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Lezione del 24 Settembre

Il IV libro è dedicato ai procedimenti speciali il cui contenuto è piuttosto eterogeneo


perché troviamo una serie di procedimenti che si definiscono speciali, si tratta di
procedimenti cd a cognizione sommaria contrapposti al processo a cognizione
piena di cui al II libro.
Perché si parla di procedimenti speciali?
La caratteristica di questi procedimenti è in primis la circostanza che questi
procedimenti si possono aprire solo nei casi indicati dalla legge. Quindi è il legislatore
di volta in volta ad indicarci i presupposti per aprirli. Per esempio, l’art 633 cpc è la
prima disposizione dedicata ad un procedimento che viene utilizzato tutti i giorni
negli uffici giudiziari ed è il procedimento di ingiunzione: il I comma fa riferimento
all’oggetto di questo procedimento.
ARTICOLO 633 comma 1 c.p.c.
« Su domanda di chi è creditore di una somma liquida di danaro o di
una  determinata  quantità di cose fungibili, o di chi ha  diritto  alla  consegna  di
una cosa mobile determinata, il giudice competente pronuncia  ingiunzione  di
pagamento o di consegna:
1) se del diritto fatto valere si da' prova scritta;
2) se il  credito  riguarda  onorari  per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o
rimborso di spese fatte da avvocati, procuratori, cancellieri, ufficiali giudiziari o da
chiunque altro ha prestato la sua opera in occasione di un processo;
3) se il credito riguarda onorari, diritti o rimborsi spettanti ai notai a norma della
loro legge professionale, oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per
la quale esiste una tariffa legalmente approvata »
È la legge/legislatore ad indicare l’oggetto di questo procedimento e lo stesso avviene
in quasi tutti, salvo un’eccezione. Si parla comunque di procedimenti a cognizione
sommaria. Che cosa vuol dire? Sicuramente il procedimento a cognizione sommaria
si contrappone alla cognizione piena che caratterizza il processo a cognizione piena
secondo il rito ordinario, secondo il rito lavoro disciplinato nel II libro cpc.
In che cosa si distingue la cognizione sommaria dalla cognizione piena?
La cognizione piena si caratterizza per la predeterminazione a livello legale delle
forme e dei termini di svolgimento del processo, cioè è la legge a disciplinare i
poteri, i doveri e le facoltà di cui sono titolari coloro che prendono parte al processo
(le parti e il giudice) e questo il legislatore lo fa con riferimento per ogni singola fase
del processo a cognizione piena (fase introduttiva, fase istruttoria, fase decisoria). La
seconda caratteristica è l’attivazione piena e anticipata del contraddittorio perché
l’atto che dà avvio al processo e che contiene la domanda giudiziale, nel caso del
processo a cognizione piena secondo il rito ordinario è l’atto di citazione, viene
portato a conoscenza del suo destinatario e solo in un secondo momento viene
portato di fronte all’ufficio giudiziario, al giudice. Nei processi introdotti con ricorso,
come il processo del lavoro, la sequenza è invertita perché il ricorso viene prima
depositato presso l’ufficio giudiziario e poi notificato al destinatario, ma il
contraddittorio è comunque attivato in apertura della lite. La terza caratteristica è il
provvedimento finale perché il processo a cognizione piena si deve chiudere con un
provvedimento avente forma di sentenza che, tendenzialmente, deve contenere la
pronuncia sul merito, quindi la risposta che il giudice dà alla domanda giudiziale, la
statuizione del giudice in ordine all’esistenza o meno del diritto fatto valere in
giudizio. La sentenza in presenza delle condizioni indicate dalla legge può acquisire
quella speciale stabilità che è l’autorità della cosa giudicata.
Le caratteristiche del procedimento a cognizione sommaria sono diverse.
Innanzitutto si parla di cognizione sommaria perché in questi procedimenti non è il
legislatore a dettare le regole di svolgimento del processo, ma è il giudice a stabilire
le regole di svolgimento del processo.
ARTICOLO 669 sexies comma 1 c.p.c.
« Il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio,
procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in
relazione ai presupposti e ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con
ordinanza all'accoglimento o al rigetto della domanda »
È una disposizione inserita tra gli articoli che disciplinano il procedimento cautelare
generale utilizzato per ottenere una misura cautelare. In questo articolo vi è la
definizione della cognizione sommaria, è il giudice a dettare le regole di svolgimento
del processo.
La seconda caratteristica dei procedimenti sommari è che talvolta, solo nei casi
previsti dalla legge, il contraddittorio viene attivato in via posticipata.
Il principio del contraddittorio è un principio costituzionale sancito espressamente
dall’art. 111 Cost. Il legislatore, quindi, non potrebbe prevedere un procedimento che
si svolga in assenza di contraddittorio perché sarebbe sollevata immediatamente la
questione di legittimità costituzionale. Quello che viene previsto è, invece, una
attivazione posticipata del contraddittorio, cioè si prevede in alcune ipotesi che il
procedimento si apra con una fase che si svolge inaudita altera parte, cioè in
presenza del solo attore.
Questo è quanto avviene proprio nel procedimento per ingiunzione. Con riferimento
all’ipotesi in cui c’è una posticipazione del contraddittorio, si parla di una cognizione
sommaria perché parziale (terminologia chiovendiana) in quanto il giudice ha di
fronte a sé solo una parte, quindi conosce soltanto gli elementi a lui portati da questa
parte. Questi procedimenti sono anche considerati a cognizione superficiale perché
comunque si applicano le regole del II libro cpc.
Infine, i procedimenti speciali si chiudono con provvedimenti che
tendenzialmente hanno la forma dell’ordinanza, non di sentenza. La famiglia dei
procedimenti speciali e dei provvedimenti speciali si dividono in due grosse famiglie:
ci sono procedimenti sommari non cautelari e i procedimenti sommari di tipo
cautelare.
I procedimenti sommari di tipo NON cautelare di cui l’esempio principe è il
procedimento per ingiunzione, si chiude con un provvedimento che ha la forma del
decreto, il quale in presenza delle condizioni indicate dalla legge (sostanzialmente è la
mancata opposizione del destinatario che è il debitore) può acquisire una stabilità
che sul piano qualitativo è analogo al giudicato, ma sul piano quantitativo è molto
più ristretta perché non si applicano le teorie dei limiti oggettivi del giudicato. Quindi
il provvedimento ha la stessa stabilità del giudicato, ma più ristretta, più ridotta alla
coppia pretesa-obbligo che viene azionata in giudizio.
I provvedimenti sommari cd cautelari hanno la forma dell’ordinanza. La
caratteristica dell’ordinanza cautelare è quella di essere provvisoria.
ARTICOLO 669 decies comma 1 c.p.c.
« Salvo che sia stato proposto reclamo ai sensi dell'articolo 669-terdecies, nel corso
dell'istruzione il giudice istruttore della causa di merito può, su istanza di parte,
modificare o revocare con ordinanza il provvedimento cautelare, anche se emesso
anteriormente alla causa, se si verificano mutamenti nelle circostanze o se si
allegano fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al
provvedimento cautelare. In tale caso, l'istante deve fornire la prova del momento in
cui ne è venuto a conoscenza »
Questa regola di revocabilità e modificabilità senza limiti di tempo è una regola
opposta rispetto al giudicato ex art 2909 cc. Quindi all’ordinanza cautelare è
totalmente estranea la stabilità del giudicato.
Per quale motivo il legislatore prevede i procedimenti speciali? Tutti gli
ordinamenti prevedono i procedimenti speciali perché essi consentono al legislatore
di assolvere, di dare attuazione ad alcune fondamentali esigenze. Il processo a
cognizione piena del II libro è un processo, in virtù delle sue caratteristiche (rigida
predeterminazione delle regole di svolgimento e azione immediata e piena del
contraddittorio), sicuramente molto garantista perché il legislatore attraverso questa
regolamentazione ha dettato delle regole idonee ad assicurare il pieno contraddittorio
delle parti, ha dettato delle regole che consentono/ garantiscono anche la possibilità
di controllare il regolare svolgimento del processo e di controllare che la decisione del
giudice sia stata presa a conclusione di un processo che si è regolarmente svolto nel
pieno rispetto di queste regole e del contraddittorio delle parti. Proprio per questo è
un procedimento estremamente complesso ed estremamente lungo (uno dei problemi
della giustizia italiana è la lentezza e lunghezza dei processi). È un processo che
fisiologicamente ha una durata ed è un processo che costa molto sia alle parti che
allo Stato.
La prima esigenza che deve assolvere lo Stato è quella di economia processuale, cioè
evitare di sostenere i costi in senso economico e temporale del processo a cognizione
piena laddove siamo in presenza di liti c.d da pretesa insoddisfatta, cioè laddove la
crisi di cooperazione consiste nel fatto che il debitore semplicemente non paga.
Quest’esigenza giustifica la previsione di una prima serie di procedimenti speciali, fra
cui proprio il procedimento per ingiunzione. Nel procedimento per ingiunzione c’è
una prima fase che si svolge in presenza del solo ricorrente, cioè il creditore/colui
che agisce, che con riferimento ai diritti indicati nell’art 633 si rivolge al giudice
portando anche delle prove scritte per fondare l’esistenza della sua pretesa → se il
giudice si convince che la pretesa è fondata emana un provvedimento, il decreto
ingiuntivo, che viene portato a conoscenza del destinatario, ossia il debitore. Questo
è il momento in cui viene attivato il contraddittorio. A questo punto il debitore ha la
possibilità, se vuole e se ha delle contestazioni, di impugnare questo provvedimento,
proponendo la cd. opposizione a decreto ingiuntivo, la quale determina l’apertura
di un processo a cognizione piena (si svolge nelle forme del II libro cpc). Il legislatore
ha rimesso nelle mani del destinatario del provvedimento la scelta di aprire il
processo a cognizione piena, solo laddove avesse delle contestazioni sull’esistenza
dell’altrui diritto.
Oltre al procedimento per ingiunzione, ci sono altre procedimenti che rispondono a
questa stessa esigenza, come ad esempio il procedimento per convalida di sfratto,
ossia un procedimento che viene predisposto per il diritto del locatore di ottenere il
rilascio dell’immobile locato laddove il contratto sia scaduto e il locatore non intenda
rinnovare il contratto stesso oppure laddove il conduttore sia moroso e il locatore
vuole risolvere il contratto per inadempimento del conduttore ottenendo il rilascio
dello stesso immobile.
L’altra esigenza a cui risponde la tutela c.d sommaria è quella di assicurare
l’effettività della tutela: la distanza che separa l’apertura del processo
all’emanazione del provvedimento finale può causare all’attore, che ha subito una
crisi di cooperazione ingiusta e che si è visto costretto a ricorrere al giudice, un
danno ulteriore rispetto a quello che già gli deriva dalla crisi di cooperazione. Si parla
di un danno marginale ed è proprio per evitare questo danno marginale che il
legislatore prevede/predispone alcuni procedimenti speciali che rispondono a due
diverse esigenze di effettività della tutela.
In primo luogo il legislatore predispone dei procedimenti speciali che consentono
all’attore che ha ragione di ottenere in tempi stretti un provvedimento cd
anticipatorio, cioè un provvedimento che anticipa gli effetti della futura sentenza di
accoglimento emanata a conclusione del processo a cognizione piena. Questi
provvedimenti anticipatori possono essere ottenuti talvolta attraverso procedimenti
sommari di tipo non cautelare: si richiama il procedimento in tema di
mantenimento dei figli di cui all’art 316 bis cc che è un provvedimento che può
essere ottenuto da chi sopporta le spese di mantenimento dei figli, laddove colui che
è tenuto al mantenimento non adempie. Il mantenimento è un tipico diritto che ha
un contenuto patrimoniale perché consiste nel pagamento di somme di denaro, ma
ha una funzione non patrimoniale perché lo scopo è quello di garantire la
sopravvivenza dei figli.
Il legislatore si serve anche dei procedimenti c.d cautelari, delle misure cautelari,
fra queste i provvedimenti urgenti di cui all’art 700 cpc. Tale provvedimento di
urgenza si distingue da tutti gli altri provvedimenti speciali perché è atipico (il
legislatore non tipizza le ipotesi in cui il provvedimento può essere richiesto).
ARTICOLO 700 c.p.c.
« Fuori dei casi regolati nelle precedenti sezioni di questo capo, chi ha fondato motivo
di temere che durante il tempo occorrente per far valere il suo diritto in via ordinaria,
questo sia minacciato da un pregiudizio imminente e irreparabile, può chiedere con
ricorso al giudice i provvedimenti d'urgenza, che appaiono, secondo le circostanze,
più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito »
Non c’è riferimento ad una situazione giuridica specifica così come accade nell’art.
633 con riferimento al procedimento per ingiunzione o negli artt. 653ss con
riferimento al procedimento per convalida di sfratto. L’art. 700 cpc può essere
utilizzato con riferimento a qualsivoglia situazione sostanziale, ma la legge impone un
altro presupposto: impone che questa situazione sia minacciata da un pregiudizio
imminente e irreparabile.
L’irreparabilità è qualcosa di grosso e proprio per questo motivo la Corte
Costituzionale, in una sentenza del 1985, ha affermato che “ la tutela urgente nella
parte in cui è diretta ad evitare un pregiudizio irreparabile è costituzionalmente
doverosa ” perché è uno strumento indispensabile per dare attuazione al principio di
garanzia/di effettività della tutela, in base al quale il processo deve dare a chi ha un
diritto TUTTO QUELLO E PROPRIO QUELLO CHE IL CITTADINO ha diritto di
conseguire sulla base della legge sostanziale.
Accanto ai provvedimenti anticipatori c’è un’altra famiglia di provvedimenti speciali
ugualmente diretti ad assicurare l’effettività della tutela: si tratta di un particolare
gruppo di misure cautelari: le misure cautelari possono essere anticipatorie
(rientrano in tutto ciò che è stato finora detto - l’art 700 è una misura cautelare
anticipatoria), ma possono essere anche conservative.
Lo scopo delle misure cautelari conservative è quello di evitare che durante lo
svolgimento del processo si verifichi un fatto, o venga compiuto un atto, che
pregiudica la possibilità di dare esecuzione nelle forme del III libro alla sentenza di
condanna, che ha accolto la domanda giudiziale. I tipici provvedimenti cautelari
conservativi sono i sequestri: sequestro conservativo e sequestro giudiziario.
Esempio: prendiamo il caso del creditore di una somma di denaro → c’è un debitore
che non paga, per cui il creditore è costretto a rivolgersi al giudice. Se il creditore
fosse costretto ad aspettare la conclusione del processo a cognizione piena per
ottenere la sentenza di condanna (in quanto titolo esecutivo gli consente di aprire il
processo di esecuzione), probabilmente il debitore avrebbe tutto il tempo di far
sparire i beni del suo patrimonio in modo che il creditore che apre il processo
esecutivo, munito della sentenza di condanna che ha titolo esecutivo, non trova più
niente. Il processo esecutivo in questo caso è l’espropriazione forzata ha ad oggetto i
beni del debitore, ma se il patrimonio del debitore è vuoto, il processo esecutivo non
può dare il risultato dovuto. Per evitare questo tipo di situazione in cui nella durata
del processo a cognizione piena si dà lo spazio/il tempo al convenuto per porre in
essere degli atti che pregiudicano la c.d fruttuosità pratica della sentenza, cioè la
possibilità di mettere in esecuzione fruttuosamente la sentenza di accoglimento della
domanda, viene previsto una particolare misura cautelare, che è il cd. sequestro
conservativo. Il sequestro conservativo consente all’attore (il creditore) di creare, su
alcuni beni del patrimonio del debitore, un vincolo di indisponibilità. I beni continuano
a far parte del patrimonio del debitore, ma eventuali atti dispositivi posti in essere dal
debitore sui beni oggetto di sequestro sono inefficaci nei confronti del creditore, non
gli sono opponibili e la conseguenza è che una volta che il creditore avrà ottenuto il
titolo esecutivo potrà agire esecutivamente su questi beni, potrà pignorarli e poi
procedere in via esecutiva.
Anche le misure cautelari c.d conservative sono volte ad assicurare l’effettività
della tutela, ma nel senso di assicurare la fruttuosità pratica della sentenza perché
nel termine tutela non rientra solo il processo di cognizione, ma rientra anche il
processo esecutivo perché il principio di effettività della tutela come diritto di ottenere
tutto quello e proprio quello che si ha diritto di conseguire non significa diritto ad
ottenere un foglio di carta che mi dà ragione, ma significa ottenere le utilità materiali
che mi sono garantite dalla legge sostanziale.
La terza esigenza a cui assolve la tutela c.d sommaria è quella di evitare l’abuso del
diritto di difesa, nel senso che il processo dovrebbe essere aperto dal cittadino che
ha subito una crisi di cooperazione, il quale, non potendo farsi giustizia da sé, è
costretto a rivolgersi al giudice. Naturalmente la controparte (il convenuto), che è la
parte che ha posto in essere la crisi di cooperazione, non ha alcun interesse che il
processo vada avanti e, soprattutto, che giunga velocemente a conclusione. Quindi
appare chiaro che il convenuto che ha torto, se ha la possibilità, articola una serie di
difese pretestuose che richiedono una lunga indagine in modo di evitare che il
processo si chiuda rapidamente. Per evitare l’esigenza che ci sia un abuso del diritto
di difesa da parte del convenuto, il legislatore prevede la possibilità di ottenere, in
presenza di alcune condizioni, dei provvedimenti provvisori che si basano
sull’accertamento pieno dell’esistenza dei fatti su cui si basa la domanda e su una
valutazione sommaria di non esistenza di fatti favorevoli al convenuto che accolgono
la domanda: sono provvedimenti di accoglimento che sono risolutivamente
condizionati all’accoglimento delle difese del convenuto perché questi
provvedimenti non mettono fine al processo, ma accolgono momentaneamente la
domanda e attribuiscono all’attore che l’ha ottenuto anche la possibilità di agire
esecutivamente, dopo di che il processo prosegue per valutare la fondatezza
dell’eccezione del convenuto. Tali meccanismi sono pochi e sono ipotesi tipiche che
prendono il nome di provvedimenti di condanna con riserva di eccezione ➾ sono
provvedimenti di condanna perché accolgono la domanda dell’attore, ma sono
subordinati all’accoglimento delle difese del convenuto. Il processo prosegue con
riferimento alle difese del convenuto e se il giudice dovesse ritenerle fondate ed
esistenti, il primo provvedimento perderebbe la propria efficacia.
In questo IV libro vi è, anche, la disciplina dei procedimenti in Camera di Consiglio:
sono dei procedimenti che occupano le ultime disposizioni di questo IV libro, artt.
737 fino a 742 bis e sono delle ipotesi in cui il legislatore affida al giudice dei compiti
che sono ai margini della tutela contenziosa. Al giudice vengono affidati dei compiti
diversi rispetto a quello che è la funzione tipica affidata ai magistrati ossia la tutela
giurisdizionale dei diritti: questi compiti consistono nella gestione di particolari
interessi di soggetti, si parla infatti di giurisdizione volontaria perchè si
contrappone alla giurisdizione contenziosa. Non sono casi che devono essere affidati
alla magistratura in quanto titolare esclusiva della funzione giurisdizionale, così
come sancito nella carta costituzionale agli articoli 101 e 102.
Il legislatore, nella sua discrezionalità, potrebbe affidare queste funzioni ad altri
funzionari pubblici, per esempio ad una autorità amministrativa: se le affida talvolta
al giudice è perché il giudice offre delle garanzie di terzietà e indipendenza che sono
estranee agli altri funzionari statali e alle altre autorità.
Facciamo degli esempi: Nomina o rimozione dei rappresentanti legali di minori o di
incapaci (nomina del tutore) oppure autorizzazioni che il tutore deve richiedere per
compiere atti di straordinaria amministrazione nell’interesse di questi soggetti.
Questo tipi di procedimenti rientrano nell’ambito della giurisdizione volontaria perché
al giudice non viene chiesto di risolvere una controversia/crisi di cooperazione, ma
gli si chiede di adottare un provvedimento nell’interesse di un soggetto che si trova in
una situazione particolare, come accade per l’incapace o per il minore. Si tratta di
provvedimenti che, talvolta, incidono su posizioni di diritto: il provvedimento di
rimozione del rappresentante, ad esempio, è un provvedimento preso nell’interesse si
dell’incapace o del minore, ma che incide su diritti del tutore, sulla posizione
giuridicamente rilevante del tutore.
Giudicato ed oggetto del processo
Il tema del giudicato e dei limiti oggettivi del giudicato è fondamentale. L’oggetto del
processo civile è una situazione giuridicamente rilevante, è il diritto con
riferimento al quale il cittadino che ha subito la crisi di cooperazione invoca la tutela.
L’oggetto del giudicato è una situazione di diritto e ciò è confermato in varie
disposizioni del cpc, del cc e della Cost. Il codice civile, in verità, contiene molte
disposizioni che interessano il processo civile (VI libro cc - sono disposizioni
importanti dove troviamo sanciti i principi fondamentali del processo civile e che non
sono ripetuti nel cpc). Come si può spiegare? Tutto ciò ha una motivazione storica
perché il codice civile è stato scritto prima del codice di procedura civile; il legislatore
pensò di anticipare nel VI libro alcune norme, regole e principi processuali e quando
a distanza di poco tempo è stato redatto il cpc, con riferimento ad alcuni principi non
si è ritenuto opportuno di doverli ripetere. Per esempio, il principio dell’onere della
prova (regge tutta la materia delle prove), ancora oggi è regolato in una disposizione
del cc, l’art 2697 cc.
Le disposizioni normative che affermano il principio per cui è il diritto a costituire
l’oggetto della domanda e l’oggetto della tutela giurisdizionale sono:
La prima disposizione è l’ARTICOLO 24 comma 1 Costituzione
« Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi »
C’è un collegamento fra il diritto di azione e la situazione di diritto/di interesse legittimo
in senso atipico, richiama tutte le situazioni giuridicamente rilevante a prescindere dalla
loro struttura.
Un altra disposizione è l’ ARTICOLO 99 c.p.c che esprime il principio della
domanda
« Chi vuole far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice
competente »
Appare evidente il collegamento fra l’azione, la domanda che permette di esercitare il
diritto di azione e la situazione di diritto.
In tema di principio della domanda vi è anche ARTICOLO 2907 c.c.
« Alla tutela  giurisdizionale  dei  diritti provvede l’autorità giudiziaria su domanda
di parte e, quando la legge lo dispone, anche su istanza del  pubblico ministero  o
d'ufficio »
Il legislatore del codice di procedura civile ha ritenuto voler ripetere il principio,
anche se le due disposizione si collocano in una prospettiva diversa perché l’art.
2907 cc è scritto nell’ottica del giudice “alla tutela giurisdizionale dei diritti provvede
l’autorità giudiziaria”, mentre l’art 99 cpc è scritto nell’ottica dell’attore “chi vuol far
valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente”.
Anche l’art 2907 cc collega la domanda di parte alla posizione di diritto (alla
situazione giuridicamente rilevante), e c’è un richiamo alla tutela giurisdizionale: è
una disposizione che dà per presupposto che l’oggetto del processo costituisca anche
l’oggetto della tutela giurisdizionale.
L’art. 81 cpc, si occupa della sostituzione processuale
ARTICOLO 81 c.p.c.
« Fuori dei casi espressamente  previsti  dalla legge,  nessuno  può far valere
nel processo in nome proprio un diritto altrui »
Si occupa della cd legittimazione ad agire, cioè risponde alla domanda “chi può
proporre la domanda giudiziale”? In verità, l’art 81 cpc si occupa dell’eccezione:
infatti, la regola generale in tema di legittimazione ad agire è il principio della
normale correlazione fra titolarità del diritto e titolarità dell’azione, ossia è
legittimato ad esercitare l’azione colui che si afferma titolare del diritto fatto valere in
giudizio. L’art 81 prevede delle eccezioni: prevede che nei casi espressamente previsti
dalla legge (si impone il marchio della tassatività), taluno può essere legittimato a far
valere in nome proprio un diritto altrui ➾ si parla in questo caso di legittimazione
straordinaria o sostituzione processuale. È un articolo che pone un collegamento
fra l’azione (proposizione della domanda) e la situazione di diritto.
La stessa osservazione si può fare con riferimento all’art 2697 cc
ARTICOLO 2697 c.c. - Principio dell’onere della prova
« Chi vuol far valere un  diritto  in giudizio deve  provare  i fatti che
ne costituiscono il fondamento.
Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato
o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda »
Una delle attività fondamentali del giudice è di effettuare l’accertamento
dell’esistenza o meno dei fatti che vengono portati nel processo dalle parti. Il giudice
conosce l’esistenza dei fatti attraverso le prove perché o il fatto non è controverso fra
le parti e, allora, il principio di non contestazione il giudice lo può ritenere esistente,
oppure è necessario provare se il fatto è contestato. Nel momento in cui si apre il
processo è molto importante stabilire chi deve provare che cosa ed è questo l’oggetto
dell’art 2697cc ➾ distribuisce l’onere della prova fra le parti e introduce la regola per
cui ciascuna parte ha l’onere di provare i fatti a sé favorevoli. L’attore ha l’onere di
provare i fatti che pone a fondamento della sua domanda, mentre il convenuto ha
l’onere di provare i fatti a sé favorevoli, cioè i c.d fatti modificativi, estintivi e
impeditivi. Anche il comma I dell’art. 2697cc collega alla proposizione della
domanda giudiziale la situazione di diritto.
Dalla lettura complessiva di queste disposizioni ricaviamo che l’oggetto della
domanda e l’oggetto del processo è il diritto fatto valere in giudizio. Con diritto
intendiamo il rapporto giuridico controverso, cioè la situazione giuridica con riferimento
alla quale si è verificata la crisi di cooperazione. A queste previsioni si correla l’art
2909 cc, cioè la disposizione dedicata alla cosa giudicata materiale
ARTICOLO 2909 c.c. - (Cosa giudicata)
«L’accertamento contenuto  nella sentenza  passata  in  giudicato  fa stato a
ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa »
L’oggetto del giudicato, l’oggetto dell’accertamento destinato a fare stato fra le parti,
i loro eredi e gli aventi causa, non può che essere l’oggetto del processo e già oggetto
della domanda. Tendenzialmente, vi è una coincidenza fra l’oggetto della domanda,
l’oggetto del processo e anche l’oggetto del giudicato. N.B. laddove la sentenza non è di
accoglimento ma di rigetto, sta maturando, in giurisprudenza e in dottrina, il
convincimento che questo giudicato di rigetto possa avere un’estensione più ridotta
rispetto all’oggetto del processo e all’oggetto della domanda.
Una volta stabilito che l’oggetto del processo e l’oggetto del giudicato è il diritto fatto
valere in giudizio, occorre definire che cosa è il diritto e soprattutto mettere a fuoco i
meccanismi per il cui tramite questo diritto deve essere dedotto in giudizio.
Dal momento in cui il diritto costituisce l’oggetto della domanda, del processo e
tendenzialmente anche del giudicato finale, è molto importante che il diritto venga
identificato. Il diritto viene identificato da chi propone la domanda giudiziale (ossia
l’attore) e lo fa nell’atto introduttivo del processo, cioè nell’atto che contiene la
domanda giudiziale (il diritto costituisce proprio l’oggetto domanda giudiziale).
Come visto, il processo a cognizione piena secondo il rito ordinario si apre, ex
art.163 c.p.c, con un atto che ha la forma dell’atto di citazione a comparire a udienza
fissa e, incidentalmente, il processo a cognizione piena secondo il rito lavoro si
apre con un atto che ha la forma del ricorso la cui disciplina è espressa nell’art. 414
c.p.c.
Distinzione fra atto di citazione e ricorso
L’atto di citazione è l’atto che apre il processo a cognizione piena secondo il rito
ordinario. La sua caratteristica è che questo atto si compone di 2 diversi sotto-atti:
1. La vera e propria domanda giudiziale, ossia l’atto di esercizio del diritto di azione
☞ c.d edictio actionis;

2. Il sotto-atto di attivazione del contraddittorio ☞ c.d vocatio in ius.

Infatti, l’atto di citazione una volta redatto viene portato nella sfera di conoscibilità
del destinatario attraverso il procedimento di notificazione e soltanto dopo che si è
perfezionato il procedimento di notificazione, la citazione verrà portata presso
l’ufficio giudiziario adito. La sequenza nel processo a cognizione piena secondo il
rito ordinario è:
a) Atto di citazione;
b) Notifica dell’atto di citazione al convenuto;
c) Incardinamento della controversia presso il giudice adito, c.d. atto di
costituzione in giudizio.
Il ricorso di cui all’art 414 c.p.c ha un contenuto più limitato perché è un atto che
contiene l’edictio actionis, ma non anche l’attivazione del contraddittorio. Il ricorso
contiene la domanda giudiziale, senza attivare il contraddittorio: il ricorso deve essere
innanzitutto portato presso l’ufficio giudiziario adito (quindi, l’attore si deve
costituire) e il giudice, con un decreto in calce al ricorso, fissa la data della prima
udienza. Dopodiché, l’attore dovrà procedere alla notificazione del ricorso e del
decreto contenente la fissazione della data della prima udienza al convenuto. La
sequenza segue l’ordine inverso.
Sia l’atto di citazione che il ricorso devono contenere l’edictio actionis, cioè l’atto di
esercizio del diritto di azione. Nell’atto di esercizio del diritto di azione, l’attore
individua gli elementi che consentono di individuare il diritto fatto valere in giudizio.
Gli elementi sono:
• L’elemento soggettivo, cioè le parti;
• L’oggetto, cioè il c.d petitum;
• I fatti posti a fondamento della domanda, la c.d causa petendi.
LE PARTI
ARTICOLO 163 comma 3, n. 2 c.p.c.
« il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell'attore, il nome, il cognome, il
codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone
che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o  convenuto è una
persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve
contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne
ha la rappresentanza in giudizio »
Il termine ‘parti’ nel linguaggio processuale è un termine che ha una pluralità di
significati perché si distinguono le parti in senso sostanziale e le parti in senso
formale. Ai fini del discorso che stiamo svolgendo ci interessano le parti in senso
sostanziale, cioè i titolari del diritto fatto valere in giudizio. Se parliamo di una
obbligazione, le parti in senso sostanziale sono il creditore e il debitore in quanto
parti titolari del rapporto giuridico dedotto in giudizio verso i quali saranno prodotti
gli effetti giuridici della sentenza. La funzione della sentenza è proprio quello di
dettare la lex specialis, dettare la disciplina della situazione giuridica controversa.
Quindi, chi subirà questa disciplina? I titolari della situazione giuridica su cui è stata
dedotta in giudizio e su cui il giudice ha statuito.
Ma il termine ‘parti’ ha, in senso formale, un altro significato: queste non hanno un
significato univoco → l’art. 163 comma 3 n. 2 fa riferimento ai rappresentanti così
come, parlando delle persone giuridiche, delle associazioni o comitati, fa riferimento
anche all’organo o ufficio che ha la rappresentanza in giudizio. I rappresentanti
possono essere rappresentanti legali, volontari dei minori, di incapaci,
l’amministratore della società etc. → sono parti in senso formale, ossia sono soggetti
che agiscono in giudizio in nome e per conto di altri. Sono soggetti che operano nel
processo (pongono in essere gli atti processuali), ma non sono soggetti agli effetti
della sentenza perché il rapporto giuridico controverso su cui il giudice statuisce
non appartiene loro. Non sono neppure soggetti agli effetti del processo, cioè non
sono neanche tenuti a pagare le spese processuali perché agiscono in nome e per
conto di altri.
Nella nozione di parte in senso formale rientrano anche i legittimati straordinari,
ovvero coloro che (ex art. 81 cpc) in base ad espressa previsione di legge, possono
esercitare in nome proprio un diritto altrui. Un tipico esempio di legittimazione
straordinaria si rinviene nell’azione surrogatoria art 2900 cc:
ARTICOLO 2900 c.c.
« Il creditore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni,
può  esercitare  i  diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio  debitore  e
che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano
contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per
disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare.
Il creditore, qualora agisca giudizialmente, deve citare anche il  debitore  al quale
intende surrogarsi »
Dunque, se il debitore è inerte, il creditore può sostituirsi al debitore nell’esercizio
delle azioni a tutela del patrimonio. Il creditore che esercita l’azione surrogatoria è un
classico legittimato straordinario perché fa valere in nome proprio, per espressa
previsione di legge, un diritto altrui.
C’è una distinzione fra i rappresentanti che agiscono in nome e per conto di altri e i
legittimati straordinari/sostituti processuali che agiscono in giudizio per far valere in
nome proprio un diritto altrui. Anche i legittimati straordinari sono parti in senso
formale: non sono soggetti agli effetti della sentenza perché non sono titolari del
rapporto giuridico dedotto in giudizio; sono, invece, soggetti agli effetti del
processo, cioè possonoessere condannati al pagamento delle spese processuali.
Tornando al discorso iniziale, in tema di elementi costitutivi del diritto fatto valere in
giudizio rilevano le parti in senso sostanziale, coloro che sono affermati titolari sul
lato attivo e passivo della situazione giuridica dedotta in giudizio.
PETITUM o OGGETTO
In verità, distinguiamo due possibili oggetti:
- L’oggetto diretto o oggetto processuale o immediato ⌲ è il tipo di tutela che si
chiede al giudice. Infatti, il contenuto della sentenza che il giudice emana a
conclusione del processo a cognizione piena, può variare. Ci sono 3 possibili
sentenze che il giudice può emanare: la sentenza dichiarativa o di mero
accertamento che si limita ad accertare l’esistenza e il modo di essere di una certa
situazione giuridica; la sentenza di condanna che contiene non soltanto
l’accertamento, ma anche un ordine rivolto al convenuto → è l’unica sentenza che,
in base all’art 282 cpc, è titolo esecutivo, ossia titolo per mettere in moto il
processo di esecuzione; la sentenza costitutiva, prevista nell’art 2908 cc., e sono
delle ipotesi in cui nei casi previsti dalla legge, l’autorità giudiziaria può costituire,
modificare ed estinguere rapporti giuridici con effetto tra le parti, i loro eredi o
aventi causa. Sono sentenze che sono fonte di effetti giuridici fra le parti (tipico
esempio di sentenza costitutiva è la sentenza di divorzio, cioè la sentenza che
dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio).
Non sta al giudice scegliere il tipo di tutela che meglio risponde alle esigenze del
caso concreto, ma sta all’attore, nel momento in cui propone la domanda
giudiziale, indicare al giudice il tipo di tutela che intende ottenere.
- L’oggetto indiretto o sostanziale o mediato ⌲ Per utilizzare le parole di
Chiovenda, è il bene della vita con riferimento al quale si chiede tutela al giudice.
Ad esempio, se io esercito un’azione a tutela della mia proprietà, il petitum è la
proprietà; se io agisco in giudizio per ottenere il pagamento di una somma di
denaro, è il diritto alla somma di denaro. Questo lo troviamo nel numero 3 terzo
comma dell’art.163: L’atto di citazione deve contenere:
ARTICOLO 163 comma 3, n. 3 c.p.c.
« la determinazione della cosa oggetto della domanda »
CAUSA PETENDI
È il titolo della domanda ed il riferimento è sempre nell’art. 163, n. 4.
ARTICOLO 163 comma 3, n. 4 c.p.c.
« l'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda,
con le relative conclusioni »
Questo riferimento ai fatti deve intendersi limitato ai c.d fatti costitutivi. Per
comprendere il significato di questa previsione, dobbiamo ricordare che qualsiasi
situazione giuridicamente rilevante è sempre l’effetto giuridico di una determinata
fattispecie: in altre parole, qualsiasi situazione giuridicamente rilevante è l’effetto che
si produce nel momento in cui vengono ad esistenza una serie di fatti indicati dalla
legge.
Facciamo degli esempi:
Pensiamo alla proprietà, quali sono i fatti costitutivi del diritto di proprietà? Sono i
c.d modi di acquisto della proprietà, cioè gli istituti previsti negli artt. 922 ss cc,
ARTICOLO 922 c.c.
«La proprietà si  acquista  per occupazione, per invenzione, per accessione, per
specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti,
per successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge »
La proprietà non è altro che l’effetto giuridico scaturito nel momento in cui si verifica
uno dei fatti costitutivi indicati negli artt. 922 e disciplinati nelle disposizioni
successive.
Pensiamo all’obbligazione, quali possono essere i fatti costitutivi dell’obbligazione?
I fatti costitutivi dell’obbligazione non sono altro che le fonti delle obbligazioni;
ARTICOLO 1173 c.c. - Fonti delle obbligazioni
« Le obbligazioni derivano da contratto, da fatto illecito, o da ogni altro atto o fatto
idoneo a produrle in conformità dell'ordinamento giuridico »
Abbiamo fatto dei casi semplici in cui il titolo, su cui si fonda una certo effetto
giuridico, si compone di un solo fatto (c.d. fattispecie costitutive semplici), ma
spesso, le fattispecie costitutive spesso sono complesse: sono infatti costituite da più
elementi che non vengono ad esistenza tutte nello stesso momento, ma vengono ad
esistenza in momenti cronologicamente distinti (c.d. fattispecie a formazione
progressiva).
Esempio: pensiamo ad un contratto soggetto a termine iniziale. Il termine iniziale è il
fatto costitutivo, ma il termine iniziale verrà ad esistenza in un momento
necessariamente successivo al contratto. È una fattispecie complessa composta da
più elementi i quali non vengono ad esistenza simultaneamente, ma vengono ad
esistenza in momenti cronologicamente successivi.
Con riferimento al ruolo svolto dal fatto costitutivo, quest’ultimo non è sempre
indispensabile per individuare una situazione giuridica; infatti possiamo distinguere
tra:
• DIRITTI AUTODETERMINATI → possono esistere una sola volta fra le stesse
parti in un certo momento temporale: esempio classico è il diritto di proprietà,
ma si può estendere a tutti i diritti reali di godimento. Se io affermo di essere
proprietaria di questo codice, ho già individuato il mio diritto perchè si tratta di
una situazione giuridica che si identifica sulla base del solo petitum. La
circostanza che io abbia acquistato il codice con un contratto, che mi sia stato
regalato o che lo abbia usucapito è una circostanza del tutto indifferente. Il
fatto costitutivo, in questa ipotesi, non svolge un ruolo individuatore: sono
situazioni giuridiche che si determinano sulla base del solo petitum, proprio
perché esistono fra le parti una sola volta e in un certo momento temporale.
• DIRITTI ETERODETERMINATI → possono esistere più volte fra le stesse parti
in uno stesso arco temporale: io potrei essere debitrice di uno di voi di 100 € a
titolo pagamento del prezzo di una vendita che abbiamo stipulato ma essere,
nello stesso tempo, debitrice di altri 100 perché abbiamo stipulato un mutuo
oppure potrei essere debitrice con lo stesso creditore a titolo di pagamento del
canone di locazione. Si tratta di situazioni sostanziali che hanno lo stesso
petitum (nell’esempio sono i 100 €) e che possono esistere
contemporaneamente tra le stesse parti. Queste situazioni giuridiche si
distinguono in base alla causa petendi, al fatto costitutivo, perchè
nell’esempio fatto, io devo 100 a titolo di pagamento del prezzo che devo pagare
in base ad un contratto di compravendita; devo 100 a titolo di pagamento della
rata del mutuo stipulato; devo 100 a titolo di pagamento del canone di
locazione.Quindi, ciò che consente di distinguere queste situazioni giuridiche
che corrono nello stesso arco temporale fra due parti, non è l’oggetto, bensì la
causa petendi cioè il fatto costitutivo. Con riferimento ai diritti
eterodeterminati, il fatto costitutivo svolge un ruolo individuatore. Tipici diritti
eterodeterminati sono i diritti avente ad oggetto il pagamento di somme di
denaro.
Abbiamo così individuato la situazione giuridica oggetto della domanda, ma oggetto
del processo e tendenzialmente oggetto del successivo giudicato.

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