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La giustizia amministrativa
Sezione Prima
Principi generali sulla tutela giurisdizionale
1. Nozioni generali
L’espressione giustizia amministrativa indica quel complesso di mezzi concessi dall’ordina-
mento giuridico ai singoli per tutelare le posizioni giuridiche soggettive di cui risultino titolari
nei confronti della P.A.
Il sistema di giustizia amministrativa permette la coesistenza di tre principi fondamentali del nostro ordinamento:
1) il principio della azionabilità in giudizio di tutte le lesioni di diritti soggettivi ed interessi legittimi (art. 24, comma 1,
Cost.) anche se derivanti da atti e comportamenti della P.A. (art. 113, comma 1, Cost.);
2) il principio dell’autonomia del potere giudiziario (art. 101 Cost.: «I giudici sono soggetti soltanto alla legge»);
3) il principio di legalità dell’azione amministrativa la cui conformità alla legge viene accertata dall’autorità giudiziaria.
Sezione Seconda
La tutela in sede amministrativa
1. Principi generali
La tutela in sede amministrativa è attuata dalla stessa amministrazione, attraverso un pro-
cedimento amministrativo, che viene instaurato a seguito di un ricorso dell’interessato.
Pertanto, non vi è alcun intervento giurisdizionale, né del giudice ordinario, né del giudice
amministrativo.
La funzione della tutela in sede amministrativa è quella di ricercare, se possibile, una soluzione
alle controversie insorte nell’ambito dell’ordine amministrativo stesso e che coinvolgono interessi
dell’amministrazione evitando il ricorso a mezzi giurisdizionali.
2. Il ricorso amministrativo
Il ricorso amministrativo può definirsi come l’istanza (o reclamo) diretta ad ottenere l’an-
nullamento, la riforma o la revoca di un atto amministrativo, rivolta, dal soggetto che vi abbia
interesse, ad una autorità amministrativa nelle forme e con l’osservanza dei termini fissati dalla
legge, affinché questa risolva «ex autoritate sua» la controversia che tale atto ha generato, nell’am-
bito dello stesso ordinamento amministrativo.
I ricorsi amministrativi previsti nel nostro ordinamento sono:
a) il ricorso gerarchico;
b) il ricorso in opposizione;
c) il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
Principi comuni alle dette figure, sono:
a) l’obbligo di indicare nel provvedimento amministrativo l’autorità a cui si può ricorrere ed il termine entro il quale
il ricorso deve essere proposto;
b) l’obbligo dell’autorità cui è presentato il ricorso di esaminarlo e deciderlo.
4) I termini per il ricorso. Il ricorso deve essere presentato all’autorità competente nel termine
perentorio fissato dalla legge (artt. 2 e 9 D.P.R. 1199/1971). Tale termine è di 30 giorni per il
ricorso gerarchico o in opposizione e di 120 giorni per il ricorso al Presidente della Repubblica.
5) La forma del ricorso. Il ricorso deve essere redatto per iscritto su carta da bollo uso ammini-
4. Il ricorso gerarchico
A) Nozione
Può definirsi come quel rimedio di carattere generale consistente nella impugnativa di un atto
non definitivo proposta dal soggetto interessato davanti all’organo gerarchicamente sovraordinato
a quello che ha emanato il provvedimento impugnato.
Con riferimento al rapporto di gerarchia, che intercorre fra l’organo che ha emanato il
provvedimento e quello al quale si ricorre, si distingue:
— il ricorso gerarchico proprio. La gerarchia che viene in considerazione come presupposto
di tale ricorso è la gerarchia esterna, che deve essere intesa come «il rapporto intercorrente fra
organi individuali di grado diverso appartenenti allo stesso ramo dell’amministrazione per effetto
del quale l’organo inferiore è subordinato al superiore»;
— il ricorso gerarchico improprio. È un rimedio di carattere eccezionale previsto in alcuni
casi in cui non esiste alcun rapporto di gerarchia.
In particolare, il ricorso gerarchico improprio è un ricorso ordinario proposto ad:
— organi individuali avverso deliberazioni di organi collegiali e viceversa;
— organi collegiali avverso deliberazioni di altri organi collegiali;
— organi statali avverso provvedimenti di altro ente pubblico;
— orani statali avverso provvedimenti di organi di vertice.
5. Il ricorso in opposizione
È un ricorso amministrativo atipico, rivolto alla stessa autorità che ha emanato l’atto, anziché
a quella superiore gerarchicamente.
Non è un rimedio di carattere generale ma è eccezionale, utilizzabile solo nei casi tassativi in cui la legge lo ammette,
e per i motivi da essa previsti.
Può essere proposto sia per motivi di legittimità che di merito, e sia a tutela di interessi legittimi che di diritti soggettivi.
Il termine per la sua proposizione è quello generale di 30 giorni dalla notifica o emanazione dell’atto impugnato, ma la
legge può prevedere, nei singoli casi, termini diversi.
218 Libro II: Diritto amministrativo
Sezione Terza
La tutela giurisdizionale ordinaria
2. I limiti della potestà del giudice ordinario nei confronti della P.A.
Se il legislatore ha voluto attribuire al G.O. la giurisdizione in materia di diritti soggettivi
anche nei confronti della P.A., ha, però, previsto dei limiti ai suoi normali poteri, in ossequio al
fondamentale principio della separazione dei poteri.
Quando parte in causa sia una P.A., i poteri del G.O. incontrano i seguenti limiti, espressamente
previsti dagli artt. 4 e 5 della L.A.C.:
a) il G.O. deve limitarsi a conoscere gli effetti dell’atto in relazione all’oggetto dedotto in giudizio;
non può, cioè, conoscere dell’atto amministrativo — in sé e per sé — con effetti erga omnes,
ma solo in funzione della pronunzia sul rapporto dedotto in giudizio;
b) può estendere il suo sindacato soltanto alla legittimità dell’atto amministrativo; non potrà,
perciò, indagare sulla opportunità e sulla convenienza dell’atto né potrà sindacare l’esercizio
del potere discrezionale da parte della P.A.;
c) non può incidere sull’atto amministrativo: non può né annullarlo o revocarlo né modifi-
carlo;
d) quando ha accertato che effettivamente il diritto del privato è stato leso dall’atto illegittimo,
dichiara tale illegittimità senza, però, che sul punto si formi il giudicato (in termini tecnici
si parla di accertamento incidentale) e disapplica l’atto; giudica cioè prescindendo dall’atto
(come se l’atto non fosse mai stato emanato);
e) non può in nessun caso imporre alla P.A. comportamenti positivi, ma può solo condannarla
al risarcimento dei danni cagionati al privato.
Esaminando le diverse categorie di azioni elaborate nel diritto processuale abbiamo le:
a) azioni dichiarative. Sono quelle dirette al mero accertamento di uno stato di fatto o di una situazione di diritto ed
hanno lo scopo di eliminare incertezze e dissensi fra le parti, procurando una prova pubblica ed inconfutabile dello
stato di fatto giuridicamente rilevante. Tali azioni sono sempre ammesse nei confronti della P.A.;
b) azioni costitutive. Tendono ad ottenere dal giudice una sentenza (costitutiva, appunto) che, accertati determinati ele-
menti, costituisca, modifichi o estingua un determinato rapporto giuridico. La dottrina e la giurisprudenza ritengono
ammissibili le azioni costitutive quando non incidono sui poteri pubblici della P.A.;
c) azioni di condanna. Sono quelle a seguito delle quali il giudice, accertato l’obbligo di una delle parti o un suo compor-
tamento antigiuridico produttivo di responsabilità, ordina alla medesima una prestazione diretta a ristabilire l’equilibrio
giuridico violato. La prestazione ordinata alla parte soccombente può consistere nel pagamento di una somma di danaro
a titolo di risarcimento ovvero in un determinato comportamento (facere, non facere, dare) che costituisca concreta sod-
disfazione del diritto violato;
d) azioni possessorie. Si tratta di azioni inammissibili allorquando la P.A. sia entrata in possesso di un bene in base ad
un provvedimento imperativo (es. decreto d’espropriazione). In questo caso, infatti, si inciderebbe sull’atto ammini-
strativo contro il disposto dell’art. 4 L.A.C. L’orientamento prevalente in giurisprudenza ritiene, tuttavia, che le azioni
possessorie possano essere esperite quando, pur essendo ravvisabile in capo all’amministrazione procedente il potere
di provvedere, ne risultino in concreto travalicati i limiti per il mancato rispetto di quei requisiti formali, presupposti e
condizioni richiesti dalla legge per l’adozione dell’atto: ad esempio nel caso di mancanza di forma richiesta ad substan-
tiam, superamento dei termini di decadenza o invasione della sfera territoriale di competenza altrui. Si delinea così la
figura della carenza di potere in concreto.
Le azioni possessorie sono ammissibili se la P.A. agisca come privato, oppure se l’impossessamento sia avvenuto senza
che sia stato emanato un provvedimento al quale il comportamento materiale della P.A. si ricolleghi.
B) Sentenze di condanna
Riguardo la possibilità di portare ad esecuzione giudizialmente le sentenze di condanna ottenute nei confronti della
P.A., occorre ricordare che l’esecuzione forzata, ove ammissibile, può esercitarsi sia nella forma dell’espropriazione (art.
2910 c.c.) sia nelle forme specifiche regolate dagli artt. 2930-2931-2932-2933 c.c.
Sezione Quarta
La tutela giurisdizionale amministrativa
al quale, ai sensi dell’art. 6 del Codice del processo amministrativo, si propone appello avverso
le pronunce del Tribunale Amministrativo Regionale della Sicilia.
Tutti i suddetti organi vengono definiti come giudici amministrativi generali. Bisogna però considerare che la giurisdizione
amministrativa è attribuita anche ai giudici amministrativi speciali, i quali hanno una competenza speciale, stabilita tassativa-
B) una giurisdizione di merito nelle materie tassativamente determinate dal legislatore: l’art. 7,
comma 6, del Codice definisce la giurisdizione di merito del G.A., affermando che quando
il giudice amministrativo esercita la giurisdizione con cognizione estesa al merito può sosti-
tuirsi all’amministrazione. Ciò in quanto è tenuto ad esaminare l’atto impugnato, oltre che
dal punto di vista della sua legittimità, anche sotto il profilo dell’opportunità e della conve-
nienza. Nei casi di giurisdizione di merito, ai sensi dell’art. 34 del Codice, il G.A. «adotta
un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato».
Quanto alle ipotesi in cui il giudice esercita la giurisdizione di merito, queste sono «indicate dalla legge e dall’articolo
134». Ai sensi della disposizione codicistica, rientrano in tale giurisdizione le controversie aventi ad oggetto: a) l’attuazione
delle pronunce giurisdizionali esecutive o del giudicato (giudizio di ottemperanza); b) gli atti e le operazioni in
materia elettorale, attribuiti alla giurisdizione amministrativa; c) le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta
alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle autorità amministrative indipendenti; d) le
contestazioni sui confini degli enti territoriali; e) il diniego di rilascio di nulla osta cinematografico, di cui all’art.
8 della L. 161/1962;
C) una giurisdizione esclusiva, anch’essa nelle materie tassativamente determinate dal legi-
slatore: è caratterizzata, ai sensi dell’art. 7, comma 5, del Codice del processo dalla circo-
stanza per cui al giudice amministrativo è attribuita, pure ai fini risarcitori, la cognizione, in
via principale, sia dei diritti soggettivi che degli interessi legittimi. Data l’ampiezza della
cognizione del giudice, si suole affermare che la giurisdizione esclusiva configuri un’ipotesi
non di sola giurisdizione su atti, ma anche di giurisdizione su rapporti.
Quanto alle materie nelle quali il G.A. esercita la giurisdizione esclusiva, queste sono elencate nell’art. 133 del Codice
del processo amministrativo (a titolo di esempio, si ricordano: l’azione di risarcimento del danno ingiusto cagionato
in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento; in materia di accesso ai
documenti amministrativi; in materia di urbanistica ed edilizia, concernente tutti gli aspetti dell’uso del territorio, e di
espropriazione per pubblica utilità, nonché di servizi pubblici). L’importanza fondamentale della disposizione in com-
mento ai fini dell’esatta individuazione della giurisdizione del G.A. è confermata dal fatto che il legislatore è intervenuto
in più occasioni sull’art. 133 c.p.a., correggendo le ipotesi contemplate e introducendone di nuove. In particolare, tali
modifiche sono state apportate con il D.L. 34/2011, conv. in L. 26-5-2011, n. 75, il D.Lgs. 31-3-2011, n. 58 e, da ultimo,
con il D.Lgs. 195/2011. A tali ipotesi, poi, devono aggiungersi le ulteriori previsioni di legge, così come stabilito dallo
stesso legislatore, al comma 1 della disposizione de qua: a titolo di esempio, si ricordano le controversie in materia di
ricorso per l’efficienza delle amministrazioni e dei concessionari dei servizi pubblici, ai sensi del D.Lgs. 198/2009.
222 Libro II: Diritto amministrativo
B) L’azione di annullamento
Questa costituisce, da sempre, l’espressione più tipica del processo amministrativo, in quanto
è tesa a realizzare la cd. tutela di tipo demolitorio, ossia la demolizione dell’atto impugnato. L’art.
29 del Codice, quindi, non fa che riproporre quanto già noto: l’azione di annullamento per
violazione di legge, incompetenza ed eccesso di potere si propone nel termine di decadenza
di 60 giorni.
C) L’azione di condanna
L’azione di condanna, disciplinata dall’art. 30 del Codice del processo amministrativo,
ha una portata generale applicabile quando risulti necessaria, dopo l’annullamento, una tutela
in forma specifica del ricorrente mediante la modificazione della realtà materiale (condanna ad
un facere) ovvero sia rimasta inadempiuta un’obbligazione di pagamento o debba comunque
provvedersi mediante l’adozione di ogni altra misura idonea a tutelare la posizione giuridica
soggettiva del ricorrente.
Ed infatti, ai sensi dell’art. 34, comma 1, del Codice, il giudice amministrativo, con la sentenza con cui definisce nel
merito il giudizio, può:
— ordinare all’amministrazione, rimasta inerte, di provvedere entro un termine;
— condannare al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno;
— condannare all’adozione di misure idonee a tutelare la posizione giuridica dedotta in giudizio: ipotesi di cd. condanna
atipica.
L’azione di condanna può essere proposta sia contestualmente ad un’altra azione che
in via autonoma, nei soli casi, però, di giurisdizione esclusiva e nei casi individuati dallo stesso
art. 30 del Codice.
Il medesimo art. 30 del Codice disciplina specificamente, nell’ambito dell’azione di condan-
na, anche l’azione risarcitoria esperibile contro la P.A. per danni da illegittimo esercizio
dell’azione amministrativa (quindi, a tutela di interessi legittimi) nonché, nei casi di giurisdizione
esclusiva, per danni da lesione di diritti soggettivi.
Quest’ultima è esperibile, nel termine di decadenza di 120 giorni, per riparare un danno
ingiusto derivante dall’illegittimo esercizio dell’attività amministrativa o dal mancato eser-
cizio di quella obbligatoria.
Nel caso di giurisdizione esclusiva, il G.A. risarcisce anche il danno da lesione di diritti soggettivi. Con l’ulteriore precisa-
zione che ogni domanda di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva,
di diritti soggettivi l’azione è dal legislatore affidata in via esclusiva al giudice amministrativo.
224 Libro II: Diritto amministrativo
Sezione Quinta
Il giudizio dinanzi al G.A.: dall’instaurazione del giudizio
all’esecuzione della decisione. I riti speciali
1. IL PROCESSO AMMINISTRATIVO
A) Definizione ed evoluzione
Il processo amministrativo, finalizzato alla tutela delle situazioni giuridiche soggettive di cui
il privato è titolare nei confronti della P.A., è un processo ad istanza di parte, essendo rimessa
all’iniziativa del soggetto interessato sia l’inizio del giudizio che la sua prosecuzione.
Il processo amministrativo, che si inserisce nell’ambito dei mezzi di giustizia amministrativa,
ha, nel tempo, subito un’evoluzione mirata a imprimere una maggiore celerità al giudizio ed
a realizzare una pienezza della tutela del cittadino nei confronti della pubblica ammini-
strazione.
Capitolo XI: La giustizia amministrativa 225
In passato, i testi di riferimento per la disciplina del processo amministrativo erano rappresentati, principalmente,
dalla L. 1034/1971 e dal R.D.1054/1924. Su tali norme è intervenuto, in più occasioni, il legislatore. Le dette direttive hanno,
infatti, orientato l’attività riformatrice del legislatore, che si è realizzata, in un primo momento, con la L. 205/2000 e poi
con il D.L. 112/2008, conv. in L. 133/2008; successivamente, occorre citare la L. 69/2009, che, come detto, ha delegato il
Governo a procedere al riassetto della disciplina del processo dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali e al Consiglio
B) Principi generali
Il processo amministrativo è regolato dai seguenti principi generali, indicati espressamente
nel Libro I del Codice:
— innanzitutto, viene sancito che la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed
effettiva secondo i principi della Costituzione e del diritto europeo (art. 1 del Codice);
— è previsto che il processo amministrativo attua i principi della parità delle parti, del con-
traddittorio e del giusto processo, ex art. 111, comma 1, Cost. Inoltre, il giudice e le parti
cooperano per la realizzazione della ragionevole durata del processo (art. 2);
— importante anche il richiamo al dovere di motivazione e di sinteticità degli atti (art. 3): è
stabilito, difatti, che ogni provvedimento del giudice deve essere motivato e che il giudice e
le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica.
Alla stregua di quanto detto, appare evidente che il processo amministrativo si presenta come
processo di parti, caratterizzato dal principio della domanda e dal dovere di corrispondenza tra
chiesto e pronunciato.
Occorre precisare, inoltre, che, in virtù del rinvio (esterno) operato dall’art. 39 del Codice, per quanto non disciplinato
dallo stesso si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili o espressione di principi
generali.
Il ricorso viene portato a conoscenza degli interessati mediante la notificazione dello stesso.
In particolare, ai sensi dell’art. 41 del Codice:
— qualora sia proposta azione di annullamento, il ricorso deve essere notificato, a pena di decadenza, alla pubblica
amministrazione che ha emesso l’atto impugnato e ad almeno uno dei controinteressati che sia individuato nell’atto
stesso;
— qualora sia proposta azione di condanna, anche in via autonoma, il ricorso è notificato altresì agli eventuali benefi-
ciari dell’atto illegittimo, ai sensi dell’art. 102 c.p.c. (litisconsorzio necessario); in mancanza di tale notificazione a tutti
i controinteressati è il giudice che ordina l’integrazione nei confronti degli altri.
L’art. 45 del Codice prevede che il ricorso e gli altri atti processuali soggetti a preventiva noti-
ficazione devono essere depositati nella segreteria del giudice nel termine perentorio di trenta
giorni, decorrente dal momento in cui l’ultima notificazione dell’atto stesso si è perfezionata
anche per il destinatario.
Sia nel processo civile che in quello amministrativo i presupposti per il ricorso alla misura
cautelare sono il:
a) periculum in mora, ossia il rischio che, nelle more del giudizio, dall’esecuzione dell’atto
impugnato derivino danni gravi ed irreparabili per il ricorrente;
b) fumus boni juris, e cioè un giudizio positivo, di carattere sommario, in merito alla fondatezza
del ricorso.
Il Codice del processo amministrativo ha innovato profondamente la materia e, pur con-
fermando i tradizionali presupposti delle misure cautelari, ha proceduto ad una suddivisione
tra le tipologie delle misure medesime, articolate a seconda del grado di urgenza in:
— misure cautelari collegiali, nel caso il ricorrente alleghi di subire un pregiudizio grave ed
irreparabile durante il tempo necessario per giungere alla decisione del ricorso;
— misure cautelari monocratiche, ossia richieste ed eventualmente concesse dal Presidente
del T.A.R. dinanzi a cui pende il relativo ricorso, in ipotesi di estrema gravità ed urgenza
tali da non consentire neppure la dilazione fino alla camera di consiglio;
— misure cautelari anteriori alla causa, previste in caso di eccezionale gravità ed urgenza,
tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso e la domanda di misure
provvisorie con decreto presidenziale.
Capitolo XI: La giustizia amministrativa 227
D) La fase istruttoria
Uno dei momenti essenziali attraverso cui si articola lo svolgimento del giudizio è quello
dell’attività istruttoria, diretta alla acquisizione dei mezzi di prova, forniti dalle parti o richiesti
dal giudice, sulla base dei quali fondare la decisione finale del processo.
Tra gli aspetti più nuovi introdotti dal legislatore del Codice occorre citare:
— una analitica disciplina dell’acquisizione dei mezzi di prova: il Codice, infatti, premesso
l’onere della prova a carico delle parti, prevede che il giudice possa chiedere alle stesse chiari-
menti e documenti anche d’ufficio, ordinare a terzi di esibire in giudizio documenti o quanto
altro ritenga necessario nonché disporre l’ispezione, ai sensi del c.p.c.;
— l’ammissione in generale della prova testimoniale da parte del giudice, su istanza di parte
e in forma scritta;
— una puntuale disciplina della verificazione e della consulenza tecnica d’ufficio (cfr. a riguardo
gli artt. 19, 66 e 67 del Codice). Si tratta di strumenti di ausilio al giudice al fine di effettuare
indagini e di fornire chiarimenti utili alla risoluzione della controversia;
— una specifica previsione dei termini e delle modalità di svolgimento dell’istruttoria: essi
sono determinati dal Presidente e sono applicabili, ove compatibili, le norme del c.p.c.
Con il D.Lgs. 195/2011, il legislatore, modificando l’art. 87 c.p.a., ha introdotto altre ipotesi in cui è possibile derogare
al principio generale di pubblicità delle udienze che si svolgono innanzi al G.A. Oltre ai menzionati giudizi che si svolgono
in camera di consiglio per volontà del legislatore, la nuova formulazione del comma 1 della disposizione de qua rimette al
Presidente del collegio il potere di disporre che le udienze si svolgano a porte chiuse, se ricorrono ragioni di sicurezza
dello Stato, di ordine pubblico o di buon costume.
La sentenza deve essere redatta non oltre il 45° giorno da quello della decisione della
causa. Essa, che non può più essere modificata dopo la sua sottoscrizione, è immediatamente resa
pubblica mediante deposito nella segreteria del giudice che l’ha pronunciata.
228 Libro II: Diritto amministrativo
3. Le pronunce giurisdizionali
Il giudice può pronunciarsi in vari modi:
— con sentenza, laddove definisce in tutto o in parte il giudizio;
— con ordinanza, se dispone misure cautelari o interlocutorie ovvero se decide sulla competenza;
— con decreto nei casi previsti dalla legge.
In particolare, occorre distinguere:
a) le pronunce di merito. Tra queste, posto di spicco è rivestito dalla sentenza. Ai sensi dell’art. 34 del Codice, se accoglie
il ricorso, nei limiti della domanda, il giudice:
— annulla in tutto o in parte il provvedimento impugnato;
— ordina all’amministrazione, rimasta inerte, di provvedere entro un termine;
— condanna al pagamento di una somma di denaro, anche a titolo di risarcimento del danno, all’adozione delle misure
idonee a tutelare la situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio e dispone misure di risarcimento in forma
specifica ai sensi dell’art. 2058 c.c.;
— nei casi di giurisdizione di merito, adotta un nuovo atto, ovvero modifica o riforma quello impugnato;
— dispone le misure idonee ad assicurare l’attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina
di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine
assegnato per l’ottemperanza;
b) le pronunce di rito. Queste si hanno quando il giudice, anche d’ufficio, dichiara:
— l’irricevibilità del ricorso, in caso di tardività della notificazione o del deposito;
— l’inammissibilità dello stesso, qualora l’interesse sia carente ovvero sussistano altre ragioni ostative ad una pronuncia
di merito;
— l’improcedibilità del ricorso, quando nel corso del giudizio sopravvenga un difetto di interesse delle parti alla de-
cisione, o non sia stato integrato il contraddittorio nel termine assegnato, o ancora sopravvengano altre ragioni
ostative ad una pronuncia sul merito.
Inoltre, vi sono le pronunce interlocutorie (art. 36), così definite perchè, attraverso di esse, il giudice non definisce il
giudizio nemmeno in parte.
Viene, invece, pronunciata sentenza non definitiva quando il giudice decide solo su alcune delle questioni, anche se
adotta provvedimenti istruttori per l’ulteriore trattazione della causa.
Il G.A., infine, può adottare una sentenza in forma semplificata quando «definisce il merito all’esito della udienza
camerale fissata per l’esame della domanda di sospensione» (R. GALLI), ai sensi dell’art. 60 c.p.a., ovvero quando «ravvisi la
manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso», ex art.
74 c.p.a. Peculiarità è che il G.A., individuato il punto risolutivo della controversia, «lo può definire con un’argomentazione
scarna, purché comprensibile, o con un richiamo ad un precedente» (C.E. GALLO).
accedere alla tutela giurisdizionale. Ai sensi dell’art. 13, comma 6bis, D.P.R. 115/2002, come modificato
dal D.L. 98/2011, conv. in L. 111/2011: per i giudizi dinanzi al T.A.R. e al Consiglio di Stato è dovuto un
contributo generale di € 600, da versare all’atto del deposito del “ricorso” giurisdizionale amministrativo
(detto importo vale anche per il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica); per i giudizi in
4. IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA
A) Profili generali
L’art. 112 del Codice stabilisce che i provvedimenti del giudice amministrativo devono essere
eseguiti (spontaneamente) dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti del giudizio.
Non sempre, però, accade che il soggetto obbligato all’attuazione di una decisione adempia
spontaneamente a quanto dovuto: in quest’ottica, il legislatore ha previsto il cd. giudizio di ot-
temperanza, ossia la possibilità di adire l’autorità giurisdizionale amministrativa con un ricorso
diretto ad ottenere l’esecuzione, da parte della P.A., delle sentenze non spontaneamente
eseguite.
Esso costituisce l’ipotesi più importante di giurisdizione di merito del giudice ammini-
strativo (v. art. 134 del Codice).
L’art. 112, comma 2, del Codice del processo individua le decisioni per le quali è possibile
chiedere l’esecuzione in sede giurisdizionale, così circoscrivendo l’ambito di applicazione del
giudizio in questione.
In particolare, secondo il legislatore, il giudizio di ottemperanza è finalizzato all’attuazione:
a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;
b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;
c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di
ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso,
al giudicato;
d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il
rimedio dell’ottemperanza, al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di confor-
marsi alla decisione;
e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica am-
ministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato.
B) Il commissario ad acta
Il giudizio di ottemperanza, in quanto ipotesi di giurisdizione di merito, comporta che il
giudice amministrativo ha il potere di sostituirsi all’amministrazione nell’esercizio della sua
attività: ciò significa che il giudice può modificare o revocare un atto in contrasto con il giudicato,
ovvero determinare il contenuto del provvedimento necessario per dare esecuzione alla decisione
da attuare o, ancora, sostituirsi all’amministrazione nell’adozione dell’atto stesso.
Già da tempo, però, nella prassi accade che il giudice amministrativo anziché emettere egli
stesso il provvedimento, ordini alla P.A. l’ottemperanza, assegnandole un termine per provvedere
e contestualmente nomini un commissario ad acta, il quale, scaduto il detto termine senza che
l’amministrazione abbia provveduto, si surroga ad essa ed adotta il provvedimento.
Tale pratica è, oggi, positivizzata dall’art. 21 del Codice, il quale stabilisce che, in tutte le
ipotesi in cui il giudice amministrativo deve sostituirsi all’amministrazione, può agire direttamente
ovvero nominare, come «proprio ausiliario», un commissario ad acta.
C) Procedimento
Il procedimento del giudizio di ottemperanza è disciplinato dall’art. 114 del Codice, novellato
dal D.Lgs. 195/2011.
L’azione si propone, anche senza previa diffida, con ricorso notificato alla pubblica amministra-
zione e a tutte le altre parti del giudizio definito dalla sentenza o dal lodo della cui ottemperanza
si tratta; essa si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza.
Unitamente al ricorso è depositato in copia autentica il provvedimento di cui si chiede l’ottempe-
ranza, con l’eventuale prova del suo passaggio in giudicato (si osserva che la copia autentica del
provvedimento del giudice di cui si chiede l’ottemperanza deve essere prodotta solo al momento
del deposito del ricorso e non deve, quindi, essere notificata unitamente allo stesso).
Il giudice decide con sentenza in forma semplificata.
Capitolo XI: La giustizia amministrativa 231
Il reclamo si propone dinanzi al giudice dell’ottemperanza (e, dunque, se tale giudice è quello di appello anche direttamente
al Consiglio di Stato in unico grado) nel termine di sessanta giorni, entro il quale il reclamo va notificato e depositato.
Lo stesso, infatti, apre una nuova fase del giudizio esecutivo e pertanto, in ossequio al principio del contraddittorio,
deve essere notificato ai controinteressati;
— i terzi estranei al giudicato possono impugnare con il rito ordinario, esperendo azione di
annullamento ai sensi dell’art. 29 c.p.a. sia gli atti del commissario ad acta che quelli emanati
dal giudice dell’ottemperanza.
La diversa disciplina prevista trova una sua giustificazione nel fatto che la decisione, oggetto di ottemperanza, nei con-
fronti dei terzi rispetto al giudicato neque iuvat neque nocet, sicché, per loro, la stessa sentenza non può che degradare a
mero fatto giuridico, sempre rilevante, ma mai vincolante. Dalla loro estraneità al giudizio che ha prodotto la decisione
deriva la possibilità di ricorrere avverso gli atti emanati dal giudice dell’ottemperanza o dal commissario ad acta al G.A.
con l’azione di annullamento ai sensi dell’art. 29 c.p.a.
A) L’appello
In base all’art. 100 del Codice del processo amministrativo, contro le sentenze dei T.A.R. è
ammesso appello al Consiglio di Stato, ferma restando la competenza del Consiglio di giustizia
amministrativa per la Regione siciliana per gli appelli proposti contro le sentenze del T.A.R. Sicilia.
In appello non possono essere proposte nuove domande e nuove eccezioni non rilevabili
d’ufficio; non viene, invece, considerata nuova domanda ed è, pertanto, proponibile in secondo
grado la richiesta di interessi ed accessori maturati dopo la sentenza impugnata nonché il risarci-
mento dei danni subiti dopo la sentenza stessa (art. 104).
232 Libro II: Diritto amministrativo
Allo stesso modo, l’art. 104 citato prevede che non sono ammessi nuovi mezzi di prova né possono essere prodotti
nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili per la decisione della causa, ovvero che la parte dimostri di
non aver potuto proporli o produrli in primo grado per causa ad essa non imputabile.
Per quanto concerne, infine, il procedimento del giudizio di appello, occorre richiamare l’art.
38 del Codice, secondo cui il processo amministrativo si svolge secondo le disposizioni del Libro
II (dedicato al processo amministrativo di primo grado) che, se non espressamente derogate, si
applicano anche alle impugnazioni e ai riti speciali; per quanto, poi, non disciplinato dal Codice,
si applicano le norme del codice di procedura civile, ove compatibili o espressione di principi
generali (art. 39 del Codice).
B) La revocazione
Le sentenze dei T.A.R. e del Consiglio di Stato sono impugnabili per revocazione, nei casi e
nei modi previsti dagli artt. 395 e 396 del codice di procedura civile (art. 106 del Codice).
Ai sensi dell’art. 395 c.p.c. citato, il ricorso per revocazione è ammesso:
1. se la sentenza è l’effetto del dolo di una delle parti a danno dell’altra;
2. se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che la parte soccom-
bente ignorava essere state riconosciute e dichiarate tali prima della sentenza;
3. se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio
per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario;
4. se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Ricorre tale errore quando la
decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa, oppure quando è supposta
l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non co-
stituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare. Ad avviso del C.d.S., Ad. Plen., dec. 3/1997 anche
l’omissione di pronuncia su domande o eccezioni delle parti può costituire errore di fatto revocatorio;
5. se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purchè non abbia pronunciato
sulla relativa eccezione;
6. se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
L’art. 396 c.p.c., invece, dispone che le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono essere impugnate
per revocazione nei casi dei nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c., purchè la scoperta del dolo o della falsità o il recupero dei docu-
menti o la pronuncia della sentenza di cui al n. 6 siano avvenuti dopo la scadenza del termine suddetto. Se tali fatti avvengono
durante il corso del termine per l’appello, il termine stesso è prorogato dal giorno dell’avvenimento in modo da raggiungere
i 30 giorni da esso.
La revocazione è proponibile con ricorso dinanzi allo stesso giudice che ha pronunciato la
sentenza impugnata; contro la sentenza del T.A.R., comunque, la revocazione è ammessa se i
motivi non possono essere dedotti con l’appello.
C) L’opposizione di terzo
Prima dell’intervento riformatore del Codice, nell’ordinamento processual-pubblicistico il
rimedio dell’opposizione di terzo avverso le sentenze dei giudici amministrativi era stato am-
messo solo in via giurisprudenziale, grazie alla spinta innovatrice posta in essere dalla Corte
costituzionale (dec. n. 177 del 17-5-1995).
L’art. 108 del Codice, come mod. dal D.Lgs. 195/2011 del processo detta, oggi, una disci-
plina positiva di tale mezzo di impugnazione, esperibile contro le sentenze del T.A.R. ovvero del
Consiglio di Stato, pronunciate fra altri soggetti, quando dalle stesse siano pregiudicati i diritti o
gli interessi legittimi di un terzo.
In particolare, la norma precisa che oggetto di impugnazione possano essere sia le sentenze
già passate in giudicato che le sentenze esecutive ma non ancora passate in giudicato, in
piena simmetria rispetto a quanto stabilito dall’art. 404 c.p.c. (…ancorché passata in giudicato).
D) Il ricorso in Cassazione
Il ricorso in Cassazione è previsto dall’art. 111, comma 8, della Costituzione, ai sensi del
quale: «Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è
ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione».
Capitolo XI: La giustizia amministrativa 233
Detta disposizione è ripresa dall’art. 110 del Codice del processo amministrativo, che
ammette il ricorso de quo contro le sentenze del Consiglio di Stato per i soli motivi inerenti alla
giurisdizione.
Norma specifica è costituita dall’art. 111 del Codice, così come sostituito dall’art. 1, comma
1, lett. bb), D.Lgs. 195/2011. Detto articolo, innanzitutto, dispone in merito alla sospensione,
da parte del Consiglio di Stato, degli effetti della sentenza impugnata in caso di eccezionale
gravità ed urgenza. Elemento di novità rispetto alla formulazione ante correttivo è costituita
dalla subordinazione della istanza di sospensione alla previa notifica della stessa alle altre parti.
Ciò all’evidente fine di realizzare immediatamente un pieno contraddittorio tra le parti stesse.
L’articolo in esame, inoltre, stabilisce che lo stesso giudice di secondo grado può disporre le
misure cautelari ritenute opportune. Sul punto, la novella di cui al D.Lgs. 195/2011 ha speci-
ficato che al procedimento si applicano le disposizioni di cui agli artt. 55, commi 2, 5, 6 e 7 e 56,
commi 1, primo periodo, 2, 3, 4 e 5 (in materia di misure cautelari rispettivamente collegiali e
monocratiche) del codice del processo amministrativo, fugando, in tal modo, qualsiasi possibi-
le dubbio sul rito applicabile: l’art. 111, infatti, disciplina un incidente sorto nel contesto di un
ricorso per Cassazione con la consequenziale applicazione del codice di rito civile.
6. I RITI SPECIALI
Con la locuzione «riti speciali» si intende fare riferimento a «forme processuali particolari,
coordinate in un rito unitariamente considerato, che il legislatore ha approntato con riferi-
mento alla particolarità di talune controversie che necessitano di una disciplina processuale
in parte differente per poter garantire una tutela adeguata alla situazione di fatto nella quale
intervengono» (GALLO).
Con l’approvazione del Codice del processo amministrativo, si è proceduto, ad una completa
riorganizzazione della materia dei riti speciali nonché alla eliminazione di quelli ritenuti superflui.
Genericamente, può dirsi che le regole comuni un po’ a tutti i riti speciali sono riconducibili a due binari principali:
a) la netta riduzione dei termini processuali rispetto a quelli ordinari;
b) la creazione di un particolare rito processuale «speciale», finalizzato a favorire la rapida definizione nel merito
delle relative controversie.
Secondo la classificazione contenuta nel Codice, può dirsi che, attualmente, sono stati con-
fermati i seguenti riti speciali:
— in materia di accesso ai documenti amministrativi, su quale v. retro Cap. 5, Sez. Terza, par.
6, lett. D);
— in materia di tutela contro l’inerzia della P.A. (ricorso avverso il silenzio-inadempimento
della pubblica amministrazione).
Come si è detto, ai sensi dell’art. 31 del Codice, chiunque ne abbia interesse, decorsi infruttuosamente i termini di
conclusione del procedimento e negli altri casi previsti dalla legge senza l’adozione di un provvedimento espresso, può
ricorrere al giudice amministrativo affinché accerti l’obbligo dell’amministrazione di provvedere.
Tale azione è esperibile fintanto che perdura l’inadempimento e, comunque, non oltre un anno dalla scadenza del termine
finale del procedimento ed il giudice può (direttamente) pronunciare sulla fondatezza della pretesa dell’interessato fatta
valere in giudizio, ma solo qualora in relazione alla stessa non sia necessario l’esercizio di alcuna attività discrezionale
da parte dell’amministrazione.
234 Libro II: Diritto amministrativo
Dal punto di vista processualistico, il ricorso avverso il silenzio è proposto, anche senza previa diffida, mediante atto
notificato all’amministrazione e ad almeno un controinteressato nel detto termine di cui al precedente art. 31.
La discussione del ricorso avviene in camera di consiglio, e non in pubblica udienza, ai sensi dell’art. 117, comma 2,
il giudizio si conclude con una sentenza in forma semplificata.
In caso di accoglimento, totale o parziale, del ricorso, con la decisione con cui definisce il giudizio, il giudice ordina
all’amministrazione di provvedere entro un termine non superiore, di norma, a 30 giorni; nella stessa sentenza, il giudice,
ove occorra, può anche nominare un commissario ad acta;
Sezione Sesta
Le giurisdizioni amministrative speciali
b) piena: la Corte, infatti, conosce delle controversie sotto il duplice aspetto dell’accertamento
dei fatti e dell’applicazione del diritto. La giurisdizione è assimilata a quella dei tribunali ordi-
nari, anche sotto il profilo dei limiti imposti al potere del collegio; infatti anche la Corte può
accertare l’illegittimità degli atti amministrativi e quindi negare loro l’applicazione, ma non
Per gli altri enti pubblici, è stata la stessa Corte ad affermare la propria giurisdizione, ponendo a fondamento di tale
soluzione l’art. 103 Cost., secondo il quale essa ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica.
Va, infine, ricordato che la Corte dei conti esercita la giurisdizione contabile nei confronti degli amministratori e del
personale degli enti locali;
3) giudizi ad istanza di privati.
4) giudizi in materia di pensioni.
La competenza della Corte sussiste qualora si impugni un provvedimento amministrativo definitivo, avente ad oggetto il
diritto alla pensione degli impiegati, il cui trattamento di quiescenza sia a carico totale o parziale dello Stato.
5) La consuetudine è:
❏❏ A) una tipica fonte del diritto scritto;
❏❏ B) una tipica fonte del diritto non scritto derivante dalla volontà di un organo dotato
di potestà normativa;
❏❏ C) una regola che viene a formarsi a seguito del costante ripetersi di un dato compor-
tamento nell’ambito di una determinata collettività;
❏❏ D) una regola interpretativa.
8) La Costituzione repubblicana è:
❏❏ A) lunga, rigida in senso debole, votata, scritta;
❏❏ B) breve, rigida in senso forte, votata, scritta;
❏❏ C) lunga, rigida in senso forte, votata, scritta;
❏❏ D) breve, rigida in senso debole, concessa, scritta.
20) Nel sistema elettorale proporzionale, l’assegnazione dei seggi a ciascun partito avviene:
❏❏ A) in base alla sua forza politica e alla distribuzione effettiva degli elettori su tutto il
territorio nazionale;
❏❏ B) in base alla maggioranza assoluta dei voti validamente espressi;
❏❏ C) secondo un criterio casuale;
❏❏ D) in base alla maggioranza relativa dei voti validamente espressi.
23) Quali fra questi tipi di legge possono essere sottoposte a referendum abrogativo?
❏❏ A) leggi di bilancio;
❏❏ B) leggi tributarie;
❏❏ C) leggi sull’ordine pubblico;
❏❏ D) leggi costituzionali.
28) I membri del Parlamento, per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni,
possono essere sottoposti a procedimento penale?
❏❏ A) sì, senza alcuna limitazione;
❏❏ B) solo dopo l’autorizzazione della Camera cui appartengono;
❏❏ C) no, mai;
❏❏ D) solo se il fatto configura un delitto (e non una contravvenzione).
1) Risposta esatta: A
Fonti del diritto sono tutti gli atti o fatti dai quali traggono origine le norme giuridiche. Caratteristica fondamen-
tale degli ordinamenti giuridici moderni è la pluralità delle fonti.
Quindi, le fonti del diritto italiano si distinguono in:
— fonti di produzione, fonti sulla produzione e fonti di cognizione;
— fonti atto e fonti fatto;
— in relazione al grado, si parla di fonti di grado costituzionale, fonti di grado primario e fonti di grado secondario;
— fonti regionali e locali;
— fonti sovranazionali come quelle internazionali e comunitarie.
2) Risposta esatta: C
3) Risposta esatta: A
L’ordinamento giuridico è, infatti, il complesso unitario di regole (le norme giuridiche) imposte e garantite da
una autorità sovrana, che disciplinano la convivenza dei membri di un gruppo sociale organizzato.
L’ordinamento giuridico statale è il più importante degli ordinamenti giuridici, ma non è l’unico. Al di sopra di esso
c’è l’ordinamento internazionale e, per gli Stati membri della Comunità europea, c’è un ordinamento comunitario.
All’interno dell’ordinamento statale è possibile individuare ulteriori ordinamenti giuridici che fanno capo alla Regio-
ne ed agli altri enti territoriali minori, i quali però in tanto possono esistere in quanto trovino un esplicito riconosci-
mento da parte dello Stato sovrano.
4) Risposta esatta: A
Nel caso in cui l’interprete non trovi la norma da applicare, in base all’art. 12 disp. prel. dovrà ricavarla, attraverso
un procedimento logico definito interpretazione analogica, o dalle disposizioni che disciplinano casi simili e mate-
rie analoghe (analogia legis) o mediante il ricorso ai principi generali dell’ordinamento giuridico (analogia iuris). L’in-
terpretazione analogica non è consentita in materia penale o quando si tratta di norme eccezionali.
5) Risposta esatta: C
La consuetudine costituisce tipica fonte del diritto non scritto e si sostanzia nel costante ripetersi di un dato
comportamento con la convinzione della sua obbligatorietà.
Essa consta, dunque, di due elementi:
a) elemento oggettivo (diuturnitas), vale a dire il ripetersi di un comportamento costante ed uniforme da parte di un
aggregato sociale per un periodo determinato;
b) elemento soggettivo (opinio juris ac necessitatis), ovvero la convinzione che l’osservanza del comportamento cor-
risponda all’osservanza del diritto. Se ne distinguono tre tipi: la consuetudine secundum legem (richiamata dalle
leggi scritte), praeter legem (che regola materie non disciplinate da fonti scritte) ed, infine, contra legem (abroga-
tiva di norme di legge). Quest’ultima è inammissibile.
6) Risposta esatta: B
Al vertice della gerarchia delle fonti del diritto si colloca la Costituzione, che rappresenta la legge fondamentale del-
lo Stato non modificabile se non attraverso un procedimento qualificato cd. di revisione costituzionale (art. 138
Cost.).
658 Risposte commentate al Questionario n. 1
7) Risposta esatta: A
L’Italia, uno degli Stati membri dell’Unione europea, prevede fra le sue fonti primarie anche gli atti normativi dell’UE.
Le norme dell’Unione europea hanno carattere vincolante e hanno la capacità di abrogare e modificare le norme na-
zionali, sostituendosi ad esse. La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha elaborato un complesso di principi costi-
tuzionali comuni a tutti gli Stati membri a cui devono ispirarsi le norme UE affinché non risultino contrarie alle sin-
gole Costituzioni.
8) Risposta esatta: C
La Costituzione repubblicana è (al contrario dello Statuto Albertino che era considerato una Costituzione flessibile)
rigida, nel senso che può essere modificata solo con un procedimento legislativo cd. aggravato, che presuppone una
notevole ponderazione da parte delle Camere e del corpo elettorale. La conformità ad essa delle leggi ordinarie è, inol-
tre, giudicata da un apposito organo, la Corte costituzionale (rigida in senso forte).
È inoltre votata (essendo adottata volontariamente e liberamente dal popolo), lunga (contemplando oltre le norme
sull’organizzazione statale anche i principi fondamentali dello Stato ed i diritti dei cittadini), scritta (essendo consa-
crata in un documento formale).
9) Risposta esatta: C
La Costituzione italiana vigente dedica un gran numero di disposizioni alle libertà individuali e ai diritti umani (artt.
1-54 Cost.).
L’esperienza della dittatura fascista suggerì, infatti, ai costituenti di disciplinare tutti i principi di convivenza civile in
modo rigoroso e preciso, per rendere quantomeno difficile un loro sovvertimento totale.