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Parlare di una semplice intento semplificatorio nell’introduzione del procedimento unitario è riduttivo, la reductio

ad unum in questione porta con sé anche considerazioni più profonde. Il Codice della crisi di impresa e
dell’insolvenza prevedendo un procedimento unitario vuole infatti realizzare un passaggio processuale comune,
appunto unitario, a tutte le iniziative giudiziali fondate sulla crisi o sull’insolvenza tanto nell’ipotesi di
conservazione quanto in quella di liquidazione dell’impresa o del patrimonio del debitore. Tale intento emergeva
già all’interno della legge delega dove si poneva l’esigenza di “adottare un unico modello processuale per
l’accertamento dello stato di crisi o di insolvenza del debitore, in conformità all’articolo 15 del regio decreto 16
marzo 1942, n. 267, e con caratteristiche di particolare celerità, anche in fase di reclamo […]”[6].

Dal punto di vista pratico, questa innovazione del sistema si accompagna alla necessità di risolvere l’annoso
problema dell’interferenza tra i processi di regolazione pattizia della crisi ed il procedimento per la dichiarazione
di fallimento: la regolazione del concorso tra le domande di soluzione pattizia della crisi e l’istanza di fallimento,
due percorsi diametralmente opposti ta loro, poiché le prime ambiscono alla conservazione dell’impresa mentre la
seconda ha esito disgregativo della stessa. In altri termini, interferenza e alternatività sono due caratteristiche
centrali di queste domande giudiziali, che hanno pertanto alla base un petitum diverso, per non dire opposto l’uno
all’altro.

Il punto focale consiste quindi nell’interpretare correttamente la dicitura “unitario”, in quanto non si tratta di
procedimento unico bensì di accesso comune ad un procedimento che può avere poi esiti differenti, a seconda
della finalità posta alla base della domanda, si assiste quindi alla permanenza della pluralità di riti, che si
manifesta però soltanto in un momento successivo rispetto al deposito della domanda giudiziale ovvero alla fase
iniziale del procedimento. Tale assunto si ritrova pienamente nella relazione di accompagnamento al Codice della
crisi e dell’insolvenza, dove si legge “l’adozione di un unico modello processuale per l’accertamento dello stato
di crisi e di insolvenza, prevista come principio generale dall’articolo 2, primo comma, lett. d) della legge delega
n. 155/2017, non implica la rinuncia al principio della domanda, tant’è vero che il modello processuale è
unitario, ma l’esito è condizionato dal petitum oggetto della domanda dei soggetti legittimati ad agire, anche
quali interventori, né comporta l’introduzione di un sistema propriamente bifasico, in cui si abbia un previo
accertamento giudiziale dello stato di crisi e di insolvenza e solo dopo l’avvio della procedura vera e
propria”[7]. L’indicazione del procedimento “unitario” si colloca quindi a metà tra un fine ed un auspicio tal che il
risultato dell’unitarietà è possibile solo ove sia realizzata la riunione delle molteplici domande, istituto regolato
dall’art.7 del CCI[8].

Riunione dei procedimenti e procedimento unitario


Tutte le domande dirette alla regolazione della crisi o dell’insolvenza proposte dai soggetti legittimati, alla luce
delle previsioni del codice, devono essere trattate in via d’urgenza e riunite in un unico procedimento. Il modello
processuale unico è ispirato al già menzionato rito previsto all’art.15 della Legge Fallimentare e rappresenta il
contenitore di tutte le iniziative di carattere giudiziale riguardante l’accertamento dello stato di crisi e
dell’insolvenza, seguono poi diversi possibili esiti con riguardo all’apertura delle procedure di regolazione della
crisi o dell’insolvenza, concordata o coattiva, conservativa o liquidatoria. In tale sede unica o unitaria
confluiranno quindi tutte le domande o istanze, anche se tra loro contrapposte (si pensi ad un’iniziativa promossa
del debitore oppure a quella di un creditore) che proseguiranno poi secondo la procedura più appropriata alla
soluzione della difficoltà dell’impresa, secondo la valutazione operata dell’organo giurisdizionale competente.

Oggetto del procedimento unitario e principio della


domanda
Premesso il riferimento al principio di prevalenza, fondamentale è anche un altro principio processuale di carattere
generale: il principio della domanda, che trova applicazione a prescindere dal tipo di procedura che si voglia
instaurare. Trattandosi infatti di domanda giudiziale, da proporre secondo le modalità che di seguito vedremo, è
indubbio che debba esservi indicate in ogni caso le ragioni della domanda (causa petendi) nonché l’oggetto della
domanda (petitum) a pena di nullità ex art.164 comma 3 c.p.c.
La prima disposizione a regolare l’oggetto del procedimento unitario è l’art.40 del Codice, rubricato
appunto “Domanda di accesso alla procedura” che in apertura, al primo comma, amplifica ed estende la
disciplina del procedimento per l’accesso ad una procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza all’intera
seconda sezione del capo IV del titolo III del Codice[12]. La domanda di accesso ad una delle procedure si presenta
mediante ricorso, con indicazione dell’ufficio giudiziario, dell’oggetto, delle ragioni della domanda e delle
conclusioni nonché sottoscritto del difensore munito di procura, va poi depositato presso il tribunale in
compassione collegiale, del luogo in cui il debitore ha il proprio COMI[13]. L’art.40 prosegue poi con altre
indicazioni circa l’iter di svolgimento della procedura, nella sua fase introduttiva con la disciplina della
notificazione e il regime di pubblicità previsto per la sola domanda proposta dal debitore che, entro il giorno
successivo al deposito, deve essere comunicata dal cancellerie al registro delle imprese, dove viene iscritta entro il
giorno seguente; la domanda, con la documentazione allegata, è poi trasmessa al pubblico ministero.

Natura ed esiti del processo


La natura del procedimento concorsuale è quella che già con la prima riforma della disciplina fallimentare del
2006-2007 aveva portato alla definizione, almeno dal punto di vista nominalistico, di un rito camerale sommario.
In realtà la questione è più complessa in quanto la regolamentazione esce da quello che è il modello letteralmente
richiamato avvicinandolo ad un processo di tipo contenzioso, benché con alcune differenze, o specialità[14].

Con il Codice della Crisi il legislatore ha tentato di compiere un passo in avanti, mantenendo il rito camerale
speciale alla base del processo concorsuale ma inquadrandolo in un unico modello, nel quale confluiscono le
diverse declinazioni di questa forma processuale cosi come regolate negli anni addietro: il processo per la
dichiarazione di fallimento (o liquidazione giudiziale), per l’omologa degli accordi di ristrutturazione, e ancora il
processo per l’ammissione e la successiva omologa del concordato.

Il disegno consiste, come già ribadito, nella costruzione unitaria e generale del processo “unitario” pur
caratterizzandosi per gli esiti differenziati. Tali diversi esiti dipendono dal tipo di provvedimento richiesto al
giudice e a seconda dell’accertamento positivo o negativo dell’esistenza delle relative condizioni. In altri termini,
è il tipo di domanda che determina la diversa articolazione del procedimento di apertura, di conseguenza diverso
sarà anche l’esito a seconda della procedura alla quale si domanda di accedere.

In particolare sono disciplinati diversamente l’accesso al concordato preventivo e al giudizio di omologazione


degli accordi di ristrutturazione, l’apertura del concordato preventivo e la dichiarazione di apertura della
liquidazione giudiziale, fermo restando l’originale ipotesi ex art. 43 CCI che contempla la rinuncia alla domanda
promossa ai sensi dell’art.40, quindi di accesso ad una delle procedure di regolazione, indipendentemente dalla
natura concordataria o liquidatoria della stessa. Più precisamente la rinuncia avviene senza necessità del consenso
delle altre parti costituite, aspetto di differenza rispetto a quanto previsto dall’art.306 c.p.c. che disciplina la
rinuncia agli atti di giudizio come modalità di estinzione del processo, fatta salva però la legittimazione del
pubblico ministero intervenuto, da leggersi come possibilità di quest’ultimo di avanzare eventuale domanda di
prosecuzione.

Il comma 2 dell’art.43 specifica che la pronuncia del tribunale assume la forma del decreto nel quale può essere
prevista la condanna alle spese per chi vi ha dato causa (e poi rinunciato). Tra gli altri esiti, come anticipato,
abbiamo l’ammissione al concordato preventivo, anch’essa pronunciata con decreto a seguito di domanda di
accesso al concordato ex art.44, la cui disciplina è prevista all’art.47; a seguito dell’approvazione della proposta di
concordato con relativo piano da parte dei creditori, il Tribunale si pronuncerà con sentenza sull’omologazione del
concordato preventivo all’esito di una verifica circa “la regolarità della procedura, l’esito della
votazione, l’ammissibilità giuridica della proposta e la fattibilità economica del piano”[15]. La medesima
disciplina, in linea di massima, è prevista per la domanda di accesso al giudizio di omologazione di accordi di
ristrutturazione dei debiti e la loro successiva omologazione.

Infine, l’ultimo esito possibile consiste nella dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale[16], la cui
peculiarità consta nel fatto che non segue necessariamente alla sola domanda di liquidazione giudiziale bensì è
possibile che un’iniziale domanda di concordato o di accesso ad un accordo di ristrutturazione possa sfociare in
una procedura liquidatoria senza necessità di una nuova domanda in quanto l’iniziale domanda di regolazione
della crisi, secondo il procedimento unitario, è idonea a comprendere tutti i possibili esiti giudiziali; in tal caso si
tratta di una liquidazione giudiziale che si apre contestualmente alla mancata approvazione del concordato
preventivo, o a seguito della mancata omologazione da parte del Tribunale di un concordato preventivo o di
accordi di ristrutturazione dei debiti restando ferma la necessità che siano accertati i presupposti ex art.121 CCI[17].

Stesso esito può accadere in caso di inosservanza di determinati termini e/o formalità di procedurale ai sensi
dell’art.49 comma 2. In tutti questi casi il Tribunale si pronuncia con sentenza avverso la quale è ammesso
reclamo.

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