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Lezione 10/11

Continuiamo ad analizzare i principi che regolano il processo. Nelle ultime lezioni abbiamo
esaminato il diritto di azione retto dall’art 24 primo comma della costituzione e il principio del
contraddittorio, che abbiamo detto trova la propria previsione vuoi nell’ art 111 secondo comma
della costituzione vuoi nell’art 101 del cpc.

Naturalmente ora dobbiamo guardare le garanzie fondamentali che assistono il terzo


protagonista necessario del processo, ovvero il giudice. La norma generale la ritroviamo ancora
nell’art 111 ed è la garanzia di terzietà e imparzialità.’’ Ogni processo si svolge nel contraddittorio
tra le parti in condizioni di parità davanti ad un giudice terzo e imparziale’’. La garanzia di terzietà
e imparzialità trova attuazione attraverso una serie ulteriore di istituti che vado a richiamare, alcuni
li abbiamo già esaminati, altri li esamineremo in un secondo momento e alcuni invece saranno
oggetto di analisi della lezione di oggi. Diciamo che la garanzia di terzietà e imparzialità del giudice
è puntellata innanzitutto dalle garanzie di autonomia e indipendenza della magistratura. Questa è la
prima condizione che regge la terzietà del giudice e sulla garanzia di autonomia e indipendenza ci
siamo ampiamente soffermati nelle lezioni introduttive del corso. Ancora, la garanzia di terzietà e
imparzialità del giudice è certamente realizzata dal principio del giudice naturale precostituito per
legge: art 25 della costituzione, ‘’nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per
legge’’ . Qual è il significato dell’art 25? Il significato è che non è possibile andare a scegliersi il
giudice, il giudice più favorevole; è la legge a predeterminare i criteri sulla cui base si individua il
giudice che deve trattare la singola controversia. Questi istituiti sono: giurisdizione, competenza,
costituzione del giudice, sistema tabellare; e andremo a parlarne nelle lezioni dedicate ai requisiti
extraformali relativi al giudice (rinvio su questo punto alle prossime lezioni). Vicino alla garanzia
del giudice naturale si collocano anche gli istituti dell’astensione e ricusazione che sono
intimamente legati con gli istituti appena richiamati, vanno a completare la disciplina di
legittimazione del giudice (anche questi saranno trattati successivamente). Ancora, il principio di
terzietà e imparzialità del giudice certamente passa attraverso il principio della domanda e il
divieto di utilizzazione del sapere privato del giudice ,che invece costituiranno l’oggetto della
lezione di oggi.

Cos’ è il principio della domanda? Il principio della domanda innanzitutto trova la propria
disciplina, vuoi nell’art 99 del cpc ,vuoi nell’ art 2907 del cc. Non ci deve stupire questa doppia
previsione perché già sappiamo che ha una giustificazione storica, già sappiamo che il codice civile
è stato redatto prima del codice di procedura civile, in quella sede il legislatore sostanziale aveva
voluto anticipare nel libro sesto tutta una serie di principi e regole processuali che in parte diciamo
ha ripetuto nel cpc e in parte no. Il principio della domanda è uno di quei principi che trova una
doppia previsione, quindi il significato delle 2 disposizioni è lo stesso, salvo precisare che, mentre
l’art 2907 è stato scritto nell’ottica del giudice, l’art 99 invece è una norma scritta dal punto di vista
dell’attore, cioè della parte che si rivolge al giudice. Qual è il significato del principio della
domanda (da non confondere con il diritto di azione)? Il significato è il divieto d’iniziativa
ufficiosa, cioè il giudice italiano non può dare avvio al processo e non può neppure ,nel corso del
processo, emanare provvedimenti che nessuno gli ha chiesto. Questo è il principio della domanda, è
il divieto di iniziativa di ufficio, quindi riecheggia un noto brocardo romano.

Leggiamo adesso le disposizioni. Art 99 cpc: ‘’Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve
proporre domanda al giudice competente’’ . In verità quel riferimento alla competenza è un
riferimento improprio perché, come vedremo nelle lezioni dedicate alla domanda giudiziale e in
particolare alla disciplina di invalidità della domanda giudiziale, la competenza non è un requisito
di validità della domanda giudiziale, la competenza è un requisito di validità del provvedimento del
giudice, per cui questo è un riferimento improprio. Allora, l’art 99 quindi afferma che chi vuol far
valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice.

Leggiamo ora l’art 2907 che ci dice cose non diverse, salvo essere scritto da un punto di vista
diverso, infatti la rubrica è attività giurisdizionale e la disposizione recita:’’Alla tutela
giurisdizionale dei diritti provvede l'autorità giudiziaria su domanda di parte e, quando la legge lo
dispone, anche su iniziativa del pubblico ministero o d’ufficio.’’ Questa norma sembra voler
affermare che accanto alle ipotesi in cui il processo è messo in moto dalla parte , quindi su domanda
di parte, esistono anche e sembrano essere contrapposte alla prima ipotesi casi in cui invece il
processo è messo in moto su iniziativa del pubblico ministero o d’ufficio. Bisogna però chiarire il
significato di questa previsione. Intanto quel riferimento alle ipotesi in cui il processo è messo in
moto d’ufficio deve essere valutato attentamente perché, abbiamo detto che il principio della
domanda puntella la garanzia di terzietà e imparzialità del giudice, com’è possibile che sussistano
ipotesi in cui il processo è messo in moto d’ufficio?. Allora, in verità, molte delle previsioni che
rientravano nella lettera dell’art 2907 erano contenute nella vecchia legge fallimentare dove, in base
alla vecchia legge fallimentare che risaliva al 1942, infatti anche il fallimento era dichiarato
d’ufficio dal giudice, in verità questa materia è stata oggetto di una profonda revisione, è stata una
disciplina completamente rivista per cui tutte queste ipotesi sono scomparse. Cosa rimane?
Rimangono delle ipotesi in cui nell’ambito di un processo che è stato aperto da un terzo rispetto al
giudice, il giudice può emanare d’ufficio provvedimenti che nessuno gli ha chiesto. Quindi diciamo
che è una deroga parziale al principio della domanda. Queste previsioni, lo ripeto, non ammettono il
giudice ad aprire autonomamente un processo, ma consentono nell’ambito di un processo
legittimamente aperto, al giudice, di emanare provvedimenti che nessuno ha domandato.

Quali sono queste previsioni? Vi richiamo le 2 previsioni più importanti:

1) La prima la troviamo nell’ambito del cc, in particolare nell’art 336 del codice civile. Siamo in
tema di procedimento di separazione, e la norma prevede che in caso di urgente necessità il
tribunale può adottare anche d‘ufficio provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio.

2) La seconda previsione, che vorrei richiamare alla vostra attenzione, invece, è una previsione che
riguarda una materia completamente diversa ed è il TSO, il trattamento sanitario obbligatorio. Il
TSO è un procedimento che si apre a carico di una persona, di un cittadino, che è fuori controllo,
è un procedimento di ricovero in strutture ospedaliere forzato, cioè contro la volontà di colui che
ne è soggetto. E’ un procedimento piuttosto articolato , che parte addirittura da una chiamata da
parte di qualcuno che sollecita l’intervento dei medici, ma in prima battuta passa attraverso il
sindaco, quindi ha un profilo, una fase amministrativa diciamo. E’ regolato dalla legge 180 del
1978 e dall’art 21 del decreto legislativo n. 150 del 2011.A seguito dell’intervento dei medici e
dell’autorizzazione del sindaco, la persona è soggetta a trattamento sanitario obbligatorio, quindi
viene portata contro la sua volontà in ospedale. Dopodiché si prevede da parte del giudice la
convalida del trattamento sanitario obbligatorio e la possibilità di un’opposizione alla convalida
del tso. Nel corso del giudizio, una volta che è stato proposto ricorso contro la convalida, l’art
21 comma quinto del decreto legislativo 150 del 2011, stabilisce che:’’ il presidente del
tribunale, acquisito il provvedimento che ha disposto il trattamento sanitario obbligatorio e
sentito il pubblico ministero, puo' sospendere il trattamento medesimo anche prima che sia
tenuta l'udienza di comparizione e d'ufficio’’. Quindi, il provvedimento di sospensione del TSO
può essere disposto d’ufficio dal presidente del tribunale. Cosa possiamo osservare con
riferimento a queste fattispecie? Perché il legislatore ammette il giudice ad emanare
provvedimenti che nessuno gli ha chiesto( quindi provvedimenti che sono assunti in violazione
del principio della domanda)? Evidentemente il legislatore ha effettuato una valutazione
comparativa, mettendo da una parte l’esigenza di garantire la terzietà del giudice e dall’altra
l’interesse di cittadini, come sono i figli, specialmente se minori e molto piccoli, o il cittadino
che è oggetto di un trattamento sanitario obbligatorio che per motivazione molto diverse e
lontane non sono in grado di prendersi cura di se medesimi, e nel caso particolare del cittadino
soggetto a TSO, persone che è noto, si trovano spesso in una situazione di abbandono,
abbandono anche da parte della società, ma spesso anche da parte della famiglia (non sempre,
per fortuna, ma succede). Quindi il legislatore ha evidentemente dato prevalenza all’interesse,
alla cura di queste persone. Aveva un’alternativa il legislatore? Si, l’alternativa sicuramente
poteva essere trovata e poteva essere trovata nel pubblico ministero. Pubblico ministero che, lo
vedremo successivamente, è chiamato a svolgere un certo ruolo nel processo civile, il pubblico
ministero talvolta è legittimato straordinario, quindi può esercitare anche l’azione civile ( anche
se si tratta di ipotesi tassative ) in molte altre ipotesi è interventore necessario, cioè deve
prendere parte, è parte necessaria di alcuni processi. Perché queste previsioni? Queste previsioni
evidentemente riposano sulla considerazione secondo cui in queste fattispecie c’è un forte
interesse pubblico e per coltivare questo interesse pubblico il legislatore prevede la
partecipazione del pubblico ministero; quindi l’alternativa che il legislatore aveva era quella di
rimettere queste iniziative nelle mani del pubblico ministero che si, è un magistrato, ma
ricordatevi sempre, che è terzo rispetto al giudice, non svolge una funzione giudicante, ma viene
sempre ad assumere nel processo una posizione che è analoga a quella delle parti,e infatti può
esercitare i poteri delle parti, non gravano sul pubblico ministero le limitazioni che invece
gravano sul giudice, perché il giudice deve essere terzo e imparziale mentre il pubblico ministero
non deve esserlo. Quindi l’alternativa il legislatore ce l’aveva e secondo molti, la circostanza che
il legislatore abbia preferito attribuire queste iniziative al giudice è una circostanza grave, anche
se la ragione, è una ragione sicuramente degna di considerazione meritevole, la soluzione
escogitata dal legislatore invece è una soluzione che non si presta ad essere condivisa. A
giustificazione del legislatore, possiamo forse ricordare che nonostante il ruolo che il legislatore
ha attribuito al pubblico ministero nell’ambito del processo civile, la verità è che il pubblico
ministero si disinteressa completamente del processo civile, perché è oberato delle competenze
che gli sono attribuite nel processo penale, e quindi la verità è che le procure non riescono a
svolgere in maniera adeguata le funzioni di cui sono titolari nel processo civile.

Fatta questa precisazione, torniamo al testo dell’art 2907. È corretto, come sembra, che alle
ipotesi in cui il processo è messo in moto su domanda di parte, si contrappongono le ipotesi in
cui il processo è messo in moto su iniziativa del pubblico ministero o d’ufficio? No, non è
corretta questa contrapposizione per il fatto che, come accennavo prima, l’iniziativa del giudice, per
fortuna ormai ridotta a poche ipotesi che si contano sulle dita di una mano, in effetti derogano al
principio della domanda, mentre invece le ipotesi in cui l’iniziativa è affidata al pubblico ministero
non derogano affatto al principio della domanda , perché come ho già ripetuto questa mattina, il
pubblico ministero è sempre terzo rispetto al giudice. Certo l’iniziativa del pubblico ministero è
un’eccezione, ma l’azione del pubblico ministero che passa attraverso la previsione dell’articolo 69
del cpc, è un’iniziativa che può essere riportata nella previsione dell’art 81 cpc. E’ una previsione
eccezionale, ma non in quanto derogatoria al principio della domanda, ma in quanto derogatoria al
principio che regola la legittimazione ad agire, ovvero il principio della normale correlazione fra
titolarità del diritto sostanziale e titolarità del diritto di azione. Come vedremo in successive
lezioni, fra i requisiti extraformali relativi alle parti, troviamo la legittimazione ad agire, che
consente di individuare chi può proporre una determinata domanda giudiziale. La regola generale,
che l’ordinamento ha accolto, è appunto quella secondo cui l’azione può essere proposta da chi si
afferma titolare del diritto fatto valere in giudizio: ecco il principio della normale correlazione fra
titolarità diritto sostanziale e titolarità del diritto di azione. A questa che è la regola generale, si
contrappongono ipotesi eccezionali, che rientrano nell’ articolo 81 del codice di procedura civile, in
cui per espressa previsione di legge, taluno è legittimato a far valere in nome proprio un diritto
altrui e sono i cosiddetti legittimati straordinari o sostituti processuali. Queste ipotesi, sono
ipotesi innanzitutto tassative, perché l’articolo 81 sul punto è chiaro: ‘’Fuori dei casi
espressamente previsti dalla legge, nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto
altrui ‘’. Quindi si tratta di ipotesi assolutamente tassative. E sono ipotesi numericamente molto
ridotte: per esempio ipotesi di legittimazione straordinaria le ritroviamo nell’azione surrogatoria,
articolo 2900 del codice civile, per cui in ipotesi di inerzia del debitore, il creditore è legittimato a
far valere in nome proprio i rapporti patrimoniali del debitore; lo ritroviamo, per esempio,
nell’ambito dell’articolo 1012 in tema di usufrutto, dove si legge che l’usufruttuario è legittimato
ad esercitare l’actio confessoria servitutis e l’actio negatoria servitutis , artt 1079 e 949 del codice
civile, per conto del nudo proprietario che è il legittimato ordinario; la ritroviamo in tema di azione
di nullità del contratto, perché l’articolo 1421 del codice civile prevede che chiunque vi abbia
interesse può far valere la nullità del contratto, ( quell’interesse non sta ad indicare un interesse di
tipo affettivo o culturale, ma è un’espressione tecnica nel cc e cpc, spesso la parola interesse, parte
interessata, è usata per indicare una parte che è titolare di un rapporto giuridico connesso con il
rapporto oggetto della domanda. In particolare è utilizzata spesso per indicare il terzo che è titolare
di un rapporto giuridicamente dipendente dal rapporto oggetto della domanda giudiziale); e poi
posso ricordare l’artico 117 del codice civile in tema di nullità del matrimonio laddove si legge che
la nullità del matrimonio può essere fatta valere non soltanto dai coniugi ma anche dagli ascendenti,
dal pubblico ministero e da chiunque vi abbia interesse. Vedete che qui abbiamo un ampliamento
molto maggiore di coloro che sono legittimati a proporre l’azione.

Perché il legislatore prevede ipotesi di legittimazione straordinaria? La ratio che sta a


fondamento di queste previsioni è sempre l’emersione di profili di indisponibilità della situazione
giuridica dedotta in giudizio. In fin dei conti la regola della legittimazione ad agire, che correla la
legittimazione all’esercizio dell’azione alla titolarità del diritto fatto valere in giudizio, è
espressione del carattere normalmente disponibile delle situazioni giuridiche oggetto del processo
civile. Talvolta emergono dei profili di indisponibilità, questi profili di indisponibilità talvolta
diventato ancora più accentuati , cioè spesso si sposano con un vero e proprio interesse pubblico;
dove c’è un interesse pubblico il legislatore amplia la legittimazione ad agire, la attribuisce talvolta
addirittura al pubblico ministero, perché si serve di questi legittimati straordinari per assicurare
il soddisfacimento dell’interesse pubblico, perché se la situazione giuridica e la tutela della
situazione giuridica fosse lasciata nelle mani dei legittimati ordinari, c’è il rischio che questo
interesse pubblico non si realizzi. Quindi la legittimazione del pubblico ministero, ha come
fondamento, ha come ratio quella di dare attuazione a situazioni che sottendono un interesse
pubblico, ma attenzione!! ripeto l’iniziativa del pubblico ministero non vale a pregiudicare il
principio della domanda perché la legittimazione del pubblico ministero deroga al principio della
legittimazione ad agire, al principio della normale correlazione tra titolarità del diritto sostanziale e
titolarità del diritto di azione, ma non al principio della domanda perché il pm è sempre terzo
rispetto al giudice.
Fatto questo chiarimento torniamo al principio della domanda e andiamo ad analizzare il
principio della domanda in relazione al principio di allegazione dei fatti. Abbiamo detto che
quando viene proposta la domanda giudiziale, l’attore deve innanzitutto individuare la situazione
giuridica posta ad oggetto della domanda giudiziale, questo perché (l’abbiamo chiarito fin dalle
prime lezioni) l’oggetto della domanda del processo e successivamente del giudicato è sempre il
diritto fatto valere in giudizio. Ora, come si individua il diritto fatto valere in giudizio? Vi ricordate,
attraverso i 3 elementi identificativi: il profilo soggettivo (le parti), il petitum e la causa petendi
(causa petendi che sono i fatti costitutivi, sono i fatti che compongono la fattispecie giuridica da cui
trae origine il diritto fatto valere in giudizio inteso come effetto giuridico) e allora questo ci pone di
fronte alla necessità di dettare, di stabilire in che relazione si pone il principio della domanda
rispetto al principio di allegazione dei fatti. Cos’è il principio di allegazione dei fatti? Sono i
meccanismi per il cui tramite i fatti giuridicamente rilevanti entrano nel processo. E nell’analisi di
questa tematica, acquista rilevanza anche l’atro meccanismo che presidia la garanzia di terzietà e
imparzialità del giudice, ossia il divieto di utilizzazione della scienza privata. Questo è un principio
che non è espressamente previsto dal codice di procedura civile, il nostro ordinamento non lo
enuncia in maniera espressa, a differenza ad esempio di quanto previsto nel codice di procedura
civile francese, ma nessuno dubita della sua esistenza. Qual è il significato del divieto di
utilizzazione del proprio sapere privato? Il giudice civile non può introdurre nel processo fatti o
fonti di prova di cui ha privata conoscenza, quindi il giudice civile non può farsi investigatore, non
può fare il detective, o comunque non può utilizzare cose o elementi conoscitivi che non emergono
legittimamente dalla realtà processuale, ma che ha appreso aliunde, di cui ha acquisito conoscenza
nella realtà extraprocessuale. A questo divieto corrisponde una sola eccezione, sono i fatti notori, di
cui all’art 115 secondo comma di cui parleremo prossima settimana, ma sono ipotesi veramente
residuali. Quindi sicuramente il giudice non può allegare, far entrare nel processo i fatti
giuridicamente rilevanti, stante questo divieto. Ma torniamo al nostro principio della domanda.
Abbiamo detto l’attore, che propone la domanda giudiziale, deve individuare il diritto fatto valere in
giudizio, quindi dovrà indicare oltre alle parti, il petitum e la causa petendi ( quindi i fatti cosiddetti
costitutivi) ma quali altri fatti giuridicamente rilevanti? Perché noi sappiamo già che ai fini della
statuizione in ordine all’esistenza o non esistenza del diritto fatto valere in giudizio non hanno
rilevanza solo i fatti costitutivi ma hanno rilevanza anche i fatti modificativi, estintivi e impeditivi
cioè quei fatti che operano a vantaggio del destinatario della domanda, perché sono fatti il cui
effetto è opposto rispetto ai fatti costitutivi, perché determinano il venir meno dell’effetto giuridico
dedotto in giudizio. Ebbene qui per rispondere alla domanda dobbiamo disegnare un quadro
generale riprendendo delle nozioni che ci sono già note; quindi ci concentriamo sui meccanismi per
il cui tramite i fatti giuridicamente rilevanti entrano nel processo, quindi sono meccanismi che
riguardano la cosiddetta questio facti. Con riferimento alla questio iuris invece ricordiamoci che
il giudice è signore assoluto, utilizza la propria scienza privata, la propria preparazione tecnica
perché il diritto generalmente si ritiene non abbia una funzione individuatrice e quindi la soluzione
della questio iuris non incide sull’oggetto e sull’ identità del diritto fatto valere in giudizio. Ora, nel
disegnare il quadro dei meccanismi per il cui tramite i fatti giuridicamente rilevanti entrano nel
processo dobbiamo ricordare che i fatti giuridicamente rilevanti operano secondo schemi diversi. Lo
dobbiamo ricordare perchè il diverso modo di operare dei fatti giuridicamente rilevanti ha
un’incidenza sui meccanismi per il cui tramite i fatti entrano nel processo. È emerso dalle
precedenti lezioni che i fatti giuridicamente rilevanti operano fondamentalmente sula base di due
schemi:
1) lo schema generale (norma –fatto-effetto) dove la norma stabilisce che in presenza di
determinati fatti si produce automaticamente, di diritto, un certo effetto giuridico.

2) schema norma-fatto-potere sull’an-effetto. Con riferimento ai fatti che rientrano in questo


secondo schema il prodursi dell’effetto giuridico è subordinato alla circostanza che la parte
interessata, la parte legittimata, attribuisca rilevanza giuridica al fatto. Se la parte legittimata non
attribuisce rilevanza giuridica al fatto, il fatto non produce i propri effetti.

Tornando alla distinzione tra fatti costitutivi e fatti modificativi, estintivi e impeditivi possiamo
innanzitutto isolare i fatti costitutivi di diritti etero determinati. I fatti costitutivi di diritti etero
determinati noi già sappiamo che sono fatti che svolgono una funzione individuatrice, cioè sono
fatti rilevanti ai fini dell’individuazione del diritto fatto valere in giudizio. Sono ipotesi in cui il
cambiamento del fatto determina il cambiamento della situazione dedotta in giudizio. Facciamo un
esempio: se io chiedo il pagamento di una somma di denaro, se la chiedo a titolo di pagamento del
contratto di compravendita, deduco in giudizio un determinato diritto ed è il mio diritto ad ottenere
il pagamento del prezzo; ma se io allego a fondamento della stessa richiesta un contratto di
locazione, appare chiaro che all’indicazione del diverso fatto costitutivo corrisponde il
cambiamento del diritto fatto valere in giudizio perchè se io indico, metto a fondamento della mia
domanda, non più il contratto di compravendita ma il contratto di locazione, ciò che io chiedo è il
canone locativo. Quindi vedete che il fatto svolge una funzione individuatrice. Quindi al
cambiamento del fatto corrisponde il cambiamento del diritto fatto valere in giudizio. Allora,
possiamo dire con assoluta certezza, che l’allegazione dei fatti costitutivi di diritti etero
determinati è coperto dal principio della domanda perché il fatto svolge una funzione
individuatrice. Quindi i fatti costitutivi di diritti etero determinati possono essere introdotti
soltanto dall’attore, perché se il giudice potesse rilevare un fatto costitutivo concorrente di un
diritto etero determinato, significherebbe che quel giudice può pronunciarsi su una situazione
giuridica diversa rispetto a quella dedotta in giudizio dall’attore, e dunque si avrebbe una
violazione del principio della domanda. Per cui i fatti costitutivi di diritti eterodetemrinati sono
coperti dall’ombrello del principio della domanda e quindi li possiamo mettere da una parte.

• —>Concentriamoci invece su tutti gli altri fatti, che sono fatti non individuatori. Potranno essere
fatti costitutivi, fatti modificativi, estintivi o impeditivi. Qui siamo al di fuori del principio della
domanda. Con riferimento a quest’altra serie di fatti rileva lo schema di produzione degli effetti
sostanziali per il cui tramite i fatti operano. Partiamo dalle ipotesi numericamente più limitate che
sono i fatti che operano secondo lo schema norma-fatto-potere sull’an-effetto, perchè qui
diciamo la risposta è molto semplice. Si tratta di fatti che sono estranei al principio della
domanda, non c’è nessun rapporto col principio della domanda, ma attenzione, si tratta di fatti
che, operando secondo lo schema indicato, potranno essere introdotti solo dalla parte che è
legittimata, cioè la parte titolare di quel diritto potestativo la cui spendita è indispensabile
affinché il fatto produca i propri effetti. L’esempio più semplice che posso farvi è quello dei fatti
che sono a fondamento delle eccezioni in senso stretto, per esempio: eccezione di annullabilità
del contratto , eccezione di inadempimento ,eccezione di prescrizione, eccezione di decadenza.
Tutte queste eccezioni hanno, secondo la prospettiva preferibile, a loro fondamento, fatti che
operano secondo lo schema norma-fatto-potere sull’an-effetto. Quindi questi fatti potranno
essere introdotti nel processo soltanto dalla parte che è titolare del diritto potestativo, alla cui
spendita è subordinato il prodursi dell’effetto giuridico. Sappiamo quindi che con riferimento a
questo tipo di fatti e a questo tipo di eccezioni, la proposizione dell’eccezione ha un contenuto
duplice perché proporre l’eccezione in senso stretto significa: vuoi introdurre il fatto nel processo,
vuoi attribuire a questo fatto giuridica rilevanza. In base alla disciplina processuale del processo a
cognizione piena secondo il rito ordinario, vi ricordo che le eccezioni in senso stretto potranno
essere fatte valere dal convenuto solo e soltanto nella comparsa di risposta depositata, in base agli
articoli 166 e 167, 20 giorni prima della data della prima udienza. Questo è il primo e ultimo
momento in cui il convenuto può esercitare tale potere processuale perché questo è un potere
processuale che non si riapre mai più neppure nei gradi di impugnazione. Quindi i fatti che
operano secondo lo schema norma-fatto-potere sull’an-effetto che sono fatti modificativi,
estintivi e impeditivi potranno essere introdotti solo su iniziativa del convenuto che è titolare
del diritto potestativo e, sul piano processuale, potranno essere introdotti soltanto nella
comparsa di risposta depositata 20 giorni prima della prima udienza del processo di primo
grado.

• —>Questo schema però può operare anche con riferimento a fatti costitutivi. E qui il riferimento è
al tema, molto complesso, delle azioni di impugnativa negoziale. Se noi ci mettiamo nella
prospettiva indicata dalle sentenze Travaglino del 2014, sappiamo che l’azione di impugnativa
negoziale è un’ azione che determina l’apertura di un processo avente ad oggetto la rilevanza
giudica del rapporto fondamentale scaturito dal contratto impugnato. Si tratta di azioni che nella
prospettiva preferibile (che è quella indicata poi da Protopisani in dottrina) si identificano sulla
base del solo contratto impugnato, perché l’azione di impugnativa negoziale non è altro che un’
azione per il cui tramite l’attore chiede al giudice di accertare la non esistenza degli effetti
scaturiti dal contratto, della rilevanza giuridica del negozio impugnato. Rispetto a questa azione,
il fatto che è posto a fondamento della domanda di impugnativa ( che sarà l’errore, la
violenza, il dolo, lo stato di necessità, lo stato di pericolo, l’inadempimento) è un fatto costitutivo
non individuatore. Questi fatti costitutivi non indiviudatori potranno essere introdotti nel
processo soltanto dall’attore, ma non perché si tratta di fatti individuatori; nella prospettiva di
Proto Pisani potranno essere introdotti in giudizio solo dall’attore, perché si tratta di fatti che
operano secondo lo schema norma-fatto-potere sull’an-effetto e solo l’attore è titolare del
diritto potestativo che consente a questo fatto di produrre i propri effetti. Quindi con riferimento
ai fatti che operano secondo lo schema norma-fatto-potere sull’an-effetto ,se si tratta di fatti non
individuatori, questi fatti potranno entrare nel processo solo su iniziativa della parte a cui
vantaggio operano, della parte che è titolare del diritto potestativo che deve essere speso affinché
il fatto possa produrre i propri effetti, ma comunque siamo al di fuori dai confini del principio
della domanda perché per definizione non sono fatti individuatori.

• —>E poi abbiamo invece i fatti che operano secondo lo schema generale, i fatti che
producono i propri effetti ipso iure, secondo lo schema norma- fatto- effetto. Con riferimento a
questi fatti, i veicoli per il cui tramite è possibile che il fatto entri nel processo sono più numerosi,
proprio perché si tratta di fatti che producono i propri effetti automaticamente. La regola generale
naturalmente è che ciascuna parte introdurrà i fatti a sè favorevoli, (questa è un’affermazione
basata sulla realtà, è una affermazione di assoluta ragionevolezza) quindi se il fatto non
individuatore è un fatto costitutivo sarà l’attore ad introdurlo.Pensiamo ai fatti costitutivi di
diritti autodeterminati che operano secondo lo schema indicato quindi, lo abbiamo detto tante
volte, per esempio taluni dei fatti che sono costitutivi della proprietà come l’accessione, la
specificazione indicati negli articoli 922 e seguenti. Se invece si tratta di fatti modificativi,
estintivi e impeditivi sarà cura del convenuto introdurli nel processo (per esempio la nullità,
l’adempimento). Tuttavia, proprio perché si tratta di fatti che operano di diritto, che producono i
propri effetti automaticamente, è altresì pacifico che questi fatti possano entrare nel processo
anche attraverso altri veicoli. Naturalmente tra questi veicoli non ci può essere il giudice perché il
divieto di scienza privata riguarda anche i fatti che operano di diritto. Ma tolto il giudice è vero
che si ammette che questi fatti possano legittimamente entrare nel processo attraverso ad esempio
l’iniziativa della controparte, quindi della parte a cui svantaggio operano, oppure attraverso i
mezzi di prova. La parte è possibile che senza rendersene conto introduca nel processo un fatto a
sè sfavorevole e favorevole alla controparte. Supponiamo che l’attore agisca per ottenere
l’adempimento del contratto e poi in sede di interrogatorio libero e non formale di fronte al
giudice introduca anche senza rendersene conto il fatto che sta alla base della nullità del contratto.
A questo punto, noi sappiamo, che una volta che il fatto è entrato, proprio perché produce i propri
effetti automaticamente, il giudice lo può rilevare d’ufficio. Infatti cosa c’è scritto nell’ art 183 ?
C’è scritto che il giudice quando incontra le parti prospetta le questioni rilevabili d’ufficio di cui
ritiene opportuna la trattazione. Se poi il giudice dispone l’interrogatorio libero e non formale, lo
scopo dell’interrogatorio libero e non formale è proprio quello di far emergere questi fatti che
operano di diritto in modo che il giudice possa rilevarli autonomamente. Oppure possono essere i
mezzi di prova, per esempio, è possibile che il giudice rilevi l’esistenza di fatti che operano di
diritto dai documenti che le parti hanno prodotto, per esempio è facile che la nullità del contratto
emerga dall’atto pubblico o dalla scrittura privata che è stata prodotta in giudizio per provare la
stipula del contratto. Oppure possono essere i testimoni che rispondendo alle domande
introducono fatti che operano di diritto. Questi sono tutti veicoli per il cui tramite questi fatti
possono legittimamente entrare nel processo e siccome si tratta di fatti che operano di diritto il
giudice li potrà rilevare d’ufficio, anche senza che la parte interessata rilevi il fatto stesso. Però
anche in questo caso non c’è nessun rapporto col principio della domanda. Quello dell’allegazione
dei fatti è un principio sostanzialmente di tecnica processuale.

Ora per concludere sul principio della domanda andiamo ad analizzare il principio della
corrispondenza tra chiesto e pronunciato che trova la disciplina in una disposizione successiva
all’art 99 e cioè nell’art 112, che è la prima fra le disposizioni contenute nel titolo quinto che si
occupa dei poteri del giudice. Leggiamo questa disposizione:‘’il giudice deve pronunciare su tutta
la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono
essere proposte soltanto dalle parti’’

Vedete che è un istituto legato a ciò che abbiamo detto questa mattina. L’art 112 intanto si occupa
della domanda e delle eccezioni di merito ; quindi nell’art 112 non rientra la disciplina delle
eccezioni aventi ad oggetto questioni di rito (che hanno discipline specifiche che analizzeremo nelle
prossime lezioni). Qual è il significato del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato? Il
significato è che il giudice deve rispondere a quanto gli è stato chiesto, deve pronunciarsi su tutta la
domanda e non oltre i limiti di essa e può pronunciarsi sulle eccezioni riservate alle parti solo se
proposte dalle parti e non d’ufficio. Vi ricordo che è proprio lavorando sulla seconda parte dell’art
112 che le Sezioni Unite nel 1998 hanno dettato il criterio di distinzione fra eccezioni in senso
stretto ed eccezioni in senso lato, affermando appunto che secondo la regola generale le eccezioni
sono rilevabili anche d’ufficio (sono eccezioni in senso lato) e che solo nei casi previsti dalla legge
l’eccezione è un’eccezione in senso stretto. É lavorando su quest’articolo 112 che le Sezioni Unite
hanno emanato questo fondamentale arresto.

Torniamo all’art 112. La violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato
può determinare diversi tipi di vizi. Si tratta di vizi che tipicamente si configurano come vizi della
sentenza perché è nel momento in cui rende sentenza che il giudice può violare l’art 112. I vizi che
si possono configurare sono:
- Da una parte il vizio di ultra o extra petizione , che si ha quando il giudice va al di là di ciò che
gli è stato chiesto.

- Dall’altra il vizio di omissione di pronuncia, che ricorre nell’ipotesi in cui il giudice non
risponde a tutto ciò che gli è stato chiesto.

Cominciamo con il primo gruppo di ipotesi cioè:

Primo gruppo - le ipotesi in cui il giudice si pronuncia oltre ciò che gli è stato chiesto. La violazione
dell’art 112 in questa ipotesi si può collegare ad ipotesi diverse. Supponiamo che l’attore abbia
proposto una domanda di accertamento e il giudice emana una sentenza di condanna (Ecco la
classica violazione dell’art 112) ; oppure supponete che con riferimento ad un classico credito di
valuta l’attore abbia chiesto il pagamento del capitale e il giudice condanni al pagamento di
capitale, interessi e rivalutazione monetaria (classica ipotesi in cui il giudice va al di là di quanto gli
è stato chiesto) perché attribuisce all’attore delle utilità che non gli sono state richieste.
Naturalmente, la precisazione crediti di valuta richiama ciò che abbiamo detto a suo tempo sulla
struttura di questi crediti pecuniari, con riferimento ai quali abbiamo più volte rilevato che si tratta
di situazioni che si strutturano come un insieme di diritti, di componenti, che sono autonome l’una
dall’altra anche se legate da un vincolo di connessione per pregiudizialità dipendenza, in particolare
da un vincolo di accessorietà. Quindi interessi e rivalutazione monetaria sono situazioni giuridiche
distinte sia pur accessorie rispetto al diritto ad ottenere il pagamento del capitale. Ancora,
supponiamo che l’attore proponga 2 domande, proponga una domanda avente ad oggetto una
determinata prestazione e proponga in via subordinata (per il caso in cui la prima non sia stata
accolta) un’ ulteriore domanda e il giudice pur accogliendo la prima si pronunci anche sulla
seconda. Anche in questo caso vi è una violazione dell’art 112 perchè siccome la seconda domanda
era stata proposta in via subordinata al mancato accoglimento della prima, nel momento in cui la
condizione non si realizza perché il giudice accoglie la prima, il giudice non avrebbe dovuto
pronunciarsi sulla seconda, ne avrebbe dovuto dichiarare l’assorbimento. E questo è sicuramente un
vizio che rientra nell’art 112. L’ultimo esempio che posso proporvi è quello che riguarda le
eccezioni, cioè le ipotesi in cui il giudice si pronuncia su eccezioni in senso stretto che non sono
state proposte dalla parte. Quindi per esempio il giudice rigetta la domanda perché ritiene il credito
prescritto, ma il convenuto l’eccezione di prescrizione non l’aveva mai sollevata. Anche questa è
una violazione dell’art 112.

Secondo gruppo -In senso contrario, si parla di omissione di pronuncia ogni volta che il giudice non
si pronuncia su quello che gli è stato richiesto. Qui bisogna fare una distinzione:

1-da una parte c’è l’omissione totale di pronuncia —>(caso in cui il giudice proprio non pronuncia
sentenza) che in questa accezione rileva sia ai fini della responsabilità disciplinare del magistrato
(decreto legislativo 109 del 2006) , sia come motivo di responsabilità civile del magistrato
(secondo la disciplina che ancora oggi risiede nella legge Vassalli, sia pure modificata nel 2015 dal
governo Renzi) . Siccome l’ipotesi è che la domanda sia stata proposta e che quindi abbia prodotto i
propri effetti, fra cui la litispendenza (art 39), se il giudice omette del tutto di pronunciarsi quella
causa è ancora pendente, quel processo è ancora in corso e quindi la parte non potrà aprire un
secondo processo, ma dovrà sollecitare l’ufficio giudiziario affinché il giudice venga sostituito.

2-l’omissione parziale di pronuncia —> è il caso in cui il giudice non si pronuncia su tutto ciò che
gli è stato richiesto. Per esempio l’attore propone una domanda di pagamento del capitale, degli
intessi, e della rivalutazione monetaria, il giudice accoglie la domanda relativa al capitale, ma tace
del tutto in ordine alla domanda concernente gli interessi e la rivalutazione monetaria. Oppure,
l’attore propone la sua domanda, il convenuto solleva una serie di eccezioni, il giudice accoglie la
domanda, ma omette di rigettare espressamente le eccezioni o tutte le eccezioni sollevate
ritualmente dal convenuto.

Naturalmente nel valutare la questione relativa al se il giudice ha commesso omissione di pronuncia


dobbiamo tener conto di un dato che ci è già familiare: cioè occorre distinguere a seconda che la
sentenza emanata sia di accoglimento o di rigetto. Se il giudice accoglie la domanda, quindi
dichiara l’esistenza del diritto fatto valere in giudizio, noi sappiamo che è onere del giudice valutare
e pronunciare espressamente motivando l’esistenza di tutti i fatti costitutivi e dichiarare motivando
la non esistenza di tutti i fatti modificativi , estintivi e impeditivi che sono legittimamente entrati nel
processo. Viceversa, se il giudice emana una sentenza di rigetto, cioè sentenza che dichiara la non
esistenza del diritto fatto valere in giudizio, noi sappiamo che la sentenza di rigetto può avere anche
un unico motivo portante ( ed è il motivo portante della sentenza di rigetto) e sappiamo che in
questa ipotesi legittimamente il giudice non si pronuncia su tutti gli altri fatti che sono stati
ritualmente introdotti. Ma qui non siamo di fronte a una omissione di pronuncia perché in questa
ipotesi è legittimo che il giudice non si pronunci sull’esistenza degli altri fatti giuridicamente
rilevanti; questi ultimi sono fatti di cui il giudice dichiarerà l’assorbimento, ma questo è un
principio di tecnica processuale, sappiamo che è una regola che risponde all’esigenza di economia
processuale: evitare che il giudice debba svolgere attività inutili. Quindi bisogna distinguere
nettamente la sentenza che dichiara l’esistenza del diritto dalla sentenza che dichiara invece la non
esistenza del diritto. Quindi laddove il giudice dichiara l’esistenza del diritto ma non si pronuncia
sulla esistenza o non esistenza di tutti i fatti giuridicamente rilevanti, in particolare di tutti i fatti
modificativi, estintivi, impeditivi che sono stati introdotti nel processo, allora sicuramente si
configura un vizio di omissione di pronuncia.

Entrambi i vizi, quindi il vizio di ultra o extra petizione e il vizio di omissione di pronuncia,
sono vizi della sentenza, perché sono vizi che emergono nel momento in cui il giudice emana la sua
sentenza. Questo tipo di vizi va soggetto alla regola generale di cui all’art 161 del codice di
procedura civile di trasformazione dei motivi di nullità in motivi di impugnazione, quindi sono dei
vizi che dovranno essere denunciati , censurati dalla parte soccombente e interessata attraverso un
motivo di impugnazione. Soltanto e solo nella misura in cui sono oggetto di un motivo specifico
di impugnazione questo vizio potrà essere fatto valere di fronte al giudice dell’impugnazione e
potrà essere conosciuto e accertato dal giudice dell’impugnazione.

Cosa succede se la parte si dimentica di formulare un motivo di impugnazione su questo


vizio? Si applica la regola generale, quindi il vizio si sana, non avrà più rilevanza. Però le
conseguenze sono diverse nelle diverse ipotesi che abbiamo analizzato. Con riferimento, infatti, ai
vizi relativi alla ultra o extra petizione, quindi tutte le volte in cui il giudice va al di là della
domanda che è stata proposta o si pronuncia su un’ eccezione in senso stretto che non era stata
ritualmente sollevata dal convenuto, se la parte interessata non denuncia nelle forme e nei termini
imposti dalla legge il vizio al giudice dell’impugnazione, quel vizio si sana, anche se è grave. Il
giudice che emana un provvedimento avente ad oggetto un situazione giuridica che nessuno ha
dedotto in giudizio è un vizio grave, ma si applica la regola generale e quindi quel vizio deve
ritenersi ormai sanato.
Mentre invece con riferimento all’omissione di pronuncia dobbiamo distinguere a seconda che
l’omissione di pronuncia riguardi una vera e propria domanda giudiziale oppure riguardi una
eccezione.

• Se infatti il vizio ha ad oggetto una domanda giudiziale, (mi riferisco naturalmente all’omissione
parziale, quindi il giudice non si è pronunciato su una delle più domande cumulate) si deve
ritenere che la sentenza finale, anche se passa in giudicato, comunque non contiene una
statuizione su quella domanda e quindi giustamente la giurisprudenza riconosce all’attore il diritto
di portare quella domanda su cui il primo giudice non si è pronunciato, di fronte ad un secondo
giudice. Mancando un accertamento è chiaro che manca il presupposto perché si formi l’autorità
della cosa giudicata.

• Invece nel caso in cui l’omissione di pronuncia abbia ad oggetto una o più eccezioni, quindi fatti
giuridicamente rilevanti che sono stati introdotti nel processo, allora la conseguenza è più pesante,
perché la parte perderà il potere di far valere questi fatti. Nel momento in cui il processo si
chiuderà con una sentenza coperta dall’autorità della cosa giudicata, scatta come sappiamo, la
preclusione da dedotto e deducibile, e quindi non potrà essere aperto un secondo processo avente
ad oggetto la stessa situazione giuridica su cui si è pronunciato con sentenza passata in giudicato
il primo giudice, sulla base di fatti già dedotti o comunque deducibili nell’ambito del primo
processo e quindi la parte interessata perde definitivamente il potere appunto di utilizzare questi
fatti, nonostante si tratti di fatti giuridicamente rilevanti.

Infine per completare la nostra riflessione vorrei portarvi all’analisi di un altro principio, che il
legislatore ha accolto nella disciplina di tutti i processi ed è il principio di impulso processuale.

É un principio che va tenuto distinto dal principio della domanda, perché il principio della domanda
è un principio che puntella l’imparzialità e la terzietà del giudice, mentre invece il principio
dell’impulso di parte è un principio di mera tecnica processuale. Qual è il significato del principio
dell’impulso di parte? Il significato è questo, che il nostro processo civile non è un processo che va
avanti d’ufficio , ma il legislatore (mi riferisco in modo particolare al processo a cognizione piena)
chiede alle parti il compimento di alcuni atti processuali, quindi di esercitare dei poteri processuali,
affinché il processo possa transitare dalla fase precedente alla fase successiva. Attraverso l’esercizio
di questi poteri processuali, le parti manifestano il proprio interesse acciocché il processo vada
avanti. Nell’ambito del processo a cognizione piena l’unica fase che va avanti d’ufficio è il ricorso
per Cassazione. Il ricorso per Cassazione infatti, è sì un giudizio di impugnazione, quindi è inserito
nel sistema delle impugnazioni cosiddette ordinarie ( quindi si mette in moto su iniziativa della
parte soccombente secondo quella che è la regola generale ), ma è chiamato ad assolvere una
funzione superiore. Non svolge una funzione di garanzia soggettiva, ma svolge una funzione di
garanzia oggettiva perché attraverso i propri provvedimenti la Corte di Cassazione esercita la
funzione che le viene assegnata dall’art 65 dell’ordinamento giudiziario, ovvero la funzione di
nomofilachia. Quindi questo giustifica la scelta del legislatore di un procedimento di Cassazione
che va avanti d’ ufficio, cioè che una volta messo in modo va avanti. E infatti per completare il
quadro vi posso anticipare che la legge prevede anche che il ricorso per Cassazione possa essere
aperto nell’interesse della legge e che si riallaccia proprio alla funzione di garanzia oggettiva che
questo strumento svolge. Da dove possiamo desumere questa scelta del legislatore del processo
retto dall’impulso di parte? La possiamo desumere dalla disciplina dell’estinzione del processo.
La disciplina dell’estinzione del processo la ritroviamo negli artt 306 e seguenti del cpc.
Diciamo che esistono 2 diverse forme di estinzione: abbiamo da un a parte l’estinzione per
rinuncia agli atti del giudizio e dall’altra abbiamo l’estinzione per inattività delle parti.

- L’estinzione per rinuncia agli atti del giudizio è regolata dall’art 306, il quale afferma che: “il
processo si estingue per rinuncia agli atti del giudizio quando questa è accettata dalle parti
costituite che potrebbero avere interesse alla prosecuzione”. Quindi, l’accettazione (precisa la
disposizione) non può essere subordinata a riserve o condizioni. La dichiarazione di rinuncia e di
accettazione deve provenire dalle parti o dai loro procuratori, ma devono essere muniti di una
procura speciale, possono essere rilasciati in udienza, oppure la dichiarazione può essere resa
anche con atto sottoscritto e notificato alle altre parti. La rinuncia e l’accettazione della rinuncia
sono atti che si correlano al carattere normalmente disponibile del diritto fatto valere in giudizio,
del diritto che costituisce l’oggetto del processo civile. Trattandosi di situazioni che sul piano
sostanziale sono disponibili si giustifica la scelta di consentire a quelle parti e soprattutto all’attore
che ha aperto il processo di tornare sui propri passi e quindi di rinunciare all’azione. Solo che non
può essere una decisione di una sola parte ma affinché si possa avere l’estinzione è necessario che
la controparte accetti. Questa decisone ha un riflesso sulla disciplina delle spese perché in base
all’ultimo comma dell’art 306 ‘’Il rinunciante deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo
diverso accordo tra loro’’.Quindi se c’è la rinuncia e l’accettazione, il giudice, afferma l’art 306
terzo comma, dichiara l’estinzione del processo. L’estinzione, già sappiamo, è un modo di
chiusura anomala del processo, il processo non si chiude con sentenza di merito ma viene chiuso
in rito.

- Diversa è invece l’estinzione per inattività delle parti disciplinata dall’art 307 del cpc, istituto che
attribuisce rilevanza al principio dell’impulso di parte. In generale si parla di inattività delle parti
perché qui la chiusura in rito del processo si collega sempre al mancato compimento di un atto da
parte delle parti , solo che le fattispecie si prestano ad essere divise in due gruppi. Nel primo
comma dell’articolo 307 sono previste le fattispecie che danno luogo all’estinzione per
un’inattività generale, mentre invece nel terzo comma si prevedono le ipotesi di inattività
cosiddetta qualificata. Anche la disciplina processuale delle 2 ipotesi non è perfettamente
coincidente.

Nel primo comma dell’art 307 si fa espresso riferimento all’ipotesi in cui:’’ Se dopo la notificazione
della citazione nessuna delle parti siasi costituita entro il termine stabilito dall'articolo 166, ovvero
se, dopo la costituzione delle stesse, il giudice, nei casi previsti dalla legge, abbia ordinato
la cancellazione della causa dal ruolo’’ . Qui si fa riferimento ad una serie di istituiti, alcuni di
questi li abbiamo già esaminati quando abbiamo descritto le regole di svolgimento del processo a
cognizione piena. Le fattispecie richiamate sono , ad esempio: mancata costituzione dell’attore, art
290 cpc. La disposizione prevede che laddove l’attore non si costituisca nel termine a lui assegnato,
il giudice istruttore, se il convenuto gliene fa richiesta, ordina che il processo prosegua, altrimenti
dispone che la causa sia cancellata dal ruolo e il processo si estingue.(non ritorno su questa
fattispecie che abbiamo già analizzato nella lezione precedente). Ancora, mancata comparizione
delle parti, art. 181. In base al secondo comma, se l’attore costituito non comparisce alla prima
udienza e il convenuto non gli chiede che si proceda in sua assenza, il giudice fissa una nuova
udienza, se l’attore non comparisce anche alla nuova udienza, il giudice se il convenuto non chiede
che si proceda in assenza di lui, ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione
del processo. Quindi la mancata comparizione dell’ attore che si sia regolarmente costituito alla
prima udienza e alla successiva udienza fissata dal giudice, se il convenuto non chiede che si
proceda in assenza di lui, determina l’estinzione del processo.
Ancora, mancata comparizione di entrambe le parti, art 181 primo comma. Se nessuna delle parti
compare alla prima udienza, il giudice fissa un’ udienza successiva di cui il cancelliere dà
comunicazione alle parti costituite. Se nessuna delle parti compare alla nuova udienza, il giudice
ordina che la causa sia cancellata dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo. Quindi laddove
nessuna delle 2 parti si costituisca né alla prima udienza né in quella successiva fissata dal giudice,
anche in questa ipotesi abbiamo l’estinzione del processo. A questa ipotesi possiamo associare la
previsione contenuta nell’art 309, il quale stabilisce che se nel corso del processo nessuna delle
parti si presenta all’udienza (evidentemente ad un’ udienza successiva alla prima) il giudice
provvede ancora a norma del primo comma dell’art 181. Rientrano in queste previsioni anche
ulteriori ipotesi che si collegano a ipotesi in cui il processo viene a cadere in uno stato di stand-by.
Per esempio il processo viene dichiarato sospeso, interrotto. Anche qua, la legge, lo vedremo,
stabilisce che le parti hanno a disposizione un certo periodo di tempo per rimetterlo in moto e se le
parti non ottemperano nel termine indicato dalla legge, la causa si estingue, il processo si estingue.
Sono tutte ipotesi di inattività delle parti: le parti non pongono in essere quegli atti processuali che
si rendono necessari affinché il processo passi dalla fase anteriore alla fase successiva.

Qual è la disciplina? Torniamo al primo comma dell’art 307. Allora dobbiamo distinguere 2 regole:

1-Nel caso dell’art 181 e 290, il giudice dispone la cancellazione della causa dal ruolo e il processo
si estingue immediatamente. Si tratta delle ipotesi di mancata costituzione dell’attore, mancata
comparizione dell’attore e mancata comparizione di entrambe le parti. A questo si aggiunge il 309,
sulla mancata comparizione delle parti ad un’ udienza successiva, perché questa norma richiama
appunto l’art 181. In queste ipotesi quindi il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e
il processo si estingue immediatamente.

2- Invece, in tutte le atre ipotesi, torniamo all’art 307 primo comma, la legge stabilisce che il
giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo deve essere riassunto di fronte
allo stesso giudice nel termine perentorio di 3 mesi che decorre rispettivamente dalla scadenza del
termine per la costituzione del convenuto a norma dell’art 166 o dalla data del provvedimento di
cancellazione, altrimenti il processo si estingue. Quindi la disciplina è diversa perché l’estinzione
non è immediata: il giudice dispone la cancellazione della causa dal ruolo, dopodiché se decorsi 3
mesi nessuna delle parti ha rimesso in moto il processo, cioè non ha posto in essere un atto di
impulso processuale, il processo si estingue. Dunque la dichiarazione di estinzione non è
immediata, ma avviene solo dopo che sono decorsi 3 mesi in cui le parti sono rimaste del tutto
inattive. Il secondo comma dell’art 307 prevede che, a completamento della disciplina, il processo,
una volta riassunto a norma del precedente comma, si estingue se nessuna delle parti siasi costituita,
ovvero se nei casi previsti dalla legge il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo. Nel
terzo comma troviamo invece le ipotesi di inattività cosiddetta qualificata, in questi altri casi
l’estinzione si collega sempre ad un meccanismo di sanatoria cioè a una serie di fattispecie in cui
il giudice ha ordinato alle parti di rinnovare entro un termine perentorio la notifica dell’atto di
citazione o di proseguire, o riassumere o integrare il giudizio, e le parti non ottemperano all’ordine
del giudice. In questo caso l’estinzione viene chiarata immediatamente. Leggiamo la
disposizione: ‘’Oltre che nei casi previsti dai commi precedenti, e salvo diverse disposizioni di
legge, il processo si estingue altresì qualora le parti alle quali spetta di rinnovare la citazione o di
proseguire, riassumere o integrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine
perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo. Quando la
legge autorizza il giudice a fissare il termine, questo non può essere inferiore ad un mese né
superiore a tre’’
Le ipotesi che rientrano in quest’altra previsione in parte ci sono già note, per esempio un vizio
relativo all’atto di citazione, un vizio che determina l’invalidità dell’atto di citazione , art 164 cpc
( lo vedremo fra poche lezioni) la legge prevede in ogni caso che il giudice, rilevato il vizio, fissa
all’attore un termine entro il quale procedere alla rinnovazione dell’atto di citazione, di un atto di
citazione valido. Ancora, vizio invalidità relativo al procedimento di notificazione dell’atto di
citazione, questo lo abbiamo già visto art 292 cpc; il giudice anche in questo caso ordina all’attore
di rinnovare la notifica dell’atto di citazione entro un termine perentorio. Oppure, vi posso
richiamare il difetto di un litisconsorte necessario, il giudice si rende conto (art 102) che manca
qualcuno, si tratta di quelle ipotesi in cui al processo devono necessariamente prendere parte più
soggetti e qualcuno non è stato chiamato in causa. Allora, il giudice, art 102, anche in questo caso
fissa un termine perentorio entro cui procedere all’integrazione del contraddittorio. Se nessuno lo
fa, si avrà, anche in questa ipotesi, un’estinzione del processo. In base alla disciplina attualmente
vigente , che trovate nell’ultimo comma dell’art 307, che risale alla legge di riforma del 2009, in
tutti questi casi l’estinzione opera di diritto e può essere dichiarata dal giudice anche d’ufficio.
Prima del 2009, in verità, si diceva che l’estinzione opera di diritto, ma poteva essere dichiarata solo
su iniziativa di parte, su eccezione di parte. Molto opportunamente il legislatore è intervenuto e a
partire dal 2009 il giudice la può dichiarare d’ufficio.

Quindi laddove le parti non ottemperino a quanto previsti nei commi 1,2,3 dell’art 307, il
giudice non è tenuto ad aspettare l’eccezione di parte ma procederà d’ufficio alla
dichiarazione dell’estinzione. L’estinzione viene dichiarata, lo dice espressamente l’ultimo comma
dell’art 307, con ordinanza.

Questa ordinanza in base al successivo articolo 308, se viene emanata dal giudice singolo è
suscettibile di un particolare mezzo di impugnazione, che è il reclamo di fronte al collegio, richiamo
all’art 178 comma 3-4-5. In base al secondo comma dell’art 308 il collegio provvede in camera di
consiglio e provvede, nel caso in cui rigetti il reclamo e quindi confermi la dichiarazione di
estinzione con sentenza, che sarà sentenza definitiva di chiusura del processo; mentre invece se
accoglie il reclamo e quindi ritiene che la causa di estinzione non si sarà verificata, provvede con
ordinanza non impugnabile. [Ricordate che l’art. 308 lo avevamo già richiamato quando avevamo
parlato delle ordinanze del giudice, in particolare delle ordinanze che non potevano essere revocate
e modificate da parte del giudice, perchè contro di esse era previsto uno speciale mezzo di reclamo.]
Con questo avrei concluso sul principio dell’impulso di parte.

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