col subentrare del requisito di efficacia oppure a
divenire definitiva quando è certo che tale requisito non potrà
subentrare.
L'efficacia provvisoria non esclude la vincolatività del contratto:
in attesa che il contratto diventi efficace le parti sono vincolate
all'accordo preso e possono svincolarsi solo nei modi usuali di
scioglimento del contratto. Le parti non devono impedire l’efficacia
del contratto, e secondo buonafede devono attivarsi, nei limiti di un
apprezzabile sacrificio, affinché il contratto acquisti efficacia.

Efficacia e validità
L'efficacia è una nozione distinta rispetto a quella di validità.
• La validità indica la regolarità del contratto: il contratto
valido è il contratto che risponde alle prescrizioni legali che
lo disciplinano.
• L'efficacia del contratto attiene, invece, all'attitudine
dell'atto a produrre i suoi effetti.

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L'atto valido è, per lo più, anche efficace: è normale, infatti, che


il contratto legalmente regolare sia idoneo a produrre suoi effetti.
Tuttavia, pur essendo valido il contratto può essere provvisoriamente
inefficace (es. apposizione di una condizione sospensiva o di un
termine iniziale).
Inversamente l'invalidità non comporta sempre l'inefficacia del
contratto. Al riguardo, occorre distinguere tra nullità e
annullabilità.
- il contratto nullo è definitivamente inefficace;
- il contratto annullabile è efficace fino a quando non intervenga
un'eventuale sentenza di annullamento.

Gli effetti contrattuali:


- effetti prodotti dal contratto;
- effetti integrativi: tali effetti, conformi alla legge o ad
altre fonti esterne, concorrono a disciplinare un rapporto che
ha nel contratto la sua fattispecie costitutiva (e normalmente
la sua primaria fonte regolatrice).
- Talvolta, gli effetti del contratto possono richiedere altri
presupposti (es. autorizzazioni, condizioni…), ma si tratta di
fattori che assumono un ruolo accessorio rispetto all'atto di
autonomia privata, sono cioè concause di effetti che devono pur
sempre imputarsi all’atto decisionale delle parti.

Gli effetti contrattuali possono distinguersi in:


- Costitutivi: si possono ulteriormente distinguere in effetti
obbligatori, reali e autorizzativi.
o effetto obbligatorio: consiste nella costituzione,
alienazione o modificazione di un diritto di credito;
o effetto reale: consiste nella costituzione, alienazione o
modificazione di un diritto reale;
o effetto autorizzatorio: consiste nell’attribuzione di un
potere o nella rimozione di un limite all’esercizio di un
diritto.
Il contratto può qualificarsi anche in relazione agli effetti
che produce:
o obbligatorio: produttivo di effetti obbligatori;
o ad effetti reali: produce un effetto reale immediato.

- Accertativi: accertamento identifica la particolare funzione


pratica del contratto e lo caratterizza quale autonoma figura
tipica. Tale figura non è prevista dalla legge (si tratta di un
contratto innominato) ma essa è generalmente riconosciuta da
dottrina e giurisprudenza.
Contratto di accertamento = contratto mediante il quale le parti
riconoscono l’esistenza o il contenuto di un loro rapporto
giuridico.
L’accertamento negoziale non ha efficacia costitutiva: è diretto
alla verifica di un rapporto preesistente ed è quindi inidoneo a
creare un titolo cui non corrisponda la realtà del rapporto
accertato. => Le parti possono sempre provare che il rapporto è
diverso rispetto a quello accertato.

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Funzione propria dell’accertamento negoziale è quella del


riconoscimento: le parti riconoscono reciprocamente obblighi e
diritti inerenti al loro rapporto e danno luogo alla presunzione
di esistenza del rapporto come accertato.
L’effetto accertativi rileva quindi sul piano probatorio, in
quanto il negozio dispensa ciascuna parte dall’onere di provare
il rapporto come accertato mentre pone a suo carico l’onere
della prova contraria.

- Estintivi

→ Contratti ad effetti obbligatori : danno luogo alla nascita di un


rapporto obbligatorio. In tali contratti l'effetto traslativo resta
sospeso fino a quando non si verificano determinate circostanze (nel
caso di cose altrui, l'acquisto della proprietà della cosa da parte
dell'alienante; nel caso di cosa futura il venire
resistenza della cosa promessa ecc...). Es.: il mutuo produce effetti
obbligatori, in quanto obbliga alla restituzione di quanto ricevuto
in prestito; il contratto preliminare che determina soltanto la
nascita dell'obbligazione delle parti di stipulare il contratto
definitivo.

→ Contratti ad effetti reali: sono quelli che comportano il trasferimento della


proprietà di un bene determinato o il trasferimento o la costituzione di un
diritto reale su un bene determinato o il trasferimento di altro diritto.
Nei contratti ad effetti reali la proprietà si acquista per effetto del solo
consenso legittimamente manifestato. L'immediatezza dell'effetto reale è
conseguenza del c.d. principio consensualistico o principio del consenso
traslativo in virtù del quale i contratti traslativi producono effetti dal
momento in cui le parti raggiungono l'accordo, non essendo necessario a tale
scopo provvedere anche a consegnare materialmente alla parte il bene.

In questo senso i contratti con effetti reali si distinguono dai contratti


reali. Per questi ultimi, infatti, non opera il principio consensualistico: essi
si perfezionano mediante una fattispecie complessa nella quale al consenso delle
parti legittimamente manifestato si aggiunge, come elemento costitutivo la
materiale consegna della cosa.

La distinzione tra contratti ad effetti reali e contratti ad effetti obbligatori


rileva in termini di assunzione del rischio contrattuale (intendendosi il
pregiudizio che la parte sopporta per l'incolpevole decremento dell'oggetto
della prestazione o per l'incolpevole inesecuzione del contratto): in tema di
contratti di alienazione il momento delle trasferimento del diritto assume
importanza fondamentale in relazione al passaggio del rischio della distruzione
o perdita del bene.
- Nei contratti ad effetti obbligatori (es. vendita obbligatoria): la
proprietà non passa in virtù del solo consenso manifestato dalle parti, ma
dal contratto sorge a carico dell'alienante l'obbligo di procurare
l'acquisto della proprietà al compratore. In questa ipotesi, dunque,
l'effetto reale si realizza in un momento successivo al consenso: ciò, ai
fini della legge determina, che solo con il passaggio del diritto si ha il
passaggio anche del rischio di un eventuale perimento o deterioramento
della cosa per caso fortuito. [N.B. nel caso in cui una delle prestazioni
diventa impossibile per causa non imputabile all'alienante la controparte
a diritto a ottenere la restituzione della prestazione (qualora questa sia

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stata già eseguita), ovvero è liberata dall'obbligo di eseguirla (qualora


non sia stata ancora eseguita].
- Nei contratti ad effetti reali: il trasferimento della proprietà della
cosa (o, in genere, del diritto oggetto della vendita) si produce per
effetto del solo consenso delle parti legittimamente manifestato; di
conseguenza è l'acquirente a subire il rischio del perimento o
deterioramento fortuito della cosa oggetto del trasferimento e rimane a
suo carico l'obbligo di pagare il prezzo se la cosa non gli è stata
consegna. In virtù del principio romanistico "res perit domino" (art.
1465).[n.b. La legge uniforme approvata dalla convenzione di Vienna
prevede la possibilità che le parti possano scegliere di stabilire che il
rischio passi, sia legato al momento della consegna].

La categoria dei contratti di alienazione


= contratti che hanno per oggetto una vicenda derivativa, e cioè i
contratti che hanno per oggetto il trasferimento di un diritto o la
costituzione di un diritto reale limitato (usufrutto, ipoteca, pegno
ecc... ).
Carattere comune di questi contratti è la natura derivativa della
vicenda programmata: infatti l'acquisto in essi previsto presuppone
l'anteriore appartenenza del diritto in capo ad un determinato
soggetto. L'esecuzione di tali contratti richiede, pertanto, la
legittimazione dell'alienante a disporre del diritto alienato. Es.:
vendita della proprietà, costituzione di usufrutto, cessione del
credito ecc.
La dottrina tende ad escludere che tra i contratti di alienazione
rientrino i contratti di concessione di diritti personali di
godimento (principalmente la locazione). L'esclusione appare
giustificata se si ritiene che l'impegno del concedente consiste in
un obbligo di fare godere il bene e il non di attribuire un autonomo
diritto di godimento.

Il principio consensualistico:
Nel nostro ordinamento i contratti di alienazione possono essere:
- traslativi: immediatamente produttivi dell’effetto di acquisto
del diritto in capo all’alienatario;
Di regola il contratto è traslativo quando ha ad oggetto: 1)
trasferimento della proprietà di un bene determinato; 2)
trasferimento o costituzione di un diritto reale; 3)
trasferimento o costituzione derivativa di altri diritti. In
tali casi l’acquisto del diritto si determina per effetto del
consenso delle parti legittimamente manifestato (art. 1376).
- obbligatori: obbligano l’alienante a tale risultato.
Il principio con sensualistico (o del consenso traslativo) risale
alla regola dettata dal codice napoleonico, in recepimento di una
regola già vigente nelle regioni di tradizione romanistica. La regola
fu poi recepita dal c.c. italiano del 1865.
Superamento della diversa regola dell’investitura formale del diritto, che nel
diritto romano si era tradotta nella necessità della consegna della cosa al fine
della trasmissione della proprietà.

L’obbligo di far acquistare il diritto

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Il contratto di alienazione non realizza sempre l'effetto immediato


dell'acquisto del diritto in capo all'alienatario. L'immediatezza
dell'effetto traslativo può essere preclusa:
- dal fatto che il contratto ha per oggetto cose generiche, e cioè
cose determinate solo del genere;
- dal fatto che il contratto ha per oggetto dei futuri;
- in quanto l'alienante, senza esserne legittimato, ha disposto di
un diritto altrui;
- in quanto le parti rinviano ad un momento successivo il
verificarsi dell'effetto acquisitivo.
In tutti i casi in cui l'acquisto non è un effetto immediato del
contratto l'alienante è obbligato a fare acquisire il diritto
all'alienatario. Questo obbligo non ha bisogno di una apposita
previsione delle parti: esso scaturisce direttamente dal significato
di impegnatività dei contratto in ordine al risultato programmato.
- Se l'acquisto si determina a seguito del semplice consenso, in
applicazione del principio consensualistico, il contratto
realizza immediatamente il risultato programmato senza la
costituzione di un rapporto obbligatorio.
- Se l'acquisto non avviene a seguito del solo consenso, l'impegno
contrattuale si produce nella necessità di conseguire il
risultato è questa necessità, sul piano giuridico, rilevano in
termini di rapporto obbligatorio.
L’adempimento dell’obbligazione dell’alienante può richiedere
attività varie e può dipendere dal concorso di fattori non
controllabili da parte dell’alienante. Es. nell’alienazione di cose
future la venuta ad esistenza del bene non è un evento futuro e
incerto rispetto al quale rilevi solo un comportamento dell’alienante
contrario a buonafede. L’acquisto del bene è il risultato al quale
l’alienante è impegnato, ed egli è responsabile se il mancato
acquisto del diritto dipende da sua colpa.

L’alienazione di cose generiche:


Costituisce una tipica ipotesi di alienazione obbligatoria:
alienazione di cose determinate solo nel genere (art. 1378).
Di massima l’alienazione di cose generiche è anche alienazione di
cose fungibili. La fungibilità è tuttavia una nozione diversa e non
coincidente con quella di genericità in quanto attiene a un carattere
obiettivo del bene (mentre la genericità è un modo di previsione del
bene quale oggetto del contratto). Cose fungibili sono quelle che nel
comune apprezzamento socio-economico entrano in considerazione per i
loro caratteri generici e non per la loro identità.
- L’alienazione di cose generiche può essere alienazione di cose
specifiche, e produrre l’immediato effettivo traslativo del
diritto (es. vendita di una partita di merce depositata in
magazzino).
- L’alienazione di cose generiche è invece alienazione di cose che
non sono designate nella loro concreta identità ma con esclusivo
riferimento alla loro appartenenza a un genere. L’alienazione di
queste è quindi una vendita obbligatoria, in quanto manca il

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riferimento a beni concreti identificabili come oggetto


dell’effetto traslativo (es. vendita di 100 quintali di grano).
L’alienazione di cose generiche deve ritenersi ammissibili anche
in relazione a beni infungibili (es. quadri di un determinato
autore).
È ammissibile una vendita generica di immobili quando le parti
abbiano considerato l’immobile in relazione alla sua
appartenenza a un genere? Sì, sempre che l’oggetto risulti
sufficientemente determinato o determinabile. Un’alienazione
generica di immobili è conosciuta nell’esperienza come
alienazione di un lotto o unità da scegliersi da lotti o unità
equivalenti facenti parte di un più ampio complesso immobiliare
(si tratta di un genere limitato).
Rispetto all’alienazione di cose generiche deve distinguersi
l’alienazione di massa, cioè di un gruppo concretamente
identificato di cose mobili. Nell’alienazione di bassa il
diritto si trasferisce immediatamente per effetto del consenso,
anche se per determinati effetti le cose debbano essere
numerate, pesate, misurate (art. 1377). Essa può comprendere
beni fungibili e infungibili.

La individuazione
Art. 1378: Nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento di
cose determinate solo nel genere, la proprietà si trasmette con
l'individuazione fatta d'accordo tra le parti o nei modi da esse
stabiliti.
L'individuazione è l'atto di assegnazione di cose concrete in
esecuzione di una obbligazione traslativa generica. Si potrebbe dire
con termini diversi che l'individuazione si identifica nella scelta,
cioè nella separazione di una cosa da una massa di cose dello stesso
genere.
La natura giuridica dell'individuazione non trova soluzione pacifica
in dottrina la quale la definisce ora come un fatto, ora come un atto
materiale, ora come negozio giuridico.
Nella previsione legislativa l’individuazione è fatta d'accordo tra
le parti o nei modi da esse stabiliti. Questa indicazione ha
costituito un argomento per ravvisare nella individuazione un negozio
bilaterale: in questo modo l'alienazione di cose generiche si
realizzerebbe attraverso un duplice contratto - obbligatorio e
traslativo.
In realtà, l'individuazione non rappresenta un nuovo contratto di
alienazione in quanto l'effetto traslativo è prodotto dal precedente
contratto obbligatorio. L'individuazione, secondo il Bianca, è un
atto dovuto dell'alienante che richiede l'accettazione dell'altra
parte. L'individuazione può anche non richiedere l'accettazione dell'
alienatario: quando si tratta di cose che devono essere trasportate
da un luogo all'altro l'individuazione si perfeziona mediante la
consegna al vettore o allo spedizioniere.

Requisiti dell’individuazione:

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Quale atto di assegnazione l’individuazione si perfeziona con la


destinazione di determinati beni a favore dell’alienatario a
soddisfacimento della sua pretesa traslativa generica.
Secondo un’opinione dottrinaria, requisiti dell'individuazione
dovrebbero essere la certezza e la definitività: cioè
l'individuazione dovrebbe essere eseguita in modo tale da rendere
impossibile la sostituzione del bene e la sua confusione con altri
esemplari dello stesso genere.
Però la legge non richiede tali requisiti ed essi non trovano nemmeno
giustificazione nei principi generali. L'unico requisito
dell'individuazione è piuttosto quello richiesto dalla sua stessa
funzione, cioè che il bene individuato sia identificabile quale
oggetto dell'effetto traslativo. In definitiva, compiuta e accettata
l’individuazione, il diritto si trasferisce indipendentemente dal
fatto che i beni siano ritirati dall’acquirente.
Se l’individuazione si è perfezionata con l’accettazione
dell’alienatario, l’alienante non può più disporre dei beni perché
questi sono ormai usciti dalla sua sfera giuridica patrimoniale.
L’alienante non può quindi revocare l’individuazione già accettata.
In applicazione dei principi dell’adempimento, può ammettersi la
liceità di un atto di sostituzione dei beni individuati e trasferiti
se tale atto non arrechi pregiudizio all’altra parte (es. alienante
che sostituisce i beni perché si accorge di merce viziata).

Trasferimento del diritto e passaggio del rischio:


Il momento del trasferimento del diritto assume un’importanza
fondamentale in relazione al passaggio del rischio della distruzione
o perimento del bene. Il trasferimento del diritto comporta infatti
che l’acquirente sopporta ormai gli eventi negativi che colpiscono i
beni essendo comunque tenuto al pagamento del prezzo.
Il tema del rischio del perimento non deve comunque essere confuso
con quello della responsabilità. La circostanza che il trasferimento
si sia realizzato non esclude una valutazione in termini di
inadempimento imputabile ogniqualvolta l’acquirente non abbia
esattamente conseguito quanto gli spetta o abbia successivamente
perduto quanto conseguito a causa del comportamento doloso o colposo
dell’alienante.

LA CONDIZIONE

= Avvenimento futuro ed incerto al quale le parti intendono


subordinare l'efficacia (condizione sospensiva) o la risoluzione del
contratto o di una singola pattuizione negoziale (condizione
risolutiva) – Art. 1353.
La condizione è un tipico elemento accidentale del contratto, nel
senso che può essere presente o meno all'interno del regolamento
contrattuale, senza che da ciò derivino conseguenze in ordine alla
validità dello stesso.
A seconda, poi, se posta dalle parti o prevista autoritativamente
dalla legge, la condizione può essere:

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• Volontaria: posta dalle parti. E’ tradizionalmente indicata come


elemento accidentale del contratto, in quanto non rientra tra i
suoi elementi costitutivi. Il contratto sottoposto a condizione
è, pertanto, un contratto perfetto e cioè completo di tutti i
suoi elementi costitutivi, mentre la condizione può incidere
sulla sua efficacia.
Essa assolve la funzione di dare rilevanza a un motivo della
parte o delle parti senza inserirlo nel contenuto dell’impegno
contrattuale.
Nell’esercizio della loro autonomia contrattuale le parti sono
in genere libere di sottoporre il contratto a condizione. Di
massima anche gli atti negoziali non contrattuali possono essere
condizionali, salvo che l’apponibilità di condizioni sia esclusa
dalla legge (es. girata, accettazione eredità) ovvero sia
incompatibile con la natura del rapporto (es. negozi familiari).
La condizione è anche comunemente identificata nell’evento
futuro e incerto dal quale dipende l’efficacia o la risoluzione
del contratto.

• Legale (condicio iuris): non è espressione di autonomia


negoziale in quanto imposta forzosamente da una norma di legge.
Può essere sospensiva o risolutiva.
Per tale ragione la condizione legale non è un elemento
accidentale nel negozio, ma un requisito necessario di efficacia
del contratto, con la conseguenza che la sua mancanza comporta
la risoluzione del contratto. Condizione legale è ad es. la
licenza di importazione ed esportazione, approvazione dei
contratti degli enti pubblici.
Si tratta comunque di un elemento legalmente necessario, e la
sua definitiva mancanza comporta la risoluzione del contratto.
In linea di massima la disciplina dettata per la condizione
volontaria risulta applicabile a una condizione legale, salve le
deroghe appropriate.
Per la dottrina prevalente, la condizione legale, al contrario
di quella volontaria, non produce al suo verificarsi effetti
retroattivi. Tale opinione appare ingiustificata dovendosi,
piuttosto, accertare, di volta in volta, se l'effetto
retroattivo contrasti con la natura del rapporto.

Condizione, termine, modo:


La condizione si distingue da:
- Termine: è una determinazione temporale che fa riferimento ad un
evento certo nel suo accadimento anche se è incerto il momento
nel quale l’accadimento avrà luogo.
Il criterio distintivo deve quindi basarsi sulla certezza o
incertezza dell’evento (se) mentre non ha rilievo la certezza o
incertezza del tempo (quando). Es. il riferimento alla futura
morte di una persona non costituisce condizione ma termine,
essendo certo l’evento ma incerto il tempo.
La condizione in generale può collegarsi ad un termine nel senso
che le parti possono procedere a una determinazione temporale

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del contratto subordinando l’efficacia o la risoluzione di esso


alla circostanza che per quella data sia accaduto o no un
determinato evento.
L’incertezza dell’evento caratterizza la condizione in quanto
rende incerto il rapporto. E’ tuttavia possibile che le parti si
riferiscano a un evento non per condizionare il contratto ma
esclusivamente in funzione temporale, anche se si tratta di un
evento che potrebbe non accadere.
La distinzione di maggiore importanza si ha tra condizione
sospensiva e termine iniziale. Il termine iniziale non incide
sull’attuale titolarità del diritto, di cui è rinviata nel tempo
solo l’esigibilità, mentre la condizione sospensiva conferisce
al titolare un’aspettativa.

- Modo: clausola dei negozi a titolo gratuito che obbliga il


beneficiario dell’attribuzione a devolverla in tutto o in parte
per una data finalità.
Anche la disposizione modale può portare alla risoluzione del
contratto. Nel modo tuttavia la risoluzione è una conseguenza
eventuale che deve essere prevista o desunta dal titolo e
rientra nel generale rimedio della risoluzione per
inadempimento. Nella condizione invece l’effetto risolutivo
consegue all’obiettivo verificarsi dell’evento in essa dedotto a
prescindere da ogni valutazione di responsabilità per
inadempimento.

Condizione sospensiva e risolutiva:


Una fondamentale distinzione è posta direttamente dal dettato
legislativo fra:
1) Condizione sospensiva: fa dipendere l’efficacia del contratto
dal verificarsi dell’evento. Prima del suo verificarsi il
contratto non produce effetti: le parti non sono tenute alla
realizzazione del programma contrattuale. L’inefficacia è però
provvisoria: essa esclude la sua impegnatività ma non la sua
vincolatività, le parti rimangono assoggettate al rapporto
contrattuale e possono sciogliersi da esso solo nei modi
ordinari di scioglimento del contratto.
In pendenza della condizione le parti non hanno il diritto
all’esecuzione del contratto, e i diritti da questo derivanti
non possono essere esercitati. Ne consegue, tra l’altro, che
tali diritti non sono soggetti a prescrizione.
2) Condizione risolutiva: è la condizione alla quale viene
subordinata la risoluzione del contratto. Il contratto è
provvisoriamente efficace e impegnativo per le parti, salva la
possibilità del venir meno della sua efficacia se si verifica
l’evento dedotto in condizione.
Il carattere sospensivo o risolutivo della condizione deve risultare
dall'interpretazione del contratto.

L'evento dedotto in condizione. Incertezza dell'evento

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In condizione può essere dedotto qualsiasi evento o fatto volontario


(condizione potestativa).
Requisiti dell'evento dedotto in condizione sono:
1) Incertezza: è il requisito determinante della figura della
condizione. Quando l'evento è certo trova piuttosto applicazione
la disciplina del termine. L'incertezza sussiste quando sia
obiettivamente impossibile sapere con certezza se un evento
accadrà o meno.
2) Futuro: secondo la formula legislativa l'evento dedotto in
condizione e anche futuro. La legge prevede la condizione
futura, in quanto il riferimento ad un evento passato o ad una
situazione presente esclude normalmente l'incertezza del
rapporto.
Le parti possono anche apporre al contratto una condizione
passata o presente in quanto ignorano se la situazione sia
accaduta o se il fatto sia esistente. Ma in tal caso si tratta
di un requisito attuale di efficacia del contratto e non di una
condizione. Non si instaura, quindi, la pendenza del rapporto
occorrendo solo accertare se il contratto sia definitivamente
efficace o inefficace.
La condizione passata o presente può tuttavia costituire una
vera e propria condizione quando eccezionalmente sussiste
incertezza obiettiva sul fatto o sulla situazione indicata dalle
parti e il relativo accertamento richiede un tempo apprezzabile.

Estraneità alla perfezione e all'esecuzione del contratto


- L’evento dedotto in condizione non deve identificarsi in uno
degli elementi costitutivi del contratto.
Nel procedimento di formazione del contratto le parti possono
riferirsi in forma condizionale agli elementi necessari per
integrare la fattispecie contrattuale, ma in tal caso si può
parlare solo impropriamente di condizione.
- La condizione non può nemmeno riguardare neppure l’esecuzione
del contratto. Se un determinato risultato rientra nel programma
contrattuale, la sua realizzazione attiene all’impegno della
parte; la mancata realizzazione comporta l’inadempimento.
La giurisprudenza, però, ha in alcuni casi ha ammesso la
compatibilità tra condizione ed adempimento nel caso in cui l'effetto
traslativo di un negozio venga espressamente subordinato
all'adempimento della controprestazione (es. la proprietà si
intenderà trasferita al compratore quando questo avrà terminato il
pagamento del prezzo). Questo costituisce una semplice garanzia che
non esclude l’immediata operatività del contratto, quanto meno in
ordine agli effetti obbligatori.
Se invece le parti intendono realmente subordinare l’efficacia del
contratto all’esecuzione della prestazione principale, ciò vorrebbe
dire che questa non è dovuta e che non costituisce adempimento
dell’obbligazione, essendo piuttosto rimesso alla parte decidere se
rendere o meno efficace il contratto mediante la prestazione. In
questo caso la parte ha un potere di opzione, la prestazione è libero
esercizio di tale potere.

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Possibilità e liceità della condizione:


In quanto l’evento dedotto in condizione dev’essere incerto, esso
dev’essere anche possibile. Se si tratta di condizione sospensiva la
sua impossibilità rende il contratto definitivamente inefficace. Se
si tratta di condizione risolutiva, si considera non apposta, non
essendo in grado di incidere sull’efficacia del contratto.
L’impossibilità deve essere intesa come assenza di un impedimento di
fatto o di diritto che renda certa l'impossibilità di avveramento
dell'evento secondo un giudizio di ragionevolezza.

L’impossibilità deve essere distinta rispetto all’illiceità della


condizione contraria a norme imperative, all'ordine pubblico e al
buon costume.
L’abusivo condizionamento della persona del contraente è
riscontrabile quando la condizione si sostanzi in un mezzo di
coercizione del soggetto, lesivo dei suoi interessi essenziali (es.
clausola che prevede come condizione risolutiva l’iscrizione a un
determinato partito politico).
L’illiceità è configurabile solo in quanto il fatto illecito si
assume come presupposto di un evento favorevole per l'autore del
fatto. In caso contrario, se l'inefficacia del contratto costituisce
una sanzione per la parte che ha compiuto l'illecito la condizione
deve ritenersi illecita.
A differenza della impossibilità, la illiceità della condizione rende
nullo il contratto anche quando si tratta di condizione risolutiva
(ratio: riprovazione sociale verso il contratto che sia lo strumento
di sollecitazione o speculazione dell'illecito).

La condizione potestativa
= l'evento in essa dedotto dipende dalla volontà di una delle parti.
Rispetto al contratto, la parte è giuridicamente libera di compiere o
non compiere una propria azione, subordinando a tale scelta la sorte
del contratto.
La condizione potestativa tutela l’interesse della parte a decidere
una propria azione e non l’interesse a decidere in ordine al
contratto.

La condizione potestativa non va confusa con la condizione meramente


potestativa che si ha quando il suo verificarsi è rimesso al mero
arbitrio della parte (Es.: se vorrò, ti assumerò nel personale).
Essa attribuisce alla parte un diretto potere decisionale
sull’efficacia o sull’inefficacia del contratto. L’esercizio di
questo potere può essere previsto in forma di dichiarazione espressa
di volontà.
Essa non è in verità una vera e propria condizione ma un potere di
revoca o recesso, e deve ritenersi validamente apposta nei limiti in
cui è ammissibile accordare ad una parte tale potere.

Il problema della validità della condizione si pone con riguardo alla


condizione sospensiva meramente potestativa, in quanto la legge
sancisce la nullità dell’alienazione di un diritto o dell’assunzione

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di un obbligo sospensivamente condizionate alla mera volontà


dell’alienante o del debitore (art. 1355).
La ratio di questa norma è stata ravvisata nell’incompatibilità tra
la condizione e la volontà di alienare o assumere l’obbligazione. In
realtà, è ben ammissibile che l’alienante a titolo oneroso si
riservi il diritto di accettare il contratto, essendo l’alienatario
nel frattempo vincolato dalla sua dichiarazione.
In base all’interpretazione del contratto occorre quindi accertare se
questo è stato concluso e se la parte, mediante la condizione, si è
riservata un diritto di opzione o se la condizione attesta solo che
la parte non è intenzionata a impegnarsi seriamente.

Tutela dell'aspettativa nascente dalla condizione


L'aspettativa di diritto è la pretesa alla conservazione degli
effetti eventuali derivanti da una fattispecie condizionale. Essa è
tutelata principalmente mediante la possibilità di opporre ai terzi
il relativo titolo di acquisto.
Ad es.: un'alienazione sotto condizione sospensiva non è traslativa del
diritto, ma l'acquirente è salvaguardato nella sua aspettativa nel senso
che, avveratasi la condizione, il suo acquisto prevarrà sugli atti di
disposizione compiuti dall'alienante in pendenza della condizione.
L'opponibilità è subordinata ai normali requisiti di opponibilità del
contratto. Così, se ad es. si tratta di un'alienazione immobiliare
occorrerà che l'acquirente sotto condizione sospensiva provveda alla
trascrizione del contratto.

In dottrina si è dubitato che l'aspettativa costituisca una posizione


giuridica autonoma. Nel contratto condizionato la parte si gioverebbe
per degli effetti propri di ogni contratto (in particolare della
vincolatività), mentre gli atti di disposizione non avrebbero ad
oggetto l'aspettativa bensì il diritto futuro.
La soluzione adottata dal nostro codice è nel senso dell'opponibilità
dell'aspettativa, sempre che siano stati assolti i relativi oneri
formali di opponibilità. Seppure entro i limiti derivanti
dall'incertezza del contratto, la regola dell'opponibilità consente
di disporre e di far circolare i diritti delle parti.
La regola dell’opponibilità dell’aspettativa condizionale dev’essere
tenuta distinta rispetto a quella della retroattività della
condizione. La prima attiene al conflitto degli acquisti derivanti
dalle posizioni condizionali, mentre la seconda disciplina le
conseguenze dell’avveramento della condizione sul rapporto
contrattuale.

Atti conservativi a tutela dell'aspettativa


In pendenza della condizione l'acquirente di un diritto sotto
condizione sospensiva può compiere gli opportuni atti conservativi, a
tutela della propria aspettativa. Atti conservativi può compiere pure
l'alienante di un diritto sotto condizione risolutiva.
La possibilità di compiere atti conservativi conferma la rilevanza
dell'aspettativa nascente dal contratto condizionato quale posizione
giuridica attualmente tutelata.
Il compimento di atti conservativi concerne, propriamente, la
possibilità di ottenere provvedimenti giudiziari cautelativi, cioè

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l'imposizione di una cauzione o anche la concessione di un sequestro


conservativo.

Comportamento delle parti in pendenza della condizione. L'obbligo


della buona fede.
In pendenza della condizione l'obbligato e l'alienante sotto
condizione sospensiva e l'acquirente sotto condizione risolutiva
devono comportarsi secondo buona fede al fine di conservare integre
le ragioni dell'altra parte, in modo da non pregiudicare le
aspettative della controparte.

In altri termini, la parte che ha la disponibilità del bene deve


attivarsi al fine di preservare il bene stesso in vista
dell’aspettativa dell’altra parte, il tutto ovviamente entro i limiti
dell'apprezzabile sacrificio. Essa non impone l’adozione di cautele
particolari oltre a quelle minime normalmente adottate dai
proprietari, né ad es. l’esercizio di azioni giudiziarie verso terzi
(es. denuncia di nuova opera).
L’avverarsi della condizione sospensiva può rendere efficace
l’impegno traslativo dell’alienante, e l’eventuale perimento o
deterioramento del bene si traduce in violazione di tale impegno,
valutabile secondo i principi dell’inadempimento.
La violazione dell'obbligo di buona fede comporta il risarcimento del
danno solo in quanto il bene risulti definitivamente acquisito dalla
parte lesa. È stata inoltre ammessa in giurisprudenza la possibilità
di ottenere immediatamente la risoluzione del contratto (spiegata in
dottrina nel senso che la violazione dell'obbligo giustifica già di
per sé l'interesse della parte a non essere ulteriormente vincolata
al contratto).

L’obbligo di non impedire l’avveramento della condizione


La parte, oltre a doversi comportare secondo buonafede per conservare
integre le ragioni dell’altra parte, è obbligata a non impedire
l’avverarsi della condizione. Se la condizione diventa impossibile
per causa imputabile alla parte, che aveva interesse contrario al suo
avveramento, si considera come avverata (art. 1359). La norma non si
applica alle condizioni potestative.
→ Si parla generalmente al riguardo di finzione giuridica, ma sembra
più esatto ravvisare nella previsione normativa una sanzione conforme
al principio secondo cui l’autore dell’illecito non può trarre da
questo effetti giuridici favorevoli.
Se l’evento impeditivi della condizione ha reso impossibile il
contratto, il comportamento della parte dà luogo al risarcimento del
danno positivo. Questo in particolare per quanto attiene alle
condizioni legali, il cui mancato avverarsi comporta la definitiva
inefficacia del contratto ma non preclude la resp. contrattuale della
parte che dolosamente o colposamente vi abbia dato causa.

Avveramento e non avveramento della condizione


La condizione si avvera quando si verifica l'ipotesi dalla quale
dipende l'efficacia o la risoluzione del contratto.

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- La condizione positiva, precisamente, si avvera quando si


realizzare le interessa dedotto; non si avvera in caso di
mancata realizzazione dell'evento positivo.
- La condizione negativa si avvera quando l'evento negativo non si
realizza o è ragionevolmente certo che non si potrà realizzare;
non si avvera se l'evento si realizza.
L'evento può dirsi realizzato se in base ad una valutazione pratica
sussiste corrispondenza tra l'evento reale e l'evento previsto.
Eventuali inesattezze non sono sufficienti ad escludere tale
corrispondenza salvo che esse siano talmente gravi da alterare il
significato socio-economico dell'evento.
L’evento già realizzato potrebbe venire meno per vicende successive
(es. licenza rilasciata viene annullata): si pone allora il problema
dell’incidenza di tali vicende sulla sorte del contratto
condizionato.
- Se si tratta di un atto giuridico: le vicende che rimuovono
l’atto (revoche, annullamenti, concessioni) incidono anche
sull’avveramento della condizione.
- Se si tratta di un fatto le vicende successive devono
considerarsi irrilevanti, salvo che dal contratto sia desumibile
che le parti abbiano dato rilevanza alla permanenza del
risultato dell’evento.
L’onere della prova dell’avveramento o del non avveramento della
condizione è a carico della parte che assume l’avveramento o il non
avveramento a fondamento della sua pretesa.

Effetto dell’avveramento e del non avveramento della condizione


L'avveramento della condizione rende definitivamente efficace il
contratto, ovvero lo risolve secondo che si tratti di condizione
sospensiva o risolutiva.
Il non avveramento della condizione rende il contratto
definitivamente inefficace ovvero definitivamente efficace.

L'effetto dell'avveramento o meno della condizione è, in linea di


massima, automatico non necessitando di ulteriori azioni o attività
ad opera delle parti.
La giurisprudenza è giunta ad affermare che in generale se la
condizione è posta nell’esclusivo interesse di una parte,
quest’ultima può rinunciare alla condizione dandone comunicazione
all’altra parte (cd. condizione unilaterale). In caso di condizione
bilaterale, ossia prevista a favore di entrambe le parti, queste
potranno concordemente decidere di non avvalersi dei gli effetti
relativi, considerandola quindi revocata.
La difficoltà teorica di questa revoca è che il mancamento della
condizione sospensiva renderebbe nullo il contratto, impedendone
quindi un recupero ormai tardivo. Rovesciando i termini del
ragionamento deve dirsi piuttosto che la possibilità del recupero
conferma che non si tratta di nullità bensì di inefficacia,
suscettibile di essere rimossa mediante la revoca della clausola da
cui essa deriva.

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L’esercizio della revoca pone il problema della sua opponibilità in tutte


le ipotesi in cui l’avveramento o il non avveramento della condizione
consoliderebbe l’acquisto in capo a terzi.
Es. A vende un immobile a B sotto condizione sospensiva posta a favore
dello stesso B; successivamente A vende lo stesso immobile a C; B rinuncia
alla condizione che nel frattempo è divenuta impossibile. Nasce in tal
modo il conflitto tra B e C.
a) il conflitto deve risolversi in base al regime di trascrizione: l’atto
di rinunzia va reso pubblico a pena di inopponibilità, come va resa
pubblica la clausola condizionale.
b) Il conflitto sarebbe ipotizzabile in pendenza della condizione, ma non
andrebbe risolto in base al regime della pubblicità immobiliare. La
rinunzia sarebbe insuscettibile di trascrizione, posto che essa non
modifica l’effetto del contratto condizionato.
c) Soluzione intermedia: la rinuncia alla condizione in pendenza di questa
travolge in ogni caso l’acquisto del terzo, poiché tale acquisto è
subordinato alla sorte del contratto condizionato, e se questo diventa
efficace il terzo non può comunque vantare un titolo prevalente.
Se invece il contratto condizionato sia divenuto inefficace per il
mancato avverarsi della condizione, è l’acquisto del terzo a conseguire
efficacia. In tal caso la rinuncia alla condizione opera in pregiudizio
del terzo e il conflitto va quindi risolto in favore dell’atto che sia
stato per primo trascritto.

Retroattività della condizione


La condizione come più volte detto ha, di massima, effetto
retroattivo: l’avverarsi di essa comporta l’efficacia o l’inefficacia
del contratto con decorrenza dal momento della sua stipulazione.
Il principio di retroattività lascia fermi gli atti di
amministrazione compiuti dalla parte che in pendenza della condizione
aveva l’esercizio del diritto. Gli atti di straordinaria
amministrazione rimangono fermi se utili o necessari per la
conservazione della cosa, e in tali casi il contraente ha diritto al
rimborso delle spese sostenute.
Anche riguardo agli effetti obbligatori la retroattività della
condizione sospensiva comporta che la titolarità del credito risale
al momento del contratto. Essa non comporta invece un giudizio di
inadempimento, posto che la non esecuzione del rapporto in pendenza
della condizione risponde alla disciplina del contratto. Ne consegue
che non sono dovuti gli interessi moratori né gli interessi legali
sulle somme di denaro liquide ed esigibili.
La condizione risolutiva comporta di massima il diritto alla
restituzione delle prestazioni effettuate in esecuzione del
contratto. Se si tratta di contratti ad esecuzione continuata o
periodica la condizione ha effetto non retroattivo (le prestazioni
eseguite non devono essere restituite, mentre rimane fermo l’obbligo
della controprestazione).
La regola della non retroattività riguarda anche il non avveramento
della condizione. Se non si avvera la condizione il contratto è
considerato definitivamente inefficace sin dal momento della sua
stipulazione.
D’altro canto il non avverarsi della condizione risolutiva comporta
la definitiva efficacia del contratto.

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CAPITOLO XI - I TERZI

EFFICACIA DIRETTA VERSO I TERZI

Il principio della relatività del contratto


Il contratto ha forza di legge tra le parti. Esso non produce effetto
rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge (art. 1372). →
In questa regola si esprime il principio di relatività del contratto.
Esso costituisce il retaggio del tradizionale assunto
dell’intangibilità della sfera giuridica individuale, che non può
essere modificata da atti negoziali altrui, vantaggiosi o
svantaggiosi.
Nell’attuale ordinamento il fondamento di tale regola deve essere
ricercato nella funzione dell’autonomia contrattuale: contratto come
espressione di autonomia privata.
→ La regola della relatività del contratto è posta a tutela della
sfera di libertà dei soggetti. D’altro canto, se il contratto è volto
a realizzare un effetto favorevole al terzo, sembra eccessivo
precludere questo effetto in ragione della libertà del terzo.
Riportata sul piano sostanziale degli interessi, la questione ha
trovato una soluzione di equilibrio: si riconosce efficacia al
contratto anche rispetto ai terzi, ma con esclusivo riferimento agli
effetti favorevoli e salva la facoltà di rifiuto del destinatario.

Il contratto a favore di terzi


= una parte (stipulante) designa un terzo quale avente diritto alla
prestazione dovuta dalla controparte (promittente) – art. 1411.
Il terzo acquista il diritto nei confronti del promittente per
effetto del contratto, ma lo stipulante può revocare o modificare la
disposizione a favore del terzo fino a quando questi dichiara di
volerne profittare.
Questa figura conferma che il nostro ordinamento ha abbandonato una
rigida delimitazione del principio di relatività del contratto
ammettendo che questo possa produrre effetti favorevoli in capo al
terzo, ma solo con riferimento a effetti favorevoli semplici (ossia
disposizioni che attribuiscono al terzo una facoltà o un potere senza
imporgli obblighi o oneri).
Problema: il contratto può avere effetti reali in favore del terzo?
La dottrina è divisa, prevale l’orientamento positivo.
In via di principio non ci sono ragioni per negare indistintamente la
possibilità che il contratto produca in capo al terzo l’immediato
acquisto di un diritto reale. Sembra tuttavia che debba escludersi
l’attribuzione della proprietà o usufrutto di beni immobili, considerati
gli oneri che ineriscono alla loro titolarità e il conseguente
potenziale pregiudizio.
Il contratto a favore di terzo si distingue rispetto a:
- rappresentanza diretta: lo stipulante non agisce in nome del
terzo (non è e non diviene parte del contratto).
- rappresentanza indiretta: la designazione non implica una
gestione per conto del designato.

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Lo stipulante potrebbe ance essere un mandatario del terzo, ma


gli interessi che giustificano l’attribuzione possono essere i
più vari (es. liberalità, mutuo, dazione in pagamento…). Lo
stipulante deve avere sempre un interesse che giustifichi
l’attribuzione al terzo (= causa della disposizione). Se la
causa manca o è illecita, la disposizione a favore del terzo è
nulla, mentre resta fermo il rapporto contrattuale tra
stipulante e promittente, e la prestazione è dovuta allo
stipulante.

La posizione del terzo e delle parti


Il terzo acquista il diritto alla prestazione nei confronti del
promittente come effetto diretto del contratto (art. 1411).
L’acquisto è provvisorio, in quanto può essere rimosso dal rifiuto
del terzo o dalla revoca dello stipulante. Lo stipulante può anche
modificare la disposizione a favore del terzo.
Rifiuto, revoca e modifica costituiscono negozi unilaterali
recettizi:
- rifiuto: è diretto a dimettere l’attribuzione dello stipulante e
deve essere comunicato a quest’ultimo;
- revoca e modifica: devono essere comunicate al terzo, in quanto
dirette a sottrargli o modificargli la posizione attribuitagli.
Con il rifiuto e la revoca l’acquisto del terzo è cancellato
retroattivamente e il diritto alla prestazione è direttamente
acquisito dallo stipulante. Il contratto può prevedere diversamente,
oppure può essere escluso dalla natura del contratto (e in tal caso
il contratto si risolve per impossibilità dell’adempimento).
A seguito dell’accettazione il diritto rimane invece definitivamente
acquisito dal terzo. L’accettazione può anche essere tacita e deve
essere comunque comunicata sia al promittente che allo stipulante.
- l’accettazione del diritto non comporta che il terzo diventi
parte del contratto. La titolarità del diritto deve considerasi
distinta rispetto alla titolarità del rapporto contrattuale
intercorrente tra stipulante o promittente. => Il terzo può
esercitare il suo diritto di credito nei confronti del
promittente e, in caso di inadempimento, avvalersi
dell’esecuzione in forma specifica e del risarcimento del danno.
Non può invece avvalersi dei rimedi contrattuali.
- Quale titolare del rapporto è lo stipulante che può esercitare i
rimedi contrattuali. Egli rimane titolare del diritto
all’esecuzione del contratto (azione per l’adempimento).
- Anche il promittente, quale parte del contratto, può avvalersi
dei rimedi contrattuali contro l’inadempimento dello stipulante
e può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto.
È possibile che in relazione al tipo di affare intercorrente tra
stipulante e terzo si voglia rendere più sicura la posizione di
quest’ultimo, astraendola dalle sorti del contratto da cui il credito
gli deriva. Per raggiungere questo risultato occorre che il
promittente assuma nei confronti del terzo un’obbligazione svincolata
dalle vicende del rapporto di base (cd. rapporto di provvista).

Terzi protetti dal contratto

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La prestazione contrattuale dev’essere di contenuto prudente per


evitare ingerenze dannose nella sfera giuridica del creditore: essa
deve rispettare quegli interessi socialmente apprezzabili che si
collegano alla sfera del creditore tramite rapporti di parentela,
servizio o ospitalità.
Problema: sono configurabili autonomi obblighi di protezione? Questi
obblighi sono configurabili anche nei confronti di soggetti estranei
al contratto?
→ Se la prestazione comporta normalmente la partecipazione di terzi
al godimento e ai rischi, può ammettersi che l’impegno di protezione
in cui essa si specifica sia inteso anche a favore di tali terzi. La
violazione di questo impegno darebbe luogo a una pretesa risarcitoria
da parte dei soggetti lesi che potrebbe essere fatta valere anche a
titolo contrattuale.
Questi terzi protetti rimangono comunque terzi rispetto al contratto,
e deve pertanto escludersi che possano esercitare i rimedi
contrattuali.

EFFICACIA RIFLESSA

Rilevanza e opponibilità
La regola della relatività del contratto riguarda l’efficacia
diretta del contratto: è intesa a stabilire chi sono i destinatari
degli effetti prodotti dal contratto – cioè le parti o i terzi.
L’efficacia riflessa del contratto si specifica nella:
a) rilevanza esterna del contratto quale presupposto di posizioni
giuridiche riguardanti i terzi;
b) nell’opponibilità del contratto in conflitto con i terzi.

a) La rilevanza esterna:
Si manifesta nella tutela dei diritti contrattuali nei confronti
della generalità dei consociati (erga omnes).
Il contratto tende a creare, modificare o estinguere posizioni
giuridiche che, pur non incidendo sulla sfera giuridica dei terzi,
devono essere rispettate dalla generalità dei consociati.
- Questa efficacia si ravvisa nei contratti di alienazione della
proprietà e di altri diritti reali, quali contratti che
trasferiscono diritti assoluti esperibili verso tutti e oggetto
di rispetto da parte della comunità. In questi contratti la
tutela dell’acquirente nei confronti dei terzi acquista
un’importanza primaria. Ad es. chi acquista la proprietà di un
bene vuole conseguire una posizione giuridica valevole verso la
generalità dei consociati (al di là dello stretto rapporto con
l’alienante).
- Ma anche i diritti relativi sono suscettibili di tutela nei
confronti della generalità dei terzi, e il loro acquisto può
quindi essere rilevante sotto questo aspetto.
La rilevanza esterna del contratto si manifesta poi nel senso che le
posizioni giuridiche contrattuali possono essere assunte a
presupposto di pretese e obblighi, poteri e soggezioni all’infuori
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del rapporto contrattuale (es. nell’ipotesi di vendita di un fondo


rustico, il vicino titolare di un diritto di prelazione può
esercitare il suo diritto di riscatto sul presupposto di un contratto
al quale è estraneo).
In generale il contratto è di per sé rilevante nei confronti dei
terzi. La nostra legge non prevede particolari requisiti di rilevanza
esterna del contratto. Tuttavia, chi vuole far valere un diritto deve
provare il fatto che ne costituisce il fondamento (art. 2697).
Mentre il contratto ha senz’altro rilevanza esterna nei confronti dei
terzi, la legge richiede determinati requisiti di opponibilità, cioè
determinati requisiti formali ai quali è subordinata la prevalenza
del contratto in conflitto con i terzi (es. trascrizione).

b) L’opponibilità
= prevalenza del titolo contrattuale di acquisto sul titolo vantato
dal terzo.
Il contratto di alienazione può determinare tre ipotesi di conflitto:
1) Conflitto con i terzi titolari:
a) titolari anteriori che non risultano avere trasmesso il
diritto né all’alienante né ai suoi danti causa (es.
alienante vende un bene rubato o un immobile altrui
approfittando di un’omonimia con il proprietario).
b) titolari anteriori che risultano avere trasmesso il diritto
all’alienante o a uno dei suoi autori in base a un titolo
invalido, inefficace o risoluto (es. donazione nulla).
c) coloro che hanno acquistato il diritto a titolo originario
in pregiudizio dell’alienante o dei suoi autori (es.
alienante dispone di un bene usucapito da un terzo).
d) coloro che derivano il proprio diritto da chi si trova in
una delle tre categorie precedenti.

2) Conflitto con i terzi aventi causa;


o quando la vicenda traslativa, costitutiva o estintiva
programmata da un contratto è in tutto o in parte
incompatibile con la vicenda programmata dall’altro (es.
sullo stesso bene sono attribuiti a più persone
successivamente diritti reali o personali che si escludono
o limitano tra loro);
o quando il titolare si obbliga successivamente verso più
persone ad alienare lo stesso bene.
o NON si pone propriamente tra i diritti ma tra gli atti, e
in particolare tra gli atti in quanto programmato vicende
giuridiche in tutto o in parte incompatibili.

3) Conflitto con i creditori dell’alienante


= coloro che hanno diritti di credito nei confronti di una
delle parti.
L’alienazione di un diritto interessa i creditori
dell’alienante perché sottrae al suo patrimonio un bene che
rientra nell’oggetto della garanzia patrimoniale.

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Essa si pone in conflitto con i creditori dell'alienante che


intendono esercitare la loro garanzia patrimoniale sul bene
alienato.

L’opponibilità del contratto esprime la tutela dell’acquirente e


risponde a una serie di esigenze:
- generale esigenza di sicurezza della circolazione giuridica:
l’incertezza sull’opponibilità dell’acquisto si traduce in
incertezza sull’acquisto stesso, e ciò rende più difficoltosa
l’alienazione.
- Esigenza di tutela del titolare, affinché possa conservare il
suo diritto senza essere espropriato da un abusivo atto di
disposizione compiuto da un soggetto privo di legittimazione.
- Nel conflitto con i terzi aventi causa l’esigenza di tutela
dell’acquisto si scontra poi con l’uguale e opposta esigenza di
cui sono portatori gli altri acquirenti.
- Nel conflitto con i creditori dell’alienante, l’esigenza di
tutela dell’acquirente si contrappone all’esigenza che la
garanzia patrimoniale del debitore non risulti svuotata dagli
atti di alienazione dei suoi beni.

La soluzione del conflitto tra acquirenti, terzi titolari e creditori


necessità dei criteri di soluzione che valgono a contemperare le
opposte esigenze e che tengano conto, per quanto possibile, della
diversa misura di tali esigenze. La legge non conosce una regola
unica di soluzione del conflitto ma regole diverse in ragione della
natura del diritto alienato e del tipo di conflitto.
- Generale requisito di opponibilità dei contratti mobiliari è la
consegna. Chi acquista una cosa mobile conseguendone in
buonafede il possesso può opporre il suo acquisto sia ai terzi
titolari, sia ai terzi aventi causa. Rispetto ai terzi creditori
è sufficiente l'atto di data certa.
- Per i contratti aventi ad oggetto diritti di credito è la
notificazione, la quale risolve il conflitto con gli altri
aventi causa, ma non rende opponibile l'acquisto al vero
titolare del diritto.
- Che i contratti immobiliari è la trascrizione sugli appositi
registri. Il conflitto con i terzi aventi causa e con i
creditori è risolto in base alla priorità della trascrizione:
chi trascrive un acquisto immobiliare rende fermo tale acquisto
contro altri atti di disposizione o esecuzione forzata per i
quali non sia stato preventivamente assolto lo stesso onere.

LA TRASCRIZIONE
La trascrizione è il generale regime di pubblicità e opponibilità
degli atti immobiliari. Essa si attua per mezzo dei pubblici registri
e ha principalmente ad oggetto gli atti che costituiscono, modificano
o estinguono diritti reali su beni immobili o beni mobili registrati.
Come regime di opponibilità la trascrizione è caratterizzata due
principi:

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a) Dichiaratività: la trascrizione non ha effetto costitutivo;


b) Priorità temporale: l’atto trascritto per primo prevale sugli
atti trascritti successivamente, anche se questi siano di data
anteriore.

Il principio della priorità temporale della trascrizione è espresso


nel c.c. da queste regole:
1) gli atti soggetti a trascrizione non sono opponibili ai terzi
che hanno acquistato diritti in base a un atto anteriormente
trascritto;
2) a seguito della trascrizione non può avere effetto contro colui
che ha trascritto alcuna trascrizione di diritti acquistati
verso il suo autore, anche se l’acquisto risalga a data
anteriore (art. 2644).

Oltre che come regime di opponibilità la trascrizione può essere


intesa quale requisito di opponibilità dell’atto: è l’operazione
amministrativa eseguita dalle conservatorie dei registri immobiliari
e mobiliari.
Il regime della trascrizione si realizza attraverso un servizio
pubblico, cioè il servizio delle conservatorie dei registri pubblici
che provvede alla trascrizione e alla pubblicità degli atti.
Attraverso la trascrizione viene attuata anche una funzione di
pubblicità degli atti. La funzione di pubblicità è strettamente
connessa ma distinta rispetto alla funzione primaria
dell’opponibilità dell’atto: in relazione a questa funzione la
trascrizione è un onere esclusivo. → L’atto non trascritto è
inopponibile al terzo trascrivente, anche se quest’ultimo ne abbia
avuto conoscenza certa.

Il sistema della trascrizione immobiliare


Il regime della trascrizione immobiliare si realizza attraverso un
sistema di pubblicità a base personale, cioè un sistema di registri
ordinati con riferimento alle persone e non ai beni. L’atto è
trascritto contro e a favore dei destinatari degli effetti di esso. I
registri consentono di accertare quali sono gli atti trascritti
contro o a favore di una determinata persona.
La trascrizione a base personale ha la sua matrice nel sistema francese.
Si differenzia rispetto al sistema tavolate di tipo germanico che è un
sistema a base reale, ordinato con riferimento alle singole unità
immobiliari.
Per essere trascritto, occorre che l’atto abbia la forma pubblica o
risulti da scrittura privata autenticata. In mancanza occorre una
sentenza di accertamento.
La domanda deve essere accompagnata dalla nota di trascrizione,
contenente gli elementi di identificazione dell’atto.
Una forma di trascrizione accessoria è costituita dall’annotazione
dell’atto, la quale è una registrazione eseguita a margine di altra
trascrizione. In particolare, la legge prevede l’annotazione delle
sentenze di nullità, annullamento, risoluzione, rescissione e
revocazione del contratto in margine alla trascrizione del contratto
nonché l’annotazione dell’avveramento della condizione risolutiva .

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Atti soggetti a trascrizione


Soggetti a trascrizione sono fondamentalmente i contratti traslativi
della proprietà di beni immobili e i contratti che costituiscono,
trasferiscono o modificano un diritto reale immobiliare di godimento
(art. 2643).
La legge indica poi gli altri contratti soggetti a trascrizione, tra
cui: locazioni ultranovennali, atti di liberazione o cessione di
fitti e pigioni non ancora scaduti per un periodo superiore a 3 anni,
contratti di società e consorzi che prevedono il conferimento del
godimento di immobili per oltre 9 anni o a tempo indeterminato.
→ Queste indicazioni non sono tuttavia tassative in quanto vige il
principio della generale trascrivibilità di qualsiasi atto negoziale
o provvedimento giudiziale che in relazione a beni immobili o diritti
reali immobiliari produca alcuno degli effetti indicati.
Comunemente ammessa è la trascrivibilità di contratti sottoposti a
condizione, risolutiva o sospensiva.
Tradizionalmente non sono considerati i contatti di alienazione ad
effetti obbligatori.
Oltre ai contratti la legge menziona espressamente gli atti
divisionali, l’accettazione di eredità e gli acquisti di legati.
Sono altresì soggette a trascrizione, se hanno per oggetto beni
immobili, le convenzioni matrimoniali che contengono la costituzione
del fondo patrimoniale o l’esclusione di beni dalla comunione nonché
gli atti e i provvedimenti di scioglimento della comunione.
La trascrizione è prevista per gli atti di acquisto esclusivo da
parte di uno dei coniugi in regime di comunione legale.
Sono inoltre soggetti a trascrizione il pignoramento immobiliare e il
sequestro conservativo immobiliare nonché la cessione dei beni ai
creditori.
Sono soggette a trascrizione, ancora, le domande giudiziali e
arbitrali che si riferiscono ai diritti derivanti da atti soggetti a
trascrizione. La sentenza è anch’essa soggetta a trascrizione, ma gli
effetti decorrono dalla trascrizione della domanda.
1) un primo gruppo comprende:
domande di risoluzione e rescissione dei contratti,
domande di risoluzione delle disposizioni testamentarie e delle
donazioni per inadempimento del modo,
domande di revocazione delle donazioni,
domande di impugnazione della rinunzia dell’eredità proposta dai
creditori del rinunziante,
domande dirette alla dichiarazione di nullità e annullamento,
domande dirette all’accertamento della simulazione, alla revocazione dei
contratti
domande di revocazione delle sentenze e di opposizione di terzo,
domande dirette all’esecuzione in forma specifica dei contratti
preliminari e all’accertamento di sottoscrizioni di scritture private.

L’acquirente che trascrive il proprio titolo dopo la trascrizione della


domanda giudiziale del terzo che agisce conto l’alienante, non può
comunque opporre il proprio acquisto nel caso in cui sia risolto o
annullato il titolo di acquisto del suo dante causa.

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2) un secondo gruppo comprende:


domande di rivendicazione e di accertamento della proprietà e altri
diritti reali,
domanda di devoluzione del fondo enfiteutico,
domanda di riscatto della vendita immobiliare,
domanda di interruzione dell’usufrutto di beni immobili,
domanda di scioglimento della comunione legale.

La trascrizione delle domande di rivendicazione, accertamento e


devoluzione ha funzione di pubblicità-notizia. Analogamente la domanda
di riscatto, salvo che la trascrizione avvenga dopo 60 giorni dalla
scadenza del termine di riscatto.
La trascrizione delle sentenze che accertano l’acquisto o l’estinzione
di un diritto reale immobiliare per usucapione o prescrizione ha
anch’essa funzione di pubblicità-notizia, e da essa prescinde
l’opponibilità dei titoli originari di acquisto. Essa è comunque
necessaria per assicurare la continuità delle trascrizioni.

Effetti della trascrizione:


a) Opponibilità:
L’effetto normale della trascrizione è quello di rendere opponibile
l'atto trascritto rispetto agli altri atti trascritti o iscritti
successivamente, anche se risalenti a data anteriore (art. 2644).
- In applicazione di questo effetto, tra più atti di disposizione
dello stesso diritto da parte del titolare prevale quello che è
trascritto per primo, a prescindere dal momento in cui gli atti
si sono perfezionati (es. se il titolare aliena lo stesso
immobile con atti successivi a più acquirenti, diventa
opponibile l’acquisto per il quale è stato per primo adempiuto
l’onere della trascrizione).
- L'opponibilità dell'atto anteriormente trascritto è subordinata
alla condizione della continuità delle trascrizioni precedenti,
per cui la trascrizione contro l’alienante non ha effetto se non
è trascritto anche il precedente atto di acquisto.
- L’opponibilità dell’atto trascritto vale anche rispetto ai
creditori dell’alienante: essi non possono soddisfarsi
sull’immobile alienato se il loro atto di pignoramento non sia
precedente alla trascrizione del contratto di alienazione.

b) Dichiaratività:
La trascrizione non ha efficacia costitutiva, perché essa non è
elemento di perfezionamento del contratto né requisito per l'acquisto
del diritto.
Essa non assicura quindi la validità e l'efficacia dell'acquisto, ma
consente all'acquirente di accertare che il suo dante causa risulta
titolare del diritto alienato in base ad una serie continua di
trascrizioni.
- Ciò tuttavia non conferisce la certezza assoluta che i titoli
trascritti siano validi e che l’alienante sia titolare del
diritto.
- La serie continua di trascrizioni non esclude, in particolare,
la possibilità che uno dei titoli trascritti sia annullabile.
L’annullamento non pregiudica i terzi acquirenti, in quando

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questi siano a titolo oneroso e di buonafede, semprechè non si


tratti di annullamento per incapacità legale.
- Deve pure escludersi che la trascrizione abbia effetto sanante
quando concorre, assieme al decorso del tempo, a salvaguardare
l’acquirente di buonafede contro le azioni di nullità o
annullamento del titolo dell’alienante o dei suoi danti causa.
Precisamente, le sentenze di nullità o annullamento non sono
opponibili al terzo acquirente di buonafede (che abbia
trascritto il suo titolo) se le relative domande giudiziali
siano state trascritte dopo 5 anni dalla trascrizione dell’atto
impugnato.

La trascrizione non è requisito di perfezionamento o validità del


contratto. Il contratto non trascritto è perfetto, valido e produce i
suoi effetti sostanziali: se l’alienante è titolare del diritto, o è
comunque legittimato a disporne, il contratto produce l’effetto
traslativo.
La mancanza di trascrizione espone il contratto a un pericolo di
conflitto con terzi aventi causa e creditori, risolto in favore del
primo trascrivente. In quanto privato del suo diritto l’acquirente
potrà esperire i relativi rimedi contrattuali nei confronti
dell’alienante.

Trascrizione e responsabilità dell’alienante e del trascrivente


La trascrizione è il requisito di opponibilità del contratto rispetto
agli atti assoggettati allo stesso regime della trascrizione e
iscrizione.
- Se un terzo ha un titolo che prevale in pregiudizio
dell’acquirente, ciò significa che l’alienante è inadempiente
perché l’acquirente non ha conseguito quando gli spetta.
- Sul contratto prevale anche il titolo di data successiva, se
trascritto per primo. Pur se di data successiva, il titolo che
prevale sul contratto costituisce comunque un’ipotesi di
violazione dell’impegno traslativo dell’alienante, poiché egli
deve evitare ulteriori atti dispositivi imputabili alla sua
sfera giuridica e lesivi della posizione trasferita.
L’acquirente ha l’onere di trascrivere il contratto per renderlo
opponibile ai terzi. La ritardata osservanza di questo onere lo
espone al rischio che il suo titolo debba cedere di fronte ad altro
titolo previamente trascritto. L’inosservanza della trascrizione non
esonera tuttavia l’alienante dalla sua responsabilità per
inadempimento quando l’acquirente si trovi in tutto o in parte
privato dell’acquisto.
La responsabilità dell’alienante può inoltre configurarsi quando non
cooperi per rendere l’acquisto opponibile ai terzi. Egli e tenuto a
colmare le eventuali lacune nella serie delle trascrizioni
preesistenti e a concorrere a formare i documenti ordinariamente
necessari all’acquirente per richiedere la trascrizione.

La responsabilità del trascrivente:


Gli effetti della trascrizione non dipendono dalla buona o malafede
del trascrivente: chi trascrive per primo rende prevalente il suo
atto anche se è a conoscenza di altri atti di data anteriore.

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la trascrizione non è fonte di responsabilità per il pregiudizio


sofferto dai terzi che non hanno tempestivamente trascritto il
proprio titolo. La responsabilità si profila piuttosto in relazione
alla trascrizione di atti nulli o non compresi tra quelli
trascrivibili.
La giurisprudenza è giunta a ammettere una responsabilità
extracontrattuale a carico del secondo acquirente il quale stipula il
contratto sapendo che il bene è stato già alienato ad altri ma
contando di trascrivere per primo.
- l’illecito del trascrivente si ravvisa nella cooperazione
all’inadempimento dell’alienante, il quale rialiena il bene in
violazione dell’impegno assunto con il primo contratto.
- Quella del secondo acquirente è la comune responsabilità
extracontrattuale che si restringe al dolo, in quanto non appare
ipotizzabile la colpa di tale soggetto.

Anche rispetto ai creditori dell’alienante la prevalenza del contratto


dipende esclusivamente dalla priorità della trascrizione. La malafede
del trascrivente può tuttavia concorrere a integrare la fattispecie
dell’azione revocatoria.
Oltre alla responsabilità del secondo acquirente si prospetta quella
del notaio o altro pubblico ufficiale che abbia rogato o autenticato
l’atto. A carico di tali soggetti la legge pone infatti l’obbligo di
curare che la trascrizione venga eseguita nel più breve tempo
possibile dovendo altrimenti rispondere del danno subito
dall’interessato a causa della ritardata trascrizione, e salve le
sanzioni pecuniarie di natura fiscale.
Altra responsabilità è prospettabile per le omissioni e errori in cui
incorra il conservatore dei registri immobiliari, nonché per
l’ingiustificato rifiuto di ricevere i titoli presentati per la
trascrizione. Dei danni causati risponde l’Amministrazione
finanziaria, salva la responsabilità del conservatore e salva
l’applicazione delle regole comuni sull’illecito civile.

Il sistema tavolare
In alcune regioni (FVG e Trentino-Alto Adige) è stato conservato il
sistema di pubblicità tavolare vigente nell’ordinamento austriaco.
Si distingue rispetto a quello della trascrizione in quanto è a base
reale, ha per oggetto il diritto e ha efficacia costitutiva.
- La pubblicità è attuata su libri fondiari ordinati con
riferimento alle unità immobiliari.
- L’iscrizione ha per oggetto il diritto immobiliare
dell’iscrivente.
- L’iscrizione ha efficacia costitutiva nel senso che l’iscrivente
consegue la titolarità del diritto reale solo a seguito
dell’intavolazione di esso.
Questo principio deroga non solo al sistema della pubblicità
dichiarativa della trascrizione, ma ache al principio
consensualistico.

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- Il contratto che ha per oggetto beni immobili sottoposti al


regime tavolare ha efficacia obbligatoria, in quanto obbliga
l’alienante a far conseguire all’acquirente il diritto alienato,
ma non produce l’immediato effetto traslativo che dipende
dall’iscrizione.
- La nullità o l’annullamento del contratto legittimano la
cancellazione dell’iscrizione e determinano il venir meno
dell’effetto reale.

La trascrizione mobiliare
Per i contratti relativi ad alcune categorie di beni mobili la legge
prevede un regime di trascrizione analogo a quello della trascrizione
immobiliare: cd. beni mobili registrati (navi, galleggianti,
aeromobili, autoveicoli iscritti negli appositi registri).
- A differenza dei registri immobiliari, quelli dei beni mobili
sono a base reale (sono cioè ordinati con riferimento ai beni
iscritti).
- Per il resto il sistema si modella su quello della trascrizione
immobiliare sia per quanto riguarda gli atti soggetti alla
pubblicità sia per quanto riguarda gli effetti.

La trascrizione del contratto preliminare


La legge n. 30/1997 ha introdotto nel nostro ordinamento la
possibilità per il promissario acquirente di trascrivere i contratti
preliminari di compravendita di immobili prevedendo altresì la
costituzione di un privilegio speciale a suo favore.
La nuova disciplina sancisce la trascrivibilità dei contratti
preliminari aventi ad oggetto diritti reali immobiliari anche se
sottoposti a condizione o relativi a edifici da costruire o in corso
di costruzione. Ne rimangono esclusi i preliminari relativi a mobili
registrati.
Deve trattarsi di contratti preliminari stipulati per atto pubblico o
scrittura privata autenticata o accertata giudizialmente.
Il contratto definitivo o la sentenza di esecuzione in forma
specifica prevalgono sugli atti posteriormente trascritti o iscritti
contro il promittente alienante.
La prevalenza concerne gli atti traslativi e non i contratti
preliminari. Il preliminare infatti non è esso stesso in conflitto con
altri titoli di acquisto. Piuttosto, l’effetto della trascrizione è
propriamente prenotativo.
Gli atti traslativi resi opponibili grazie alla trascrizione del
preliminare sono:
- contratto definitivo;
- sentenza di esecuzione in forma specifica;
- altri contratti che comportino il trasferimento del diritto in
adempimento dell’obbligo preliminare.

Preliminare relativo ad edifici da costruire:


Nelle ipotesi di preliminare relativo a edifici da costruire, il
contratto deve indicare la superficie della porzione da trasferire e
la quota del diritto spettante al promissario rispetto all’intero
edificio.

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L’effetto prenotativo della trascrizione presuppone che il bene


acquistato dal promissario sia quello previamente determinato e vi
corrisponda anche quantitativamente (una differenza superiore al
ventesimo importa il venir meno di quell’effetto).
In dottrina si è sostenuto che l’effetto prenotativo verrebbe
conservato nei limiti quantitativi del preliminare trascritto. →
Tesi va condivisa nelle ipotesi in cui il contratto definitivo abbia
ad oggetto ulteriori unità immobiliari.
L’effetto prenotativo si conserva se il contratto definitivo
trasferisca un immobile di minori dimensioni, rientrante nell’ambito
dell’oggetto previsto. Per lo stesso motivo l’effetto prenotativo
rimane fermo in presenza di un trasferimento parziale del diritto.

Preliminare relativo a cosa altrui; patto di prelazione; opzione


In dottrina si ritiene che soggetto a trascrizione sia anche il
preliminare avente ad oggetto una cosa altrui.
- una tale trascrizione creerebbe una formalità di per sé
pregiudizievole a carico di soggetti estranei all’effetto
obbligatorio del contratto trascritto. Inoltre, nessun rilevante
interesse tutelerebbe il trascrivente, posto che il preliminare
sarebbe insuscettibile di esecuzione in forma specifica.

Non sarebbe trascrivibile il patto di opzione:


- per la diversità di effetti che ne derivano rispetto al
preliminare: l’effetto dell’opzione è quello della proposta
irrevocabile, cioè un effetto che non crea alcun vincolo reale o
obbligatorio ma una mera soggezione al potere altrui.

Intrascrivibile sarebbe anche il patto di prelazione:


- il suo effetto non è riconducibile a quello del contratto
preliminare. L’obbligo di preferire il prelazionario si traduce
in un vincolo obbligatorio di indisponibilità, che esula
dall’oggetto della nuova normativa.

Estinzione dell’effetto della trascrizione:


Una peculiarità della trascrizione del preliminare è data dalla
temporaneità del suo effetto:
- Essa decade se entro 1 anno dalla scadenza del termina fissato
per la stipulazione del contratto definitivo non sia trascritto
l’atto traslativo o la domanda giudiziale di esecuzione del
preliminare.
- L’effetto della trascrizione viene meno anche a seguito
dell’annullamento o risoluzione del contratto preliminare.

Dichiaratività della trascrizione del contratto preliminare:


La trascrizione del preliminare assolve la una funzione di pubblicità
che non incide sulla perfezione sugli effetti del titolo trascritto.
Alla formalità della trascrizione rimangono estranei i problemi
relativi alla nozione e natura del preliminare:
- non è da accogliere la tesi che ravvisa nel preliminare una la
fonte del diritto reale e nel definitivo una mera formalità. In
quanto la trascrizione ha un effetto prenotativi e
l’inopponibilità concerne il definitivo, si deve affermare che è

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il preliminare ad essere fonte dell’obbligo di concludere il


contratto definitivo dal quale discendono l’effetto traslativo e
gli altri effetti finali voluti dalle parti.
- La trascrizione del preliminare non tocca la natura meramente
obbligatoria del contratto. La natura del diritto non dipende
dalla sua trascrizione ma dalla sua struttura.
- La trascrizione del preliminare non conferisce al promissario
quel potere immediato sul bene che scaturirà dal contratto
traslativo: al promissario compete solo una pretesa
obbligatoria.

ALTRI REGIMI DI OPPONIBILITÀ

Le alienazioni mobiliari e la regola possesso vale titolo


Nelle alienazioni immobiliari, l’esigenza della sicurezza della
circolazione dei diritti non può essere realizzata attraverso un
sistema di pubblicità. Il problema viene risolto attraverso il
PRINCIPIO POSSESSO VALE TITOLO = principio dell’ acquisto del diritto
da parte della alienatario di buona fede che consegue il possesso del
bene (art. 1153). Lo stesso principio si applica all’acquisto dei
diritti di usufrutto, uso, pegno.

Il conflitto coni creditori dell’alienante


L’alienatario di bene mobile può opporre il suo acquisto ai creditori
dell’alienante quando l’acquisto è precedente al pignoramento e
risulta da atto avente data certa. Ma anche se manca la data certa
l’acquisto è opponibile quando l’alienatario abbia conseguito il
possesso del bene.
→ La consegna del bene è quindi formalità sufficiente a
prevenire l’azione esecutiva dei creditori che non abbiano già
eseguito il pignoramento.
→ Il pignoramento mobiliare, a sua volta, rende in opponibili
ai creditori le successive alienazioni del bene.

Alienazioni di universalità di mobili


L’opponibilità degli atti di acquisto delle universalità di mobili è
affidata esclusivamente al principio della prevalenza dell’atto di
data anteriore.
In questo caso non si pone un’esigenza di tutela della sicurezza al
punto da rendere opponibile l’acquisto di buonafede a danno del vero
proprietario. L’acquirente di buonafede piuttosto può giovarsi
dell’usucapione decennale.

L’alienazione di azienda:
L’azienda può costituire oggetto di un unico contratto di
alienazione. L’unitarietà del contratto non importa tuttavia
l’applicazione di un’unica disciplina di alienazione: trovano
applicazione le diverse discipline secondo il bene che ne è oggetto.
- acquisto dei diritti immobiliari che compongono l’azienda: si
deve procedere a trascrizione;

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- cose mobili strumentali (universalità di mobili): non si applica


possesso vale titolo;
- crediti relativi a azienda ceduta: la previsione dell’iscrizione
del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese si
accompagna al riferimento alla notificazione del debitore o alla
sua accettazione (art. 2559). Trova pertanto applicazione il
normale regime di opponibilità della cessione in alternativa
alla pubblicità nel registro delle imprese.

L’alienazione di eredità
Anche l’eredità, quale complesso patrimoniale, si presta a costituire
oggetto di un unico contratto di alienazione. Come per l’azienda, la
disciplina unitaria dell’alienazione di eredità non comporta un unico
regime di opponibilità del contratto, ma si devono applicare i
diversi regimi in relazione ai singoli diritti ereditari trasferiti.

La cessione del credito


- La cessione del credito diviene opponibile agli altri aventi
causa e ai creditori del cedente quando è notificata al debitore
ceduto o da questa accettata con atto di data certa.
Se il credito è ceduto successivamente a più persone, prevale la
cessione che per prima è stata notificata al debitore o che per
prima sia stata accettata con atto di data certa, anche se
stipulata in data posteriore alle altre (art. 1265). Lo stesso
vale per le costituzioni di pegno e usufrutto.
- Anche rispetto ai creditori dell’alienante la cessione è resa
opponibile mediante la notificazione al debitore o la sua
accettazione.

La cessione del contratto


Se una parte è autorizzata dall’altra a cedere a terzi la propria
posizione contrattuale si configura la possibilità di un contratto
traslativo del rapporto che si perfeziona senza che la parte ceduta
ne abbia attuale conoscenza.
- efficacia della cessione rispetto alla parte ceduta: la legge
richiama la regola della notificazione al ceduto o della sua
accettazione (art. 1407).
- La stessa regola deve ritenersi applicabile con riferimento al
conflitto tra più acquirenti del contratto.

Titoli di credito e titoli impropri


I titoli di credito consentono il trasferimento del diritto in essi
incorporato senza le forme proprie della cessione assicurando il
diritto alla prestazione all’acquirente che consegue il possesso del
documento e che risulta legittimato secondo la disciplina del titolo
(art. 1992).

Concessioni di diritti personali di godimento


Con riguardo ai contratti che concedono diritti personali di
godimento (es. locazione), una prima ipotesi di conflitto si
prospetta in relazione ai terzi che acquistano concorrenti diritti
personali di godimento sullo stesso bene.

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- il godimento spetta al contraente che per primo lo ha


conseguito, a prescindere dalla buonafede (art. 1380). Egli ha
diritto al rilascio del bene se successivamente questo sia
pervenuto all’altro concessionario contro la volontà del primo.
- Se nessuno dei due concessionari abbia conseguito il godimento
del bene la prevalenza si determina sulla base della priorità
temporale del contratto. La preferenza è accordata al contratto
di data certa anteriore se e in quanto il contraente abbia fatto
valere giudizialmente il diritto al rilascio prima che il
conflitto sia stato risolto dalla consegna del bene.
- Per quanto attiene al conflitto tra concessionari di diritti
personali di godimento e acquirenti di diritti reali di
godimento, il criterio di soluzione è quello generale della
priorità temporale del contratto. Es. locazione è opponibile al
terzo acquirente quando ha data certa anteriore all’alienazione.
Assoggettamento al regime della trascrizione della locazione
ultranovennale: la locazione non trascritta è inopponibile a chi
abbia trascritto per primo un contratto di locazione
assoggettato allo stesso regime, mentre il conflitto con altro
locatario infranovennale deve essere risolto secondo il criterio
generale.
La locazione ultranovennale è inoltre opponibile ai terzi
acquirenti di diritti reali di godimento che abbiano
anteriormente trascritto il loro titolo. Rispetto a questi
ultimi il contratto di locazione può tuttavia essere opposto nei
limiti del novennio, sempre che abbia data certa.

CAPITOLO XII – L’INVALIDITA’


L'invalidità è in generale la irregolarità giuridica del contratto
che comporta la sanzione della inefficacia definitiva. Tale sanzione
può essere automatica o di applicazione giudiziale.
La categoria dell'invalidità comprende:
- nullità,
- annullabilità,
- rescindibilità dei contratto.
In tutte le forme di invalidità il contratto presenta una
irregolarità più o meno grave, e cioè presenta una inosservanza di
norme giuridiche che si sostanza in una qualifica negativa dei
contratto.

La nozione di invalidità dei contratto deve essere tenuta distinta


rispetto alla nozione di inefficacia:
l’invalidità è una qualifica di irregolarità del contratto mentre
l’inefficacia indica la non produttività degli effetti giuridici.
L'inefficacia viene distinta i due sottocategorie:
- inefficacia in senso stretto: è un’inefficacia provvisoria per
una qualunque ragione non patologica. Ad es. il negozio, pur
essendo valido, non produce i suoi effetti perché è sottoposto a
una condizione sospensiva che ancora non si è verificata.

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- inefficacia definitiva: l’improduttività di effetti non si


identifica con l'invalidità ma piuttosto può essere conseguenza
di quest'ultima. Tuttavia, non tutti i contratti invalidi sono
per ciò stesso inefficaci: mentre contratto nullo è inefficace
di diritto, il contratto annullabile e rescindibile è
provvisoriamente efficace, salvo a perdere l’efficacia a seguito
dell'annullamento o della rescissione.
Inoltre, l'inefficacia definitiva non è conseguenza esclusiva
dell’invalidità del contratto: essa può derivare, oltre che da
una irregolarità dei contratto, anche da altre cause (es.
mancanza di una condizione di efficacia volontaria, revoca
consensuale del contratto). Qui siamo fuori del tema
dell’invalidità in quanto l’inefficacia non deriva da
un’irregolarità legale del contratto ma dalla volontà delle
parti.

Il giudizio di validità del contratto dev’essere formulato in


relazione alla situazione di fatto e alle norme vigenti al momento
del suo perfezionamento. Le vicende successive non toccano di massima
tale giudizio.
Il contratto inizialmente valido può tuttavia diventare
successivamente invalido in quanto oggetto di una valutazione di
illiceità o per l’eccezionale efficacia retroattiva della legge o
perché l’ulteriore attuazione del rapporto come programmato dalle
parti si pone in contrasto con la nuova norma.

LA NULLITÀ
La nullità è la più grave forma di invalidità negoziale. Esprime una
valutazione negativa del contratto:
1) per la mancanza o impossibilità originaria di un elemento
costitutivo;
2) per la sua dannosità sociale e quindi la sua illiceità.
La nullità comporta la definitiva inidoneità dell'atto a produrre i
suoi effetti . Pertanto, il contratto nullo è inefficace fin dal
momento in cui è stato concluso. La nullità opera di diritto e può
essere accertata giudizialmente in ogni tempo.
Il contratto nullo non può essere convalidato, ma è soggetto a
conversione in altro contratto valido, idoneo a realizzare uno scopo
equivalente.

La nullità si distingue in:


- totale: investe l'intero contratto;
- parziale in senso oggettivo: investe una parte del contenuto del
contratto;
- parziale in senso soggettivo: colpisce singoli rapporti di
partecipazione al contratto. Essa è, pertanto, configurabile
relativamente ai contratti plurilaterali.

- assoluta: può essere fatta valere da tutte le parti e da tutti i


terzi interessati;

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- relativa: può essere fatta valere solo da determinati


legittimati.

Nullità ed inesistenza
La nullità del contratto esprime una valutazione negativa
dell’ordinamento, la quale non esclude che il contratto nullo possa
avere efficacia nei confronti dei terzi o anche delle parti.
Gli effetti che la legge eccezionalmente ricollega al contratto nullo
presuppongono che sussista un’operazione qualificabile come contratto
e alla quale sia riferibile la qualifica della nullità, presuppongono
cioè l’esistenza del contratto.
La nullità deve essere quindi tenuta distinta rispetto
all’inesistenza quale mancanza di un fatto o atto socialmente
rispondente alla nozione di contratto.

La figura dell'inesistenza fu elaborata per la prima volta dalla dottrina


francese in tema di matrimonio. Con questa figura si poteva superare il
limite tassativo delle nullità matrimoniali per giustificare l'invalidità di
ipotesi che non potevano considerarsi idonee a costituire un valido vincolo
coniugale.
La nozione di inesistenza, estesa al contratto in generale, ha conservato il
significato di un'ulteriore forma di invalidità che si affianca a quella
della nullità, ma sostanzialmente è equivalente a quest'ultima. Superata,
poi, la ragione originaria della distinzione, è parso consequenziale agli
autori francesi il rigetto della inesistenza quale autonoma categoria di
invalidità del contratto.
La distinzione nullità-inesistenza risponde a un’esigenza concreta:
determinare l’ambito entri il quale il contratto può produrre quegli effetti
che, sia pure eccezionalmente, sono collegati al contratto nullo, escludendo
invece quelle situazioni nelle quali non è riscontrabile un atto di autonomia
privata. Il senso della distinzione è che un’operazione socialmente non
valutabile come contratto non giustifica alcun serio affidamento delle parti
né un apprezzabile affidamento dei terzi.
Per concludere, la disciplina del contratto nullo trova il suo limite quando
il contratto non esiste, cioè quando manca una situazione socialmente
qualificabile come contratto.

Le cause di nullità:
Definitiva mancanza o impossibilita'di un elemento costitutivo
Elementi costitutivi del contratto (ex art. 1325) sono: l'accordo,
l'oggetto, la causa e la forma quando richiesta a pena di nullità.
1) Accordo: la mancanza di esso deve intendersi come mancanza della
fattispecie oggettiva in cui si identifica giuridicamente
l'accordo. Se poi non vi è un atto socialmente valutabile come
accordo deve senz’altro parlarsi di inesistenza del contratto.
2) Oggetto: il contratto è nullo quando è privo dell'oggetto,
oppure quando l'oggetto è impossibile, indeterminato o
indeterminabile. Se per oggetto si intende il bene reale sul
quale sono destinati a cadere gli effetti contrattuali, la
mancanza di esso comporta nullità del contratto solo in quanto
si tratti di un bene insuscettibile di esistenza o di
identificazione (es. bene perito anteriormente alla sua
alienazione).
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3) Causa: il contratto è nullo quando manca la causa. Si ha


mancanza di causa quando manca una ragione pratica
giustificativa del contratto o quando questo persegue un
interesse non meritevole di tutela.
4) Forma: il contratto è nullo per mancanza della forma soltanto
quando la legge la prevede come requisito necessario del
contratto (forma ad substantiam).

Tra le cause generali di nullità del contratto si suole includere


anche l’incapacità giuridica della parte. Essa rileva anche come
impossibilità di imputazione del rapporto: può essere anche
temporanea se riferita a situazioni di capacità in via di formazione.
Entro certi limiti è ammissibile che il contratto si perfezioni in
attesa del sopravvenire della capacità della parte.

La Illiceità. Illiceità per contrarietà a norme imperative


Il contratto è illecito quando è contrario a (art. 1343):
- norme imperative;
- ordine pubblico;
- buon costume.
Questa nozione di illiceità si desume dalla definizione di causa
illecita: la causa illecita comporta di per sé la nullità del
contratto, così come comportano di per sé la nullità del contratto
l’illiceità dei motivi e dell’oggetto (art. 1418).
Accanto all’illiceità della causa, dei motivi e dell’oggetto, il
codice distingue l’ipotesi della contrarietà del contratto a norme
imperative, la quale comporta la nullità del contratto salvo che la
legge disponga diversamente.
- La contrarietà del contratto a norme imperative non comporta
necessariamente la nullità del contratto, potendo essere diversa
la sanzione comminata dalla legge. Secondo la giurisprudenza, la
previsione di una particolare sanzione diversa dalla nullità
esaurirebbe le conseguenze di legge e non darebbe luogo ad
invalidità del contratto (es. sanzione fiscale).
- La previsione della contrarietà del contratto a norme imperative
sancisce la nullità del contratto a prescindere da un’espressa
comminatoria di nullità: essa è detta nullità virtuale.
- Il contratto contrario a norme imperative è nullo in quanto la
violazione della legge comporta un giudizio di dannosità sociale
e quindi di immeritevolezza della causa, qualificabile essa
stessa come illecita.
La nullità presuppone tuttavia che il contratto sia l’oggetto
del divieto: questo si ricollega al problema dell’incidenza
della violazione della norma penale sulla validità del
contratto.
In generale nei casi in cui il reato sia stato consumato da una
parte a danno dell’altra mediante la stipulazione del contratto,
si applica al comportamento vietato la sanzione penale e al
contratto la disciplina privatistica a tutela della parte.
(Ratio: la norma penale non ha ad oggetto il contratto, ma
l’attività che una delle parti realizza avvalendosi del

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contratto. Se invece il contratto è diretto a attuare un fine


vietato, ne risulta illecita la causa).
Es. Un orientamento giurisprudenziale, in relazione al reato di
truffa nega che questa sia causa di nullità del contratto,
rilevando piuttosto gli estremi del dolo e la sanzione
dell’annullabilità.

Illiceità per contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume


L’ordine pubblico indica i principi basilari del nostro ordinamento
sociale, larga parte dei quali si trova nella Cost. In particolare,
rientra nell’ordine pubblico il rispetto dei diritti fondamentali
della persona.
Es. di contrarietà all’ordine pubblico: assunzione dell’obbligo di
cedere il posto di lavoro, impegno di voto elettorale politico,
rinunzia agli alimenti futuri, contratto a danno di terzi (se e in
quanto impegna ad un comportamento lesivo di un interesse
giuridicamente protetto)…

Il contratto a danno di terzi è il contratto che impegna a ledere le


persone e i beni di terzi (es. patti di boicottaggio, di storno).
Il termine è usato in dottrina anche per indicare qualsiasi contratto i
cui effetti risultino pregiudizievoli per i terzi, i quali non sono
riconducibili a uno schema unitario e non si prestano a elaborare una
figura propria di contratto a danno di terzi.
a) contratti che diminuiscono la garanzia patrimoniale dei creditori: i
terzi lesi hanno appositi rimedi (azioni revocatorie);
b) contratti che impediscono l’adempimento: non sono affetti per ciò
stesso da una causa di invalidità in quanto la pretesa obbligatoria
di un terzo non è di regola preclusiva degli atti di disposizione di
un bene da parte del titolare (es. patto di prelazione non rende
invalida l’alienazione posta in essere in violazione del patto
stesso);
c) contratti che aggravano la posizione del fideiussore
d) contratti che privano il terzo del proprio diritto: il contratto di
alienazione può eccezionalmente privare il terzo del suo diritto
quando l’alienatario sia in buonafede o provveda per primo a
trascrivere il proprio acquisto prevalendo su altro precedente
alienatario.
In tali casi il contratto è valido ed efficace, salva la possibile
responsabilità dell’alienante verso il terzo espropriato. La
responsabilità dell’alienatario primo trascrivente verso il terzo
espropriato è stata riconosciuta dalla giurisprudenza in presenza di un
atto dolosamente compiuto a danno del primo alienatario ma sempre sul
presupposto della validità ed efficacia del contratto previamente
trascritto.

Il buon costume esprime i canoni fondamentali di onestà pubblica e


privata alla stregua della coscienza sociale.
Il buon costume rientra nella nozione di morale sociale ma non la
esaurisce. La morale sociale indica infatti l'insieme dei doveri
morali generalmente riconosciuti nei rapporti di convivenza (e quindi
comprende anche doveri di correttezza). Il buon costume indica più
particolarmente i precetti che impongono al soggetto di astenersi dal
compiere atti contrari al comune senso di onestà (es. atti lesivi

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della dignità sessuale ma in genere quelli che in un dato ambiente e


momento storico sono condannati dalla coscienza sociale).
Il contratto contrario al buon costume è nullo, ma le prestazioni
eseguite non possono essere ripetute. Le valutazioni di contrarietà
al buon costume e all'ordine pubblico possono anche, nel concreto,
coincidere ma i criteri di valutazione rimangono distinti, in quanto
il primo attiene alla nozione di morale sociale mentre l'altro
attiene ai fondamenti dell'ordinamento.

Illiceità dei motivi


I motivi gli interessi che le parti tendono a soddisfare mediante il
contratto ma che non entrano nel contenuto di questo.
L’illiceità del motivo comporta illiceità del contratto quando si
tratta di motivo determinante e comune ad entrambe le parti (art.
1345), cioè quando le parti sono spinte dallo stesso interesse alla
conclusione del contratto o una parte trae consapevole profitto dal
motivo illecito dell’altra (es. vendita di sostanze che l’alienante
sa essere destinate alla produzione di beni dannosi alla salute).

Nullità Speciali
Il c.c. all'ultimo comma dell'art. 1418 avverte che il contratto è
altresì nullo negli altri casi salì dalla legge.
Varie norme del codice colpiscono di nullità contratti o singole
clausole conformemente ad antiche tradizioni. Al riguardo si può
parlare di ipotesi classiche di nullità:
• Patto commissorio (art. 2744);
• Patto leonino (art. 2265);
• Patti successori (art. 458).
Di recente si assiste, tuttavia, al fenomeno di un sistematico
intervento di leggi speciali, che utilizzano la sanzione della
nullità in funzione di tutela di contraenti deboli:
• T.U. delle leggi bancarie (1985): nullità dei contratti bancari
non redatti per iscritto; delle clausole di rinvio agli usi per
la determinazione di tassi di interezze, prezzi e condizioni;
delle clausole che prevedono interessi, prezzi e condizioni più
sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati.
• T.U. dell’intermediazione bancaria (1998): nullità dei contratti
relativi alla prestazione dei servizi di investimento.
• Legge sulla subfornitura (1992): nullità dei patti che
conferiscono al committente il potere di modificare il contratto
o di recederne senza congruo preavviso.
• Codice del consumo: nullità di protezione delle clausole
vessatorie.
A seguito di queste nuove ipotesi di nullità che sono state poste a
tutela dei contraenti deboli è stata messa in discussione la figura
unitaria della nullità quale sanzione comminata a diretta tutela
dell'interesse generale.
Sul punto, va replicato che le nuove nullità sono pur sempre dirette
a colpire situazioni generalizzate di dannosità sociale che
richiedono l'intervento della legge in attuazione del principio
costituzionale della parità reciproca.

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La relatività altera sicuramente un normale connotato della nullità


ma questa relazione non cancella i tratti essenziali della figura:
cioè la rilevabilità d'ufficio, l’imprescrittibilità dell'azione e la
definitività della conseguente inefficacia.

La frode alla legge


= Il contratto è in frode alla legge quando costituisce mezzo per
eludere l'applicazione di una norma imperativa pur nel rispetto
formale della legge (art. 1344).
La frode alla legge deve essere tenuta distinto dalla contrarietà
alla legge:
- contratto fraudolento: non incorre nella proibizione di legge in
quanto il suo contenuto non integra un risultato vietatoin
quanto il primo costituisce un mezzo, in se lecito, che viene
impiegato per aggirare ed eludere il divieto legale attraverso
il perseguimento di un risultato sostanzialmente equivalente a
quello proibito (si ha solo una violazione indiretta della
legge);
- contratto contrario alla legge: la legge è violata direttamente.
Es. di frode alla legge: interposizioni reali mediante le quali il
soggetto elude un divieto di acquisto stipulando un mandato con un
terzo, incaricato di acquistare in proprio nome e di ritrasmettere il
bene al mandante.
La frode alla legge può pertanto definirsi come l'utilizzazione di un
contratto, in sè lecito, per realizzare un risultato vietato mediante
la combinazione con altri atti giuridici. Il carattere fraudolento
dell’operazione prescinde dall’intento elusivo. L’illiceità
dell’operazione non può infatti dipendere dalla consapevolezza delle
parti di sfuggire a una norma di legge. All’intenzione fraudolenta si
richiama tuttavia la dottrina.

La frode alla legge dev’essere distinta rispetto a:


- Frode ai creditori: quale operazione volta a sottrarre ai
creditori la loro garanzia patrimoniale. In tal caso ad essi è
offerto normalmente il rimedio dell’azione revocatoria (art.
2901), che rende il contratto inefficace nei confronti del
revocante.
La legge non prevede in generale l’ipotesi di frode a terzi,
volta a impedire ai terzi l’esercizio di un loro diritto. Es.
operazioni tendenti a precludere l’esercizio della prelazione
nella vendita di fondi agricoli. L’attuale orientamento
giurisprudenziale è nel senso di considerare valido il
contratto, lasciando ai terzi l’esercizio dei rimedi loro
concessi a tutela dei loro diritti, se ne ricorrono i
presupposti.
- Contratto simulato: simulazione può essere il mezzo per evitare
l'applicazione di una norma imperativa, ma il mezzo non è qui
costituito da un contratto che indirettamente persegue il fine
vietato bensì dall'occultamento del contratto illecito.

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L’AZIONE DI NULLITÀ
= azione che tende all'accertamento della nullità del contratto.
- Il provvedimento che accoglie la domanda è una sentenza
dichiarativa in quanto la causa di nullità opera di diritto. La
sentenza si rende necessaria tuttavia per far valere la nullità
se la fattispecie contrattuale si presenta come un titolo
presuntivamente valido.
- Legittimato ad esercitare l'azione chiunque vi abbia interesse:
a) innanzitutto la parte: è interessata a far valere la nullità
in via autonoma oppure per contestare l’azione della
controparte fondata sul contratto. In tal caso la parte non
ha l’onere di sollevare la relativa eccezione poiché la
nullità deve essere rilevata d’ufficio dal giudice se risulta
dagli atti. Il giudice deve disapplicare il contratto nullo
quando in giudizio sono esercitate pretese che hanno titolo
in tale contratto.
In giurisprudenza si restringe la rilevabilità d’ufficio
della nullità all’ipotesi in cui sia richiesta l’esecuzione
del contratto, mentre la si esclude quando sia proposta
azione di risoluzione.
Secondo il Bianca questa limitazione è discutibile ritenendo
che invece sia giustificato il più recente orientamento, che
ha riconosciuto la rilevabilità d'ufficio della nullità del
contratto anche quando ne sia stata chiesta la risoluzione o
la rescissione.
Altro problema invece, concerne la rilevabilità d'ufficio di
una causa di nullità diversa da quella denunziata in sede di
azione di nullità. La soluzione negativa è argomentata in
base al principio secondo il quale il giudice deve attenersi
al fondamento della domanda fatto valere dalla parte (casusa
petendi).
b) terzi pregiudicati dal contratto: cioè i terzi ai quali
sarebbe opponibile il contratto nullo.

- Legittimati passivi: tutti coloro nei cui confronti


rileva l’interesse dell’attore ad agire per la dichiarazione di
nullità.
a) parte,
b) terzi che vantano diritti derivanti dal contratto nullo,
c) debitore e parte ceduta quando si tratta di nullità della
cessione.

- L'azione di nullità è imprescrittibile, salvi gli effetti dell'


usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione
(art. 1422)

Risarcimento del danno e le restituzioni


L'azione di nullità può accompagnarsi alla domanda di risarcimento
del danno se ricorrono gli estremi della responsabilità

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precontrattuale. → Il risarcimento del danno è dovuto nei limiti


dell'interesse negativo rappresentato dai vantaggi che comprende:
Perdita delle occasioni favorevoli
- Corresponsione degli interessi sulle somme versate in
esecuzione del contratto al momento del pagamento.

Le prestazioni già effettuate, in tutto o in parte, costituiscono un


indebito oggettivo in quanto prive di titolo e devono essere
restituite. La sentenza di nullità può pronunciare quindi condanna
alla restituzione delle attribuzioni contrattuali, ma in tal senso
occorre una specifica domanda.
La disciplina della restituzione varia a seconda che il possessore
sia di buona o di mala fede:
a) possessore di mala fede = restituzione di tutti i frutti
percepiti, diritto al rimborso delle spese fatte per la loro
produzione, riparazioni ordinarie e straordinarie, miglioramenti
persistenti (nella minor misura tra importo della spesa e
aumento di valore).
b) possessore di buona fede = corresponsione degli interessi sulle
somme e restituzione dei frutti percepiti dal giorno della
domanda giudiziale. Egli ha diritto al rimborso soltanto delle
spese fatte per le riparazioni straordinarie e per i
miglioramenti nella misura dell'aumento di valore del bene per
effetto di essi.

Possibilità che la controparte, alla quale il bene dev’essere


restituito, incorra in resp. precontrattuale: → Tale responsabilità
converte in voci di danno tutte le spese per la cosa che apparivano
utili al momento della loro erogazione. Il rimborso delle spese
voluttuarie è dovuto se la controparte ha stipulato dolosamente.
L’impossibilità di restituzione del bene comporta l’obbligo di
corrisponderne il valore (che si riduce entro il limite
dell’arricchimento nell’ipotesi di buonafede).
Le ipotesi di alienazione, deterioramento e perimento della cosa sono
disciplinate dalle norme sull’indebito (art. 2037 e ss.).
Il diritto alla ripetizione e ai rimborsi è soggetto alla
prescrizione ordinaria mentre l’azione di rivendica è
imprescrittibile come l’azione di nullità. Essa incontra solo il
limite dell’acquisto della proprietà per usucapione o per il
principio del possesso vale titolo.

Efficacia del contratto nullo


La nullità non esclude che il contratto possa essere rilevante nei
confronti dei terzi e che possa produrre effetti anche rispetto alle
parti.
Nel nostro ordinamento si riscontrano due generali ipotesi di
efficacia del contratto nullo:
1) conversione del contratto;
2) tardività della trascrizione della domanda di nullità.

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La legge ricomprende tra gli atti soggetti a trascrizione le domande


dirette a far dichiarare la nullità di atti soggette trascrizione.
- La sentenza che dichiara la nullità di un contratto
travolge anche i terzi acquirenti, cioè i diritti che i terzi
hanno acquistato dall’alienatario o dai suoi aventi causa.
Tuttavia se la domanda di nullità è stata trascritta dopo cinque
anni dalla trascrizione dell’atto nullo, la sentenza dichiarativa
della nullità non pregiudica i diritti che i terzi di buona fede
hanno acquisito in base ad un atto trascritto o iscritto prima
della trascrizione della domanda di nullità. L’inopponibilità
della sentenza di nullità non rende valido l’atto impugnato. Essa
comporta tuttavia la rilevanza di tale atto che, assieme alla
buonafede dell’acquirente, concorre a costituire un efficace
titolo di acquisto.
L’inopponibilità della sentenza di nullità trova fondamento nella
buonafede del terzo acquirente e nell’affidamento creato
dall’assenza di domande di nullità contro l’alienante o i suoi
danti causa.
Il titolare ha in definitiva l’onere di rimuovere l’apparenza del
contratto trascrivendo la domanda di nullità. La norma è però
inapplicabile nei casi di falsità del documento contrattuale
trascritto e nei casi di contratti stipulati dal falso
rappresentante.

La conversione
= modifica legale del contratto che ne evita la nullità nel rispetto
sostanziale dello scopo delle parti.
Secondo la previsione normativa, il contratto nullo può produrre gli
effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di
sostanza e di forma, se, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle
parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se ne avessero
conosciuto la nullità (art. 1424). Es. usufrutto immobiliare verso
corrispettivo periodico che si converte in locazione.

Presupposti di operatività della conversione:


1) nullità del contratto;
2) inidoneità degli effetti giuridici modificati
a soddisfare in misura apprezzabile gli interessi delle parti;
3) presenza nel contratto stipulato dei requisiti
necessari per produrre i diversi effetti giuridici;
4) ignoranza delle parti circa l’invalidità del
contratto stipulato.

La modifica del contratto opera sì per effetto di legge ma non in


contrasto con l'atto di autonomia privata, bensì nel sostanziale
rispetto del programma voluto dalle parti.
Tradizionalmente, fondamento della conversione è il principio di
conservazione del contratto; tuttavia sul punto una recente dottrina
lo individua nel principio di buona fede.

La conversione è inapplicabile al contratto inesistente, così come


non potrà avere luogo la conversione se il contratto non si è
concluso. Si ritiene ancora che la conversione sia inapplicabile al

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contratto illecito in quanto lo scopo delle parti sarebbe comunque


irrealizzabile.
Si discute, invece, se la conversione sia applicabile al contratto
annullabile. La soluzione positiva incontra la difficoltà che il
contratto annullabile è produttivo di effetti e la conversione
verrebbe quindi a modificare un contratto che la parte, nelle cui
interesse è posta all'invalidità, potrebbe voler tenere fermo.
D’altro canto la modifica del contratto potrebbe evitarne
l’annullamento.

La conversione opera di diritto. La sentenza giudiziale che dichiara


la conversione è quindi una sentenza di accertamento. La conversione,
inoltre, deve essere rilevata d’ufficio quando una delle parti
propone l’azione di nullità.

La conversione sostanziale del contratto nullo (che quella di cui


finora si è parlato) si distingue da:
- conversione formale = conversione del contratto, o in
genere del negozio, in un altro tipo formale avente i medesimi
effetti giuridici. Es. atto pubblico nullo per difetto di forma o
per incompetenza o incapacità del pubblico ufficiale vale come
scrittura privata; testamento segreto invalido per mancanza di
qualcuno dei requisiti richiesti dalla legge ma che ha tutti i
requisiti del testamento olografo.
- conversione legale = conversione specificamente prevista
dalla legge. Es. girata tardiva della cambiale produce gli
effetti della cessione ordinaria del credito, concessione di
servitù in mancanza del consenso di tutti i comproprietari non
costituisce il diritto reale ma nei confronti del concedente crea
un diritto personale di godimento corrispondente all’esercizio
della servitù. La conversione legale non viene inquadrata a pieno
titolo nel fenomeno della conversione ordinaria, in quanto essa
opera indipendentemente dalla volontà delle parti.
La conversione legale pone il problema se l'atto convertito legalmente
possa essere qualificato come atto di autonomia privata. La risposta deve
essere positiva se la conversione presuppone pur sempre la fattispecie
del contratto seppure modificata negli effetti. Ne consegue che il
contratto convertito può essere impugnato per una diversa causa di
invalidità (es. per incapacità legale).

La sanatoria
= rimozione legale o volontaria dell'invalidità dell'atto.
- Il contratto annullabile è suscettibile di sanatoria
volontaria mediante la convalida (=atto con cui un soggetto, che
avrebbe il diritto di invocare l'invalidità di un negozio,
conferma il negozio stesso rendendolo definitivamente efficace).
- Il nostro ordinamento non conosce, invece, una generale
figura di sanatoria del contratto nullo: solo eccezionalmente è
ammessa una convalida del contratto nullo. In generale deve
quindi escludersi che al di fuori dei casi previsti il contratto
affetto da nullità possa essere convalidato.
In qualche caso eccezionale la legge ammette per altro la
sanatoria del negozio nullo mediante conferma, la quale comporta

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la relativa efficacia dell’atto rispetto al confermante: es.


nullità della donazione non può essere fatta valere dagli eredi o
aventi causa del donante i quali hanno dato conferma o volontaria
esecuzione alla donazione dopo la morte del donante (art. 799).
Analoga convalida è prevista per il testamento.

Con riguardo alla s.p.a., la nullità non può essere dichiarata quando
la causa di essa sia stata eliminata per effetto di una modificazione
dell’atto costitutivo iscritta nel registro delle imprese.
Una particolare disciplina normativa delle conseguenze della nullità
è riscontrabile relativamente a determinate figure negoziali tipiche,
quali il contratto di lavoro e il matrimonio.

La nullità parziale
La nullità parziale del contratto si distingue in:
a) nullità parziale in senso oggettivo: colpisce una parte del
contenuto del contratto, può consistere in una parziale
impossibilità di esecuzione delle prestazioni contrattuali o
nell’invalidità di singole clausole del contratto.
b) nullità parziale in senso soggettivo: nei contratti plurilaterali
investe il vincolo di una delle parti.

La nullità parziale di un contratto non importa di per sé la nullità


dell'intero contratto:
- con riguardo alla nullità parziale in senso oggettivo:
importa la nullità dell’intero contratto solo se risulta che i
contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo
contenuto che è colpita da nullità.
- con riguardo alla nullità parziale in senso soggettivo:
non importa nullità del contratto salvo che la partecipazione
della parte il cui vincolo è colpito da nullità debba
considerarsi essenziale secondo le circostanze.

Il senso della norma sulla nullità parziale oggettiva si spiega in


considerazione della sua ragione, che è quella di conservare il
contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non
giustificare obiettivamente il mantenimento. Ciò che richiede è una
valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la
causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la
modifica abbia o non importanza determinante tenuto conto
dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello
previsto per la nullità parziale in senso soggettivo.
Tuttavia questa valutazione è esclusa quando le clausole nulle sono
sostituite di diritto da norme imperative e nei casi in cui la legge
dichiara la clausola come non apposta.

Integrazione del contratto parzialmente nullo


La nullità parziale può consistere in:
a) impossibilità parziale di una delle prestazioni. Se il contratto
si conserva, la parte si libera eseguendo la prestazione per il
residuo. Nel caso di contratto a prestazioni corrispettive, la
controparte ha diritto a una corrispondente riduzione della
prestazione a suo carico.

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b) In operatività di una o più clausole contrattuali. La


conservazione del contratto prospetta il problema di come
colmare il vuoto creato dall’invalidità di una parte del suo
contenuto. Il problema trova di massima soluzione
nell’applicazione delle comuni regole di integrazione del
contratto (es. nullità del patto leonino importa l’applicazione
del criterio legale di ripartizione dei guadagni e delle
perdite).
Se si tratta di clausole nulle per contrasto con la disciplina
inderogabile del rapporto, è tale disciplina che trova
applicazione.

L'ANNULLABILITÀ

L’annullabilità è quella forma di invalidità che assoggetta il


contratto alla sanzione dell’inefficacia di applicazione giudiziale.
A differenza del contratto nullo, il contratto annullabile produce
effetti ma è suscettibile di essere reso inefficace mediante
sentenza.
L’annullamento è pronunciato su domanda della parte legittimata, alla
quale spetta la decisione se mantenere o meno in vita il contratto.
Legittimata è la parte nel cui interesse è prevista l’invalidità del
contratto.

Impugnabilità dei negozi. Gli atti giuridici in senso stretto.


La disciplina dell’annullabilità del contratto trova di massima
applicazione relativamente a tutti gli atti negoziali, coordinandosi
a volte con norme particolari (es. testamento).
Le ragioni di tutela possono poi avere riscontro anche relativamente
agli atti giuridici in senso stretto, se si tratta di atti
sfavorevoli per il loto autore o per il loro destinatario. In
mancanza di specifiche indicazioni legislative si tratta di accertare
se l’esigenza di tutela del soggetto prevalga sull’esigenza di
certezza degli effetti giuridici dell’atto. In linea di massima la
soluzione è positiva se il soggetto è un incapace legale (con
conseguente automatica inefficacia degli atti pregiudizievoli).

Le cause di annullabilità
1) incapacità legale o naturale della parte;
2) vizi del consenso (errore, violenza e dolo);
3) particolari situazioni di abuso a danno di una delle parti:
es. ipotesi di annullabilità del contratto concluso dal
rappresentante in conflitto di interessi con il
rappresentato o dal coniuge senza il consenso dell’altro in
regime di comunione legale;
4) inosservanza di oneri formali (art. 606) o prescrizioni
imperative (art. 2098).

I vizi del consenso

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Vizi del consenso sono particolari situazioni che si verificano


durante il processo formativo della volontà contrattuale
perturbandola e determinandone una formazione anomala. Sicchè, in
presenza del vizio, la volontà non manca ma si tratta di una volontà
diversa dalla volontà ipotetica che si sarebbe formata in assenza del
vizio.
Pertanto, la ratio della annullabilità del contratto va individuata
nell'esigenza di tutelanon soggetto che non ha manifestato la volontà
in modo libero e consapevole.

A) L'ERRORE
= falsa rappresentazione della parte in ordine al contratto o ai suoi
presupposti. Esso è causa di annullamento del contratto quando è
essenziale e riconoscibile (art. 1428).
L’errore si distingue in:
a) errore vizio (o errore motivo): attiene alla formazione della
volontà della parte (senza l’errore la parte non avrebbe voluto
concludere il contratto).
b) errore ostativo: attiene alla dichiarazione della parte (il
contraente ha correttamente formato la propria volontà ma questa
è stata inesattamente dichiarata o trasmessa).

c) errore di fatto: cade sugli elementi contrattuali o su


circostanze esterne.
d) errore di diritto: cade su norme giuridiche.

L’errore che cade sugli elementi contrattuali si presenta come la


divergenza tra il significato oggettivo del contratto e il
significato che la parte gli attribuisce (per ignoranza della realtà
materiale o del significato delle parole usate). La valutazione
dell’errore deve quindi essere preceduta dall’interpretazione del
contratto per accertare il suo significato, e deve tenere conto della
complessiva manifestazione di volontà delle parti.
Analogamente, l’uso di un’espressione inesatta non basta a integrare
l’errore (ostativo) se tale espressione non impedisce l’intendimento
della volontà del dichiarante, desumibile dalla globalità della sua
manifestazione.

E’ causa di annullamento del contratto solo l'errore essenziale e


riconoscibile dall'altro contraente.
- L'errore è essenziale quando senza di esso la parte non avrebbe
concluso il contratto.
La disciplina del contratto definisce come essenziale l’errore
che ricade:
o sulla natura e sull'oggetto del contratto,
o sull'identità dell'oggetto della prestazione ovvero sopra
una qualità dello stesso che secondo il comune
apprezzamento deve ritenersi determinante del consenso,
o sull'identità o sulle qualità dell'altro contraente sempre
che l'una o le altre siano state determinanti del consenso,
o errore di diritto quando abbia costituito la ragione unica
o principale del contratto.

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La definizione non è tassativa e non esclude che anche l’errore


su presupposti oggettivi possa essere essenziale se in relazione
alle circostanze esso risulta determinante del consenso.
Anche l’errore ostativo è rilevante solo in quanto possa
ritenersi essenziale, e cioè inquanto assuma un'importanza
decisiva secondo un criterio oggettivo.
L’errore quale vizio della volontà va distinto rispetto alla falsa
descrizione = erronea menzione di attributi e indicazioni in relazione a
persone o cose sicuramente identificate. La falsa descrizione si ritiene
irrilevante in quanto non rende incerta l’identificazione del suo
oggetto. Essa può tuttavia attestare un errore del dichiarante in ordine
a qualità determinanti del consenso ovvero indurre in errore la
controparte.
L’errore non essenziale non invalida il contratto ma può
rilevare in tema di resp. precontrattuale.

- L'errore si considera riconoscibile quando, in relazione al


contenuto, alle circostanze del contratto ovvero alla qualità
dei contraenti, una persona di normale dirigenza avrebbe potuto
rilevarlo.
L'indicazione normativa induce a intendere l'errore
riconoscibile come un errore palese. La rilevanza della
riconoscibilità dell'errore comporta per ciascun contraente
l'onere di verificare l'errore manifestato dall'altra parte e
l'obbligo, secondo buona fede, di darne comunicazione.
L’errore riconoscibile è causa di invalidità del contratto anche
se inescusabile, perché è comunque inidoneo a suscitare
l’affidamento della controparte in ordine alla serietà e
consapevolezza della dichiarazione contrattuale. La non
scusabilità incide sul tema della resp. precontrattuale.
La giurisprudenza, criticata dalla dottrina, ritiene che la
riconoscibilità non sia un requisito necessario nel caso di
errore comune o bilaterale. Questo perché non vi sarebbe un
affidamento da tutelare. Nell’errore comune, riscontrabile
quando entrambi i contraenti danno per vera una circostanza
falsa, la parte è a conoscenza della rappresentazione falsa
dell’altra → la ragione dell’affidamento viene meno.
In quanto il requisito della riconoscibilità dell’errore è posto
a tutela dell’affidamento ne consegue che, a maggior ragione,
deve rilevare la conoscenza effettiva della controparte in
ordine all’errore del dichiarante. Trattandosi di errore
ostativo si pone il problema se il contratto possa dirsi
concluso secondo il testo della dichiarazione quando la
controparte è a conoscenza che la dichiarazione è stata
erroneamente formulata o trasmessa e non esprime la reale
volontà della parte.
o La soluzione negativa potrebbe giustificarsi in base al rilievo
che la dichiarazione non è percepita dalla controparte quale
manifestazione di volontà in ordine al contenuto dichiarato. Su tale
contenuto non potrebbe dirsi che si sia raggiunto l’accordo.
o Si deve pervenire alla soluzione positiva se nella disciplina
dell’errore ostativo si ravvisa espressione del principio secondo cui

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l’accordo è perfezionato sulla base del normale significato delle


dichiarazioni (mentre la non rispondenza tra significato e volontà
può essere fatta valere solo sul piano delle impugnative).

Errore sulle qualità e inadempimento:


L’errore quale vizio del consenso deve essere tenuto nettamente
distinto rispetto all’inadempimento.
La dottrina accomuna i due elementi muovendo dal rilievo che
nell’alienazione di cosa determinata il fatto che la cosa non abbia
la qualità dovuta integra la fattispecie dell’errore (es. acquirente
stipula il contratto in quanto crede erroneamente che la cosa abbia
la qualità promessa).
→ In realtà, se l’alienante non rispetta l’impegno assunto non
sussiste un errore dell’acquirente quale causa di invalidità del
contratto ma piuttosto la fattispecie dell’inadempimento. L’errore
dell’acquirente infatti è dato da una falsa conoscenza circa la
qualità della prestazione.
Se invece, ad es., il venditore garantisce che la merce è di prima
qualità mentre si tratta di merce scadente, non vi è alcun errore del
compratore sulla prestazione. Ne consegue che vi sarà violazione del
contratto con i rimedi propri dell’inadempimento (risarcimento del
danno nella misura dell’interesse positivo).

Errore sul motivo:


L’errore sul motivo può essere decisivo per la parte ma di regola
esso non è causa di annullamento del contratto. Una deroga è prevista
nella disciplina della donazione, la quale può essere impugnata per
errore sul motivo (se questo risulta dall’atto ed è il solo che ha
determinato il donante a compiere la liberalità).
Il fatto che la controparte si sia accorta di tale errore non
giustifica comunque l’annullamento del contratto, in quanto
l’esigenza di certezza della contrattazione esige che l’impegno
assunto possa essere messo in discussione per tutte le ragioni
personali della parte o le circostanze sopravvenute alle quali non
sia data rilevanza inserendole nel contenuto dell’impegno
contrattuale o elevandole a presupposti del contratto.
Una diversa considerazione deve essere riservata alle qualità della
prestazione (art. 1429 n. 2), cioè a quegli attributi che ne
esprimono l’utilità, la funzionalità e il pregio. → Se la qualità
non è dovuta, essa non entra nel contenuto del contratto. La sua
mancanza non costituisce allora inadempimento del rapporto
contrattuale, e tuttavia può rilevare sotto il profilo dell’errore
quando quella qualità avvia costituito la ragione determinante del
consenso.

Errore di diritto:
è causa di annullamento quando abbia costituito la ragione unica o
principale del consenso.
In dottrina si sostiene che l’errore di diritto avrebbe rilevanza
anche se si tratta di errore sui motivi. In coerenza con la
disciplina generale dell’errore deve dirsi piuttosto che l’errore di
diritto deve sempre vertere sui presupposti oggettivi o sugli effetti
giuridici del contratto o della prestazione (dovendosi negare la

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rilevanza di altre finalità mediate che la parte si propone di


realizzare).
Es. rilevante errore di diritto è il convincimento della parte di essere
obbligata a stipulare il contratto mentre in realtà l’obbligazione non
sussiste. Non rilevante è l’erroneo convincimento della parte di potere
dedurre il costo del contratto dall’imponibile fiscale.

Errore di calcolo:
L’errore di calcolo non dà luogo all'annullamento del contratto ma
solo alla rettifica salvo che, concretandosi in errore sulla
quantità, abbia assunto un’importanza determinante.
- Secondo la giurisprudenza, l’errore di calcolo è solo l’errore
nella elaborazione aritmetica dei dati esattamente assunti in
contratto (es. le parti, dopo aver fissato la quantità della
merce venduta e il prezzo unitario di questa, computano
inesattamente il prezzo globale).
- Secondo la dottrina prevalente l’errore di calcolo assume
autonomo rilievo quale erronea determinazione del contenuto del
contratto e dell’oggetto dell’attribuzione.
L’errore di calcolo è una particolare figura di errore vizio non
essenziale, consistente nell’erronea indicazione della quantità della
prestazione.
- se il contratto indica erroneamente la quantità della merce e
l’errore non è essenziale: si procede a rettifica del prezzo
sulla base della quantità di merce effettivamente accertata.
L’errore deve comunque essere riconoscibile, e deve cadere sugli
elementi dedotti in contratto (es. vendo il grano del mio
magazzino per un prezzo globale, indicando la q.tà di 1000
quintali mentre si tratta di 1050 quintali → diritto al
supplemento di prezzo);
- se il contratto non fa menzione degli elementi del calcolo: la
parte non può invocare gli errori compiuti nel fissare l’entità
della propria offerta (es. vendo ‘a corpo’ il grano del mio
magazzino per un certo prezzo senza indicarne la quantità. Se ho
mal calcolato il prezzo in base a una q.tà di grano inferiore →
errore irrilevante. L’errore sulla q.tà può essere rilevante
come essenziale e riconoscibile → annullamento del contratto
per errore sulla q.tà).

B) LA VIOLENZA
= minaccia che costringe la persona a stipulare un contratto non
voluto o a subirne un determinato contenuto.
Essa è causa di annullabilità del contratto quando consiste nella
minaccia seria di un male ingiusto e notevole alla persona o ai beni
del contraente o di terzi, ovvero nella minaccia di esercitare un
diritto per conseguire un vantaggio ingiusto.
La violenza rileva come causa di annullamento del contratto anche se
esercitata da un terzo ad insaputa della controparte: l'esigenza di
tutela del soggetto contro la violenza prevale anche sull'esigenza
dell'affidamento.

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Tradizionalmente si distingue:
- Violenza fisica: si estrinsecherebbe in una coazione materiale
che esclude del tutto la volontà del soggetto in ordine
contratto (→ causa di nullità del contratto).
- Violenza morale: agisce sulla volontà della vittima inducendola
a stipulare il contratto per sottrarsi al male minacciato (anche
se spinto dalla minaccia il soggetto presta comunque il proprio
consenso).
La distinzione deve, tuttavia, ritenersi superata in quanto anche la
violenza fisica agisce sulla volontà del soggetto il quale compie
l'atto per sottrarsi ad un immediato male fisico.
Se poi l'autore della violenza giungesse a guidare materialmente la
mano della vittima in segno di consenso, il contratto dovrebbe
ritenersi inesistente per mancanza di una volontà del soggetto.

Requisiti della violenza


a) Serietà della minaccia:
La violenza deve essere di natura tale da fare impressione sopra
una persona sensata e farle tenere di esporre sè o i suoi beni a
un male ingiusto e notevole. La serietà della minaccia deve
essere valutata in concreto e cioè di volta in volta in
relazione alle persone e alle circostanze di ogni singola
fattispecie.
Il parametro della persona sensata indica l’idoneità della
minaccia a incidere sulla volontà del soggetto: se la minaccia
non è tale da fare presa su una persona mediamente sensata, non
può presumersi che la sua volontà sia stata viziata da violenza.
La serietà della minaccia attiene alle probabilità che essa
venga portata ad effetto, e all’entità del male minacciato.

b) Male minacciato deve essere ingiusto:


il male ingiusto consiste in una lesione antigiuridica della
persona o del patrimonio. La minaccia può essere rivolta alla
stessa persona o ai beni del contraente. Alla minaccia contro il
contraente è equiparata la minaccia contro la persona o i beni
del coniuge, dei discendenti o degli ascendenti.
Se la minaccia è diretta contro i terzi, l’annullamento del
contratto, secondo la previsione normativa, dipende dalla
prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice.

c) Si discute se requisito della minaccia sia anche quello della


malafede specifica, cioè l’intenzione o la consapevolezza che la
minaccia sia mezzo di costrizione della volontà negoziale della
vittima. La soluzione positiva, che non trova riscontro nella
legge, farebbe rientrare la minaccia non finalizzata
all’estorsione del consenso tra le cause esterne che creano lo
stato di pericolo o necessità.

La minaccia di far valere un diritto


Oltre che nella minaccia di una lesione antigiuridica alla persona o
ai beni la violenza può anche consiste nella minaccia di far valere

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un diritto. In tal caso il contratto è annullabile se la minaccia è


diretta a conseguire vantaggi ingiusti.
Il vantaggio è ingiusto:
- quando rappresenta un risultato abnorme e diverso rispetto a
quello conseguibile attraverso l'esercizio del diritto medesimo
(es. contratto estorto con la minaccia di presentare una
querela);
- quando il contratto è obiettivamente iniquo: obiettiva
sproporzione delle prestazioni o nell’attribuzione di diritti
non giustificati dall’economia dell’affare;
- quando è conseguito mediante lesione dell’autonomia familiare o
testamentaria.
Se il diritto che si minaccia di esercitare non esiste, si ricade
nell’ipotesi della minaccia di un male ingiusto: il male minacciato è
antigiuridico, l’antigiuridicità della lesione non può venir meno
solo perché l’autore della violenza creda di essere in diritto di
compiere l’azione minacciata.

Timore riverenziale
Il timore è una perturbazione psicologica del soggetto. Esso può
consistere in:
- timore in senso proprio = di un pericolo;
- timore reverenziale = stato di soggezione psicologica che un
soggetto ha nei confronti di un altro per l’importanza della sua
posizione nell'ambiente familiare, sociale, lavorativo.
La disciplina del contratto si occupa espressamente del timore
reverenziale, escludendo che esso renda annullabile il contratto
(art. 1437). La norma si spiega in considerazione della normale
insufficienza della semplice soggezione psicologica a determinare il
consenso contrattuale.

Il timore reverenziale deve essere però distinto dall’ intimidazione


morale, cioè alla minaccia tacita del soggetto di avvalersi della sua
posizione o dei suoi mezzi per pregiudicare la vittima in caso di
rifiuto di contrarre. La sua rilevanza si giustifica in quanto tale
intimidazione costituisce anch’essa una forma di violenza che rende
immeritevole la tutela giuridica di chi la esercita o si avvale di
essa.

C) IL DOLO
= qualsiasi forma di raggiro che altera la volontà contrattuale della
vittima.
- Il dolo è causa di annullabilità del contratto quando i raggiri
usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi,
l'altra parte non avrebbe stipulato → dolo vizio (c.d. causam
dans).
- Il dolo vizio si distingue rispetto al dolo incidente (c.d.
incidens), quale raggiro che non è determinante del consenso ma
incide sul contenuto del contratto (nel senso del contraente
avrebbe egualmente concluso il contratto ma condizioni diverse).

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Il risultato dell’azione dolosa è generalmente quello di far cadere


il soggetti in errore, ma il dolo rileva come vizio del consenso a
prescindere dalla ricorrenza dei requisiti dell’errore. Ciò che conta
è che il dolo avvia concretamente indotto il soggetto a stipulare un
contratto che altrimenti non avrebbe stipulato.
Il dolo può riguardare:
- presupposti, elementi o effetti del contratto (inducendo il
soggetto a credere ad es. che in base al contratto gli spettino
diritti diversi da quelli realmente spettategli);
- motivi della vittima (facendogli credere ad es. di poter trarre
dalla prestazione un utile non corrispondente alla realtà o
facendogli credere di avere bisogno della prestazione);
- esecuzione del contratto (creando nella vittima un affidamento
ingiustificato sulla realizzazione del rapporto contrattuale).

Il raggiro può essere consumato con tutti i mezzi utili: con la


menzogna (che integra la fattispecie del dolo se risulta idonea a
influire sul consenso), il silenzio e la reticenza (cd. dolo
omissivo).
La nozione di raggiro implica in generale l’intenzionalità
dell’agire, e il proposito di influire sul consenso della vittima
mediante un comportamento ingannevole.
La disciplina del dolo quale causa di invalidità trova appunto
fondamento nella particolare riprovazione sociale del raggiro, ed
esprime il principio secondo il quale non merita tutela giuridica
l’interesse dell’autore del raggiro a trarne profitto a danno della
vittima. Uguale giudizio colpisce chi consapevolmente rende possibile
l’attuazione dell’altrui raggiro e ne trae vantaggio.

L’idoneità del mezzo fraudolento. Il dolo lecito (dolus bonus).


Requisito del dolo è l’idoneità dei mezzi usati a trarre in inganno
la vittima, da valutare in concreto, in relazione alle circostanze,
alla personalità e alle condizioni psicofisiche del soggetto.
Il requisito dell’idoneità indica il nesso di causalità che deve
sussistere tra l’azione dolosa e la stipulazione del contratto o
l’alterazione del suo contenuto. Se il mezzo risulta inidoneo a
trarre in inganno il contraente, rimane indimostrato che la sua
volontà contrattuale sia stata viziata.
→ Tradizionalmente è esclusa la rilevanza del dolo lecito (cd. dolus
bonus): cioè la millantata esaltazione di un bene o servizio. La
normale inidoneità di tale pratica a trarre in inganno il cliente
vale a far presumere che questi in concreto non sia stato tratto in
inganno. Questa pratica è tollerata anche nella pubblicità
commerciale, purchè non si attribuiscano alla prestazione specifiche
qualità non rispondenti al vero (→ resp. extracontrattuale).
Il dolo incidente
= dolo che non è determinante del consenso ma che incide sul
contenuto del contratto.
L’accertamento se si tratti di dolo vizio o dolo incidente ha
riguardo alle concrete circostanze del contratto.
Il diritto al risarcimento del danno ha la sua fonte nel dolo qual
atto illecito, lesivo della libertà negoziale.

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- Nel caso di annullamento del contratto il danno risarcibile si


limita nella misura dell’interesse negativo (quale interesse a
non concludere il contratto).
- Nel caso di dolo incidente il danno risarcibile deve rapportarsi
al pregiudizio costituito dalla minore convenienza dell’affare
(minore vantaggio o maggiore aggravio economico conseguente alla
diversa determinazione del contratto per effetto dell’intervento
doloso). Questo perché il contratto viene validamente concluso,
e la vittima non lamenta il pregiudizio per l’invalidità del
contratto ma per la mancanza di quel risultato economico
positivo che avrebbe raggiunto se la controparte avesse agito
lealmente.

Dolo e inadempimento
Nei casi in cui il dolo determina un errore che abbia i requisiti
dell’essenzialità, la vittima può giovarsi alternativamente
dell’azione di annullamento per errore – anche se non risulta provato
il dolo della controparte.
Per quanto attiene all’esercizio dei rimedi contro l’inadempimento,
questa figura deve escludersi quando il contratto sia nullo per
impossibilità giuridica o materiale. Se, viceversa, l’autore del dolo
ha assunto un impegno contrattuale giuridicamente e materialmente
possibile, il contratto produce effetti → la vittima può agire per
far valere l’inadempimento.
Alla vittima del dolo deve riconoscersi la possibilità di ricorrere
all’azione di annullamento o ai rimedi contro l’inadempimento quando
di fatto coesistono i presupposti sia dell’una che dell’altra
ipotesi.

Il dolo del terzo


Autore del dolo può essere anche un terzo, cioè chi non è né parte
sostanziale né parte formale del contratto, pur se destinatario di
effetti giuridici favorevoli.
Il dolo del terzo è causa di annullabilità del contratto quando esso
era noto al contraente che ne ha tratto vantaggio. Occorre quindi che
la controparte abbia conosciuto al momento della conclusione del
contratto la manovra fraudolenta del terzo e ne sia rimasta
avvantaggiata, pur senza esservi un rapporto di complicità. Il
vantaggio è costituito dall'interesse stesso alla stipulazione del
contratto, anche se si tratta di un interesse non patrimoniale.
Se la controparte non è a conoscenza del dolo il contratto è
validamente concluso. Il legislatore, pertanto, non ha considerato
riprovevole il comportamento del contraente ignaro del raggiro, pur
se ne abbia tratto vantaggio.
Il dolo del terzo costituisce comunque un illecito, quale lesione
dell’altrui libertà negoziale.

L’AZIONE DI ANNULLAMENTO
L’annullamento del contratto è riservato all’iniziativa di parte:
l’annullabilità può pertanto essere rilevata d’ufficio. È onere della
parte proporre la relativa azione e, se convenuta, chiedere
l’annullamento del contratto in via di eccezione o riconvenzionale.

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La domanda di annullamento tende alla rimozione giudiziale del


contratto: la sentenza che accoglie la domanda è una sentenza
costitutiva in quanto modifica la posizione giuridica delle parti
privanto il contratto della sua originaria efficacia. .
Legittimata attiva all’azione:
- parte nel cui interesse è stabilita la nullità, cioè la parte
che ha contrattato in stato di incapacità o il cui consenso è
stato viziato. Nei casi di incapacità legale il contratto può
essere impugnato dal rappresentante legale o anche personalmente
dall’incapace.
- erede della parte e, nelle ipotesi di incapacità, l’avente causa
(cioè il terzo che abbia validamente acquistato un diritto in
conflitto con quello attribuito in base al contratto
annullabile).
- Relativamente ai contratti plurilaterali, ciascuna parte è
legittimata ad impugnare il contratto per gli effetti che la
riguardano.

- Eccezionalmente la legge prevede che l’azione possa essere


proposta da parte di qualsiasi interessato: annullabilità
assoluta. (es. legittimazione del pm all’azione di annullamento
per violazione delle disposizioni sul collocamento – art. 2098).

La prescrizione dell'azione
L'azione di annullamento del contratto si prescrive in cinque anni
(art. 1442). Si tratta quindi di una prescrizione breve che rende
inapplicabile l'ordinario termine decennale di prescrizione (art.
2946).
- Nei casi di vizi del consenso e di incapacità legale la
prescrizione decorre dal momento in cui è cessata la violenza, è
stato scoperto l'errore o il dolo, è stata revocata
l’interdizione o l’inabilitazione.
- Al di fuori di questi casi la prescrizione decorre dal giorno
della conclusione del contratto.

Mentre l'azione di annullamento è soggetta a prescrizione (una volta


decorso il termine non può più essere fatta valere davanti al giudice
l'annullabilità del contratto), l'eccezione di annullamento è
imprescrittibile. Infatti la legge prevede che il convenuto può
sempre respingere la domanda dell'attore facendo valere
l'annullabilità del contratto in via di eccezione.

Effetti dell'annullamento rispetto alle parti. Risarcimento del


danno e le istituzioni.
Come l'azione di nullità anche quella di annullamento può
accompagnarsi alla pretesa del risarcimento del danno nella misura
dell'interesse negativo se ricorrono gli estremi della resp.
precontrattuale.
L'annullamento del contratto ha effetto retroattivo e comporta in
ogni caso l'obbligo di restituire le prestazioni già eseguite secondo
le regole dell'indebito oggettivo. Rileva la buona o la malafede
della parte nei cui confronti è fatta valere l’invalidità, cioè il

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fatto che essa ignorasse o conoscesse la causa di tale invalidità al


momento della prestazione.
Dall'annullamento del contratto stipulato dall'incapace legale o
naturale non deriva l'effetto normale della restituzione delle
prestazioni già eseguite, perché il legislatore ha ritenuto che
l'incapace, essendo economicamente più debole, di regola non utilizza
a proprio vantaggio quanto ricevuto dall'esecuzione del contratto.

Effetti dell'annullamento rispetto ai terzi


L’annullamento del contratto non pregiudica i diritti dei terzi
acquirenti di buonafede a titolooneroso salvo che l’annullamento
dipenda da incapacità legale (art. 1445).
La regola sugli effetti dell'annullamento del contratto rispetto ai
terzi deve essere coordinata con il regime dell’opponibilità degli
atti ed in particolare con il regime della trascrizione.
Da tale coordinamento discende:
- i terzi, pur se di buona fede, non possono opporre il loro
acquisto se questo è stato trascritto poi scritto dopo la
trascrizione della domanda giudiziale di annullamento. In tal
caso la sentenza di annullamento farà stato nei loro confronti.
- Applicazione della regola che salvaguarda i terzi di buonafede
quando la domanda giudiziale di annullamento sia tardivamente
trascritta. Se la trascrizione della domanda è eseguita dopo 5
anni dalla trascrizione del contratto invalido, la sentenza non
pregiudica i diritti che i terzi di buonafede hanno acquisito in
base a un atto trascritto o iscritto prima della trascrizione
della domanda giudiziale.
I terzi non sono tutelati quando l'annullamento viene
pronunciato per l'incapacità legale della parte perché, in
questo caso, prevale l'esigenza di tutela dell'incapace.

La convalida
Il contratto annullabile può essere sanato mediante la convalida =
negozio unilaterale non recettizio mediante il quale la parte
legittimata all'azione di annullamento conferma il contratto
invalido. A seguito della convalida il contratto non è più
annullabile da parte del convalidante.
- Espressa: quando la parte manifesta la volontà di confermare il
contratto annullabile mediante un’apposita dichiarazione che
deve contenere la specifica menzione del contratto e della causa
di invalidità.
La volontà di convalidare il contratto può essere manifestata
con formule diverse e, tra queste, anche con la rinunzia
all'azione di annullamento. Una parte della dottrina, anzi,
intende la convalida proprio come una rinunzia all'azione o
rinunzia al diritto di annullamento. Tuttavia, secondo il Bianca
la spiegazione della convalida in termini di rinunzia non appare
soddisfacente perché essa non ne coglie il significato
principale e positivo quale atto volto a confermare il
contratto, cioè a rendere lo ferma e definitivo. Questo
contenuto positivo trova riconoscimento della tesi tradizionale
che, facendo leva sull'espressione letterale del termine,

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intende la convalida come atto volto a rendere valido il negozio


annullabile. E anche la dottrina più recente si pone sulla
stessa direzione.
La convalida non si sostituisce al contratto convalidato né
integra un elemento di questo, posto che il contratto
annullabile è strutturalmente perfetto. Equivoca appare pertanto
l'indicazione della convalida quale negozio integrativo. Può
dirsi piuttosto che la convalida è un negozio accessorio o di
secondo grado, che rimuove la precarietà legale del contratto
annullabile. Fonte del rapporto rimane il contratto convalidato
che, a seguito della dichiarazione di convalida, non è più
suscettibile di annullamento.

La convalida non ha effetto se persiste il vizio del consenso o


lo stato di incapacità.
Secondo la formula normativa il convalidante deve essere in
condizione di concludere validamente contratto. Occorre che il
convalidante abbia scoperto l'errore o il dolo, che sia cessata
la violenza, che abbia raggiunto la maggiore età, che sia
revocato lo stato di interdizione o inabilitazione – altrimenti
la convalida è nulla.
La norma richiede, come requisito necessario, che la volontà del
convalidante sia integra e consapevole. La convalida, pertanto,
è nulla anche quando sia autonomamente viziata la volontà di
convalida (come nei casi in cui sia viziata da errore
riconoscibile, dolo o violenza).
Per quanto attiene alla forma della convalida, prevale la tesi
secondo la quale il negozio è a forma libera.
La convalida ha effetto per il solo convalidante. Essa non
preclude pertanto l'azione di altri legittimati, salvo che
questi siano portatori dell'interesse del convalidante.

- Tacita: quando la parte conferma il contratto mediante la


volontaria esecuzione di esso.
La legge collega l'effetto convalidante all'esecuzione
volontaria del contratto da parte del titolare dell'azione di
annullamento che sia conoscenza della causa di invalidità.
a) Secondo alcuni, la convalida tacita sarebbe un atto giuridico
in senso stretto, ad effetto legale (→ di qui l'irrilevanza
della consapevolezza della parte circa significato
convalidante del proprio comportamento).
b) Un'altra tesi, seguita dalla giurisprudenza, riconduce
l'esecuzione volontaria del contratto ad un comportamento
concludente, cioè ad una manifestazione tacita di volontà, in
quanto tale esecuzione del contratto esprime normalmente,
alla stregua della comune esperienza, l'intento di tenere
fermo il contratto.
c) Secondo il Bianca deve negarsi rilevanza alla concreta
consapevolezza del significato convalidante dell'atto.
Infatti secondo la regola generale ciò che conta è il
significato socialmente valutabile dell'atto negoziale.
L'effetto della convalida, dunque, non viene meno soltanto

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perché il soggetto non avverte il significato di conferma del


suo atto occorrendo piuttosto a tal fine una diversa volontà
manifestata mediante una dichiarazione di riserva.

L'esecuzione volontaria consiste nell'adempimento


dell'obbligazione o nell'accettazione della prestazione
contrattuale. L'esecuzione parziale può, secondo le circostanze
e secondo l'importanza, essere valutata come volontà di conferma
dell'intero contratto.
Oltre che nell'esecuzione del contratto la convalida tacita può
essere riscontrata in altri comportamenti che depongano
univocamente per l'intento di conferma del contratto (es.
utilizzazione della prestazione contrattuale).
Anche la convalida tacita esige che il convalidante sia in
condizione di stipulare validamente il contratto, altrimenti
essa è senza effetto.

La rettifica
= negozio unilaterale e recettizio mediante il quale la parte non in
errore rende definitivamente efficace il contratto modificandone il
contenuto conformemente all’originario intento effettivo della
controparte.
Fondamento della rettifica sono il principio di conservazione del
contratto e di buonafede. Quest’ultimo principio esclude che
l’interesse di una parte sia sacrificato se non trova una sufficiente
rispondenza nell’interesse dell’altra.
- la contrarietà alla buonafede del rifiuto ingiustificato della
parte di accettare la rettifica è sanzionata in termini di
irrilevanza del rifiuto.
- Conformemente al suo fondamento, la rettifica non può più essere
esercitata quando importa un pregiudizio alla controparte, cioè
quando per il tempo trascorso o per circostanze o fatti
sopravvenuti debba presumersi che la parte legittimata
all’annullamento non abbia più interesse all’esecuzione del
contratto anche se adeguata al suo intento originario.

L’esercizio della facoltà di rettifica ha l’effetto immediato di


rendere il contratto definitivamente efficace, precludendo il diritto
di annullamento della controparte. Quest’ultima non può rifiutare la
rettifica ma può semmai contestarne la regolarità.
La rettifica non estingue il diritto della controparte al
risarcimento del danno se la causa di invalidità ne abbia comunque
ritardato l’esecuzione.
La facoltà di rettifica può essere esercitata senza limiti di tempo
fino a quando possa essere fatta valere l’invalidità del contratto.

a) La dottrina prevalente ritiene che l'istituto della rettifica


sia applicabile soltanto nel caso di errore. Essa trae l'argomento
dal fatto che la legge prevede la rettifica in tema di errore e,
ancora, dalla difficoltà di visitare l'intento originario ed
effettivo della parte dei casi di dolo e di violenza e nei casi di
incapacità.

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b) (!) In senso contrario può tuttavia osservarsi che anche al di


fuori delle ipotesi di errore è spesso possibile ricostruire il
regolamento contrattuale conforme all'intento non alterato da vizi
della volontà.
La mancanza di uno specifico richiamo normativo potrebbe avere una
rilevanza se il rimedio della rettifica costituisse una regola
eccezionale dell'ordinamento. Viceversa, la rettifica ha
fondamento in due principi generali: quello della conservazione
del contratto quello della buona fede.
Tale istituto deve trovare applicazione, se non vi osta il
pregiudizio della controparte, tutte le volte in cui il contratto è
modificato in modo da rimuovere l'alterazione di convenuto provocato
dal dolo o dalla violenza. L'applicabilità del rimedio presuppone che
risulti quale era la volontà contrattuale della vittima e quale
alterazione ha determinato l'ingerenza dolosa o violenta.
- La rettifica opera anche nel caso di dolo incidente (il quale
costituisce un vizio del consenso ma a differenza del dolo
determinante non genera l'annullabilità del contratto). La
rettifica, precisamente, opera quale risarcimento in forma
specifica rimuovendo la causa del danno – il suo ingiustificato
rifiuto costituirebbe violazione del dovere del danneggiato di
evitare il danno, quindi violazione del principio generale della
buonafede.
- La rettifica è, invece, inapplicabile nei casi di incapacità
legale in quanto l'incapace ha diritto all'annullamento del
contratto a prescindere dal suo contenuto, favorevole o meno.

LA RESCINDIBILITÀ

La rescindibilità è una forma di invalidità del contratto possa


principalmente a tutela di chi contrae a condizioni inique per il suo
stato di bisogno o di pericolo.
- Stato di bisogno: caratterizza la generale azione di
rescissione, che richiede anche l’approfittamento della
controparte e la lesione oltre la metà (cioè una sproporzione
tra prestazione e controprestazione tale che il valore dell’una
sia inferiore alla metà del valore dell’altra);
- Stato di pericolo: la parte stipula il contratto per la
necessità, nota alla controparte, di salvare sé od altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona. Non è richiesto
il presupposto di una determinata lesione, essendo sufficiente
che la necessità di evitare il pericolo abbia spinto il
contraente a stipulare a condizioni inique.

Come il contratto annullabile, anche il contratto rescindibile è


provvisoriamente efficace ma soggetto alla rimozione giudiziale, che
elimina gli effetti giuridici prodotti con efficacia retroattiva.
L’irregolarità del contratto non è data dall’iniquità in sé
considerata, ma dall’iniquità risultante dall’approfittamento di una
situazione di anomala alterazione della libertà negoziale.

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L'inquadramento della rescindibilità tra le forme di invalidità del


contratto non è pacifico in dottrina.
a) La tesi contraria argomenta principalmente dalla diversa
esigenza che sta a fondamento dell'istituto, che non sarebbe
diretto a tutelare la volontà del soggetto ma ad accordargli un
rimedio contro l'iniquità delle condizioni accettate in stato di
pericolo o di bisogno.
b) Tuttavia, al riguardo si può obiettare che la legge da rilevanza
alla manifesta iniquità del contratto che deriva da determinate
cause di turbamento della normale libertà di decisione del
soggetto.
Tenendo conto dell'incidenza che tali cause determinano sul
consenso può dirsi che l'istituto della rescissione sanziona
l’abusivo approfittamento di chi si trova in una situazione
anomala e pregiudizievole alterazione della libertà negoziale.
La rescissione rappresenta una forma di invalidità anche quando
il rimedio prescinda da una causa di alterazione della libertà
contrattuale. In tal caso l’irregolarità è data dalla violazione
di una norma sul contenuto del rapporto, e precisamente da una
norma che impone alle parti di adeguarsi ad un criterio
equitativo.

A) Il contratto concluso in stato di pericolo


La rescissione è un rimedio che l'ordinamento accorda alla parte che
abbia contrattato a condizioni inique per sottrarre sè o altri da
pericolo attuale di un danno grave alla persona (art. 1447).
Il codice prevede lo stato di pericolo o necessità in tema di resp.
extracontrattuale, con riferimento al comportamento tenuto dal
soggetto per evitare un danno grave alla persona (art. 2045). Esso è
poi previsto dalla legge penale come causa di esclusione della
punibilità (art. 54 c.p.).

- Stato di pericolo: cioè la minaccia di un danno grave alla


persona del contraente o di altri.
Ai fini della rescissione non ha importanza che il pericolo sia
reale: anche il pericolo putativo è, infatti, idoneo a menomare
la libertà di contrattazione del soggetto.
Non ha importanza della parte si sia immessa volontariamente
nella situazione di pericolo, nè ha importanza che il
pregiudizio non sia altrimenti evitabile. A differenza della
norma in tema di resp. extracontrattuale, qui non si pone una
comparazione tra l'interesse alla salvezza dell'autore del fatto
dannoso e l'interesse sacrificato dal comportamento necessitato.
Non si tratta di giustificare obiettivamente la condotta lesiva
del soggetto ma di prendere atto che il soggetto non era in
grado di negoziare un contenuto equo del contratto.
- Iniquità delle condizioni a cui il contraente ha dovuto
soggiacere, cioè una sproporzione tra il valore delle
prestazioni.
- Conoscenza dello stato di pericolo da parte di colui che ne ha
tratto vantaggio. Tale conoscenza significa, in definitiva che
la controparte approfitta della menomata libertà di negoziazione

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del contraente in pericolo per lucrare vantaggi obiettivamente


ingiustificati.

B) Il contratto concluso in stato di bisogno (azione generale di


decisione per lesione)
Il contratto è rescindibile, in generale, quando è stipulato a
condizioni gravemente inique in dipendenza dello stato di bisogno di
una parte.
Elementi caratterizzanti della rescissione per lesione sono,
precisamente:
- Stato di bisogno di una parte:
indica qualsiasi interesse che può essere soddisfatto mediante
il contratto, purché non consista in una esigenza seria e
impellente del soggetto. Tipico esempio di stato di bisogno e
quello in cui si trova il debitore insolvente il quale è spinto
a svendere sottocosto a i suoi beni pur di realizzare
prontamente del denaro.
Ai fini della rescissione lo stato di bisogno è rilevante anche
se si tratta del bisogno di persona diversa dal contraente. Ciò
che conta è che il contratto sia strumentale al soddisfacimento
del bisogno e che è in ragione di tale bisogno il contraente sia
spinto a stipulare a condizioni inique.
- Approfittamento dell’altra parte:
per trarne vantaggio. L’approfittamento deve intendersi come
sfruttamento consapevole della posizione di inferiorità del
contraente bisognoso. Lo sfruttamento risulta dalla stipulazione
stessa del contratto a condizioni ingiustificatamente
vantaggiose con la consapevolezza dello stato di bisogno in cui
versa la parte lesa.
- Lesione oltre la metà (ultra dimidium), detta anche lesione
enorme:
Non basta che lo stato di bisogno abbia spinto la parte a
stipulare a condizioni inique, ma occorre che il valore della
prestazione eseguita o promessa dal contraente bisognoso su per
il doppio del valore della controprestazione.
La lesione deve risultare dal confronto dei valori delle
prestazioni al tempo della simulazione del contratto. I criteri
per l'accertamento del valore sono quelli utilizzabili in
generale per la valutazione economica di beni e servizi nel
mercato.
La lesione deve perdurare sino al tempo della proposizione della
domanda. Per verificare la permanenza della lesione occorre
procedere alla valutazione della prestazione e della
controprestazione secondo il valore economico al tempo in cui la
domanda di rescissione è stata proposta, perché in tale momento
potrebbe essere cessato lo squilibrio dei valori delle
prestazioni.

Secondo la regola generale, chi intende avvalersi del rimedio della


rescissione deve provarne i presupposti. La consapevolezza dello

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stato di bisogno può essere dimostrata presuntivamente attraverso la


prova delle circostanze che rendevano palese tale stato.

Rescissione ed usura
La fattispecie del contratto rescindibile per lesione può integrare
gli estremi del reato di usura.
→ Vi è reato di usura quando il soggetto si fa dare o promettere,
per sè o per altri, interessi o altri vantaggi usurari in
corrispettivo di una prestazione di denaro o di un'altra utilità
(art. 644 c.p.).
La fattispecie dell'usura, come è attualmente prevista, si distingue
rispetto a quella della lesione poiché non richiede il requisito
dell'accreditamento dello stato di bisogno. Nella pratica tuttavia i
casi di usura e lesione tendono a coincidere. Questa coincidenza pone
pertanto il problema dell'incidenza del reato sulla validità del
contratto.
→ Secondo la tesi prevalente, la ricorrenza del reato non
cambierebbe la disciplina privatistica: sul piano civilistico la
vittima avrebbe diritto solo al rimedio della rescissione, con
l'unica variante di un prolungamento del termine di prescrizione in
concomitanza con il termine di prescrizione del reato.

A seguito della l. 108/1996, per quanto riguarda gli interessi


usurari il reato di usura scatta a seguito della loro pattuizione in
misura superiore a quella legale (fissata annualmente con
provvedimento ministeriale).
Sul piano civilistico il c.c. sancisce la nullità della clausola di
interessi usurari e la perdita del credito alla corresponsione di
interessi (art. 1815). Trattandosi di nullità sancita in favore del
debitore, essa non risponde ai principi civilistici. Il debitore ne
trae infatti un consistente lucro economico estraneo all’idea di un
risarcimento. Viene quindi abbandonata la funzione di normalizzazione
dell’affare perseguita dalla norma, che conservava il diritto alla
corresponsione degli interessi legali.

Rescissione e contratti aleatori


Il rimedio della rescissione non è applicabile nei contratti
aleatori: in questi contratti la sproporzione tra le prestazioni non
ha significato di lesione perché essa rientra nel rischio connesso al
contratto stipulato.
Tuttavia il rimedio della rescissione può trovare applicazione quando
la proporzione non è il risultato dell'alea ma è già presente al
momento della conclusione del contratto. L'alea non toglie, infatti,
che la prestazione abbia pur sempre un suo valore di mercato in
quanto si tratti di un'alea preventivamente determinabile secondo
calcoli di probabilità, ovvero quando si tratti di un'alea ridotta
che importa solo una limitata riduzione del prezzo.

L'AZIONE DI RESCISSIONE
La rescissione del contratto è un rimedio riservato all'iniziativa di
parte. Come nel caso dell'annullamento, è onere della parte

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legittimata chiedere giudizialmente che il contratto venga rescisso.


In mancanza dell'iniziativa di parte la rescindibilità del contratto
non può essere rilevata d'ufficio.
La sentenza che accoglie la domanda di rescissione ha natura
costitutiva in quanto priva il contratto della sua originaria
efficacia.
Legittimato attivo all'azione di rescissione è il contraente che ha
stipulato in stato di bisogno o in stato di pericolo (anche l’erede,
ma non l’avente causa a titolo particolare). Nell'ipotesi di
contratto plurilaterale ciascun contraente può proporre separatamente
la domanda per la parte che lo riguarda.

La prescrizione dell'azione
- L'azione di rescissione si prescrive in un anno dalla data di
stipulazione del contratto. Inoltre, decorso tale termine, il
rimedio della rescissione non può essere fatto valere neppure in
via di eccezione.
Tuttavia, se ricorrono gli estremi del reato il termine di
prescrizione dell’azione di rescissione coincide con il più
lungo termine di prescrizione del reato. Al riguardo si fa
rinvio alla regola generale per l’azione di risarcimento del
danno derivante da reato (art. 2947): quando si verifica il
passaggio in giudicato della sentenza penale o l'estinzione del
reato (per causa diversa dalla prescrizione) torna ad applicarsi
il termine annuale di prescrizione a far data dal verificarsi di
tanti fatti.
- Come per l'annullamento, anche la prescrizione dell'azione di
rescissione può essere interrotta solo dalla proposizione della
domanda giudiziale (e non anche dalla richiesta fatta alla
controparte). In tal senso si trae argomento da rilievo che la
rescissione è un rimedio esclusivamente giudiziale, in quanto
solo il giudice può realizzare risultato voluto (ossia la
rescissione del contratto) e quindi il diritto non può
esercitarsi che mediante l’azione. Si ammette comunque
l’efficacia interruttiva del riconoscimento del diritto da parte
del destinatario dell’azione.

Effetti della rescissione rispetto alle parti e rispetto ai terzi


In quanto la rescissione priva di efficacia il contratto, le
prestazioni già eseguite devono essere restituite. Come per
l'annullamento del contratto, al riguardo trovano applicazione le
regole dell'indebito oggettivo.
Anche l'azione di rescissione può accompagnarsi alla pretesa di
risarcimento del danno nella misura dell'interesse negativo secondo
il principio della resp. precontrattuale.
A differenza dell'annullamento la rescissione del contratto non
pregiudica in generale i diritti dei terzi: chi acquista dalla
controparte può sempre opporre il suo acquisto a chi agisce in
rescissione. L’acquisto rimane fermo anche se l'acquirente e la
conoscenza della rescindibiltà del titolo dal suo dante causa.
Ugualmente rimangono fermi gli atti cautelari ed esecutivi dei

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creditori della controparte sul bene da questa acquisito mediante il


contratto rescindibile.
La prevalenza del titolo del terzo presuppone l’osservanza dei
requisiti legali di opponibilità. Quando si tratta di atti soggetti a
trascrizione, l’atto del terzo prevale se è stato trascritto
anteriormente alla trascrizione della domanda di rescissione.
Altrimenti è la rescissione che può essere opposta al terzo. trova
allora applicazione il principio che la sentenza passata in giudicato
fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa
(art. 2909).

Non convalidabilità del contratto rescindibile


Il contratto rescindibile non può essere convalidato (art. 1451): la
convalida espressa è radicalmente nulla, l’esecuzione volontaria è
irrilevante agli effetti convalidatori.
Ratio: inidoneità della convalida a rimuovere la lesione, quindi un
vizio che si riferisce principalmente all’iniquità oggettiva del
contratto. Il divieto di convalida è diretto a prevenire una facile
occasione di abuso a danno del contraente leso, che generalmente
persiste nel suo stato di bisogno e può continuare a risentire del
suo stato di pericolo nel breve periodo di tempo concessogli per
esercitare l’azione.
La nullità della convalida comporta che il contraente non può
validamente disporre del diritto alla rescissione e, in particolare,
che tale diritto non può essere oggetto né di rinunzia né di
transazione.

La riduzione ad equità
La parte destinataria dell'azione di rescissione, può evitare
quest'ultima offrendo alla parte danneggiata di modificare il
contenuto del contratto riconducendo il valore economico delle
prestazioni contrattuale ad un giusto valore di scambio. L'esercizio
di questo potere estingue il diritto del contraente leso alla
rescissione del contratto.
- Il potere di riduzione ad equità è un potere di rettifica. Esso
può essere definito come un negozio unilaterale e recettizio con
cui si modifica il contenuto del contratto secondo un giusto
criterio di scambio.
- La riduzione ad equità non esige una rigorosa equivalenza di
valori delle prestazioni ma richiede, comunque, che il contratto
sia riportato ad un giusto rapporto di scambio. A tal fine il
corrispettivo deve essere uniformato in quanto possibile ai
valori di mercato (e cioè ai prezzi normalmente praticati per i
beni e servizi simili tenendo conto delle particolari condizioni
del contratto).
- La determinazione del giusto corrispettivo dev’essere fatta con
riferimento ai valori attuali delle prestazioni: la riduzione ad
equità deve aumentare o diminuire il corrispettivo in modo da
eliminare l’attuale lesione e renderlo giusto con riferimento
agli attuali valori delle prestazioni.

Si deve escludere che la riduzione ad equità abbia il valore di una


proposta contrattuale; si tratta piuttosto di un potere riconosciuto

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alla parte di evitare la rescissione rimuovendo la lesione sofferta


dal contraente che ha contrattato in stato di pericolo o di bisogno.
L’atto di esercizio di tale potere non richiede alcuna accettazione
da parte dell’altro contraente; se quest'ultimo contesta la congruità
della modifica è il giudice che deve decidere sulla fondatezza della
contestazione. Il giudice si limita per altro ad accertare la
sufficienza della modifica a riportare il contratto ad equità.

La riduzione ad entità evita la rescissione ma non presuppone


necessariamente che la relativa azione sia già stata proposta. Il
potere di rettifica può quindi essere esercitato anche in mancanza di
un processo. Se invece la causa è in corso il potere di rettifica può
essere fatto valere in via processuale (questo potere di rettifica è
sempre esercitato dalla parte e non dal giudice).
La determinazione della modifica del contratto può essere rimessa al
giudice. Anche in questo caso non è il giudice che evita la
rescissione, ma la parte che ha esercitato il potere di rettifica.

LA SIMULAZIONE

= fenomeno dell’apparenza contrattuale creata intenzionalmente. Si ha


simulazione, precisamente, quando le parti stipulano un contratto con
l'intesa che esso non corrisponda alla realtà del loro rapporto.
La simulazione si distingue in:
a) assoluta: quando le parti stipulano un contratto, ma in realtà
non intendono costituire alcun rapporto contrattuale (es. chi
simula di vendere i suoi beni per sottrarli all'esecuzione
forzata).
b) relativa: quando le parti pongono in essere un determinato
contratto (c.d. simulato) ma in realtà vogliono un contratto
diverso (c.d. dissimulato) da quello concluso. Può cadere sul
contenuto del contratto oppure sui soggetti (interposizione
fittizia).

Elementi caratterizzanti la simulazione:


- apparenza contrattuale;
- accordo simulatorio.

La legge dichiara il contratto simulato senza effetto tra le parti


(art. 1414).
a) Secondo l’opinione prevalente la simulazione costituirebbe
un’ipotesi di nullità.
b) Secondo Bianca è più appropriato parlare di inefficacia, in
quanto la simulazione non integra un’irregolarità del contratto.
La mancanza di efficacia dipende piuttosto dalla volontà delle
parti: sono le parti a stabilire che il contratto non deve avere
effetto o deve avere effetti diversi da quelli apparenti. Ciò
spiega anche il motivo per cui il contratto simulato possa
eventualmente acquistare efficacia mediante la revoca
dell'accordo simulatorio.

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Anche se l’intento fraudolento non è elemento necessario della


simulazione, il problema principale che essa pone è quello della
tutela dei terzi. La disciplina normativa privilegia questa tutela
rispetto alle parti. I principi cui è improntata la disciplina sono:
1) ciò che è simulato non ha effetto tra le parti: tra le
parti ha effetto la situazione realmente voluta;
2) i terzi pregiudicati dal contratto simulato possono far
valere la situazione reale;
3) i terzi che hanno confidato in buonafede nel contratto
simulato possono far valere la situazione apparente.
Regole particolari sono poi dettate per regolare il conflitto tra i
terzi che hanno confidato nella serietà del contratto e terzi
pregiudicati dalla simulazione.

L'accordo simulatorio e la controscrittura


La simulazione è essenzialmente caratterizzata dall'accordo
simulatorio = reciproca intesa delle parti sulla divergenza tra i
mille contratto stipulato e il loro effettivo rapporto.
L'accordo simulatorio consente di distinguere la simulazione rispetto
a:
a) errore ostativo: quale ipotesi di divergenza inconsapevole tra
dichiarato e voluto.
b) riserva mentale: si ha quando un soggetto intenzionalmente
dichiara cosa diversa da quella che vuole. In questo caso ha
cale la volontà dichiarata, anche se la controparte era a
conoscenza della riserva. Nella simulazione invece vi è l’intesa
delle parti nel senso che ciò che esse dichiarano non
corrisponde alla realtà del loro rapporto.

Per quanto riguarda la natura giuridica dell'accordo simulatorio si


discute esso abbia natura negoziale o di dichiarazione di scienza.
a) Coloro i quali sostengono che l'accordo simulatorio abbia natura
di dichiarazione di scienza affermano che ciò che conta è la
consapevolezza del carattere simulato delle dichiarazioni
emesse. L’accordo simulatorio si limiterebbe a esprimere questa
consapevolezza non essendo diretto - come gli accordi negoziali
- a creare, modificare o estinguere effetti giuridici.
b) Di contro, osserva il Bianca, l'operazione simulatoria implica
la creazione di uno strumento negoziale idoneo a produrre
determinati effetti giuridici. L'accordo simulatorio assume
allora carattere negoziale in quanto determina il contenuto
negativo del contratto stipulato ovvero il diverso contenuto che
il contratto deve avere per le parti.

L'accordo simulatorio non richiede una determinata forma. In genere


le parti provvedono a fare risultare il loro accordo mediante
un'apposita controscrittura = documento mediante il quale le parti
manifestano o attestano i loro accordo simulatorio. Essa non è
elemento essenziale del fenomeno simulatorio ma è comunque importante
dati i limiti che incontrano le parti della prova della simulazione.
In quanto l’accordo simulatorio determina il reale significato della
dichiarazione simulata, esso dev’essere anteriore o contemporaneo a

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tale dichiarazione (mentre la controscrittura, ovviamente, può essere


redatta in tempo successivo).

Atti suscettibili di simulazione


- La simulazione può avere ad oggetto anche i negozi unilaterali
se e in quanto sussista l’accordo simulatorio tra autore del
negozio e destinatario dell’atto.
Se il negozio non ha uno specifico destinatario i suoi effetti
si determinano secondo il suo significato sociale, e l’intesa
con un terzo qualsiasi non è sufficiente a smentirlo. Al
partecipe dell’intesa può tuttavia essere opposto il significato
convenuto.
- Alla possibile simulazione di negozi unilaterali fa riscontro la
possibile simulazione di contratti plurilaterali. La simulazione
richiede che l'accordo simulatorio intervenga fra tutte le
parti. l’intesa simulatoria con alcuni dei compartecipi può
incidere sui loro rapporti reciproci ma non sul rapporto di
partecipazione al gruppo (es. costituzione di un rapporto di
società può considerarsi fittizia solo se tutte le parti sono
d’accordo sul significato apparente del rapporto. Altrimenti il
socio deve considerarsi tale ad ogni effetto, salvo ciò che può
essere convenuto nei rapporti interni con gli autori dell’intesa
simulatoria).
- Il problema se anche gli atti giuridici in senso stretto siano
suscettibili di simulazione deve essere risolto positivamente
ogniqualvolta dipenda dall’autore determinare il significato e
quindi gli effetti dell’atto (es. confessione stragiudiziale).
La simulazione deve invece escludersi in relazione agli atti la
cui rilevanza giuridica dipenda esclusivamente dall’osservanza
di un determinato comportamento o formalità (es. trascrizione
del contratto).

Interposizione fittizia e interposizione reale


Interposizione fittizia:
- è una simulazione soggettiva. Si ha interposizione fittizia,
precisamente, quando la parte sostanziale del contratto è
diversa da quella che appare. Essa richiede, pertanto, un'intesa
plurilaterale tra tutte le parti vere del contratto e le parti
apparenti. Fra i contraenti prevale la situazione voluta e
quindi rapporto contrattuale fa capo esclusivamente a chi è
realmente parte di esso con esclusione della parte apparente.
Supponiamo, ad es., che B intenda comprare l'immobile offerte in vendita
da A ma non voglia rendere noto ai terzi il suo diritto di proprietà.
Allora A e B si accordano con C nel senso che quest'ultimo figuri come
l'acquirente del bene. In realtà, a chi acquista è B e solo su
quest'ultimo grava l'obbligo di pagare il prezzo.
- L'interposizione fittizia non deve essere confusa con la
stipulazione sotto falso nome, perché questa si limita ad una
falsa denominazione della parte senza creare uno sdoppiamento
tra parte effettiva e parte apparente.

Interposizione reale:

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- Nell’interposizione fittizia la persona interposta non è


destinataria degli effetti del contratto e solo apparentemente
essa figura come parte del contratto. Nell'interposizione reale,
invece, la persona interposta acquista i diritti che le derivano
dal contratto ma è tenuta a ritrasferirli ad una terza.
- Mentre l’interposizione fittizia rientra nel fenomeno
simulatorio, l’interposizione reale non tocca gli effetti del
contratto i quali si producono regolarmente in capo alla parte
interposta. L’obbligo del ritrasferimento riguarda un momento
ulteriore rispetto al contratto (che potrebbe integrare gli
estremi di un negozio fiduciario).

La simulazione rispetto alle parti


Tra le parti ha effetto la situazione occultata sotto l'apparenza del
negozio simulato.
- Simulazione assoluta: negozio simulato non produce alcun
effetto. Per se l'alienazione di un bene è simulata in via
assoluta il bene rimane nella sfera giuridica del simulato
alienante.
Simulazione relativa: tra le parti hanno effetto il contratto
che esse hanno realmente voluto stipulare, se ha i requisiti di
sostanza (liceità, possibilità, determinatezza o
determinabilità) e di forma richiesti dalla legge.
Al riguardo si ritiene sufficiente in giurisprudenza che
l’elemento formale sia presente nel contratto simulato. Questo
si può spiegare in quanto il contratto simulato e quello
dissimulato non sono due realtà separate ma due aspetti della
stessa operazione negoziale. Nell’es. della vendita che
dissimula una donazione i contraenti vogliono l’alienazione del
bene e la vendita risponde quindi, seppure in parte, al loro
intento effettivo.

La rilevanza della simulazione rispetto ai terzi.


Il problema della rilevanza esterna della simulazione concerne
distintamente:
a) i terzi che sono pregiudicati dal contratto simulato;
b) i terzi aventi causa dal simulato acquirente;
c) i creditori.
In linea di massima la tutela dei terzi prevale su quella delle
parti, mentre il conflitto tra le diverse categorie di terzi trova
varie soluzioni.

a) I terzi pregiudicati dal contratto simulato.


Con riguardo ai terzi pregiudicati dal contratto simulato valere la
seguente regola generale: quando la simulazione pregiudica i diritti
dei terzi, questi possono dimostrare che il contratto è simulato e
fare valere la situazione reale.
I terzi pregiudicati dal contratto simulato sono:
- coloro che hanno acquistato diritti (aventi causa) dal simulato
alienante;

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- in genere tutti coloro che in base alla situazione reale vantano


un diritto che risulta escluso, inopponibile o ridotto in base
all'atto simulato.
- Tra i Terzi pregiudicati dal contratto simulato la
giurisprudenza annovera anche la parte sostanziale se questa
risulta danneggiata dall'accordo simulatorio intervenuto fra il
rappresentante e il terzo.
Questi soggetti possono agire con l'azione di accertamento della
simulazione per far valere la situazione giuridica reale.

b) Gli aventi causa del simulato acquirente


La simulazione non può essere opposta ai terzi che hanno acquistato
in buonafede diritti dal titolare apparente:
- aventi causa dal simulato acquirente;
- in genere, tutti coloro che conseguono un effetto giuridico
favorevole sulla base del contratto simulato.
La tutela dei terzi di buonafede presuppone che questi abbiano già
realizzato un effetto giuridico a loro vantaggio sulla base del
contratto simulato. Non basterebbe quindi che in base a quel
contratto essi abbiano avuto un potere se tale potere non sia stato
esercitato.

Il principio della tutela del terzo acquirente di buonafede


dev’essere coordinato con le regole della trascrizione e degli altri
regimi di opponibilità del contratto. In particolare, quando il
contratto simulato è soggetto a trascrizione, il terzo acquirente di
buonafede non può opporre il suo acquisto se il suo titolo è stato
trascritto dopo la trascrizione della domanda di accertamento della
simulazione.
Analogamente, la tutela dell’avente causa dal simulato acquirente
cede di fronte all’avente causa dal simulato alienante quando si
tratta di alienatario di cosa mobile che ne abbia in buonafede
conseguito il possesso.

c) I creditori
Occorre distinguere:
a) Creditori del simulato alienante: conservano nei confronti del
debitore la loro garanzia patrimoniale sul bene apparentemente
alienato. Essi possono pertanto agire per far accertare che
l’alienazione stipulata dal debitore era simulata. Non possono
peraltro far valere la garanzia patrimoniale in pregiudizio dei
terzi acquirenti di buonafede.
b) Creditori del simulato acquirente: possono far valere la loro
garanzia patrimoniale sul bene che risulta acquisito al
patrimonio del debitore in base al contratto simulato.
Precisamente, la simulazione non può essere opposta ai creditori
del simulato acquirente che in buonafede hanno già compiuto atti
di esecuzione sul suo patrimonio.
La simulazione non può essere loro opposta né dalle parti né
dagli aventi causa dal simulato alienante. Ma anche qui occorre
tener conto delle regole della trascrizione e degli altri regimi
di opponibilità dell’atto. Se il contratto simulato è soggetto a
trascrizione, il diritto di chi agisce in simulazione prevale
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sugli atti esecutivi successivi alla trascrizione della domanda


giudiziale.

c) Conflitto tra le due categorie di creditori: i creditori del


simulato alienante sono preferiti ai creditori del simulato
acquirente se e in quanto il credito dei primi sia sorto in
tempo anteriore alla stipulazione del contratto simulato.
La preferenza dei creditori anteriori del simulato alienante è
sancita rispetti ai creditori chirografari del simulato
acquirente. Se i creditori del simulato acquirente sono titolari
di garanzie reali o privilegi il conflitto si risolve secondo le
regole comuni sull’ordine delle garanzie.

L'AZIONE DI SIMULAZIONE
L’azione di simulazione è un'azione di accertamento: è diretta a far
accertare giudizialmente l’inefficacia totale o parziale del
contratto e il reale rapporto intercorrente tra le parti.
- Legittimati ad agire sono le parti ed i terzi interessati, cioè
i terzi attualmente o potenzialmente pregiudicati dalla
situazione apparente. Se la simulazione risulta dagli atti, essa
dev’essere rilevata anche d’ufficio quando la pretesa fatta
valere in giudizio sia fondata sul contratto simulato.
- Legittimati passivi sono i partecipi dell’accordo simulatorio.

La materia della prova è regolata diversamente a seconda che siano le


parti o i terzi a proporre l'azione di simulazione:
- I terzi pregiudicati dalla simulazione possono dare la prova di
essa con qualsiasi mezzo, anche mediante testimoni e
presunzioni.
- Le parti hanno invece l'onere di provare la simulazione mediante
la controscrittura, essendo
- loro preclusa la prova per testi e presunzioni. Tuttavia la
simulazione può essere liberamente provata quando l'azione è
diretta ad accertare l’illiceità del contratto dissimulato.
Ai limiti della prova della simulazione sottostanno anche gli
eredi delle parti. Tuttavia la giurisprudenza ammette che
l’erede possa provare liberamente la simulazione quando assuma
che vi sia stata lesione del suo diritto di legittima.

L'azione di simulazione è imprescrittibile avendo natura di


accertamento.
La giurisprudenza è ferma nel distinguere tra azione di simulazione
assoluta - imprescrittibile; azione di simulazione relativa -
prescrizione decennale. Tuttavia questa distinzione è contrastata
dalla dottrina maggioritaria.

Il negozio fiduciario
= negozio mediante il quale un soggetto (fiduciante) aliena un
diritto per uno scopo ulteriore che l’alienatario (fiduciario) si

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obbliga a realizzare ritrasferendo il diritto stesso al fiduciante o


a un terzo.

Elementi caratterizzanti della figura sono:


- effettivo trasferimento del diritto dal fiduciante al
fiduciario;
- possibilità di abuso del fiduciario: divenuto titolare del
diritto potrebbe validamente disporre di esso in violazione
dell’obbligo assunto, che non è opponibile ai terzi acquirenti.
La possibilità di abuso deriva dal fatto che il fiduciario
riceve una posizione giuridica più ampia rispetto ai limiti
obbligatori che lo vincolano alla realizzazione di un
determinato scopo.

La causa del negozio fiduciario è stata ravvisata:


- nella causa del mandato: relativamente alle alienazioni volte a
realizzare particolari scopi nell’interesse dell’alienante o di
altri;
- nella causa della garanzia: relativamente alle alienazioni a
scopo di garanzia;
- nella stessa fiducia, secondo altri.
Probabilmente, secondo Bianca, una tipizzazione è arbitraria
dovendosi avere riguardo agli interessi concreti che l’operazione è
diretta a realizzare.

Il negozio fiduciario va distinto dal negozio simulato: quest’ultimo


trasferisce il diritto solo in apparenza, mentre il negozio
fiduciario trasferisce realmente il diritto al fiduciario (il quale
diviene titolare di esso con l’obbligo di disporne secondo lo scopo
della fiducia.

CAPITOLO XIII - LA CESSIONE DEL CONTRATTO


= negozio mediante il quale il titolare di un rapporto contrattuale a
prestazioni corrispettive non ancora eseguite (cedente) sostituisce a
sé un terzo (cessionario) col consenso dell'altra parte (ceduto) –
art. 1406.
Oltre che come atto, la cessione può essere intesa come vicenda
soggettiva del contratto, cioè quale successione a titolo particolare
nel rapporto contrattuale. Nel significato di vicenda traslativa del
rapporto contrattuale la cessione può essere oggetto di un negozio
(cessione negoziale) oppure avere titolo nella legge (cessione
legale).
La cessione del contratto deve essere distinta da:
- novazione: comporta l'estinzione del rapporto contrattuale e la
costituzione di un nuovo rapporto con un diverso soggetto o con
un diverso contenuto. La cessione presuppone invece la
permanenza del rapporto, che si trasferisce dal cedente al
cessionario.

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- contratto per persona da nominare: mentre la persona nominata


acquista direttamente la posizione scaturente dal contratto nel
caso della cessione, questa comporta un acquisto derivativo
della posizione già costituitasi in capo al cedente.
Anche se non è disciplinata dalla legge, può ammettersi la figura di
una cessione parziale del contratto: non estingue il rapporto, ma si
limita solo ad un suo parziale trasferimento ferma restando la
titolarità del cedente per la quota non trasferita.
La cessione del contratto è una vicenda unitaria, nel senso che ciò
che si trasferisce è il rapporto contrattuale, e più precisamente la
posizione contrattuale quale complesso di diritti e obblighi
scaturenti dal contratto.

La giurisprudenza e la dottrina prevalente ravvisano nel contratto di


cessione un contratto plurilaterale, che si perfeziona con la
necessaria partecipazione di tre soggetti:
a) cedente,
b) cessionario,
c) ceduto.
Il consenso del contraente ceduto è un elemento costitutivo della
cessione e non una semplice adesione all'accordo già intervenuto tra
cedente e cessionario.
Causa e forma del contratto di cessione
La cessione del contratto è un negozio di alienazione che si
caratterizza per il suo oggetto a prescindere da una determinata
causa.
Regole di questa vicenda sono:
- necessità di adesione della parte ceduta e possibilità di
un’adesione preventiva;
- responsabilità sussidiaria del cedente se il ceduto dichiara di
non liberarlo;
- inopponibilità al cessionario, da parte del ceduto, delle
eccezioni fondate su rapporti diversi da quello che ha
costituito oggetto della cessione;
- garanzia spettante al cessionario;
- opponibilità della cessione rispetto a terzi.
Trova poi applicazione la disciplina relativa alla causa che di volta
in volta si riscontra a base del contratto di cessione. La cessione
del contratto non ha infatti una causa propria, ma la causa che di
volta in volta giustifica l’operazione (es. vendita, donazione,
traslazione…).

La cessione non richiede di per sé una determinata forma, la quale


può invece essere necessaria in dipendenza della natura dei diritti
trasferiti (es. diritto al trasferimento di immobili) o in dipendenza
della causa della cessione (es. donazione).

Il rapporto cedente-cessionario
In applicazione del principio consensualistico, la posizione
giuridica del cedente si trasferisce al cessionario per effetto del
consenso. È necessario anche il consenso del contraente ceduto, il
quale può però limitarsi ad approvare la cessione stipulata tra

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cedente e cessionario senza assumere nessuno degli impegni nascenti


da questo contratto.
Se l’adesione del contraente ceduto è stata data preventivamente, il
contratto acquista efficacia al momento del perfezionarsi
dell’accordo tra cedente e cessionario, e la posizione deve
intendersi immediatamente trasferita. Le parti hanno peraltro l’onere
di portare a conoscenza del contraente ceduto l’avvenuta cessione per
renderla opponibile a quest’ultimo.

La legge prevede espressamente a carico del cedente la garanzia della


validità del contratto trasferito (nomen verum).
- Se la cessione è a titolo oneroso, l’impegno del cedente è di
portata più ampia. Il cedente, pertanto, è responsabile in tutte
le ipotesi in cui cessionario non acquisisce la posizione
contrattuale o acquisisce una posizione contrattuale che non
corrisponde a quella promessa. Il cedente risponde pertanto se
il contratto ceduto è nullo, inesistente, annullabile o se
risulta inefficace tra le parti.
- Se la cessione è a titolo gratuito, la garanzia del cedente può
ritenersi limitata alle ipotesi di evizione a carico del
donante.

Il generale il cedente è tenuto, soltanto, a garantire la validità


del contratto ceduto ma non ha anche la garanzia della degli meglio
di esso. Tuttavia, se il cedente assume anche la garanzia
dell'adempimento delle obbligazioni del cessionario (nomen bonum), la
sua responsabilità è regolata dalle norme sulla fideiussione.

La posizione del ceduto rispetto al cedente e al cessionario


Dal momento in cui la cessione del contratto produce effetti nei
confronti delle contraente ceduto, il cedente esce dal rapporto
contrattuale. → il ceduto non è più obbligato nei confronti del
cedente e, d’altro canto, non può più pretendere dal cedente
l’adempimento del contratto.
La possibilità di una persistente responsabilità del cedente e
registra soltanto nell'ipotesi in cui il ceduto dichiara di non
liberarlo: in tal caso quest'ultimo assume una responsabilità
sussidiaria nel senso che il ceduto può richiedergli il pagamento se
il cessionario è inadempiente.
A tale riguardo la legge pone a carico del ceduto lo specifico
obbligo di dare avviso al cedente dell'inadempimento del cessionario
entro 15 giorni da quando l'inadempimento si è verificato. La
violazione di tale obbligo, tuttavia, non comporta la perdita del
credito verso il cedente ma l’obbligo di risarcire a questo il danno
conseguente al ritardo dell’avviso.

Rispetto al cessionario il contraente ceduto conserva inalterata la


sua posizione contrattuale. Il cessionario, a sua volta, subentra
nella stessa posizione contrattuale del cedente per cui il contraente
ceduto può esercitare nei suoi confronti non solo i diritti di
credito ma tutti i poteri inerenti la sua posizione contrattuale.
Secondo la formula normativa sono opponibili al cessionario tutte le
eccezioni derivanti dal contratto: il contraente ceduto può opporre

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tra l'altro eccezione di inadempimento e può far valere il pagamento


eseguito o altri fatti estintivi delle sue obbligazioni (salvo che
assieme al cedente abbia garantito l’esistenza del rapporto ceduto).
Al ceduto sono invece precluse le eccezioni fondate su altri rapporti
con il cedente. In particolare, il ceduto non può opporre al
cessionario la compensazione per crediti vantati verso il cedente.

La cessione preventivamente autorizzata


Alla parte contrattuale può essere preventivamente conferito il
potere di cedere il contratto a terzi: in tale ipotesi il contratto è
liberamente cedibile.
Nell’ipotesi di consenso preventivo del contraente ceduto la regola
del passaggio della posizione contrattuale dev’essere coordinata con
un elementare principio di tutela della parte ceduta. In quanto
quest’ultima ha già acconsentito alla cessione del contratto, non è
più tutelato il suo interesse a tenere fermo il rapporto con il
contraente originario. Si tratta piuttosto dell’interesse alla
certezza della titolarità del rapporto contrattuale: esso viene
tutelato facendo decorrere l’efficacia della cessione nei confronti
del ceduto dal momento in cui la cessione viene notificata ovvero dal
momento in cui sia accettata. Fino a tale momento devono considerarsi
validi i pagamenti eseguiti da una parte all’altra.
- La notificazione è un atto giuridico di comunicazione mediante
il quale il cedente o il cessionario portano a conoscenza della
parte ceduta della venuta la cessione del contratto. Secondo la
tesi più rigorosa, dovrebbe essere eseguita nelle forme previste
dal c.p.c. (mediante ufficiale giudiziario). Se essa proviene
dal cessionario, deve comunque accompagnarsi ad elementi
dimostrativi che consentano al ceduto di accertare agevolmente
l’avvenuta cessione.
- L'accettazione è la atto mediante il quale il contraente ceduto
riconosce nel cessionario il nuovo titolare del rapporto
contrattuale. Essa è un atto giuridico ricognitivo.
Deve essere tenuta distinta rispetto al consenso costitutivo del
negozio di cessione. Essendo la cessione del contratto già
autorizzata, una nuova manifestazione di consenso è irrilevante
al fine di produrre l’effetto traslativo della cessione.
D’altra parte l’accettazione del contraente ceduto significa
riconoscimento del vincolo nei confronti del nuovo titolare.
In quanto atto di riconoscimento, l’accettazione non comporta
l’assunzione del vincolo contrattuale nei confronti del
cessionario quanto tale vincolo sia inesistente, né in generale
preclude al ceduto di opporre le eccezioni di invalidità e
estinzione del contratto. In tali casi la responsabilità del
ceduto che accetta la cessione può essere piuttosto ravvisata
come responsabilità per avere indotto il cessionario a confidare
nella validità del contratto acquisito.

Efficacia della cessione nei confronti dei terzi


Requisiti di opponibilità della cessione sono di regola la
notificazione e la cessione.

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I contratti all'ordine
= contratto destinato alla circolazione mediante un documento con la
clausola all'ordine o altra clausola equivalente.
Il contratto all’ordine si trasferisce normalmente mediante la
consegna del documento accompagnata dalla girata. Queste non sono
formalità necessarie per il trasferimento del rapporto contrattuale,
che si realizza in base al principio del consenso traslativo.
I contratti all’ordine non sono titoli di credito ma titoli impropri,
cioè documenti che servono a trasferire il diritto senza l’osservanza
delle forme proprie della cessione. Mediante tali documenti diventa
superflua la notificazione.
→ Il possesso del documento accompagnato dalla girata è sufficiente
a far presumere che il portatore sia il nuovo titolare del diritto.
Il ceduto deve pertanto attenersi a tale presunzione, se non gli
risulta il contrario, e non può pretendere altre prove dell’avvenuta
cessione.

La cessione legale del contratto


= cessione che ha titolo in determinati fatti previsti dalla legge
come idonei a trasferire il rapporto contrattuale.
Le ipotesi di cessione legale riguardano principalmente contratti di
utilizzazione e contratti di assicurazione di un bene i quali si
trasferiscono automaticamente con l'alienazione di esso. È fatta
salva, comunque, una contraria volontà dell’acquirente o
dell’assicuratore. Altra ipotesi è quella che concerne il contratto
di locazione a seguito dell’alienazione della cosa locata.
La cessione legale non richiede l'accordo delle parti nè l'adesione
del contraente ceduto. Il trasferimento del rapporto si determina
quando si perfeziona la fattispecie traslativa legale. Il contraente
ceduto è peraltro tutelato in quanto la cessione acquista efficacia
dei suoi confronti nel momento in cui gli viene notificata.

Cessione della posizione contrattuale attiva


Nella previsione normativa la cessione del contratto ha per oggetto
un rapporto a prestazioni corrispettive non ancora eseguite.
Questo riferimento al rapporto a prestazioni non ancora eseguite è
stato spiegato in base a rilievo che la realizzazione del rapporto
relativamente ad una delle parti porrebbe ad oggetto della cessione
solo singoli diritti contrattuali, rispetto ai quali risulterebbe
estranea la figura della cessione contrattuale.
(!) In realtà, afferma il Bianca, il titolare può limitarsi a
disporre del singolo diritto derivantegli dal contratto oppure può
cedere la sua posizione contrattuale attiva (cioè l'insieme dei
diritti e poteri che gli spettano quale titolare del contratto).
Es. un contratto di vendita è eseguito da parte del venditore, e questo
ha ancora diritto al prezzo.
Il venditore potrebbe limitarsi a cedere il suo credito pecuniario. In
tal caso il cessionario riceverebbe esclusivamente il diritto alla
prestazione in denaro, e in caso di inadempimento potrebbe giovarsi dei

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soli rimedi legali che prescindono dalla natura contrattuale


dell’obbligazione (risarcimento del danno, esecuzione forzata).
Altra possibilità è che il venditore ceda la sua posizione contrattuale
attiva. In tal caso il cessionario potrebbe giovarsi degli altri diritti
connessi alla posizione contrattuale (es. diritto scaturente da una
clausola penale o diritto di risoluzione del contratto).
La cessione negoziale della posizione contrattuale attiva non richiede
il consenso del ceduto, posto che tale cessione comporta solo un diverso
destinatario degli obblighi scaturenti.
Il trasferimento della posizione contrattuale attiva è riscontrabile in
diverse ipotesi di cessioni legali aventi ad oggetto il ‘prezzo’
residuo: es. l’erede apparente di buonafede che aliena un bene
dell’eredità è tenuto a restituire all’erede vero il prezzo ricevuto;
ritorno della persona dichiarata morta presunta; alienazione del bene
depositato fatta in buonafede dall’erede del depositario; alienazione
del bene fatta in buonafede da chi l’ha ricevuto indebitamente.

Il Subcontratto
= contratto mediante il quale una parte reimpiega nei confronti di un
terzo la posizione che gli deriva da un contratto in corso, detto
contratto base.
Il subcontratto riproduce lo stesso tipo di operazione economica del
contratto basse ma la parte assume con il terzo il ruolo inverso
rispetto a quello che egli ha in tale contratto: es. il locatario che
subloca l’immobile diviene a sua volta locatore, l’appaltatore che
subappalta diventa committente, il depositario che subdeposita
diviene depositante…

Caratteristica comune e caratterizzante del subcontratto è il


mantenimento del contratto base tra le parti originarie (es.
sublocatore continua ad essere conduttore del contratto di
locazione). Esso non estingue il contratto base.
Il subcontratto si differenzia dalla cessione del contratto in quanto
non opera il trasferimento della posizione contrattuale da un
soggetto ad un altro. Al contratto base si aggiunge un nuovo
contratto che ha per oggetto posizioni giuridiche derivanti dal
primo.
Il problema principale è quello che concerne i rapporti tra i due
contratti, e la possibilità di fissare alcune regole valevoli in
generale per il subcontratto. In tema di sublocazione e submandato,
al locatore e al mandante si attribuisce un’azione diretta verso il
subconduttore e il submandatario per ottenere l’adempimento delle
obbligazioni derivanti dal subcontratto.
- Ratio: l’operazione economica si realizza sostanzialmente tra il
contraente principale e il terzo subcontraente. È quest’ultimo che
esegue l’obbligazione nell’interesse del mandante ed è il subconduttore
che si sostituisce nel godimento del bene del locatore.

I tentativi della dottrina di spiegare la natura giuridica del


subcontratto riducendolo ad altre figure negoziali non appaiono
convincenti.
a) collegamento negoziale: (!) esso viene inteso come un
fenomeno di interdipendenza formale tra più contratti, tutti
necessari per realizzare un programma unitario. Il riferimento
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ad un’ampia nozione di collegamento negoziale, comprendente


tutte le ipotesi di dipendenza di un contratto da un altro, non
darebbe una sufficiente connotazione al subcontratto.
b) contratto a favore di terzo: (!) ma non vi è acquisto
del diritto da parte del terzo nei confronti del contraente
principale.
c) Secondo Bianca il subcontratto costituisce
un’autonoma figura di dipendenza di un contratto rispetto ad un
altro (subderivazione), caratterizzata dal reimpiego della
posizione contrattuale derivante da un rapporto in corso di
esecuzione.

CAPITOLO XIV – L’ESTINZIONE


= definitiva perdita di efficacia del contratto.
Le due fondamentali figure di estinzione sono:
a) ANNULLAMENTO: estingue il contratto per una causa d’invalidità,
colpisce il contratto giuridicamente irregolare.
b) RISOLUZIONE: estingue il contratto per un evento impeditivo del
rapporto, scioglie il rapporto contrattuale per un evento
incompatibile con la sua attuazione (recesso, inadempimento,
impossibilità sopravvenuta, ecc.).

L’estinzione del contratto non va confusa con l’estinzione dei


singoli effetti del contratto.
- La perdita definitiva di efficacia del contratto sta a
significare che l’atto negoziale diviene definitivamente
improduttivo di effetti giuridici.
- L’estinzione di singoli effetti del contratto è invece una
vicenda distinta: se ad es. il venditore rimette al compratore
il debito relativo al prezzo, ciò non tocca l’efficacia della
vendita. Nei contratti a prestazioni corrispettive, l’estinzione
di una delle obbligazioni per impossibilità sopravvenuta può
portare alla risoluzione del contratto, ma questa costituisce
comunque un risultato ulteriore ed eventuale rispetto alla
vicenda riguardante la singola obbligazione.

Estinzione ed esecuzione del contratto


Di solito, le obbligazioni contrattuali si estinguono mediante
l’adempimento. L’adempimento delle obbligazioni contrattuali non
integra l’estinzione del contratto, ma la sua esecuzione.
Esecuzione del contratto vuol dire attuazione del programma
contrattuale, e questa si compie mediante effetti diretti e
attraverso l’adempimento delle obbligazioni contrattuali.
L’adempimento dell’obbligazione contrattuale costituisce, pertanto,
esecuzione del contratto.

LA RISOLUZIONE
= estinzione del contratto per un evento impeditivo del rapporto;
scioglimento del rapporto contrattuale.

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Secondo la fonte possiamo distinguere:


- Risoluzione volontaria: l’estinzione del contratto si determina
per effetto della volontà della parte o delle parti.
o negoziale: estinzione del contratto decisa dal soggetto
nell’esercizio della sua autonomia negoziale;
o per giusta causa o inadempimento: costituisce esercizio di
un potere di autotutela del soggetto, accordato per
l’ipotesi di intollerabilità della prosecuzione del
rapporto o di in esecuzione del contratto.
- Risoluzione legale: la risoluzione si determina
automaticamente a seguito del verificarsi dell’evento cui la
legge attribuisce efficacia estintiva (es. morte di una delle
parti del mandato).
- Risoluzione giudiziale: estinzione del contratto per
provvedimento del giudice (es. risoluzione per inadempimento).

Secondo l'efficacia la risoluzione può essere:


- Retroattiva: fa venire meno l’efficacia del contratto sino dalla
sua origine. Tra le parti gli effetti giuridici già realizzati
si cancellano con l’obbligo di restituire le prestazioni
ricevute e più in generale di reintegrare la situazione
anteriore in quanto modificata da atti esecutivi del contratto.
- Non retroattiva: sono salvi gli effetti già prodotti del
contratto e le prestazioni già eseguite, compreso l'obbligo del
corrispettivo. Essa determina una interruzione del rapporto.
N.B.: Di regola la risoluzione è non retroattiva quando ha per
oggetto contratti ad esecuzione continuata o periodica e, in
generale, atti attributivi di poteri.

Risoluzione negoziale. Revoca. Recesso.


Risoluzione negoziale: estinzione del contratto per atto di autonomia
negoziale.
La risoluzione negoziale unilaterale prende il nome di revoca o
recesso:
- Revoca = Atto negoziale estintivo di negozi unilaterali (es.
procura) o di contratti stipulati nell’interesse preminente
della parte revocante (es. mandato).
- Recesso = termine usato per indicare l’atto negoziale estintivo
dei contratti in genere (art. 1373).

La dottrina propende per una distinzione più rigorosa, che vede


nell’oggetto della revoca l’atto giuridico e nell’oggetto del recesso
il rapporto.
- La revoca cancella il precedente atto giuridico privandolo di
efficacia retroattivamente. L’atto non è più idoneo a produrre
effetti giuridici e quelli già prodotti si estinguono.
- Il recesso, invece, in quanto incide direttamente sul rapporto
potrebbe avere efficacia non retroattiva.
Sul piano della disciplina, la distinzione tra efficacia retroattiva
e non retroattiva non appare legata alla distinzione tra revoca e
recesso. Di regola la risoluzione negoziale ha efficacia retroattiva;

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ha efficacia non retroattiva quando ha per oggetto contratti ad


esecuzione continuata o periodica ovvero il conferimento di poteri.

Il mutuo dissenso
= scioglimento consensuale del contratto. E’ l’accordo delle parti
che estingue un precedente contratto con efficacia retroattiva.
Esso è espressione dell’autonomia contrattuale, in quanto il potere
di porre in essere atti dispositivi della propria sfera giuridica
comporta anche il potere di disvolere tali atti, nel rispetto dei
diritti altrui.
La possibilità che l’accordo delle parti abbia ad oggetto
l’estinzione di un precedente rapporto contrattuale rientra nella
stessa definizione normativa del contratto (art. 1321: accordo per
costituire, modificare o estinguere un rapporto giuridico
patrimoniale).
Il mutuo dissenso rimane distinto rispetto ai contratti restitutori,
mediante i quali le parti, senza risolvere il contratto originario,
tendono a realizzare una vicenda contrattuale inversa (es. patto di
retrovendita). Con il mutuo dissenso ciascuna delle parti perde il
vantaggio derivante dal contratto originario.
Il mutuo dissenso richiede la stessa forma del contratto revocato, in
quanto ha per oggetto una vicenda di uguale natura e di uguale
importanza.
Lo scioglimento per mutuo dissenso non pregiudica i diritti dei terzi
aventi causa e dei creditori che abbiano compiuto atti di esecuzione
sui beni che per effetto dello scioglimento del contratto tornano
nella sfera dell’altra parte. Il mutuo dissenso è comunque
assoggettato allo stesso regime di opponibilità del contratto
originario.

IL RECESSO
In genere il negozio giuridico unilaterale può essere revocato dal
suo autore, salvo che a seguito del negozio sia sorto in capo al
terzo un diritto incompatibile con la revoca. Conformemente a tale
principio, finché il contratto non si è perfezionato ciascuna delle
parti ha il potere di revocare il proprio atto di consenso.
Il contratto non può, invece, essere sciolto unilateralmente dalla
parte (principio di vincolatività del contratto).
Lo stesso contratto può tuttavia accordare ad una o ad entrambe le
parti il potere di sciogliersi unilateralmente dal vincolo
contrattuale. La disciplina del contratto indica tale potere come
RECESSO (art. 1373).

RECESSO = atto negoziale unilaterale e recettizio che richiede la


stessa forma prescritta per il contratto revocato.
- prevale sui diritti dei terzi quando la clausola attributiva del
potere sia stata resa opponibile conformemente al regime di
opponibilità valevole per il contratto principale.
- Secondo la previsione normativa, il potere negoziale attribuito
alla parte di sciogliersi unilateralmente dal vincolo

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contrattuale può essere esercitato finché il contratto non abbia


avuto un principio di esecuzione: questa preclusione opera anche
se non sia scaduto il termine fissato dal contratto per
l’esercizio del recesso.
Si ha principio di esecuzione quando l’effetto reale si è in
tutto o in parte realizzato o quando la prestazione obbligatoria
è stata in tutto o in parte adempiuta. Nei contratti di
alienazione, la facoltà di recesso deve essere esercitata prima
che si produca l’effetto traslativo, salva diversa volontà delle
parti: infatti, le parti possono disporre che il potere di
recesso sia esercitato anche dopo che il contratto sia in tutto
o in parte eseguito.

Il recesso dai contratti a prestazione continuata o periodica:


Nei contratti a prestazione continuata o periodica, il recesso si
configura come l’esercizio del potere della parte di interrompere il
rapporto contrattuale.
- Il diritto di recesso è conferito ad uno o ad entrambi i
contraenti da un precedente accordo (clausola o patto di
recesso), e può anche essere attribuito dalla legge (diritto
legale di recesso).
- Sia il contratto che la legge possono conferire alla parte il
potere di recedere come rimedio contro l’inadempimento o come
rimedio per l’onerosità o l’intollerabilità della prosecuzione
del rapporto. In questi casi, tuttavia, il recesso costituisce
un potere di autotutela e il suo esercizio è assoggettato al
controllo dell’adeguatezza del mezzo alla sua funzione. Il
diritto di recesso tutela l’interesse obiettivo della parte
all’interruzione del rapporto contrattuale, e l’esercizio del
diritto è rimesso esclusivamente all’autonoma decisione del
titolare, salvo il limite generale del principio di buonafede.
- Anche il recesso dai contratti a prestazione continuata o
periodica è un atto unilaterale e recettizio: l’atto si
perfeziona con la manifestazione di volontà del recedente, ma
per la sua efficacia deve essere comunicato all’altra parte.
- L’atto di recesso deve avere la stessa forma prescritta per il
contratto originario o la forma stabilita specificamente dalle
parti o dalla legge.
- Il recesso ha efficacia non retroattiva: lascia ferme le
prestazioni già eseguite e quelle in corso di esecuzione.
Il rispetto del principio di buonafede esige che il potere di recesso
unilaterale sia esercitato in maniera tale da salvaguardare
l’interesse dell’altra parte. Così, l’importanza che il rapporto può
avere per la parte e la difficoltà di trovare un immediato rimpiazzo,
possono richiedere che l’atto di recesso sia comunicato con un
congruo preavviso.
Ci si chiede se in mancanza di una specifica previsione legale spetto
ugualmente alla parte il diritto di recedere: no se il contratto ha
un termine di durata stabilito dalle parti o altrimenti; se invece il
contratto ha una durata minima o il minimo è superato ciascuna parte
è libera di recedere (salvo il rispetto del principio di buonafede).

Il potere legale di recesso


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Nei contratti ad esecuzione periodica possono rientrare i contratti


d’appalto e d’opera, che generalmente si caratterizzano come
contratti a prestazione prolungata.
Un potere legale di recesso è attribuito:
- al committente anche se sia stata iniziata l’esecuzione
dell’opera o la prestazione del servizio, con l’obbligo del
rimborso spese e salvo il diritto di indennizzo dell’appaltatore
per il mancato guadagno.
- All’acquirente di beni nelle vendite fuori dei locali
dell’impresa.

Recesso ordinario e recesso per giusta causa


- Il potere di recesso ordinario, convenzionale o legale, è un
potere arbitrario, che la parte può esercitare liberamente senza
che occorra darne giustificazione, seppure sempre nel rispetto
del principio di buonafede.
- Recesso per giusta causa: costituisce un rimedio stragiudiziale
di risoluzione del contratto per inadempimento. Esso è
legalmente previsto nel contratto di lavoro subordinato dove è
particolarmente disciplinato (art. 2119 c.c., art. 18 St. lav.)
e in altri contratti (es. mandato). Il recesso per giusta causa
esula dalla forma della risoluzione su diffida ma è comunque
soggetto ai principi sulla risoluzione per inadempimento
richiedendo anche la gravità dell’inadempimento.

La multa penitenziale
= prestazione prevista a carico del recedente per l’esercizio del
potere di recesso o di revoca.
Essa non è una penale, in quanto l’atto non presuppone un
inadempimento del recedente, il quale esercita un suo diritto. La
multa penitenziale è piuttosto il prezzo del recesso.
La prestazione a carico del recedente può essere stabilita in forma
di caparra penitenziale.

La caparra penitenziale
= somma versata al momento della conclusione del contratto da valere
eventualmente come corrispettivo del recesso (o della revoca) – art.
1386.
- A differenza della caparra confirmatoria, la caparra
penitenziale implica il diritto di recesso dal contratto. Tale
diritto può essere previsto anche a favore di entrambe le parti.
Il contraente che esercita il recesso perde la caparra data o
deve restituire il doppio di quella ricevuta.
Che la caparra sia penitenziale (anziché confirmatoria) deve
risultare dall’interpretazione della clausola: se il contratto
attribuisce ad entrambe le parti il diritto di sciogliere il
contratto, la caparra s’intende come penitenziale.
- A differenza della semplice multa penitenziale, la caparra
penitenziale si accompagna alla preventiva dazione della somma
relativa. Per chi la riceve, la caparra costituisce garanzia di
un immediato soddisfacimento del diritto a ricevere il
corrispettivo del recesso.

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- In quanto la caparra penitenziale integra un patto attributivo


del diritto di recesso o revoca, trovano applicazione le norme
che valgono per tali figure: in particolare, la regola generale
che al di fuori dei contratti ad esecuzione continuata o
periodica consente alla parte di esercitare il potere di recesso
fino a quando il contratto non abbia avuto un principio di
esecuzione.
- Se il potere di recesso o di revoca non viene esercitato, la
caparra deve essere restituita, salvo che abbia a contenuto beni
dello stesso genere della prestazione principale: in questo caso
può essere imputata alla prestazione dovuta.

Appendice di aggiornamento
Nel quadro degli interventi comunitari a tutela del consumatore,
particolare importanza ha assunto la Direttiva 1999/44/CE su taluni
aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo.
La Direttiva concerne la vendita e i contratti aventi ad oggetto la
fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre. Sul piano
soggettivo essa riguarda i contratti intercorrenti tra venditori o
produttori di beni di consumo, esercenti nell'ambito della propria
attività imprenditoriale, e consumatori (art. 1).
Al consumatore è riconosciuto il diritto alla consegna di beni conformi al
contratto, cioè di beni corrispondenti alla descrizione fatta dal
venditore, idonei all'uso normale o allo speciale uso comunicato dal
consumatore e accettato dal venditore, e in genere aventi le normali
qualità dei beni dello stesso tipo (art. 2). Le varie ipotesi di
inesattezza dei beni sono riportate all' unica categoria
dell'inadempimento per difetto di conformità.
In presenza di qualsiasi difformità del bene spettano al consumatore i
rimedi della riparazione o sostituzione. Se questi rimedi risultano
impossibili o eccessivamente onerosi gli spettano quelli della riduzione
del prezzo o della risoluzione del contratto. La risoluzione del contratto
è esclusa se il difetto è "minore" (art. 3).
Il venditore finale, responsabile nei confronti del consumatore, ha
diritto di regresso nell'ipotesi in cui il difetto di conformità sia

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imputabile al produttore o ad un intermediario nella catena di


distribuzione del bene (art. 4).
Il venditore risponde del difetto di conformità che si manifesta entro 2
anni dalla consegna. Il difetto che si manifesta entro 6 mesi si presume
esistente al momento della consegna (art. 5).
La Direttiva richiede ancora che le garanzie volontarie siano pattuite con
caratteri di chiarezza e comprensibilità, e con l'avvertenza che i diritti
spettanti per legge al consumatore rimangono impregiudicati (art. 6).
Infine, la Direttiva sancisce il carattere imperativo delle disposizioni a
tutela del consumatore (art. 7), la conservazione dei diritti spettanti a
quest'ultimo secondo le leggi nazionali, la facoltà degli Stati membri di
sancire un livello più elevato di tutela del consumatore (art. 8).

Lo Stato italiano ha provveduto a dare esecuzione alla Direttiva


1999/44/CE mediante il d.lgs. 2 febbraio 2002, n. 24 (G.U, I marzo 2002).
La disciplina inserita da questo decreto nel contesto del c.c. (art. 1519
bis e ss.), è stata trasfusa negli articoli 128 e ss. del 'codice del
consumo', emanato col d. lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
La nuova normativa riproduce il dettato della Direttiva con alcuni
integrazioni e varianti.
Una prima integrazione attiene alla facoltà del venditore di offrire un
rimedio al difetto di conformità. Si tratta di un'integrazione di scarso
rilievo che si richiama al considerando n. 12. È previsto, precisamente,
che se il consumatore ha già chiesto un rimedio, il venditore deve darne
attuazione. Se, invece, il consumatore non ha ancora chiesto un rimedio,
l'offerta del venditore può essere accettata o rifiutata mediante la
scelta di un altro rimedio (art. 1309). La disposizione distingue in tal
modo tra offerta tardiva e offerta tempestiva, e prevede che quella
tempestiva possa essere accettata. È però ovvio che anche un'offerta
tardiva può essere accettata dal consumatore.
Il senso della disposizione è comunque quello di rimettere in ogni caso al
consumatore la scelta del rimedio. Rimane allora da vedere se la scelta
gli competa anche quando il rifiuto dell'offerta del venditore sia
contraria a buona fede.
Con riguardo alla denunzia del difetto di conformità e alla prescrizione
dell' azione, il legislatore italiano si è avvalso della facoltà
attribuita dalla Direttiva agli Stati membri. È stato sancito, così, che
il consumatore ha l'onere di denunziare il difetto di conformità entro due
mesi dalla scoperta, mentre l'azione è soggetta ad un termine di
prescrizione di 26 mesi.
Da segnalare, ancora, come il legislatore italiano abbia escluso il
rimedio della risoluzione in presenza di un difetto di conformità “di
lieve entità”, precisando in tal modo l'incerta espressione della
Direttiva, riferita ad un difetto "minore".
Infine, dei patti limitativi dei diritti sanciti dalla nuova disciplina è
decretata la nullità. Trattasi di nullità relativa, che può essere fatta
valere solamente dal consumatore ma che può anche essere rilevata
d'ufficio dal giudice (art. 134).

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