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CAPITOLO V. LE ALTERNATIVE CONSENSUALI.

LA RILEVANZA DEL CONSENSO NELLA STRATEGIA PROCESSUALE

L’entrata in vigore del codice di rito del 1988 ha segnato un passaggio epocale nella storia del
nostro ordinamento processuale: l’abbandono dello schema basato su un unico modello
cognitivo e l’opzione per un sistema fondato sulla ​coesistenza di più procedimenti
alternativi.

La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per
consenso dell’imputato.

La scelta di siffatti percorsi alternativi al modello procedimentale tradizionale implica la


rinuncia al contraddittorio per la prova, con conseguente assenso all’utilizzazione dei
materiali conoscitivi acquisiti nel corso delle indagini preliminari.

IL GIUDIZIO DIRETTISSIMO CONSENSUALE

Nel caso in cui l’arresto non sia convalidato​, il giudizio direttissimo potrà svolgersi avanti il
giudice del dibattimento esclusivamente previo consenso dell’imputato e del p.m.

In tale ipotesi, l’imputato rinuncia all’udienza preliminare ed al controllo giurisdizionale


sull’eventuale richiesta di rinvio a giudizio: il p.m., invece, attraverso il suo consenso, si
precostituisce una nuova chance di rinnovare la domanda di giudizio già formulata e divenuta
inefficace per il mancato intervento della convalida, ribadendo la volontà di esercitare
l’azione penale.

L’OBLAZIONE

L’oblazione consiste nel volontario pagamento di una somma di denaro, il quale provoca
l’estinzione del reato.

Il codice penale distingue l’oblazione obbligatoria da quella discrezionale:


- Oblazione obbligatoria​: definisce le contravvenzioni punite con la sola pena
dell’ammenda. In tali ipotesi, il reo è ammesso a pagare una somma di denaro
corrispondente ad un terzo della pena massima stabilita dalla legge per la
contravvenzione, oltre alle spese del procedimento. La richiesta vincola il giudice.
- Oblazione discrezionale​: concerne le contravvenzioni punite con la pena alternativa
dell’arresto o dell’ammenda. In tali casi, il reo chiede di estinguere il reato attraverso
il deposito di una somma di denaro corrispondente alla metà della pena massima
stabilita dalla legge per la contravvenzione, oltre alle spese del procedimento. Non è
vincolante per il giudice, il quale ha il potere di rigettarla avuto riguardi alla gravità
del fatto.
La richiesta può essere presentata al p.m. nel corso delle indagini preliminari, il quale la
trasmette, unitamente agli atti del procedimento, al g.i.p. In tale fase, all’organo dell'accusa è
attribuito un rilevante ruolo informativo: anche prima di presentare richiesta di decreto
penale, il p.m. può avvisare l’interessato che ha facoltà di chiedere di essere ammesso
all’oblazione e che il pagamento dell’oblazione estingue il reato.

Successivamente all’esercizio dell’azione penale, la richiesta di oblazione deve essere


presentata al giudice prima dell’apertura del dibattimento.

Il giudice può rigettare la domanda con ordinanza di restituzione degli atti al p.m. Se il
giudice accoglie la domanda ammette il richiedente all’oblazione e fissa la somma da versare.
Avvenuto il versamento delle somma, il giudice, se la domanda è stata proposta nel corso
delle indagini preliminari, trasmette gli atti al p.m. perché chieda l'archiviazione. In ogni altro
caso dichiara con sentenza l’estinzione del reato.

L’APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI

L'applicazione della pena su richiesta delle parti (comunemente denominata


“patteggiamento”) rappresenta uno dei riti speciali sui quali il legislatore del 1988 aveva
particolarmente insistito al fine di realizzare una semplificazione delle forme procedimentali
e garantire celerità di definizione dei processi penali.

Le riforme che hanno investito il patteggiamento hanno operato in primo momento sui
“tempi” entro i quali attivare la relativa richiesta e sulle possibili forme di “recupero” di una
richiesta non andata a buon fine; soltanto in un secondo momento, hanno inciso sull’oggetto
del procedimento negoziale.

Sul primo versante, il limite temporale del testo originale è stato arretrato alla presentazione
delle conclusioni in sede di udienza preliminare e fino alla dichiarazione di apertura del
dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo.

Peraltro, spetta all’imputato attivare i controlli circa a richiesta di patteggiamento non andata
a buon fine, rinnovando tale richiesta davanti al giudice del dibattimento o a quello
dell’impugnazione.

In una chiara ottica volta ad incentivare il ricorso al rito patteggiato, il legislatore del 2003 ha
aumentato in misura consistente le fattispecie criminose suscettibili di essere trattate anche
con procedura “patteggiata”.

Dopo le modifiche del 2003, il patteggiamento è consentito per reati che, in astratto, sono
puniti con pene anche superiori a cinque anni di reclusione. Lo stesso legislatore ha
espressamente escluso dalla procedura patteggiata taluni specifici delitti di particolare
gravità, ma l’ambito oggettivo di applicazione del rito resta abbastanza ampio.
Ne consegue la coesistenza di ​due “patteggiamenti”​, uno (originario), in forza del quale la
pena concordata può giungere sino a due anni, e l’altro (nuovo), attraverso cui concordare
una pena da due a cinque anni.

Essi si differenziano per gli effetti premiali: la sentenza del c.d. “maxi” patteggiamento
comporta una riduzione di pena, ma non impedisce l’applicazione di pene accessorie, di
misure di sicurezza, il pagamento delle spese processuali, o l’estinzione del reato connessa al
decorso del tempo senza aver commesso in quegli anni reati della stessa specie. Tutti effetti
connessi ad una pena patteggiata sino a due anni.

Analogamente all’oblazione, l’applicazione della pena su richiesta delle parti si concretizza in


una sottomissione volontaria alla sanzione penale. Diversamente da essa, il patteggiamento si
caratterizza per un ambito di operatività estremamente ampio, potendo definire un’ampia
serie di reati individuali attraverso il riferimento alla sanzione in concreto irrogabile. Il rito
speciale non trova cittadinanza nel procedimento penale di pace e nel giudizio minorile.

❖ LE CADENZE PROCEDIMENTALI

Il patteggiamento è l’accordo sulla pena ratificato dal giudice. La richiesta può essere
congiunta o per adesione e può provenire sia dall’indagato/imputato, sia dal p.m.

Nella prima eventualità, trattandosi di atto volontario e personalissimo, è richiesta l’espressa


manifestazione di volontà del richiedente ovvero quella del procuratore speciale all’uopo
designato.

La richiesta deve indicare la specie e la misure della pena concretamente applicabile al netto
delle circostanze, considerato che nel caso di pena detentiva, il risultato finale non dovrà
eccedere i cinque anni, soli o congiunti a pena pecuniaria.

L’imputato, nel formulare la richiesta, può subordinare l’efficacia alla concessione della
sospensione condizionale della pena.

La richiesta può essere revocata e/o modificata in ogni momento.

Il dissenso del p.m., dalla proposta di accordo avanzata dall’indagato/imputato deve essere
motivato.

L’applicazione delle pena su richiesta delle parti evidenzia un ampio ambito di operatività,
che si estende dalle indagini preliminari sino al momento di presentazione delle conclusioni
nell’udienza preliminare. Qualora l’udienza preliminari manchi, il termine finale per la
conclusione del rito coinciderà con la dichiarazione di apertura del dibattimento.

Il controllo del giudice concerne: a) la pregiudiziale verifica; b) l’esistenza dell’accordo tra


le parti; c) la volontarietà della richiesta o del consenso prestato dall’imputato; d)
l’insussistenza di preclusioni oggettive o soggettive; e) la correttezza della qualificazione
giuridica del fatto; f) la congruità della pena; g) la correttezza dell’applicazione e del
bilanciamento delle circostanze; h) la concedibilità della sospensione condizionale della pena.

Se il giudice accoglie l’accordo intervenuto tra le parti è vincolato al ​petitum,​ non potendo
modificare l'intesa. L’eventuale rigetto non preclude la riproposizione della richiesta allo
stesso giudice ovvero ad un giudice diverso.

❖ GLI EFFETTI DELLE SENTENZA “PATTEGGIATA” ED IL REGIME DEI


CONTROLLI

La sentenza patteggiata non contiene un pieno accertamento di responsabilità ed è equiparata


ad una sentenza di condanna. La decisione manifesta altresì una limitatissima efficacia
extrapenale, relativa al solo procedimento disciplinare.

Oltre all’assenza di pubblicità del rito ed allo “sconto” di pena, il ​patteggiamento biennale
garantisce l’esenzione dalle spese processuali; l'inapplicabilità delle pene accessorie e delle
misure di sicurezza; la non menzione del provvedimento nel certificato generale del casellario
giudiziale richiesto dal privato. Al contrario, il ​patteggiamento allargato ​prevede
esclusivamente la non menzione del provvedimento nel certificato generale del casellario
giudiziale.

La sentenza patteggiata è appellabile da parte del solo p.m. dissenziente, mentre essa è
ricorribile per cassazione e suscettibile di revisione.

Limitatamente all’ipotesi del patteggiamento biennale, il reato è estinto se, nel termine di 5
anni (quando la sentenza concerne un delitto) ovvero di 2 anni (contravvenzione), l’imputato
non commette un reato della stessa indole.

IL GIUDIZIO IMMEDIATO CONSENSUALE

La legge riconosce all’imputato il potere di rinunciare all’udienza preliminare, chiedendo che


il processo transiti direttamente alla fase dibattimentale.

Trattasi di una scelta insindacabile dell’imputato, che si concretizza nel rinunciare ad una fase
deputata a garantire a quest’ultimo un vaglio giurisdizionale sulla richiesta di rinvio a
giudizio.

Quest’ultimo potrebbe optare per la soluzione accelerata, qualora preferisce lucrare una
sentenza di assoluzione dibattimentale rispetto ad una sentenza di non luogo a procedere,
esposta al rischio di una possibile revoca,
La richiesta deve venire presentata personalmente dall’imputato o da un procuratore speciale
e che la presentazione avvenga nella cancelleria del g.i.p almeno 3 giorni prima di quello
fissato per l’udienza. L’atto di rinuncia deve essere comunicato al p.m. e alla persona offesa.

IL GIUDIZIO ABBREVIATO

L’attuale configurazione del giudizio abbreviato è caratterizzata dall’abbandono


dell’originario presupposto della definibilità del processo allo “stato degli atti”, a vantaggio
di complessi meccanismi di integrazione probatoria, attivabili sia dall’imputato, sia dietr
iniziativa officiosa del giudice, e addirittura tali da rendere possibile la modifica
dell’imputazione.

Il giudizio abbreviato consacra il diritto potestativo dell’imputato a veder definito il processo


“allo stato degli atti” (c.d. richiesta semplice) ovvero a subordinare la definizione ad una
“integrazione probatoria necessaria ai fini della decisione”.

Nel caso della ​richiesta semplice​, il giudice dispone con ordinanza il giudizio abbreviato.
Nondimeno, quando l’imputato esprime la richiesta immediatamente dopo il deposito dei
risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non
superiore a 60 giorni, eventualmente richiesti dal p.m., per lo svolgimento di indagini
suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa.

Attraverso la ​richiesta condizionata​, l’imputato pone una ulteriore richiesta di vedere assunti
talune mezzi di prova, allo scopo di colmare un supposto deficit conoscitivo intorno alla
questione di merito, che si pretende insufficientemente chiarita dalla precedente attività
investigativa.

In tale ipotesi, al giudice è demandata una valutazione avente ad oggetto le prove di cui si
chiede l'ammissione: in particolare, se “l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai
fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del
procedimento, tenuto conti degli atti acquisiti ed utilizzabili. Si ritiene che l’imputato abbia
l’onere di indicare specificamente la tipologia dei mezzi di prova richiesti, le relative fonti e
le circostanze di fatto di dimostrare.

Inoltre, è riconosciuta la possibilità di presentare domande di ammissione al rito abbreviato in


via subordinata (c.d. ​richiesta subordinata​), prospettando un’alternativa tra rito abbreviato
condizionato e semplice, ovvero tra rito abbreviato e patteggiamento.

La richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria


delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve
quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione
sulla competenza per territorio del giudice.
Ricalcate sull’udienza preliminare, le cadenze procedimentali del giudizio abbreviato se ne
differenziano in ragione della sua propensione a definire il merito della vicenda processuale:
il giudice svolge, di regola, in camera di consiglio. Può essere svolto in pubblica udienza
quando ne fanno richiesta tutti gli imputati.

Qualora a seguito delle integrazione probatorie, il fatto risulti diverso ovvero emerga un reato
connesso o una circostanza aggravante o risulti un fatto nuovo non enunciato nella richiesta
di rinvio a giudizio, il p.m. procede alle nuove contestazioni.

In tale ipotesi, l’imputato ha diritto ad un termine a difesa e può chiedere che il procedimento
prosegua nelle forme ordinarie ovvero che se prosegua nelle forme del giudizio abbreviato.

All’esito della discussione finale, il giudice provvede utilizzando le regole di giudizio


previste per il dibattimento ed utilizzando, ai fini della deliberazione, gli atti contenuti nel
fascicolo del p.m, arricchito dagli atti di indagini espletate dopo la richiesta di rinvio a
giudizio e dalle prove assunte nell’udienza preliminare e nel rito abbreviato.

In caso di condanna, la pena è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e
di un terzo se si procede per un delitto.

LA SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO CON MESSA ALLA PROVA

La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato è un meccanismo di


recente conio che replica il modello di ​probation già previsto nel sistema processuale
minorile.

La peculiarità del ​probation in esame si registrano per ciò che concerne i presupposti
oggettivi e soggettivi. A differenza di quanto è previsto nel rito minorile, la sospensione con
messa alla prova dei maggiorenni ha un ambito operativo circoscritto, essendo applicabile
esclusivamente nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la
pena edittale detentiva non superiore nel massimo a 4 anni, nonché per delitti concrete, per i
quali è prevista la citazione diretta a giudizio dinanzi al giudice monocratico.

Dal punto di vista soggettivo, due condizioni ostative: la sospensione del procedimento con
messa alla prova non può essere concessa più di una volta ed è preclusa ai delinquenti e
contravventori abituali, professionali o per tendenza.

La messa alla prova si sostanzia in condotte riparatorie finalizzate all’eliminazione delle


conseguenze dannose o pericolose derivanti da reato, ove possibili in misure risarcitori del
danno, nell’affidamento dell’imputato al servizio sociale e nello svolgimento di lavoro di
pubblica utilità.

Durante il periodo di sospensione del procedimento con messa alla prova il corso della
prescrizione del reato è sospeso.
La normativa della messa alla prova si completa con le disposizioni concernenti la revoca
anticipata. Sono cause di revoca comportamenti contrastanti con il contenuto prescrittivo
della misura e la commissione di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa
indole rispetto a quello per cui si procede.

Sul versante processuale, la sospensione con messa alla prova presuppone la richiesta
avanzata personalmente dall’imputato o dal suo procuratore speciale.

Corredata da un programma di trattamento, la richiesta può essere proposta entro gli stessi
termini previsti per il patteggiamento e il giudizio abbreviato: fino a che non siano formulate
le conclusioni in udienza preliminare; fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di
primo grado; entro 15 giorni dalla notifica del decreto che dispone giudizio immediato;
nell’atto di opposizione al decreto penale di condanna.

Anche la sospensione con messa alla prova può essere richiesta nel corso delle indagini
preliminari e, è necessario il consenso scritto del p.m. che, al contempo, formula
l’imputazione.

La decisione del giudice è resa con ordinanza pronunciata, dopo aver sentito le parti e la
persona offesa.

Qualora venga disposta la messa alla prova, il procedimento non può essere sospeso per più
di due anni, quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, o per un
anno, quando si procede per un reato sanzionato con la sola pena pecuniaria.

Durante la sospensione, il giudice può modificare le prescrizioni originarie e può provvedere


all’acquisizione di prove non rinviabili e di quelle che possono condurre al proscioglimento
dell’imputato.

All’esito della sospensione, qualora il giudice ritenga che la messa alla prova abbia avuto
esito positivo, dichiara con sentenza l’estinzione del reato; ove l’esito sia negativo, il giudice
dispone con ordinanza che il processo riprenda il suo corso.

Anche prima della decorrenza del periodo di sospensione, è possibile un ripresa del processo
nei casi di revoca anticipata.

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