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DIRITTO PROCESSUALE

AMMINISTRATIVO
prof. Giardino
22/01/21
30 e lode
IN GENERALE
NOZIONI INTRODUTTIVE
il sistema della giustizia amministrativa, tendente ad assicurare una tutela al cittadino nei
confronti della pubblica amministrazione, si può dire abbia raggiunto solo di recente – con
l‟adozione del nuovo codice del processo amministrativo (dlgs 104/2010) – un assetto
idoneamente soddisfacente (seppur abbisognevole di miglioramenti e di soluzioni di miglior
raccordo tra l‟azione amministrativa e le aspettative dei privati).
antecedentemente alla codificazione in discorso, tra le riforme che hanno inciso sul sistema di
giustizia amministrativa senza dubbio la più importante è rappresentata dalla l. 205/2000. tra le
più rilevanti novità introdotte troviamo:
 modifica dell‟istituto dei motivi aggiunti: devono essere utilizzati per impugnare tutti i
provvedimenti adottati successivamente all’instaurazione del giudizio di opposizione e
connessi con il provvedimento impugnato
 introduzione delle misure cautelari atipiche, che si aggiungono alla possibilità di chiedere al
giudice amministrativo la sospensione degli effetti dell‟atto impugnato. tra queste troviamo:
 misure cautelari collegiali: richieste per evitare un danno grave ed irreparabile durante il
tempo necessario a giungere alla decisione nel merito del ricorso
 misure cautelari monocratiche: richieste al presidente del tribunale, in caso di estrema
gravità e urgenza tali da non consentire neppure la dilazione fino alla data della camera di
consiglio
 misure cautelari anteriori alla causa: consentono al soggetto interessato di richiedere
misure cautelari provvisorie, in un momento antecedente alla proposizione del ricorso di
merito, in caso di eccezionale gravità ed urgenza tali da non consentire la previa notifica
del ricorso
 possibilità di definire il giudizio con una sentenza in forma semplificata: può essere adottata
solo in presenza di determinati presupposti legislativamente definiti quali la manifesta
fondatezza o infondatezza del ricorso e l‟inammissibilità o improcedibilità dello stesso
 la previsione di un rito acceleratorio: viene giustificato dalla peculiarità di alcune
controversie che necessitano di una disciplina processuale di carattere differenziato al fine di
garantire uno strumento di tutela adeguata alla situazione di fatto nella quale intervengono
 il potere accordato al giudice amministrativo di deliberare anche tutte le questioni relative
all‟eventuale risarcimento del danno.
il dlgs 104/2010 contiene le norme di approvazione del codice e quattro allegati:
1) codice del processo amministrativo
2) norme di attuazione
3) norme transitorie
4) norme di coordinamento e abrogazioni.
il codice del processo prevede poi cinque libri:
I. disposizioni generali
II. disciplina del processo di primo grado
III. disciplina delle impugnazioni
IV. disciplina dell‟ottemperanza e dei riti speciali
V. disposizioni finali.
NB vi è un‟omologazione, restando ferme le peculiarità della natura della tutela di fronte al
giudice amministrativo, al codice di procedura civile, fonte dei fondamentali principi
processuali.
i primi tre articoli del codice del processo amministrativo sono cosi delineati:
 art. 1, principio dell‟effettività: la giurisdizione amministrativa assicura una tutela piena ed
effettiva secondo i principi della costituzione e del diritto europeo
 art. 2, principio del giusto processo: il processo amministrativo attua i principi della parità
delle parti, del contraddittorio e del giusto processo previsto dall’art. 111 cost, primo
comma. il giudice amministrativo e le parti cooperano per la realizzazione della ragionevole
durata del processo
 art. 3, dovere di motivazione e sinteticità degli atti: ogni provvedimento decisorio del giudice
è motivato. il giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica.
vediamo ora quali sono, in generale, i tratti salienti della codificazione in discorso:
 puntuale definizione della giurisdizione del giudice amministrativo: è competente in tutte le
controversie in materia di interessi legittimi e, quando previsto dalla legge, anche in
materia di diritti soggettivi – va puntualizzato che deve trattarsi di comportamenti od
omissioni riconducibili anche mediatamente all‟esercizio del potere amministrativo e posti in
essere da pubbliche amministrazioni
 specificazione delle azioni esperibili innanzi al giudice amministrativo, che segue il sistema
delle tradizionali azioni di cognizione (costitutive, di accertamento e di condanna)
 disciplina dell‟azione avverso il silenzio della pubblica amministrazione, esperibile dal
soggetto interessato in caso di inattività dell‟amministrazione una volta decorsi i termini di
conclusione del procedimento entro un termine di decadenza di 180 giorni.
 definizione dell‟azione risarcitoria: tipo di azione di condanna, è esperibile contro la pubblica
amministrazione per danni da illegittimo esercizio dell’azione amministrativa nonchè, nei
casi di giurisdizione esclusiva, per danni da lesione di diritti soggettivi
 omogeneizzazione dei mezzi di impugnazione a quelli previsti dal codice di procedura civile:
appello, ricorso per cassazione, opposizione di terzo e revocazione.
PRINCIPI COMUNITARI E COSTITUZIONALI SULLA TUTELA
GIURISDIZIONALE DEL CITTADINO NEI CONFRONTI DELLA PA
come visto poc‟anzi, l‟art. 1 del codice del processo amministrativo afferma che la giurisdizione
amministrativa deve attuare una tutela piena ed effettiva secondo i principi della costituzione e
del diritto europeo. in particolare, con quest‟ultima espressione si fa riferimento sia al diritto
dell‟unione europea sia al sistema fondato sulla convenzione europea dei diritti dell‟uomo.
il riferimento al diritto dell’unione europea concerne, innanzitutto, i trattati europei (modificati
da ultimo con il trattato di lisbona, ratificato dall‟italia con l 130/2008); il trattato sull‟unione
europea, a sua volta, richiama la carta dei diritti fondamentali dell‟unione europea, che afferma
alcuni principi importanti sul rapporto tra cittadino e amministrazione comunitaria e sulla
tutela giurisdizionale dei diritti e delle libertà garantiti dall‟unione – in particolare, in coerenza
con quanto era già disposto dalla convenzione europea dei diritti dell‟uomo, stabilisce che ogni
persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un
termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge.
per quanto riguarda invece il riferimento alla convenzione europea dei diritti dell‟uomo,
ratificata dall‟italia con l 848/1955, possiamo dire che negli ultimi anni il suo rilievo nel nostro
ordinamento è cresciuto in quanto la corte costituzionale ha affermato che la sua violazione può
essere motivo di illegittimità costituzionale.
in questo ambito ai nostri fini interessa soprattutto l‟art. 6 della convenzione europea dei diritti
dell‟uomo che riconosce il diritto di ogni persona ad un processo equo: ogni persona ha diritto
che la sua causa sia esaminata imparzialmente, pubblicamente e in un tempo ragionevole, da
parte di un tribunale indipendente ed imparziale, costituito dalla legge.
NB questi canoni furono recepiti nel 1999 nel nuovo testo dell‟art. 111, primo e secondo comma
cost. sul c.d. giusto processo: la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato
dalla legge. ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità,
davanti ad un giudice terzo e imparziale. la legge ne assicura ragionevole durata.
con riferimento invece ai principi della costituzione possiamo dire che già i primi tre articoli
del codice del processo amministrativo richiamano quasi espressamente alcuni degli articoli
contenuti nella nostra carta costituzionale: in particolare l‟art. 1 sul principio dell‟effettività si
lega all‟art. 24 cost. in materia di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale; l‟art. 2 sul
principio del giusto processo richiama, come detto, il primo comma dell‟art. 111 cost.; l‟art. 3 in
materia di dovere di motivazione e sinteticità degli atti fa riferimento, invece, al sesto comma
dell‟art. 111 cost.
le principali disposizioni costituzionali che attengono alla tutela del cittadino nei confronti
dell‟amministrazione possono essere articolate nel modo che segue:
 disposizioni sul giudice (artt. 102, 108 e 111 secondo comma): la costituzione considera come
valori essenziali l‟indipendenza, l‟imparzialità e la terzietà del giudice. in particolare,
mentre l‟imparzialità e la terzietà riguardano direttamente l‟esercizio della giurisdizione,
l‟indipendenza si riferisce alla relazione dell‟organo giurisdizionale con soggetti estranei al
rapporto processuale, che potrebbero influire sulle sue decisioni – si tratta in particolare del
governo e del potere politico in generale NB peraltro l‟indipendenza del giudice non è una
caratteristica solo del giudice ordinario, ma è essenziale per l‟esercizio di ogni funzione
giurisdizionale e vale pertanto anche per il giudice amministrativo e per gli altri giudici
speciali. precisiamo inoltre che il criterio per la distinzione tra giudice ordinario e giudice
speciale non è fondata sull‟indipendenza o meno del giudice rispetto al potere politico, ma
solo dall‟appartenenza o meno del giudice all‟ordine giudiziario nell‟assetto delineato dagli
artt. 104-107 cost.
 disposizioni sull‟azione (artt. 24 e 113): l‟art. 24 cost. garantisce il diritto d‟azione sia per la
tutela di diritti soggettivi che per la tutela di interessi legittimi affermando che tutti
possono agire in giudizio per la tutela di propri diritti soggettivi e interessi legittimi. in
questo modo la norma costituzionale ha operato un importante riconoscimento della
rilevanza istituzionale della tutela degli interessi legittimi: non può essere considerata una
tutela accessoria rispetto alla tutela dei diritti soggettivi, ma ha acquistato piena dignità ed è
necessaria e inviolabile come la tutela dei diritti.
abbiamo poi l‟art. 113 che al primo comma definisce il rapporto tra la garanzia della tutela
giurisdizionale e la posizione dell‟amministrazione stabilendo che la tutela giurisdizionale
contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa e che dunque non può
subire limitazioni neppure in situazioni particolari – per questo la corte costituzionale ha
riconosciuto che lo stato di detenzione non può giustificare la limitazione della tutela
giurisdizionale; al secondo comma impedisce invece di circoscrivere i margini della tutela
giurisdizionale in relazione alla tipologia degli atti amministrativi impugnati o alla tipologia
dei vizi fatti valere in giudizio; al terzo comma si occupa infine dei giudici competenti ad
annullare gli atti amministrativi rinviando alla legge la loro individuazione.
 disposizioni sull‟assetto della giurisdizione amministrativa (artt. 100 primo e terzo comma,
103 primo comma, 111 ottavo comma e 125): la costituzione ha sancito la regola del riparto di
giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo. infatti, dopo aver richiamato il
ruolo del consiglio di stato come organo di tutela della giustizia nell‟amministrazione (art.
100) ha affermato il ruolo del consiglio di stato e degli altri organi di giustizia amministrativa
come giudici per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi
legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi (art. 103). si
determina dunque una competenza esclusiva del consiglio di stato per la tutela dei diritti
soggettivi ove previsto dalla legge e per questo la corte costituzionale nel 2004 ha sentito la
necessità di ribadire che la tutela dei diritti soggettivi, anche nelle vertenze con
l‟amministrazione, spetta normalmente al giudice ordinario – mentre al giudice
amministrativo è demandato il ruolo che la corte ha identificato con la tutela nei confronti del
potere amministrativo.
l‟art. 103 oltre al consiglio di stato menziona anche altri organi della giustizia amministrativa:
la giurisdizione amministrativa generale, infatti, nella costituzione non si esaurisce nel
consiglio di stato, ma include anche un giudice amministrativo di primo grado (art. 125) che
è costituito dai tar.
il raccordo tra la giurisdizione amministrativa e la giurisdizione ordinaria è assicurato,
nell‟art. 111 all‟ottavo comma, dalla previsione che contro le decisioni della corte dei conti e
del consiglio di stato è ammesso il ricorso alla corte di cassazione per motivi inerenti alla
giurisdizione. la norma costituzionale, infatti, si ricollega alla legislazione ordinaria che già
riconosceva alla corte di cassazione il ruolo di giudice, in ultimo grado, delle questioni di
giurisdizione.
L’INTERESSE LEGITTIMO
per comprendere il modo in cui la pubblica amministrazione svolge la sua funzione
amministrativa è necessario partire dalla sua situazione giuridica, attiva e dinamica, che
prende il nome di potere: capacità di determinare uno o più effetti giuridici previsti in astratto
dall’ordinamento.
il potere della pubblica amministrazione presenta una serie di caratteri particolari:
 non è attribuito a tutti i soggetti dell‟ordinamento, ma solo a quelli individuati dalle norme
 determina effetti giuridici previsti dall‟ordinamento senza che sia necessario il consenso del
destinatario di tali effetti
 si esercita attraverso l‟adozione di un atto tipico denominato provvedimento
amministrativo, disciplinato quanto a presupposti, procedimento, oggetto ed effetti
 si confronta con la situazione giuridica soggettiva del cittadino che prende il nome di
interesse legittimo.
con riferimento alla situazione giuridica soggettiva del cittadino, possiamo dire che questo è
titolare, nei confronti della pubblica amministrazione, di diritti soggettivi e di interessi legittimi:
la pubblica amministrazione può limitare o estinguere i diritti soggettivi del cittadino e
questo può esercitare, al fine di tutela, l’interesse legittimo.
per molti anni la giurisprudenza ha considerato il fenomeno dell‟estinzione del diritto
soggettivo e della nascita dell‟interesse legittimo come affievolimento del diritto soggettivo: il
diritto soggettivo, al momento della sua estinzione, si trasforma in interesse legittimo. ciò, in
realtà, è inconcepibile tanto sul piano cronologico quanto sul piano logico: sul piano
cronologico c‟è da dire che l‟interesse legittimo non nasce dall‟estinzione del diritto soggettivo,
ma con l‟inizio del procedimento della sua estinzione e, inoltre, il diritto soggettivo non si
estingue con l‟inizio del procedimento estintivo, ma a seguito della sua conclusione; sul piano
logico, invece, va sottolineato che il concetto di affievolimento del diritto soggettivo è
totalmente infondato: se il diritto soggettivo è interesse giuridicamente protetto, infatti, è
impossibile che la sua protezione giudica tipica venga meno proprio nel momento in cui
sarebbe indispensabile.
NB nonostante la veduta centralità del concetto di interesse legittimo, bisogna tenere conto che
questo non ha un fondamento di teoria generale: non è una nozione giuridica imposta dai
caratteri specifici tra pubblica amministrazione e cittadino, ma nasce dalle scelte del
legislatore.
aggiungiamo poi la nozione di diritti resistenti, categoria introdotta dalla cassazione negli anni
‟70: diritti riconosciuti dalla costituzione e per questo non limitabili nè estinguibili dall‟attività
amministrativa. una posizione del genere tuttavia, se possibile sul piano teorico, è certamente
impossibile su quello pratico: innanzitutto la presenza di diritti resistenti all‟attività
amministrativa richiederebbe l‟assenza di poteri amministrativi in grado di modificarli o
estinguerli; inoltre, essendo l‟attività amministrativa finalizzata alla tutela degli interessi
pubblici, spesso confliggenti con quelli privati, è impossibile coordinare ciò con il compito
principale dell‟attività amministrativa.
GIURISDIZIONE ORDINARIA E GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA
dopo la legge di abolizione del contenzioso amministrativo (strumento di tutela dei cittadini
nei confronti della pa attuato direttamente da quest‟ultima al fine di evitare il ricorso
all‟intervento giurisdizionale) del 1865 e fino all’istituzione della quarta sezione del consiglio
di stato (sezione inerente la giustizia amministrativa) nel 1889 la questione dei limiti della
giurisdizione ordinaria fu affrontata per i rapporti fra sindacato giurisdizionale e autorità
amministrativa e in particolare con riferimento all‟ambito nel quale l‟attività amministrativa
risultasse immune dal sindacato giurisdizionale. a tal proposito ebbe particolare rilievo la tesi
della distinzione tra atti di gestione e atti di imperio: i primi erano quelli posti in essere
dall’amministrazione nell’ambito dell’attività di diritto comune; i secondi venivano
identificati con gli atti posti in essere dall’amministrazione nella sua specifica qualità di
soggetto pubblico, distinto e superiore rispetto ai soggetti privati, e disciplinato perciò da
regole diverse da quelle del diritto comune. ma questa tesi fu criticata e successivamente
abbandonata.
dopo la legge del 1889 che istituisce la quarta sezione del consiglio di stato, la previsione di due
ordini di giurisdizioni per la tutela del cittadino nei confronti dell‟amministrazione ha
indirizzato l‟indagine soprattutto verso la ricerca di regole certe per il riparto della competenza
tra giudice ordinario e quarta sezione: si è partiti dunque dagli elementi della domanda
giudiziale al fine di capire quali di questi dovessero essere considerati per stabilire se un
soggetto faceva valere in giudizio un interesse devoluto al giudice amministrativo. a tal
proposito sono stati presi in considerazione una serie di indirizzi e prese di posizione proprie
della corte di cassazione:
a) si considerò innanzitutto il criterio del petitum: il dato caratterizzante della giurisdizione
amministrativa è rappresentato dal potere di annullamento degli atti impugnati – e cioè: nel
caso di un provvedimento lesivo di un diritto soggettivo si doveva ammettere la possibilità
per il cittadino di ricorrere davanti al giudice amministrativo per ottenere l‟annullamento
dell‟atto.
in particolare, nella sua più raffinata formulazione, il criterio in esame comportava la
possibilità per il cittadino di far valere come interessi i diritti soggettivi ed implicava una
sorta di relazione tra i due; se non fosse che la critica si basò proprio sulla differenza tra
diritti soggettivi e interessi legittimi: oltre ad essere due posizioni distinte, il criterio in
discorso finiva per aprire la strada ad una doppia tutela, nel senso che la medesima posizione
soggettiva poteva essere fatta valere alternativamente o cumulativamente, a scelta del
ricorrente, avanti a ciascuno dei due giudici – doppia tutela che ovviamente risultava
incompatibile con l‟esigenza di una distinzione tra le due giurisdizioni.
b) il rigetto della tesi del petitum ha dunque indotto a valorizzare fortemente l‟altro elemento
tradizionale della domanda, rappresentato dalla causa petendi: la controversia è di
competenza del giudice amministrativo se è fatto valere un interesse legittimo; è di
competenza del giudice ordinario se è fatto valere un diritto soggettivo.
ma il problema in questo modo non è completamente risolto, in quanto si deve ancora capire
alla stregua di quali circostanze si possa stabilire se sia fatto valere un diritto soggettivo o
un interesse legittimo. a tal proposito costituisce un termine ricorrente di confronto la c.d.
teoria della prospettazione: se l‟attore afferma di essere titolare di un interesse legittimo la
tutela spetta al giudice amministrativo; se invece si presenta come titolare di un diritto
soggettivo è competente il giudice ordinario – ciò che rileva dunque non è la consistenza
effettiva della posizione giuridica di cui è titolare il cittadino, ma la situazione soggettiva che
viene fatta valere cosi come prospettata dallo stesso cittadino nella sua domanda.
la cassazione ha tuttavia respinto tale tesi rilevando come conducesse ad una incertezza di
fondo nel riparto delle giurisdizioni proprio perchè assumeva come dato centrale
l‟individuazione del giudice competente sulla base di valutazioni o convenienze della parte.
c) la tesi accolta dalla cassazione è stata di recente designata come tesi del petitum sostanziale:
ciò che rileva ai fini del riparto di giurisdizionale non è la prospettazione ad opera della parte
della situazione giuridica fatta valere in giudizio, ma l‟effettiva natura di questa situazione,
l‟oggettiva natura di diritto soggettivo o di interesse legittimo – è necessario dunque un
giudizio preliminare circa la sussistenza di giurisdizione in capo al giudice al quale la
domanda è stata proposta.
LIMITI INTERNI DELLA GIURISDIZIONE ORDINARIA
quali sono i limiti interni della giurisdizione ordinaria? quali poteri può esercitare il giudice
ordinario, nelle controversie di sua competenza, nei confronti dell’amministrazione?
ricordiamo innanzitutto l‟art. 4 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo che
vieta al giudice ordinario di revocare o modificare l‟atto amministrativo; previsione che in
passato era stata interpretata estensivamente al fine di garantire una maggiore protezione
dell‟amministrazione da interventi del giudice ordinario ma che contemporaneamente limitava
drasticamente la tutela dei diritti soggettivi del cittadino. sono state dunque eseguite una serie
di riflessioni anche alla luce dell‟avvento della costituzione che iniziano dalla nozione di “atto
amministrativo” (nei confronti del quale era vietata al giudice ordinario la revoca o la modifica).
nel passato questa veniva identificata con qualunque atto dell’amministrazione posto in
essere nell’interesse pubblico: provvedimenti amministrativi ma anche comportamenti
materiali. come detto precedentemente, però, questa estensione comporta una netta riduzione
dei poteri del giudice ordinario nella tutela del cittadino per privilegiare la garanzia
dell‟interesse pubblico; infatti, dopo l‟entrata in vigore della costituzione, l‟interpretazione della
nozione di atto amministrativo ha subito un‟importante modifica: oggetto di protezione
dall‟interferenza del giudice ordinario non può essere una qualsiasi modalità con cui
l‟amministrazione persegue l‟interesse pubblico, ma può essere solo ciò che già in base alla
legge è soggetto ad un regime differenziato. questo significa che la garanzia dell‟interesse
pubblico non può riguardare l‟amministrazione in quanto tale, ma può riguardare solo l’atto
amministrativo come espressione del potere dell’amministrazione; pertanto là dove
l‟amministrazione non esercita un potere conferitole dalla legge (principio di legalità), non si
può ammettere alcuna limitazione ai poteri del giudice.
dopo aver disposto, all‟art. 4 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo, che i
giudici ordinari non possono revocare o modificare l‟atto amministrativo, l‟art. 5 della legge del
1865 disponeva che in questo, come in ogni altro caso, le autorità giudiziarie applicheranno gli
atti amministrativi e i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle leggi. ma
qual è il rapporto tra le due disposizioni? il dibattito è ancora aperto, ma possiamo dire quanto
segue:
innanzitutto l‟art. 5 con l‟inciso “in questo, come in ogni altro caso”, sembra alludere ad una
portata più ampia rispetto all’art. 4 e questo emerge anche dal fatto che nell‟articolo in discorso
sono citati anche i regolamenti; è poi pacifico che i due articoli riflettono una logica comune sui
limiti della giurisdizione ordinaria: il giudice ordinario non può revocare o modificare gli atti
amministrativi, ma non è neanche vincolato alla loro applicazione qualora risultino
illegittimi (deve cioè disapplicarli).
questo istituto ha suscitato interpretazioni molto varie, anche se vi sono comunque dei punti
fermi condivisi da dottrina e giurisprudenza:
 la disapplicazione presuppone una controversia su un diritto soggettivo – in caso contrario,
infatti, la causa non sarebbe neppure devoluta al giudice civile
 il sindacato del giudice ordinario sugli atti amministrativi e sui regolamenti ai fini della loro
disapplicazione concerne solo la legittimità e non anche l’opportunità degli stessi.
in questo modo, dunque, possiamo certamente affermare che la disapplicazione si presenta
come modello di tutela alternativo rispetto all‟impugnazione del provvedimento e non come
una sorta di compensazione per il giudice ordinario del divieto di annullamento sancito dal già
citato art. 4.
NB di disapplicazione, ai sensi dell‟art. 5, si può trattare quando il giudizio civile verta su un
rapporto giuridico che sia determinato o condizionato da un provvedimento amministrativo:
la disapplicazione si riferisce agli effetti prodotti dall‟atto amministrativo e inerenti al rapporto
dedotto in giudizio, per cui non potrebbe disapplicarsi un atto amministrativo nullo,
improduttivo di effetti giuridici; inoltre non è corretto invocare la disapplicazione quando
l’atto amministrativo rilevi come mera circostanza di fatto (es. nell‟ipotesi di reato di
edificazione senza permesso di costruire non può essere ricondotta anche la costruzione con
permesso illegittimo).
NB le regole desumibili dagli artt. 4 e 5 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo
hanno una portata generale che tuttavia non è esente da deroghe od eccezioni.
innanzitutto infatti la giurisprudenza è indirizzata ad escludere che i limiti affermati dall‟art. 4
possano essere invocati per circoscrivere la tutela possibile rispetto a diritti perfetti a
costituzionalmente protetti - è dunque escluso che l‟art. 4 possa impedire al giudice ordinario
di condannare l‟amministrazione quando ciò sia richiesto dalla tutela di un diritto
costituzionalmente tutelato. vi sono poi altri casi per cui sono stati introdotti dei veri e propri
procedimenti speciali:
 la tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti dei provvedimenti amministrativi con cui
siano state applicate sanzioni amministrative pecuniarie (ordinanza-ingiunzione) spetta in
genere al giudice ordinario. la previsione di una tale competenza suscitò in passato ampie
discussioni nella dottrina e fu prospettata da alcuni autori la tesi secondo cui si sarebbe in
realtà trattato di un‟ipotesi eccezionale di giurisdizione del giudice ordinario estesa anche ad
interessi legittimi. tale tesi fu però respinta tanto dalla corte di cassazione quanto dalla corte
costituzionale che affermarono al contrario la sussistenza di un diritto soggettivo in capo al
cittadino: quello alla propria integrità patrimoniale.
il giudice dell‟opposizione può sospendere cautelarmente l‟ordinanza-ingiunzione e, se
accoglie l‟opposizione, annulla in tutto o in parte l’ordinanza o la modifica anche
limitatamente all’entità della sanzione dovuta. in questo caso dunque appare evidente la
deroga all’art. 4: al giudice ordinario è espressamente conferito un potere di sospensione e
di annullamento del provvedimento amministrativo oltre che di modifica.
la peculiarità di questo modello si giustifica, probabilmente, con la circostanza che le sanzioni
in questione riflettevano in origine la logica della depenalizzazione e perciò con l‟esigenza di
assicurare, anche nei confronti di sanzioni depenalizzate, una tutela giurisdizionale piena.
 per gli accertamenti e per i trattamenti sanitari obbligatori in condizioni di degenza
ospedaliera l‟art. 35 della l 833/1978 prevede che il sindaco sia competente a ordinare
l’effettuazione del trattamento; il provvedimento del sindaco è immediatamente efficace ma
deve essere convalidato dal giudice tutelare entro un termine perentorio molto breve.
nei confronti di tale provvedimento convalidato il destinatario o chiunque vi abbia interesse
può ricorrere al tribunale civile, con le modalità previste per il rito sommario di cognizione;
la legge tuttavia non dispone se il tribunale, accogliendo il ricorso, annulli il provvedimento
del sindaco, anche se la logica dell‟istituto inducono a considerare favorevole questa
soluzione.
in questo caso la deroga è basata sulla presenza di diritti primari di libertà del cittadino.
 nei confronti dei provvedimenti del prefetto di espulsione di stranieri, il dlgs 286/1998 ha
previsto che la tutela vada esperita dinanzi al giudice ordinario. tale attribuzione riflette
anche in questo caso la convinzione che nei confronti di un provvedimento di questo genere
siano in gioco posizioni di libertà e diritti fondamentali della persona.
 la decisione del garante su un ricorso proposto a tutela dei diritti di privacy può essere
impugnata dagli interessati davanti al tribunale civile. in passato è stato discusso se in
questo caso il giudice ordinario potesse anche annullare la decisione del garante ed
autorizzare, cosi, l‟attività che invece il garante avesse negato; dalla normativa più recente si
ricava la soluzione affermativa: in questo senso assumono rilievo sia l‟attribuzione espressa
al tribunale del potere di sospendere in via cautelare l‟esecuzione della decisione del garante,
sia la disposizione secondo cui il giudice ordinario, in queste vertenze, provvede anche in
deroga al divieto di cui all’art. 4 della legge di abolizione del contenzioso amministrativo.
IL GIUDICE ORDINARIO E LE CONTROVERSIE DI LAVORO DEI DIPENDENTI DELLE
AMMINISTRAZIONI
prima della riforma del 1993 per i dipendenti degli enti pubblici erano previste due diverse
discipline: i dipendenti degli enti pubblici economici erano soggetti ad un rapporto di lavoro di
diritto privato, secondo le regole del codice civile; i dipendenti degli altri enti pubblici erano
soggetti ad un rapporto pubblicistico (c.d. rapporto di pubblico impiego). la diversità di regime
sostanziale si rifletteva anche sulla tutela processuale: per le vertenze degli enti pubblici
economici era competente il giudice civile in funzione di giudice del lavoro, mentre per le
vertenze inerenti al pubblico impiego era competente il giudice amministrativo in sede di
giurisdizione esclusiva.
a partire dagli anni ‟70 tuttavia la disciplina del pubblico impiego fu oggetto di una profonda
revisione, caratterizzata dall‟adozione di modelli sempre più affini a quelli privatistici - si parlò
dunque di privatizzazione, la cui disciplina è stata da ultimo raccolta nel dlgs 165/2001. in base
a queste disposizioni, in via generale, i rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni sottoposti precedentemente alla disciplina del pubblico impiego sono
assoggettati, innanzitutto, alle norme del codice civile sul rapporto di lavoro dipendente,
nonchè alle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell‟impresa; ad essi si applicano inoltre
alcune delle disposizioni speciali, che tuttavia non identificano una disciplina alternativa a
quella del settore privato, ma comportano solo delle deroghe ad essa.
la nuova disciplina comunque non si applica a tutte le categorie di dipendenti di pubbliche
amministrazioni; alcune categorie di dipendenti dell‟amministrazione statale, infatti, sono
rimaste assoggettate al rapporto di pubblico impiego: magistrati ordinari e amministrativi,
avvocati dello stato, personale militare e delle forze di polizia, personale della carriera
diplomatica, parte del personale della carriera prefettizia, personale di alcune autorità
indipendenti e, in via transitoria, professori e ricercatori universitari. si è delineata pertanto
una netta distinzione tra due settori del personale delle pubbliche amministrazioni che ha
riflessi significativi anche sulla tutela giurisdizionale:
per il personale con rapporto contrattuale la tutela giurisdizionale è di competenza del giudice
ordinario in funzione di giudice del lavoro; per il personale con rapporto di pubblico impiego
le vertenze spettano invece sempre al giudice amministrativo in sede di giurisdizione
esclusiva. tuttavia, la giurisdizione ordinaria propria della tutela del personale con rapporto
contrattuale non si estende a tutte le vertenze ad esso inerente: la giurisdizione amministrativa
è infatti stata conservata per le vertenze concernenti le procedure di concorso per l’assunzione
del personale nonchè per quelle inerenti i concorsi interni per il passaggio ad una qualifica
superiore del personale già assunto.
la tutela giurisdizionale per il personale con rapporto contrattuale presenta peraltro vari
profili peculiari:
 la competenza territoriale, per le vertenze di lavoro, spetta al tribunale civile nella cui
circoscrizione ha sede l’ufficio al quale è addetto il dipendente o al quale era addetto al
momento della cessazione del rapporto – pertanto non si applica la disciplina del foro
erariale, competente quando sia parte in giudizio un‟amministrazione statale ai sensi dell‟art.
25 cpc
 con riferimento ai poteri: è espressamente riconosciuta al giudice la capacità di adottare
qualsiasi ordine di pronuncia (accertamento, costitutiva o di condanna) richiesta dalla
natura dei diritti tutelati ed è espressamente precisato che se nel giudizio vengano in
questione atti amministrativi presupposti il giudice ordinario, se li riconosce illegittimi,
procede alla loro disapplicazione.
L’ESECUZIONE FORZATA NEI CONFRONTI DELL’AMMINISTRAZIONE
nei confronti dell‟amministrazione è esperibile l‟esecuzione forzata prevista dal codice di
procedura civile, anche in forma specifica. la circostanza che l‟azione esecutiva sia diretta contro
un soggetto pubblico non incide sulla giurisdizione, ma fa sorgere questioni peculiari che
attengono principalmente all‟individuazione dei beni e dei diritti pignorabili:
 non tutti i beni dell‟amministrazione possono essere soggetti ad esecuzione forzata: non
possono esserlo i beni demaniali (beni immobili o universalità di mobili che appartengono
allo stato, alle regioni, alle province o ai comuni) nè i beni del patrimonio indisponibile. per
questi ultimi, in particolare, il codice civile non stabilisce un regime incompatibile con la loro
espropriabilità, ma la regola si desume dall‟art. 514 cpc che dichiara impignorabili i beni
necessari per l‟adempimento di un pubblico servizio – si deve perciò concludere che solo i
beni del patrimonio disponibile siano passibili di esecuzione forzata.
 per quanto riguarda l‟espropriazione di crediti dell‟amministrazione, vi è stato un grande
dibattito che non è stato ancora risolto. era infatti inizialmente esclusa la possibilità di
espropriare crediti di cui l‟amministrazione fosse titolare in virtù di rapporti pubblicistici –
ed è questo tuttora l‟indirizzo della giurisprudenza in tema di crediti per entrate tributarie;
rispetto alle somme già nella disponibilità dell‟amministrazione si tendeva invece a limitare
pesantemente la possibilità di un‟espropriazione in quanto si riconosceva
all‟amministrazione una sorta di discrezionalità nella graduazione del pagamento dei suoi
debitori. si affermava inoltre che l‟esecuzione fosse possibile solo nei limiti degli importi che
il bilancio dell‟ente pubblico non avesse destinato a scopi specifici di interesse generale.
solo intorno al 1980 la cassazione mutò indirizzo e riconobbe che non poteva ammettersi
discrezionalità laddove vi era un obbligo di adempiere ad una condanna al pagamento nè la
possibilità, mediante le previsioni dei bilanci, di limitare la possibilità di esecuzione
forzata.
 a partire dagli anni ‟90 il legislatore ha introdotto nuovi limiti all‟esecuzione forzata nei
confronti dei beni dell‟amministrazione precludendo del tutto l’espropriazione di beni e
limitando l’espropriazione di crediti alle somme non impegnate dall’ente per servizi
pubblici essenziali – ma non mancano i casi in cui è stata sancita l‟inespropriabilità di tutte le
somme a disposizione per certi capitoli di spesa o addirittura per tutte le somme a
disposizione di un ente.
la sentenza del giudice ordinario può essere eseguita, oltre che nelle forme previste dal codice
di procedura civile, anche nelle forme del giudizio di ottemperanza (istituto che permette alla
parte risultata vittoriosa di dare esecuzione ad una sentenza nel processo amministrativo,
qualora la pa non abbia adempiuto spontaneamente), davanti al giudice amministrativo. in
particolare, già prima del codice del processo amministrativo era prevalente la tesi secondo cui
questo giudizio sarebbe stato esperibile anche nei casi in cui sarebbe possibile l’esecuzione
forzata nelle forme previste dal codice di procedura civile: il creditore dell‟amministrazione
avrebbe dunque la facoltà di scegliere se promuovere l‟esecuzione forzata o il giudizio di
ottemperanza. a questa tesi tuttavia si contrapponeva una giurisprudenza minoritaria che
delineava invece i due rimedi in termini di alternatività necessaria; questa conclusione fu però
fortemente criticata in quanto poneva un limite all’esperibilità di rimedi giurisdizionali che
non trovava alcun fondamento nella legge.
oggi ogni dubbio deve ritenersi superato: l‟art. 112 del codice del processo amministrativo
ammette in via generale che il giudizio di ottemperanza è esperibile anche per conseguire
l‟esecuzione delle sentenze del giudice ordinario passate in giudicato.
QUADRO GENERALE DELLA GIURISDIZIONE AMMINISTRATIVA
prima del codice del processo amministrativo era stato espresso più volte il dubbio circa la
possibilità di ricondurre a un modello unitario il processo amministrativo e ciò proprio per la
mancanza di un denominatore comune, identificabile o nelle posizioni soggettive tutelate o nel
contenuto della domanda. molti autori avevano per questo proposto di individuare, anzichè un
processo amministrativo unitario, una serie di modelli distinti: giudizio sugli atti, giudizio sui
rapporti, giudizio su interessi legittimi e giudizio su diritti soggettivi, cui corrisponderebbe una
disciplina propria.
l‟immagine di frammentazione del processo amministrativo che emerge da queste
considerazioni deve però essere temperata con l‟indirizzo accolto nel codice: nei suoi primi tre
libri mostra infatti la volontà di assicurare omogeneità al processo amministrativo proprio
proponendone una disciplina unitaria, anche a costo di qualche forzatura - il processo
amministrativo è dunque assoggettato ad una serie di regole comuni che investono i profili
nodali.
GIURISDIZIONE DI LEGITTIMITA’
l‟art. 7 cpa, nel suo primo comma, definisce l‟ambito di applicazione della giurisdizione
amministrativa con formule generali che vanno lette alla luce dell‟art. 103 cost. (inerente proprio
la giurisdizione amministrativa): sono devolute alla giurisdizione amministrativa le
controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie
indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del
potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili
anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni;
al suo terzo comma conferma poi l‟articolazione tradizionale della giurisdizione amministrativa
in giurisdizione generale di legittimità, esclusiva ed estesa al merito.
la giurisdizione di legittimità viene presa in considerazione dal quarto comma dell‟articolo in
questione che ne definisce l‟ambito con riferimento alle vertenze concernenti atti o
provvedimenti delle pubbliche amministrazioni, a quelle concernenti omissioni e a quelle
concernenti il risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi – riguardo alle prime
due vertenze va precisato che sia gli atti o provvedimenti della pa, sia le omissioni devono
riferirsi ad interessi legittimi.
nei casi di giurisdizione di legittimità la decisione sugli interessi legittimi può comportare la
necessità di un esame e di una pronuncia anche rispetto a diritti soggettivi. in origine le
questioni relative a diritti soggettivi erano sempre state riservate al giudice ordinario; in un
secondo momento la giurisprudenza si è orientata nel senso di ammettere in questi casi un
sindacato in via incidentale del giudice amministrativo – soluzione recepita nella riforma del
1923; ad oggi l‟art. 8 cpa stabilisce che quando non vi sia giurisdizione esclusiva il giudice
amministrativo conosce, senza efficacia di giudicato, di tutte le questioni pregiudiziali o
incidentali relative a diritti la cui risoluzione sia necessaria per pronunciare sulla questione
principale – pertanto in questi casi, anche se la questione concernente i diritti costituisce un
logico e necessario antecedente rispetto alla decisione sugli interessi legittimi, sui diritti non si
forma giudicato: il giudice amministrativo può pronunciarsi su di essi solo in via incidentale.
con riferimento ai poteri del giudice nell‟ambito della giurisdizione di legittimità possiamo dire
che si assiste ad una riduzione rispetto a quelli che gli vengono assegnati nella giurisdizione di
merito: può annullare l’atto quando lo ritenga viziato per incompetenza, violazione di legge o
eccesso di potere, può anche ordinare all’amministrazione di emanare un provvedimento, ma
non può anche sostituire l‟atto impugnato con un proprio atto.
GIURISDIZIONE ESCLUSIVA
accanto alla giurisdizione di legittimità, in alcuni casi è assegnata al giudice una giurisdizione
anche sui diritti soggettivi in via esclusiva. in questi casi il cittadino può agire davanti al
giudice amministrativo non solo per tutelare i suoi interessi legittimi ma anche per tutelare
diritti soggettivi che egli vanti nei confronti di un‟amministrazione.
i casi di giurisdizione esclusiva sono stabiliti dalla legge, la cui riserva è prevista dall‟art. 103
cost. le materie devolute alla giurisdizione esclusiva sono numerose, come risulta dall‟elenco
previsto dall‟art. 133 cpa che riproduce le previsioni di giurisdizione esclusiva contenute nelle
leggi precedenti – cui peraltro devono essere aggiunte le integrazioni effettuate da leggi
successive.
nelle ipotesi di giurisdizione esclusiva il giudice amministrativo può pronunciarsi, con efficacia
di giudicato, sia su interessi legittimi che su diritti soggettivi NB in base al codice la
giurisdizione esclusiva non incontra come limite il carattere perfetto o costituzionalmente
tutelato del diritto fatto valere in giudizio. in passato infatti si era sostenuto che i diritti primari,
tutelati da norme costituzionali, proprio perchè identificavano un nucleo forte dei diritti,
sarebbero stati oggetto di tutela davanti al giudice ordinario anche nelle materie di
giurisdizione esclusiva; dopo un ampio dibattito, invece, la coste costituzionale affermò che
anche una tale qualificazione non imponeva l‟attribuzione della tutela al giudice ordinario – a
ciò si adeguò dunque anche la cassazione e di conseguenza il codice.
da un punto di vista procedurale possiamo dire che la giurisdizione esclusiva è stata introdotta
dal legislatore perchè in molte vertenze il criterio di riparto fondato sulle situazioni soggettive
risultava insoddisfacente sul piano pratico. in questi casi infatti diritti soggettivi e interessi
legittimi risultavano strettamente correlati e un riparto fondato sulla natura delle posizioni
soggettive avrebbe potuto obbligare il cittadino a promuovere una pluralità di giudizi, davanti
al giudice amministrativo e davanti al giudice ordinario, in relazione ad una identica vicenda;
l‟assegnazione di una vertenza alla giurisdizione esclusiva, invece, avrebbe semplificato queste
operazioni. dunque, non fu più necessario procedere alla verifica della natura delle posizioni
soggettive e sarebbe invece stato sufficiente stabilire se la vertenza rientrasse o meno
nell‟ambito devoluto dal legislatore al giudice amministrativo in via esclusiva: si parla dunque
del criterio della materia. tuttavia, anche in questo ambito sorgono delle difficoltà in quanto non
è sempre agevole stabilire se la vertenza inerisca o meno a una materia devoluta alla
giurisdizione esclusiva, e questo a causa dell‟eterogeneità della nozione di materia e degli
istituti contemplati. di fronte a queste difficoltà in un primo momento la cassazione e il
consiglio di stato dibatterono sulla possibilità di adottare criteri estensivi o restrittivi per la
lettura delle previsioni di giurisdizione esclusiva, ma fu centrale l‟intervento della corte
costituzionale che con sent. 204/2004 sottolineò l‟esigenza di un‟interpretazione della
giurisdizione esclusiva rispettosa dell‟art. 103 cost. (“giurisdizione amministrativa”):
l‟assegnazione di materie, da parte del legislatore, alla giurisdizione esclusiva, deve
presupporre una relazione tra l’ambito devoluto e un potere amministrativo – il criterio fu poi
confermato da una sentenza di due anni dopo che però ritenne sufficiente che tale relazione
fosse mediata.
GIURISDIZIONE ESTESA AL MERITO
la legge crispi del 1889 e la riforma del 1907 consideravano, accanto all‟ipotesi generale
costituita dalla giurisdizione di legittimità, anche ipotesi particolari, rappresentate da
controversie per le quali il giudice amministrativo decide pronunciando anche in merito.
dopo l‟istituzione della giurisdizione esclusiva, in alcuni casi anche la giurisdizione sui diritti
fu associata alla giurisdizione di merito; in questo modo, mentre la giurisdizione di legittimità
identificava la modalità generale di tutela degli interessi legittimi, la giurisdizione di merito
identificava una modalità particolare di tutela che poteva riguardare, oltre agli interessi
legittimi, anche diritti soggettivi - e questa è la soluzione attuata nel codice del processo
amministrativo, che all‟art. 134 elenca le ipotesi di giurisdizione di merito.
in passato la giurisdizione di merito si caratterizzava per l‟attribuzione al giudice
amministrativo, oltre ai normali poteri che gli sono attribuiti nella giurisdizione di legittimità,
anche di alcuni poteri aggiuntivi per la cognizione e decisione della controversia. in particolare
aveva una cognizione più ampia dei fatti perchè poteva disporre di mezzi istruttori ulteriori
rispetto a quelli ammessi nella giurisdizione di legittimità; nel caso di accoglimento del ricorso,
oltre ad annullare l‟atto impugnato poteva anche riformarlo o sostituirlo, e quindi introdurre le
modifiche necessarie per rendere il contenuto dell‟atto immune dai vizi riscontrati.
L’AZIONE NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
tradizionalmente, per il processo amministrativo la dottrina e la giurisprudenza richiamano,
come condizioni generali per l’azione, l‟interesse a ricorrere e la legittimazione a ricorrere in
capo a chi promuove il giudizio.
la legittimazione a ricorrere è ricondotta in genere alla titolarità di posizioni di interesse
qualificato: interesse legittimo o anche diritto soggettivo nel caso della giurisdizione esclusiva.
la legittimazione a ricorrere viene interpretata dalla giurisprudenza amministrativa non come
affermazione della titolarità della posizione qualificata necessaria ai fini del ricorso, ma come
effettiva titolarità di tale posizione. di conseguenza il giudice amministrativo, quando accerta
che il ricorrente non è titolare di tale posizione qualificata, dichiara il ricorso inammissibile e
non infondato – in questo modo la pronuncia di inammissibilità del ricorso per difetto di
legittimazione a ricorrere non è semplicemente una pronuncia di rito, come si potrebbe
concludere trattandosi di pronuncia sulle condizioni dell‟azione, ma comporta un accertamento
negativo di una posizione soggettiva di ordine sostanziale e per questo assimilabile ad una
pronuncia di merito.
la legittimazione a ricorrere nel processo amministrativo va ricondotta, di regola, alla tutela di posizioni
qualificate; tuttavia in alcune ipotesi la legittimazione a ricorrere è costituita semplicemente da una
condizione formale del ricorrente e non dall‟affermazione o dalla titolarità di un interesse qualificato. ciò
si verifica, in particolare, nel caso delle azioni popolari, per le quali la legittimazione a ricorrere si
identifica con la qualità generica di cittadino; alle azioni popolari vengono accostate alcune previsioni
sulla tutela di interessi diffusi. in queste ipotesi la legittimazione a ricorrere è talvolta attribuita
direttamente dalla legge ad associazioni operanti nel settore e identificate sulla base di criteri oggettivi.
in questo modo la legge non ha trasformato gli interessi diffusi in interessi legittimi delle associazioni in
questione: ha invece inteso assegnare alle associazioni una particolare legittimazione ad agire.
per quanto riguarda invece la condizione dell‟interesse a ricorrere, richiamandosi al principio
sancito dall‟art. 100 cpc, la giurisprudenza amministrativa lo identifica non nei termini della
idoneità dell‟azione a realizzare il risultato perseguito, ma più specificamente come interesse
proprio del ricorrente al conseguimento di un’utilità o di un vantaggio attraverso il processo
amministrativo. in particolare, mentre nel processo civile l‟interesse ad agire rimane sullo
sfondo, emergendo solo in casi particolari, secondo il consiglio di stato nel processo
amministrativo l‟interesse a ricorrere assumerebbe sempre una rilevanza concreta: l‟interesse a
ricorrere avrebbe infatti, secondo la giurisprudenza amministrativa, specifica rilevanza anche
nelle azioni costitutive, con la conseguenza che in alcune ipotesi, pur essendo configurabile la
lesione di un interesse legittimo, non sarebbe assicurata una tutela giurisdizionale per
mancanza dell‟interesse a ricorrere / es. si pensi ad una graduatoria concorsuale per
l‟assunzione di pubblici dipendenti la cui legittimità sia contestata per l‟attribuzione a un
candidato di un punteggio inferiore al dovuto: la giurisprudenza amministrativa ritiene
ammissibile il ricorso solo nel caso in cui il candidato dimostri che l‟attribuzione del punteggio
corretto lo avrebbe collocato in una posizione utile per l‟assunzione; in caso contrario il ricorso
viene ritenuto inammissibile per carenza di interesse a ricorrere.
la rilevanza dell‟interesse a ricorrere è sottolineata dalla giurisprudenza amministrativa anche
da altri punti di vista: l‟interesse a ricorrere deve infatti essere connesso con gli attributi della
personalità, attualità e concretezza – rispettivamente: il risultato di vantaggio deve riguardare
specificamente e direttamente il ricorrente; l‟interesse deve sussistere al momento del ricorso,
per cui non è sufficiente configurare l‟eventualità o l‟ipotesi di una lesione; l‟interesse a ricorrere
va valutato con riferimento a un pregiudizio concretamente verificatosi ai danni del
ricorrente. sulla base di questi elementi viene ricondotta alla carenza di interesse l‟esclusione
della possibilità di impugnare in via autonoma o immediata alcuni atti amministrativi: atti
preparatori, atti interni, atti non ancora efficaci, atti normativi e atti confermativi di atti
precedenti – rispettivamente perchè: la lesione può essere prodotta solo dal provvedimento
conclusivo del procedimento, ovvero solo da un atto produttivo di effetti esterni, ovvero solo da
un atto che sia diventato efficace, ovvero solo in presenza di un atto applicativo, ovvero perchè
l‟impugnazione dell‟atto confermativo non travolgerebbe l‟atto precedente, col risultato che gli
effetti lesivi dell‟atto confermato resterebbero comunque fermi.
inoltre, l‟interesse deve permanere fino al momento della decisione del ricorso. l‟interesse
processuale del ricorrente, infatti, secondo la giurisprudenza, condiziona l‟esercizio dell‟azione
in ogni momento e dunque anche nelle fasi successive alla presentazione del ricorso; pertanto,
se nel corso del giudizio si verifica un mutamento della situazione di fatto o di diritto tale da
escludere che l‟accoglimento del ricorso possa comportare un risultato utile al cittadino, il
ricorso viene dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse – ogni circostanza
sopravvenuta che precluda il raggiungimento di un risultato utile rende improcedibile l‟azione
pur validamente proposta.
TIPOLOGIA DI AZIONI NEL PROCESSO AMMINISTRATIVO
 azione di accertamento o dichiarativa: mira a stabilire, in presenza di una contestazione, il
modo di essere di un determinato rapporto giuridico e si conclude, in caso di accoglimento,
con una sentenza che si limita a constatare la piena conformità della situazione di fatto alla
situazione di diritto.
 azione di annullamento o costitutiva: azione principale per la tutela degli interessi legittimi
lesi da un provvedimento amministrativo illegittimo. mira a costituire, modificare o
estinguere una situazione giuridica soggettiva - la sentenza costitutiva, a differenza delle
sentenze dichiarative o di condanna, opera una modifica nella configurazione del rapporto
intercorrente tra le parti.
 azione di condanna: accerta una difformità tra situazione di fatto e situazione di diritto e
impone alla parte soccombente di porre in essere un’attività volta a rimuovere tale
difformità.
la condanna può avere ad oggetto un facere specifico o anche il risarcimento del danno.
quest‟ultima può essere proposta insieme all‟azione di annullamento o autonomamente; nel
determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento
complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti
evitare usando l‟ordinaria diligenza.
TUTELA NEI CONFRONTI DEL SILENZIO
l‟azione avverso il silenzio è disciplinata dall‟art. 31 cpa, che al primo comma stabilisce che il
giudice, decorsi inutilmente i termini per la conclusione del procedimento amministrativo, può
essere chiamato a valutare l’obbligo dell’amministrazione di provvedere.
il giudice deve valutare inizialmente la legittimità del silenzio e dunque se non ricorre
semplicemente l‟ipotesi di silenzio-assenso; in secondo luogo, qualora sia stata positivamente
valutata l‟illegittimità del silenzio, dovrà essere analizzata la pretesa del privato - possiamo
quindi dire che l‟azione è rivolta innanzitutto ad accertare l‟inadempimento della pa ed ove è
richiesto il giudice può anche pronunciare sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio. in
particolare, quando verifichi che il provvedimento richiesto dal privato avrebbe dovuto essere
rilasciato dall‟amministrazione (ciò solo quando si tratti di attività vincolata o quando risulta
che non residuano altri margini di discrezionalità), può, se richiesto con l‟azione di
adempimento, condannare l’amministrazione ad adottare l’atto in questione.
l‟azione avverso il silenzio può essere proposta fin tanto che perdura l‟inerzia della
dell‟amministrazione e comunque non oltre un anno dalla scadenza del termine di conclusione
del procedimento. se nel frattempo l‟amministrazione emana un atto che nega la richiesta, esso
può essere impugnato con la normale azione di annullamento.
l‟azione avverso il silenzio è dunque sia un‟azione di accertamento che un‟azione di condanna
in senso atipico, perché l‟amministrazione viene obbligata a provvedere qualora l‟istanza del
privato sia fondata. se nonostante la pronuncia del giudice l‟amministrazione resta
inadempiente, il privato può chiedere l‟intervento del commissario ad acta (funzionario con il
compito di emanare i provvedimenti che avrebbe dovuto emettere l‟amministrazione
inadempiente).
RICORSI AMMINISTRATIVI
i ricorsi amministrativi sono rimedi giuridici diretti ad un‟autorità amministrativa al fine di
ottenere da essa l‟annullamento o la riforma di un provvedimento amministrativo NB non sono
strumenti di tutela giurisdizionale e infatti l‟atto con cui l‟organo competente provvede su un
ricorso amministrativo non è un atto giurisdizionale ma è un provvedimento amministrativo
che prende il nome di decisione amministrativa – che quanto a caratteri, forma ed efficacia si
conforma all‟atto amministrativo e non ad un atto giurisdizionale.
la collocazione dei ricorsi amministrativi nel contesto della funzione amministrativa e non della
funzione giurisdizionale non deve comunque far passare in secondo piano la specificità della
funzione amministrativa attivata da un ricorso: è infatti strumento di tutela di interessi
qualificati e quindi di interessi legittimi o diritti soggettivi.
ciò comporta, innanzitutto, una legittimazione limitata per la presentazione del ricorso: non
spetta a qualsiasi cittadino ma solo a chi faccia valere un interesse legittimo o un diritto
soggettivo – di conseguenza rimangono estranei dalla partecipazione i c.d. interessi semplici e
di fatto, ossia quegli interessi che non hanno neppure la consistenza di un interesse legittimo e
che corrispondono ad un mero interesse economico o materiale o ad una mera aspettativa; in
secondo luogo, le ragioni della tutela del cittadino comportano che l‟autorità competente, nel
valutare e decidere un ricorso, debba attenersi al ricorso stesso e non possa introdurre d‟ufficio
motivi diversi da quelli dedotti nel ricorso (principio della domanda).
nel nostro ordinamento sono previste varie tipologie di ricorsi amministrativi, la cui disciplina è
contenuta nel dpr 1199/1971. esistono quattro tipologie di ricorsi: ricorso gerarchico, ricorso
gerarchico improprio, ricorso di opposizione e ricorso straordinario. tra questi hanno carattere
di rimedi generali, e cioè esperibili indipendentemente da una loro previsione all‟interno di
una disposizione, il ricorso gerarchico e il ricorso straordinario; gli altri hanno carattere di
rimedi tassativi, cioè sono esperibili solo quando siano espressamente previsti da una specifica
disposizione.
vediamo in che modo possono essere classificati i ricorsi:
 ricorsi ordinari e ricorso straordinario: i ricorsi ordinari sono ammessi solo nei confronti di
un provvedimento non definitivo – cioè il provvedimento che non è stato emesso
dall‟organo di grado gerarchico più elevato competente a provvedere in quella materia; il
ricorso straordinario è invece ammesso solo nei confronti di provvedimenti definitivi.
 rimedi eliminatori e rimedi rinnovatori: i rimedi eliminatori sono quelli che comportano la
sola eliminazione (annullamento) del provvedimento impugnato; i rimedi rinnovatori sono
invece quelli che comportano la devoluzione dell‟intera pratica all‟organo competente a
decidere il ricorso al quale dunque viene richiesto non solo di eliminare l‟atto impugnato,
ma anche, eventualmente, di modificarlo o sostituirlo con un altro NB di regola sono
rinnovatori i ricorsi diretti ad un organo che è anche di per sè competente a provvedere sulla
pratica in questione.
 ricorsi ammessi solo per vizi di legittimità e ricorsi ammessi anche per vizi di merito: tra i
ricorsi ammessi solo per vizi di legittimità troviamo il ricorso straordinario; tra i ricorsi
ammessi anche per vizi di merito troviamo invece il ricorso gerarchico.
NB tutti i ricorsi amministrativi hanno carattere di rimedi formali: sono assoggettati a modalità
particolari di presentazione e a termini tassativi di proposizione; al tempo stesso però,
proprio perchè non sono rimedi processuali, i ricorsi amministrativi non sono soggetti a forme o
istituti specifici dei mezzi di tutela giurisdizionale: non è dunque necessaria la rappresentanza o
l‟assistenza di un avvocato, il termine per proporre il ricorso non è soggetto a sospensione per le
ferie processuali, ecc.
RICORSO GERARCHICO PROPRIO
il ricorso gerarchico proprio è un ricorso di ordine generale - la cui esperibilità dunque non
richiede una disposizione specifica che lo ammetta.
il dpr 1199/1971 detta una disciplina del ricorso gerarchico ispirata all‟esigenza di assicurare
una grande semplicità di forme e la limitazione degli adempimenti a quelli strettamente
essenziali per il rimedio stesso.
il ricorso deve essere diretto all‟organo gerarchicamente sovraordinato a quello che ha emanato
l‟atto impugnato e va proposto entro trenta giorni dalla
notificazione/comunicazione/pubblicazione/piena conoscenza dell‟atto da impugnare; il
ricorso erroneamente rivolto ad un organo diverso da quello competente, ma appartenente alla
stessa amministrazione di quest‟ultimo non è irricevibile: l‟organo che lo ha ricevuto provvede
d‟ufficio a trasmetterlo all’organo competente.
il ricorso gerarchico non sospende l‟efficacia del provvedimento impugnato, ma per gravi
motivi l‟organo competente per la decisione del ricorso può sospenderne, anche d‟ufficio,
l‟esecuzione.
analizziamo con maggiore attenzione i punti salienti:
 organo cui è diretto il ricorso gerarchico: la legge, come visto in precedenza, parla di organo
gerarchicamente sovraordinato rispetto a quello che ha emanato l‟atto impugnato. la norma
va interpretata nel senso che il ricorso va diretto all‟organo immediatamente sovraordinato
rispetto a quello di primo grado - la relazione di gerarchia che rileva ai fini dell‟ammissibilità
del ricorso gerarchico è solo quella di ordine esterno, cioè la gerarchia fra organi e non quella
che attiene a rapporti di grado e qualifica tra i funzionari.
 tutela del contraddittorio: il ricorrente non è tenuto a dare notizia del ricorso nè all‟organo
che ha emesso l‟atto in primo grado nè ai controinteressati. in particolare, rispetto all‟organo
di primo grado non è prevista alcuna forma di contraddittorio; per quanto riguarda invece i
controinteressati l‟art. 4 impone all’organo adito con il ricorso di comunicarlo per
consentire loro di presentare deduzioni e documenti. aggiungiamo poi che le difese delle
parti non hanno come destinatari le altre parti, ma solo l‟autorità competente per la
decisione; non è prescritta l’istituzione di una sorta di fascicolo del ricorso gerarchico e
l‟esame delle memorie e dei documenti acquisiti dall‟amministrazione è possibile da tutte le
parti, ma rappresenta una mera facoltà rimessa nel suo esercizio all‟iniziativa di ciascuna
parte.
in generale, possiamo dunque dire che nel ricorso gerarchico non vi è una garanzia piena del
contraddittorio, al contrario di quanto invece avviene nel procedimento giurisdizionale.
 istruttoria: i poteri istruttori di cui dispone l‟organo competente a decidere il ricorso
gerarchico sono definiti sommariamente nell‟art. 4 del dpr 1199/1971 che si riferisce alla
possibilità, da parte dell‟amministrazione, di disporre di tutti gli accertamenti utili ai fini
della decisione.
NB sulle parti non grava alcun onere della prova, perciò la verifica dei fatti segnalati dalle
parti è a carico esclusivo dell‟amministrazione.
 decisione: l‟art. 5 della legge in questione individua i contenuti possibili della decisione del
ricorso gerarchico. in particolare: decisioni di rito, decisioni di merito e riforma.
 rapporti con il ricorso giurisdizionale: se nei confronti dello stesso atto viene proposto, dal
medesimo cittadino, sia il ricorso gerarchico che quello giurisdizionale, secondo la
giurisprudenza prevale sempre il ricorso giurisdizionale. tale soluzione riflette infatti la
convinzione che non sia possibile la contemporanea pendenza di due rimedi equipollenti nei
confronti di un medesimo atto e che, come criterio per stabilire a quale rimedio si debba
accordare la preferenza, debba valere la maggiore compiutezza di garanzie offerte dalla
tutela giurisdizionale.
tale tesi della prevalenza del ricorso giurisdizionale non sembra invece considerare l‟ipotesi
della contemporanea pendenza dei due ricorsi quando essi abbiano però contenuti diversi –
si pensi al caso di un ricorso gerarchico che contenga solo censure di merito e al ricorso
giurisdizionale proposto per motivi di legittimità. ritenere che anche in questo caso si abbia
un‟incompatibilità tra i due ricorsi e che pertanto prevalga il ricorso giurisdizionale
comporterebbe infatti effetti negativi per il cittadino che abbia proposto ricorso solo in sede
gerarchica: in sede giurisdizionale, infatti, non sono ammessi ricorsi per motivi di merito.
uno dei temi centrali per lo studio dei ricorsi gerarchici è costituito dal tema del c.d. silenzio.
carattere essenziale dei ricorsi amministrativi è la costituzione di un dovere di provvedere; si
tratta però di capire che cosa si verifichi quando l‟amministrazione non decida un ricorso,
situazione disciplinata dall‟art. 6 del dpr 1199/1971: decorso il termine di novanta giorni dalla
data di presentazione del ricorso senza che l’organo adito abbia comunicato la decisione, il
ricorso si intende respinto a tutti gli effetti e contro il provvedimento impugnato è esperibile il
ricorso ordinario all’autorità giurisdizionale competente o quello straordinario al presidente
della repubblica. da questa disposizione si desume dunque la fissazione di un termine di
novanta giorni perchè l‟amministrazione decida il ricorso gerarchico. quali effetti produca, però,
la scadenza del termine è oggetto tutt‟ora di ampie discussioni:
la questione del rilievo da riconoscere al silenzio su un ricorso gerarchico si impose
praticamente subito dopo l‟istituzione della quarta sezione del consiglio di stato. in particolare,
se il ricorso alla quarta sezione era ammesso solo contro un provvedimento definitivo, il
silenzio poteva costituire per l‟amministrazione un comodo espediente per evitare il sindacato
giurisdizionale sui propri atti. tuttavia questa soluzione risultava profondamente ingiusta, sia
perchè era pacifico che l‟amministrazione fosse tenuta a decidere il ricorso gerarchico, sia
perchè un comportamento scorretto dell‟amministrazione avrebbe finito col pregiudicare il
cittadino, lasciandolo senza margini di tutela.
a tal proposito la prima giurisprudenza della quarta sezione prospettò la conclusione che, in
concorso con altre circostanze, il silenzio mantenuto su un ricorso gerarchico non precludesse
la possibilità di proporre il ricorso giurisdizionale: in una pronuncia del 1902, infatti, la quarta
sezione affermò proprio questo, limitandosi però alla tematica di ordine processuale; la dottrina
e la giurisprudenza successiva, quindi, cercarono di giustificare quanto affermato in quella
pronuncia anche da un punto di vista sostanziale: il ricorso giurisdizionale doveva ritenersi
possibile perchè il silenzio mantenuto dall‟amministrazione doveva interpretarsi come
decisione di rigetto (c.d. silenzio-rigetto).
l‟individuazione di un atto amministrativo anche in un comportamento omissivo
dell‟amministrazione rifletteva certamente un modo di ragionare tipico di quell‟epoca, di cui
ricordiamo anche il silenzio-rifiuto e il silenzio-assenso; ma oggi non è più condivisibile:
l‟amministrazione che tace su un ricorso non assume alcuna determinazione e perciò nel
silenzio dell‟autorità adita con ricorso gerarchico non si può identificare alcun atto.
tale superamento iniziò già negli anni ‟60 e in particolare dopo la riforma del 1971 emergevano
posizioni molto eterogenee: alcuni consideravano la decorrenza del termine come una
decadenza del potere di provvedere, altri riconducevano la disciplina del silenzio su un ricorso
in quella del c.d. silenzio-rifiuto, altri ancora ipotizzavano che la nuova disciplina assegnasse si
alla decorrenza del termine un valore di rigetto, ma che comunque questa conclusione fosse
temperata dalla regola della inimpugnabilità di un tale rigetto. finalmente nel 1978 l‟adunanza
plenaria del consiglio di stato riprese in esame la questione e prospettò le seguenti conclusioni:
 nel silenzio mantenuto su un ricorso gerarchico non è identificabile un provvedimento di
rigetto: la legge si limita ad attribuire valore di rigetto alla decorrenza del termine
 in ogni caso, in ossequio al dettato normativo, una volta formatosi il silenzio-rigetto, il
ricorso giurisdizionale si può proporre solo contro l’atto di primo grado già impugnato in
via gerarchica
 proprio perchè la decorrenza del termine, anche se non implica l‟assunzione di un atto
amministrativo, ha pur sempre valore equipollente a una decisione di rigetto, ogni eventuale
decisione successiva di accoglimento del ricorso deve ritenersi illegittima in quanto
assunta in violazione del principio ne bis in idem
 viceversa, la decisione successiva di rigetto esplicito del ricorso deve ritenersi
improduttiva di effetti giuridici nuovi e quindi deve considerarsi come atto meramente
confermativo, di per sè non impugnabile perchè meramente riproduttivo di effetti
precedenti.
vengono dunque risolti una serie di problemi, ma non tutti: perchè una decisione tardiva di
accoglimento deve ritenersi illegittima, con la conseguenza che il ritardo nella decisione
provocato dall‟amministrazione si sarebbe risolto in un danno per il ricorrente? a ciò si
aggiunge poi che la soluzione accolta dall‟adunanza plenaria finiva in realtà con l‟escludere una
garanzie di decisione nel caso di ricorsi proposti per vizi di merito – che non possono essere
riproposti in un ricorso giurisdizionale nel quale invece si possono far valere solo vizi di
legittimità. nel 1989 quindi il tema fu nuovamente preso in esame dall‟adunanza plenaria del
consiglio di stato che adottò due decisioni che comportarono una significativa revisione
dell‟indirizzo precedente: la formazione del silenzio-rigetto non priva l‟amministrazione del
potere di decidere il ricorso gerarchico, ma consente al ricorrente di scegliere tra la possibilità di
un ricorso giurisdizionale o straordinario contro l‟atto impugnato in via gerarchica e la
possibilità di attendere la decisione del ricorso gerarchico. in questo secondo caso, alla
scadenza del termine di novanta giorni si configura una situazione affine a quella del silenzio-
rifiuto: il cittadino, se l‟amministrazione tarda a decidere, può notificare una diffida e poi
tutelarsi come nei confronti di un silenzio-rifiuto.
RICORSO GERARCHICO IMPROPRIO E IN OPPOSIZIONE
il ricorso gerarchico improprio e il ricorso in opposizione, al contrario del ricorso gerarchico
proprio, sono rimedi tassativi – la cui esperibilità è dunque legata ad una specifica disposizione
che li preveda. entrambi si modellano sul ricorso gerarchico.
 ricorso gerarchico improprio: si caratterizza per essere diretto ad un organo non
gerarchicamente sovraordinato rispetto a quello che ha emanato l‟atto impugnato. è
previsto in alcune materie particolari (impiego scolastico, commercio, ecc.) in ipotesi nelle
quali l‟atto da impugnare sarebbe stato, alla stregua dei principi, già di per sè definitivo.
sembra logico dunque che tale tipo di ricorso, risolvendosi in una forma di sindacato
puntuale su un atto, debba essere ammesso solo nell‟ambito di un‟identica amministrazione
o nell‟ambito di amministrazioni riconducibili ad enti diversi ma legati da rapporti
funzionali.
 ricorso in opposizione: il ricorso in opposizione è invece diretto allo stesso organo che ha
emanato l‟atto impugnato. è uno strumento di limitata utilizzazione, previsto in ipotesi
molto particolari, che ricorrono soprattutto nel pubblico impiego - lo scarso sviluppo di
quello modello di ricorso si ricollega, probabilmente, alla diffidenza verso la capacità
dell‟autorità che abbia emanato l‟atto impugnato di valutare in modo effettivamente
imparziale il ricorso diretto contro il proprio atto.
RICORSO STRAORDINARIO
il ricorso straordinario al presidente della repubblica è ammesso contro provvedimenti
definitivi, in relazione soltanto a censure di legittimità, per l‟annullamento dell‟atto
impugnato. è un rimedio generale, pertanto la sua esperibilità non è subordinata a disposizioni
puntuali che lo prevedano; l‟art. 7 cpa ne ha circoscritto la portata alle sole vertenze che
risultino devolute al giudice amministrativo.
rispetto agli altri ricorsi amministrativi il ricorso straordinario si caratterizza per l‟attuazione
più puntuale della garanzia del contraddittorio e, soprattutto, per l‟introduzione di uno
strumento specifico di garanzia rappresentato dall‟intervento del consiglio di stato – l‟art. 69
della l 69/2009, infatti, ha previsto che la decisione del ricorso debba essere preceduta dal
parere vincolante del consiglio di stato.
il termine per proporre il ricorso (1) è di centoventi giorni dalla
comunicazione/notificazione/pubblicazione/piena conoscenza del provvedimento definitivo
ovvero dalla formazione del silenzio-rigetto. entro tale termine il ricorso straordinario, a pena di
inammissibilità, deve essere notificato ad almeno uno dei controinteressati (2) e presentato
all’autorità amministrativa che ha emanato l’atto impugnato (2) o al ministero competente
per materia (2). i controinteressati, entro sessanta giorni dalla notificazione del ricorso, possono
presentare deduzioni e documenti ed eventualmente un ricorso incidentale (2.1) – se il ricorso è
stato notificato ad almeno uno dei controinteressati il ministero competente dispone
l‟integrazione del contraddittorio (2.2) indicando le modalità attraverso le quali il ricorrente
deve portare a conoscenza degli altri controinteressati il ricorso stesso.
una volta presentato il ricorso e integrato il contraddittorio, il ministero competente deve
procedere all‟istruzione del ricorso (3) raccogliendo tutti gli elementi utili per la sua valutazione
- l‟istruttoria va completata nei centoventi giorni successivi al termine per le deduzioni dei
controinteressati. scaduto inutilmente tale termine è consentito al ricorrente procedere
all‟interpello del ministero (3.1) e successivamente depositare direttamente il ricorso presso il
consiglio di stato per il parere prescritto (3.2).
una volta conclusa l‟istruttoria, il ricorso con tutti gli altri relativi atti è trasmesso dal ministro al
consiglio di stato per il suo parere (4); sulla base di quest‟ultimo il ministro formula la sua
proposta di decreto al presidente della repubblica (5).
il profilo più peculiare della disciplina del ricorso straordinario è costituito dalla sua
alternatività con il ricorso al giudice amministrativo: non solo i due rimedi non possono
essere proposti contro il medesimo atto, ma non vale neppure un criterio di preferenza tra i
due e la presentazione del ricorso straordinario preclude la proposizione del ricorso
giurisdizionale.
l‟alternatività tra i due viene spesso considerata come una conseguenza della straordinarietà del
ricorso al presidente della repubblica; in realtà si spiega con l‟esigenza di evitare contrasti tra il
consiglio di stato in sede consultiva, che deve esprimere il suo parere sul ricorso straordinario, e
il consiglio di stato in sede giurisdizionale.
IL PROCESSO AMMINISTRATIVO
ELEMENTI PRELIMINARI
1. IL GIUDICE AMMINISTRATIVO E LA SUA COMPETENZA
la giurisdizione amministrativa è esercitata in primo grado dai tribunali amministrativi
regionali (tar) e in secondo grado dal consiglio di stato e dal consiglio di giustizia
amministrativa per la regione siciliana.
PRIMO GRADO
i tribunali amministrativi sono istituiti in ogni regione e hanno sede nei rispettivi capoluoghi. in
otto regioni, tra cui il lazio, sono istituite anche sezioni staccate che hanno sede in un
capoluogo di provincia; nella regione trentino-alto adige, in base allo statuto speciale sono stati
istituiti un tar con sede a trento e una sua sezione autonoma con sede a bolzano. quest‟ultima,
oltre alle competenze comuni ai tar, sono devolute una serie di controversie particolari in cui,
tra l‟altro, la sezione autonoma di bolzano è giudice in unico grado – la sua pronuncia è infatti
considerata lodo arbitrale non soggetto ad alcuna impugnativa; le altre pronunce della sezione
autonoma sono invece normalmente impugnabili davanti al consiglio di stato.
criteri generali di riparto della competenza tra i tar
i criteri generali di riparto della competenza tra i tar sono disciplinati dall‟art. 13 cpa:
1. criterio della sede dell‟organo (che ha emanato): il tar è competente per l‟impugnazione di
atti emessi da organi che hanno la loro sede nella sua circoscrizione
2. criterio dell‟efficacia dell‟atto: tempera il primo criterio per non concentrare su un unico tar
un carico eccessivo di ricorsi. in particolare, se gli effetti diretti dell‟atto impugnato sono
limitati al territorio di una regione o di una parte di essa, è competente il tar nella cui
circoscrizione si producono tali effetti – anche se l‟atto è stato emanato da organi dello stato o
di enti pubblici che hanno sede in altre circoscrizioni.
NB tale criterio non è stato ritenuto applicabile nel caso di impugnazione di atti di enti locali
o di organi periferici dello stato: in queste ipotesi è applicato solo il criterio della sede
dell‟organo emanante senza la necessità di verifiche sull‟efficacia dell‟atto stesso.
3. criterio del foro del pubblico impiego: è competente il tar nella cui circoscrizione ha sede
l‟ufficio del pubblico dipendente.
NB tale criterio è stato ritenuto speciale e dunque prevalente rispetto agli altri; tuttavia non è
stato ritenuto applicabile all‟impugnazione di un atto di un ente ultraregionale che abbia un
contenuto inscindibile diretto alla generalità dei dipendenti o ad una pluralità di dipendenti
con sedi di servizio comprese nelle circoscrizioni di più tar.
NB il criterio del foro del pubblico impiego ha una portata tassativa: vale soltanto per le
controversie tra l‟impiegato e l‟amministrazione che abbiano ad oggetto pretese inerenti
specificamente al rapporto d‟impiego.
inderogabilità della competenza territoriale
le regole sulla competenza territoriale hanno carattere inderogabile: la loro violazione può
essere rilevata anche d’ufficio dal tar e può costituire motivo d‟appello.
quando il tar dichiara la propria incompetenza si pronuncia con ordinanza e indica il tar
ritenuto competente; se la causa è riassunta tempestivamente (entro trenta giorni dalla
comunicazione dell‟ordinanza) dinnanzi al giudice indicato, il giudizio prosegue e non matura
alcuna decadenza.
l‟incompetenza può essere dichiarata dal tar finchè la causa non è decisa in primo grado. la
verifica della competenza è preliminare rispetto a qualsiasi pronuncia cautelare: pertanto, se il
giudice si ritiene incompetente non può neppure adottare misure cautelari NB per evitare vuoti
nella tutela cautelare il codice prevede che se il tar adito è dichiarato incompetente le misure
cautelari adottate hanno una ultrattività e conservano la loro efficacia per trenta giorni dalla
pubblicazione dell‟ordinanza che dichiara l‟incompetenza.
l‟incompetenza può anche essere rilevata da parti diverse dal ricorrente e questo deve avvenire
entro i termini fissati per la costituzione in giudizio.
NB l‟ordinanza del tar che si pronuncia sulla sua competenza può essere impugnata dalle parti
con regolamento di competenza, diretto al consiglio di stato e assoggettato ad una procedura
accelerata. il consiglio di stato decide con ordinanza, vincolante per i tar, nella quale indica
quale tar sia competente per la controversia. anche in questo caso, come in quello previsto per
la tutela cautelare, se il giudizio viene riassunto tempestivamente avanti al tar dichiarato
competente, non si verificano decadenze.
competenza funzionale: competenza territoriale del tar che si fonda su norme speciali,
prevalgono sui tre criteri prima descritti. i casi di competenza funzionale rispecchiano la
tendenza, affermatasi nell‟ultimo decennio, di riservare al tar lazio varie controversie in
relazione al coinvolgimento di interessi generali e non frazionabili o di particolare delicatezza
per gli interessi locali coinvolti. questi casi, elencati nell‟art. 135 cpa, per frequenza e importanza
finiscono con l‟attribuire al tar lazio, rispetto agli altri tar, un ruolo di preminenza che, almeno
in alcuni casi, sembra incompatibile con l‟art. 125 cost. e che la corte costituzionale, dopo varie
oscillazioni, ha ritenuto derogabile quando vi sia una giustificazione apprezzabile – in tutti gli
altri casi la deroga risulta illegittima.
altri casi di competenza funzionale riguardano la competenza del tar lombardia per i ricorsi
proposti contro i provvedimenti dell‟autorità per l‟energia elettrica e il gas (che ha sede a
milano), la competenza territoriale del giudice dell‟ottemperanza e la competenza territoriale
per i giudizi abbreviati contemplati nell‟art. 119 cpa; a questi si aggiungono poi gli altri casi di
competenza assegnata dalla legge al tar in deroga ai tre principi generali sopra richiamati.
cumulo soggettivo
nel caso di ricorso proposto da più ricorrenti la competenza del tar periferico in base al criterio
dell‟efficacia dell‟atto o al foro del pubblico impiego presuppone che per tutti i ricorrenti l‟atto
impugnato esaurisca la sua efficacia nell’ambito della circoscrizione del tar o, rispettivamente,
che tutti i ricorrenti prestino servizio presso uffici con sedi comprese nella circoscrizione di
quel tar.
cumulo oggettivo
per quanto riguarda il ricorso proposto contro atti connessi l‟art. 13 cpa al suo comma 4bis
considera soltanto il ricorso proposto contro due atti, di cui il primo sia un atto presupposto e
il secondo un atto applicativo. in questo caso, se rispetto a ciascuno dei due atti sarebbe
competente un tar diverso, il ricorso va diretto al tar competente per l’impugnazione dell’atto
da cui deriva l’interesse a ricorrere (dunque al tar della sede in cui ha luogo l‟organo che ha
emanato l‟atto applicativo) – la giurisprudenza precisa che tale previsione non detterebbe una
regola generale per ogni ricorso proposto contro due atti comunque connessi, ma varrebbe
soltanto per l‟impugnazione contestuale di un atto presupposto e di un atto applicativo,
lasciando dunque aperta la problematica con riferimento a tutti gli altri casi.
SECONDO GRADO
competente per il secondo grado di giudizio è il consiglio di stato, di cui tre sezioni svolgono
funzioni giurisdizionali: la quarta, la quinta e la sesta. queste sono competenti a decidere circa i
ricorsi proposti in appello sulle pronunce dei tar NB se la questione sottoposta al consiglio di
stato può dar luogo a contrasti di giurisprudenza o risulti di particolare importanza, la
decisione può essere rimessa all‟adunanza plenaria, costituita da componenti delle diverse
sezioni giurisdizionali e con il compito di svolgere un‟importante funzione di raccordo nella
giurisprudenza amministrativa.
al consiglio di stato, come accennato all‟inizio, si affianca il consiglio di giustizia amministrativa
per la regione siciliana, istituito in esecuzione di una previsione dello statuto speciale – ad oggi
tale consiglio si presenta, a tutti gli effetti, come un organo equiordinato rispetto al consiglio di
stato NB un utile strumento di coordinamento tra i due organi è rappresentato dalla possibilità
di rimettere all’adunanza plenaria del consiglio di stato i ricorsi che abbiano dato luogo o
possano dar luogo a contrasti giurisprudenziali. anche gli eventuali conflitti di competenza tra
consiglio di stato e consiglio di giustizia amministrativa sono decisi dall’adunanza plenaria.
2. LE PARTI
anche nel processo amministrativo vale la distinzione tra parti necessarie e parti non necessarie:
la garanzia del contraddittorio rispetto alle prime costituisce una condizione per la validità
della sentenza; nei confronti delle seconde è invece consentita la partecipazione al giudizio ma
non vi è alcun obbligo di portare a loro conoscenza il ricorso nè di integrare rispetto ad essi il
contraddittorio.
parti necessarie
 il ricorrente è colui che fa valere in giudizio un proprio interesse legittimo o, nei casi di
giurisdizione esclusiva, un proprio diritto soggettivo. l‟interesse qualificato del ricorrente
non rappresenta un mero criterio di identificazione del soggetto legittimato a proporre
l‟azione, ma identifica la posizione soggettiva su cui verte il giudizio.
questo emerge nel fatto che l‟introduzione del giudizio dipende da un suo atto di iniziativa
che prende il nome di ricorso, nel quale verrà individuato anche l’oggetto del giudizio, e che
il ricorrente ha la disponibilità dell’azione proposta: può rinunciavi in qualunque momento,
senza che le altre parti possano opporsi, salvo il caso che abbiano un interesse alla
prosecuzione del giudizio.
NB il ricorso può essere proposto anche da più soggetti congiuntamente tra loro (ricorso
collettivo) purchè le loro posizioni siano omogenee.
 parte necessaria è anche l‟amministrazione che ha emanato l‟atto impugnato o rispetto alla
quale è maturato il silenzio o nei cui confronti viene fatto valere il diritto soggettivo in caso di
giurisdizione esclusiva – a norma dell‟art. 41 cpa per amministrazione deve intendersi l‟ente
pubblico e non un organo di essa.
NB l‟amministrazione resistente, nel processo, è parte e non autorità: è soggetta in tutto e per
tutto alle regole del processo su un piano di parità rispetto alle altre parti, senza immunità o
privilegi che possano ricondursi alla titolarità del potere amministrativo. anche il ruolo
dell‟amministrazione in giudizio è quello di un soggetto che è parte in quanto il giudizio
inerisce a un suo proprio interesse: quello al mantenimento di un suo atto, impugnato dal
ricorrente.
 infine, sono parti necessarie i controinteressati: soggetti ai quali l‟atto impugnato conferisce
un’utilità specifica; di conseguenza sono titolari di un interesse qualificato alla
conservazione dell‟atto impugnato – ad essi deve essere notificato il ricorso.
nel caso in cui vi sia più di un controinteressato il ricorso è ammissibile anche se notificato a
uno solo di essi; nei confronti degli altri, però, deve essere effettuata l‟integrazione del
contraddittorio nei tempi e con le modalità disposte dal tar, sempre che essi non siano già
intervenuti spontaneamente in giudizio.
per l‟identificazione dei controinteressati, secondo la giurisprudenza maturata prima del
codice, non è sufficiente il requisito di ordine sostanziale dell‟attribuzione a tali soggetti di
un‟utilità specifica ad opera del provvedimento impugnato. la giurisprudenza ritiene infatti
necessario anche un requisito di ordine formale: il controinteressato deve essere identificato
o facilmente identificabile alla stregua dell’atto amministrativo stesso NB i
controinteressati non identificati nell‟atto possono intervenire nel processo amministrativo e
proporre ogni difesa ammessa per i controinteressati; possono inoltre proporre ricorso
incidentale cosi come impugnare la sentenza con il rimedio dell‟opposizione di terzo.
NB nelle vertenze in tema di diritti demandate alla giurisdizione esclusiva possono presentarsi
situazioni analoghe a quelle che nel processo civile comportano un litisconsorzio necessario.
per identità di ragioni, dunque, i soggetti nei cui confronti si configurerebbe nel processo civile
un litisconsorzio necessario sono parti necessarie anche nel processo amministrativo.
parti non necessarie
il codice definisce in termini omogenei le modalità per l‟ingresso nel processo di una parte non
necessaria, stabilendo che tale ingresso deve avvenire con la notifica di un atto di intervento in
giudizio, ma non individua puntualmente questi soggetti. le parti diverse da quelle necessarie
sono identificate nel codice del processo amministrativo solo in modo generico: chiunque vi
abbia interesse può intervenire in giudizio (art. 28), che presenta analogie con le precedenti
leggi sul processo amministrativo pur riferendovisi con elementi sostanziali di novità.
prima del codice la giurisprudenza tendeva ad escludere che i cointeressati potessero
partecipare al giudizio. tali sono i soggetti titolari di un interesse legittimo analogo a quello
del ricorrente, che è proprio il motivo per cui venivano esclusi dalla giurisprudenza: avrebbero
potuto impugnare autonomamente l‟atto amministrativo.
tuttavia il codice sembra aver accolto un indirizzo diverso: anche i cointeressati possono
intervenire, purchè prima della scadenza dei termini per un loro ricorso principale. nonostante
ciò, la giurisprudenza maggioritaria ha sempre continuato ad affermare quanto affermava
inizialmente: la legittimazione a proporre ricorso principale è incompatibile con la
legittimazione a intervenire.
rispetto agli altri soggetti interessati al giudizio possiamo dire che oggi tale categoria
corrisponde ad una cospicua varietà di situazioni sostanziali e di posizioni processuali:
iniziamo dall‟intervento dipendente, accordato a chi subisce gli effetti del provvedimento
impugnato solo in via indiretta, in virtù di una relazione giuridica con una parte necessaria. si
discute se sia sufficiente un interesse semplice/di fatto: se a questo interrogativo venisse data
una risposta affermativa, allora sarebbe possibile sostenere che con l‟intervento nel processo
amministrativo avrebbero ingresso anche gli interessi non qualificati; in questo la
giurisprudenza sembra orientata favorevolmente, ma è forte il dubbio che in realtà, nei casi
ammessi dalla stessa, l‟interesse di fatto avrebbe carattere di interesse giuridico, seppur inerente
ad un ordine di rapporti diverso rispetto alla situazione su cui interviene il provvedimento
impugnato.
tale intervento dipendente può essere ad adiuvandum, nel caso in cui il soggetto intervenga a
favore del ricorrente – e in questo caso può solo introdurre argomenti a sostegno dei motivi di
impugnazione proposti dal ricorrente e non può proporre conclusioni proprie nè nuove censure
contro l‟atto impugnato; può anche aversi intervento ad opponendum, quando cioè il soggetto
interviene per contrastare la posizione della parte ricorrente – in questo caso non vi sono
particolari limitazioni in merito alle proprie conclusioni dato che esse non possono che essere
nel senso del rigetto del ricorso.
l‟intervento ad opponendum, oltre che dai soggetti titolari di una posizione giuridica dipendente
da quella dell‟amministrazione o dei controinteressati, può essere proposto anche dai soggetti
titolari di un interesse giuridico autonomo alla conservazione dell‟atto impugnato: si tratta
dunque di soggetti direttamente interessati che non sono però destinatari di specifiche utilità
giuridiche assegnate loro dal provvedimento amministrativo.
3. CAPACITA’ PROCESSUALE E PATROCINIO LEGALE
per quanto riguarda la capacità processuale vigono, nel processo amministrativo, i principi
vigenti anche per il processo civile (art. 75 cpc): le persone giuridiche, pubbliche e private,
stanno in giudizio a mezzo dei loro legali rappresentanti – solo nel giudizio di primo grado in
materia elettorale, nel giudizio in materia di accesso a documenti e in altre ipotesi minori la
parte può stare in giudizio personalmente. nel giudizio davanti al consiglio di stato la parte
non può mai stare in giudizio personalmente e deve essere assistita da un avvocato abilitato al
patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori.
l‟amministrazione statale è rappresentata e assistita dall‟avvocatura dello stato.
4. PRINCIPI GENERALI
 principio della domanda, che implica tre precisazioni fondamentali:
 il giudice amministrativo non può esercitare le sue funzioni giurisdizionali d‟ufficio;
l‟esercizio delle sue funzioni presuppone sempre il ricorso proposto dalla parte
 il giudice amministrativo è tenuto a pronunciarsi sulla domanda, formulata nel ricorso
principale e integrabile solo dai motivi aggiunti, dal ricorso incidentale e dalle domande
riconvenzionali (nell‟ambito della giurisdizione esclusiva). questa previsione ha come
corollario il divieto di ultrapetizione: il giudice non può pronunciarsi oltre i limiti della
domanda (art. 34) nè su eccezioni che siano riservate dalla legge alle parti.
NB con riferimento alle eccezioni, nel processo amministrativo le eccezioni di rito solo in
casi particolari sono riservate alle parti; per quanto riguarda invece le eccezioni di merito
devono ritenersi assoggettate alla disciplina prevista dal diritto sostanziale.
 la parte ha diritto a disporre della propria domanda. il ricorrente mantiene infatti la
disponibilità dell‟azione anche dopo l‟introduzione del processo amministrativo: una volta
proposto il ricorso può sempre rinunciare a singoli motivi di impugnazione e può anche
rinunciare al ricorso stesso – in base all‟art. 84 cpa le altre parti possono opporsi alla
rinuncia in discorso solo se abbiano un interesse alla prosecuzione del giudizio.
 principio del contraddittorio, art. 101 cpc e 111 cost.: il giudice non si può pronunciare sulla
domanda se prima non sia stato integrato il contraddittorio rispetto a tutte le parti necessarie
del giudizio (art. 27).
di regola il ricorso al giudice amministrativo deve essere previamente notificato, a pena di
inammissibilità, all‟amministrazione che ha emanato l‟atto impugnato e ad almeno uno dei
controinteressati. se il ricorso è stato loro notificato, ma vi sono anche altri controinteressati,
il giudice amministrativo, prima di procedere alla decisione del ricorso, deve ordinare al
ricorrente di integrare il contraddittorio con la notifica del ricorso agli altri controinteressati.
sono però necessarie alcune precisazioni:
 la garanzia del contraddittorio necessita di essere bilanciata con l‟esigenza di assicurare
una celere definizione del giudizio. a tal proposito l‟art. 49 cpa stabilisce che nel giudizio
di primo grado l‟integrazione del contraddittorio non è necessaria nei casi in cui il
ricorso sia manifestamente irricevibile, inammissibile o infondato – l‟art. 95 cpa dispone
analogamente con riferimento al giudizio d‟appello. in questi casi, infatti, la sentenza è
destinata a non produrre effetti sostanziali rispetto a parti diverse dal ricorrente. pertanto,
in deroga al principio generale, non è sembrato necessario subordinare la conclusione del
processo all‟integrazione del contraddittorio.
 il contraddittorio deve essere assicurato in modo pieno, oltre che ai fini della decisione del
ricorso, anche ai fini della pronuncia sull‟istanza cautelare. quest‟ultima, infatti, può
incidere pesantemente sugli interessi sostanziali delle parti: di conseguenza prima di
adottare una pronuncia sull‟istanza cautelare il collegio deve verificare che tutte le parti
necessarie siano state evocate in giudizio e, in caso contrario, deve disporre l‟integrazione
del contraddittorio. una soluzione del genere, tuttavia, potrebbe rischiare di pregiudicare
le esigenze di urgenza che sono proprie della tutela cautelare, motivo per cui tale
previsione è bilanciata dalla possibilità, prima dell‟integrazione del contraddittorio, di
attuare una serie di misure cautelari provvisorie.
 il codice richiama, infine, tra i principi generali, anche alcuni criteri concernenti in realtà la
redazione degli atti processuali (art. 3):
 viene innanzitutto richiamato il dovere del giudice di motivare i propri provvedimenti
decisori
 viene sancito poi, per il giudice e anche per le parti, il dovere di redigere gli atti in
maniera chiara e sintetica.
lo svolgimento del processo amministrativo è assoggettato ad un impulso di parte: una volta
depositato il ricorso, infatti, la decisione può intervenire solo se una delle parti costituite abbia
fissata l‟istanza per la fissazione dell‟udienza di discussione. se l‟istanza non è presentata entro
un anno dal deposito del ricorso matura la perenzione e va dichiarata l‟estinzione del processo
– l‟istanza non è invece richiesta per i giudizi assoggettati al c.d. rito camerale, come quelli in
materia di silenzio, accesso ai documenti amministrativi e ottemperanza. in questi casi, infatti,
la decisione del ricorso è assunta dopo una camera di consiglio che è fissata d‟ufficio.
l‟istanza per la fissazione dell‟udienza di discussione non esaurisce, però, l‟onere di impulso di
parte nel processo amministrativo: se il giudizio non è stato ancora definito dopo cinque anni
dal deposito del ricorso, infatti, è richiesto un nuovo atto d‟impulso processuale. dopo cinque
anni dalla presentazione del ricorso, infatti, il ricorrente potrebbe aver perso interesse alla
decisione; di conseguenza è disposto che alla scadenza dei cinque anni la segreteria del giudice
amministrativo comunichi un apposito avviso al ricorrente: se questi ha ancora un interesse
alla decisione deve depositare entro centottanta giorni una nuova istanza di fissazione
dell‟udienza; in caso contrario il giudizio si estingue per perenzione – questo ulteriore atto
d‟impulso è stato introdotto dal legislatore per accelerare lo smaltimento dell‟arretrato che
grava sui giudici amministrativi.
il rapporto con la disciplina del processo civile
in vari casi il codice del processo amministrativo rinvia espressamente a disposizioni del codice
di procedura civile. ciò vale, in particolare, per la disciplina del regolamento di giurisdizione,
per le cause di astensione e ricusazione del giudice, per le spese di giudizio, per le modalità di
notificazione degli atti processuali, per la notificazione degli atti nel corso del giudizio alle
parti costituite, per le modalità di determinati adempimenti istruttori, per le cause di
sospensione del processo, per i casi di revocazione, per le tipologie di impugnazioni incidentali
delle sentenze, per l‟efficacia come titolo esecutivo delle sentenze che condannino al pagamento
di somme di denaro e per il decreto ingiuntivo.
a ciò si aggiungono poi molti casi in cui le disposizioni del codice del processo amministrativo
riproducono il testo di articoli del codice di procedura civile, come si riscontra soprattutto nel
terzo libro dedicato alle impugnazioni delle sentenze.
in particolare, l‟art. 39 cpa introduce un rinvio generale: le disposizioni del codice di procedura
civile si applicano al processo amministrativo per quanto non disposto dal presente codice e in
quanto compatibili o espressione di principi generali. l‟articolo in questione, tuttavia, solleva
una serie di interrogativi valutabili partendo da una serie di elementi emersi prima
dell‟avvento del codice:
le leggi sul processo amministrativo non contemplavano disposizioni di questo genere, ma la
frammentarietà e l‟incompletezza delle stesse comportavano spesso l‟esigenza di fare
riferimento ad altre discipline processuali per colmare le lacune.
il problema assumeva un rilievo particolare nelle controversie in materia di diritti devolute alla
giurisdizione esclusiva, dato che per esse la disciplina positiva del processo amministrativo era
del tutto carente e il codice di procedura civile sembrava identificare gli strumenti di tutela
più appropriati per i diritti; in questo contesto era dunque importante capire se si poteva
procedere all‟integrazione della disciplina del processo amministrativo attraverso l‟applicazione
delle regole processual-civilistiche. una soluzione del genere sembrava avvalorata anche
dall‟argomento secondo cui il codice di procedura civile avrebbe identificato la legge
processuale generale e di conseguenza rispetto ad essa le disposizioni sul processo
amministrativo si sarebbero caratterizzate solo come norme speciali.
maturò però una soluzione differente: il rinvio alla norma processual-civilistica non poteva
operarsi indiscriminatamente, neppure in caso di lacune; richiedeva invece una valutazione
sulla compatibilità dei due ordinamenti processuali rispetto a un determinato istituto o in un
determinato settore. e ciò viene confermato dal fatto che il processo amministrativo costituisce
un sistema processuale autonomo e distinto da quello civile, di conseguenza i rapporti tra i due
sistemi processuali non possono essere risolti nei termini del rapporto tra una disciplina
generale e una disciplina speciale, nè facendo riferimento ad un rinvio automatico e generale
del codice.
solo quando le regole del codice di procedura civile riflettono principi e istituti che sono accolti
nei medesimi termini anche nel processo amministrativo, allora è corretto fare riferimento ad
esse; ma il riferimento, in questo caso, non è tanto a disposizioni del codice di procedura in
quanto tale, bensì ad istituti di cui sia stata riconosciuta la comunanza rispetto ai due ordini di
processi e che trovano una disciplina più compiuta nel codice di procedura civile.
a seguito poi dell‟introduzione del codice di procedura amministrativa, il tema della grandi
lacune ha rivestito un sempre minor rilievo pratico. a maggior ragione la possibilità di trasporre
nel processo amministrativo interi istituti del processo civile, anche se manchino richiami o
previsioni di coordinamento, deve tendenzialmente essere esclusa – la prima giurisprudenza
successiva al codice ha pertanto respinto, per esempio, la proposta di trasporre nel processo
amministrativo istituti, come i sequestri, che il codice del processo amministrativo non
disciplina e non prevede, al contrario, il confronto con il codice di procedura civile è centrale
quando vengano affrontate questioni interpretative di disposizioni del codice del processo
amministrativo concernenti istituti comuni o affini.
GIUDIZIO DI PRIMO GRADO
INTRODUZIONE DEL GIUDIZIO
il secondo libro del codice del processo amministrativo è dedicato al giudizio di primo grado,
per cui viene dettata una disciplina di carattere generale. in base all‟art. 38 cpa, infatti, per tutto
quanto non diversamente disposto dal codice, vale anche per i giudizi d‟impugnazione, per i
riti speciali e per il giudizio di ottemperanza.
il giudizio avanti al tar è introdotto con la notifica di un ricorso.
il ricorso è l‟atto introduttivo del processo amministrativo e dunque atto col quale si propone la
domanda giudiziale.
i contenuti necessari del ricorso sono descritti dall‟art. 40 cpa:
 organo giurisdizionale cui è diretto
 generalità del ricorrente, del difensore e delle parti necessarie
 oggetto della domanda – e nel caso dell‟azione di annullamento, l‟atto impugnato
 esposizione sommaria dei fatti e dei motivi specifici su cui si fonda la domanda
 mezzi di prova e provvedimenti chiesti al giudice (annullamento dell‟atto impugnato,
riforma dell‟atto nel caso di giurisdizione di merito, accertamento del diritto soggettivo, ecc.)
 sottoscrizione dell‟avvocato o, se la parte può stare in giudizio personalmente, della parte.
a norma dell‟art. 44 il ricorso è nullo in caso di difetto di sottoscrizione e di incertezza assoluta
sulle persone o sull‟oggetto della domanda – tale nullità è rilevabile d’ufficio. in ogni altra
ipotesi, se il collegio riscontra un‟irregolarità, può assegnare alle parti un termine per rinnovare
l‟atto.
nell‟azione di annullamento la domanda è identificata dalla richiesta di annullamento di un
certo atto in relazione alle censure proposte; in difetto dell’enunciazione di un vizio il ricorso
contro un provvedimento è inammissibile. quando si parla di “vizio” si fa in genere riferimento
a uno dei tre ordini tradizionali di vizi di legittimità richiamati dall‟art. 21octies della l. 241/90 e
originariamente enunciati dalla legge istitutiva della quarta sezione: eccesso di potere,
incompetenza e violazione di legge.
 con riferimento all‟eccesso di potere si potrebbe ipotizzare l’esigenza di una maggiore
specificità e dunque si dovrebbe fa riferimento distintamente alle ipotesi di sviamento di
potere, disparità di trattamento, ingiustizia manifesta, ecc. ma in realtà, ai fini
dell‟identificazione dei motivi del ricorso, per vizio dell‟atto va inteso il profilo specifico in
cui si sia storicamente concretato il contrasto tra l‟atto impugnato e l‟ordinamento giuridico e
non la categoria astratta di illegittimità
 per quanto riguarda invece la violazione di legge è importante specificare che in questo caso
è necessario anche individuare la norma che si ritiene concretamente violata
 in ultimo, l‟incompetenza: se in questo caso si potrebbe ritenere che il ricorso sia
inammissibile quando la competenza si ritenga spettasse ad un altro organo che nel corso del
giudizio viene ritenuto incompetente e dunque affidata ad un terzo, in realtà non è così.
infatti la competenza del secondo o del terzo organo non è un elemento che identifichi il vizio
dedotto, ma è solo argomento a sostegno dell‟incompetenza dell‟organo che ha emanato
l‟atto impugnato.
nel ricorso ogni vizio deve essere dedotto in modo chiaro, ma non sono richieste formule
sacramentali. ciò che rileva a pena di inammissibilità è che il vizio sia oggettivamente
identificato nei suoi elementi concreti, in relazione al provvedimento impugnato NB un errore
nella qualificazione del vizio non ha rilevanza decisiva in quanto il giudice non è vincolato
dalla qualificazione formale del vizio proposta dalla parte.
il ricorso per l‟annullamento di un provvedimento amministrativo deve essere notificato, a
pena di inammissibilità, all‟amministrazione che ha emanato il provvedimento impugnato e ad
almeno uno dei controinteressati, entro sessanta giorni dalla comunicazione (per i diretti
destinatari)/pubblicazione (per i non diretti destinatari)/piena conoscenza (conoscenza dei
contenuti essenziali e non del testo e dei vizi) del provvedimento stesso – la notifica ad
un‟amministrazione statale deve essere effettuata presso l‟avvocatura dello stato nel cui
distretto ha sede il tar competente.
qual è la ratio di un termine perentorio, piuttosto breve, per la notificazione di un ricorso per
annullamento? tale previsione riflette l‟esigenza di certezza nelle situazioni giuridiche, per
l‟amministrazione e per i cittadini interessati che possono aver prestato affidamento nel
provvedimento in questione.
NB il termine per la notifica del ricorso, cosi come ogni altro termine per adempimento
processuali, è sospeso dal 1 al 30 agosto di ogni anno per le c.d. ferie giudiziarie. solo i termini
concernenti azioni cautelari non sono sospesi.
per i giudizi proposti a tutela di diritti soggettivi che non comportino l‟impugnazione di provvedimenti
non opera invece alcun termine di decadenza per la notificazione del ricorso. infatti, non essendo
impugnato un provvedimento, non valgono le esigenze che hanno determinato l‟assoggettamento del
ricorso per annullamento ad un termine decadenziale.
in passato si è discusso anche sulla possibilità che la stessa logica potesse essere applicata al ricorso nel
caso di silenzio: anche in questo caso il giudizio non verte su un provvedimento amministrativo e il
ricorso non ha carattere impugnatorio. a tal proposito il consiglio di stato, al contrario, aveva optato per
l‟affermare il termine di sessanta giorni a tutela di interessi legittimi, ma il codice ha accolto la
soluzione contraria: nel caso di silenzio il ricorso può essere proposto fintanto che dura
l’inadempimento – è stato comunque introdotto uno specifico termine decadenziale di un anno,
decorrente dalla scadenza del termine per l‟ultimazione del procedimento.
un termine particolare, di centottanta giorni è invece previsto per la notifica del ricorso diretto a far
dichiarare la nullità di un atto amministrativo.
le modalità della notifica seguono quelle previste dal codice di procedura civile. ma cosa
succede in caso di nullità della notifica del ricorso? la costituzione delle parti intimate ha
effetto sanante, secondo i principi comuni al processo civile sulla salvezza degli atti che
abbiano comunque raggiunto il loro scopo. ai sensi dell‟art. 44 cpa la rinnovazione della notifica
nulla è possibile solo se il giudice ritiene che l’esito negativo della notificazione dipenda causa
non imputabile al notificante.
l‟originale del ricorso, con la prova della notifica, deve in ultimo essere depositato, a pena di
irricevibilità, entro trenta giorni dal perfezionamento dell‟ultima notifica presso la segreteria
del tar adito – per vie telematiche. con il deposito del ricorso si perfeziona dunque la
costituzione in giudizio del ricorrente e si determina la pendenza del giudizio.
motivi aggiunti
l‟assoggettamento dell‟azione di annullamento ad un termine perentorio comporta che, una
volta proposto il ricorso e decorso il termine di sessanta giorni per l‟impugnazione, siano
precluse ulteriori censure nei confronti dell‟atto impugnato. tuttavia, se questa regola fosse
applicata indiscriminatamente comprometterebbe lo stesso diritto all‟azione: spesso, infatti, per
rispettare il termine di sessanta giorni, il ricorso viene proposto dal cittadino senza che questo
abbia potuto conoscere in modo completo gli atti impugnati. per rimediare a questo grave
inconveniente, dunque, la giurisprudenza ha ammesso che il ricorrente che abbia già
impugnato un provvedimento e solo successivamente sia venuto a conoscenza di un vizio,
possa integrare il ricorso originario con i c.d. motivi aggiunti.
tali motivi aggiunti, dunque, originariamente rappresentavano l‟atto processuale col quale il
ricorrente modificava la domanda facendo valere anche i vizi del provvedimento impugnato
dei quali fosse venuto a conoscenza solo dopo la notifica del ricorso. su questo carattere
originario si innestarono poi altri elementi. in particolare, una parte della giurisprudenza
ritenne che il ricorrente, con i motivi aggiunti, potesse introdurre nel giudizio non solo vizi
ulteriori dell’atto già impugnato, ma anche l‟impugnazione di altri provvedimenti purchè
connessi con quello impugnato. per tale via, dunque, l‟impugnazione con motivi aggiunti,
anzichè un ricorso separato, realizzerebbe un‟economia processuale e consentirebbe al giudice
di decidere la vertenza sulla base di una conoscenza più completa dei fatti e dell‟attività
amministrativa – in tal senso prevede anche il codice, all‟art. 43: oltre ad ammettere che con i
motivi aggiunti possono essere proposte nuove ragioni a sostegno delle domande già proposte,
stabilisce che con le stesse modalità possono essere proposte domande nuove purchè connesse a
quelle proposte. al tempo stesso il codice esclude che l‟impugnazione di un atto sopravvenuto
con un ricorso autonomo, anzichè con motivi aggiunti, determini irregolarità processuali: unica
conseguenza è infatti l‟esigenza per il giudice di procedere alla riunione dei ricorsi.
COSTITUZIONE DELLE ALTRE PARTI
entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso l‟amministrazione resistente e le altre parti
intimate (nell‟azione di annullamento si tratta tipicamente dei controinteressati che abbiano
ricevuto la notifica del ricorso) possono costituirsi in giudizio depositando una memoria con le
loro diverse istanze istruttorie e i relativi documenti.
se il ricorso principale non è stato notificato a tutti i controinteressati, ma ad almeno uno di essi
– ovvero nei casi di giurisdizione esclusiva se non è stato notificato a tutti i litisconsorti
necessari – il giudice amministrativo ordina l‟integrazione del contraddittorio. a tal fine fissa il
termine perentorio ed eventualmente le modalità per la notifica del ricorso da parte del
ricorrente alle altre parti.
le parti nei cui confronti sia stato integrato il contraddittorio, o che siano intervenute in giudizio
anticipando l‟integrazione, da tale momento possono svolgere tutte le attività processuali che
ritengono opportune NB non può opporsi ad esse che si siano già esaurite determinate fasi del
giudizio: essendo infatti parti necessarie, la circostanza che siano state poste solo in un secondo
tempo nelle condizioni di partecipare al giudizio non deve in alcun modo pregiudicarle.
di particolare rilievo per la dialettica processuale è il deposito dei documenti da parte
dell‟amministrazione,importante perchè consente alle parti di venire a conoscenza di vizi o di
atti non precedentemente noti. in relazione ad essi, infatti, possono essere proposti motivi
aggiunti.
intervento
una volta instaurato il giudizio, chi vi abbia interesse può intervenire.
l‟intervento va proposto con apposito atto, che deve essere notificato alle altre parti e poi
depositato presso il tar davanti al quale pende il giudizio, almeno trenta giorni prima
dell‟udienza di discussione (art. 50).
in passato la giurisprudenza e la dottrina erano pressocchè unanimi nell‟ammettere, come unica
modalità di intervento nel processo amministrativo, l‟intervento volontario. oggi invece il
codice prevede espressamente anche l‟intervento iussu iudicis: il giudice può ordinare la
chiamata in causa di un terzo in tutti i casi in cui ritenga opportuno che il processo si svolga nei
confronti di un terzo.
ISTRUTTORIA
principi generali
l‟istruzione è l‟attività del giudice diretta a conoscere i fatti rilevanti per il giudizio. l‟attività
giurisdizionale, infatti, non ha per oggetto la soluzione di quesiti astratti, ma di controversie
reali. di conseguenza l‟attività del giudice comporta normalmente, oltre alla valutazione dei
termini di diritto della controversia, anche la conoscenza della vicenda o della situazione in
termini di fatto, che è essenziale per stabilire quali norme siano effettivamente attinenti a
quella vicenda o a quella situazione.
la circostanza che normalmente all‟attività di interpretazione delle norme si accompagni
un‟attività, del giudice, di conoscenza e di valutazione dei fatti non significa, però, che si debba
sempre svolgere una particolare indagine per la ricostruzione dei fatti. la necessità di
un‟indagine particolare, infatti, è esclusa quando i fatti non siano controversi (perchè le parti
ne forniscono una rappresentazione coincidente) oppure quando i fatti allegati da una parte
non siano puntualmente contestati dalle altre parti – il codice ha sancito infatti un onere di
specifica contestazione dei fatti a carico delle parti costituite, con la conseguenza che la parte è
esonerata dall‟onere di fornire la prova rispetto ai fatti non contestati (art. 64).
nel processo amministrativo, al contrario di quanto avviene nel processo civile ordinario, non si
riscontra una vera e propria fase istruttoria caratterizzata da una sua propria autonoma
rilevanza: l‟attività istruttoria, infatti, può svolgersi anche senza soluzioni di continuità nel
corso della trattazione della controversia davanti all‟organo decidente – nota caratterizzante del
processo amministrativo.
è necessario effettuare ora una serie di precisazioni:
 rapporto tra allegazioni delle parti e poteri di cognizione del giudice:
distinguiamo innanzitutto tra fatti principali e fatti secondari: i primi sono descritti come
quei fatti materiali che identificano la pretesa fatta valere concretamente in giudizio; i
secondo sono invece costituiti dai fatti materiali la cui dimostrazione consente di verificare
o meno la sussistenza o meno dei fatti principali, la loro rilevanza e la loro operatività.
è pacifico che nel processo amministrativo i fatti principali possono essere introdotti solo
dalle parti: vigendo infatti il principio della domanda, se si affermasse il contrario si finirebbe
col far operare un principio inquisitorio; con riferimento invece ai fatti secondari si è discusso
se questi potessero essere introdotti anche dal giudice: nella dottrina e nella giurisprudenza
precedenti al codice prevaleva l‟orientamento negativo, in quanto le leggi sul processo
amministrativo ammettevano si ampi poteri d‟ufficio del giudice quanto alla prova ma non
quanto all‟introduzione di fatti secondari nel processo – di conseguenza anche la loro
allegazione doveva essere riservata alle parti. tale conclusione è stata poi rafforzata dal
codice, che identifica a carico delle parti un vero e proprio onere della prova*: sarebbe
dunque difficile concepire un onere del genere se non vigesse, a monte, anche un onere di
allegazione.
 *prova dei fatti: nel processo amministrativo, come è espressamente sancito dall‟art. 63 cpa,
vale il principio generale sancito dall‟art. 2697 cc. sull‟onere della prova (chi vuol far valere
un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. chi eccepisce
l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare
i fatti su cui l'eccezione si fonda). tale principio comporta, tra l‟altro, che la regola di
giudizio, nel caso di incertezza su un fatto, è contraria alla parte che avrebbe dovuto fornire
la prova – la mancanza della prova, dunque, determina la soccombenza.
in particolare, si ritiene che il giudice amministrativo possa disporre anche d‟ufficio di tutti i
mezzi istruttori a sua disposizione, fermo restando comunque che oggetto della prova
potevano essere solo i fatti allegati dalle parti (metodo acquisitivo).
 vincolo del risultato dell’istruttoria ai fini della decisione: anche il processo amministrativo
si basa sul principio del libero apprezzamento del giudice (art. 64) - tale principio comporta
l‟esclusione delle prove legali come giuramento e confessione, che si caratterizzano per
vincolare il giudice alla verità di un certo fatto precludendogli di assumere una decisione
difforme. all‟esclusione delle prove legali fa però eccezione la disciplina dell‟atto pubblico,
che anche nel processo amministrativo ha l‟efficacia prevista dall‟art. 2700 cc. (l'atto pubblico
fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico
ufficiale che lo ha formato, nonchè delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il
pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti).
provvedimenti istruttori e singoli mezzi istruttori
in passato il rapporto tra attività amministrativa e istruttoria giurisdizionale è stato
rappresentato anche in termini molto stretti, quasi come se l‟istruttoria nel processo
amministrativo fosse diretta essenzialmente a saggiare e ad integrare l’attività amministrativa.
tale concezione sembrava avvalorata dalla circostanza che nella giurisdizione di legittimità, prima della
l. 205/2000 e del codice, i provvedimenti istruttori del giudice amministrativo si risolvevano, di regola,
nella richiesta di adempimenti all‟amministrazione resistente. tuttavia, alcuni studi hanno
dimostrato che il nostro processo amministrativo si ispira ad un modello diverso: l‟istruttoria
nel giudizio ha come obiettivo non la revisione o la correzione del provvedimento
amministrativo, ma l‟acquisizione di tutti gli elementi di fatto utili per la decisione
giurisdizionale – tant‟è vero che se il giudice amministrativo ravvisa un‟inadeguatezza
nell‟istruttoria svolta dall‟amministrazione nel procedimento, non restituisce gli atti
all‟amministrazione perchè provveda ad integrarla, ma assume egli stesso le conseguenti
decisioni in ordine alla legittimità dell‟atto impugnato.
la disciplina precedente al codice articolava i mezzi istruttori in funzione del tipo di
giurisdizione esercitata: poteri istruttori più limitati nella giurisdizione di legittimità e più ampi
nella giurisdizione di merito e in quella esclusiva per le controversie sul pubblico impiego. il
codice invece ha, molto opportunamente, introdotto una disciplina unitaria - pertanto
l‟articolazione della giurisdizione amministrativa in tre giurisdizioni distinte non è più rilevante
ai fini della disciplina della prova dei fatti: i poteri istruttori del giudice amministrativo si
estendono oggi a tutti i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile, fatti salvi il
giuramento e l‟interrogatorio formale. tale estensione dovrebbe consentire di riportare a limiti
fisiologici lo spazio acquisito in passato delle c.d. prove atipiche con cui le parti cercavano di
dimostrare fatti che, per la limitatezza dei mezzi istruttori consentiti, sarebbe risultato
impossibile acquisire altrimenti al processo.
i mezzi istruttori tradizionalmente contemplati dalle leggi sul processo amministrativo sono
oggi confermati nel codice:
 richiesta di chiarimenti all‟amministrazione circa informazioni su fatti rilevanti per il
giudizio NB i chiarimenti in discorso possono anche essere richiesti, in qualunque fase del
giudizio, alle parti.
 richiesta di documenti all‟amministrazione, purchè inerenti la materia del contendere
 verificazioni: possono avere contenuti molto ampi e, secondo la giurisprudenza, possono
riguardare anche l‟accertamento di fatti o di situazioni complesse. il giudice può acquisire in
questo modo anche gli elementi tecnici che sono necessari per un apprezzamento dei fatti –
analogamente a quanto si verifica con la consulenza tecnica.
prima del codice la verificazione era demandata molto spesso all’amministrazione
resistente. l‟istituto era perciò soggetto e molte critiche in quanto sembrava comportare il
riconoscimento all‟amministrazione di un ruolo preminente nell‟istruttoria, in contrasto con
il principio della parità della parti. tale ruolo preminente sembrava tanto più grave in quanto,
fino a prima della riforma del 2000, la verificazione costituiva l‟unico strumento a
disposizione del giudice per acquisire criteri o elementi di ordine tecnico.
alle critiche veniva replicato che l‟amministrazione era comunque tenuta ad adempiere alla
verificazione in modo imparziale, ma è evidente che l‟imparzialità di un soggetto che si
identifichi con una parte in causa è sempre dubbia e relativa.
il codice ha dunque riproposto l‟istituto, con alcune innovazioni sostanziali dirette a renderlo
più coerente con i principi generali: il giudice amministrativo affida infatti la verificazione ad
un organismo pubblico e specifica il requisito dell‟estraneità rispetto alle parti del giudizio
(art. 19).
 il codice contempla anche la possibilità per il giudice amministrativo di disporre di una
consulenza tecnica, affidata direttamente ad un esperto individuato dal giudice ed in
condizioni di terzietà rispetto alle parti NB a seguito della l. 205/2000 è emersa una certa
ritrosia del giudice amministrativo rispetto all‟istituto e il codice ha stabilito che la
consulenza tecnica può essere disposta solo in casi eccezionali – dunque il giudice, di regola,
deve dare la precedenza alla verificazione.
 prova testimoniale: richiede un‟istanza di parte, che dunque rappresenta una deroga al
metodo acquisitivo della quale però vi è incerta giustificazione.
è ammessa solo in forma scritta, previsione che può in realtà comportare inconvenienti gravi
sia per ragioni pratiche che in linea di principio. in realtà, infatti, obiettivo del codice era di
introdurre una prova scritta per accelerare lo svolgimento dell‟istruttoria nel processo
amministrativo ed evitare dunque l‟impegno richiesto dall‟audizione diretta del teste – ma la
sua disciplina risulta inadeguata.
DECISIONE
perchè il ricorso possa essere esaminato dal giudice è richiesto di norma un atto d‟impulso
processuale: la domanda al presidente di fissare l‟udienza di trattazione del ricorso stesso. tale
istanza di fissazione dell‟udienza va presentata entro un anno dal deposito del ricorso, a pena
di perenzione del giudizio NB in caso di urgenza la parte può chiedere al presidente del tar di
anticipare la fissazione dell’udienza rispetto al normale criterio di trattazione secondo l‟ordine
cronologico: a tal fine deve presentare un‟ulteriore domanda (c.d. istanza di prelievo) nella
quale segnala i motivi dell‟urgenza. ai sensi dell‟art. 71bis cpa una volta presentata l‟istanza di
prelievo il tar può fissare una camera di consiglio in esito alla quale, dopo aver accertato la
completezza del contraddittorio e dell‟istruttoria e dopo aver sentito sul punto le parti
costituite, può decidere il ricorso con una sentenza in forma semplificata.
in seguito alla presentazione dell‟istanza il presidente fissa l‟udienza di discussione del ricorso
di cui deve essere data comunicazione alle parti con un preavviso pari, di norma, ad almeno
sessanta giorni.
le parti costituite possono, a questo punto, depositare documenti fino a quaranta giorni liberi
prima dell‟udienza, memorie conclusionali fino a trenta giorni prima e memorie di replica fino a
venti giorni prima NB questi termini, cosi come i termini per la fissazione dell‟udienza, possono
essere abbreviati fino alla metà in caso di urgenza – su istanza di parte.
nell‟udienza, che è pubblica, ciascuna delle parti può intervenire attraverso il proprio difensore
per illustrare sinteticamente le proprie ragioni al collegio - il consiglio di stato ha ritenuto che
nell‟udienza in discorso possa intervenire anche la costituzione in giudizio
dell‟amministrazione resistente o dei controinteressati NB tale soluzione espone al rischio che le
ragioni delle controparti possano essere conosciute dal ricorrente per la prima volta solo dopo
aver svolto le proprie difese: a questo inconveniente può porsi rimedio con il rinvio della
discussione finale.
dopo l‟udienza il collegio, se non ritiene di dover adottare pronunce interlocutorie o pronunce
istruttorie, procede alla decisione del ricorso e pronuncia la sentenza*.
in base all‟art. 74 cpa in alcuni casi il giudice amministrativo può decidere il ricorso con una
sentenza in forma semplificata, caratterizzata da una motivazione sintetica incentrata sui soli
profili decisivi della vertenza o costituita dal rinvio a precedenti pronunce in vertenze analoghe.
è ammessa in via generale quando il ricorso risulti manifestamente fondato o manifestamente
infondato, inammissibile, improcedibile o irricevibile e perciò quando, per il carattere
evidente della decisione, sia superflua un‟ampia motivazione. la previsione della sentenza in
forma semplificata risponde, infatti, ad un‟esigenza di celerità nella definizione di quel tipo di
giudizio.
la sinteticità della motivazione della sentenza non può però andare a pregiudizio dei principi
sulla funzione giurisdizionale: non può dunque sacrificare valori, come quello della pronuncia
del giudice su tutta la domanda, nè può derogare a canoni fondamentali sanciti dal codice del
processo amministrativo, come quello della necessità della motivazione per ogni
provvedimento decisorio (art. 3) – la previsione di una motivazione sintetica incide
sull‟ampiezza delle argomentazioni del giudice, ma non toglie nulla all‟esigenza della loro
adeguatezza rispetto alla domanda e alla decisione.
nella sentenza il tribunale provvede anche sulle spese processuali secondo le regole stabilite nel
codice di procedura civile. in particolare, nel codice del processo amministrativo alla condanna
alle spese processuali si associa la possibilità di un‟ulteriore condanna pecuniaria per
sanzionare la condotta della parte soccombente che abbia agito o resistito in giudizio
temerariamente.
in applicazione delle norme sul processo amministrativo telematico la sentenza è redatta
anch‟essa in forma di documento informatico – viene dunque sottoscritta digitalmente dal
presidente del collegio giudicante e dall‟estensore e il suo deposito è effettuato con modalità
telematica.
il deposito comporta la pubblicazione della sentenza: da quel momento la sentenza produce i
suoi effetti e decorre il termine semestrale per l‟eventuale impugnazione.
del deposito della sentenza la segreteria del tar dà comunicazione alle parti.
*SENTENZA
il giudizio amministrativo è definito in genere da una sentenza che viene deliberata dal collegio
(art. 33). la pronuncia può riguardare l‟intero contenuto della domanda (sentenza definitiva)
oppure soltanto una parte di essa (sentenza parziale); solo in alcuni casi, quando si sia verificata
una causa di estinzione del giudizio oppure il ricorso sia divenuto improcedibile, alla relativa
declaratoria provvede il presidente del tar con un decreto, che definisce il giudizio con la stessa
efficacia di una sentenza definitiva e che, se non viene opposto, passa in giudicato.
rispetto all‟ordinamento precedente il codice del processo amministrativo accoglie una
definizione più rigorosa delle pronunce del giudice amministrativo: il termine “sentenza” è
infatti riservato alla pronuncia che definisce in tutto o in parte il giudizio – e ha pertanto una
portata analoga a quella riscontrabile nel codice di procedura civile.
inoltre, nel codice del processo amministrativo, come nel codice di procedura civile, “sentenza”
è anche la pronuncia del giudice su questioni pregiudiziali attinenti al processo (escluse le
questioni di competenza sulle quali si pronuncia con ordinanza – qualora non le decida
unitamente ad altre questioni) nonchè su questioni preliminari di merito, anche se non
definisca il giudizio.
in base al codice il termine “sentenza” designa indifferentemente sia le pronunce del tar che
quelle del consiglio di stato che abbiano i caratteri sopra descritti – pertanto è venuta meno per
le pronunce del consiglio di stato la tradizionale denominazione di ”decisioni” che era stata
introdotta dalla legge crispi in coerenza con l‟originaria concezione del carattere amministrativo
del ricorso alla quarta sezione.
per le sentenze si è soliti distinguere tra sentenze di rito e sentenze di merito:
 l‟art. 35 cpa considera tra le sentenze di rito quelle che dichiarano l‟irricevibilità,
l‟inammissibilità, l‟improcedibilità e l‟estinzione del giudizio.
 irricevibilità: si configura nel caso di tardività della notifica o del deposito del ricorso
 inammissibilità: si configura quando vi siano ragioni inerenti alla proposizione della
domanda, quali la carenza di interesse o di legittimazione
 improcedibilità: si configura quando vi siano situazioni maturate dopo l’introduzione del
giudizio, come la sopravvenuta carenza di interesse o la mancata integrazione del
contraddittorio nei termini fissati dal giudice
 estinzione del giudizio: si configura a causa dell‟omissione o della tardiva riassunzione,
perenzione o rinuncia.
 le sentenze di merito sono invece quelle che intervengono sul contenuto della domanda
accogliendola o dichiarandola infondata.
nel caso di accoglimento del ricorso le sentenze, come è logico, hanno un contenuto
dispositivo diverso a seconda dell’azione esperita: annullamento del provvedimento
impugnato nell‟ipotesi di azione di annullamento nella giurisdizione di legittimità, riforma o
modifica del provvedimento impugnato nell‟ipotesi di giurisdizione di merito, ordine
all‟amministrazione di provvedere entro un certo termine nel caso di giudizio sul silenzio-
rifiuto, condanna dell‟amministrazione al rilascio di un provvedimento nel caso di azione di
adempimento, ecc.
una sentenza di condanna con caratteri peculiari è prevista dall‟art. 34, comma quarto cpa,
per le controversie relative ad obbligazioni pecuniarie. in questi casi, infatti, il giudice
amministrativo che accolga la domanda di condanna, se nessuna delle parti gli richiede
espressamente di provvedere direttamente alla liquidazione, può limitarsi a fissare nella
sentenza i criteri per liquidare l‟importo dovuto – dunque non provvede su tutta la
domanda. nonostante ciò, non è una sentenza parziale in senso tecnico in quanto comunque
esaurisce il giudizio di cognizione NB la decisione sull‟intera domanda è garantita dal
ricorso per l‟ottemperanza: in questo modo, dunque, una parte della domanda originaria è
decisa in un giudizio diverso da quello di cognizione in cui la domanda era stata proposta.
ai fini della decisione della vertenza, nell‟esame della domanda il giudice amministrativo
procede secondo un ordine logico: decide gradatamente le questioni pregiudiziali proposte
dalle parti o rilevabili d’ufficio e quindi il merito della causa (art. 276 cpc richiamato dall‟art.
76 cpa). di conseguenza deve esaminare prima le questioni di mero rito, come quelle
concernenti la nullità del ricorso, la tempestività o meno della sua notificazione (ecc.), poi
quelle relative alla competenza e alla giurisdizione, quelle relative alle condizioni
dell’azione e solo successivamente le questioni di merito – ciò significa anche che la
decisione su questioni pregiudiziali può esaurire il giudizio / si pensi alla sentenza che dichiari
irricevibile il ricorso perchè notificato tardivamente.
sentenza di annullamento
lo studio sulla sentenza del giudice amministrativo si è concentrato particolarmente sugli effetti
della sentenza di annullamento. ciò per varie ragioni: innanzitutto il giudizio amministrativo è
stato originariamente concepito come giudizio di impugnazione di un provvedimento; di
conseguenza proprio la sentenza che accoglie il ricorso e annulla il provvedimento impugnato è
stata considerata a lungo come espressione tipica della funzione giurisdizionale amministrativa
e ha rappresentato l‟oggetto specifico della disciplina positiva. in secondo luogo le peculiarità
della sentenza amministrativa riguardano soprattutto la sentenza di annullamento, mentre per
le altre sentenze valgono o criteri analoghi modellati sulla disciplina della sentenza in discorso o
principi comuni alle sentenze del processo civile.
il nucleo della sentenza di annullamento è stato a lungo identificato con l‟accertamento
dell’illegittimità del provvedimento impugnato, in relazione a determinati vizi enunciati nel
ricorso: la sentenza di annullamento contiene quindi un elemento significativo di accertamento
che inerisce alla sussistenza di un certo vizio di legittimità di un provvedimento – l‟illegittimità
non è dunque accertata in modo generico, ma è tale per un vizio specifico.
a questa concezione col tempo se ne è contrapposta soprattutto un‟altra, che sì identifica come
centrale il momento dell‟accertamento, ma si concentra sulla situazione giuridica tutelata nel
processo amministrativo: la sentenza di annullamento accerta infatti la lesione di un interesse
legittimo.
la sentenza interviene in una vicenda del potere amministrativo eliminando un atto che
costituiva espressione di tale potere, senza comunque privare l’amministrazione del potere
stesso. di regola, infatti, il potere amministrativo non si esaurisce per effetto della sentenza che
accoglie un ricorso, anzi: il potere dell‟amministrazione di cui era espressione il provvedimento
impugnato può essere esercitato nuovamente dopo la sentenza di annullamento.
la permanenza di questo potere amministrativo e della sua inesauribilità rispetto ad una
funzione giurisdizionale concernente interessi legittimi, pone d‟altra parte l‟esigenza di
salvaguardare il contenuto di accertamento della sentenza. come? sono state date varie
risposte: una prima risposta radicale è rappresentata dall‟introduzione dell‟azione di
adempimento e delle altre ipotesi in cui il giudice amministrativo può condannare o imporre
all‟amministrazione di adottare una condotta specifica o di emanare un certo provvedimento –
in questi casi infatti la sentenza esaurisce il potere amministrativo o per lo meno lo
ridimensiona sul piano sostanziale: l‟amministrazione è tenuta a procedere nel modo stabilito
dalla sentenza e non le è riconosciuto alcun margine per riesaminare la pratica e per decidere
diversamente; altra risposta, questa volta con riguardo specifico alla sentenza di annullamento,
è stata data dalla dottrina e dalla giurisprudenza che hanno tentato di identificare effetti della
sentenza ulteriori rispetto all‟eliminazione del provvedimento impugnato NB si tratta di effetti
che non hanno carattere reale, come invece la caducazione dell‟atto impugnato, ma hanno
carattere obbligatorio, nel senso che costituiscono a carico dell‟amministrazione doveri di
condotta.
in argomento è significativa la sistematica proposta da alcuni autori che ha trovato ampio
seguito nella giurisprudenza e alla quale allude in alcune disposizioni anche il codice del
processo amministrativo. tale sistematica individua tre ordini di effetti della sentenza di
annullamento:
1) effetto eliminatorio: la sentenza di annullamento comporta l‟eliminazione della c.d. realtà
giuridica del provvedimento annullato e perciò la cessazione degli effetti prodotti dal
provvedimento stesso – si tratta dunque dell‟esito naturale dell‟azione di annullamento
2) effetto ripristinatorio: la sentenza di annullamento opera ex tunc; di conseguenza non solo
elimina dalla realtà giuridica attuale il titolo che determinava un certo assetto di interessi, ma
impone che quell‟assetto di interessi sia eliminato fin dall‟origine
3) effetto conformativo: l‟accertamento contenuto nella sentenza non può essere disatteso
dall‟amministrazione. si ricordi infatti che l‟art. 4 comma secondo della legge di abolizione
del contenzioso amministrativo circa l‟obbligo dell’amministrazione di ottemperare al
giudicato non riguarda solo le sentenze del giudice civile, ma ogni ordine di giurisdizione.
dunque, per assicurare un‟utilità reale alla sentenza del giudice amministrativo è necessario
anche che tale accertamento non venga limitato ad una singola espressione contingente del
potere amministrativo, ma vincoli l‟amministrazione anche nella fase successiva di riesercizio
del potere – pertanto nella rinnovazione del procedimento l‟amministrazione non può
riprodurre il vizio già accertato nella sentenza.
EVENTUALITA’ DEL PRIMO GRADO
RICORSO INCIDENTALE
entro sessanta giorni dalla notifica del ricorso, le parti resistenti e i controinteressati possono
proporre ricorso incidentale (art. 42).
originariamente il ricorso incidentale era l‟atto col quale il controinteressato poteva impugnare,
nel medesimo giudizio, lo stesso provvedimento già impugnato dal ricorrente, facendo però
valere vizi il cui accertamento avrebbe potuto comportante, anche nel caso di accoglimento del
ricorso principale, un risultato a lui favorevole. la giurisprudenza, prima del codice, aveva
esteso ulteriormente la portata del ricorso incidentale riconoscendo al controinteressato la
possibilità di proporlo anche per impugnare un atto diverso da quello impugnato dal ricorrente
principale – in questo caso viene in discussione anche la competenza territoriale: se per l‟atto
impugnato col ricorso incidentale è competente il tar lazio o altro tar in forza di una
competenza funzionale, la cognizione dell‟intero giudizio è demandata a tale tar NB nei casi in
cui col ricorso incidentale del controinteressato ci si oppone alla domanda del ricorrente
principale, ponendo in discussione la stessa ammissibilità, si parlava di ricorso escludente.
il codice ha successivamente recepito questo indirizzo giurisprudenziale, con una novità: se
prima il ricorso incidentale era riservato ai controinteressati, sull‟argomento che
l‟amministrazione resistente che avesse ritenuto illegittimo l‟atto impugnato dal ricorrente
principale avrebbe potuto senz‟altro annullarlo nell‟esercizio dei suoi poteri di autotutela e
perciò non avrebbe potuto proporre un ricorso incidentale, ad oggi è riconosciuta anche alle
parti resistenti la legittimazione a proporlo. infatti, se si tratta di atti assunti da altre
amministrazioni, l‟amministrazione resistente non dispone dei poteri di annullamento d‟ufficio
e l‟unico strumento di cui dispone per contestarli è il ricorso incidentale – al contrario, non
avrebbe senso un ricorso incidentale proposto da un‟amministrazione contro un atto che essa
stessa abbia emanato e perciò possa senz‟altro annullare d‟ufficio.
il ricorso incidentale trova fondamento nel principio della “parità delle armi” affermato nell‟art.
111 cost.: controinteressati e amministrazione resistente devono disporre di strumenti
processuali, per la loro difesa, equivalenti a quelli di cui dispone il ricorrente.
il ricorso incidentale, in considerazione delle analogie di fondo, è soggetto a regole processuali
simili a quelle che valgono per il ricorso principale: va proposto entro un termine perentorio
di pari durata (sessanta giorni) che però decorre dal momento della notifica del ricorso
principale, deve essere notificato nel medesimo termine all‟amministrazione e alle altre parti e
nei successivi trenta deve essere depositato al tar.
SOSPENSIONE E INTERRUZIONE DEL GIUDIZIO
come si verifica anche nel processo civile, una serie di eventi può incidere sullo svolgimento del
giudizio condizionandone l‟ulteriore corso a procedimenti avanti ad altri giudici o comunque
impedendo la prosecuzione del giudizio fino al compimento di ulteriori atti di impulso
processuale delle parti. tali eventi possono determinare la sospensione o l‟interruzione del
giudizio, la cui disciplina è dettata solo sommariamente dal codice del processo amministrativo
perchè, in generale, sono richiamate le disposizioni del codice di procedura civile.
 sospensione: le situazioni che comportano la sospensione del processo amministrativo sono
identificate essenzialmente nel codice di procedura civile e in altre disposizioni di legge.
 sospensione necessaria per ragioni di pregiudizialità: vanno considerate le questioni
inerenti allo stato e alla capacità delle persone, nonchè l‟incidente di falso. la decisione su
queste questioni è riservata al giudice civile e il giudice amministrativo non può
provvedere su di esse neanche in via incidentale: in questi casi, dunque, la sospensione del
giudizio deve essere disposta sulla base di una semplice valutazione della rilevanza della
questione rispetto al giudizio amministrativo.
 sospensione per questioni di legittimità costituzionale o per questioni pregiudiziali di
interpretazione di una norma comunitaria.
 regolamento preventivo di giurisdizione (art. 41 cpc): è proposto dalle parti con istanza
diretta alla corte di cassazione, finchè il ricorso non sia deciso dal tar. la proposizione del
regolamento non comporta comunque l‟automatica sospensione del giudizio: la
sospensione è infatti disposta dallo stesso tar solo dopo aver verificato che l‟istanza di
regolamento non sia manifestamente inammissibile o infondata.
 sospensione su richiesta concorde delle parti: in passato erano stati avanzati forti dubbi
circa l‟applicabilità dell‟istituto al processo amministrativo; oggi, però, il richiamo ampio
nel codice alla disciplina della sospensione nel processo civile consente di dare spazio alla
soluzione affermativa.
 interruzione: si rinvia a quanto disposto dal codice di procedura civile.
quando sia cessata la causa di sospensione del giudizio o si sia prodotta l‟interruzione, per la
prosecuzione del giudizio è necessario un nuovo atto d’impulso, che nel processo
amministrativo si identifica con un‟istanza di discussione del ricorso da presentare entro un
breve termine – un vero e proprio atto di riassunzione, che deve essere notificato alle parti, è
invece richiesto solo nel caso di interruzione se la parte nei cui confronti si sia verificato l‟evento
interruttivo non abbia già presentato una nuova istanza di fissazione dell‟udienza.
IMPUGNAZIONI
il libro terzo del codice del processo amministrativo è dedicato all‟impugnazione delle sentenze.
nei confronti delle sentenze del giudice amministrativo sono previsti diversi mezzi di
impugnazione:
 le sentenze dei tar sono appellabili al consiglio di stato (o al consiglio di giustizia
amministrativa per la regione siciliana se sono impugnate sentenze del tar sicilia)
 nei confronti delle sentenze del consiglio di stato (o del consiglio di giustizia amministrativa
per la regione di siciliana) è ammesso il ricorso per cassazione per motivi di giurisdizione
NB nei confronti delle sentenze dei tar e del consiglio di stato (o del consiglio di giustizia
amministrativa per la regione siciliana) sono ammessi anche la revocazione e l‟opposizione di
terzo.
prima del codice la disciplina delle impugnazioni nelle leggi sul processo amministrativo era
piuttosto lacunosa e anche rispetto a profili fondamentali l‟intervento della giurisprudenza
talvolta era risultato problematico. le difficoltà avevano riguardato particolarmente l‟appello al
consiglio di stato, mezzo di impugnazione più importante, dopo che la legge istitutiva dei tar
aveva introdotto il doppio grado di giudizio – all‟appello erano infatti dedicate in questa legge
solo poche e scarne disposizioni. l‟interprete doveva misurarsi con l‟esigenza di adattare al
processo amministrativo le disposizioni sulle impugnazioni civili, ma molte volte la loro
compatibilità con il sistema del processo amministrativo risultava dubbia o gravida di ulteriori
problemi. tutto ciò ha comportato che a quasi quarant‟anni dall‟entrata in vigore della legge
istitutiva dei tar anche alcuni temi importanti come quello delle impugnazioni incidentali,
dell‟onere di specificazione dei motivi nell‟appello e del contraddittorio, risultassero tutt‟altro
che definiti.
il codice del processo amministrativo ha introdotto una disciplina più puntuale delle
impugnazioni, con la quale è data risposta a molti degli interrogativi ancora aperti; ad altri
interrogativi è dato invece riscontro attraverso rinvii espliciti alle disposizioni del codice di
procedura civile. nonostante ciò residuano alcune lacune, rimediabili talvolta attraverso il
richiamo a norme sul processo civile che siano coerenti e compatibili con l‟assetto del processo
amministrativo; in altri casi, al contrario, il silenzio del codice del processo amministrativo
sembra testimoniare una scelta deliberata di non introdurre alcuni istituti più particolari del
processo civile.
alla disciplina concernente i singoli mezzi di impugnazione della sentenza, il codice del
processo amministrativo ha premesso alcune disposizioni dedicate alle impugnazioni in
generale (artt. 91-99). la loro introduzione testimonia l‟obiettivo di dare maggiore organicità
all‟assetto delle impugnazioni attraverso una parte generale che contenga una disciplina
unitaria per gli istituti comuni – queste disposizioni hanno come modello evidente analoghe
disposizioni del codice di procedura civile.
i primi articoli sulle impugnazioni in generale, dopo l‟elencazione dei mezzi di impugnazione
(art. 91: appello, revocazione, opposizione di terzo e ricorso per cassazione per i soli motivi
inerenti alla giurisdizione), considerano alcuni profili di ordine essenzialmente formale
concernenti l‟instaurazione del nuovo grado di giudizio. in particolare sono disciplinati i
termini entro cui vanno notificate le impugnazioni, il luogo in cui vanno eseguite le notifiche e il
termine per il deposito dopo la notifica:
 i termini per proporre le impugnazioni sono di due ordini (art. 92): il termine breve, che
decorre dalla notifica della sentenza, è di regola pari a sessanta giorni; il termine lungo, che
rileva se non sia intervenuta la notifica della sentenza, è di regola pari a sei mesi dalla
pubblicazione di essa. questi termini sono perentori; è però prevista la possibilità, prevista
anche dal codice di procedura civile, per la parte non costituita nel grado precedente di
giudizio, di dimostrare di non aver avuto conoscenza del processo per la nullità del ricordo
o della sua notifica: è dunque ammessa l‟impugnazione tardiva.
 l‟impugnazione si propone con un ricorso che deve essere notificato alla controparte nei
termini sopraindicati. analogamente a quanto previsto per il processo civile, la notifica va
effettuata alla controparte presso la residenza dichiarata o il domicilio eletto da essa nell‟atto
di notifica della sentenza o, in difetto, presso il difensore, o nella residenza dichiarata o nel
domicilio eletto per il giudizio.
 alla notifica dell‟impugnazione deve seguire il suo deposito presso la cancelleria del giudice
adito. il deposito dell‟appello, della revocazione e dell‟opposizione di terzo va effettuato
entro trenta giorni dall‟ultima notifica. insieme all‟atto di impugnazione notificato va
depositata anche una copia della sentenza impugnata (art. 94).
le disposizioni successive del codice affrontano poi alcuni temi centrali per l‟assetto dei mezzi di
impugnazione in generale: contraddittorio, impugnazioni incidentali, intervento e tutela
cautelare nel giudizio d‟impugnazione.
 il contraddittorio è disciplinato per due profili nodali: l‟individuazione delle parti necessarie
e le modalità per evocarle in giudizio (art. 95).
con riferimento al primo profilo, il codice identifica come parti necessarie del giudizio
d‟impugnazione tutte le parti in causa nelle impugnazioni di sentenze pronunciate in causa
inscindibile o in cause tra loro dipendenti*, nonchè le parti che hanno interesse a contraddire
negli altri casi; con riferimento alle modalità per l‟evocazione in giudizio di queste, invece, il
codice ripropone le soluzioni accolte dalla giurisprudenza precedente: una pronuncia del
consiglio di stato aveva infatti chiarito come per la regolare introduzione del giudizio fosse
sufficiente notificare l’impugnazione a una sola delle controparti e non fosse necessaria la
notificazione ad almeno uno tra gli eventuali controinteressati (come invece vale per il
ricorso di primo grado); nei confronti di tutte le altre parti l‟integrazione del contraddittorio
può essere ordinata successivamente dal giudice.
 le impugnazioni incidentali rappresentano un profilo particolarmente importante nel
processo amministrativo in quanto si verifica spesso, soprattutto nel caso dell‟azione di
annullamento, che il giudizio di primo grado coinvolga una molteplicità di soggetti; inoltre,
accanto all‟ipotesi di un accoglimento pieno del ricorso nei termini più favorevoli per il
ricorrente e di rigetto del ricorso stesso, si possono presentare diverse situazioni intermedie
di accoglimento parziale. l‟impugnazione della sentenza, in queste condizioni, coinvolge
interessi variegati e di soggetti diversi – si pone pertanto l‟esigenza di una disciplina che
assicuri un certo ordine nelle impugnazioni, tanto più che esse si riferiscono tutte ad
un‟identica sentenza.
in proposito, analogamente al codice di procedura civile, il codice del processo
amministrativo persegue l‟obiettivo della concentrazione delle impugnazioni di una
medesima sentenza per ragioni di economia processuale, per consentire a tutte le parti di
confrontarsi in un unico giudizio e, soprattutto, per evitare contrasti di decisioni. è infatti
previsto che tutte le impugnazioni successive alla prima siano proposte dalle altre parti con
un‟impugnazione incidentale nel giudizio promosso per effetto della prima impugnazione.
rispetto a questo assetto comune al codice di procedura civile, il codice del processo
amministrativo presenta però alcune particolarità di rilievo. infatti, per consentire alle altre
parti di proporre un‟impugnazione nel nuovo grado di giudizio, il codice di procedura civile
considera due situazioni distinte: la prima concerne la sentenza civile pronunciata tra più
parti in una causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti. in particolare, se
l‟impugnazione non sia stata notificata a tutte le parti, il giudice civile ordina l’integrazione
del contraddittorio nei confronti di queste fissando il termine per la notifica dei loro
confronti; se la notifica non viene effettuata l’impugnazione è dichiarata inammissibile –
questa previsione è riproposta nel codice del processo amministrativo all‟art. 95*.
la seconda situazione concerne invece la sentenza pronunciata tra più parti in cause
scindibili: se l‟impugnazione non sia stata notificata a tutte le parti, il giudice civile ordina
l’integrazione del contraddittorio nei confronti di queste per consentire loro di proporre la
loro impugnazione nel medesimo giudizio – e a questo scopo fissa il termine per la notifica
nei loro confronti. se però la notifica non viene effettuata il giudizio rimane sospeso fino alla
scadenza del termine entro il quale la parte non intimata avrebbe potuto a sua volta proporre
impugnazione; in questo caso dunque l‟integrazione del contraddittorio non ha lo scopo di
introdurre domande nei confronti delle altre parti, ma ha lo scopo di portare a conoscenza
delle altre parti l‟esistenza dell‟impugnazione affinchè possano proporre a loro volta
un‟impugnazione incidentale, cosi da evitare impugnazioni separate. per questa ragione
l‟inosservanza dell‟ordine del giudice di integrare il contraddittorio non comporta
l‟inammissibilità dell‟impugnazione, ma semplicemente la sospensione del giudizio fino alla
scadenza dei termini per l‟impugnazione delle altre parti.
 nel processo amministrativo, nel giudizio d‟impugnazione, può intervenire chi vi ha
interesse. l‟intervento deve essere proposto con un atto da notificare alle altre parti.
in merito alle situazioni che possono legittimare l‟intervento in appello, la giurisprudenza ha
fatto rinvio alle soluzioni accolte per l‟intervento ad adiuvandum o ad oppondendum nel
giudizio di primo grado - la disciplina delle impugnazioni nel processo amministrativo, per
questo profilo, si differenzia da quella del processo civile, che di regola ammette l‟intervento
solo dei soggetti che potrebbero proporre l‟opposizione di terzo.
 nel giudizio promosso in seguito all‟impugnazione della sentenza può essere richiesta la
misura cautelare della sospensione dell‟esecuzione della sentenza stessa (art. 98). la richiesta
va effettuata secondo le modalità e i principi già esaminati a proposito delle misure cautelari
nel giudizio di primo grado.
APPELLO AL CONSIGLIO DI STATO
in seguito all‟istituzione dei tribunali amministrativi regionali, in attuazione all‟art. 125 cost., nel
processo amministrativo vige con carattere generale il c.d. doppio grado di giurisdizione: nei
confronti delle sentenze (parziali o definitive) dei tar la parte soccombente può proporre
l‟appello al consiglio di stato (art. 100).
l‟appello si presenta, anche nel processo amministrativo, come rimedio a critica libera, concesso
alla parte soccombente per far valere, oltre agli errori e ai vizi, anche la semplice ingiustizia
della sentenza di primo grado.
ha carattere rinnovatorio, perchè di regola la decisione del consiglio di stato che accolga
l‟appello si sostituisce a quella del tar, pronunciando direttamente sul ricorso e questa regola,
già espressamente affermata nella legge tar, è confermata nel codice del processo
amministrativo che infatti elenca tassativamente i casi di rimessione degli atti al giudice di
primo grado.
la disciplina dell‟appello nel codice del processo amministrativo è limitata a pochi articoli che
vanno però letti alla luce degli articoli precedenti, dedicati alle impugnazioni in generale, e alla
luce di quelli sullo svolgimento del giudizio di primo grado, espressamente richiamati anche
per tutte le impugnazioni (art. 38).
nel complesso la disciplina dell‟appello mantiene però una valenza particolare e risulta più
puntuale di quella dettata per le altre impugnazioni dirette a giudici amministrativi e per
questo finisce con l‟avere una portata più ampia influenzando dunque anche l‟assetto delle altre
impugnazioni.
legittimate a proporre l‟appello sono le parti necessarie nel giudizio di primo grado. la
legittimazione a proporlo è riconosciuta dal codice anche all‟interventore ad opponendum nel
giudizio di primo grado quando risulti titolare di una posizione giuridica autonoma rispetto
alle altre parti; in ogni altra ipotesi l‟interventore è legittimato a proporre appello solo nei
confronti dei capi di sentenza che lo riguardino direttamente o nei confronti dei capi che si
pronunciano sull‟ammissibilità dell‟intervento o sulle spese.
la presentazione dell‟appello presuppone che il soggetto legittimato abbia interesse ad
appellare, in coerenza con i principi sull‟esercizio dell‟azione. tale interesse va valutato in una
prospettiva tipicamente processuale: è l‟interesse ad impugnare una sentenza che produce
effetti sfavorevoli per la parte - in questo senso viene spesso ricondotto alla nozione di
soccombenza.
l‟appello al consiglio di stato deve essere proposto con ricorso, i cui contenuti sono elencati
nell‟art. 101 cpa:
 indicazione del ricorrente e del suo difensore
 indicazione delle parti nei cui confronti è proposto l‟appello e la sentenza di primo grado
 esposizione sommaria dei fatti
 formulazione delle conclusioni
 indicazione delle specifiche censure contro la pronuncia del giudice di primo grado
 sottoscrizione del difensore con indicazione della procura speciale o della parte qualora sia
un avvocato abilitato al patrocinio avanti alle giurisdizioni superiori.
l‟appello si caratterizza tradizionalmente, tra i mezzi di impugnazione, per essere diretto ad
ottenere dal giudice di secondo grado il riesame della vertenza decisa dal giudice di primo
grado. pertanto il giudice d‟appello deve poter conoscere e decidere la vertenza con la stessa
pienezza del giudice di primo grado. a questo proposito si parla di un effetto devolutivo
dell‟appello: si designa cosi la riemersione automatica, nel giudizio d‟appello, del relativo
materiale di cognizione e probatorio.
uno dei profili qualificanti, per valutare in generale il modello di un appello, è rappresentato
dalla disciplina dei nova. in particolare, in questo secondo grado di giudizio, sono ammessi
motivi aggiunti per far valere vizi emersi da documenti conosciuti per la prima volta solo in
grado di appello NB la possibilità di proporli in appello, pur costituendo una deroga al
principio del doppio grado, si giustifica per il fatto che essi concernono vizi che la parte non
aveva potuto dedurre prima perchè non era stata posta nelle condizioni di conoscerli. la loro
previsione costituisce quindi un corollario del diritto di azione e non un rimedio a carenze e
manchevolezze della difesa nel precedente grado di giudizio.
per quanto riguarda invece le eccezioni nuove, il codice, confermando la giurisprudenza
amministrativa più recente e gli indirizzi maturati nel processo civile, ammette in grado
d‟appello solo quelle rilevabili d’ufficio. infine, nel giudizio di appello, le parti non possono
dedurre nuovi mezzi di prova o produrre nuovi documenti; il divieto permette però due
deroghe (art. 104): le nuove prove sono ammesse nel caso in cui il collegio le ritenga
indispensabili per la decisione e nel caso in cui la parte dimostri di non averle potuto dedurre o
produrre nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile NB con riferimento al
primo caso, di maggiore rilievo pratico, è tuttora in corso un dibattito sulla nozione di
indispensabilità della prova: una parte della giurisprudenza appare orientata, in modo un po‟
eclettico, ad ammettere la prova nuova quando possa risultare idonea a determinare un esito
diverso del giudizio.
nei confronti delle sentenze non definitive la parte può proporre senz‟altro l‟appello nel
rispetto dei termini già esaminati sopra, ma può anche riservarsi di impugnare la sentenza non
definitiva unitamente a quella definitiva. sulla linea della giurisprudenza più recente il codice
ha finalmente riconosciuto l‟istituto della riserva d‟appello anche nel processo amministrativo,
che va proposta con un atto che da notificare alle parti entro il termine fissato per l‟appello e da
depositare presso il tar nei successivi trenta giorni.
svolgimento del giudizio e decisione
lo svolgimento del giudizio d‟appello davanti al consiglio di stato è regolato dalle disposizioni
sul giudizio di primo grado, espressamente richiamate anche per i giudizi di impugnazione
all‟art. 38 cpa, nonchè da alcune disposizioni generali sulle impugnazioni.
l‟appello contro una sentenza del tar va proposto con ricorso al consiglio di stato in sede
giurisdizionale - la distribuzione delle competenze tra le sezioni giurisdizionali del consiglio di
stato ha rilevanza solo interna.
la notifica dell‟appello deve essere richiesta, di regola, entro sessanta giorni dalla notifica della
sentenza o entro sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza se non sia stata notificata.
l‟appello deve essere notificato alle parti del giudizio di primo grado identificate nell‟art. 95
cpa, siano esse costituite o non, nei luoghi indicati dall‟art. 93 cpa; se l‟atto non è notificato a
tutte le parti, ma almeno ad una, l‟appello non è inammissibile, ma il consiglio di stato ordina
l’integrazione del contraddittorio.
nei trenta giorni successivi alla notifica il ricorso deve essere depositato presso la segreteria del
consiglio di stato (art. 94) - col deposito si perfeziona la costituzione in giudizio dell‟appellante
e si verifica la pendenza del giudizio. dopo il deposito l‟appello viene assegnato d‟ufficio a una
sezione giurisdizionale del consiglio di stato.
l‟appello non comporta di per sè la sospensione dell‟esecutività della sentenza: la sospensione
può essere disposta dal consiglio di stato in seguito ad istanza dell’appellante contenuta
nell‟appello o in altro atto notificato alle altre parti.
gli appellati possono costituirsi in giudizio, depositando una memoria di costituzione (c.d.
controricorso), entro il termine di sessanta giorni dalla notifica dell‟appello – questo termine di
regola è ordinatorio, mentre è perentorio per riproporre eventuali domande o eccezioni rimaste
assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado.
è invece perentorio il termine di sessanta giorni per proporre l‟appello incidentale, da notificare
all‟appellante presso il suo difensore nel giudizio d‟appello.
NB per quanto concerne la necessità di fissazione dell’udienza, la fase conclusiva del giudizio,
la discussione dell’appello e la decisione, vale la stessa disciplina sopra esaminata per il
giudizio di primo grado.
precisazioni sull’appello al consiglio di stato
 vizi della sentenza appellata rilevabili d‟ufficio: prima del codice il consiglio di stato riteneva
di poter rilevare d‟ufficio alcuni vizi della sentenza impugnata quali difetto di giurisdizione,
nullità, inammissibilità o irricevibilità della domanda originaria e irregolare costituzione
del rapporto processuale. la giurisprudenza prevalente sosteneva che tali vizi fossero
rilevabili d‟ufficio in grado d‟appello se non fossero stati oggetto di esplicita statuizione
nella sentenza appellata; in caso contrario, in mancanza di appello sul punto si sarebbe
formato il giudicato e quindi la questione sarebbe stata preclusa anche per il giudice di
secondo grado – questa giurisprudenza trova riscontro nel richiamo, nel codice del processo
amministrativo, alle eccezioni rilevabili d‟ufficio nel giudizio d‟appello contenute nell‟art.
104.
conclusioni diverse valgono invece oggi per la questione di giurisdizione: prima del codice
era emerso un contrasto tra la cassazione, secondo cui di regola il difetto di giurisdizione
sarebbe stato rilevabile in appello solo se non fosse stato dedotto dalle parti, e il consiglio
di stato, secondo cui, in mancanza di una statuizione esplicita nella sentenza di primo grado,
la questione di giurisdizione avrebbe potuto ritenersi non affrontata dal tar e pertanto non vi
sarebbe stato spazio per un giudicato implicito nè preclusione per un rilievo d‟ufficio; nel
codice del processo amministrativo è stato espressamente stabilito che nel giudizio d‟appello
il difetto di giurisdizione è rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della
pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione – il
codice accoglie pertanto la figura del giudicato implicito sulla giurisdizione: ciò significa che
se la questione di giurisdizione non viene sollevata con l‟appello, il consiglio di stato non può
pronunciarsi su di essa NB una pronuncia d‟ufficio sembra possibile solo nei casi in cui non
sia neppure configurabile una pronuncia implicita sulla giurisdizione / per esempio quando
il giudice di primo grado abbia deciso la controversia rigettando il ricorso sulla base di una questione
logicamente precedente a quella di giurisdizione o che comunque prescindeva totalmente da essa.
 annullamento della sentenza appellata e rinvio degli atti al giudice di primo grado (art. 105):
su questo punto si confrontano tradizionalmente due concezioni: la prima propone
un‟interpretazione estensiva delle ipotesi di annullamento con rinvio al giudice di primo
grado per realizzare nei termini più ampi il doppio grado di giurisdizione; la seconda
considera invece in termini tassativi le ipotesi di annullamento e rinvio in quanto il
principio del doppio grado non implica in realtà la necessità di un esercizio, in doppio grado,
di una cognizione di merito.
il codice del processo amministrativo, come il codice di procedura civile, aderisce a questa
seconda concezione. di conseguenza l‟annullamento con rimessione degli atti al giudice di
primo grado è disposto solo in casi tassativi:
o difetto di contraddittorio (lesione del diritto di difesa di una delle parti): a questa ipotesi
sono state ricondotte, oltre che la mancata integrazione del contraddittorio o la mancata
instaurazione del giudizio nei confronti di una parte necessaria, anche tutti i casi di
nullità della notifica del ricorso di primo grado o di nullità di tale ricorso che possano
aver pregiudicato il diritto della parte di essere evocata in giudizio.
o nullità della sentenza di primo grado: questo termine è in realtà utilizzato in modo
improprio, perchè qualunque vizio processuale nel giudizio di primo grado determina
tecnicamente la nullità della sentenza, mentre la rimessione al giudice di primo grado va
disposta solo in casi particolari. è stato perciò proposto di fare riferimento all‟ipotesi più
grave di nullità contemplata dall‟art. 161 comma secondo cpc: mancata sottoscrizione del
giudice, spesso designata come ipotesi di inesistenza giuridica della sentenza.
o riforma della sentenza del tar che ha declinato la giurisdizione o della sentenza o
ordinanza del tar che ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l‟estinzione o la
perenzione del giudizio.
NB la sentenza del consiglio di stato che riformi o annulli una sentenza di primo grado produce
gli effetti espansivi contemplati dall‟art. 336 cpc. il codice del processo amministrativo non
considera espressamente tali effetti espansivi nè richiama la disposizione del codice di
procedura civile che li prevede, ma la dottrina e la giurisprudenza hanno riconosciuto che essi
in via di principio si producano anche nel processo amministrativo. la norma del codice di
procedura civile, infatti, esprime un principio di ordine generale che vale anche per le
impugnazioni nel processo amministrativo: di conseguenza appare senz‟altro ragionevole
invocare il rinvio esterno al codice di procedura civile ai sensi dell‟art. 39 cpa.
sulla base di questa considerazione si ritiene che la sentenza del consiglio di stato che accolga
l‟appello travolga, oltre ai capi di sentenza riformati o annullati, anche i capi di sentenza che di
essi sono conseguenza necessaria e che pertanto non possono conservare un‟efficacia autonoma.
il ruolo dell’adunanza plenaria del consiglio di stato
per l‟assetto dell‟appello nel processo amministrativo assume rilievo l‟art. 99 cpa, inserito tra le
disposizioni generali sulle impugnazioni, che disciplina il deferimento di questioni
all‟adunanza plenaria del consiglio di stato: l‟adunanza plenaria si pronuncia su giudizi che le
sono demandati o in seguito a una rimessione disposta dalla sezione del consiglio di stato cui
era assegnato il giudizio o in seguito a rimessione disposta, anche d‟ufficio, dal presidente del
consiglio di stato. quando sia disposta dalla sezione del consiglio di stato, la rimessione è
determinata dalla circostanza che in discussione sia un punto di diritto che abbia dato luogo o
che possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali; quando invece sia disposta dal presidente
del consiglio di stato, può essere disposta anche per particolare importanza del punto di diritto
da affrontare.
in seguito alla rimessione l‟adunanza plenaria si pronuncia sul punto di diritto segnalato
nell‟ordinanza di rimessione; in proposito può provvedere sull‟intera controversia oppure
limitarsi ad enunciare il principio di diritto rispetto al punto oggetto di rimessione e restituire
gli atti alla singola sezione per la decisione sulla controversia NB rispetto a un punto di diritto
già oggetto di rimessione le singole sezioni del consiglio di stato non possono discostarsi nelle
loro pronunce successive all‟interpretazione accolta dall‟adunanza plenaria. se una sezione
ritiene di non condividere tale interpretazione, deve rimettere il giudizio all’adunanza
plenaria con un‟ordinanza motivata - all‟adunanza plenaria è pertanto assegnata una funzione
nomofilattica analoga a quella riconosciuta alla cassazione.
il codice persegue in questo modo l‟obiettivo di assicurare una maggiore omogeneità nella
giurisprudenza amministrativa: l‟univocità della giurisprudenza è infatti un fattore di garanzia
per la certezza del diritto.
RICORSO PER CASSAZIONE PER MOTIVI DI GIURISDIZIONE
nei confronti delle sentenze del consiglio di stato (e del consiglio di giustizia amministrativa per
la regione siciliana) è ammesso il ricorso alla corte di cassazione per i soli motivi di
giurisdizione (art. 111 cost. e art. 110 cpa): il ricorso alla corte di cassazione è dunque ammesso
per denunciare la violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa che può
concretarsi sia in un‟erronea declinatoria di giurisdizione sia nell‟accoglimento del ricorso in
ipotesi esorbitanti rispetto alla giurisdizione amministrativa.
già prima del codice la cassazione aveva elaborato un‟interpretazione estensiva della
condizione rappresentata dai motivi inerenti alla giurisdizione per il ricorso contro le decisioni
del consiglio di stato: aveva ricondotto a questi motivi le questioni concernenti la distinzione
tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di merito nonostante, dopo il codice, potesse
ritenersi un‟articolazione interna alla giurisdizione amministrativa; aveva poi dato rilievo ad
alcuni gravi vizi formali come la partecipazione al collegio giudicante di persone prive della
qualità di giudice.
un‟ulteriore estensione del sindacato per motivi di giurisdizione sulle sentenze del consiglio di
stato è stata prospettata anche di recente. in particolare, prima del codice di procedura
amministrativa, la cassazione aveva censurato l‟indirizzo del giudice amministrativo di ritenere
inammissibili le domande di risarcimento per lesione di interessi legittimi proposte senza che
fossero stati tempestivamente impugnati i rispettivi provvedimenti lesivi. la cassazione aveva
sostenuto che in questi casi il consiglio di stato avrebbe rifiutato di esercitare la propria
giurisdizione e che tale rifiuto avrebbe identificato una questione di giurisdizione.
ma la questione fece sorgere una serie di dibattiti nei quali intervenne anche la corte
costituzionale, che ricordava che il sindacato della cassazione sulle sentenze del consiglio di
stato è definito dalla costituzione e che l‟art. 111 cost. ne identifica i casi in via tassativa (per i
soli motivi inerenti alla giurisdizione) con un‟espressione che tradizionalmente viene riferita
soltanto alla verifica dei limiti esterni della giurisdizione. successivamente, dunque, la corte di
cassazione ha dichiarato di volersi adeguare all‟interpretazione della corte costituzionale ed ha
pertanto riconosciuto che il ricorso per cassazione contro le sentenze del consiglio di stato
può ammettersi solo per violazione dei limiti esterni della giurisdizione amministrativa.
NB il codice del processo amministrativo ha introdotto la possibilità di una sospensione
dell‟esecuzione della sentenza del consiglio di stato, in pendenza del ricorso per cassazione. la
sospensione, unitamente ad ogni altra misura cautelare opportuna, è disposta dal consiglio di
stato su istanza di parte in caso di eccezionale gravità e urgenza – al procedimento si applica la
disciplina prevista per la tutela cautelare nel processo amministrativo degli artt. 55 e 56 cpa.
REVOCAZIONE
l‟art. 106 cpa ammette nei confronti delle sentenze dei tar e del consiglio di stato il rimedio della
revocazione. le disposizioni del codice sono molto scarne: per quanto riguarda i casi di
revocazione non è dettata una disciplina specifica per il processo amministrativo, ma è fatto
rinvio al codice di procedura civile (art. 395 cpc); per quanto riguarda invece lo svolgimento
del giudizio opera il rinvio generale alla disciplina del giudizio di primo grado (art. 38).
i casi di revocazione previsti dall‟art. 395 cpc riguardano:
1. la sentenza che sia effetto del dolo di una parte in danno ad un’altra
2. la sentenza pronunciata in base a prove riconosciute o dichiarate false dopo la sentenza o
che la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate false prima della
sentenza
3. il caso di ritrovamento, dopo la sentenza, di uno o più documenti decisivi che la parte non
aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto all’avversario
NB la revocazione presuppone in questo caso che il ritardo nella scoperta del documento non
sia imputabile a colpa della parte e che il documento non fosse disponibile neppure nel
giudizio di appello.
4. la sentenza che sia affetta da errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa.
si tratta dell‟ipotesi di revocazione più importante e discussa: l‟errore di fatto che consente la
revocazione deve essere stato, ovviamente, determinante per la sentenza e non deve
concernere le valutazioni dei fatti compiute dal giudice, ma consistere in una errata od
omessa percezione del contenuto materiale degli atti o dei documenti prodotti nel giudizio.
5. la sentenza contraddittoria con altra precedente passata in giudicato, purchè non abbia
pronunciato sulla relativa eccezione NB questa ipotesi di revocazione presuppone la piena
identità degli elementi dell‟azione nei due diversi giudizi.
6. la sentenza affetta da dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato.
il ricorso per revocazione si propone davanti al medesimo giudice che ha emesso la sentenza
(art. 106) NB nei casi di revocazione previsti dall‟art. 395 cpc ai numeri 1, 2, 3 e 6 il termine di
sessanta giorni per il ricorso decorre rispettivamente dal giorno in cui è stato scoperto il dolo o
la falsità o la collusione o è stato recuperato il documento o è passata in giudicato la sentenza
che ha accertato il dolo del giudice.
in tutti i casi la revocazione può essere richiesta anche se la sentenza impugnata sia già passata
in giudicato.
in tutti i casi il giudice procede sia all‟accertamento delle condizioni per la revocazione, sia, nel
caso di accertamento positivo, al riesame del merito della controversia già precedentemente
decisa.
nei confronti della sentenza sono ammesse le impugnazioni previste per la sentenza che era
stata oggetto di revocazione NB non è ammessa una nuova impugnazione per revocazione
(art. 107).
rapporto tra appello e revocazione
il codice del processo amministrativo, seppur con una formula imprecisa, chiarisce il rapporto
tra appello e revocazione, rimasto indefinito nella legge istitutiva dei tar.
la revocazione nei confronti delle sentenze dei tar è ammessa se i motivi non possono essere
dedotti con l‟appello (art. 106); tuttavia, dato che tutti i motivi di revocazione sono
astrattamente deducibili nell‟appello, questa disposizione va interpretata nel senso che la
revocazione delle sentenze dei tar è ammessa solo nei casi e alle condizioni indicati dall‟art. 396
cpc (revocazione delle sentenze per le quali è scaduto il termine per l‟appello): si tratta dunque
di casi di revocazione straordinaria, corrispondenti alle situazioni elencate dall‟art. 395 cpc ai
numeri 1, 2, 3 e 6 purchè il fatto che determina la revocazione sia stato scoperto o accertato solo
dopo la scadenza del termine per l‟appello – in questo caso, infatti, non si può certo pretendere
che la parte deduca i motivi di revocazione con l‟appello, che avrebbe dovuto essere proposto
nei termini ordinari NB rispetto alle sentenze del consiglio di stato, invece, la revocazione è
proponibile in tutti i casi elencati nell‟art. 395 cpc.
OPPOSIZIONE DI TERZO
la corte costituzionale aveva introdotto nel processo amministrativo l’opposizione di terzo
ordinaria prevista dall‟art. 404 cpc, attraverso la quale un terzo può porre in discussione una
sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva che pregiudichi i suoi diritti e sia stata
pronunciata in un giudizio cui sia rimasto estraneo. il codice del processo amministrativo
conferma l‟istituto all‟art. 108 e detta alcune norme, essenzialmente per superare incertezze
precedenti; introduce poi un‟opposizione revocatoria per i creditori o gli aventi causa di una
delle parti, nei confronti della sentenza che sia il risultato di collusione o di dolo a loro danno.
il testo originario dell‟art. 108 cpa menzionava, come legittimato a proporre l‟opposizione,
soltanto il terzo titolare di una posizione autonoma e incompatibile. la previsione è stata però
ritenuta imprecisa e abrogata nel 2011, col risultato che oggi il codice non menziona più i
soggetti legittimati a proporre l‟opposizione. per la loro identificazione è utile il confronto con
criteri già presenti nel processo amministrativo e con il processo civile.
l‟opposizione può essere senz‟altro proposta dal soggetto che era contemplato in origine nel
codice, ossia il terzo titolare di una posizione autonoma e incompatibile: soggetto al quale non
sia opponibile la sentenza e che sia titolare di una posizione giuridica non dipendente da quella
delle parti in causa (e per questo autonoma) e non passibile di essere soddisfatta unitamente a
quella della parte vittoriosa (e per questo incompatibile).
prima del codice, parte della giurisprudenza amministrativa aveva ammesso anche
l‟opposizione dei controinteressati che fossero tali solo in senso sostanziale e dei soggetti
legittimati all’intervento ad opponendum in forza di una posizione autonoma. il requisito
dell‟incompatibilità, in questo modo, è valutato in termini più elastici, che non sono
rappresentati solo dalla pretesa a un diritto o a un beneficio indivisibile, ma che rispecchiano in
generale la possibilità che rispetto a un provvedimento amministrativo siano configurabili
risultati di segno opposto per i diversi soggetti coinvolti.
in termini critici è stato osservato che a questa stregua si rischia di porre in discussione la
certezza del giudicato amministrativo, in quanto l‟opposizione di terzo è proponibile anche nei
confronti di sentenze già passate in giudicato. la soluzione accolta dalla giurisprudenza,
tuttavia, sembra l‟unica idonea a riconoscere una tutela concreta a certi soggetti i cui interessi
legittimi risulterebbero altrimenti compromessi da un giudizio cui erano rimasti estranei.
la giurisprudenza amministrativa, sulle orme della corte costituzionale, prima del codice aveva
sostenuto che la legittimazione a proporre l‟opposizione di terzo dovesse riconoscersi anche a
un‟altra categoria di soggetti: i controinteressati (o i litisconsorti necessari) pretermessi. nel
processo civile è stato sostenuto che il litisconsorte pretermesso, per ottenere l‟eliminazione
della sentenza che lo pregiudica, potrebbe limitarsi a dedurre nell‟opposizione la sua qualità: la
sentenza opposta risulterebbe viziata per il difetto del contraddittorio e dovrebbe essere
annullata. è dubbio però se la stessa soluzione possa valere nel processo amministrativo:
certamente il controinteressato pretermesso può limitarsi a far valere la sua qualità nel caso in
cui non sarebbe stata possibile neppure l‟integrazione del contraddittorio nei suoi confronti, ma
in tutti gli altri casi è controverso se il terzo, oltre ad allegare la propria situazione di
controinteressato pretermesso, debba anche denunciare l‟ingiustizia della sentenza opposta.
e comunque non vengono risolti tutti i problemi: infatti, mentre il codice civile detta regole certe
per risolvere i conflitti tra i terzi che vantino diritti incompatibili su un identico bene, nel
diritto amministrativo regole analoghe non sono previste o, per lo meno, non sono di agevole
identificazione. unico criterio pacifico sembra essere la preferenza per le pretese che trovino
fondamento in situazioni di legittimità amministrativa.
il codice non detta disposizioni sui termini per proporre l‟opposizione di terzo ordinaria.
dovrebbero pertanto valere le norme generali, che però assoggettano le impugnazioni a un
termine di decadenza decorrente dalla notifica o dalla pubblicazione della sentenza; tuttavia
questa soluzione appare illogica, perchè il terzo potrebbe avere notizia della sentenza anche
molto tempo dopo il suo passaggio in giudicato. in passato una giurisprudenza aveva applicato
il termine di sessanta giorni dalla conoscenza della sentenza, invocando in via analogica il
termine per l‟azione di annullamento – e in varie pronunce successive al codice il consiglio di
stato ha confermato questa soluzione. va osservato, però, che il codice non ha disposto nulla del
genere e che la soluzione accolta dalla giurisprudenza richiamata non si adatta, tra l‟altro, alle
vertenze sui diritti soggettivi, tanto più che nel processo civile l‟opposizione non è sottoposta a
termini perentori. si comprende allora perchè alcuni giudici amministrativi escludano, per
l’opposizione di terzo, la vigenza di termini di decadenza.
rapporto tra opposizione di terzo e appello
il codice ha disciplinato il rapporto tra opposizione di terzo e appello, che in precedenza era
stato oggetto di notevoli oscillazioni giurisprudenziali, anche per l‟indirizzo che ammetteva nel
processo amministrativo la legittimazione ad appellare del terzo.
in base al codice, nei confronti della sentenza, il terzo può proporre soltanto l‟opposizione,
diretta al giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (art. 109) – pertanto ogni
confusione con l‟appello è stata superata.
la soluzione accolta nel codice comporta però la possibilità che una sentenza di un tar sia
oggetto insieme di appello al consiglio di stato proposto da una delle parti originarie e di
opposizione proposta da un terzo. per evitare la pendenza di due gravami diversi, il codice
assegna la prevalenza al gravame ordinario: se sia già stato proposto appello, il terzo deve
introdurre la sua domanda intervenendo nel giudizio d‟appello; se una parte propone appello
dopo che il terzo abbia già proposto l‟opposizione, il giudice dell‟opposizione deve fissare un
termine al terzo perchè intervenga nel giudizio d‟appello e l‟opposizione diventa improcedibile.
TUTELA CAUTELARE
CARATTERI GENERALI
anche nel processo amministrativo la tutela cautelare ha carattere strumentale; come scrisse il
calamandrei ha lo scopo immediato di assicurare l’efficacia pratica del provvedimento
definitivo.
l‟esecuzione di un provvedimento amministrativo può, infatti, compromettere in modo molto
grave, se non irreversibile, la posizione del destinatario del provvedimento stesso; e se questo
provvedimento fosse illegittimo e per questo annullato in un secondo tempo dal giudice
amministrativo, la sentenza di annullamento non sarebbe comunque idonea a soddisfare
effettivamente l’interesse del cittadino. per questo è necessaria la tutela cautelare, che opera
prevenendo la realizzazione del danno e consentendo dunque di evitare l‟esecuzione del
provvedimento nel corso del giudizio.
nel processo amministrativo la disciplina della tutela cautelare fu modellata in origine sul
giudizio d‟impugnazione dei provvedimenti e, in particolare sulla sospensione del
provvedimento impugnato; la legge crispi del 1889 dettò invece la regola secondo cui
l‟impugnazione del provvedimento non ha effetto sospensivo, ammettendo
contemporaneamente, in alcuni casi, che il ricorso al consiglio di stato potesse sospendere
l‟efficacia del provvedimento impugnato – pertanto la regola sancita dalla legge crispi non era
imposta dalla logica del modello di tutela, ma costituiva una scelta legislativa operata sulla base
di una valutazione generale degli interessi in gioco. tuttavia, il codice del processo
amministrativo si attiene alla regola secondo cui, nel giudizio promosso per l‟annullamento di
un provvedimento, la presentazione del ricorso non sospende l’esecuzione del
provvedimento impugnato; spetterà dunque alla parte interessata (normalmente il ricorrente)
richiedere una misura cautelare del giudice amministrativo qualora voglia evitare che le sue
ragioni possano essere compromesse durante il tempo necessario per la decisione del ricorso.
in base ai principi generali la concessione della misura cautelare da parte del giudice
presuppone l‟accertamento di un fumus boni iuris e di un periculum in mora:
 periculum in mora, art. 55 comma primo: il codice del processo amministrativo identifica
questo elemento nella possibilità di subire un pregiudizio grave ed irreparabile dal
provvedimento impugnato durante il tempo necessario a giungere alla decisione del ricorso
– tale pregiudizio deve essere specificamente allegato dal ricorrente nell‟istanza cautelare,
dunque il giudice non può, d‟ufficio, ipotizzarne l‟esistenza nè introdurlo nel ricorso.
NB nel giudizio promosso per l‟annullamento di un atto lesivo di interessi legittimi, il
pregiudizio “grave ed irreparabile” di cui sopra non può identificarsi nel pregiudizio
ordinario che consiste nella lesione dell‟interesse legittimo, all‟origine dell‟impugnazione del
provvedimento amministrativo; il pregiudizio che giustifica l‟accoglimento dell‟istanza
cautelare da parte del giudice amministrativo, infatti, deve essere considerato in modo
specifico, come pregiudizio determinato dal provvedimento amministrativo a un interesse
materiale rilevante del ricorrente e qualificato dal carattere della gravità e dell‟irreparabilità.
NB allo stesso tempo il giudice amministrativo deve considerare anche i riflessi che
produrrebbe la misura cautelare rispetto all‟amministrazione e rispetto ai controinteressati:
non è raro infatti il caso che l‟esecuzione di un provvedimento comporti un danno
significativo a carico del ricorrente, ma che la sospensione del provvedimento comporti un
danno ancora più grave per l‟amministrazione o per il controinteressato. per questo motivo il
giudice amministrativo, ai fini dell‟accoglimento dell‟istanza cautelare, deve effettuare una
valutazione comparata di tutti gli interessi in gioco secondo criteri non puntualmente
codificati dalla legge e quindi, in definitiva, secondo il suo prudente apprezzamento.
 fumus boni iuris, art. 55 comma nono: consiste in una valutazione sommaria sul merito della
pretesa fatta valere dal cittadino con l‟impugnazione. in passato, in base alle diverse
interpretazioni accolte dalla giurisprudenza o dalla dottrina, era risolto in un giudizio di
possibilità di accoglimento del ricorso oppure in un giudizio di non manifesta
infondatezza dello stesso. accogliendo la prima interpretazione veniva dato maggiore rilievo
ai motivi del ricorso e l‟accoglimento dell‟istanza cautelare finiva con l‟esprimere anche una
prima valutazione del giudice circa la fondatezza del ricorso; in base alla seconda
interpretazione, invece, la misura cautelare veniva negata solo in presenza di un‟evidente
infondatezza del ricorso e la valutazione del giudice sui motivi del ricorso finiva con
l‟assumere un rilievo minore.
oggi, in coerenza con un indirizzo già testimoniato nella l. 205/2000, l‟articolo in questione
sembra accogliere senz‟altro la prima interpretazione: la concessione della misura cautelare è
subordinata ad una valutazione del giudice sulla ragionevole previsione sull’esito del
ricorso.
TIPOLOGIA E CONTENUTI
mentre nel processo civile i contenuti della misura cautelare da sempre sono molto vari
(sequestro, provvedimenti cautelari innominati, ecc.), la tutela cautelare nel processo
amministrativo si è incentrata a lungo in una misura tipica e generale: la sospensione del
provvedimento impugnato. fino all‟entrata in vigore della l. 205/2000 le altre ipotesi di misure
cautelari erano del tutto eccezionali.
la previsione, come misura cautelare tipica, della sospensione del provvedimento impugnato, si
ricollegava al fatto che il processo amministrativo era risolto nell‟impugnazione del
provvedimento amministrativo; di conseguenza la lesività dello stesso era individuata
nell‟idoneità dell’atto a modificare unilateralmente la situazione giuridica sostanziale del
destinatario e della possibilità, riconosciuta all’amministrazione, di realizzare in via
amministrativa l’esecuzione materiale del provvedimento, ai danni del privato.
tale configurazione risultava però inadeguata già nel giudizio promosso a tutela di interessi
legittimi che riguardasse provvedimenti negativi o il silenzio dell‟amministrazione. in questi
casi, infatti, rispettivamente l‟impugnazione di un provvedimento che non comporta una
limitazione di una posizione giuridica preesistente e l‟impugnazione nel caso di silenzio, non
avrebbe senso richiedere la sospensione: la sospensione di un provvedimento negativo o del
silenzio-rifiuto non comporta alcun beneficio per il ricorrente, in quanto in questi casi il
pregiudizio materiale non è superato dalla preclusione degli effetti del provvedimento (cui
porterebbe la sospensione), ma da un diverso esito del provvedimento.
di fronte dunque all‟impossibilità di applicare la tutela cautelare nei confronti dei
provvedimenti negativi, dal momento in cui l‟unica misura cautelare prevista era la
sospensione, a partire dagli anni ‟30 si affermò una giurisprudenza che cercava di individuare,
nell‟ambito dei provvedimenti negativi, alcune categorie di atti assimilabili, dal punto di vista
degli effetti, ai provvedimenti positivi. con riferimento a questi ultimi, dunque la tutela
cautelare si riteneva possibile: tali provvedimenti, infatti, non esauriscono l‟azione
amministrativa, ma costituiscono a loro volta la ragione per l‟adozione di ulteriori atti (positivi)
– la sospensione di questa speciale categoria di provvedimenti negativi avrebbe dunque
impedito l‟adozione di questi ulteriori atti.
successivamente, negli anni ‟90, alcuni giudici amministrativi cercarono di estendere la
sospensione ai provvedimenti negativi in generale, con esiti controversi: tale estensione
assicurava sicuramente una maggiore ampiezza della tutela cautelare, ma conduceva ad esiti
sempre più lontani dal modello normativo. nonostante ciò, la visione prospettata da quei
giudici amministrativi iniziò ad acquisire sempre maggiori consensi, finchè il codice del
processo amministrativo, confermando le innovazioni sostanziali già accolte nella l. 205/2000,
ha previsto che la tutela cautelare non si risolva più in una misura tipica (sospensione), ma si
attui anche con altre misure, di contenuto atipico, modellate sul caso concreto. a tal proposito
sono state ammesse, infatti, tutte le misure più idonee ad assicurare interinalmente gli effetti
della decisione sul ricorso.
PROCEDURA ORDINARIA
la disciplina della tutela cautelare nel processo amministrativo, per i profili procedimentali, era
costituita inizialmente da poche disposizioni che affermavano la necessità di un‟istanza del
ricorrente da notificare all‟amministrazione e ad altre parti e sulla quale il collegio avrebbe
dovuto provvedere dopo un certo termine dilatorio.
su questo assetto sono intervenuti prima la l. 205/2000 e poi, più in profondità, il codice del
processo amministrativo. le innovazioni hanno riguardato principalmente tre profili: garanzia
del contraddittorio, previsione di modalità più celeri e semplici di accesso alla tutela
cautelare nei casi di particolare urgenza e valorizzazione della fase cautelare del processo
anche ai fini di una sollecita decisione del ricorso. in gioco, rispetto a questi punti, sono
pertanto alcuni principi fondamentali sulla tutela giurisdizionale: parità delle parti,
irrinunciabilità di una tutela cautelare adeguata alla garanzia del diritto d’azione del
ricorrente e ragionevole durata del processo.
la domanda di una misura cautelare è presentata dal ricorrente al giudice adito per il ricorso
principale. è richiesta un‟istanza scritta, redatta nel ricorso stesso o con atto successivo
all‟instaurazione del giudizio, che deve essere notificata all’amministrazione resistente e ai
controinteressati. fino agli anni ‟90 si riteneva che non fosse necessaria la notifica dell’istanza
cautelare a tutti i controinteressati: in particolare, se l‟istanza era proposta nel ricorso si
riteneva sufficiente la notifica del ricorso a un solo controinteressato; tuttavia nel corso degli
stessi anni la giurisprudenza del consiglio di stato elaborava indirizzi contrastanti: la possibilità
che la fase cautelare del processo amministrativo potesse essere definita senza la garanzia del
contraddittorio con tutte le parti necessaria sembrava infatti incompatibile con i principi
riconosciuti dalla corte costituzionale sulla rilevanza dell‟essenzialità della tutela in questione e
sul carattere decisorio della relativa ordinanza. dunque, prima con la l. 205/2000 (art. 3) e poi
con il codice del processo amministrativo, è stato chiarito che il giudice amministrativo può
provvedere definitivamente sull‟istanza cautelare solo dopo l‟integrazione del contraddittorio
con tutte le parti necessarie del giudizio (art. 27, comma secondo) – prima dell‟integrazione del
contraddittorio il giudice amministrativo può assumere solo misure cautelari provvisorie,
soggette necessariamente ad essere riesaminate una volta che tutte le parti necessarie siano state
evocate in giudizio.
sulla domanda cautelare provvede il collegio in camera di consiglio, decorsi almeno venti
giorni dalla notifica dell’istanza e dieci giorni dal suo deposito – i termini sono stabiliti a
garanzia del contraddittorio, per consentire a tutte le parti intimare di costituirsi in giudizio e di
presentare le loro difese.
la richiesta della misura cautelare non può essere trattata fino a quando non sia stata depositata
l’istanza di fissazione dell’udienza di discussione, a meno che non si tratti di giudizi
assoggettati al rito camerale o di giudizi per cui l‟udienza di discussione deve essere fissata
d‟ufficio. la presentazione dell‟istanza di fissazione dell‟udienza è infatti prescritta dal codice
per evitare che il ricorrente, una volta ottenuta una misura cautelare, non coltivi il giudizio e
cosi prolunghi al massimo gli effetti della misura ottenuta.
il collegio chiamato a provvedere sulla domanda di misura cautelare deve, innanzitutto,
verificare la propria competenza - infatti l‟inderogabilità della disciplina della competenza
territoriale dei tar comporta anche la preclusione per il giudice di adottare misure cautelari in
controversie demandate alla competenza di altro tar (e la violazione di questa regola costituisce
motivo di gravame contro l‟ordinanza).
sulla richiesta di misura cautelare il collegio provvede con un‟ordinanza motivata che viene
pubblicata mediante deposito in cancelleria; l‟ordinanza è efficace fin dal momento del suo
deposito NB l‟obbligo di motivazione delle pronunce cautelari, benchè sia sancito dalla legge, in
passato spesso non veniva rispettato – anche a causa della frequenza di istanze cautelari.
tuttavia, l‟art. 55 comma nono, ha riaffermato la necessità che le pronunce cautelari siano
motivate e ha inoltre precisato che la motivazione deve estendersi alla valutazione del
pregiudizio allegato dalla parte istante (periculum in mora) e deve indicare i profili che, ad un
sommario esame, inducono a una ragionevole previsione sull’esito del ricorso (fumus boni iuris).
NB la trattazione dell‟istanza cautelare rappresenta in genere la prima occasione per il collegio
di venire a contatto con le parti nel giudizio. questa circostanza ha fatto si che, nella legislazione
più recente, la fase cautelare si connotasse per elementi nuovi, tanto che è stato proposto di
valorizzarla anche come udienza preliminare diretta ad assicurare tutti gli adempimenti
necessari per una celere e positiva definizione del giudizio di merito. la proposta tuttavia non è
stata accolta, ma il codice ha previsto che nel corso dell‟esame dell‟istanza cautelare il collegio
possa adottare provvedimenti istruttori utili per il giudizio e per l‟integrità del contraddittorio –
continuando dunque a subordinare tale attività del collegio all‟istanza di parte di cui si parlava
all‟inizio.
TUTELA CAUTELARE NEI CASI DI PARTICOLARE URGENZA
la pronuncia sull‟istanza cautelare, come detto precedentemente, è ordinariamente competenza
del collegio e, a garanzia del contraddittorio con tutte le parti necessaria, può intervenire solo
dopo il decorso di un certo periodo di tempo dalla notifica della relativa istanza. vi sono però
molti casi in cui l‟urgenza che connota la tutela cautelare non è compatibile con un‟attesa del
genere.
in base al codice, infatti, in caso di estrema gravità e urgenza tale da non consentire neppure la
dilazione fino alla data della camera di consiglio, la misura cautelare può essere richiesta al
presidente del tar o della sezione cui il ricorso principale sia stato assegnato, previa notifica
della relativa istanza alle altre parti. a questo punto il presidente, o il magistrato da lui delegato,
dopo aver verificato la competenza del tar adito, provvede con un decreto motivato non
impugnabile ma revocabile. tale decreto è efficace fino all‟ordinanza del collegio – si tratta
pertanto di una misura cautelare meramente provvisoria.
anche nel caso di estrema gravità e urgenza, comunque, la tutela cautelare ha carattere
incidentale e si svolge nell’ambito del giudizio instaurato col ricorso principale.
il codice ha precisato, in particolare, che il decreto presidenziale non può essere pronunciato se
la notifica del ricorso non si sia perfezionata nei confronti dell‟amministrazione resistente e di
almeno un controinteressato. il contraddittorio si attua pertanto in una forma limitata, perchè
adempimento ulteriori comporterebbero un ritardo incompatibile con la situazione di estrema
gravita e urgenza e comprometterebbero l‟interesse alla tutela giurisdizionale – si deve
considerare infatti, come si diceva precedentemente, che la pronuncia cautelare, in questo caso,
ha un‟efficacia molto limitata nel tempo e una pronuncia cautelare definitiva sarà assunta dal
collegio solo successivamente, a contraddittorio integrato.
a differenza di quanto previsto nel processo civile, nel processo amministrativo, in passato, non
era invece contemplata una tutela cautelare precedente all‟instaurazione del giudizio. la corte
costituzionale aveva ritenuto che la mancanza della tutela ante causam non violasse alcun
principio costituzionale perchè la tutela interinale assicurata con decreto presidenziale avrebbe
offerto comunque una tutela cautelare sufficientemente tempestiva.
al contrario, l‟esigenza di una tutela cautelare precedente all‟instaurazione del giudizio di
merito fu affermata, in relazione a vertenze di rilievo per il diritto comunitario, dalla corte di
giustizia e, nel 2006, il codice dei contratti pubblici la recepì per le vertenze in tema di appalti.
da ultimo, il codice del processo amministrativo ha esteso la possibilità di una tutela cautelare
ante causam ad ogni ordine di vertenze devolute al giudice amministrativo (art. 61).
in tali ipotesi, in caso di eccezionale gravità e urgenza tale da non consentire neppure la previa
notifica del ricorso, chi sia legittimato a proporre un ricorso può presentare un‟istanza al
presidente del tar e chiedere l‟adozione delle misure cautelari interinali necessarie per
assicurare la tutela fino a quando non possa essere proposto il ricorso e non possa essere tratta
l‟istanza cautelare nelle forme ordinarie.
l‟istanza cautelare ante causam deve comunque essere previamente notificata alle parti; il
presidente, dopo aver verificato la competenza del tar, provvede con decreto.
la misura cautelare, in questo caso, è destinata a valere fino alla pronuncia cautelare collegiale
successiva alla notifica del ricorso. il decreto presidenziale deve essere notificato entro un
termine perentorio non superiore a cinque giorni; nel caso di concessione della misura
cautelare, il ricorso con la domanda cautelare deve essere notificato alle altre parti e depositato
presso il tar nel rispetto di termini molto ridotti.
REVOCA DELLE ORDINANZE CAUTELARI
l‟ordinanza cautelare è passibile di revoca su richiesta della parte che vi abbia interesse.
essendo infatti l‟ordinanza pronunciata sulla base di una situazione di fatto e di diritto che si
configura al momento in cui viene pronunciata, può esserne richiesta la revoca nel caso di
sopravvenienza di elementi nuovi ed esterni rispetto al giudizio – si tratta tradizionalmente
del mutamento della situazione di fatto o del mutamento della situazione di diritto – nonchè
della conoscenza, successivamente all’ordinanza cautelare, di fatti precedenti e rilevanti. il
codice del processo amministrativo prevede poi una serie di cause di revocazione elencate
nell‟art. 58.
APPELLO DELLE ORDINANZE CAUTELARI
nei confronti dell‟ordinanza collegiale del tar che decide sull‟istanza cautelare è consentito
l‟appello al consiglio di stato. tale rimedio era già stato ammesso dalla giurisprudenza dopo
l‟istituzione dei tar e la corte costituzionale, a sostegno di questa soluzione, aveva invocato il
principio del doppio grado del processo amministrativo invocato dall‟art. 125 cost.; la
previsione dell‟appello contro le ordinanze cautelari è stata poi confermata nel codice del
processo amministrativo all‟art. 62.
l‟appello contro l‟ordinanza cautelare è ammesso per l‟ingiustizia dell‟ordinanza, della quale
dunque può essere contestata la valutazione del fumus boni iuris o del periculum in mora
effettuata dal tar: si richiede infatti il riesame dell‟ordinanza da parte del giudice di secondo
grado.
l‟appello va notificato entro trenta giorni dalla notifica dell‟ordinanza o, in mancanza di
notifica, entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione, e deve essere depositato entro trenta
giorni dalla notifica – il giudizio prosegue poi secondo le regole sopra descritte per il giudizio
cautelare.
anche se l‟appello concerne solo una pronuncia cautelare, il consiglio di stato verifica anche
d‟ufficio l‟osservanza delle regole sulla competenza territoriale del tar, se accerta una
violazione di tali regole, regola d’ufficio la competenza indicando il tar competente.
la decisione sull‟appello cautelare è assunta dal consiglio di stato con ordinanza – in questo
ambito il consiglio di stato ha gli stessi poteri del giudice di primo grado. se adotta una misura
cautelare la sua ordinanza è comunicata al tar che è tenuto a fissare a breve l‟udienza per la
decisione del ricorso nel merito.
ESECUZIONE DELLE ORDINANZE CAUTELARI
la sospensione del provvedimento impugnato può risultare talvolta già di per sè idonea ad
assicurare che l’interesse del ricorrente non sia irrimediabilmente pregiudicato dalla durata
del giudizio; altre volte invece la misura cautelare comporta la necessità, per l‟amministrazione,
di svolgere una certa attività e quindi di porre in essere un certo comportamento / si pensi alla
sospensione di un provvedimento di licenziamento di un pubblico dipendente che obbliga
l‟amministrazione a riammettere il dipendente in servizio. in questi casi, se l‟amministrazione non
compie l‟attività necessaria per attuare la misura cautelare, l‟ordinanza rischia di non produrre
risultati pratici.
per assicurare l‟esecuzione di una pronuncia del giudice amministrativo è istituito il giudizio di
ottemperanza. agli inizi degli anni ‟80 il consiglio di stato sostenne che tale giudizio non
sarebbe stato esperibile per l’esecuzione di ordinanze cautelari perchè aveva come
presupposto una sentenza; nel caso del processo cautelare, però, non si dovrebbe distinguere tra
giudizio di cognizione e giudizio di esecuzione, in quanto si configurerebbe un giudizio
unitario. di conseguenza si è concluso che il potere del giudice amministrativo di sospendere un
atto amministrativo implicava anche la capacità di assumere tutte le determinazioni idonee ad
assicurare l‟esecuzione dell‟ordinanza di sospensione – queste conclusioni sono state recepite
nel codice del processo amministrativo: l‟art. 59 precisa infatti che, se l‟amministrazione non ha
eseguito un‟ordinanza cautelare, la parte interessata, con istanza che deve essere notificata alle
altre parti, può chiedere l‟intervento del giudice che aveva emesso l‟ordinanza rimasta
ineseguita.
RITI SPECIALI
per quasi un secolo, fino alla legge istitutiva dei tar, lo svolgimento del processo amministrativo
fu assoggettato ad una disciplina uniforme - anche in questo modo era espressa la convinzione
che ragione ed elemento caratterizzante della giurisdizione amministrativa fosse la tutela del
cittadino nei confronti dell‟amministrazione titolare di un potere. la circostanza che il ricorrente
agisse in giudizio per interessi di particolare importanza o il fatto che il giudizio potesse
incidere su atti di particolare consistenza dal punto di vista sociale o economico, risultava
tendenzialmente irrilevante.
la legge istitutiva dei tar, al suo art. 3, introdusse un primo rito speciale stabilendo che le
controversie per le operazioni elettorali fossero assoggettate alla particolare disciplina stabilita
precedentemente per i giudizi avanti alle sezioni per il contenzioso elettorale. l‟eccezione, però,
sembrava in questo caso giustificata dalla circostanza che il giudizio riguardava un evento la
cui regolarità era essenziale per il sistema democratico.
soprattutto a partire dagli anni ‟90 questo assetto subì tuttavia una serie di modifiche
sostanziali, per cui l‟assegnazione al giudice amministrativo di compiti nuovi e l‟affinamento
delle modalità di tutela favorirono l‟introduzione di una serie di discipline speciali che si
discostarono in diversi modi dalla disciplina processuale ordinaria.
le ragioni che determinarono la previsione di riti speciali furono varie: in alcuni casi la specialità
della disciplina processuale rifletteva il particolare rilievo riconosciuto ad alcune procedure
amministrative (contenzioso elettorale), in altri rispecchiava la peculiarità di certe situazioni
sostanziali rispetto alle quali si avvertiva l‟esigenza di una disciplina tipica anche nel processo
(tutela in materia di accesso e tutela nei confronti del silenzio dell‟amministrazione) – in questi
giudizi, tra l‟altro, sembrava che anche il valore riconosciuto alla pretesa del ricorrente ed il
tenore della controversia giustificassero uno svolgimento più rapido del processo; in altri casi
ancora l‟introduzione di una disciplina speciale trovava ragione essenzialmente nell‟esigenza di
accelerare la decisione per la particolare importanza di ordine economico, sociale, ecc. delle
vertenze e per evitare che la pendenza del giudizio potesse compromettere interessi importanti
dell‟amministrazione o della collettività.
prima del codice questa proliferazione era all‟origine di numerose discipline particolari; il
codice ha dunque perseguito in questo ambito un obiettivo di semplificazione, riducendo il
numero dei riti speciali, omologando talvolta discipline differenti e riconducendo molte
vertenze alla disciplina processuale generale.
non solo, il codice ha anche disciplinato per la prima volta il cumulo di domande che siano di
per sè assoggettate a riti diversi. in particolare, la legislazione precedente al codice non aveva
affrontato questa eventualità e la giurisprudenza si era orientata in genere nel senso che ogni
domanda dovesse essere trattata secondo il suo specifico rito – con un giudizio dunque
necessariamente separato da quello delle altre. il codice invece ammette oggi la possibilità del
cumulo di domande di un identico giudizio e stabilisce in via generale la prevalenza del rito
ordinario (art. 32): nel caso di domande connesse, di cui alcune assoggettate al rito ordinario e
altre assoggettate ai riti speciali, l‟intero giudizio deve essere trattato e definito secondo le
regole del rito ordinario NB questa regola generale, però, risulta di limitata nella sua portata sul
piano concreto: infatti, se una domanda è assoggettata a uno dei riti abbreviati previsti dagli
artt. 119 ss. cpa, è previsto che l‟intero giudizio debba essere definito secondo il rito speciale.
NB le disposizioni sui riti speciali hanno carattere derogatorio rispetto alla disciplina speciale
del processo amministrativo. di conseguenza, per tutto quanto non diversamente disposto,
anche alle controversie assoggettate ai riti speciali, si applicano le disposizioni del secondo libro
del codice del processo amministrativo sullo svolgimento del giudizio (art. 38).
GIUDIZIO IN MATERIA DI ACCESSO
l‟art. 116 cpa prevede una disciplina speciale per il giudizio a tutela del diritto di accesso ai
documenti amministrativi.
la l. 241/90 ha infatti riconosciuto nel nostro ordinamento il diritto all‟accesso ai documenti
amministrativi; diritto riconosciuto ai cittadini che siano titolari di un interesse qualificato per la
cui realizzazione o tutela sia utile la conoscenza di un documento amministrativo. la garanzia di
tale diritto era devoluta al giudice amministrativo e sottoposta a un rito speciale.
tra il 2000 e il 2005 veniva poi introdotta una forma di tutela alternativa a quella giurisdizionale,
per evitare sia un aggravio eccessivo di ricorsi in capo ai tar, sia il rischio che i costi di un
ricorso giurisdizionale potessero pregiudicare la garanzia del diritto di accesso: il cittadino, in
base alla riforma del 2005, può presentare un‟istanza amministrativa indirizzata alla
commissione per l‟accesso o al difensore civico e diretta ad ottenere il riesame della richiesta di
accesso non accolta dall‟amministrazione NB l‟istanza non comporta una rinuncia all‟azione
giurisdizionale: il ricorso al giudice amministrativo può essere proposto in un secondo tempo,
dopo la decisione della commissione o del difensore civico.
negli ultimi anni la disciplina dell‟accesso ai documenti amministrativi è stata profondamente
innovata ed è stato introdotto, accanto all‟accesso disciplinato dalla l. 241/90 tutt‟ora in vigore,
il c.d. accesso civico: diritto di accesso riconosciuto a chiunque, indipendentemente dalla
titolarità di un interesse particolare alla conoscenza dell‟atto e perciò senza la necessità di
dimostrare all‟amministrazione particolari requisiti di legittimazione. in particolare, per
assicurare un livello più elevato di trasparenza, il dlgs 33/2013 ha imposto una serie di obblighi
di pubblicità agli enti pubblici per determinate categorie di documenti: se la pubblicazione
venga omessa, a tutti i cittadini è riconosciuto un diritto di accesso rispetto ai documenti non
pubblicati (accesso civico semplice). più di recente poi, per promuovere la partecipazione ed il
controllo dei cittadini, è stato riconosciuto a chiunque il diritto di accedere a dati e documenti
detenuti dalle pubbliche amministrazioni ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione
obbligatoria e comunque nel rispetto della tutela di interessi giuridicamente rilevanti
individuati dalla legge (accesso civico generalizzato).
anche questo tipo di controversie sono devolute al giudice amministrativo in via esclusiva e
anch‟esse sono assoggettate al rito speciale previsto dall‟art. 116 cpa.
svolgimento del giudizio in materia di accesso
la disciplina del processo in materia di accesso è caratterizzata da vari elementi di semplificazione: si
segue il rito camerale, il ricorrente può stare in giudizio personalmente e l‟amministrazione può farsi
rappresentare e assistere in giudizio da un proprio dipendente.
il ricorso al tar deve essere proposto entro trenta giorni dalla comunicazione del rifiuto all‟accesso o
dalla formazione del silenzio dell‟amministrazione (decorsi trenta giorni dalla presentazione
dell‟istanza). entro il suddetto termine il ricorso deve essere notificato all‟amministrazione e ad almeno
uno dei controinteressati – nel caso ve ne siano più di uno il giudice dovrà ordinare l‟integrazione del
contraddittorio).
il tar decide in camera di consiglio pronunciandosi sempre con una sentenza in forma semplificata; se
accoglie il ricorso, ordina all’amministrazione l’esibizione dei documenti richiesti, senza dunque
lasciarle spazio per nuove valutazioni.
l‟appello al consiglio di stato contro le sentenze in materia di accesso è soggetto ad un termine di soli
trenta giorni dalla notifica della sentenza del tar; si svolge con le modalità previste per il giudizio di
primo grafo fermo restando il dimezzamento dei termini processuali come previsto per i giudizi soggetti
al rito camerale.
GIUDIZIO NEI CONFRONTI DEL SILENZIO
l‟art. 117 cpa disciplina il giudizio nei confronti del silenzio dell‟amministrazione che, nei casi di
accoglimento del ricorso, comporta l‟ordine del giudice nei confronti dell‟amministrazione di
provvedere. non solo, se infatti sia stata accertata anche la fondatezza della pretesa del
ricorrente a un provvedimento favorevole, il giudice, su domanda del ricorrente, può ordinare
all‟amministrazione di provvedere in un modo determinato imponendo all‟amministrazione di
adottare quel provvedimento - nel giudizio sul silenzio, pertanto, è ammessa in via generale
una sentenza che ingiunge all‟amministrazione di provvedere comunque in quella certa
situazione, ma senza nulla disporre sull‟esito finale del procedimento amministrativo; se invece
vi è stata una domanda specifica del ricorrente e se ne sussistono le condizioni, è ammessa
anche una pronuncia più incisiva che stabilisce le modalità concrete secondo cui
l‟amministrazione deve rinnovare il procedimento e che dispone quale debba esserne l‟esito
(art. 34). in questo caso, dunque, il giudizio verte non tanto sul silenzio come tale, ossia sulla
pretesa del cittadino ad ottenere una pronuncia dell‟amministrazione, quanto sulla pretesa del
cittadino ad ottenere un provvedimento favorevole – il modello è perciò quello tipico
dell‟azione di adempimento.
la possibilità di una sentenza del genere comporta però una conseguenza importante anche per
lo svolgimento del giudizio: la sentenza che ordini all‟amministrazione di provvedere in un
certo modo, infatti, può incidere anche sulla situazione giuridica di soggetti terzi. in questo
ambito, la garanzia del contraddittorio e della difesa in giudizio comporta, nel giudizio sul
silenzio, la necessità di notificare il ricorso non solo all‟amministrazione rimasta inerte, ma
anche ad almeno uno degli eventuali controinteressati (art. 117).
anche il giudizio sul silenzio si svolge secondo le forme del rito camera ed il giudice si
pronuncia sempre con una sentenza in forma semplificata.
inoltre, nel caso di accoglimento del ricorso, il giudice ordina all’amministrazione di
provvedere entro un termine congruo, di regola non superiore a trenta giorni, e può nominare
già nella sentenza un commissario che si sostituisca all‟amministrazione se essa continui a
rimanere inerte. la figura del commissario, nel giudizio sul silenzio, è però oggetto di dibattito:
è stata infatti posta in evidenza la differenza rispetto al modello riscontrabile nel giudizio di
ottemperanza in cui la nomina di un commissario è una facoltà e non una soluzione obbligata
come in questo caso; inoltre il commissario nel giudizio di ottemperanza viene nominato dal
giudice dell‟ottemperanza e il suo ruolo rispecchia la distinzione formale tra giudizio di
cognizione e giudizio di ottemperanza, cosa che nel giudizio sul silenzio non avviene in quanto
è lo stesso giudice della cognizione che ha accolto il ricorso e ordinato all‟amministrazione di
provvedere che nomina il commissario.
la peculiarità di tale disciplina è stata ricondotta da una parte della giurisprudenza alla
circostanza che nel giudizio sul silenzio la nomina del commissario realizzerebbe non tanto
l‟esigenza di un‟esecuzione di una sentenza, quanto l‟obiettivo di sostituire un organo
amministrativo rimasto inerte – il commissario in questo caso sarebbe pertanto un organo
straordinario dell‟amministrazione.
il rito speciale sul silenzio fu introdotto per la prima volta dalla l. 205/2000 che però non risolse
i problemi inerenti la disciplina della connessione del ricorso sul silenzio con altre azioni. in
particolare, si verifica tutto‟ora con frequenza che l‟amministrazione resistente, dopo la
presentazione del ricorso sul silenzio, comunichi un provvedimento formale di rigetto
dell‟istanza del cittadino, magari anche soltanto per prevenire una sentenza sfavorevole del
giudice amministrativo. in passato in questi casi la giurisprudenza prevalente sosteneva che il
giudizio sul silenzio si estinguesse perchè la sua ragione era venuta meno per effetto del
provvedimento sopravvenuto e che nello stesso tempo, proprio per il carattere speciale del rito
sul silenzio, il cittadino non potesse innestare in quel giudizio l‟impugnazione del
provvedimento sopravvenuto, ma dovesse promuovere un giudizio nuovo. il codice, invece,
per apprezzabili ragioni di economia processuale, ha ammesso che in questi stessi casi il
ricorrente possa scegliere se impugnare l‟atto sopravvenuto con un ricorso autonomo o se, al
contrario, impugnarlo con motivi aggiunti nel medesimo giudizio già in corso sul silenzio: se il
ricorrente si orienta nel secondo modo, l‟intero giudizio prosegue con rito ordinario (art. 117).
inoltre, se il silenzio comporti per il cittadino anche un danno patrimoniale, il codice ammette
che la domanda risarcitoria possa essere proposta nello stesso ricorso sul silenzio. in questo
caso, in base al principio di prevalenza del rito ordinario, il giudice può pronunciarsi secondo le
regole del rito ordinario sia sulla domanda concernente il silenzio che su quella concernente il
risarcimento dei danni; in alternativa è tuttavia consentito al giudice di decidere le due
domande distintamente, seguendo dunque i rispettivi riti – questa seconda possibilità appare
utile sul piano pratico soprattutto nell‟ipotesi che la vertenza sul silenzio risulti di più celere
definizione.
l‟art. 28 del dl 69/2013 ha introdotto anche un indennizzo da ritardo nella conclusione del
procedimento. la stessa disposizione ha previsto che col ricorso nei confronti del silenzio
dell‟amministrazione possa proporsi anche la domanda per l‟indennizzo. in questo caso, però,
entrambe le domande sono trattate con il rito camerale e la decisione è assunta sempre con
sentenza in forma semplificata.
DECRETO INGIUNTIVO
il codice di procedura civile, all‟art. 633 ss., disciplina il procedimento d‟ingiunzione: chi è creditore di
una somma liquida di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili, o ha diritto alla consegna
di una cosa mobile determinata può, in alternativa rispetto al giudizio ordinario di cognizione, avvalersi
di questo procedimento monitorio. se fornisce una prova scritta del suo credito può ricorrere al giudice
chiedendo che sia ingiunto all‟obbligato di provvedere al pagamento della somma e alla consegna delle
cose; il giudice, sulla base di una cognizione sommaria, provvede senza necessità di contraddittorio, con
semplice decreto. la parte cui è stato notificato il decreto ingiuntivo può proporre opposizione entro un
termine perentorio: se non è proposta il decreto acquista l‟efficacia del giudicato, viceversa si apre un
normale giudizio di cognizione sulla pretesa del creditore.
l‟estensione della giurisdizione esclusiva negli ultimi anni del „900 ha comportato l‟esigenza di
ammettere pronunce di questo genere anche nel processo amministrativo: le ingiunzioni sono
infatti importanti per la tutela dei diritti patrimoniali in quanto consentono al creditore di
acquistare un titolo esecutivo in modo più semplice e più celere che attraverso un giudizio
ordinario.
la lacuna fu colmata dalla l. 205/2000, che introdusse una disciplina specifica per le ingiunzioni
nel processo amministrativo proprio a garanzia dei diritti soggettivi a natura patrimoniale
nelle vertenze devolute alla giurisdizione esclusiva.
il codice all‟art. 118 ha confermato l‟istituto del decreto ingiuntivo, ammettendolo nel processo
amministrativo nei casi previsti dall‟art. 633 ss. cpc: il decreto ingiuntivo può essere richiesto da
chi sia creditore di una somma liquida di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili,
o da chi abbia diritto alla consegna di cose mobili determinate, e che fornisca del suo diritto
un‟idonea prova scritta.
il ricorso va depositato presso il tar competente e su di esso si pronuncia con decreto, apposto in calce al
ricorso, il presidente del tar o un magistrato da lui delegato. una volta emesso il decreto, unitamente al
ricorso, deve essere notificato dalla parte al debitore. nei confronti del decreto è ammessa opposizione
da proporsi con ricorso al medesimo tar, da notificare alla controparte nel termine di quaranta giorni
decorrenti dalla notifica del ricorso stesso.
RITO ABBREVIATO
l‟art. 119 cpa disciplina una serie cospicua di ricorsi che investono atti di particolare importanza
amministrativo, economica o sociale. in questi casi il legislatore ha voluto prevenire il pericolo
che l‟attività amministrativa possa essere rallentata o sospesa a lungo per la pendenza del
giudizio, in attesa di una decisione del giudice, con danni gravi sia per gli interessi patrimoniali
dell‟amministrazione che per l‟intera collettività.
in alcuni casi, come in materia di espropriazioni e di opere pubbliche, le ragioni di celerità del
giudizio avevano già comportato da tempo l‟adozione di discipline peculiari; in altri casi le
ragioni di celerità si sono affermate più di recente in relazione a processi di privatizzazione o di
liberalizzazione di settori economici o anche solo per circostanze contingenti.
prima del codice la materia era disciplinata principalmente dall‟art. 23bis legge tar introdotto
dalla l. 205/2000; anche in questo caso il codice ha reso più organica la disciplina e ha chiarito
una serie di profili attinenti soprattutto di termini processuali, precedentemente controversi.
l‟elemento comune a queste controversie è l‟accelerazione dei tempi del processo e della
decisione, che ha ispirato il nome dell‟intera categoria: rito abbreviato.
il rito abbreviato previsto dall‟art. 119 cpa riguarda, innanzitutto, i ricorsi proposti contro
provvedimenti in tema di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture; concerne inoltre i
ricorsi al giudice amministrativo contro gli atti delle autorità amministrative indipendente, i
ricorsi inerenti procedure espropriative o di occupazione d‟urgenza, i ricorsi contro le
ordinanze adottate nelle situazioni di urgenza dichiarate in base alla legge sulla protezione
civile e , tra i più importanti, anche i ricorsi contro determinati ordini di provvedimenti
concernenti gli impianti e le infrastrutture maggiori in materia di energia elettrica e di gas (…)
NB si noti che in molti di questi casi e di altri non citati il giudice amministrativo ha
giurisdizione esclusiva.
l‟obiettivo di accelerare il giudizio è perseguito innanzitutto con la riduzione a metà di tutti i
termini processuali ad eccezione di quelli stabiliti per la notifica del ricorso principale, del
ricorso incidentale e dei motivi aggiunti (art. 119).
l‟obiettivo di celerità è perseguito inoltre nella fase cautelare del giudizio, per evitare che una
misura cautelare possa determinare una paralisi per l‟attività amministrativa e cosi pregiudicare
interessi pubblici primari. nelle controversie in esame, infatti, se sia stata richiesta una misura
cautelare, il tar, nella camera di consiglio fissata per l‟esame dell‟istanza, se sussistono i
presupposti di fumus boni juris (probabilità che il ricorso sia accolto) e di periculum in mora
(rischio di un danno grave e irreparabile), dispone con ordinanza che la discussione del ricorso
nel merito si tenga nella prima udienza successiva alla scadenza di trenta giorni dal deposito
dell‟ordinanza stessa.
la fissazione dell‟udienza di discussione a cosi breve distanza dalla presentazione del ricorso
dovrebbe assorbire, in genere, l‟interesse del ricorrente ad una misura cautelare. tuttavia, la
possibilità di una tutela cautelare non può essere esclusa del tutto, in quanto lo stesso art. 119
cpa prevede che in caso di estrema gravità e urgenza il collegio può disporre subito le misure
cautelari opportune.
infine, il, dispositivo della sentenza è pubblicato entro sette giorni dopo che il collegio abbia
maturato la decisione del ricorso purchè almeno una parte ne abbia fatto richiesta nel corso
dell‟udienza; in questo caso il collegio potrà provvedere in un primo tempo al deposito del solo
dispositivo e in un secondo tempo al deposito della motivazione NB la pubblicazione del
dispositivo della sentenza produce tutti gli effetti caducatori e ripristinatori propri della
pubblicazione della sentenza.
proprio in conseguenza di tale disciplina è consentito alla parte interessata di proporre l‟appello
al consiglio di stato direttamente nei confronti del dispositivo della sentenza entro trenta giorni
dalla sua pubblicazione, al fine di ottenerne la sospensione. in questo caso la parte ha l‟onere di
notificare in una secondo tempo i motivi d‟appello, una volta conosciuta la motivazione della
sentenza NB l‟impugnazione del dispositivo configura comunque una mera facoltà, pertanto la
parte può scegliere di attendere di conoscere la motivazione della sentenza e impugnare
dunque successivamente alla pubblicazione del solo dispositivo.
all‟appello si applica la disciplina stabilita per il giudizio di primo grado.
GIUDIZIO SULLE PROCEDURE CONTRATTUALI
la disciplina del rito abbreviato di cui sopra, come detto, è estesa alle controversie concernenti
gli atti delle procedure di affidamento di contratti di concessioni e di appalti di lavori, servizi e
forniture (art. 119): contratti che l‟amministrazione stipula per la realizzazione di lavori pubblici
o per l‟acquisizione di beni o servizi, preceduti di regola da un‟apposita procedura
amministrativa di aggiudicazione. tali contratti vengono comunemente designati con il termine,
seppur improprio, di contratti pubblici.
le controversie in esame, oltre che alle disposizioni sul rito abbreviato, sono assoggettate anche
a disposizioni del tutto particolari (art. 120 ss.) riconducibili in ampia misura ad una direttiva
comunitaria del 2007 che perseguiva l‟obiettivo di rendere più efficace la tutela giurisdizionale
delle imprese nelle vertenze in materia di appalti pubblici, introducendo e potenziando una
serie di istituti di garanzia.
la direttiva comunitaria di cui sopra è stata recepita nel nostro paese nel 2010; pochi mesi dopo
entrava in vigore il codice del processo amministrativo che cerò, come al solito, di amalgamare
meglio la disciplina processuale di questi giudizi con quella generale. tuttavia, il risultato di
questo intento legislativo non è sempre stato convincente: in particolare, per alcuni aspetti
riguardanti la dichiarazione di inefficacia del contratto, la normativa nazionale non è risultata
del tutto coerente con la direttiva comunitaria - come la corte di giustizia non ha mancato di
rimarcare; inoltre, talune previsioni sui termini processuali determinano rispetto alla disciplina
ordinaria una disomogeneità che non era imposta dalle norme comunitarie; infine, l‟auspicio
iniziale di definire un quadro stabile della disciplina processuale in discorso, è stato presto
disatteso. sono infatti intervenute ulteriori modifiche legislative, in particolare ad opera del
nuovo codice dei contratti pubblici, con previsioni poi oggetto di ulteriori ripensamenti.
NB la disciplina processuale in esame si estende anche alle controversie concernenti le
procedura per l‟affidamento dei contratti pubblici da parte di soggetti privati che, in forza di
una disposizione nazionale o comunitaria, siano tenuti ad applicare per le loro attività
contrattuali le procedure stabilite per l‟amministrazione.
la specialità del processo amministrativo nelle controversie in esame rispecchia vari ordini di
esigenze: in primis un‟esigenza di urgenza, per certi versi anche maggiore rispetto a quella
riscontrabile nell‟ambito dei riti abbreviati di cui all‟art. 119, che si presenta come esigenza di
rafforzamento della tutela processuale del concorrente illegittimamente escluso o pretermesso;
nonchè un‟esigenza di effettività, che impone di assicurare una stretta coerenza tra la disciplina
del processo e la successiva attività dell‟amministrazione – di conseguenza le disposizioni in
materia non riguardano solo lo svolgimento del processo, ma anche gli effetti della sentenza e i
poteri del giudice.
gli elementi più significativi di questa disciplina sono i seguenti:
 termine dilatorio di 35 giorni dalla comunicazione dell‟aggiudicazione definitiva agli altri
concorrenti prima di procedere alla stipula del contratto con il relativo concorrente scelto.
questo termine dilatorio è stato previsto per consentire alle parti interessate di proporre
ricorso prima che il contratto sia stato stipulato e che sia dato inizio alla prestazione
contrattuale.
 le controversie in oggetto possono essere oggetto soltanto di ricorso al giudice
amministrativo. l‟esclusione del ricorso straordinario si spiega non solo con la specialità della
disciplina processuale, ma anche con la peculiarità dei poteri attribuiti al giudice
amministrativo in questi giudizi.
 il ricorso per l‟annullamento di atti della procedura contrattuale va notificato entro un
termine di trenta giorni ≠ sessanta giorni è la regola generale.
 la notifica del ricorso che sia stato proposto contro l‟aggiudicazione di un contratto pubblico
o che contenga l‟istanza cautelare ha un effetto sospensivo: di regola, infatti,
l‟amministrazione per venti giorni dalla notifica non può stipulare il contratto.
 eventuali nuovi atti attinenti alla medesima procedura di gara vanno impugnati con i motivi
aggiunti. in questo caso la norma configura un vero e proprio onere di proporre motivi
aggiunti, anzichè un ricorso separato – appare tuttavia irragionevole che l‟impugnazione con
ricorso separato possa essere dichiarata, solo per questa ragione, inammissibile e si deve
quindi ritenere che la riunione dei ricorsi sia comunque consentita, con effetti sananti.
 se sia stata proposta istanza cautelare, il giudizio può essere definito nella fase cautelare
secondo le regole generali.
 l‟udienza di discussione è fissata d‟ufficio, senza dunque la necessità dell‟istanza della parte,
entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione
dell‟amministrazione e dei controinteressati.
 entro trenta giorni dall‟udienza di discussione deve essere depositata la sentenza. come
avviene nel rito abbreviato, ciascuna parte può chiedere che sia pubblicato anticipatamente il
dispositivo, che in tal caso va pubblicato entro due giorni dall‟udienza – anche in questo caso
nei confronti del dispositivo la parte può proporre l‟appello per ottenere una misura
cautelare ai sensi dell‟art. 119.
 la sentenza, di regola, è redatta in forma semplificata.
CONTENZIOSO ELETTORALE
il contenzioso elettorale preso in considerazione nel codice del processo amministrativo
concerne lo svolgimento delle operazioni elettorali per le elezioni amministrative, regionali e
dei rappresentanti italiani al parlamento europeo – per tali elezioni il giudice ordinario è invece
competente per le questioni inerenti al diritto di elettorato attivo e passivo; per le elezioni
politiche, invece, le vertenze inerenti allo svolgimento delle operazioni elettorali sono riservate
ancora oggi alla camera della cui elezione si tratta.
il codice ha delineato due ordini diversi di contenzioso elettorale di competenza del giudice
amministrativo: il contenzioso relativo ad atti del procedimento preparatorio per le elezioni
amministrative e regionali (art. 129) e il contenzioso relativo alle operazioni elettorali (art. 130).
in entrambi i casi il giudice amministrativo esercita i poteri previsti per la giurisdizione di
merito e può perciò adottare atti in sostituzione di quelli dell‟amministrazione dichiarati
illegittimi. è esclusa invece l‟esperibilità del ricorso straordinario (art. 128).
la distinzione tra i due ordini di contenzioso è dovuta al fatto che tradizionalmente il
contenzioso elettorale davanti al giudice amministrativo era ammesso solo nei confronti
dell‟atto di proclamazione degli eletti in quanto atto conclusivo del procedimento elettorale; di
conseguenza sembrava che anche eventuali contestazioni contro l‟esclusione di un candidato o
di una lista dalla competizione elettorale potessero essere promosse solo dopo la conclusione
del procedimento impugnando l‟atto lesivo unitamente alla proclamazione degli eletti. più di
recente nella giurisprudenza sono maturati orientamenti divergenti in quanto la soluzione
tradizionale pregiudicava pesantemente le aspettative delle liste escluse e poteva comportare
più spesso la necessità di ripetere le operazioni di voto.
questi argomenti hanno trovato accoglimento nella giurisprudenza costituzionale e sono stati
recepiti nel codice che ha infatti introdotto un rito speciale contro gli atti di esclusione di liste o
candidati dalle elezioni amministrative comunali, provinciali e regionali, nonchè per il
parlamento europeo.
in questo caso il ricorso è proposto al tar competente dai delegati che rappresentano la lista esclusa o dai
singoli candidati esclusi entro un termine molto breve (tre giorni dalla pubblicazione o comunicazione
dell‟atto impugnato) – la brevità dei termini è dovuta all‟esigenza di assicurare che la pendenza del
giudizio non impedisca lo svolgimento delle elezioni nei tempi previsti.
il ricorso è ammesso soltanto nei confronti dell‟atto di esclusione della lista o dei candidati; contro gli atti
di ammissione di liste o contro qualsiasi altro atto preparatorio del procedimento elettorale, il ricorso
può essere invece proposto solo dopo la conclusione del procedimento, impugnando dunque anche
l‟atto di proclamazione degli eletti.
il ricorso contro l‟esclusione è soggetto a modalità di notifica particolari, ispirate anch‟esse a particolare
celerità ed essenzialità e, una volta depositato, entro termini molto stretti è discusso in pubblica udienza,
senza che siano ammessi rinvii; il collegio decide all‟esito dell‟udienza con sentenza in forma
semplificata.
l‟appello è soggetto a un rito analogo a quello del giudizio di primo grado, ma con termini molto stretti.
il giudizio relativo alle operazioni elettorali (art. 130) concerne invece qualsiasi altro atto del
procedimento successivo all‟indizione dei comizi elettorali.
può essere proposto solo dopo la conclusione del procedimento elettorale ed oggetto di
impugnazione deve essere anche l‟atto di proclamazione degli eletti; legittimato a ricorrere,
oltre che il candidato interessato, è qualsiasi elettore dell‟ente interessato dalle elezioni – si
tratta infatti di un‟azione popolare; per agevolare la tutela giurisdizionale è consentito al
ricorrente stare in giudizio personalmente.
il giudizio è introdotto con un ricorso che va depositato al tar competente entro trenta giorni dalla
proclamazione degli eletti. subito dopo il deposito del ricorso il presidente del tar fissa d‟ufficio
l‟udienza di discussione; solo a questo punto il ricorso, con decreto di fissazione dell‟udienza, va
notificato all‟ente della cui elezione si discute e ad almeno uno dei controinteressati.
il ricorso può riguardare qualsiasi vizio del procedimento elettorale che possa aver determinato
un‟alterazione nell‟individuazione degli eletti. il tar, se accoglie il ricorso, può disporre la
rettifica dei risultati elettorali, anche con la sostituzione degli eletti.
la sentenza è soggetta a particolari forme di pubblicità ed a comunicazione d‟ufficio alle parti.
nei suoi confronti l‟appello al consiglio di stato va proposto in un termine breve di soli venti giorni. in
caso di appello l‟udienza di discussione è fissata in via d‟urgenza. il giudizio di secondo grado si svolge
secondo le regole del rito ordinario.
IL GIUDICATO AMMINISTRATIVO E L’ESECUZIONE DELLA SENTENZA
GIUDICATO AMMINISTRATIVO
il passaggio in giudicato di una sentenza del giudice amministrativo si ha quando nei confronti
di essa non è più ammessa un‟impugnazione ordinaria (appello al consiglio di stato, ricorso alla
corte di cassazione per motivi di giurisdizione e revocazione nei casi previsti dall‟art. 395 nn. 4 e
5 cpc); nei confronti della sentenza del giudice amministrativo passata in giudicato sono
proponibili solo il ricorso per revocazione nei casi previsti dall‟art. 395 nn. 1, 2, 3, e 6 cpc e
l‟opposizione di terzo.
per valutare quali effetti comporti il passaggio in giudicato della sentenza del giudice
amministrativo si suole distinguere tra un giudicato solo interno e un giudicato anche esterno:
nel primo caso la sentenza comporta un vincolo solamente rispetto alle ulteriori fasi di quel
giudizio; nel secondo caso la sentenza comporta un vincolo anche rispetto a giudizi diversi che
possano instaurarsi tra le medesime parti e nei quali assuma rilevanza la medesima questione –
normalmente le sentenze di rito comportano solo vincoli interni, mentre le sentenze di merito
sono caratterizzate dalla loro idoneità a comportare vincoli anche esterni.
con riferimento ai limiti oggettivi del giudicato, è sorta una discussione riguardante l‟azione di
annullamento e, in particolare, riferita alle sentenze sulle condizioni generali dell‟azione e alle
sentenze che dichiarano la cessazione della materia del contendere: le sentenze che si
pronuncino su questi due punti, producono un giudicato interno o anche esterno?
rispetto alle sentenze sulle condizioni dell‟azione, la cui classificazione è stata oggetto di
discussione anche nel processo civile, è stato osservato che esse in realtà fanno applicazione di
regole di diritto sostanziale; di conseguenza la sentenza che dichiara inammissibile un ricorso
per mancanza di legittimazione a ricorrere non avrebbe per oggetto solo un fatto processuale,
ma riguarderebbe anche l‟insussistenza della posizione sostanziale dedotta nel giudizio – si
parla dunque di un giudicato esterno.
analoghe considerazione varrebbero per la cessazione della materia del contendere, che viene
dichiarata dal giudice amministrativo se nel corso del giudizio la pretesa del ricorrente risulti
pienamente soddisfatta. anche in questo caso si sostiene che l‟accertamento compiuto dal
giudice non riguarderebbe un mero fatto processuale, ma si estenderebbe a profili di ordine
diverso, rappresentati dall‟idoneità del nuovo provvedimento a soddisfare l‟interesse
sostanziale del ricorrente – tale tesi sembra accolta anche nel codice che tratta della cessazione
della materia del contendere all‟art. 34 a proposito delle sentenze di merito e non nel successivo
art. 35 dedicato alle sentenze di rito.
con riferimento invece ai limiti soggettivi del giudicato, una parte della giurisprudenza
amministrativa ritiene che il giudicato amministrativo di regola valga solo tra le parti, i loro
successori e aventi causa (art. 2909 cpc), ma che nel caso di annullamento dell‟atto impugnato,
se si tratta di atto amministrativo con contenuto inscindibile o indivisibile, il giudicato varrebbe
nei confronti di tutti i soggetti destinatari degli effetti dell‟atto annullato. tale conclusione si
basa sull‟argomento che, trattandosi appunto di provvedimento con un contenuto inscindibile,
non si potrebbe ammettere la vigenza degli effetti del provvedimento con riferimento ad alcuni
soggetti e non con riferimento agli altri – nelle pronunce più recenti questa conclusione viene
precisata con l‟affermazione che l‟efficacia ultra partes del giudicato riguarderebbe solo gli effetti
eliminatori o caducatori della sentenza di annullamento e non anche gli effetti ripristinatori e
conformativi. tuttavia, a questa giurisprudenza si oppone chi propone di affrontare i problemi
creati dall‟annullamento di atti indivisibili attraverso la distinzione generale tra effetti
dell‟annullamento e autorità del giudicato: la sentenza di annullamento di un provvedimento
con effetti inscindibili travolte tutte le utilità assegnato dall‟atto annullato e quindi coinvolge
necessariamente anche tutti i soggetti che ne fossero titolari; diverso è invece il tema del
giudicato e cioè dei vincoli che esso comporta: il giudicato ha autorità (fa stato) solo tra le parti
processuali (nonchè i loro eredi o aventi causa); di conseguenza, a quanti non siano anche stati
parti nel giudizio non potrebbe essere opposto il giudicato, ma potrebbero comunque risentire
degli effetti dell‟annullamento: in un successivo giudizio la questione inerente la legittimità del
provvedimento e la lesione dell‟interesse legittimo potrebbe senz‟altro essere riproposta da essi
senza che possa essere opposto nei loro confronti il passaggio in giudicato della precedente
sentenza di annullamento.
ESECUZIONE DELLA SENTENZA
la sentenza del tar (parziale o definitiva) è immediatamente esecutiva: questa regola, già
enunciata nella legge istitutiva dei tar, è confermata anche nel codice all‟art. 33 e vale per
qualsiasi tipologia di sentenza: se non intervenuta la sospensione della sentenza
l‟amministrazione è tenuta a dare esecuzione alla pronuncia del giudice adottando tutti i
comportamenti e gli atti necessari per portare a compimento quanto in essa disposto.
in proposito vanno presi in considerazione i vari ordini di effetti delle sentenze. in particolare,
nel caso della sentenza di annullamento, l‟accertamento dell‟illegittimità dell‟atto impugnato, in
relazione ai vizi dedotti nel giudizio, non esaurisce la propria rilevanza nell‟effetto eliminatorio
o in quello ripristinatorio, ma condiziona anche la rinnovazione del procedimento. tale fase di
rinnovazione del potere amministrativo dopo l‟annullamento risulta di particolare rilievo
quando il giudizio abbia riguardato l‟impugnazione di un provvedimento negativo o un‟ipotesi
di silenzio: in queste ipotesi, infatti, l‟interesse legittimo del cittadino è assicurato solo
attraverso l‟esercizio del potere da parte dell‟amministrazione dopo la sentenza.
il dovere dell‟amministrazione di dare esecuzione alla sentenza di annullamento si confronta
talvolta con un mutamento del quadro normativo che disciplina la materia oggetto del giudizio:
le c.d. sopravvenienze. si pensi infatti all‟impugnazione di un diniego illegittimo di
autorizzazione, quando nel corso del giudizio o dopo la sentenza venga modificata la disciplina
per quell‟autorizzazione, con la conseguenza che essa non potrebbe più essere rilasciata. ragioni
di effettività della tutela giurisdizionale indurrebbero a sostenere che, in casi del genere,
l‟amministrazione sia tenuta a provvedere ora per allora, ossia a riesaminare la domanda del
cittadino già illegittimamente respinta e a dare esecuzione alla sentenza di annullamento
applicando la disciplina in vigore all‟epoca della domanda stessa; la giurisprudenza invece
sostenne a lungo che l‟amministrazione non poteva prescindere dall‟applicazione della
disciplina sopravvenuta perchè il principio tempus regit actus non ammetterebbe eccezioni. in un
secondo tempo però il consiglio di stato temperò questa conclusione e sostenne che le
sopravvenienze prevalgono solo se precedenti alla notifica della sentenza di primo grado – le
modifiche successive vanno invece considerati irrilevanti e non possono essere opposte al
dovere di eseguire la sentenza.
altra giurisprudenza, invece, sostiene che le sopravvenienze possano incidere anche dopo il
passaggio in giudicato della sentenza, ma solo sui profili dell‟attività amministrativa non
vincolati dalla sentenza stessa. in termini più generali: la sentenza di annullamento non
preclude di regola un nuovo esercizio del potere amministrativo; il dovere per
l‟amministrazione di eseguire la sentenza comporta soltanto il dovere di attenersi, nell‟esercizio
di quel potere, alle statuizione contenute nella sentenza e perciò il dovere di non riprodurre i
vizi che hanno determinato l‟annullamento – in questo modo si profila concretamente però il
rischio di una serie indefinita di pronunce di annullamento e di nuovi provvedimenti.
nella giurisprudenza, per rimediare a questo pericolo, sono stati proposti alcuni temperamenti.
in particolare, l‟adunanza plenaria ha sostenuto che, in seguito ad un annullamento
giurisdizionale, l‟amministrazione che adotti un nuovo provvedimento, debba dimostrarsi
consapevole dell‟erroneità del provvedimento precedente e perciò debba darsi carico con
attenzione delle ragioni e degli interessi del ricorrente, ispirando il procedimento a canoni di
leale cooperazione col cittadino in coerenza con il principio di buona fede. ciò significa, in
termini pratici, che dopo una sentenza di annullamento graverebbe sull‟amministrazione un
dovere particolare di condotta che le imporrebbe non solo di operare con lealtà nei confronti del
cittadino, ma anche di dimostrare l‟osservanza di questo dovere nei suoi nuovi provvedimenti.
una parte della giurisprudenza ha anche elaborato una regola formale e sostiene che
l‟amministrazione, dopo l‟annullamento, potrebbe riesercitare pienamente il potere solo una
volta, con l‟onere di riesaminare la pratica in ogni suo profilo e di sollevare in quella sede, una
volta per tutte, ogni questione ritenuta rilevante; dopo tale riesercizio non potrebbe più
decidere in senso sfavorevole nei confronti del cittadino, neppure in relazione a profili che
possano risultare non ancora esaminati – pertanto nel caso di annullamento del nuovo
provvedimento le sarebbe precluso di invocare argomenti nuovi per adottare ancora un
provvedimento che riproponga lo stesso contenuto.
se la sentenza non viene eseguita spontaneamente è previsto un giudizio di esecuzione, che si
svolge davanti al giudice amministrativo e che prende il nome di giudizio di ottemperanza: la
sua funzione è quella di permettere alla parte risultata vittoriosa di dare esecuzione ad una
sentenza, pronunciata nel processo amministrativo, qualora la pubblica amministrazione non
abbia adempiuto spontaneamente.

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