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3 marzo 2020→ pagg.

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La riforma del 1865 apparve presto insoddisfacente, perché abolendo il contenzioso
amministrativo aveva condotto ad un indebolimento della tutela del cittadino nei confronti della
p.a. e quindi giuristi e politici (come il Crispi) si fecero portatori dell’esigenza di una revisione sulla
base di due profili fondamentali, fra loro connessi:
• l‘attuazione di una tutela più ampia ed incisiva del cittadino nei confronti dell’Amministrazione;
• l‘individuazione dell‘organo cui affidare tale tutela.
Ovvero vi era l’esigenza che a fronte di atti di esercizio del potere potessero trovare tutela non
solo i diritti soggettivi ma anche gli interessi (legittimi) visto che il diritto soggettivo era
riconosciuto e garantito quando l’amministrazione operava jure privatorum; mentre a fronte di un
atto autoritativo di esercizio del potere la situazione soggettiva poteva configurarsi solo come
interesse. A tale scopo fu emanata dal governo Crispi la legge 5992 del 1889 che istituiva la
Quarta Sezione del Consiglio di Stato con il compito di decidere sui ricorsi presentati dai cittadini
contro gli atti della p.a. lesivi di interessi (le altre sezioni del consiglio di stato continuavano a
svolgere la loro funzione consultiva per il governo). La competenza della quarta sezione era
definita dall’art 3 in riferimento ai ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per
violazione della legge contro atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa o di un corpo
amministrativo deliberante che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti morali
giuridici quando non siano di competenza della autorità giudiziaria. Tale legge fu importante in
quanto aiutò a diffondere l’idea che la giurisdizione amministrativa sia legata a delle situazione
giuridiche soggettiva ossia gli interessi legittimi, che potrebbero essere lesi, mediante un atto
amministrativo. La violazione degli interessi legittimi rientra nelle controversie di competenza del
consiglio di stato, dinanzi al quale i cittadini propongono i ricorsi. “Il ricorso non è ammesso se
trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio di un potere politico”. Alla
Quarta sezione era demandata la tutela d’interessi di individui o di enti morali giuridici. La
competenza della Quarta sezione non poteva interferire con quella del giudice ordinario. La tutela
di questi interessi si realizzava con ricorsi contro atti e provvedimenti di un’autorità amministrativa
e, quindi, nelle forme dell’impugnazione del provvedimento amministrativo. Altro merito della
suddetta legge è stato quello di mettere al centro del contenzioso tra cittadino e amministrazione
il provvedimento amministrativo. Il provvedimento amministrativo assumeva un ruolo decisivo,
sia come elemento per la definizione della competenza della quarta sezione, sia come elemento di
raccordo tra l’attività amministrativa e la giustizia amministrativa. La tutela del cittadino si
configurava, nella legge del 1889, come tutela contro il provvedimento amministrativo. Proprio
grazie alla centralità del provvedimento amministrativo, si comincia a capire che la tutela era
ammessa solo nei confronti di un atto che fosse già produttivo dei suoi effetti; era perciò una
tutela successiva e non preventiva. Infatti, per molto tempo il processo amministrativo conservo
la natura di mera impugnazione. meramente una natura impugnatoria. I ricorsi della Quarta
sezione erano mezzi d’impugnazione del provvedimento e producevano, come utilità, per il
ricorrente, l’annullamento del provvedimento impugnato.
Questa natura del giudizio accompagna la struttura del processo per tanti anni, ma a seguito di
diversi aspetti, tale ottica di è molto appannata: oggi diventa giudizio su rapporto tra privato e Pa,
e non solo impugnatorio. Altro merito di questa legge (oltre all’aver riconosciuto che la
giurisdizione amministrativa ha come oggetto la tutela degli interessi legittimi; aver riconosciuto la
natura di impugnazione del processo amministrativo) è stato quello di inserire l’istituto della
sospensione degli effetti del provvedimento amministrativo “per gravi ragioni”, su istanza del
ricorrente. In questa logica l’art. 12 disponeva che “i ricorsi non hanno effetto sospensivo”.
La Quarta sezione poteva sospendere l’esecuzione dell’atto o del provvedimento, ma la
presentazione del ricorso di per sé non incideva sull’esecutività del provvedimento né sull’esercizio
successivo della funzione amministrativa. La sospensione dell’atto è una misura che i giudice
adotta per gravi ragioni, ossia? se viene impugnato un determinato provvedimento, il ricorso
chiedeva l'annullamento dell’ordine stesso. Se non chiedo la sospensione degli effetti dello stesso,
l’amministrazione affiderà il servizio, e l'azione diventerà soltanto risarcitoria, al che conseguiva
l'affievolimento della giustizia, e la non tutela dell'interesse legittimo del ricorrente. La necessità di
introdurre questa misura cautelare è quella di dare una maggiore garanzia. La stessa misura deve
aver dei presupposti:
- Gravi ragioni, nel senso che bisogna dimostrare al giudice la necessità di sospendere gli
effetti di quell'atto, affinché non vi siano gravi pregiudizi irreparabili. In ragione della lunga
durata dei processi amministrativi, il legislatore ha introdotto l’istituto della sospensione
degli effetti dell’atto per evitare situazioni spiacevoli da poter riparare soltanto con il
risarcimento del panno. Si pensi all’annullamento di un provvedimento di aggiudicazione di
un concorso, che avviene dopo 10 anni dal ricorso, a seguito dell’incardinazione degli
insegnamenti. Tuttavia, sono delle materie accelerate (settore economica, appalti,
antitrust), per le quali il legislatore dà una corsia preferenziale, in quanto possono
determinare dei pregiudizi, per i quali la certezza del giudizio è importante. Inoltre, si è
modificata la materia del cautelare. In alcuni giudizi, il giudice ha la possibilità di dire che la
causa è matura per essere decisa, anche se in realtà si è nella corsia cautelare. Questo ha
consentito al giudice di dare una maggiore stabilità al giudizio amministrativo. Vi sono
anche dei settori che non hanno questa corsia preferenziale. Su tale aspetto è intervenuto
la legge Pinto, con la quale si è istituito il risarcimento per irragionevole durata del
giudizio. Fino al 2010 non vi era il codice del processo amministrativo. Da qui, l'esigenza
dell’ giurisprudenza di colmare delle lacune normative con delle decisioni, che poi hanno
trovato una stigmatizzazione nel processo amministrativo.

Alto elemento importante della legge dell'89 è l’individuazione dei vizi dell'atto
amministrativo. Il ricorso poteva essere proposto dal cittadino per impugnare un
provvedimento affetto da vizi tassativamente indicati dalla legge: “ incompetenza, eccesso di
potere e violazione di legge”.
• Per incompetenza fu inteso un vizio degli elementi soggettivi dell’atto ovvero insussistenza
di una competenza a provvedere in capo all’organo che aveva emanato l’atto impugnato.
Dunque, si ha incompetenza quando l’atto è stato emesso dalla amministrazione non
competente.
ESEMPIO: atto di esproprio, che invece di essere sottoscritto da una regione, è sottoscritto dalla
provincia. Dato che l’esproprio è un atto, che per le legge dovrebbe essere emesso da un soggetto
che ha una specifica competenza, nel momento in cui viene emesso da un soggetto che non ha la
suddetta competenza, si ha un vizio di incompetenza.
• Per eccesso di potere fu inteso un uso gravemente scorretto del potere discrezionale come
contrasto con principi generali ritenuti vincolanti. Tale vizio deriva dal sistema francese. La
definizione di eccesso di potere racchiude una serie di margini di eccesso di potere, che non è
racchiudibile in una singola di definizione. Si pensi al caso in cui l’amministrazione persegue un
fine diverso, rispetto a quello che doveva perseguire, eccedendo quindi dei suoi poteri, seppur
agendo in modo legittimo. Si pensi al caso in cui l’amministrazione nell’emettere un
provvedimento di aggiudicazione di una gara, nell’escludere un soggetto da una procedura di
evidenza pubblica, lo esclude per favorire un altro contratto. In questo caso, il fine non è
quello di escludere un soggetto perché non avente dei requisiti, ma è quello di escludere un
soggetto per favorire un altro soggetto→ in questo modo, l’amministrazione emette un atto
sviando la finalità dello stesso. Inoltre, rientra nella definizione di eccesso di potere anche la
carenza istruttoria, in quanto è necessario che l’amministrazione compia l’istruttoria in
modo consono. Si pensi al caso in cui l’amministrazione fa una commissione di gara e deve
giudicare dei titoli, momento in cui la stessa dà i punteggi, che vengono attribuiti senza
valutare effettivamente i titoli posseduti dai soggetti partecipanti alla gara.. Prima della legge
del 90, nell’accesso del potere rientrava anche la carenza di motivazione: nell'art 3 viene
affermato che tutti gli atti amministrativi devono essere motivati, motivo per il quale oggi si
parla di violazione di legge.
• Per violazione di legge fu inteso contrasto tra un elemento del provvedimento o
procedimento e una disposizione di legge.
Altro elemento importante della legge 89 è che il merito dell'atto amministrativo sfugge al
sindacato del consiglio di stato, reiterando il concetto secondo cui l’atto amministrativo,
qualora viene adottato dalla p.a. per ragioni di opportunità, o al suo interno incita una scelta
politica, o comunque una scelta che attiene all’alta amministrazione, la legge 1889 ritiene che
non possa essere impugnato dinanzi al consiglio di stato, ma è possibile esperire il ricorso
gerarchico. Questo significa che gli atti attinenti al merito dell’attività amministrativa no
sindacabile solo su ricorso gerarchico→( Per quanto riguarda gli atti di amministrazione
economica la competenza della IV sezione era limitata all’eccesso di potere; per gli altri
ambiti, che furono poi spesso designati come merito dell’atto amministrativo, il sindacato
sulla discrezionalità rimaneva riservato all’autorità amministrativa e ai ricorsi gerarchici)

La tutela del cittadino nei confronti della Pubblica Amministrazione, nel quadro della riforma dl
1889, fu ricondotta a uno schema imperniato su una distinzione fra figure soggettive:
- La tutela nell’ambito dei diritti soggettivi era demandata al giudice ordinario e rispetto a
essa non si riscontravano modificazioni di rilievo nella legge istitutiva della Quarta sezione;
- ai diritti soggettivi si contrapponevano però gli “interessi” propri dei cittadini (interessi
legittimi), la cui tutela sarebbe stata demandata alla Quarta sezione;
- infine permaneva un ambito dell’attività amministrativa riservata all’amministrazione.
In questo quadro risultava poco chiara la collocazione del ricorso gerarchico, che non era
circoscritto ad alcuno dei tre ambiti citati: la legge del 1889 introduceva, però, un rapporto
preciso fra il ricorso alla Quarta sezione e il ricorso gerarchico, perché il ricorso alla Quarta
sezione era ammesso solo contro un “provvedimento definitivo ”, ossia contro un
provvedimento per il quale fossero stati esperiti tutti i gradi della tutela gerarchica.

Sempre con questa legge viene ribadita la legittimità del ricorso straordinario al re. La novità è il
principio di alternatività: se proponi ricorso al re, non può essere impugnato dinanzi al consiglio di
stato. Tale principio esiste ancora oggi: nel nostro processo il ricorso straordinario e quello
ordinario di distinguono dal termine di proposizione.
Dalla tutela imperniata sulla Quarta sezione erano esclusi gli atti “emanati dal Governo
nell’esercizio del potere politico. Questa categoria degli “atti politici”, non aveva confini chiari: si
trattava di atti riconducibili a funzioni superiori di Governo, ma non necessariamente solo di atti
politici di rilevanza costituzionale.
La competenza della Quarta sezione s’incentrava nel sindacato di legittimità sull’atto
amministrativo. In taluni casi particolari, però, la legge del 1889 attribuiva alla Quarta sezione un
sindacato “anche in merito”, con caratteristiche non ben definite. In questi casi, la Quarta sezione,
nel caso di accoglimento del ricorso, non avrebbe dovuto limitarsi ad annullare l’atto impugnato,
ma avrebbe potuto assumere una decisione sulla pratica in sostituzione di quella rappresentata
dal provvedimento annullato. Fra le ipotesi di sindacato “anche in merito” la legge prevedeva
quello dei “ricorsi diretti a ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di
conformarsi, in quanto al caso deciso, al giudicato dei tribunali che abbia riconosciuto la lesione di
un diritto civile o politico” (giudizio di ottemperanza) . In tal modo si rendeva effettivo l’obbligo
dell’amministrazione ad ottemperare al giudicato dei giudici ordinari e si colmava una lacuna di un
principio già sancito nell’art 4 co2 della legge del 1865. Successivamente alla legge Crispi del 1889,
fu attribuita alla Giunta provinciale amministrativa una competenza modellata su quella della IV
Sezione, ma limitata alla tutela nei confronti di alcuni atti di Amministrazioni prevalentemente
locali. Contro le pronunce di tale Giunta era ammesso ricorso alla IV Sezione. Questa è una legge
che non chiarisce un punto: la natura della decisioni del Consiglio di stato. Parte della dottrina
riteneva che il Consiglio di stato era un organo amministrativo, per cui le sue decisioni non
avevano un carattere giurisdizionale, bensì amministrativo. Secondo altra parte della dottrina
affermavano il contrario.
La tesi del carattere giurisdizionale della Quarta sezione fu accolta, inoltre, dalla Cassazione, alla
quale, la legge del 1877 assegnava i ricorsi contro le decisioni dei giudici speciali per motivi di
giurisdizione. La Cassazione, dichiarando ammissibili ricorsi del genere proposti contro le decisioni
del Consiglio di Stato, riconobbe alla Quarta sezione carattere di giudice speciale e, alle sue
decisioni, valore di sentenze. Così per eliminare ogni dubbio fu emanata la legge del 1907 che
introduceva la distinzione tra sezioni consultive del consiglio di stato (le prime tre) e sezioni
giurisdizionali (la IV e la Quinta sezione, introdotta dalla legge stessa con il compito di esaminare i
ricorsi con sindacato esteso al merito, rimanendo alla IV sezione il sindacato di legittimità). In
attuazione della legge del 1907 fu emanato il regio decreto 2007 n 642 che viene denominato
anche il regolamento per la procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato
rimasto in vigore fino al “codice” del 2010. Il coordinamento tra le due sezioni era affidato alle
sezioni riunite (con adunanza plenaria), composte dai componenti di entrambe le sezioni.
Altra funzione dell’adunanza plenaria era la risoluzione di controversie caratterizzate da una forte
complessità, la cui soluzione è difficile da individuare.

La riforma del 1923 e l’istituzione della giurisdizione esclusiva


La legge del 1907 aveva orientato la distinzione tra giurisdizione amministrativa e ordinaria sulla
base della situazione soggettiva tutelata:
- Al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non fu assegnato uno spazio nella tutela dei
diritti soggettivi; allo stesso fu riconosciuta la tutela di posizioni soggettive particolari, che
la giurisprudenza si orientava con sempre maggiore chiarezza a definire come posizioni
giuridicamente qualificate (e quindi previste e disciplinate da una norma sostanziale), ma
distinte dai diritti soggettivi: gli interessi legittimi. → dunque, quando la posizione da
tutelare era quella dell’interesse legittimo, la questione doveva essere giudicata dal
giudice amministrativo.
- Quando la posizione da tutelare era un diritto soggettivo, la questione veniva giudicata dal
giudice ordinario.
Ciò però creava la necessità di poter distinguere tra diritti soggettivi e interessi legittimi,
operazione non sempre agevole e che aveva l’inconveniente, quando le due posizioni erano
correlate fra loro, di richiedere due diversi giudizi, uno davanti al giudice ordinario e l’altro
davanti al giudice amministrativo. Per ovviare a ciò fu introdotta la riforma del 1923 con la
legge 2840 (cui fece seguito il Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato, approvato con r.d.
1054 del 1924), che è l’atto con il quale gli avvocati hanno visto disciplinato il giudizio dinanzi
al consiglio fino agli anni 90. Tale decreto disciplinava il funzionamento del consiglio di
stato e ha introdotto delle novità importanti:
a- al giudice amministrativo, nei giudizi di sua competenza, fu data la capacità di
conoscere in via incidentale le questioni riguardanti diritti soggettivi, purché non
riguardassero lo stato o le capacità delle persone e la querela di falso (che restavano di
competenza del giudice ordinario); tale cognizione incidentale evitava di dover
sospendere il giudizio amministrativo qualora ci fosse stata la necessità di esaminare
una questione inerente ad un diritto soggettivo che doveva essere portata davanti al
giudice ordinario (ad esempio una richiesta di autorizzazione che poteva essere
presentata solo dal proprietario di un bene). Il giudice amministrativo poteva valutare
la titolarità del bene, in via incidentale, sebbene il diritto di proprietà esulasse dalla sua
competenza
b- Superando la distinzione presente nel regio decreto del 1907, che faceva riferimento
alla competenza a seconda della posizione d tutela, il testo unico introduce il concetto
della giurisdizione esclusiva. In alcune materie (tra cui il pubblico impiego) era data la
possibilità al giudice amministrativo di giudicare in via principale sui diritti soggettivi
(giurisdizione esclusiva). In questi casi non serviva distinguere tra diritto soggettivo o
interesse legittimo per individuare giudice competente.
ESEMPIO: giudizio sull’annullamento di un piano regolatore di un piano urbanistico
comunale con richiesta di risarcimento del danno. Il giudice competente, in
precedenza doveva occuparsi soltanto della legittimità o meno del piano regolatore,
senza andare oltre. Se Tizio avevo un terreno che doveva essere definito edificatorio,
ma invece era stato illegittimamente definito come terreno agricolo, riceveva la
pronuncia del giudice che annullava il piano regolatore nel quale diceva, affermando
che il terreno di Tizio era agricolo e non edificatorio. Affinché Tizio potesse essere
risarcito dei danni subiti, doveva rivolgersi al giudice ordinario, il quale pronunciava
una sentenza di risarcimento dei danni.
Con il riconoscimento della giurisdizione esclusiva, il soggetto davanti allo stesso giudice
amministrativo può chiedere sia l’annullamento dell’atto, sia il risarcimento del danno per lesione.
c- Dalla riforma del 1923 emergeva dunque che:
• Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, il riparto delle competenze tra giudice
ordinario e amministrativo seguiva il criterio della distinzione per materie. Le materie
di giurisdizione esclusiva erano tassativamente individuate (la più importante era il
pubblico impiego) e quindi la giurisdizione esclusiva aveva carattere di specialità. Col
testo unico il giudice amministrativo viene considerato giudice unico nelle controversie
di pubblico impiego nelle controversie dei pubblici dipendenti. Il pubblico dipendente
che veniva demansionato o comunque veniva inquadrato in un altro livello, doveva
rivolgersi al giudice amministrativo., in quando giudice sia dei diritti soggettivi che degli
interessi legittimi. Oggi non è più così.
• Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, nelle vertenze per diritti soggettivi il giudice
amministrativo aveva gli stessi poteri di cognizione e di decisione che gli spettavano
quando decideva su interessi legittimi. Pertanto decideva anche sui diritti in base alle
regole del processo amministrativo (e non applicava quindi per i diritti le regole del
codice di procedura civile).
• Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva, la tutela dei diritti era aggiuntiva rispetto a
quella degli interessi. Si potevano avere casi in cui il giudice amministrativo esercitava
una giurisdizione di legittimità e niente più, e casi eccezionali in cui la giurisdizione era
sul merito oltre che di legittimità.
• Nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo poteva giudicare in via
incidentale su diritti soggettivi non inerenti alla materia devoluta alla giurisdizione
esclusiva. Al giudice amministrativo era preclusa invece la cognizione, sia in via
principale, sia in via incidentale, di questioni inerenti allo stato e alla capacità delle
persone, o di questioni di falso, che erano riservate al giudice ordinario.
• Al giudice ordinario, anche nelle materie di giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, erano riservate “le questioni inerenti ai diritti patrimoniali
conseguenziali alla pronuncia di legittimità sull’atto o provvedimento contro cui si
ricorre”. I diritti patrimoniali conseguenziali furono identificati col diritto al
risarcimento del danno per annullamento di un atto amministrativo che avesse inciso
su un diritto soggettivo. Si pensi al decreto di esproprio successivamente annullato dal
giudice amministrativo, che comportava la remissione in pristino del cittadino nel
diritto di proprietà previamente compresso dal decreto. Le azioni per il risarcimento
dovevano quindi essere promosse sempre davanti al giudice ordinario anche se era
stato arrecato un danno ad un diritto rientrante nella giurisdizione esclusiva (già detto
prima)
La legge del 1923 eliminò la distinzione di competenze tra IV e V sezione del Consiglio di stato,
evitando così alle parti l’aggravio di dover decidere a quale delle due sezioni rivolgersi. Pertanto le
sezioni riunite non avevano più lo scopo di risolvere i conflitti di competenza tra le due sezioni ma
solo sui contrasti di giurisprudenza tra le stesse.

Entrata in vigore della Costituzione e istituzione dei Tar


Dopo il testo unico delle leggi sul consiglio di stato del 1924 la disciplina della giustizia
amministrativa rimase invariata per oltre 70 anni e anche l’entrata in vigore della Costituzione
comportò mutamenti limitati. Enunciava principi nuovi sulla giurisdizione in generale e sulla tutela
nei confronti dell’Amministrazione, ma l’incidenza delle norme costituzionali rispetto alla giustizia
amministrativa si ebbe solo in un secondo momento e forse neppure in modo completo. Nei primi
anni dell'ordinamento repubblicano le innovazioni più evidenti riguardarono l'assetto
organizzativo della giurisdizione amministrativa, ma non furono condizionate dalla Costituzione.
Con il d.l. 5 maggio 1948, n. 642, era stata istituita una Sesta sezione del Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale, omologa alla Quarta e alla Quinta. Subito dopo, in attuazione dell'art. 23 dello
Statuto speciale per la Sicilia, con il d.lgs. 6 maggio 1948, n. 654 (modif. dal d.lgs. 24 dicembre
2003 n. 373), venne istituito il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana. Negli
anni 60 l’influenza dei principi costituzionali circa l’indipendenza dei giudici si fece più evidente e
la Corte Costituzionale dovette intervenire per dichiarare l’illegittimità di alcune giurisdizioni
speciali che non garantivano tale indipendenza come la composizione della Giunta provinciale
amministrativa. Fu solo nel 1971 con la legge 1034 che furono istituiti nei capoluoghi di ciascuna
regione (e in otto regioni anche sezioni staccate presso i capoluoghi di provincia) i Tribunali
amministrativi regionali (Tar) con competenza generale per le controversie di interessi legittimi (e
di diritti soggettivi nelle materie di giurisdizione esclusiva) con funzione di giudice di primo grado.
Contro le sentenze del Tar era ammesso appello al Consiglio di Stato che veniva così a fungere da
giudice amministrativo di secondo grado.
La legge del 1971 introdusse anche innovazioni in termini di procedura per il primo ed il secondo
grado di giudizio sebbene non in modo organico, ed ha esteso la giurisdizione esclusiva alle
materie di concessione di beni e servizi pubblici .
Successivamente il d. lgs. 1199/1971 dettò per la prima volta una disciplina organica dei ricorsi
amministrativi: ricorso gerarchico (improprio e ricorso in opposizione) e ricorso straordinario al
Presidente della Repubblica.
È necessario fare dei chiarimenti circa le normative applicabili:
- Testo unico del 1924, resta in vigore per il consiglio di stato, e quindi per i giudizi di
secondo grado.
- La legge 1971 n 1034, si occupa i ricorsi al tribunale.

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