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PROCEDURA CIVILE – LEZIONE 16/09

Il nostro corso di diritto processuale civile ha ad oggetto i metodi di risoluzione delle


controversie, ovvero delle crisi di cooperazione che si possono verificare tra i cittadini. Per
disegnare un quadro completo, diciamo che i sistemi di risoluzione delle controversie sono
di vario tipo; l’oggetto di questo corso è la tutela giurisdizionale dei diritti che chiama in
causa un apparato dello Stato, la magistratura, titolare appunto della funzione
giurisdizionale. Ma ci sono anche altri sistemi di risoluzione delle controversie, i cosiddetti
sistemi alternativi di risoluzione delle controversie (alternative dispute resolution) come la
mediazione o l’arbitrato, quest’ultimo presuppone un accordo fra privati (ma anche aziende,
imprese o società) e attraverso questo accordo le parti decidono di portare le proprie liti di
fronte ad un privato o un collegio di privati vincolandosi a rispettare il dictum, cioè la
decisione che sarà assunta dall’arbitro o dagli arbitri. Esistono vari tipi di arbitrato →
l’arbitrato rituale, l’arbitrato irrituale (il primo è stato oggetto di importanti riforme nel corso
degli anni e probabilmente questo provvedimento, il cosiddetto lodo, emanato dall’arbitro
ha rilevanza di tipo giurisdizionale).
L’oggetto di questo corso è la tutela giurisdizionale dei diritti, che come già accennato
chiama in causa quell’apparato dello Stato, la magistratura, titolare della funzione
giurisdizionale e che rappresenta una delle funzioni fondamentali dello Stato. Il corso non
può che prendere avvio dalla lettura delle disposizioni che alla giustizia civile dedica la Carta
Costituzionale e in modo particolare partiamo dalle disposizioni contenute nel Titolo IV della
seconda parte (si tratta delle disposizioni dall’art. 101 fino all’art. 113 che sono dedicate
proprio alla magistratura). Abbiamo una prima sezione dedicata all’ordinamento
giurisdizionale, mentre la seconda sezione è dedicata alle norme sulla giurisdizione. Diciamo
subito che norme relative alla giustizia si rinvengono anche in altre parti della Costituzione,
come l’art. 24 che è contenuto però nella parte prima e introduce dei principi fondamentali
come nel primo comma nel quale sancisce il diritto di azione, il principio di effettività della
tutela; ma anche il secondo comma non è da meno perché sancisce il diritto di difesa (la
difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento), così come il terzo comma
riguarda ugualmente il diritto di difesa in una accezione sostanziale poiché prevede
l’assistenza ai non abbienti. Ancora l’articolo 25, sempre fra i diritti e doveri dei cittadini,
contempla la garanzia del giudice naturale precostituito per legge (= principio che presidia
la terzietà del giudice, il concetto è che non possiamo andare a scegliere il giudice
favorevole, è la legge che deve predeterminare i criteri in base ai quali si individua il giudice
che dovrà trattare una certa controversia prima ancora che essa sia sorta).
Partiamo dal Titolo IV, cioè dagli articoli 101 e seguenti, che sono dedicati a quell’apparato
dello Stato che è la magistratura, titolare in via tendenzialmente esclusiva della funzione
giurisdizionale. L’art. 101 prevede al primo comma che “la giustizia è amministrata in nome
del popolo”; il secondo comma prevede che “i giudici sono soggetti soltanto alla legge”;
andando avanti e leggendo l’art. 111 comma 2 troviamo scritto che “ogni processo di svolge
nel contradditorio tra le parti (in condizioni di parità) davanti ad un giudice terzo e
imparziale” → combinando tali disposizioni possiamo formulare una prima definizione di
giurisdizione. La giurisdizione è una funzione statale che è espressione della sovranità
popolare il cui esercizio è diffuso fra una pluralità di giudici, terzi e imparziali, e che sono
soggetti soltanto alla legge. Qual è il contenuto della giurisdizione? È quanto stabilito
nell’art. 24 comma 1 della Costituzione → la tutela giurisdizionale come tutela effettiva delle
situazioni giuridicamente rilevanti. La norma parla di diritti e di interessi legittimi, ma non la
dobbiamo intendere in senso stretto bensì come un riferimento a qualsivoglia situazione
giuridicamente rilevante (a prescindere dalla struttura della stessa).
L’art. 102 prevede che la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti
e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Al secondo comma prevede che non
possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali, possono soltanto istituirsi
presso gli organi giudiziari ordinari, sezioni specializzate per determinate materie, anche con
la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. E infine le legge regola i casi
e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia.
Il primo comma dell’art. 102 sembrerebbe affermare il principio di unicità della giurisdizione.
A questa disposizione possiamo correlare quanto previsto dall’art. 1 del c.p.c, laddove
stabilisce che la giurisdizione civile (salvo speciali disposizioni di legge) è esercitata dai giudici
ordinari secondo le norme del presente codice. In questa stessa direzione sembrerebbe
militare il secondo comma dell’art. 102, laddove pone in maniera chiara il divieto di
istituzione di giudici straordinari e giudici speciali. Cosa sono i giudici straordinari e i giudici
speciali? Si tratta in entrambi i casi di giudici che vengono istituiti con riferimento a gruppi
determinati di controversie, si parla quindi di giudici ad hoc. C’è però una differenza
fondamentale perché il giudice straordinario è un giudice che viene istituito ex post, cioè è
un giudice istituito con riferimento ad una controversia che è già sorta; mentre il giudice
speciale è un giudice che viene istituito ex ante, quindi prima che la controversia sia sorta.
Per comprendere esattamente la scelta che l’ordinamento italiano ha effettuato dobbiamo
dare immediata lettura alla norma successiva, l’art. 103. Leggiamo che il Consiglio di Stato e
gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della
pubblica amministrazione e gli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge,
anche dei diritti soggettivi. Secondo comma = la Corte dei Conti ha giurisdizione nelle
materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. Terzo comma = i tribunali
militari, in tempo di guerra, hanno la giurisdizione stabilita dalla legge; in tempo di pace
hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate.
In verità, quelli richiamati dall’art. 103 sono giudici speciali (giudici ad hoc, istituiti con
riferimento a gruppi determinati di controversie). Quando si parla di “Consiglio di Stato e gli
altri organi di giustizia amministrativa” evidentemente si parla dei giudici amministrativi; “gli
altri organi di giustizia amministrativa” sono i TAR (tribunali amministrativi regionali). I TAR
rinvengono la propria previsione nell’art. 125 della Carta, è una norma inserita fra quelle che
si occupano degli enti locali (regioni, province e comuni) → il primo comma è stato abrogato
mentre il secondo è rimasto in vigore e prevede che nella Regione sono istituiti organi di
giustizia amministrativa di primo grado secondo l’ordinamento stabilito da legge della
Repubblica.
La cosiddetta giurisdizione amministrativa si articola in:
- Primo grado, nei TAR, che hanno sede tendenzialmente nei capoluoghi di Regione
- Secondo e ultimo grado, nel Consiglio di Stato, che ha una sede unica a Roma.

Di che cosa si occupa il giudice amministrativo? Si occupa delle controversie fra cittadino e
pubblica amministrazione, ma non in via assoluta. Nel nostro ordinamento le controversie
che contrappongono cittadino e PA si ripartiscono fra il giudice civile e il giudice
amministrativo. Qual è allora il criterio di riparto? È la situazione giuridica dedotta in giudizio
dal cittadino, cioè è la posizione che il cittadino fa valere nei confronti della PA, perché come
chiarisce l’art. 103 comma 1, se il cittadino è portatore di una situazione di interesse
legittimo, la giurisdizione appartiene al giudice amministrativo (si va di fronte al TAR),
viceversa se il cittadino è portatore di una situazione di diritto soggettivo, la giurisdizione
appartiene al giudice civile. A questa che è la regola generale si contrappongono alcune
eccezioni che troviamo richiamate nella seconda parte di questo primo comma dell’art. 103
e sono le ipotesi di giurisdizione esclusiva, cioè particolari materie, tassativamente indicate
dalla legge, in cui eccezionalmente il giudice amministrativo ha una giurisdizione totale (a
prescindere da se il cittadino è titolare di un diritto o di un interesse legittimo). È un sistema
piuttosto articolato che ha una giustificazione storica.
Il giudice amministrativo, che è un giudice molto importante, è un giudice cosiddetto
speciale.
Art. 103 comma 2 → prevede la Corte dei Conti che si occupa della giurisdizione contabile e
pertanto ha giurisdizione con riferimento alle materie della contabilità pubblica.
In base al terzo comma abbiamo i Tribunali militari, i quali hanno una giurisdizione che in
tempo di guerra è delimitata dalla legge, mentre in tempo di pace riguarda soltanto i reati
militari commessi da appartenenti alle forze armate.
Dobbiamo dire che i giudici speciali non sono soltanto quelli contemplati nell’art. 103, infatti
in fondo alla Costituzione troviamo le cosiddette Disposizioni transitorie tra le quali è
interessante quanto previsto nella sesta disposizione transitoria, laddove si legge che entro
5 anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali
di giurisdizione attualmente esistenti salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte
dei Conti e dei Tribunali militari. Vediamo che questa disposizione transitoria da per
presupposta l’esistenza di altri organi di giurisdizione speciali → in effetti le disposizioni
transitorie sono state scritte nel momento in cui è entrata in vigore la Costituzione, quindi
all’indomani della fine della Seconda Guerra mondiale e della caduta del Regime fascista. Il
regime fascista aveva istituito un grosso numero di giudici speciali, perché si serviva di
questo strumento per assicurare sacche di privilegi e per sopprimere e soffocare alcune
classi della società. Naturalmente la grandissima parte di questi giudici speciali sorti in epoca
fascista è stata abrogata perché incompatibile con i principi della Carta costituzionale, ma
alcuni sono sopravvissuti → i più importanti sono i giudici tributari che si occupano della
giurisdizione tributaria, ovvero del contenzioso tra il cittadino e l’agenzia delle entrate (sono
le cosiddette commissioni tributarie). Ma ce ne sono anche altri che hanno uno spazio
operativo più ridotto, come per esempio all’interno dei Consigli professionali ricordiamo il
Consiglio dell’ordine forense il quale ha giurisdizione disciplinare sui propri iscritti, cioè vigila
sul rispetto da parte degli iscritti delle regole deontologiche. Questi sono tutti organi di
giurisdizione speciale.
Tornando all’art. 102, sebbene dalla lettura del primo e del secondo comma sembra potersi
ricavare il principio di cosiddetta unicità della giurisdizione, dalla lettura dell’art. 103 e della
Sesta disposizione transitoria della Costituzione si ricava che in verità l’ordinamento italiano
prevede una serie sia pure limitata di giudici speciali, per cui il principio di unicità della
giurisdizione è un principio tendenziale.
Precisazione → abbiamo detto che il nostro ordinamento in deroga al divieto sancito dal
secondo comma dell’art. 102 prevede alcuni giudici speciali, però NON ci sono giudici
straordinari perché il giudice straordinario violerebbe l’art. 25 della Cost., ovvero il principio
del giudice naturale precostituito per legge. Per fare un esempio di giudice straordinario si
richiama il Tribunale di Norimberga che venne istituito per giudicare i criminali nazisti.
Nell’ordinamento italiano i giudici straordinari non esistono.
Che differenza c’è tra giudice ordinario e giudice speciale? Non è un problema soltanto di
riparto di giurisdizione, così come non è una differenza soltanto formale; in effetti dalla
lettura della Carta Costituzionale si comprende che è una differenza importante poiché
questi due ordini di giudici assumono una diversa posizione nel nostro ordinamento. Infatti,
con riferimento alla magistratura ordinaria, la carta costituzionale afferma e disciplina un
apparato di garanzie (disciplina che evidentemente ha il rango della norma costituzionale e
che pertanto non può essere modificata se non passando attraverso un procedimento di
revisione costituzionale che richiede diversi passaggi e maggioranze molto qualificate).
Viceversa, con riferimento alle magistrature speciali, la Carta Costituzionale si limita a
sancire il principio della indipendenza, ma rimette la disciplina di questa indipendenza alla
legge ordinaria → la conseguenza è che qualsiasi modifica si voglia apportare a questa
disciplina passa attraverso un procedimento legislativo ordinario che non richiede i passaggi
e le maggioranze imposte con riferimento alla modifica delle norme costituzionali.

Andiamo ad analizzare le disposizioni che la Cost. dedica alla magistratura ordinaria → si


tratta delle disposizioni contenute negli art. 104-105-106-107. Queste non sempre parlano
in maniera espressa di magistratura ordinaria (es. l’art. 104 fa riferimento semplicemente
alla magistratura = “la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni
altro potere”). Da questa previsione si potrebbe pensare che tale norma sia riferita a tutta
la magistratura, ordinaria e speciali; ma non è cosi, infatti è pacifico che gli art. 104-105-106-
107 si applicano solo e soltanto alla magistratura ordinaria.
Un chiarimento → cosa si intende per magistratura ordinaria? È un chiarimento molto
importante perché l’espressione magistratura ordinaria nella accezione utilizzata dalla Carta
costituzionale vale a ricomprendere non soltanto i giudici (cioè giudici civili e anche giudici
penali, quindi la magistratura giudicante), infatti, nel termine magistratura ordinaria rientra
anche il Pubblico Ministero. Nel linguaggio comune e corrente il termine magistrato viene
sovrapposto a quello di giudice, tuttavia è importante sapere invece che per la Carta
costituzionale il termine magistrato comprende anche il PM → quindi tutto l’apparato di
garanzie che andiamo ad esaminare è riferito non soltanto alla magistratura giudicante, ma
anche alla magistratura cosiddetta requirente. Il PM svolge il suo ruolo fondamentale nel
processo penale, perché come affermato dall’art. 112 della Cost. è titolare in via esclusiva
dell’azione penale (è il solo che può aprire il processo penale). Non confondiamo però tra
querela e azione penale → la querela del privato serve ad avviare le indagini preliminari ma
è una fase precedente il processo penale; l’esercizio dell’azione penale è la cosiddetta
richiesta di rinvio a giudizio che passa attraverso un’autorizzazione del giudice, ma tutto ciò
che precede la richiesta di rinvio a giudizio rientra nelle cosiddette indagini preliminari.
Quindi il PM svolge il suo ruolo fondamentale nel processo penale ma vedremo ha un ruolo
(sia pure secondario e limitato ai casi espressamente previsti dalla legge) anche nel processo
civile.
Abbiamo detto che l’espressione magistratura ordinaria comprende i giudici civili, i giudici
penali e anche il pubblico ministero. Ci soffermiamo solo sul giudice civile che in base all’art.
1 del c.p.c esercita la giurisdizione civile.
Chi sono i giudici civili? L’ordine giudiziario civile si articola in tre gradi di giudizio:
- PRIMO GRADO
- SECONDO GRADO (appello)
- GIUDIZIO DI CASSAZIONE

Chi sono i giudici di primo grado? In questo momento in Italia abbiamo due giudici di primo
grado. Il giudice più importante è il Tribunale; gli uffici di Tribunale hanno sede
tendenzialmente nei capoluoghi di provincia. Il Tribunale generalmente è un ufficio molto
complesso, ha una sede principale e può avere anche una sede distaccata. All’interno del
Tribunale si distinguono diverse sezioni (sezioni civili, sezioni penali) e a ciascuna sezione
sono addetti più magistrati, quindi abbiamo uffici di Tribunale che contano centinaia di
giudici. Il Tribunale ha una competenza generale (fissata dall’art. 9 c.p.c) che attribuisce al
Tribunale una serie di competenze specifiche, ma anche una competenza residuale → infatti
dice che tutto ciò che non rientra nella competenza del giudice di pace rientra nella
competenza del Tribunale. Quindi è il giudice di primo grado per eccellenza, è un giudice
togato (quindi professionale) → i giudici di Tribunale rientrano senz’altro nella nozione di
magistratura ordinaria.
Accanto al Tribunale abbiamo un secondo giudice di primo grado che è il Giudice di Pace. È
un giudice onorario, non è togato ma rientra nella nozione di magistratura onoraria. Passa
attraverso la previsione dell’art. 106 comma 2 della Cost. = “La legge sull'ordinamento
giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le
funzioni attribuite a giudici singoli”.
I giudici di pace non rientrano nella nozione di magistratura ordinaria, non si applicano a
questi le disposizioni di cui agli artt. 104 e seguenti. Il giudice di pace viene nominato
passando attraverso un procedimento che si svolge a livello locale (a livello dei consigli
giudiziari) sotto il controllo ovviamente del CSM. Questa selezione non ha niente a che fare
con il concorso di accesso alla magistratura di cui fa menzione l’art. 106 comma 1, è una
selezione parallela, separata, alla quale possono prendere parte cittadini di età compresa
fra i 35 e i 70 anni che devono avere una laurea in giurisprudenza e che devono cessare
qualsiasi altra attività di tipo pubblico o privata. Al giudice di pace il legislatore ha affidato
un contenzioso che inizialmente era piuttosto limitato ma che nel corso degli anni si è molto
ampliato. Il Giudice di pace è stato istituito con legge 374/1991 ma è entrato in vigore
soltanto il primo maggio 1995. Perché fu istituito? Per salvare la giustizia civile, perché questi
tribunali, a seguito della abolizione dell’ufficio del Pretore, si erano trovati con dei ruoli
estremamente pieni e quindi per alleggerire il carico del giudice togato si decise di istituire
l’ufficio del Giudice di Pace, con l’idea di attribuire a questo una serie di controversie che si
ritenevano semplici (per le quali non si riteneva necessario l’intervento del giudice togato).
Inizialmente il legislatore è stato piuttosto timido, nutriva una grossa sfiducia nei confronti
del giudice di pace e per questo le competenze erano molto limitate. Con il passare degli
anni però, forse anche perché la situazione della giustizia civile è peggiorata a livello
esponenziale, il legislatore ha ampliato le competenze del giudice di pace → ha acquisito
competenze penali e poi ha visto molto aumentate le competenze civili, salvo alcuni limiti
che sono rimasti fermi (per es. il giudice di pace ancora oggi da una parte ha competenza
penale, dall’altra non può ancora emanare provvedimenti cautelari civili).
La competenza del giudice di pace la ritroviamo nell’art. 7 del c.p.c. Tale disposizione è stata
modificata in tempi relativamente recenti (si fa riferimento in nota al d.lgs. 116/2017 che è
la legge che ha riformato l’intera magistratura onoraria e che ha ampliato la competenza del
giudice di pace → tali disposizioni relative alla competenza non sono ancora entrate in vigore
poiché in parte entrano in vigore il 31 ottobre 2021 e in parte entreranno in vigore il 31
ottobre 2025).
Il giudice di pace ha una competenza limitata a quanto previsto nell’art. 7 c.p.c → tratta solo
le controversie che sono contemplate in tale articolo. In virtù di quanto detto, se una
controversia non rientra in tale elencazione la competenza appartiene sicuramente al
Tribunale.
Il giudice di pace è il secondo giudice di primo grado che non rientra nella nozione di
magistratura ordinaria in quanto giudice onorario.
L’ufficio di secondo grado è la Corte d’Appello. Le Corti di appello tendenzialmente sono
istituite nei capoluoghi di regione. La Corte d’appello è il giudice di secondo grado rispetto
ai provvedimenti del Tribunale → quindi i provvedimenti del Tribunale che tendenzialmente
avranno la forma della sentenza potranno essere impugnati di fronte alla Corte d’appello
(NB: i provvedimenti del Giudice di pace si impugnano di fronte al Tribunale, quindi è
quest’ultimo che oltre ad essere giudice di primo grado è anche giudice d’appello rispetto al
giudice di pace).
Anche la Corte d’appello è un ufficio giudiziario complesso → ci sono le sezioni civili, quelle
penali e anche alle Corti d’appello sono addetti più giudici che prendono il nome di
consiglieri (consiglieri d’appello). Essa peraltro è giudice che si pronuncia sempre in
composizione collegiale, distinguendosi dal Tribunale che invece si pronuncia come regola
generale in forma monocratica (nella persona di un giudice singolo).
Infine, abbiamo la Corte di Cassazione che ha sede unica a Roma. In verità, nel secolo scorso
di Cassazioni ve ne erano ben 5: la Cassazione di Palermo, la Cassazione di Napoli, la
Cassazione di Firenze, la Cassazione di Roma e la Cassazione di Torino (eredità questa degli
stati preunitari); ad un certo punto, sulla scia di alcuni studi compiuti da un noto processo al
civilista Piero Calamandrei (professore a Firenze di diritto processuale civile e anche Rettore
di Firenze), si decise di unificare l’ufficio della Cassazione che ha sede unica a Roma.
La Corte di cassazione è giudice di legittimità, è inserito nel sistema delle impugnazioni per
cui per accedere alla Corte di cassazione occorre impugnare la sentenza d’appello (che
tendenzialmente è una sentenza emanata dalla Corte d’appello, ma può essere anche la
sentenza del Tribunale come giudice d’appello) proponendo il cosiddetto ricorso per
Cassazione. In verità però, nel nostro ordinamento la Cassazione svolge un ruolo particolare
perché essa, in base all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario, è chiamata ad assicurare l’esatta
e uniforme interpretazione del diritto (funzione nomofilattica). Quindi è chiamata ad
assicurare l’uniformità dell’interpretazione del diritto da parte degli altri giudici. È inserita
nel sistema delle impugnazioni ma vedremo che svolge una funzione di garanzia oggettiva
(funzione nomofilattica).
Anche alla Corte di cassazione sono addetti più giudici → si parla dei consiglieri di cassazione
(sono circa 140/150 nelle sezioni civili).
Tutti questi giudici (giudici di tribunale, consiglieri d’appello e consiglieri di cassazione)
rientrano nella nozione di magistratura ordinaria.
Esaminiamo le garanzie previste per la magistratura ordinaria → ricordiamo che essa è una
nozione più ampia che comprende i giudici penali ma anche gli uffici del PM.
In base all’art. 104 comma 1 “la magistratura (sottinteso ordinaria) costituisce un ordine
autonomo e indipendente da ogni altro potere”. L’art. 104 pone le garanzie di autonomia e
indipendenza. Questi due termini, nel linguaggio corrente, siamo abituati ad usarli quasi
come sinonimi, invece in questo caso è opportuno considerare l’autonomia come una
nozione statica (cioè riferita alla magistratura come corpo), mentre invece la nozione di
indipendenza la intendiamo in un’accezione dinamica (cioè la magistratura nel momento in
cui esercita la funzione di cui è titolare, quindi la funzione giurisdizionale).
Particolarità → l’art. 104 comma 1 definisce la magistratura come ordine e lo contrappone
agli altri poteri dello Stato (successivamente capiremo il perché di tale espressione).
La caratteristica della magistratura ordinaria è che la Carta costituzionale pone una serie di
garanzie e le disciplina → è quindi la stessa Costituzione a chiarire il significato di autonomia
e indipendenza, a spiegare in che cosa consistono l’autonomia e l’indipendenza della
magistratura ordinaria.
Il termine autonomia può essere spiegato attraverso la previsione del Consiglio Superiore
della Magistratura, ovvero del cosiddetto organo di autogoverno della magistratura. L’art.
104 nei commi dal 2 fino all’ultimo si occupa delle regole di composizione del CSM, mentre
l’art. 105 si occupa delle funzioni del CSM. L’Assemblea costituente ha lavorato a lungo su
queste previsioni, era molto forte l’esigenza di creare le condizioni perché non potesse
ripetersi quanto si era verificato sotto il Regime fascista. Il Regime fascista, come regime
totalitario, per privare i cittadini della propria libertà aveva utilizzato vari strumenti, fra
questi, aveva sicuramente imbavagliato la magistratura, aveva infatti impedito a
quest’ultima di svolgere il proprio lavoro. Come ci era riuscito? Ci era riuscito piuttosto
facilmente perché in base allo Statuto Albertino (in vigore in quel momento storico) tutte le
funzioni relative alla carriera dei magistrati, quindi tutte le competenze a emanare i
provvedimenti diretti ad incidere sullo status dei magistrati, rientravano nella competenza
del Ministro di Grazia e Giustizia → di fatto il Regime aveva messo un coltello alla gola ai
magistrati perché chi non si allineava veniva facilmente buttato fuori, se non peggio,
dall’ordine giudiziario.
Il Ministro di Grazia e Giustizia, quindi un componente del Governo, era titolare di tutti i
poteri diretti ad incidere sulla carriera del magistrato. Per evitare che quanto si era verificato
in epoca fascista potesse ripetersi, l’Assemblea costituente decise di creare l’organo di
autogoverno che fu nominato Consiglio Superiore della Magistratura (CSM). In realtà
esisteva già prima un CSM, ma aveva funzioni assolutamente secondarie e non aveva niente
a che vedere con il CSM di cui agli artt. 104 e 105 della Cost.
Il CSM è un organo composto per la maggior parte da magistrati eletti da magistrati che è
titolare in via esclusiva dei poteri che incidono sullo status dei magistrati, pertanto gestisce
la carriera del magistrato; infatti se leggiamo l’art. 105 troviamo scritto che “spettano al
Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le
assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei
riguardi dei magistrati”.
Com’è che il CSM riesce a garantire l’autonomia della magistratura? Riesce a garantirla
grazie alle regole della sua composizione e grazie alla scelta di avergli attribuito in via
esclusiva l’esercizio dei poteri di cui all’art. 105.
Nel dettare queste disposizioni, l’Assemblea costituente ha voluto dare attuazione a due
fondamentali esigenze: da una parte, per attuare l’autonomia della magistratura, ha creato
le condizioni perché la magistratura potesse essere separata da tutti gli altri poteri dello
Stato; ma dall’altra parte, ha creato le condizioni perché fosse soddisfatta anche un’esigenza
contrapposta alla precedente, cioè garantire comunque l’unità dello Stato. Da quello che si
ricava dagli articoli 104 e 105 è che l’Assemblea costituente ha inteso l’autonomia della
magistratura come separazione dagli altri poteri dello Stato, ma non totale, perché ha creato
le condizioni affinché fosse comunque rispettata la fondamentale esigenza di assicurare
l’unità dello Stato.
Esaminiamo le regole di composizione → in base al secondo comma dell’art. 104, il CSM è
presieduto dal Presidente della Repubblica. Su questa presidenza si discusse molto, dai
lavori preparatori emerge che erano state avanzate le opzioni più disparate → molti
avrebbero voluto che la presidenza fosse assegnata al Presidente della Cassazione, che è
l’organo apicale della magistratura; altri invece avevano paventato l’idea di attribuire la
presidenza al Ministro di Grazia e Giustizia. Si affermò invece un’opzione intermedia, infatti
la presidenza venne attribuita al Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica
è l’organo super partes per eccellenza, quindi chi meglio di esso può garantire l’autonomia
dell’organo di autogoverno; ma il Presidente della Repubblica è anche colui che rappresenta
l’unità dello Stato (rappresentante per eccellenza dell’unità dello Stato) → quindi vediamo
come questa prima scelta incarna perfettamente i valori che hanno ispirato l’assemblea
costituente.
Il Presidente della Repubblica è titolare, in quanto presidente del CSM, di una serie di poteri
molto importanti. Dobbiamo però considerare che il CSM è un organo in seduta
permanente, è un organo che lavora tutti i giorni e non si ritrova soltanto una volta al mese
(lavora almeno 3 settimane al mese); quindi appare evidente che il Presidente della
Repubblica non può prendere parte attiva, non ha il tempo materiale per farlo. Pertanto, le
funzioni di presidente sono svolte dal cosiddetto vicario, cioè dal vicepresidente
(disciplinato dall’art. 104 comma 5).
Ci sono però una serie di funzioni che appartengono in via esclusiva al Presidente della
Repubblica e che il vicepresidente non può assolutamente esercitare → ad esempio il potere
di sciogliere il CSM e il potere di indire le elezioni dei consiglieri del CSM. Queste sono
funzioni strettamente presidenziali che quindi il vicepresidente non può esercitare.
Il terzo comma dell’art. 104 prevede i cosiddetti componenti di diritto. Essi sono gli organi
apicali della magistratura, quindi il Presidente della corte di cassazione (che è organo di
vertice della magistratura giudicante) e il Procuratore generale della Corte di cassazione (che
è l’organo di vertice della magistratura requirente). Questi sono componenti di diritto
perché fanno parte del CSM senza dover passare attraverso un’elezione.
Il quarto comma prevede invece la cosiddetta componente elettiva. La norma stabilisce che
gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti
alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari
di università in materie giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio.
All’interno della componente elettiva si distingue la componente togata (magistrati eletti da
magistrati) e la cosiddetta componente laica (professori ordinari di università in materie
giuridiche ed avvocati dopo 15 anni di esercizio eletti dal Parlamento in seduta comune).
Notiamo che l’art. 104 non indica il numero della componente togata, dice che due terzi dei
componenti sono eletti dai magistrati e un terzo dal Parlamento. Attualmente in base alla
legge n. 44/2002 i componenti elettivi sono 24 (16 magistrati eletti da magistrati e 8
professori ordinari di università in materie giuridiche o avvocati dopo 15 anni di esercizio
eletti dal Parlamento in seduta comune) → facendo un rapido calcolo attualmente il CSM è
formato da 27 membri (24 della componente elettiva + due membri di diritto + il Presidente
della Repubblica).
Per quanto riguarda la componente togata vediamo che in base al quarto comma dell’art.
104 questi consiglieri sono eletti da tutti i magistrati ordinari (qui il termine “ordinari”
affiora) tra gli appartenenti alle varie categorie; quindi in base alla legge attualmente vigente
il riferimento alle categorie è inteso come riferimento ai giudici da una parte e ai pubblici
ministeri dall’altra → quindi i giudici eleggono i propri consiglieri e i pubblici ministeri
eleggono i propri.
Come vediamo la componente togata è quella di maggioranza (sono i due terzi) → ecco
perché si parla di organo di autogoverno, perché la maggior parte dei componenti del CSM
sono magistrati.
Questi due terzi sono magistrati, sono 16 e vanno ad aggiungersi ai 2 componenti di diritto
previsti nel terzo comma → per cui i magistrati in effetti sono: 16 membri togati + il
Presidente della Cassazione e il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, quindi
sono 18 su 27.
Naturalmente l’Assemblea costituente ha scelto di attribuire alla magistratura il maggior
numero dei componenti dell’organo di autogoverno per assicurarne l’autonomia (cioè come
separazione dagli altri poteri dello Stato); d’altra parte, ha previsto che un terzo dei
componenti del CSM debbano essere eletti dal Parlamento in seduta comune fra professori
ordinari di università in materie giuridiche e avvocati dopo 15 anni di esercizio (quindi fra
cittadini che hanno una certa professionalità).
Perché l’assemblea costituente ha scelto di prevedere che una parte dei consiglieri debbano
essere eletti dal Parlamento fra le categorie professionali qui indicate? Perché l’assemblea
costituente ha voluto assicurare sì l’autonomia della magistratura intesa come separazione
dagli altri poteri, ma anche l’unità dello Stato, e ricordiamoci che il Parlamento è espressione
della sovranità popolare perché i suoi membri sono eletti dai cittadini.
L’Assemblea costituente non ha lasciato il Parlamento libero nella scelta dei consiglieri, ma
ha previsto che questi debbano essere scelti fra cittadini che in virtù del lavoro svolto si
ritiene debbano avere un certo sapere (devono avere una certa professionalità). La verità,
che possiamo attingere dalle cronache, è che queste nomine sono politicizzate, quindi
ciascuno dei partiti (di maggioranza e di minoranza) pretende di avere il proprio
rappresentante nell’ambito del CSM; così come è vero che sono politicizzate le elezioni dei
magistrati → quindi questo CSM risponde spesso purtroppo a logiche che non sono quelle
che hanno guidato e a cui avevano pensato i nostri padri costituenti.
In base al quinto comma dell’art. 104 il vicepresidente viene eletto dallo stesso CSM fra i
componenti designati dal Parlamento, quindi fra la componente laica. La scelta di attribuire
la vicepresidenza ad uno dei membri laici è stata effettuata per bilanciare la presenza della
componente di diritto (di cui al terzo comma dell’art. 104). Il vicepresidente svolge una
funzione molto importante, una funzione vicaria, è colui che sostanzialmente guida i lavori
dell’organo, stante l’impossibilità per il Presidente della Repubblica di prendere parte ogni
giorno ai lavori del CSM. Ci sono funzioni che il vicepresidente non può svolgere (quelle
strettamente presidenziali) come lo scioglimento del CSM e non può indire le elezioni dei
nuovi componenti. Egli però svolge funzioni importanti nella parte in cui dirige i lavori di
questo organo e in particolare laddove redige il cosiddetto ordine del giorno delle sedute
del CSM → ordine del giorno che però deve essere approvato dal Presidente della
Repubblica (anni fa si creò una situazione di enorme tensione fra l’allora vicepresidente del
CSM e il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga che rifiutò di approvare l’ordine del
giorno minacciando di mandare addirittura i carabinieri; il Presidente della Repubblica la
ebbe vinta perché spetta allo stesso l’approvazione dell’ordine del giorno in quando
presidente dell’organo).
In base all’art. 105 spettano al CSM secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le
assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei
riguardi dei magistrati. Il CSM, in base all’art. 105, ha la competenza in via esclusiva ad
esercitare tutti i poteri e ad assumere tutti i provvedimenti che incidono sullo status dei
magistrati. Quindi il legislatore, se un domani volesse modificare questa scelta e volesse ad
esempio riportare il PM sotto la direzione del ministro della Giustizia, dovrebbe andare a
modificare l’art. 105 perché da questo si ricava in maniera chiara che attualmente la
competenza ad assumere tutti i provvedimenti relativi alla carriera dei magistrati appartiene
al CSM.
Le funzioni indicate nell’art. 105 sono di diversa natura → per quanto riguarda le assunzioni,
le assegnazioni, i trasferimenti e le promozioni possiamo tranquillamente affermare che si
tratti di funzioni amministrative (e quindi i provvedimenti per il cui tramite il CSM svolge
queste funzioni sono provvedimenti amministrativi), viceversa, i provvedimenti cosiddetti
disciplinari, relativi ai magistrati, sono provvedimenti giurisdizionali perché la funzione
disciplinare è funzione giurisdizionale → questo non a scopi didattici o classificatori, perché
la diversità delle funzioni svolte e quindi la diversità di natura dei provvedimenti emessi dal
CSM, ha delle conseguenze sul regime di impugnazione di questi provvedimenti.
È molto importante sottolineare l’inciso contenuto nell’art. 105 “secondo le norme
dell’ordinamento giudiziario” → è vero che l’Assemblea costituente ha attribuito al CSM
l’esercizio in via esclusiva delle funzioni, dei poteri che regolano la carriera dei magistrati,
ma il CSM non può esercitare queste funzioni in maniera discrezionale, lo deve fare secondo
le norme dell’ordinamento giudiziario (quindi deve applicare le norme sull’ordinamento
giudiziario).
Cos’è l’ordinamento giudiziario? Come ci dice il primo comma dell’art. 108 della Carta
costituzionale esso è materia oggetto di riserva di legge. L’art. 108 infatti dice che le norme
sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge → quindi è una
materia che essendo oggetto di riserva assoluta di legge non può essere disciplinata dal
Governo, ma è necessario che passi attraverso il Parlamento. Perché questa scelta da parte
dell’Assemblea costituente? Qual è il senso della riserva di legge? l’Assemblea costituente
ha imposto la riserva di legge perché ha voluto creare le condizioni affinché anche le
minoranze del Parlamento avessero la possibilità di prendere parte alla formazione delle
norme relative all’ordinamento giudiziario.
Il termine ordinamento giudiziario purtroppo ad oggi non rinvia ad alcuna legge, non c’è una
legge sull’ordinamento giudiziario, o meglio, abbiamo il regio decreto n. 12/1941 che reca
l’intestazione “legge sull’ordinamento giudiziario”, ma la data di promulgazione di questa
legge ci dice che è una legge che è stata emanata in piena epoca fascista. Infatti, di questa
legge rimangono in vigore pochissime disposizioni, la maggior parte è stata abrogata per
incompatibilità con le norme costituzionali.
In verità, per ordinamento giudiziario si intende fare riferimento ad un corpus di norme
estremamente ampio e purtroppo anche estremamente disorganizzato.
Accanto al regio decreto 12/1941 però è importante ricordare la legge 150/2005 conosciuta
anche come legge Castelli e la successiva legge 111/2007 conosciuta come legge Mastella,
che ha apportato delle modifiche alla legge Castelli perché le leggi Castelli e Mastella hanno
notevolmente inciso sull’ordinamento giudiziario apportando una serie di modifiche e anche
una importante razionalizzazione di questo complicatissimo sistema normativo.
Anche questa scelta che troviamo espressa nell’art. 105, quindi da una parte l’attribuzione
in via esclusiva all’organo di autogoverno della competenza ad emanare i provvedimenti che
incidono sullo status dei magistrati, ma dall’altra, il chiarimento che questi poteri il CSM li
deve esercitare applicando quanto previsto dalla legge sull’ordinamento giudiziario su cui
c’è una riserva di legge, esprime molto chiaramente quell’opera di bilanciamento di valori
che ha guidato l’Assemblea costituente → perché la titolarità esclusiva di queste funzioni in
capo al CSM evidentemente mira ad assicurare ancora una volta l’autonomia, la separazione
della magistratura dagli altri poteri dello Stato, ma il vincolo alla legge sull’ordinamento
giudiziario coperta da riserva di legge esprime l’esigenza di assicurare ancora un volta l’unità
dello Stato, senza che questo significhi subordinazione della magistratura al Parlamento →
perché il CSM non è soggetto al Parlamento, deve applicare la legge sull’ordinamento
giudiziario, la legge è il frutto dell’attività parlamentare, quindi non c’è una subordinazione
all’organo, ma c’è il vincolo ad applicare quanto previsto dalla legge sull’ordinamento
giudiziario.
L’elencazione che troviamo nell’art. 105 non è però esaustiva, cioè il CSM nel corso degli
anni ha esercitato anche poteri non espressamente previsti nell’art. 105 → il più importante
è il cosiddetto potere normativo del CSM. Il CSM è stato costretto ad esercitare questo
potere, ha autoregolamentato la propria attività. Perché lo ha fatto? Perché questo
legislatore italiano in questa materia spesso non è intervenuto, ha lasciato di fatto il CSM di
fronte ad un vuoto (es. le regole di svolgimento del concorso per la magistratura per decine
di anni non sono state scritte dal legislatore) e quindi il CSM, per non rimanere paralizzato e
per poter svolgere le funzioni assegnategli dall’art. 105, è stato costretto ad autoregolare la
propria attività, vincolandosi (perché quando un organo si detta un regolamento di
funzionamento poi è tenuto a rispettarlo). Quindi per sopperire alle mancanze e alla lentezza
del legislatore italiano, il CSM spesso e volentieri nel corso degli anni si è trovato a dover
sostituire il legislatore dettando le norme destinate a disciplinare l’esercizio delle funzioni
che l’art. 105 gli assegna in via esclusiva. È successo anche che successivamente il legislatore
abbia recepito a livello normativo regole che erano state create dal CSM.
L’art. 105 non esaurisce i punti di contatto fra la magistratura e gli altri poteri dello Stato. Ve
ne sono anche altri molto importanti. È opportuno ricordare quanto previsto dall’art. 107
comma 2: “Il Ministro della Giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare”. Come
vedremo poi, la magistratura è sì autonoma e indipendente, ma è anche responsabile, infatti
i magistrati sono soggetti a responsabilità → come dice l’art. 28 della Carta costituzionale,
tutti i funzionari pubblici sono soggetti a responsabilità penale, civile, disciplinare.
Anche i magistrati quindi sono responsabili; tra le diverse forme di responsabilità c’è
appunto quella disciplinare. La competenza a pronunciarsi, ad assumere i provvedimenti
disciplinari nei riguardi dei magistrati, appartiene al CSM → chi decide è il CSM ma da chi
può essere aperto il procedimento disciplinare? In base all’art. 107 comma 2, uno dei
soggetti a cui viene attribuita l’iniziativa è il Ministro della Giustizia e il secondo soggetto è
il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Questo è un altro punto di contatto
fra magistratura e gli altri poteri dello Stato.
Ancora, con riferimento al Ministro di Giustizia, è importante ricordare quanto previsto
nell’art. 110 della Cost. laddove si legge che, ferme le competenze del CSM, spettano al
Ministro della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia.
Quindi tutto ciò che sta dietro alla macchina giustizia, tutto l’apparato amministrativo che
sta dietro alla macchina giustizia, tutto ciò che riguarda l’organizzazione degli uffici giudiziari,
sono di competenza del Ministro della giustizia.
I provvedimenti del CSM, quelli cioè che il consiglio emette nel momento in cui esercita le
funzioni che gli sono assegnate dall’art. 105, rivestono la forma del decreto del Presidente
della Repubblica (vengono emanati in forma di d.p.r perché è il Presidente della Repubblica
che lo presiede), e naturalmente secondo quella che è la regola generale devono recare
anche la controfirma ministeriale (in questo caso la firma del Ministro della giustizia). Questi
provvedimenti sono soggetti a controllo, sono soggetti ad impugnazione; il regime di
impugnazione è legato alla natura del provvedimento: se il CSM esercita le funzioni
amministrative (vedi art. 105, provvedimenti in materia di assunzioni, assegnazioni,
trasferimenti e promozioni), trattandosi di provvedimenti amministrativi questi
provvedimenti sono suscettibili di impugnazione di fronte al TAR di Roma; mentre invece i
provvedimenti disciplinari, in quanto provvedimenti di natura giurisdizionale, sono
impugnabili di fronte alla Corte di cassazione.

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