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Lo svolgimento del processo amministrativo

1) L’introduzione del giudizio


Il ricorso, completo in tutti i suoi elementi, deve essere notificato al resistente e ad
almeno uno dei controinteressati entro sessanta giorni dalla comunicazione o
pubblicazione o piena conoscenza dell’atto impugnato. La costituzione in giudizio
avviene mediante il deposito del ricorso presso la segreteria del giudice
amministrativo. Per essere completo, il ricorso dovrà essere indirizzato al giudice
competente e dovrà contenere indicazioni circa le parti, l’oggetto della domanda, il fine
perseguito, le censure sollevate e le conclusioni, nonché la sottoscrizione dell’avvocato.

Il resistente ed i controinteressati cui sia stato notificato il ricorso possono costituirsi


in giudizio depositando il controricorso (e presentare eventuale ricorso incidentale)
entro venti giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso ovvero entro
cinquanta giorni dall’ultima notifica di questo. Quando il ricorso NON sia stato
notificato a tutti i controinteressati, il giudice deve ordinare l’integrazione del
contraddittorio, fissando, per la sua realizzazione, un termine perentorio e le eventuali
modalità di notifica del ricorso ai controinteressati.

2) La tutela cautelare
L’introduzione del giudizio NON sospende gli effetti del provvedimento impugnato, che
permane pienamente efficace sino a quando non venga, con sentenza, dichiarato
illegittimo. Tuttavia, colui che ritenga di essere stato illegittimamente pregiudicato da
un atto o da un comportamento dell’amministrazione può chiedere al giudice
l’adozione di una misura cautelare idonea a tutelare i suoi interessi, come ad esempio
la sospensione degli effetti del provvedimento impugnato. Si tratta di una fase
eventuale, subordinata alla condizione che vi sia, da parte del ricorrente, il concreto
rischio di subire un danno grave ed irreparabile.

Nel decidere la sospensione, rientra tra i compiti del giudice anche quello di ponderare
se l’adozione della misura cautelare non sia suscettibile di comportare un danno
ancora maggiore per gli interessi, pubblici e privati, danneggiati, rispetto ai vantaggi
che essa recherebbe alla sfera giuridica del ricorrente. Tale verifica si aggiunge
all’accertamento della sussistenza di due presupposti, necessari per concedere la
misura cautelare: il fumus boni juris, ossia un primo sommario esame dal quale risulti
una ragionevole probabilità circa il positivo esito del ricorso, ed il periculum in mora,
cioè il comprovato e concreto rischio di subire danni gravi ed irreparabili dall’atto o
dal comportamento della pubblica amministrazione.

Il giudice amministrativo può ordinare tutte le misure cautelari che siano suscettibili
di esplicare un utile effetto di garanzia per il ricorrente, cioè che siano ”idonee ad
assicurare interinalmente gli effetti della decisione sul ricorso”. Ne deriva che, accanto
alla misura cautelare tradizionalmente utilizzata in sede di processo amministrativo,
quella della sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, è attualmente
riconosciuto l’uso anche di numerosi altri mezzi cautelari, quali, ad esempio, l’ordine di
pagare una somma di denaro o quello di ammettere il ricorrente allo svolgimento di
una determinata attività.

Di norma la domanda cautelare va presentata, con istanza scritta, al medesimo giudice


del giudizio principale _e deve essere notificata al resistente ed a tutti i
controinteressati. In casi di estrema gravità ed urgenza, peraltro, la medesima richiesta
può essere avanzata, previa notifica alle parti del processo, al Presidente del Tar o
della sezione alla quale sia stato assegnato il ricorso principale. Questi decide con
proprio decreto motivato, che esplica effetti sino alla prima udienza utile del collegio, il
quale esprime la propria decisione riunito in camera di consiglio.

Qualora intervengano nuove circostanze o nuovi elementi, che aggravino il rischio di


subire un danno da parte del ricorrente, la misura cautelare, inizialmente negata
(rigettata), può essere concessa. Allo stesso modo, il rimedio cautelare concesso può
essere modificato (sino all’emanazione della sentenza che conclude il relativo grado di
giudizio) ovvero revocato, a causa del venir meno del periculum in mora, da parte del
medesimo giudice che ha accolto l’istanza.

Qualora la richiesta di una misura cautelare sia rigettata dal giudice di primo grado
può essere presentato appello al Consiglio di Stato entro sessanta giorni dalla notifica
dell’ordinanza ovvero, in caso di mancata notifica, entro centoventi giorni dalla
comunicazione del deposito della medesima. Anche la decisione del Consiglio di Stato è
assunta con ordinanza.

3) L’istruttoria
Consente al giudice di conoscere della situazione di fatto che è oggetto della
controversia. E’ governata dal principio dispositivo, ma in determinate (rare)
circostanze può applicarsi il metodo acquisitivo. Infatti, spetta alle parti introdurre nel
processo i fatti per loro rilevanti ai fini della risoluzione della controversia e fornire
almeno un principio di prova in relazione ad essi (principio dispositivo). Tuttavia, in
presenza di tale prova, il giudice, pur in assenza di una espressa richiesta della parte,
può disporre mezzi istruttori, acquisendo d’ufficio gli elementi di fatto che siano nella
esclusiva disponibilità dell’amministrazione resistente (metodo acquisitivo).

Nel caso in cui il rapporto giuridico tra le parti sia paritetico, vertendosi in materia di
diritti soggettivi in sede di giurisdizione esclusiva, la fase istruttoria, attraverso la
quale il giudice conosce della situazione di fatto che è oggetto della controversia, è
parzialmente diversa. Applicandosi le regole del codice di procedura civile, viene meno
il metodo acquisitivo e l’onere della prova ricade interamente sulle parti.
Nella giurisdizione generale di legittimità, gli strumenti istruttori di cui il giudice può
disporre consistono nella richiesta di chiarimenti o di esibizione di documenti;
nell’ordine di compiere nuove verificazioni (da parte delle amministrazioni che
esercitano poteri di controllo o di vigilanza ovvero da parte di soggetti forniti di
particolari competenze tecniche, quali gli istituti universitari o gli ordini
professionali); nonché nella disposizione di una consulenza tecnica d’ufficio, mediante
la nomina di un libero professionista. La prova testimoniale, le ispezioni, le perizie, e
gli interrogatori liberi sono mezzi istruttori utilizzabili solo in giurisdizione esclusiva,
dove il giudice ha a disposizione quasi tutti i mezzi ammessi nel processo civile.

4) Le questioni incidentali
Si tratta di un evento processuale suscettibile di deviare il normale corso del giudizio,
definito perciò ”incidente”. Qualora sia sollevata la questione di legittimità
costituzionale, il giudice amministrativo la rimette alla Corte Cost. (il giudizio rimane
sospeso).

Nel caso in cui la definizione della controversia dipenda dall’applicazione di una norma
comunitaria e questa risulti di dubbia interpretazione, il giudice amministrativo
deferisce la questione interpretativa, ai sensi degli art. 234 e 225 tr. Ce, alla Corte di
giustizia delle Comunità europee ovvero, in determinate materie, al Tribunale di primo
grado. In questo caso, il giudizio è sospeso sino alla conclusione di quello comunitario.

Lo stesso avviene nell’ipotesi in cui una delle parti ritenga che il giudizio sia stato
instaurato innanzi ad un giudice privo di giurisdizione: la parte propone regolamento
preventivo di giurisdizione innanzi alle sezioni unite della Corte di cassazione. Il
giudice amministrativo, verificata la non manifesta inammissibilità o infondatezza
della questione, sospende il giudizio. Una volta risolta la questione incidentale, affinché
il giudizio principale possa proseguire, la parte interessata deve dare nuovo impulso al
medesimo, attraverso la presentazione di una istanza di discussione del ricorso.

Nel caso in cui sia sollevata una questione concernente lo stato o la capacità di una
persona ovvero un incidente di falso, il giudice amministrativo, se ritenga il problema
rilevante ai fini della definizione della vertenza, sospende il giudizio principale e
rimette la soluzione del quesito al giudice civile.

5) La decisione del ricorso e l’esecutività della sentenza di 1° grado


Dopo la chiusura del dibattimento, assegnata la causa in decisione, il collegio, per
procedere alla risoluzione della contestazione, si riunisce in camera di consiglio e
adotta la deliberazione a maggioranza assoluta dei componenti del collegio. Il relatore
esprime per primo il suo voto, poi manifesta il suo orientamento l’altro componente
del collegio e, infine, il presidente esprime il suo convincimento. Presa la decisione, il
presidente prepara il dispositivo e, solitamente, il relatore è incaricato della stesura
della motivazione della sentenza.

Il giudice amministrativo NON può evitare di pronunciarsi, anche nel caso in cui abbia
persistenti dubbi sulla situazione di fatto. Egli, come qualsiasi altro soggetto chiamato
dall’ordinamento ad adempiere la funzione giurisdizionale, è tenuto ad emettere una
sentenza definitiva. Potrà eventualmente adottare una sentenza di rigetto, quando
manchi da parte del ricorrente, nonostante l’eventuale uso di poteri acquisitivi da
parte del giudice, la piena prova delle circostanze di fatto addotte a fondamento della
sua pretesa.

La sentenza, definitiva o parziale, del Tar è immediatamente esecutiva. Considerato


ciò, la riforma del processo amministrativo ha riconosciuto la possibilità di un giudizio
di esecuzione per le sentenze di primo grado non sospese in via cautelare, dal
Consiglio di Stato (art. 33, legge n. 1034/1071, introdotto dall’art. 10, legge n.
205/2000). Il ricorso per l’esecuzione va proposto allo stesso Tar che ha deciso la
vertenza, il quale esercita i medesimi poteri che gli sono attribuiti in sede di giudizio di
ottemperanza. L’unica condizione è che l’esecuzione non determini un assetto definito
ed immutabile, dal momento che, in tal caso, anche qualora l’eventuale appello venga
accolto, non vi sarebbe più la possibilità del ripristino della situazione originaria.

6) I rimedi nei confronti della sentenza


Avverso la decisione di 1° grado, possono esercitarsi rimedi:

– Straordinari: opposizione di terzo e revocazione. Possono essere esercitati a


prescindere dal passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

– Ordinari: ”appello” proponibile esclusivamente nei confronti delle sentenze di primo


grado NON ancora passate in giudicato. Vige il principio del doppio grado di
giurisdizione: un giudice di grado elevato formuli un nuovo giudizio sulla medesima
questione. Le sentenze del TAR sono impugnabili innanzi al CdS (quelle del TAR Sicilia
innanzi al Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione Sicilia)

Non possono essere sollevate in sede di appello questioni nuove, che non siano già
emerse in primo grado. Ciò dipende dalla circostanza per cui il giudizio d’appello
implica che il giudice di secondo grado sia posto in condizione di pronunciarsi, con
pienezza di mezzi, circa la medesima controversia decisa dal giudice di primo grado
(c.d. effetto devolutivo dell’appello).

La parte non soccombente in primo grado non può proporre appello, a differenza dei
c.d. controinteressati pretermessi o dei c.d. controinteressati occulti o successivi (oltre
ovviamente al ricorrente, resistente e controinteressati) I primi sono coloro ai quali
non è stato notificato il ricorso: essi possono appellarsi anche qualora abbiano
proposto intervento ad opponendum nel giudizio di primo grado, essendo titolari di
una posizione autonoma rispetto alle altre parti. I secondi, invece, sono coloro il cui
interesse ad opporsi non emerge dal provvedimento impugnato ovvero si manifesta
esclusivamente dopo l’emanazione della sentenza di primo grado.

Qualora la sentenza di primo grado sia notificata, il ricorso in appello al Consiglio di


Stato deve essere proposto entro 60 giorni dalla notifica. In mancanza di notifica, entro
un anno dalla data di deposito della sentenza del Tar. L’appello dovrà a sua volta
essere notificato a tutte le parti del giudizio di primo grado ovvero obbligatoriamente
ad almeno una tra esse (disponendo poi il collegio di procedere all’integrazione del
contraddittorio nei confronti delle altre). Entro trenta giorni da questa notifica, il
ricorso deve essere depositato al Consiglio di Stato.

In alcuni casi la sentenza del Consiglio di Stato annulla la decisione del Tar, ma senza
riformarla, rinviando la controversia al giudice di primo grado per la rinnovazione del
giudizio. Ciò avviene in ipotesi di difetto di procedura o vizio di forma ovvero di
erronea declaratoria di incompetenza da parte del Tar.

Avverso le sentenze del Consiglio di Stato è ammesso il rimedio della revocazione


ordinaria e straordinaria, attraverso il quale il giudice riesamina il merito della
questione precedentemente decisa. Deve essere proposta innanzi al medesimo giudice
che ha pronunciato la sentenza. La revocazione ordinaria è proponibile, nei confronti
delle sentenze NON ancora passate in giudicato, per dolo di una parte in danno
dell’altra, per prove riconosciute o dichiarate false, per ritrovamento di uno o più
documenti decisivi, per errore di fatto, per contraddittorietà con altra precedente
sentenza passata in giudicato, per dolo del giudice. La revocazione straordinaria è
ammessa nei confronti delle sentenze passate in giudicato soltanto in alcuni dei casi
previsti dall’art. 395 c.p.c.

Opposizione di terzo. Si tratta di un rimedio che consente l’impugnazione di una


sentenza conclusiva di un giudizio, passata in giudicato o comunque esecutiva, da
parte di un soggetto che ne subisca un pregiudizio, ma che NON sia stato parte formale
del giudizio. Sono legittimati a presentare opposizione di terzo i controinteressati
pretermessi (l’impugnazione è volta ad evidenziare il mancato rispetto delle regole
processuali) ed i titolari di una situazione giuridica soggettiva autonoma ed
incompatibile con quella tutelata dal giudice con la sentenza impugnata
(l’impugnazione mira a censurare l’ingiustizia della sentenza).

7)Il giudicato amministrativo ed il giudizio di ottemperanza


Una sentenza (definitiva o parziale) passa in giudicato quando non sia più praticabile
nei suoi confronti alcun rimedio ordinario. Anche nel processo amministrativo si
applica il principio dell’art. 2909 c.c., secondo cui il giudicato, anche amministrativo,
esplica i suoi effetti esclusivamente nei confronti delle parti, dei loro successori ed
aventi causa. Tuttavia, nel caso in cui la sentenza annulli taluni provvedimenti a
contenuto ”indivisibile” (come, ad esempio, i regolamenti o gli atti amministrativi
generali), il giudicato produce necessariamente effetti anche nei confronti dei soggetti
estranei alla vertenza (in tali casi, il giudizio di ottemperanza può essere promosso
anche da soggetti non partecipi del giudizio). Si ha così una deroga alla regola generale.

Qualora la pubblica amministrazione non esegua la sentenza passata in giudicato,


l’interessato potrà proporre il ricorso per l’ottemperanza. Per mancata esecuzione si
intende non soltanto l’assunzione di comportamenti omissivi da parte
dell’amministrazione, ma anche di atti miranti a rinviare o ad eludere il giudicato. Il
giudizio di ottemperanza consente al giudice amministrativo, per il tramite di una
giurisdizione estesa al merito, di sostituirsi direttamente all’amministrazione
inadempiente ovvero di nominare un commissario ad acta, con l’incarico di emanare
gli atti idonei ad eseguire il giudicato al posto dell’amministrazione.

Tanto il ricorrente, quanto il giudice sono tenuti a mettere in mora l’amministrazione.


Il ricorrente, qualora voglia proporre il ricorso per l’ottemperanza, deve diffidare
l’amministrazione a provvedere entro trenta giorni, solo scaduti i quali è legittimato a
proporre l’istanza innanzi al giudice che ha emesso la sentenza passata in giudicato. Il
giudice, assunta la domanda, spesso decide in camera di consiglio di fissare un termine
entro il quale l’amministrazione è tenuta ad eseguire la sentenza passata in giudicato.

La natura del commissario ad acta determina la giurisdizione sugli atti da esso posti in
essere. Quest’ultimo non opera in qualità di organo straordinario
dell’amministrazione, bensì nelle vesti di ausiliario del giudice, come fosse un
consulente giudiziario. Per questo motivo, gli atti, pur non avendo natura
giurisdizionale, devono essere inquadrati in seno al processo di esecuzione e, quindi, la
tutela nei loro confronti va ricercata entro i confini di tale processo. In pratica, il
ricorso avverso gli atti del commissario ad acta va proposto innanzi al giudice
dell’ottemperanza_(ed in seno a tale giudizio si risolvono), anziché innanzi al Tar come
avviene per qualsiasi provvedimento amministrativo.

Quando la lite verta su questioni risarcitorie nell’ipotesi di giurisdizione esclusiva, il


giudice può limitarsi a fissare i criteri per il risarcimento, invitando l’amministrazione
a presentare un’offerta all’interessato. Se tale offerta NON viene accettata, il ricorrente
può chiedere al giudice la determinazione del danno, presentando il ricorso previsto
per il giudizio di ottemperanza (c.d. ottemperanza anomala). Non si tratta di un vero e
proprio processo di esecuzione, in quanto il giudizio principale è ancora da completare
con la quantificazione del risarcimento. In pratica, il giudice prima si spoglia dell’onere
della quantificazione e poi riacquista tale facoltà in un momento successivo (nei modi
dell’ottemperanza), a seguito della mancata o insufficiente offerta formulata dalla
pubblica amministrazione all’interessato

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