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Riassunto Diritto processuale civile Luiso Volume 2

Diritto civile (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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IL PROCESSO DI COGNIZIONE

Tre fasi:
1) fase introduttiva => domanda di parte
2) fase istruttoria => fase di trattazione (attività di esposizione e discussione delle domande ed eccezioni) + fase
probatoria (raccolta e valutazione delle prove)
3) fase decisoria => sentenza del giudice

 FASE INTRODUTTIVA
L’atto introduttivo del processo di cognizione è la citazione, atto con cui l’attore chiama in giudizio il convenuto,
affinchè il giudice statuisca sulla domanda nel suo contraddittorio.
Due funzioni:
- individua l’oggetto del processo (situazione sostanziale di cui si chiede la tutela, lesa dall’illecito + tutela che
si chiede al giudice) => editio actionis
- porta la domanda giudiziale a conoscenza del convenuto e del giudice => vocatio in ius
Il contenuto della citazione è disciplinato dall’art. 163 c.p.c.:
- indicazione del giudice a cui la domanda è rivolta
- oggetto della domanda (petitum): il petitum può essere immediato (provvedimento che si chiede al giudice)
oppure mediato (situazione sostanziale dedotta in giudizio)
- esposizione dei fatti ed elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (causa petendi): tale
indicazione è necessaria, a pena di nullità, solo per i diritti etero individuati, non anche per quelli auto
individuati
- indicazione dei mezzi di prova di cui l’attore intende avvalersi e dei documenti che offre in comunicazione
- indicazione della procura e del procuratore
- indicazione della data di udienza di comparizione (n.b. l’attore nel fissare tale data deve rispettare i termini ex
art. 163 bis c.p.c.: 90 gg se la notificazione è da fare in Italia, 150 gg se all’estero, pena la nullità) + invito al
convenuto di costituirsi 20 gg prima dell’udienza o 10 gg in caso di abbreviazione dei termini e comparire
dinanzi al giudice adito, avvertendolo che se non si costituisce nei termini incorre in decadenza
Per quanto riguarda la nullità della citazione, ex art. 164 c.p.c., dobbiamo distinguere:
 per la vocatio in ius:
- omissione o assoluta incertezza sull’indicazione del giudice, delle parti, della data dell’udienza
- avvertimento al convenuto ex art. 163 c.p.c.
- è assegnato un termine a comparire inferiore a quello legale ex art. 163 bis
 due ipotesi:
- il convenuto non si costituisce: il giudice deve esaminare se vi sono cause di nullità. Se l’esito è positivo
il giudice dispone d’ufficio la rinnovazione della citazione entro un termine perentorio. Se la rinnovazione
viene eseguite il vizio si sana con efficacia retroattiva; se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice
ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue
- il convenuto si costituisce: si ha sanatoria dei vizi automatica con efficacia retroattiva
 per l’editio actionis:
- omissione o assoluta incertezza sull’oggetto della domanda
- omissione o assoluta incertezza sull’esposizione dei fatti a fondamento della domanda
 due ipotesi:
- il convenuto si costituisce: rilevata la nullità, il giudice fissa un termine perentorio entro cui l’attore deve
integrare la domanda, e la sanatoria avrà efficacia ex nunc, quindi dall’integrazione della domanda e
senza efficacia retroattiva
- il convenuto non si costituisce: rilevata la nullità, il giudice fissa un termine perentorio entro cui l’attore
deve rinnovare la citazione. Se la rinnovazione viene eseguita il vizio si sana ex nunc,; se la rinnovazione
non è eseguita si ha cancellazione della causa dal ruolo ed estinzione del processo
L’atto di citazione così formato è consegnato all’ufficiale giudiziario, il qualo lo notifica a norma degli art. 137 e
ss. Se si ha nullità della notificazione si ha sanatoria con la comparizione del destinatario, con efficacia
retroattiva.

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Il convenuto che si vede notificato una notificazione, può rispondere alla domanda dell’attore con la “comparsa
di risposta”, atto speculare alla citazione. Questo atto non contiene nè la vocatio in ius, né l’editio actionis, a
meno che esso non contenga una domanda riconvenzionale o una dichiarazione di volontà di voler chiamare in
causa un terzo. Può contenere:
 difese in rito: il convenuto rileva vizi del processo che ne impediscono la decisione nel merito, quindi vizi
processuali
 difese in merito: vizi che riguardano la fondatezza della domanda. Si distinguono in:
- difese semplici, se convenuto contesta in fatto o in diritto quanto affermato dall’attore
- eccezioni, se il convenuto introduce in giudizio nuovi fatti storici che si pongono come impeditivi,
modificativi, estintivi del diritto vantato dall’attore
 domanda riconvenzionale o chiamata in causa del terzo, pena la decadenza: la prima, essendo diretta a chi è
già parte in causa non contiene la vocatio in ius; la seconda essendo diretta nei confronti di chi ancora non è
parte, contiene la vocatio in ius per la necessità di instaurare il contraddittorio.
Costituzione in giudizio (atto con cui la parte si presenta per mezzo del suo difensore o personalmente innanzi al
giudice davanti a cui pende il processo: da questo momento la parte è legalmente presente nel processo e tale
rimane per tutto il grado del giudizio, anche se poi non partecipa attivamente allo svolgimento delle attività
processuali):
- attore: entro 10 gg dalla notificazione della citazione al convenuto (5 gg in caso di abbreviazioni dei termini),
con deposito in cancelleria della nota d’iscrizione a ruolo e del proprio fascicolo contenete l’originale della
citazione con la relata di notifica, la procura e i documenti offerti in comunicazione. Le irregolarità possono
essere rilevate d’ufficio o dalla controparte solo nella prima udienza
- convenuto: 20 gg prima dell’udienza di comparizione, con deposito in cancelleria del proprio fascicolo,
contenente la comparsa di risposta, la copia notificatagli dalla citazione, la procura e i documenti che offre in
comunicazione
Se una parte si costituisce nei termini => l’altra può costituirsi in udienza
Se nessuna parte si costituisce nei termini => il processo entra in stato di quiescenza per 3 mesi, che decorrono
dal termine ultimo per la costituzione in giudizio del convenuto, entro cui le parti possono riassumere la causa
La parte non costituita è contumace.
Se la parte si costituisce ma poi non si presenta all’udienza è assente.
Quando il cancelliere riceve dall’avvocato della parte la citazione notificata ed il fascicolo con i documenti, deve
procedere all’iscrizione della causa al ruolo generale degli affari contenziosi civili, che è un registro della
cancelleria su cui vengono elencati i processi pendenti innanzi all’ufficio, con l’indicazione degli elementi di
identificazione della causa (nomi parti e indicazione sommaria dell’oggetto). L’iscrizione avviene in ordine
cronologico e con numero progressivo. Dal 2002 è previsto il pagamento del contributo unificato, che sostituisce
bolli, tasse di iscrizione a ruolo e diritti di cancelleria, da parte della parte che per prima si costituisce. I fascicoli
di parte sono custoditi in un’unica cartella col fascicolo d’ufficio e possono essere ritirati solo con
l’autorizzazione del giudice istruttore. Il fascicolo viene poi trasmesso al presidente del Tribunale che designerà
il giudice istruttore, con decreto scritto in calce alla nota di iscrizione a ruolo.

 FASE ISTRUTTORIA (TRATTAZIONE CAUSA + ISTRUZIONE PROBATORIA)

1) Trattazione della Causa  fase che comprende tutta l’attività preparatoria del giudizio che è compiuta dal
giudice istruttore e dalle parti a mezzo dei loro difensore, a partire dalla prima udienza fino al momento in cui
la causa è rimessa al collegio per la decisione, esclusa l’attività istruttoria probatoria. In questa fase le parti
espongono e discutono le loro domande ed eccezioni e ragioni di fatto e diritto che le sorreggono. La
trattazione si fa oralmente all’udienza e se ne redige processo verbale in cui sono inserite le conclusioni delle
parti e i provvedimenti che il giudice pronuncia in udienza.
La L. 534/1995 aveva modificato l’art. 180 c.p.c. introducendo un’udienza di prima comparizione nettamente
distinta dalla prima udienza di trattazione. La L. 80/2005 stravolge l’art. 180 c.p.c., eliminando l’udienza di
prima comparizione e accorpandola all’udienza di trattazione.

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In prima udienza il giudice deve innanzitutto procedere al controllo della regolare insaturazione del processo
e della regolare costituzione e comparizione delle parti. Successivamente si passa alla vera e propia
trattazione della causa ex art. 183 c.p.c.
L’art. 183 c.p.c. reintroduce nel nostro sistema le preclusioni. Per preclusioni intendiamo quelle situazioni
soggettive in cui le parti sono decadute dalla possibilità di compiere un’attività a causa della tardività
dell’iniziativa, sua irritualità o già avvenuta consumazione del potere. Possono riguardare: domande,
chiamata in causa ed intervento di terzo, conclusioni, allegazioni dei fatti, argomentazioni difensive, richieste
istruttorie, deposito atti e documenti. Es. preclusione della domanda giudiziale: una volta instaurato il
giudizio l’attore non potrà più introdurre nuove domande verso il convenuto, se non come conseguenza
dell’attività difensiva di questo, e cmq non oltre l’ultima barriera preclusiva dell’udienza di trattazione.
Vediamo nello specifico l’art. 183 c.p.c.:
- primo comma: il giudice verifica la regolarità del contraddittorio e provvede a dare le disposizioni idonee
per: l’integrazione del contraddittorio in ipotesi di litisconsorzio necessario; sanatoria della nullità della
citazione e della domanda riconvenzionale; sanatoria dei difetti di capacità e rappresentanza tecnica e dei
vizi di notificazione della citazione
- secondo comma: se il giudice dispone la sanatoria, fissa una nuova prima udienza, in cui se il vizio sarà
sanato il processo prosegue, altrimenti si estingue
- terzo comma: il giudice fissa una nuova udienza se deve procedersi a conciliazione ex art. 185 c.p.c. (n.b.
la riforma del 2006 ha eliminato l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione introdotto con la riforma
del 1990, disponendo che la conciliazione ha luogo solo su richiesta congiunta delle parti)
- quarto comma: il giudice indica alle parti le questioni rilevabili d’ufficio
- quinto comma: nella prima udienza l’attore può proporre domande ed eccezioni che sono conseguenza
della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, e può anche chiedere di essere
autorizzato a chiamare in causa un terzo se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto. Inoltre le parti
possono precisare o modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate
- sesto comma: su richiesta di parte il giudice deve concedere tre termini perentori per il deposito di
determinate memorie:
- 30 gg per le memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, eccezioni o
conclusioni già proposte
- altri 30 gg per replicare a domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre
eccezioni che sono conseguenza delle domande ed eccezioni medesime; per l’indicazione dei mezzi di
prova e produzioni documentali
- altri 20 gg per le sole indicazioni di prova contraria
I fatti allegati negli atti introduttivi e nella prima udienza debbono al più tardi essere contestati con la
prima memoria ex art. 183 VI comma c.p.c.; i fatti allegati in questa memoria e quelli che
eccezionalmente possono essere allegati in seguito, devono essere contestati nella prima difesa
successiva.
Una volta chiusa la fase di trattazione non sono ammissibili ulteriori allegazioni nel corso del processo di
primo grado tranne due eccezioni:
o sopravvenienze, che possono essere di due tipi:
- in fatto => sopravviene un fatto rilevante per la decisione della causa: sono consentite in questo
caso anche nuove domande in corso di causa
- in diritto => sopravviene una diversa disciplina normativa, per cui siano rilevanti fatti ulteriori
rispetto a quelli rilevanti per la disciplina previgente: in questo caso sia ha riapertura della fase
istruttoria e possibilità di allegare e provare nuovi fatti rilevanti
o mancato funzionamento dei meccanismi di attuazione del contraddittorio, che si verifica quando il
giudice omette, in prima udienza, di indicare alle parti le questioni rilevabili d’ufficio, delle quali
ritiene opportuna la trattazione => se il giudice ritarda nell’indicare alle parti le questioni rilevabili
d’ufficio, ciò consente alle parti di fare tardivamente quanto è conseguenza della tardiva attività del
giudice (cfr. art. 101 II comma c.p.c., per cui il giudice che fonda la sua decisione su una questione
rilevata d’ufficio e non sottoposta alle parti emette un provvedimento nullo).
Al di là di questi casi, non sembra possibile un’allegazione di fatti nell’ulteriore svolgimento del
processo, ma ciò non significa che il giudice non possa porre a fondamento della decisione anche fatti che
emergono da atti legittimamente acquisiti al processo (es. attività istruttorie). Nell’ulteriore corso del

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processo resta possibile modificare le conclusioni solo in ordine a quei punti che non presuppongono
un’alterazione né del diritto fatto valere, né dei fatti allegati.
- settimo comma: il giudice decide su istanze istruttorie o in udienza o con ordinanza pronunciata fuori
udienza, entro 30 gg

Attività del giudice istruttore: ex art. 176 c.p.c., i provvedimenti del giudice istruttore hanno la forma di
“ordinanza”, e hanno le seguenti caratteristiche:
- le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti effettivamente presenti e da quelle
che dovevano essere presenti; le ordinanze pronunciate fuori dall’udienza devono essere portate a
conoscenza dei legali delle parti costituite
- con le ordinanze il giudice istruttore disciplina l’acquisizione al processo di tutti gli elementi utili per la
fase decisoria, e sono quindi da lui stesso modificabili e revocabili salvo tre eccezioni ex art. 177 c.p.c.:
- ordinanze pronunciate su accordo delle parti in materia di diritti disponibili
- ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge
- ordinanze per cui la legge dispone lo speciale mezzo del reclamo
- le ordinanze non possono mai pregiudicare la decisione della causa: tutte le scelte del giudice istruttore in
sede di trattazione ed istruzione sono rivedibili in sede decisoria, e quindi le parti possono riproporre al
collegio tutte le questioni su cui il giudice istruttore si è pronunciato con ordinanza revocabile

Questioni da affrontare in trattazione:


- controllo sul rito, ovvero possibilità di giungere ad una decisione di merito (es. carenza o vizio
presupposto processuale => no decisione di merito)
- ex art. 187 I comma c.p.c. “se la causa è matura per la decisione di merito senza bisogno di assunzione di
mezzi di prova, il g.i. rimette le parti davanti al collegio” => si passa dalla fase di trattazione della causa
alla fase decisoria senza istruzione probatoria (es. si devono risolvere solo questioni di diritto; i fatti della
causa non sono controversi; la causa può essere decisa sulla base dei documenti prodotti in giudizio)
- l’art. 187 II-III comma c.p.c. prevede la rimessione al collegio per la decisione anche se la causa non è
totalmente istruita, quando vi sia una questione preliminare o pregiudiziale. Distinguiamo:
- questioni pregiudiziali di merito => ex art. 187 II comma c.p.c., il giudice può interrompere o non
procedere all’istruttoria nonostante le richieste istruttorie di parte, quando vi è una questione di
merito avente carattere preliminare, tale che la decisione di essa può definire il giudizio. La causa è
quindi matura per la decisione e l’ulteriore svolgimento del processo sarebbe superfluo ed inidoneo
ad incidere sul contenuto della decisione. E’ chiaro come la rimessione su una questione preliminare
è diretta ad un rigetto della domanda (perché manca anche uno solo dei fatti costitutivi o è presente
anche uno solo dei fatti modificativi, impeditivi, estintivi)
- questioni pregiudiziali di rito => ex art. 187 III comma c.p.c., il giudice può interrompere o non
procedere ad istruttoria, nonostante le richieste istruttorie delle parti, e rimettere al collegio, quando
vi siano questioni pregiudiziali (giurisdizione, competenza, presupposti processuali…). Anche in
questo caso la loro decisione è astrattamente idonea a definire il giudizio

Ordinanze provvisionali: sono previste dall’art. 186 bis/ter/quater c.p.c., che introducono tre strumenti per
semplificare e/o abbreviare lo svolgimento del processo.
 Ordinanza per pagamento di somme non contestate (art. 186 bis)  può essere emessa solo ove le
parti siano costituite, e presuppone che il convenuto ponga in essere una difesa articolata, ammettendo in
parte ed in parte contestando di dovere certe somme. L’ammissione deve essere incondizionata e non
subordinata. Il regime del provvedimento è quello delle ordinanze modificabili e revocabili. La somma di
cui all’ordinanza deve essere ripresa in esame al momento della decisione, sia pure al solo scopo di
confermare quanto già disposto. Le somme inizialmente non contestate possono essere contestate in
seguito, e se alla fine del processo il giudice le riterrà non dovute, terrà conto di ciò nella decisione. Se il
processo si estingue l’ordinanza mantiene efficacia esecutiva.
 Ordinanza di ingiunzione (art. 186 ter)  per l’emanazione è necessario che la parte abbia a
disposizione la prova scritta del credito, che è idonea ad ottenere un decreto ingiuntivo.
Se la parte contro cui è emessa l’ordinanza è costituita => non ha l’onere di proporre opposizione, ma può

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chiedere la revoca e riproporre la questione al momento della precisazione delle conclusioni. Se il


processo si estingue, l’ordinanza diventa definitiva e forma giudicato.
Se la parte contro cui è emessa l’ordinanza è contumace => l’ordinanza le è notificata: se il contumace
non si costituisce entro 20 gg dalla notifica, l’ordinanza diventa definitiva, forma giudicato e il processo
si chiude.
L’ordinanza ingiuntiva trova concreta applicazione in due ipotesi:
- la prova scritta del credito diviene disponibile in corso di causa
- l’ordinanza è chiesta dal creditore convenuto in giudizio in prevenzione dal debitore
 Ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione (art. 186 quater)  si presuppone che sia esaurita
l’istruzione della causa e che la causa non si ancora passata alla fase decisoria. E’ un provvedimento
anticipatorio a cognizione piena (la decisione è presa dopo l’esaurimento dell’istruttoria) ma a decisione
sommaria (il provvedimento non esonera il giudice da emettere una sentenza, tanto che l’ordinanza è
revocabile dalla sentenza che definisce il giudizio). Con tale ordinanza il giudice provvede sulle spese
processuali: tale ordinanza può quindi essere pronunciata in tutti i casi in cui una sentenza di identico
contenuto è qualificabile come sentenza definitiva.
Dopo la pronuncia della sentenza si possono avere tre casi:
- il processo prosegue verso una sentenza che è sostitutiva dell’ordinanza: è necessario che la
controparte entro 30 gg dalla pronuncia dell’ordinanza (se emessa in udienza) o dalla sua
comunicazione (se è emessa fuori dall’udienza), notifichi all’istante e poi depositi in cancelleria un
ricorso in cui manifesti la sua volontà di ottenere una sentenza. Pronunciata la sentenza, se questa
conferma solo in parte l’ordinanza, gli effetti di questa si mantengono nei limiti in cui siano sostituiti
dagli effetti della sentenza
- il processo si estingue: l’ordinanza acquista efficacia di sentenza impugnabile sull’oggetto
dell’istanza
- la parte intimata verso cui è emessa l’ordinanza rimane inerte: decorsi 30 gg da quando egli ha avuto
conoscenza dell’emanazione dell’ordinanza, questa acquista efficacia di sentenza impugnabile
sull’oggetto dell’istanza. Dopo la riforma del 2006, l’intimato può proporre appello immediato contro
l’ordinanza senza prima rinunciare alla sentenza.
L’ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione non è utilizzabile nel processo cumulato, se non
previa separazione del cumulo.

2) Istruzione Probatoria  E’ la fase diretta a raccogliere le prove necessarie per la decisione delle questioni
individuate e discusse in sede di trattazione. Serve per provare i fatti storici allegati controversi.
L’attività istruttoria ha luogo se:
- le parti non danno una comune versione dei fatti storici allegati
- si tratta di diritti indisponibili
- la causa non è documentalmente istruita
Distinguiamo tra:
- prove precostituite: esistono già fuori dal processo e vengono acquisite con la loro produzione
- prove costituende: devono essere formate all’interno del processo, e per questo sono sempre sottoposte ad
un giudizio di ammissibilità e rilevanza
La prova è il mezzo processuale necessario per dimostrare l’esistenza del fatto dedotto. Ha la caratteristica
della tipicità: i mezzi di prova sono solo quelli previsti dal legislatore.
I mezzi di prova possono distinguersi in tre categorie:
- prove dirette  hanno per oggetto il fatto stesso che deve essere provato e sono immediatamente
rilevanti per il giudizio. Esse sono utilizzabili solo qualora il fatto da provare sia permanente e rilevante
nella sua attuale esistenza
- prove indirette o rappresentative  sono quelle in cui tra il fatto storico e la percezione del giudice c’è
uno strumento rappresentativo: il giudice percepisce quindi il fatto non immediatamente ma attraverso
una rappresentazione dello stesso che può essere contenuta in un oggetto (prova documentale) oppure
consistere in una narrazione. La prova indiretta è l’unica possibile per accertare un fatto storico passato
- prove critiche o indiziarie (presunzioni)  possono avere ad oggetto:
- fatti che integrano la fattispecie del diritto dedotto in giudizio (fatti primari)

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- fatti che non integrano la fattispecie del diritto dedotto in giudizio, quindi non immediatamente
rilevanti, ma dai quali si può giungere, attraverso un ragionamento presuntivo, ad affermare
l’esistenza o inesistenza di fatti che integrano la fattispecie (fatti secondari)
Fatti notori (art. 115 II comma c.p.c.) sono fatti che rientrano nella comune esperienza, che il giudice
conosce come qualunque cittadino: non è necessaria quindi un’istruzione probatoria, in quanto sono fatti
storici, accadimenti reali
Massime d’esperienza sono invece canoni di ragionamento che il giudice utilizza, regole logiche e di
valutazione, regole di giudizio
Nel caso di prove rappresentative bisogna valutarne la fedeltà => giudizio di attendibilità, ex art 116 I
comma c.p.c.: “il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge
disponga altrimenti” E’ questo il principio della “libera valutazione delle prove”, per cui distinguiamo:
- prova liberamente valutabile, è quella valutata dal giudice ex art. 116 I comma c.p.c.
- prova legale, per cui la valutazione di attendibilità è fatta a priori dalla legge, quindi è una prova che
vincola il giudice che non potrà valutare il risultato probatorio in modo difforme da quello stabilito dalla
legge (es. giuramento e confessione)
Accanto alle prove in senso pieno abbiamo gli “argomenti di prova” (art. 116 II comma c.p.c.) che possono
essere desunti dalle risposte delle parti all’interrogatorio libero, dal loro rifiuto ingiustificato a consentire le
ispezioni disposte dal giudice e, in generale, dal contegno delle parti stesse nel processo. Un’altra categoria è
prevista dall’art. 310 III comma per cui, nel caso in cui il processo si estingua prima di giungere alla
sentenza di merito, se la domanda viene riproposta, le prove raccolte nel processo estinto sono valutate dal
giudice come argomenti di prova. L’argomento di prova da solo non è idoneo a far ritenere esistente un certo
fatto, ma può essere usato come strumento per valutare ed integrare i mezzi di prova.
Le presunzioni (o prove critiche/indiziarie) si distinguono in 3 categorie:
 presunzioni assolute  sono disciplinate dall’art. 2728 II comma c.c. Si distinguono in:
- contro di esse non è ammessa prova contraria, salvo che questa sia consentita dalla legge: non vi sono
molti esempi, in quanto è una tecnica via via abbandonata dal legislatore. Una delle poche reperibili
nel nostro ordinamento è quella dell’art. 599 c.c., che in tema di capacità a ricevere testamento, ci
dice che le disposizioni testamentarie a vantaggio di certe persone incapaci sono nulle, anche se fatte
sotto nome di interposta persona (ovvero notaio, padre, madre, discendenti e coniuge notaio)
- contro di esse è ammessa prova contraria: un esempio è previsto dall’art. 2960 che prevede le
prescrizioni presuntive, per cui decorso un certo periodo di tempo, si presume che l’obbligo sia
adempiuto. E’ quindi ammessa prova contraria del giuramento: colui contro il quale opera la
prescrizione presuntiva può deferire giuramento alla controparte dicendo “giura che hai pagato”: se la
controparte giura viene confermata la prescrizione presuntiva, altrimenti essa non opera più. Un altro
esempio può essere ricavato dall’art. 238 c.c. per cui “nessuno può reclamare uno stato contrario a
quello che gli attribuiscono l’atto di nascita di figlio legittimo e il possesso di stato conforme all’atto
stesso”: quindi una filiazione che risulta dall’atto di stato di stato civile è una presunzione assoluta di
conformità dello stato apparente a quello reale, salve le impugnative dall’art. 238 come
disconoscimento di paternità. Non è in definitiva possibile contestare la situazione in via incidentale,
ma occorre instaurare in via principale un processo ad hoc ad esempio per il disconoscimento di
paternità, e la dimostrazione potrà essere data con qualsiasi mezzo di prova
 presunzioni legali semplici ex art. 2728 I comma c.c. queste presunzioni “dispensano da qualunque tipo
di prova coloro a favore dei quali esse sono stabilite”. Si ha quindi un’inversione dell’onere della prova.
Esempio:
- art. 2054 c.c.: il conducente di un veicolo senza guida di rotaie è obbligato al risarcimento del danno
prodotto a persone o cose dalla circolazione del veicolo, se non prova di aver fatto tutto il possibile
per evitare il danno. Tale norma considera come fatto impeditivo e quindi come eccezione la
mancanza di colpa, che invece l’art. 2043 considera come elemento costitutivo della fattispecie da cui
consegue il rigetto della domanda per mancata prova del fatto costitutivo. Per l’art. 2054 invece, la
fattispecie costitutiva del diritto al risarcimento è composta dal fatto e dal danno e la mancanza della
colpa è fatto impeditivo: il legislatore vuole quindi ripartire il rischio della mancata prova
dell’elemento colpa o dolo
 presunzioni semplici non stabilite dalla legge  ex art. 2727 c.c. sono le conseguenze che il giudice tra
da un fatto noto per risalire ad un fatto ignoro. L’art. 2729 c.c. prescrive che tali presunzioni sono lasciate
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alla prudenza del giudice, il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
Quindi l’inferenza tra fatto noto ed ignoto è rimessa alla scelta del giudice, che la trae dalla massima
d’esperienza e dalle regole di valutazione vigenti. Poiché la regola di inferenza deve essere attendibile, il
giudice deve esplicitare qual è la regola che lo porta dal fatto noto a quello ignoto, in modo che sia
possibile controllare l’effettiva esistenza della massima d’esperienza. Limite ad utilizzazione: non
possono essere utilizzate quando è esclusa la prova testimoniale.

L’iniziativa per l’acquisizione delle prove al processo può provenire dalle parti o dal giudice.
Ex art. 115 c.p.c. il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove acquisite al processo su
iniziativa delle parti, compreso il pm. Il giudice però può assumere prove anche di sua iniziativa. Sono mezzi
di prova disponibili d’ufficio:
- per i processi a decisione collegiale: ispezione di cose o persone, richiesta di informazioni alla PA,
testimonianza de relato, esibizione in giudizio delle scritture contabili dell’amministrazione, giuramento
suppletorio
- per i processi a decisione monocratica: gli stessi sopra più la prova testimoniale
Mentre le parti hanno sia il potere istruttorio che il potere di allegazione, il giudice ha poteri istruttori solo
con riferimento ai fatti allegati dalle parti, e quindi non d’ufficio.

Ciascun mezzo di prova è soggetto al “giudizio di ammissibilità” (la prova per essere ammessa deve essere
consentita dalla legge), che riguarda i limiti che l’ordinamento pone all’utilizzazione di determinati mezzi di
prova, sia riguardo al fatto da provare, sia lo strumento probatorio. Esempio:
- la confessione ed il giuramento trovano limite nella natura disponibile del diritto cui il fatto da provare si
riferisce: sono utilizzabili solo se il diritto è disponibile
- la prova testimoniale trova limite nella natura del fatto da provare (contratto e pagamento).
Il “giudizio di rilevanza”, invece, si basa sulla qualificazione giuridica del fatto che si vuole provare:
rilevante è quel fatto storico che integra un elemento della fattispecie del diritto fatto valere o in via diretta o
indiretta, cioè come fatto base su cui svolgere un ragionamento presuntivo. Tale giudizio viene fatto sulla
base della ricostruzione della fattispecie: siccome la ricostruzione della fattispecie avviene in via definitiva
solo al momento della decisione, quando il giudizio di rilevanza è anticipato alla decisione (es. per prove
costituende) esso è fondato su una valutazione ipoetica di colui che lo effettua. La rilevanza implica che il
fatto da provare deve essere rilevante per la decisione e la prova deve essere efficace e non superflua per la
dimostrazione del fatto.
Il giudizio di ammissibilità e rilevanza è effettuato in momenti diversi a seconda che si tratti di:
- prove precostituite => al momento della decisione, quindi no giudizio preventivo
- prove costituende => giudizio preventivo rispetto all’acquisizione delle prove al processo, giudizio che
sarà ovviamente ipotetico, che se contrario alla valutazione emessa in fase decisoria viene meno in luogo
di quest’ultima
L’assunzione della prova avviene con ordinanza.

Vediamo i principi generali dell’assunzione probatoria:


- art. 202 c.p.c.: con l’ordinanza di assunzione della prova, il giudice fissa tempo, luogo e modalità di
assunzione
- artt. 203-204 c.p.c.: se i mezzi di prova devono assumersi fuori dalla circoscrizione del tribunale, si
procede all’assunzione attraverso la prova delegata: il giudice istruttore investe dell’assunzione il
tribunale del luogo dove la prova si deve assumere, e il g.i. che assume la prova, rimetterà poi al g.i.
delegante il verbale che sarà allegato agli atti di causa.
Se la prova deve essere assunta all’estero:
a) se lo Stato in cui si deve assumere la prova è dell’Unione Europea si applica il regolamento
1206/2001 per cui tale stato può alternativamente richiedere:
- che la prova sia assunta dall’autorità giudiziaria dell’altro Stato: la richiesta viene inviata
all’autorità giudiziaria competente che provvede all’assunzione della prova, e successivamente il
verbale verrà inviato all’autorità giudiziaria richiedente

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- di procedere essa stessa all’assunzione della prova nel territorio dell’altro Stato, ma solo se
l’assunzione può aver luogo senza che siano necessarie misure coercitive, e quindi solo su
volontà degli interessati, che devono essere informati e che potranno rifiutarsi di collaborare
b) se con lo Stato in cui si deve assumere la prova è vigente una convenzione, occorre seguire quanto
essa prevede
c) se non vi sono convenzioni si procede con la “rogatoria”: ex art. 204 c.p.c. è prevista la richiesta per
via diplomatica, per cui il giudice trasmette la richiesta al Pm, il Pm al Ministero degli Esteri, questi
al Ministero degli Esteri dello Stato interessato, questi alla propria amministrazione della giustizia, e
infine la richiesta giunge al giudice straniero che deve assumere la prova. Il verbale di assunzione
della prova seguirà l’iter inverso.
- art. 205 c.p.c.: se sorgono questioni nel corso dell’assunzione, il giudice stesso deve deciderle, salva la
possibilità delle parti di riproporre la questione al momento della decisione
- art. 206 c.p.c.: all’assunzione dei mezzi di prova le parti possono assistere personalmente, oppure per
mezzo dei loro difensori
- art. 207 c.p.c.: dell’assunzione dei mezzi di prova deve farsi processo verbale
- art. 208 c.p.c.: se la parte che aveva chiesto l’assunzione non si presenta e la controparte non chiede che si
proceda comunque all’assunzione, il giudice dichiara la decadenza dal diritto di farla assumere. La parte
può chiedere la revoca l’ordinanza di decadenza, e se il giudice riconosce che la mancata comparizione è
stata cagionata da causa ad essa non imputabile, revoca l’ordinanza.
- Art. 209 c.p.c.: il giudice dichiara chiusa l’istruttoria quando ha assunto tutti i mezzi di prova, oppure
quando ravvisa superflua, per i risultati raggiunti, la prosecuzione dell’assunzione

Vediamo ora i singoli mezzi istruttori, partendo da due istituti che in realtà non sono mezzi di prova.
A) INTERROGATORIO LIBERO  Disciplinato dall’art. 117 c.p.c. Ex art. 116 c.p.c., il giudice può
desumere argomenti di prova dalle risposte che le parti danno in sede di interrogatorio libero: essendo
argomenti di prova, le risposte delle parti non formano prova in senso pieno (vs interrogatorio formale!).
L’interrogatorio libero è espletato in fase di trattazione non di istruzione, e serve a precisare la posizione
delle parti. La la funzione di integrazione, mai di sostituzione, degli elementi propri della trattazione della
causa, in quanto esso proviene sempre dalla parte, non da un rappresentante tecnico. Le risultanze di tale
interrogatorio non possono essere poste a fondamento della decisione del giudice.
B) CONSULENZA TECNICA  Non è un mezzo di prova in quanto non ha la funzione di determinare il
convincimento del giudice sulla verità o non verità dei fatti, ma di integrare la cognizione del giudice quando
per la decisione della causa occorrono nozioni specialistiche che il giudice non possiede. E’ disciplinata
dagli artt. 61-62-63-64-191 e ss c.p.c. L’art. 201 c.p.c. stabilisce la possibilità per la parte di nominare,
affiancandolo al consulente tecnico d’ufficio, un consulente tecnico di parte, che partecipa all’attività del
primo: si ricrea così il contraddittorio. In caso di contrasto tra le conclusioni dei consulenti, il giudice
valuterà la motivazione più convincente.
Il consulente tecnico di parte svolge tutte le attività insieme al consulente d’ufficio.
Il giudice può anche affidare al consulente tecnico l’esame di registri e documenti contabili.
La nomina del consulente tecnico avviene con ordinanza del giudice istruttore: la scelta va fatta tra persone
iscritte in albi speciali. Il consulente ha l’obbligo di prestare il suo ufficio, tranne in caso di esistenza,
riconosciuta dal giudice, di un valido motivo di astensione.

N.B. Interrogatorio libero e Consulenza tecnica NON sono mezzi di prova!!

C) PROVA DOCUMENTALE  Ha la caratteristica di essere acquisita al processo non attraverso il sub


procedimento che si apre con ordinanza del giudice conseguente al giudizio di ammissibilità e rilevanza e
che prosegue con gli atti necessari alla formazione della prova, ma solo attraverso la sua pura e semplice
produzione agli atti della causa. Documento è qualsiasi oggetto che fornisce la rappresentazione del fatto
storico: può fornire o una prova immediata del fatto, oppure una prova di una prova del fatto.
Distinguiamo tra:
1) ATTO PUBBLICO  ex art. 2999 c.c. “E’ il documento redatto con le richieste formalità, da un notaio
o altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede, nel luogo dove l’atto è formato”. Se

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difetta delle richieste formalità, ex art. 2701 c.c., l’atto sottoscritto dalle parti si converte e ha efficacia
probatoria della scrittura privata.
Ex art. 2700 “fa piena prova fino a querela di falso” (=> l’atto pubblico è una prova legale!), circa:
- la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato
- di tutto ciò che è avvenuto di fronte al pubblico ufficiale => l’atto pubblico fa fede dell’estrinseco
(tutto ciò che il pubblico ufficiale attesta che sia avvenuto in sua presenza o che lui ha compiuto) e
dell’intrinseco (dichiarazione delle parti)
Per contrastare l’intrinseco si utilizzano i normali strumenti che l’ordinamento prevede: se si tratta di
dichiarazioni a sé favorevoli, la controparte non ha bisogno di contrastarle perchè esse non costituiscono
prova; se si tratta di dichiarazioni confessorie il dichiarante può contrastarle nei limiti in cui la legge
consente la revoca della confessione (errore di fatto o violenza); se si vuole sostenere che l’atto era
simulato, non si può farlo attraverso testimoni, poiché inter partes la prova della simulazione non può
darsi con prova testimoniale.
Per contrastare l’estrinseco, invece, è previsto un particolare e specifico istituto, ovvero la querela di
falso, che ha ad oggetto la genuinità dell’atto pubblico, e quindi un fatto. Al documento si possono
imputare due tipi di falsità:
- falso ideologico: si afferma che il pubblico ufficiale ha attestato fatti diversi da quelli che sono
avvenuti in sua presenza. Si ha quindi una infedeltà ab origine, e ne è necessariamente responsabile il
pubblico ufficiale
- falso materiale: l’atto nasce ab origine genuino, e successivamente ne viene alterato il testo. Si ha
quindi alterazione successiva, che può avvenire ad opera di un soggetto diverso dal pubblico ufficiale
La querela di falso si propone:
 in via principale => quando il processo ha ad oggetto immediato ed esclusivo la falsità dell’atto: non
c’è bisogno di attendere che il documento sia usato per poter proporre la querela di falso, ma questa
potrà essere proposta anche in via preventiva
 in via incidentale => quando l’atto è usato come prova in un processo avente un oggetto diverso, e
colui contro il quale è usato come prova, ne afferma la falsità. In caso di proposizione in via
incidentale si ha un meccanismo di raccordo tra il processo principale in cui è prodotto l’atto che si
impugna, e il processo incidentale di falso: proposta la querela di falso incidentale, il giudice deve
interpellare la parte che ha prodotto il documento e chiederle se vuole mantenerne la produzione
oppure ritirarlo:
- se la parte lo ritira il documento non è più utilizzabile in quel processo. La controparte può
comunque proporre querela in via principale, però in tal caso il processo di falso non incide sul
processo in corso, che ove la querela in via incidentale sia ammessa, è sospeso ex lege in attesa
della decisione sulla querela stessa
- se la parte non lo ritira, il giudice deve valutarne la rilevanza (n.b. è l’unico caso in cui la prova
documentale è soggetta alla valutazione preventiva di rilevanza!). La rilevanza si determina sulla
base del fatto rappresentato nel documento:
- se il giudice ritiene che il fatto rappresentato nell’atto è rilevante, perché integra una
elemento della fattispecie del diritto dedotto in giudizio, ammette la proposizione della
querela di falso. Se il giudice che la ammette è un giudice di pace o Corte d’Appello, si ha
sospensione del processo e rimessione al tribunale; se il giudice che ammette la querela è il
tribunale, il giudice istruttore può o istruire solo il processo di falso e sospendere l’istruzione
della causa originaria, oppure istruire entrambe e rimettere in decisione ambedue (avremo
così una sentenza a due capi: una sulla querela di falso, l’altro sulla domanda originaria)
- se il giudice ritiene che il fatto rappresentato non integri la fattispecie del diritto dedotto in
giudizio, non ammette la proposizione della querela di falso, e la controparte potrà
riproporla in via principale
La falsità che si fa valere con la querela di falso può avere rilevanza penale e quindi determinare un
processo penale. A questo punto dobbiamo vedere il raccordo tra processo civile e penale: per il codice
di procedura penale è possibile sospendere il processo civile per pregiudizialità penale solo in caso di
azioni risarcitorie e restitutorie che nascono dal reato, e poiché il processo di falso non vi rientra, i
processi proseguono parallelamente. Le due decisioni potranno essere contrastanti, ma sarà solo un
contrasto di accertamenti, E’ possibile però che la sentenza penale faccia stato anche nel processo civile:

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se la sentenza penale passa in giudicato in un momento in cui essa può essere ancora recepita nel
processo civile, perché ancora non concluso, allora ciascuna parte, producendo in giudizio la sentenza
penale, vincola il giudice civile all’accertamento dei fatti storici effettuato in nella sentenza penale.
2) SCRITTURA PRIVATA  E’ qualunque documento scritto, che non proviene da un pubblico ufficiale,
ma è sottoscritto dalla parte. Il problema pregiudiziale è stabilire a chi è imputabile quanto scritto.
Questo si risolve col meccanismo della sottoscrizione: quando si sottoscrive un testo, ci si appropria del
contenuto. Si pone dunque il problema della genuinità della sottoscrizione, che può essere accertata
secondo tre meccanismi:
a) riconoscimento => può essere espresso (quando la parte dichiara espressamente di riconoscere la
propria sottoscrizione) o tacito (quando l’art. 214 c.p.c. impone a colui, cui si vogliono imputare le
dichiarazioni contenute in un documento che appare da lui sottoscritto, di attivarsi per disconoscere
la propria sottoscrizione). Ex art. 215 c.p.c. il disconoscimento deve essere effettuato nella prima
difesa successiva all’udienza in cui è prodotta la scrittura. La scrittura si ha per tacitamente
riconosciuta anche se la parte è contumace, però con due correttivi:
- ex art. 293 III comma c.p.c, il contumace può sempre disconoscere la scrittura privata anche se si
costituisce all’udienza di precisazione delle conclusioni
- per la Corte Costituzionale, perché la scrittura privata possa essere utilizzata, occorre che il
contumace abbia avuto notizia della sua produzione
b) autenticazione => si ha quando la sottoscrizione è apposta in presenza di un pubblico ufficiale, il
quale ha previamente identificato il soggetto che sottoscrive
c) verificazione => il giudizio di verificazione si ha se la parte contro cui è prodotta una scrittura privata
non autenticata, la disconosce tempestivamente. Ex art 216 c.p.c. la parte che voglia utilizzare una
scrittura privata disconosciuta deve chiederne la verificazione, che può essere chiesta:
- in via principale: si propone un’autonoma domanda avente come solo oggetto quello di verificare
la sottoscrizione della scrittura privata. Ex art 116 c.p.c. II comma ciò accade “quando la parte
dimostri di avervi interesse”, che sostanzialmente è quando la scrittura è soggetta a trascrizione o
iscrizione. L’art. 216 c.p.c. prevede che se è proposta la verificazione in via principale e la
controparte si costituisce e riconosce la propria sottoscrizione, le spese del processo vanno a
carico dell’attore, altrimenti se non riconosce del convenuto
- in via incidentale: non si ha processo distinto, ma è una fase processuale interna al processo
originario, per cui è competente il giudice adito con la domanda iniziale
Il processo di verificazione di svolge attraverso la consulenza tecnica di un perito calligrafo e
attraverso le cd “scritture di comparazione”: se queste mancano, ex art. 219 c.p.c., la parte che nega
la sottoscrizione deve scrivere sotto dettatura, e in caso di suo rifiuto la scrittura si ha per
riconosciuta. Il processo si chiude con sentenza.
Per quanto riguarda l’efficacia di scrittura privata, essa fa piena prova (è quindi una prova legale!), ed il
giudice, dinanzi ad una scrittura riconosciuta, autenticata, o verificata, non può non credere alla
provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta. Essa fa piena prova fino a querela di falso, ma si
tratta qui di solo falso materiale. Quindi mentre per l’atto pubblico è possibile solo la querela di falso, in
quanto la provenienza delle dichiarazioni è accertata, contro la scrittura privata è possibile:
- una querela di falso che incide sulla falsità del documento
- un disconoscimento, che incide sull’imputabilità del documento
Se la scrittura privata riporta la data, questa è accertata con efficacia di prova legale tra le parti tra le
quali la scrittura forma prova. Rendere opponibile la data della scrittura a terzi è altrettanto essenziale, in
quanto sono ad essi opponibili solo le scritture con data certa, che si hanno nelle ipotesi previste dall’art.
2704 c.c.:
- la scrittura può essere autenticata => un notaio attesta che la sottoscrizione è stata apposta da un certo
soggetto in un certo giorno
- la scrittura può essere registrata => la registrazione si attua presentando un doppio originale dell’atto
all’ufficio del registro che percepisce l’imposta relativa, timbra uno degli originali e l’archivia, e
restituisce l’altro alla parte con l’attestazione che quel certo giorno è stata effettuata la registrazione
dell’atto
- sopravviene un evento che dà certezza che la scrittura non possa essere stata formata
successivamente (es. morte del sottoscrittore)

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- la scrittura può essere riprodotta in atto pubblico


Non sono ipotesi tassative.
Il timbro postale di per sé non garantisce che la scrittura sia già stata formata al momento in cui il foglio
è stato spedito.
Per quanto riguarda la quietanza, la data certa può essere fornita con ogni mezzo di prova tenuto però
conto delle circostanze.
3) ALTRE PROVE DOCUMENTALI  Vediamo qualche esempio:
- Telegramma: ha l’efficacia della scrittura privata se il test originale è sottoscritto dal mittente o è
stato consegnato o fatto consegnare dal mittente anche senza sottoscriverlo. La sottoscrizione può
essere autenticata da un notaio (quindi per contrastare si usa la querela di falso) oppure accertata da
un addetto alla posta (per contrastare si usa qualunque prova contraria)
- Telex e Fax: si ha incertezza sul soggetto mittente e soggetto ricevente, e non avremo quindi mai
prova legale
- Scritture Contabili: fanno prova contro l’imprenditore, non come prova legale, ma come prova che
può essere contrastata con qualunque altra prova contraria. Esse possono fare prova anche a favore
dell’imprenditore che le ha regolarmente tenute, quando siano fatte valere contro un altro
imprenditore ugualmente obbligato a tenerle.
- Riproduzioni Meccaniche: sono “riproduzioni fotografiche o cinematografiche, registrazioni
fonografiche ed, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti o cose” (art. 2712 c.c.).
Hanno efficacia di prova legale, a condizione che colui contro cui sono prodotte non ne disconosca la
conformità ai fatti e cose medesime. Se c’è contestazione sulla loro genuinità si ha un’indagine
sull’attendibilità: se si conclude che non sono artefatte si ha prova legale, altrimenti non avremo
efficacia probatoria
- Documento informatico: il problema della sua provenienza viene risolta dalla doppia chiave
asimmetrica, per cui chi vuole utilizzare un documento elettronico deve produrre, attraverso un
apposito programma elettronico, una coppia di chiavi (decifrazione => pubblica; cifrazione =>
privata) e consegnare al certificatore autorizzato la chiave di decifrazione, il quale attesta la sua
provenienza e la rende pubblica
- Copie degli atti: ex art. 2714 c.c. le copie degli atti pubblici, rilasciare da chi custodisce l’atto
pubblico, hanno la stessa efficacia dell’originale. Ex art. 2719 c.c., le copie fotografiche delle
scritture hanno la stessa efficacia delle autentiche se la loro conformità con l’originale è attestata da
un pubblico ufficiale competente, ovvero non è espressamente disconosciuta. Se si ha il
disconoscimento l’atto perde la propria efficacia probatoria: o si provano gli stessi fatti con altri
mezzi di prova, oppure si produce l’originale della fotocopia
- Atti di ricognizione o rinnovazione: disciplinati dall’art. 2720 c.c., sono previsti per rapporti di durata
molto lunghi nel tempo ed hanno quindi lo scopo di rinnovare il titolo originario. L’ordinamento ne
prevede due:
- art. 969 c.c. in tema di enfiteusi: “il concedente può richiedere la ricognizione del proprio diritto,
da chi si trova in possesso del fondo enfiteutico, un anno prima del compimento del ventennio”
- art. 1870 c.c. in tema di rendita perpetua: “il debitore della rendita o di ogni altra prestazione
annua che debba o possa durare oltre i dieci anni, deve fornire a proprie spese al titolare, se questi
lo richiede, un nuovo documento, trascorsi 9 anni dal precedente”
L’atto di ricognizione fa piena prova delle dichiarazioni contenute nel documento originale, e può
essere contrastato solo producendo l’originale per accertare che vi sia stato un errore nella
ricognizione o rinnovazione.

Per quanto riguarda l’acquisizione delle prove documentali, essa si ha mediante produzione del documento,
inserendolo nel proprio fascicolo e dandone atto o nel verbale di udienza, se il documento è prodotto in corso
di causa, o negli atti introduttivi o in altri scritti formati nel processo, se il documento è prodotto in
occasione di tali atti scritti. Una volta prodotto, il documento è definitivamente acquisito al processo e la
parte che lo ha prodotto non può più ritirarlo senza il consenso di tutte le altri parti (principio di
acquisizione: una volta acquisito un documento agli atti di causa, tale documento può essere utilizzato per
provare qualsiasi fatto).

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Nel caso in cui il documento sia in possesso della controparte o di terzi, l’ordinamento prevede, per
l’acquisizione al processo, il meccanismo dell’esibizione, che può essere disposto solo se la parte richiedente
non ha la possibilità di acquisire il documento e produrlo in causa: ex art. 210 c.p.c. il giudice, su istanza di
parte, può ordinare alla controparte o al terzo, di esibire in giudizio un documento di cui ritenga necessaria
l’acquisizione al processo. L’esibizione è ordinata se essa può compiersi senza recare un grave pregiudizio
alla parte o al terzo, e senza costringerli a violare i segreti previsti dal codice penale. La parte istante deve
dimostrare il possesso della cosa da parte di colui a cui sarà rivolto l’ordine di esibizione, altrimenti questa
non sarà ordinata. L’art. 210 c.p.c. non prevede espressamente conseguenze nel caso in cui l’obbligato non
ottemperi all’ordine di esibizione, ma il giudice può trarre argomenti di prova dall’ingiustificato rifiuto. In
caso di rifiuto di esibizione del terzo, a questo può essere irrogata una sanzione pecuniaria. Il terzo può
essere sentito in via preventiva o successiva, nel caso in cui il terzo proponga opposizione all’ordinanza di
esibizione, e se il giudice si convince che l’ordine non doveva essere dato perché l’opposizione del terzo è
fondata, revoca l’ordinanza di esibizione.

4) RICHIESTA DI INFORMAZIONI A P.A.  E’ a metà tra la prova documentale e la prova costituenda.


Ex art. 213 c.p.c., fuori dai casi di esibizione, il giudice può chiedere alla pubblica amministrazione,
informazioni relative ad atti e documenti dell’amministrazione stessa, che è necessario acquisire al
processo. La PA risponderà per iscritto con atto che contiene le informazioni e che è allegato agli atti di
causa. Si tratta per lo più di provvedimenti amministrativi. Il giudice non può delegare alla PA il
compimento di indagini, ma chiedere il risultato di indagini da essa autonomamente compiuta.
Non ha efficacia di prova legale perché si tratta di atti pubblici.
Per l’utilizzazione di queste informazioni, abbiamo due letture della disposizione “fuori dai casi” dell’art.
213 c.p.c.:
- lettura avversativa-esclusiva => se è possibile l’esibizione non è ammessa la richiesta di informazioni
alla PA. L’utilizzabilità sarà quindi ristretta all’ipotesi in cui il documento non è reperibile
direttamente dalla parte perché la PA legittimamente si rifiuta di dare informazioni alla parte che le
chiede direttamente, e quindi soccorre il giudice. E’ questa la teoria prevalente
- lettura estensiva => lo stesso documento può essere ottenuto sia con esibizione, sia con richiesta di
informazioni alla PA. Si presuppone il potere d’ufficio del giudice: il documento può essere ottenuto
o su istanza di parte (esibizione) o d’ufficio dal giudice (con richiesta di informazioni alla PA).

D) PROVA TESTIMONIALE  E’ la dichiarazione di scienza effettuata da un soggetto che è terzo rispetto


alle parti in causa. Viene resa in modo orale (trascritta poi nel verbale) e nel contraddittorio delle parti. Ha la
natura di prova liberamente valutabile: il giudice deve acquisire, all’atto dell’assunzione della prova, gli
elementi per poterne valutare l’attendibilità.
La dichiarazione scritta del terzo, contenente una sua dichiarazione di scienza viene ritenuta prova
documentale, e sarà quindi acquisita agli atti della causa con produzione od esibizione. Di regola tale
dichiarazione scritta del terzo non ha efficacia probatoria, in quanto è stabilito che la modalità tipica della
scienza del terzo al processo è a dichiarazione orale, ma si dovrà ritenere efficace la dichiarazione stessa
quando non sia possibile acquisire al processo la conoscenza del terzo con le forme previste, ad es. per morte
del terzo stesso.
La prova testimoniale incontra dei limiti di ammissibilità:
 Non è ammessa quando abbia per oggetto un contratto, pagamento o remissione di debito per un valore
superiore a € 2,58 (Art. 2721 cod.civ.) => per il legislatore l’onere delle parti di procurasi una
documentazione scritta del contratto è esigibile solo nelle attività contrattuali di un certo valore
economico. Il giudice può però superare il divieto tenendo conto della qualità delle parti, della natura del
contratto e di ogni altra circostanza. Si deve in sostanza valutare la verosimiglianza della stipulazione in
forma orale del contratto: se l’uso è che il contratto si stipuli oralmente, il giudice ammette la prova
testimoniale; se è normale la stipulazione del contratto per iscritto, il giudice non l’ammetta.
Nel caso in cui il contratto sia documentalmente provato e si chieda di provare per testimoni patti
aggiunti o contrari dobbiamo distinguere:
 Se antecedenti o contemporanei alla formazione del contratto non possono essere provati per
testimoni perché nel momento in cui le parti consacrano documentalmente la loro volontà
contrattuale, è inverosimile che omettano di documentare patti in quel momento già stipulati

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 Se successivi alla formazione del contratto è possibile che la volontà delle parti sia successivamente
modificate => Art. 2723 cod. civ. ammette la prova testimoniale quando al giudice, avuto riguardo a
qualità parti, natura contratto e altre circostanze, appare verosimile che siano stati stipulati patti,
senza che sia stata redatta documentazione.
Al di là della valutazione di verosimiglianza, la prova testimoniale è sempre ammessa in tre ipotesi, ex
Art. 2724 cod. civ.:
 Vi è un principio di prova per iscritto
 Il contraente era nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta
 Il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.
 Ex Art. 2725 cod.civ., non è ammessa quando si controverta di un atto per cui è richiesta forma scritta ad
substantiam (pena nullità). =>
 Contratti con forma scritta ad probationem  devono essere provati per iscritto, però sono validi ed
efficaci anche se stipulati oralmente, per cui la forma scritta costituisce solo un limite alla prova: se il
contratto ha la forma scritta ad probationem non si può usare la prova testimoniale, ma altre prove
come es confessione o giuramento.
 Contratti con forma scritta ad substantiam  la forma scritta è requisito di validità e di efficacia del
contratto: non è sufficiente dimostrare che il contratto è stipulato, ma si deve dim0strare che è stato
stipulato in forma scritta. Secondo l’art. 2725 è però possibile utilizzare la prova testimoniale solo
quando la parte dimostra di aver perduto il documento senza sua colpa.
La prova testimoniale deve essere dedotta mediante l’indicazione delle persone da interrogare e dei fatti
formulati per capitoli di prova.
Non tutti i soggetti possono deporre come testimoni. Non possono testimoniare, ex Artt. 246-249 c.p.c.:
 Le parti
 Coloro che hanno un interesse in causa che potrebbe legittimare la loro partecipazione al processo,
quindi i titolari di una situazione sostanziale connessa con quella oggetto del processo in modo tale da
legittimare la loro partecipazione al processo, sotto qualsiasi veste.
L’art 247 c.p.c. escludeva la testimonianza per parenti e affini: la Corte Costituzionale ha dichiarato
l’incostituzionalità della norma nella parte in cui pone un divieto assoluto alla testimonianza. Si ammette
così la prova testimoniale di coniuge, parenti, affini ecc.., salva la valutazione della loro attendibilità.
Stessa cosa per i minori di 14 anni. L’art. 248 c.p.c. affermava che “i minori di anni 14 possono essere sentiti
solo quando la loro audizione è resa necessaria da particolari circostanze”. La Corte Costituzionale dichiara
l’incostituzionalità dell’esclusione, in quanto spetta sempre al giudice valutare in concreto l’attendibilità del
testimone infraquattordicenne.
Vi sono poi soggetti che hanno facoltà di non testimoniare, ovvero i testimoni tenuti al segreto previsti dagli
artt. 200-201-201 c.p.p.
La presenza del testimone all’udienza fissata per l’espletamento della prova testimoniale si verifica:
 O perché egli si presenta spontaneamente
 O perché egli viene invitato a presenziare a quella udienza: in questo caso la parte predispone
l’intimazione ex Art. 250 c.p.c. e l’ufficiale giudiziario notifica ai testimoni ammessi dal giudice, un
invito a comparire all’udienza, almeno 3 gg prima dell’udienza stessa. Se la parte non fa intimare i
testimoni, e questi non compaiono, il giudice dichiara la decadenza della prova testimoniale.
Se il testimone regolarmente citato, non compare senza giustificato motivo, il g.i. può ordinare una nuova
intimazione oppure l’accompagnamento coattivo in udienza, e può condannarlo ad una pena pecuniaria oltre
alle spese di rinvio della causa. Se invece il testimone compare, ma non giura, non depone, o depone il falso
il gi., lo denuncia al p.m.
L’assunzione dei testimoni avviene previo loro giuramento, dopodiché il testimone dichiara le proprie
generalità e i propri rapporti con le parti, quindi viene interrogato sui capitoli di prova che il giudice ha
ammesso.
Vediamo i poteri d’ufficio del g.i.:
 Ex art. 257 c.p.c. “ se alcuno dei testimoni si riferisce, per la conoscenza dei fatti, ad altre persone, il g.i.
può disporre d’ufficio che esse siano chiamate a deporre” => “teste di riferimento”.

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 Il g.i. può disporre che sia consentita l’audizione successiva di testimoni ritenuti all’inizio superflui o di
testimoni dei quali ha consentito la rinuncia
 Può disporre che siano nuovamente sentiti testimoni già interrogati e può, in caso di divergenze tra le
deposizioni di testimoni già sentiti, disporre che siano messi a confronto.
 Se si tratta di processo a decisione monocratica, l’art. 281 ter c.p.c. consente al g.i. di disporre d’ufficio
la prova testimoniale anche quando la notizia dell’esistenza di un terzo a conoscenza dei fatti di causa
provenga non da un altro testimone, ma dalle allegazioni fatte dalle parti stesse.

Ove le parti e il giudice siano d’accordo è possibile raccogliere la testimonianza anche per iscritto, anziché
in udienza nel contraddittorio delle parti => “testimonianza scritta” disciplinata dagli artt. 275 bis c.p.c. e
103 bis disp.att.c.p.c., introdotte dalla L. 69/2009.
L’art 275 bis c.p.c. prevede che il giudice, su accordo delle parti, tenuto conto della natura della causa e di
ogni altra circostanza, può disporre di assumere la deposizione chiedendo al testimone, anche nelle ipotesi
di prova delegata, di fornire, per iscritto e nel termine fissato, le risposte ai quesiti sui cui deve essere
interrogato. Il giudice con il medesimo provvedimento, dispone che la parte che ha richiesto l’assunzione
predisponga il modello di testimonianza in conformità agli articoli ammessi e lo faccia notificare al
testimone. Il testimone rende la deposizione compilando il modello di testimonianza in ogni sua parte, con
risposta separata per ciascuno dei quesiti, e precisa quali sono quelli a cui non è in grado di rispondere,
indicandone la ragione. Il testimone sottoscrive la deposizione con sua firma autenticata su ciascuna delle
facciate del foglio di testimonianza, che spedisce in busta chiusa con plico raccomandato o consegna alla
cancelleria del giudice.
Quando il testimone si avvale della facoltà di astensione ex art. 249, ha l’obbligo di compilare il modello di
testimonianza, indicando le complete generalità e i motivi di astensione; quando il testimone non spedisce o
non consegna le risposte nel termine stabilito, il giudice può condannarlo a pena pecuniaria.
Il giudice, esaminate le risposte o le dichiarazioni, può sempre disporre che il testimone sia chiamato a
deporre davanti a lui o davanti al giudice delegato.
L’art. 103 bis disp.att.c.p.c. prevede che la testimonianza scritta sia resa su un modulo conforme al modello
approvato con decreto dal Ministro della Giustizia.
Al termine di ogni risposta deve essere apposta la sottoscrizione del testimone. Le sottoscrizioni vanno
autenticate da segretario comunale o dal cancelliere di un ufficio giudiziario.

E) CONFESSIONE Ex Art. 2730 cod. civ., la confessione è a dichiarazione che una parte fa della verità di
fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. Per stabilire quando una dichiarazione abbia natura
confessoria distinguiamo:
 Se colui che fa valere il diritto in giudizio, dichiara l’esistenza di un fatto costitutivo o l’inesistenza di
un’eccezione, la dichiarazione è a lui favorevole e quindi non costituisce confessione
 Se colui che fa valere il diritto in giudizio dichiara l’inesistenza di un fatto costitutivo o l’esistenza di
un’eccezione allora si ha confessione.
Oggetto della confessione sono i fatti, mai i diritti. Se la parte dichiara l’esistenza di un diritto altrui, non
rende una confessione ma una ricognizione di debito o una promessa di pagamento.
La confessione è una prova, per cui si rendono necessari i requisiti della disponibilità soggettiva ed
oggettiva.
Per confessare è necessaria:
 Disponibilità soggettiva, ovvero la capacità soggettiva di disposizione del diritto a cui i fatti confessati si
riferiscono (Art. 2731)
 Disponibilità oggettiva, per cui i fatti confessati si devono riferire a diritti oggettivamente disponibili
La confessione ha efficacia di piena prova ex Art. 2733 c.c., per cui il giudice non potrà metterne in dubbio
l’attendibilità, ed una volta acquisita la prova piena del fatto mediante confessione, intorno a questo fatto
non sarà possibile alcuna ulteriore attività istruttoria.
Vi sono però due casi in cui la confessione non ha efficacia di prova legale, ma di prova liberamente
valutabile:
 Litisconsorzio necessario/unitario/quasi necessario: nel caso in cui solo alcuni litisconsorti rendano la
confessione, questa non può essere considerata prova legale, in quanto la natura stessa di tale
litisconsorzio impone una decisione unitaria della controversia

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 Litisconsorzio facoltativo: la confessione ha efficacia di prova legale limitatamente al diritto oggetto


della confessione stessa, ma non ha efficacia probatoria sui diritti cumulativamente trattati.
Vi sono altri casi in cui la confessione può essere considerata prova liberamente valutabile:
 Dichiarazione complessa, che si ha quando colui, che dichiara fatti a sé sfavorevoli, aggiunge anche la
dichiarazione di fatti a sé favorevoli. Si adotta in questo caso il principio di inscindibilità della
dichiarazione e l’efficacia della dichiarazione dipenderà dal comportamento di controparte:
- Se controparte contesta la verità delle circostanze aggiunte => tutta la prova diventa liberamente
valutabile, ed il giudice non potrà scinderne il contenuto: se giudice ritiene attendibile la dichiarazione
deve porla a fondamento della decisione nella sua interezza; se la ritiene inattendibile, non può porla a
fondamento della decisione in relazione ad alcuno dei fatti dichiarati
- Se controparte non contesta i fatti aggiunti favorevoli, la dichiarazione complessa ha efficacia di prova
legale nella sua globalità
 Confessione stragiudiziale: ex Art. 2735 “se la confessione è fatta ad un terzo, o se è contenuta in un
testamento, è liberamente apprezzabile dal giudice”. Al contrario, la confessione stragiudiziale resa alla
parte o al suo rappresentante ha efficacia di prova legale.
La confessione può essere revocata solo dimostrando che quando è stata resa, la volontà di chi l’ha resa era
diretta a dichiarare certi fatti, e ne sono stati dichiarati altri.
La confessione può essere:
 Stragiudiziale => è resa fuori dal processo, dovrà quindi essere provata perché il fatto rappresentativo
(dichiarazione confessoria) è un fatto extraprocessuale ed in quanto tale deve essere dimostrato dal
giudice. Se la confessione è contenuta in un documento essa è provata attraverso produzione od
esibizione, altrimenti occorre acquisirla al processo con altri mezzi di prova, con limiti posti alla prova
testimoniale.
 Giudiziale => è resa in giudizio. Può essere:
- Spontanea, quando è contenuta in un qualsiasi atto processuale firmato dalla parte personalmente. Non
danno luogo a confessione le dichiarazioni dal difensore tecnico, in quanto egli non ha potere di
disposizione del diritto, e le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero.
- Provocata cioè ottenuta con interrogatorio formale, che è un mezzo di prova costituendo, in quanto
strumento con cui si cerca di acquisire al processo la confessione della parte. Esso deve essere
richiesto dalla parte (=> no disponibilità d’ufficio), mediante l’individuazione dei fatti oggetto
dell’interrogatorio, attraverso articoli separati e specifici, come per la prova testimoniale. Il giudice, di
fronte alla richiesta di interrogatorio formale, deve valutarne l’ammissibilità e la rilevanza, come per
qualunque mezzo di prova costituendo:
 la valutazione di ammissibilità viene effettuata con riferimento ai presupposti di efficacia della
confessione => non è ammissibile l’interrogatorio formale se l’eventuale confessione, che si
raggiunga in ordine al fatto, oggetto dell’interrogatorio, non ha efficacia (es perché si deduce un
interrogatorio formale in relazione a diritti indisponibili)
 la rilevanza segue le regole normali => è rilevante l’interrogatorio formale il cui oggetto è un fatto
che in via diretta o indiretta integra un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo.
L’ammissione dell’interrogatorio formale avviene con ordinanza del g.i., con cui è fissata anche la
data di espletamento dell’interrogatorio. All’udienza deve comparire personalmente la parte:
- se la parte compare gli vengono letti gli articoli che sono formulati in senso favorevole alla parte
che risponde.
o Se la parte risponde “si” alle domande si ha confessione giudiziale
o Se la parte risponde “no” la prova è fallita, l’interrogatorio formale non ha raggiunto alcuna
efficacia probatoria, in quanto la dichiarazione di fatti a sé favorevoli non ha efficacia
probatoria (n.b.: nell’interrogatorio formale la parte non ha l’obbligo di dire la verità, quindi
la dichiarazione di fatti non veri non è in alcun modo sanzionata, al contrario del testimone
che invece deve dire la verità)
 Se la parte non compare, o si presenta rifiutandosi di non rispondere senza giustificato motivo, il
giudice al momento della decisione, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come
ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio.

F) GIURAMENTO Il nostro ordinamento ne conosce tre forme:

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a) Giuramento decisorio (Art 2736 n. 1 c.c.)


b) Giuramento suppletorio (art. 2735 n. 2 c.c.)
c) Giuramento estimatorio (art. 241 c.p.c.), che è una sottospecie del giuramento suppletorio
a) Il giuramento decisorio viene definito come “quello che una parte deferisce all’altra per farne dipendere
la decisione totale o parziale della causa” => due atti distinti:
 Deferimento del giuramento di una parte
 Prestazione del giuramento di controparte.
Se manca il preventivo atto di deferimento, la dichiarazione non ha alcun valore probatorio.
L’oggetto del giuramento è ambiguamente descritto dall’art. 2736 “per farne dipendere la decisione totale
o parziale della causa”. Questo ha portato a molte discussioni circa la natura e la portata del giuramento,
tanto che taluno nega addirittura che esso sia un mezzo di prova. Da un punto di vista generale il
giuramento può essere costruito in due modi diversi:
 Può essere visto come mezzo di prova con cui si arriva all’accertamento del fatto storico, ma una
volta ottenuto con giuramento l’accertamento del fatto rimane sempre da qualificare tale fatto secondo
le norme di diritto sostanziale, ed inoltre resta possibile affiancare al fatto oggetto del giuramento la
prova di altri fatti storici che valgono in qualche modo a modificarne l’efficacia giuridica.
 L’art. 2736 n. 1 c.c. è sempre stato interpretato dalla giurisprudenza come una condizione di
ammissibilità del giuramento, quindi il giuramento è ammissibile solo se esso esaurisce
completamente ogni questione controversa all’interno di quel processo => il giuramento è decisorio se
da esso e solo da esso dipende la decisione totale o parziale della causa. In quest’ottica perciò il
giuramento non è un mezzo di prova come gli altri, ma è un mezzo sostitutivo della decisione del
giudice.
Possiamo dire che oggetto del giuramento sono si i fatti, ma la sua efficacia è tale che qualunque altro
elemento di fatto o di diritto che valga a contrapporsi a ciò che si accerta con il giuramento non è più
rilevante nel processo. Il giuramento deve avere ad oggetto tutti i fatti controversi nel momento in cui
viene deferito: dopo il deferimento nessun altro fatto può essere allegato o contestato.
Come per la confessione, i limiti di ammissibilità del giuramento sono la disponibilità oggettiva e
soggettiva, con la precisazione che la disponibilità soggettiva non deve essere di chi giura, ma di chi
deferisce il giuramento, essendo il deferimento l’atto dispositivo del giuramento.
Altri limiti di ammissibilità, per cui il giuramento non può essere deferito, sono:
 Giuramento su fatto illecito, limitatamente alle ipotesi per cui la parte che deve giurare si trova
nell’alternativa di giurare di aver commesso un fatto penalmente rilevante oppure socialmente
disdicevole, o di non giurare e quindi perdere la causa.
 Provare l’esistenza di un contratto per la validità del quale sia richiesta la forma scritta ad
substantiam, ovviamente nel solo caso in cui si chiede di giurare di aver stipulato un certo contratto in
forma scritta
 Smentire risultanze dell’estrinseco di un atto pubblico, coperte quindi da pubblica fede, per cui
l’unico mezzo è solo la querela di falso.
Art. 2738 c.c. stabilisce che “se è stato prestato il giuramento deferito..l’altra parte non è ammessa a
provare il contrario”: al giudice rimane quindi solo da accertare an iuratum sit (se è stato prestato
giuramento), e se accerta di si dà la vittoria alla parte che ha giurato, se accerta di no dà la vittoria alla
parte che ha deferito il giuramento. Inoltre l’Art. stabilisce che l’eventuale accertamento della falsità del
giuramento non può essere causa di revocazione della sentenza: si potrà chiedere cmq il risarcimento dei
danni.
L’art. 2739 stabilisce che il giuramento deve essere deferito su un fatto proprio della parte che deve
giurare o sulla conoscenza che essa ha di un fatto altrui => distinguiamo tra:
 Giuramento de veritate: ha ad oggetto il fatto proprio. Se la parte a cui è deferito il giuramento,
dichiara di non sapere o di non ricordare, a dichiarazione si intende equivalente al rifiuto di prestare il
giuramento, ed essa rimane soccombente
 Giuramento de scientia: ha ad oggetto il fatto altrui di cui il giurante ha conoscenza, ma che non
integra un suo comportamento. La dichiarazione di non sapere è ritenuta equivalente alla prestazione
del giuramento, e la parte vince la causa.
Il giuramento può essere ammesso anche quando il fatto è già stato provato, e la parte contraria non ha le
prove sufficienti per smontare l’accertamento che è stato raggiunto. La controparte, visto che allo stato

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attuale, la causa è persa, può deferire il giuramento a colui che ha allegato e provato il fatto, dicendogli di
giurare che esiste il fatto da lui allegato. In questo caso la dichiarazione di ignorare il fatto è ritenuta
come rifiuto di giurare.
L’art. 2738 prevede che, in caso di litisconsorzio necessario, il giuramento prestato da alcuno soltanto dei
litisconsorti è liberamente apprezzato dal giudice (=confessione), il quale deve emettere una sentenza
uguale per tutti. Stessa cosa per litisconsorzio quasi necessario o unitario.
In caso di litisconsorzio facoltativo, la prestazione di giuramento da parte di alcuno dei litisconsorti e la
mancata prestazione da part5e di altri porta ad una decisione disomogenea delle cause: le parti che hanno
giurato vinceranno, quelle che non hanno giurato soccomberanno.
Vediamo ora il procedimento di deferimento e prestazione del giuramento.
Il Deferimento è disciplinato dall’art. 233 c.p.c. Deve essere deferito direttamente dalla parte (non può
essere deferito dal difensore legale), oppure da un procuratore munito di mandato speciale con
specificazione del potere di deferire il giuramento, procuratore che può essere nominato anche difensore
tecnico della parte.
Il giuramento deve essere deferito “in articoli separati in modo chiaro e specifico”. Deve essere formulato
in termini favorevoli a colui che giura (vs interrogatorio formale). Se l’attore si trova a giurare su un fatto
costitutivo, deve giurare l’esistenza del fatto; se si trova a giurare su un’eccezione, deve giurare
sull’inesistenza del fatto. L’inverso vale per il convenuto.
Colui che si vede deferito il giuramento, oltre che giurare e non giurare può anche “riferire” il
giuramento, ovvero rideferisce il giuramento alla parte che aveva deferito, con la semplice inversione del
verbo della formula, mettendo in bocca alla controparte l’affermazione del contrario di quella che era la
formula del giuramento => Se il giuramento è stato deferito sull’esistenza di un fatto, viene riferito
sull’inesistenza dello stesso; se invece è stato deferito sull’inesistenza di un fatto, viene riferito
sull’esistenza di quello stesso fatto. Secondo l’art. 234 c.p.c. il riferimento è possibile finchè la parte, a
cui il giuramento è stato deferito, non abbia dichiarato di essere pronta a giurare. Il giuramento non può
essere riferito se il fatto non è comune ad entrambe le parti.
Il giuramento oltre che prestato, non prestato o riferito può anche essere revocato: colui che ha deferito o
riferito il giuramento, può revocarlo finchè la controparte non ha dichiarato di essere pronta a prestare
giuramento. Inoltre l’art. 236 c.p.c. prevede che, se il giudice nell’ammettere il giuramento ne modifica la
formula, la parte che lo ha deferito, può revocarlo.
Il giuramento come tutte le prove costituende è soggetto alla valutazione di ammissibilità e rilevanza da
parte del giudice. La rilevanza riguarda la decisorietà: l’oggetto del giuramento deve essere tale per cui,
una volta avuto il giuramento, resti solo da stabilire an iuratum sit. Se ci sono più fatti controversi il
giuramento su uno solo di essi non è decisorio, ma deve coinvolgerli tutti.
Nelle cause riservate alla decisione del collegio, l’ammissione del giuramento è fatta dal g.i. se tra le parti
non sorge controversia sull’ammissibilità o la rilevanza del giuramento, altrimenti il g.i. rimette al
collegio la decisione circa l’ammissione del giuramento. L’ordinanza che ammette il giuramento è
notificata alla parte personalmente.
Nell’ordinanza ammissiva del giuramento vengono fissati il giorno e l’ora per raccoglierlo. Ciò avviene
in udienza, ex art. 238 c.p.c. La parte deve prestare giuramento personalmente, e dopo aver giurato,
prosegue leggendo la formula predisposta dalla controparte. Se il giurante modifica la formula del
giuramento, il giuramento si considera non prestato e ne consegue la sua soccombenza. Se la parte non si
presenta per giustificato motivo, il giudice dispone, come nell’interrogatorio formale: fissa una ulteriore
udienza per il giuramento, fuori dalla sede giudiziaria.
b) Il giuramento suppletorio è deferito dal giudice. Il presupposto è la prova semipiena, che quindi
presuppone che i fatti non siano pienamente provati, ma neppure sforniti di prova. La funzione è quella di
evitare l’applicazione della regola sull’onere della prova, che impone di ritenere non provato un fatto non
totalmente provato. Il giudice deferirò a quella delle due parti che ha provato di più, cioè a favore della
quale il fatto è provato in misura maggiore. Efficacia del giuramento e sanzioni penali sono uguali al
giuramento decisorio.
La funzione di integrazione della prova propria del giuramento, fa capire perché esso può essere deferito
solo in fase decisoria e nelle cause riservate al collegio, e solo da questo. Si tratta quindi di una delle
ipotesi eccezionali in cui il potere di ammettere una prova non è del g.i. ma del collegio.
Il giuramento suppletorio non può essere riferito. Perciò i comportamenti possibili sono solo:

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- La parte cui il giudice ha deferito il giuramento giura e quindi vince


- La parte cui il giudice ha deferito il giuramento non giura e quindi perde
c) Il giuramento estimatorio è una sottospecie del giuramento suppletorio. E’ previsto dall’art. 2736 n. 2 c.c.
e dall’art. 241 c.p.c., norme da collegare con l’art. 1226 c.c., che regola la valutazione equitativa del
giudice. Si presuppone che la parte abbia preventivamente dimostrato il suo diritto sulla cosa domandata,
che questa non possa essere consegnata, che sia suscettibile di valutazione. Il giudice deve determinare il
valore massimo, entro cui sarà poi vincolato ad attribuire, a colui che ha prestato il giuramento, la somma
di denaro che la parte ha giurato corrispondere al valore della cosa. Se la parte, giurando, indica un valore
superiore a tale limite massimo, il giudice non è vincolato oltre il limite massimo.

G) ISPEZIONE  Può avere ad oggetto cose o persone, ed è tipicamente una prova diretta, perché attraverso
essa il giudice entra in contatto immediato con il fatto storico rilevante in causa. Non vi è quindi alcuna
valutazione di attendibilità da effettuare, in quanto non c’è un mezzo rappresentativo la cui attendibilità
debba essere effettuata.
Secondo l’art. 118 c.p.c. l’ispezione deve apparire indispensabile per conoscere i fatti di causa, quindi deve
essere l’unico mezzo per accertare tali fatti. Essa inoltre non può essere disposta se comporta gravi danni per
la parte o il terzo, o la violazione di un segreto d’ufficio. Tali limiti riguardano l’ispezione di persone, e non
si applicano per l’ispezione di cose se non in casi marginali.
L’ispezione è un mezzo di prova disponibile d’ufficio, per cui il giudice vi può ricorrere anche senza istanza
di parte. Il giudice deve procedere personalmente all’ispezione, ma nel caso di ispezione di persone, il
giudice può nominare un consulente tecnico perché vi proceda. Se la parte rifiuta l’ispezione della propria
persona o cosa, il giudice può valutare tale comportamento come argomento di prova; se si rifiuta il terzo,
questi è soggetto a sanzione pecuniaria.

H) ESPERIMENTO GIUDIZIALE  Non è prova diretta ma presuntiva. Il giudice, per accertare se un fatto si è
verificato in un dato modo, può ordinare che si proceda alla riproduzione del fatto stesso, facendone
eventualmente eseguire la registrazione. Si tratta di prova presuntiva, in quanto il giudice non entra in
contatto con il fatto storico rilevante, ma con la riproduzione di quel fatto, e sulla base della regola di
esperienza deduce, dalle modalità con cui il fatto si è verificato durante l’esperimento, il modo in cui si è
verificato il fatto storico rilevante.

I) RENDIMENTO DEI CONTI  Ha per un verso, caratteristiche di mezzo istruttorio e per un verso può
essere oggetto di una autonoma e separata domanda. L’obbligo di rendiconto è previsto da norme del c.c. e
da altre leggi. Tra le ipotesi più significative sono da indicare:
 obbligo del rendiconto del tutore che amministra interessi del minore
 obbligo del condividente, al momento della divisione dei beni, di rendere conto all’altro o agli altri
dell’amministrazione che ha fatto dei beni comuni
 obbligo di rendiconto dell’amministratore del condominio circa la gestione che ha effettuato
 obbligo di rendiconto per gli amministratori di società di persone
 obbligo di rendiconto per il custode del bene immobile sottoposto ad esecuzione
 obbligo di rendiconto per il curatore del fallimento.
Capiamo quindi come l’obbligo di rendiconto è strettamente connesso con il compimento di attività
nell’interesse di altri soggetti. La funzione del rendiconto è quindi quella rendere possibile all’interessato di
far valere i diritti o di adempiere agli obblighi che nascono dall’attività compiuta.
L’obbligo di rendiconto non va confuso con “responsabilità per la gestione” che è stata effettuata.
Il rendiconto può essere effettuato in via principale, come oggetto di una autonoma domanda, oppure in via
incidentale, come un procedimento istruttorio che si inserisce all’interno di un processo che ha ad oggetto una
situazione sostanziale diversa all’obbligo di rendiconto.
Può nascere una controversia tra le parti circa la sussistenza dell’obbligo di rendere il conto: in questo caso
occorre pregiudizialmente accertare se c’è l’obbligo di rendiconto, per poter poi procedere all’effettiva resa
dei conti. Se invece l’obbligo di rendere il conto non è contestato, il passaggio alla fase di rendimento dei
conti può avvenire con ordinanza del g.i.
Vediamo il procedimento previsto dall’art. 263 c.p.c. La parte obbligata deve depositare in cancelleria il
conto con i documenti giustificativi, che provano entrate ed uscite, almeno 5 gg prima dell’udienza fissata per

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la discussione del conto. Se controparte manifesta la volontà di accettare il conto, il giudice emette
un’ordinanza con cui ordina il pagamento delle eventuali somme dovute, ordinanza non impugnabile. Se
controparte non intende accettare il conto l’art. 264 c.p.c. impone un onere specifico: deve specificare le
partite che intende contestare ed i motivi della propria contestazione. Su tale contestazione si apre la
discussione tra le parti, che se trovano un accordo, otterranno un’ordinanza non impugnabile del giudice con
cui eventualmente ordina il pagamento del residuo, altrimenti decide con sentenza.
L’art. 266 c.p.c. stabilisce che del conto approvato può essere chiesta la revisione soltanto in caso di errore
materiale, omissione, falsità o duplicazione di partite. Quindi la revisione può essere chiesta ove si alleghino
fatti nuovi che valgono a dimostrare l’incompletezza o la falsità. La revisione è possibile sia ai casi di
accettazione del conto, sia ai conti approvati con provvedimento del giudice.

 FASE DECISORIA
Come abbiamo detto, il g.i. rimette la causa in decisione nelle ipotesi previste dall’art 187 c.p.c. (causa matura
per la decisione, soluzione questioni preliminari e pregiudiziali), oppure dispone l’assunzione dei mezzi di
prova. Una volta assunti l’istruzione probatoria è finita, e ai sensi dell’art 188 c.p.c. si ritiene esaurita
l’istruzione, e quindi si rimette la causa in decisione. Ma abbiamo un ultimo atto prima di passare alla fase
decisoria, ovvero la precisazione delle conclusioni.
Quando il g.i. rimette la causa al collegio a norma degli artt.187-188 c.p.c. invita le parti a precisare davanti a lui
le conclusioni, ovvero le richieste che le parti fanno al collegio. L’udienza di precisazione delle conclusioni è
rilevanti sotto vari punti di vista:
 Limiti temporali sentenza: la sentenza di merito, di qualunque contenuto, statuirà con riferimento alla
situazione di fatto esistente al momento della precisazione delle conclusioni, quindi solo i fatti ad essa
successivi possono essere fondamento di nuova domanda
 Soccombenza parti: si misura proprio sulle conclusioni, quindi se una parte nel corso del processo chiede
qualcosa e poi fa cadere la richiesta, non coltivandola quindi nelle conclusioni, essa non è soccombente
rispetto a tale richiesta.
Con la precisazione delle conclusioni le parti non possono effettuare nuove allegazioni, produrre nuovi
documenti e chiedere l’assunzione di nuovi mezzi di prova, però possono modificare le conclusioni quando ciò
non comporta nuove allegazioni o richieste istruttorie.
Le parti devono riproporre al collegio tutte le questioni che il g.i. ha risolto con ordinanza, e che non debbano
essere affrontate d’ufficio in sede decisoria.
Con l’udienza di precisazione delle conclusioni la causa passa alla fase di decisione: il g.i. si spoglia del potere
sulla causa, che viene acquisito dal collegio, di fronte al quale si svolgono le successive attività. Queste
consistono innanzitutto, entro 60 gg dalla precisazione delle conclusioni, nello scambio delle comparse
conclusionali, che costituiscono l’illustrazione delle ragioni in fatto e in diritto di ciascuna delle parti. Queste
non possono modificare le conclusioni, ma possono contenere liberamente nuovi profili di diritto: nella
comparsa si può impostare diversamente dal punto di vista del diritto la controversia, purchè tale diversa
impostazione non richieda nuove allegazioni.
Le parti dopo le comparse conclusionali, possono scambiarsi anche le memorie di replica alle comparse
conclusionali. Il collegio deve emettere la decisione entro 60 gg dalla scadenza del termine per il deposito delle
memorie di replica. Se le parti lo richiedono si ha discussione orale, in cui si ha la relazione del g.i., che
partecipa al collegio come relatore, sulle questioni proposte che debbono essere decise in collegio; dopodiché i
difensori discutono oralmente la causa di fronte al collegio.
La fase di deliberazione della sentenza avviene nel segreto della camera di consiglio, senza processo verbale: i
tre giudici (Presidente, g.i. come relatore e altro giudice) si riuniscono e decidono a maggioranza dei voti,
dopodiché viene steso il dispositivo, cioè la statuizione che il collegio emette.
A questo punto deve essere stesa la motivazione, di cui normalmente si occupa il g.i., che verrà poi depositata in
cancelleria, con apposizione data timbro e firma del cancelliere. Si ha così la pubblicazione della sentenza.

La fase decisoria dinanzi al g.i. è analoga tranne ovviamente la fase di camera di consiglio e la sentenza è
sottoscritta esclusivamente dal giudice che l’ha pronunziata.

(N.B. Ex art. 50 bis c.p.c. il tribunale giudica in composizione collegiale:

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 Nelle cause in cui è obbligatorio l’intervento del pm


 Nelle cause di opposizione, impugnazione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazioni tardive di
crediti
 Nelle cause devolute alle sezioni specializzate
 Nelle cause di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo
 Nelle cause di impugnazione delle deliberazioni di assemblea e del consiglio di amministrazione, e nelle
cause di responsabilità da chiunque promosse contro organi amministrativi e di controllo, i direttori generali,
i dirigenti preposti alla redazione dei documenti contabili societari e i liquidatori delle società. Delle mutue
assicuratrici e società cooperative, delle associazioni in partecipazione e dei consorzi
 Nelle cause di impugnazione de testamenti e di riduzione per lesione di legittima
 Nelle cause su responsabilità giudici
 Nelle cause di azione collettiva risarcitoria prevista dal Codice del Consumo
 Nelle cause di procedimenti in camera di consiglio
In tutti gli altri casi il tribunale giudica in composizione monocratica)

Vediamo i provvedimenti emessi in fase di decisione:


 Ordinanza istruttoria: il giudice pronuncia ordinanza e non sentenza, in quanto provvede unicamente
sull’istruttoria della causa (Art. 279 I comma c.p.c.). Art. 280 prevede che, con tale ordinanza, il collegio
deve fissare l’udienza di fronte al g.i. per la prosecuzione del processo, cioè per l’assunzione del mezzo di
prova che il collegio ha ammesso con la sua ordinanza istruttoria. Tale ordinanza non è modificabile né
revocabile dal g.i., ma può esserlo dal collegio stesso quando la causa gli torna per la decisione. In caso di
decisione monocratica l’ordinanza è emessa dal g.i. ed è da lui modificabile e revocabile. In conseguenza a
tale ordinanza si ha la riapertura della trattazione della causa e il g.i. viene reinvestito di tutte le sue funzioni.
 Rinnovazione delle prove: ex art. 281 c.p.c. se il collegio è incerto circa la valutazione o il contenuto dei
mezzi di prova assunti dal g.i., può disporne la ripetizione di fronte a sé. In questo caso la causa non torna in
istruttoria ma rimane in fase decisoria. L’art. 281 si applica solo alla riassunzione di prove già assunte e non
di nuove prove, che devono essere assunte solo in istruttoria.
 Competenza: art. 279 c.p.c. stabilisce che il collegio pronuncia ordinanza “quando decide soltanto questioni
di competenza”. In questo caso l’ordinanza avrà lo stesso effetto della sentenza.
 Questioni rilevabili d’ufficio: l’art. 101 II comma c.p.c. impone al giudice che vuole fondare la sua decisione
su una questione rilevata d’ufficio e fino a quel momento non segnalata dalle parti, di riservare la decisione e
di assegnare alle parti un termine per il deposito di memorie relative alla questione indicata nell’ordinanza.
Le parti potranno quindi addurre argomenti per convincere il giudice sulla decisione della questione. Se la
parte allega nella sua memoria un fatto reso rilevante dalla questione rilevata d’ufficio ed effettua la relativa
attività istruttoria (produzione di documenti e richiesta di prove costituende) il collegio non potrà
pronunciare sentenza, ma dovrà rimettere la causa in istruttoria.
La differenza che intercorre tra la decisione in forma di sentenza e quella in forma di ordinanza sta in ciò che
l’ordinanza non priva il giudice del potere di ritornare sopra quando ha deciso => il giudice quando pronuncia
sentenza:
 Non può modificare o revocare il provvedimento
 Non può ridecidere ciò che ha già deciso
 Quando ne processo che prosegue dinanzi a lui si ritroverà ad affrontare questioni dipendenti da quella già
decisa, dovrà attenersi a ciò che ha accertato con la precedente sentenza.

Il giudice non può scegliere liberamente se emettere un tipo o l’altro di provvedimento, ma lo dispone il
legislatore: se il giudice emette con forma di sentenza una decisione che avrebbe dovuto avere forma di
ordinanza o viceversa, il regime del provvedimento dipende non dalla forma concreta scelta dal giudice, ma
dalla forma che in astratto il giudice avrebbe dovuto adottare, in quanto imposta dalla legge.
Possiamo dire che tutte le questioni che sorgono durante il processo sono risolte con ordinanza, tranne quelle
previste dall’art. 279 II comma c.pc. che individua le questioni da decidere con sentenza.
Dobbiamo distinguere tre casi disciplinati dall’art 279:
A) Processo con una sola domanda  disciplinato da art. 279 nn 1-2-3-4, secondo cui il Collegio pronuncia
sentenza:

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 “quando definisce il giudizio decidendo questioni di giurisdizione” e “quando definisce il giudizio


decidendo questioni pregiudiziali attinenti al processo” => sentenza definitiva di rito. Si tratta
sostanzialmente di tutte le questioni inerenti alla sussistenza dei presupposti processuali.
 “quando definisce il giudizio decidendo questioni preliminari di merito” e “quando definisce il giudizio
decidendo totalmente nel merito” => sentenza definitiva di merito. Si tratta di tutte le questioni attinenti
a ciascun elemento costitutivo, impeditivo, modificativo ed estintivo della fattispecie del diritto dedotto
in giudizio
 “quando decidendo questioni precedenti non definisce il giudizio ed impartisce distinti provvedimenti
per l’ulteriore istruzione della causa” => sentenza non definitiva. Si tratta sostanzialmente delle
questioni preliminari e pregiudiziali. Avremo quindi l’accoppiata sentenza non definitiva+ordinanza che
rimette la causa in istruttoria
Dinanzi ad una sentenza non definitiva abbiamo tre strade:
 Il soccombente decide di impugnarla immediatamente => due ipotesi:
- Proseguono in contemporanea due processi con stesso oggetto ma due diversi ambiti di
cognizione: nel processo d’appello si conosce solo della questione che ha dato luogo alla non
definitiva (prescrizione, giurisdizione..ecc..), in quello di primo grado tutte le altre questioni. Gli
esiti di tali processi vanno però tra loro coordinati attraverso l’effetto espansivo esterno
- Si sospende l’ulteriore corso del processo di primo grado: una volta che il giudice d’appello si è
pronunciato, se la sentenza non definitiva è confermata, ripartirà l’istruttoria di primo grado sulle
questioni diverse da quelle già decise; se invece la sentenza non definitiva è riformata, il
processo di primo grado non riapre in quanto ormai inutile
 Il soccombente sulla non definitiva omette ogni attività => la sentenza passa in giudicato, e la
questione decisa con sentenza non definitiva non può essere riesaminata né dal giudice che ha
emesso la sentenza né in sede di impugnazione
 Soccombente propone riserva di appello => l’appello può essere differito purchè la riserva sia
effettuata, a pena di decadenza, nel termine per appellare e, in ogni caso, non oltre la prima udienza
dinanzi al g.i. successiva alla comunicazione della sentenza stessa (Art. 340 c.p.c.). La riserva si
scioglie quando in quel processo venga impugnata una successiva sentenza.
Ma può accadere che nel processo non vengano emesse altre sentenze perché esso si estingue: l’art.
129 disp.att.c.p.c. prevede che se il processo si estingue, la sentenza di merito contro cui fu fatta la
riserva acquista efficacia di sentenza definitiva dal giorno in cui il provvedimento che pronuncia
l’estinzione del processo diventa definitivo. Da questo momento decorre il termine per impugnare la
sentenza non definitiva in relazione alla quale è stata fatta la riserva (30 gg se non definitiva è
notificata; un anno se non notificata).
Le sentenze non definitive non sono immediatamente ricorribili in cassazione: il ricorso contro tale
sentenza può essere proposto, senza necessità di riserva, quando venga emessa sentenza definitiva.
B) Sentenza di Condanna Generica  disciplinato da art. 278 c.p.c. La norma distingue tra:
 an debeatur, ovvero l’esistenza del diritto
 quantum debeatur, ovvero la quantità della prestazione dovuta
La sentenza di condanna generica si ha quando la domanda è stata proposta con riferimento sia all’an che al
quantum (se viene chiesto solo l’an si ha il solito processo, e il giudice accerterà con sentenza definitiva
solo l’esistenza del diritto). Anche in questo caso si può arrivare ad una scissione della pronuncia sull’an da
quella del quantum, ma l’art. 278 prevede che vi sia un’istanza di parte e che l’esistenza del diritto sia certa,
ma occorra ancora effettuare attività istruttoria per la quantificazione della prestazione: in tali casi il giudice
può emettere sentenza di condanna generica, disponendo con ordinanza che il processo prosegua per la
liquidazione => sentenza di condanna generica è sentenza non definitiva. Inoltre, per la possibile scissione
dell’an dal quantum è richiesto il mancato dissenso del convenuto.
Quindi i presupposti per la pronuncia di sentenza di condanna generica sono:
 si ha certezza sull’esistenza del diritto ma è necessaria ulteriore attività istruttoria per la quantificazione
della prestazione
 la parte che ha fatto valere il diritto ne deve fare richiesta
 la controparte non deve opporsi
Oggetto della sentenza di condanna generica è l’accertamento di un fatto potenzialmente produttivo di
conseguenze dannose e dell’imputabilità di questo fatto.

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Tale sentenza ha il contenuto di una sentenza di mero accertamento, ma è equiparata, a certi effetti, alle
sentenze di condanna: essa non è sufficiente per instaurare un’esecuzione forzata in quanto manca la
quantificazione. Ma da altri due punti di vista la sentenza generica di condanna è a tutti gli effetti una
sentenza di condanna:
 Art. 2818 c.c. (ipoteca giudiziale): la sentenza di condanna generica è titolo per l’iscrizione di ipoteca
giudiziale. Consente l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale sui beni del debitore, per l’ammontare che
determina l’attore stesso sotto la sua responsabilità
 Art. 2953 c.c. (prescrizione): le prescrizioni più brevi di quella decennale si trasformano in prescrizione
decennale quando i diritti che si prescrivono in termini più brevi, sono oggetto di sentenza di condanna.
Una volta emessa la sentenza di condanna generica, il processo prosegue per la quantificazione, se la
domanda coinvolge sia l’an che il quantum: sarà quindi sentenza non definitiva. Se riguarda solo l’an sarà
sentenza definitiva ed occorre instaurare un altro processo per la quantificazione.
E’ possibile applicare la disciplina prevista per le sentenze non definitive:
 Riserva
 Impugnazione immediata
 Passaggio in giudicato
 Sospensione del processo sul quantum o contemporanea prosecuzione dei processi
 …
La sentenza di condanna generica è suscettibile di ricorso immediato in cassazione, o in alternativa, di
riserva. La riserva di ricorso in cassazione è disciplinata da art. 361 c.p.c.: come la riserva d’appello può
essere fatta all’udienza di prosecuzione della causa, con dichiarazione orale da riportare nel verbale di
causa, o con dichiarazione scritta su un foglio separato da allegare al verbale di causa, oppure con atto
notificato ai procuratori delle altre parti costituite.
Quando il giudice abbia appurato che in ordine al quantum, nonostante ci sia bisogno ancora di attività
istruttoria per completare la qualificazione, esiste già la prova per una certa quantità egli può emettere la
provvisionale: ex art. 278 c.p.c., su istanza di parte il giudice può condannare il debitore al pagamento di
una provvisionale, nei limiti della quantità per cui ritiene già raggiunta la prova.
C) Sentenza in caso di Processo con Cumulo Oggettivo Se sono state proposte più domande, il processo ha
una pluralità di oggetti ed il giudice può decidere con un’unica sentenza tutte quante le domande proposte
(Art. 277 I comma c.p.c.).
In due casi però, si può avere separazione delle cause, in quanto alcune già mature per la decisione ed altre
no (si avrà quindi decisione solo su quelle già mature):
 Art. 279 n. 5: il collegio dispone la separazione delle cause prima di deciderle => sentenze emesse sono
definitive
 Art. 277 II comma c.p.c.: è necessaria per la decisione di alcune delle domande, l’istanza di parte => le
sentenze emesse sono parzialmente definitive: la pronuncia che verrà emessa al termine del processo,
potrà di fatto, da un punto di vista economico, modificare le conseguenze dannose che la prima sentenza
arreca al soccombente, ma non potrà mai annullarne la portata precettiva.
Le sentenze parzialmente definitive sono suscettibili di impugnazione immediata e passaggio in
giudicato.
Per quanto riguarda la riserva di appello e ricorso per cassazione in attesa della pronuncia definitiva
abbiamo due orientamenti:
 La riserva di impugnazione non è possibile in quanto, siccome l’interesse ad impugnare nasce
immediatamente con l’emanazione della parzialmente definitiva, è inutile aspettare una sentenza
successiva che, qualunque contenuto abbia, non metterà mai nel nulla la portata precettiva della
parzialmente definitiva
 La riserva è possibile, in quanto, se da un punto di vista giuridico la pronuncia definitiva non è
idonea ad assorbire gli effetti della parzialmente definitiva, tuttavia nell’economia del processo
cumulato, la parte può valutare la decisione della controversia nella sua globalità, e può accontentarsi
dell’esito complessivo della lite, in quanto su una domanda è rimasta vittoriosa e su un’altra è rimasta
soccombente. Tale opinione è oggi confermata dall’art. 361 I comma che prevede espressamente la
riserva di ricordo per cassazione nei confronti delle sentenze “che decidono una o alcune domande
senza definire l’intero giudizio”.

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Vediamo gli effetti della sentenza.


Finchè la sentenza non passa in giudicato essa non è vincolante per le parti, in quanto vi è sempre possibilità di
impugnazione.
Possiamo cmq dire che la sentenza di primo grado, se di condanna, ex art. 282 c.p.c., è provvisoriamente
esecutiva, e tale provvisoria esecutività può essere sospesa se ricorrono gravi motivi, su istanza delle parti (con
impugnazione), dal giudice d’appello (inibitoria). La sentenza di mero accertamento invece non ha efficacia
esecutiva né dichiarativa fino al passaggio in giudicato.
La sentenza ha efficacia retroattiva fino al momento della domanda.

Per quanto riguarda il procedimento di correzione delle sentenze, esso è possibile nei casi previsti dall’art. 287
e seg. c.p.c., che trova la sua ratio nella distinzione tra errori di giudizio (errori di formazione della volontà del
giudice => devono essere esperiti i mezzi di impugnazione!!) ed errori nella manifestazione della volontà, per cui
è esperibile tale procedimento.
Sono suscettibili di correzione:
 Sentenze, anche quando sia pendente giudizio d’appello
 Ordinanze non revocabili (se revocabile l’errore può essere fatto valere solo con istanza di revoca!)
Presupposti per la correzione:
 Errore nella manifestazione della volontà
 Omissioni
 Errori materiali
 Errori di calcolo
Di fatto la correzione della sentenza è utilizzata soprattutto per la mancata, incompleta o erronea indicazione
delle parti o dei beni oggetto della controversia, quando si debba procedere ad esecuzione forzata, o
all’iscrizione o trascrizione dell’atto, o più in generale alla pubblicità dello stesso.
Procedimento: se le parti sono d’accordo, possono richiedere la correzione con ricorso congiunto ed il giudice
provvede con decreto; se invece la correzione non è chiesta da tutte le parti, allora bisogna instaurare il
contraddittorio tra le parti, ed il giudice provvede con ordinanza, il cui contenuto è annotato sull’originale della
sentenza. La sentenza è impugnabile, esclusivamente per ciò che attiene alle parti corrette, con i mezzi soliti. La
parte che non è d’accordo con la correzione, impugna non il provvedimento di correzione, ma la sentenza, con
esclusivo riferimento alle modificazioni introdotte dal provvedimento di correzione.

LO SVOLGIMENTO ANOMALO DEL PROCESSO

Può accadere il processo di cognizione, nel corso del suo svolgimento, subisca alcune vicende che ne alterano la
fisionomia e lo sviluppo classico.

A) CONTUMACIA ED ASSENZA  Possiamo definirla come la mancata costituzione delle parti, disciplinata
dagli artt. 290 e seg. c.p.c. Sappiamo che la costituzione è l’attività con cui una parte si presenta in giudizio,
ed acquisisce la concreta possibilità di compiere atti processuali: la contumacia, quindi, presuppone che sia
avvenuta l’acquisizione della qualità di parte => solo chi è parte può essere contumace. La qualità di parte si
acquista con la notificazione della citazione. La contumacia è dichiarata rispetto a colui che può compiere
atti nel processo, e quindi la parte formale (cfr. parte in senso sostanziale = parte titolare della situazione
giuridica dedotta in giudizio; parte in senso processuale = parte soggetto destinatario degli effetti atti
processuali; parte in senso formale = parte che può compiere atti processuali).
Le condizioni richieste per la contumacia sono tre:
 Pendenza del processo, che si ha con rituale notifica al convenuto o al terzo dell’atto di citazione
 Mancata costituzione in giudizio di una delle parti, entro i termini stabiliti
 Mancata comparizione della parte stessa innanzi al g.i. nell’udienza di prima comparizione, qualora
l’altra parte si sia costituita nei termini
Dalla contumacia dobbiamo distinguere l’“assenza”, per cui assente è colui che, essendosi costituito, non
partecipa ad una attività processuale. Si presuppone quindi la costituzione della parte. La parte costituita,
anche se assente, è considerata presente a tutte le attività che vengono effettuate: cfr. art. 176 II comma c.p.c.

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“le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano
comparirvi”.
Vediamo le situazioni che possono verificarsi in ordine all’assenza e alla contumacia:
 Contumacia di entrambe le parti => il giudice non viene a conoscenza del processo, in quanto non vi è
stata l’iscrizione al ruolo che è possibile solo se la parte si costituisce. La causa rimane quindi quiescente
per tre mesi, a partire dal termine ultimo di costituzione del convenuto, e quindi dal 20esimo giorno
antecedente l’udienza indicata nella citazione, termine entro cui la causa può essere riassunta da qualsiasi
parte del processo, pena l’estinzione.
 Assenza di entrambe le parti => le parti sono entrambe costituite ma nessuna compare dinanzi al giudice
in prima udienza. Ex art 181 I comma, il giudice fissa quindi un’altra udienza, e la cancelleria deve
comunicare ai difensori delle parti costituite la data della nuova udienza. Se anche a tale udienza le parti
sono assenti, il giudice dispone la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara estinto il processo.
Stessa cosa per le udienze successive alla prima.
 Entrambe le parti sono costituite, ma attore è assente alla prima udienza e convenuto è presente => il
convenuto ha due alternative, ex Art. 181 II comma
 Tace: il giudice fisserà una nuova udienza comunicata all’attore; se anche a tale udienza attore è
assente altre due alternative: o il convenuto chiede che si vada cmq avanti senza attore e si procede
normalmente, o ancora una volta tace ed il giudice ordina cancellazione causa dal ruolo e dichiara
l’estinzione del processo
 Chiede che si proceda in assenza del’attore, e il processo andrà avanti normalmente
L’art. 181 II comma si applica solo in caso di assenza alla prima udienza, non a quelle successive.
Assenza del convenuto non crea problemi particolari
 Contumacia dell’attore => attore non costituito e convenuto iscrive a ruolo la causa. Il convenuto ha due
alternative:
 Dichiara di voler proseguire in contumacia dell’attore
 Non chiede che si proceda in contumacia, e quindi il giudice ordina cancellazione della causa dal
ruolo e il processo si estingue
 Contumacia del convenuto => si pone una questione pregiudiziale, in quanto la contumacia può essere:
 Volontaria, quando il convenuto, nei cui confronti è stato instaurato regolarmente il contraddittorio,
ritiene con decisione libera di non difendersi attivamente in quel processo => si applicano le norme
sulla contumacia degli artt. 292 e segg
 Involontaria, quando il contraddittorio non è stato regolarmente instaurato, e siccome l’instaurazione
del contraddittorio è una condizione per la pronuncia di merito, il processo risulta viziato
Quindi 3 situazioni possibili:
 Il convenuto è costituito, diventa quindi irrilevante stabilire se citazione e notificazione siano nulle o
valide, in quanto la costituzione sana i vizi del contraddittorio
 Il convenuto non è costituito e il contraddittorio è validamente instaurato, avremo quindi contumacia
 Il convenuto non si è costituito e il contraddittorio non è stata validamente instaurato, il processo sarà
quindi viziato: il giudice dà disposizioni per la sanatoria, se non sarà sanato si estinguerà.
In conclusione, prima di dichiarare la contumacia il giudice dovrà accertare la regolarità della citazione e
della notifica.
Ex. Art. 171 III comma c.p.c., “la parte che non si costituisce è dichiarata contumace con ordinanza del g.i.”.
Il procedimento contumaciale si differenzia dal procedimento normale essenzialmente per il fatto che alcuni
atti del processo debbono essere notificati al contumace, e non alla parte costituita. Tali atti da notificare
possono essere distinti in 3 gruppi:
 Nuove domande (es domanda riconvenzionale, atto di intervento)
 Atti istruttori, in particolare ordinanze ammissive di interrogatorio formale e del giuramento, ma anche
il verbale di causa in cui si dà atto della produzione di una scrittura privata
 Sentenza, la cui notificazione fa decorrere il termine breve per l’impugnazione
Il contumace può cmq costituirsi in ogni momento della causa, fino all’udienza di precisazione delle
conclusioni, ma naturalmente dovrà accettare il processo nello stato in cui si trova => costituzione tardiva
del contumace. Il contumace può compiere tutti gli atti processuali che avrebbe potuto fare nel momento in
cui si costituisce, se fosse stato costituito fin dall’inizio. Vi è però un’eccezione: il contumace può sempre

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disconoscere le scritture private che sono state prodotte, anche se è trascorso l’ultimo momento utile per
disconoscimento.
La rimessione in termini è un istituto per cui il contumace è abilitato a compiere attività che per lui sarebbero
precluse. Essa si può avere quando:
 Vi è nullità dell’atto introduttivo o della sua notificazione
 La parte dimostra che la sua contumacia è dovuta a causa a lei non imputabile: l’art. 294 II comma c.p.c.
stabilisce che il giudice ammette la prova dei fatti che hanno prodotto l’impedimento, assume la prova di
questi fatti, e se li ritiene provati, rimette il contumace in termini. Il provvedimento è dato con ordinanza.

B) SOSPENSIONE DEL PROCESSO  Costituisce un arresto nella sequenza degli atti processuali, a cui
consegue una stasi del processo, che entra in uno stato di quiescenza ma con la prospettiva di essere ripreso.
Le ipotesi di sospensioni sono raggruppabili in tre gruppi:
 Sospensione concordata: prevista da art. 296 c.p.c. Si ha su istanza di parte. In realtà è un istituto non
utilizzato, in quanto è previsto che il processo in questo caso può essere sospeso per un periodo non
superiore ai tre mesi, ma in realtà tra un’udienza e l’altra passano ben più di tre mesi.
 Sospensione impropria: riguarda tutte quelle ipotesi in cui, su di un processo in corso, si innesta un altro
processo, che ha ad oggetto una questione relativa alla domanda oggetto del primo processo, e la
pendenza di questo secondo processo produce la sospensione del processo originario. Le principali
ipotesi sono:
 Art. 48 I comma c.p.c., regolamento di competenza: quando è proposto i processi relativi ai quali il
regolamento è chiesto debbono essere sospesi
 Art. 367 I comma c.p.c., regolamento di giurisdizione: quando è proposto i processi relativi ai quali il
regolamento è chiesto debbono essere sospesi
 Art. 52 III comma c.p.c., ricusazione del giudice
 Artt. 313 e 355 c.p.c., querela di falso: ove essa sia proposta dinanzi a giudice di pace o corte
d’appello, si sospende il processo dinanzi a quei giudici, in attesa della decisione del tribunale
competente
 Incidente di legittimità costituzionale di una norma, rimesso a Corte Costituzionale
 Interpretazione norme comunitarie
 Impugnazione immediata di sentenza non definitiva
 Ricorso per cassazione e revocazione proposti per la stessa sentenza
Quindi con questa tipologia di sospensione, lo stesso processo procede in altra sede.
 Sospensione propria: presuppone due processi con oggetti diversi, quindi vi è una controversia dalla cui
definizione dipende la decisione di altra controversia. Presupposti di tale connessione sono:
 Connessione di pregiudizialità-dipendenza tra le due situazioni sostanziali: si ha quando l’esistenza
di una situazione sostanziale è fatto costitutivo o cmq elemento della fattispecie di un’altra situazione
sostanziale
 Le due situazioni sostanziali siano entrambe dedotte in giudizio
 Le due situazioni devono essere dedotte in giudizi separati, e quindi non si realizzi il simultaneus
processus, che invece presuppone che le due cause germinino all’interno dello stesso processo
La sospensione processuale, avendo funzione di economia processuale, opera pienamente qualora la
causa dipendente sia proposta dopo la proposizione della causa pregiudiziale: nel caso inverso la
sospensione si verifica solo se, nel momento in cui la causa pregiudiziale è proposta, nella causa
dipendente, l’istruttoria relativa alla situazione pregiudiziale non è già stata compiuta.
La sentenza sul diritto pregiudiziale fa stato nel processo della situazione dipendente, e non potrà essere
disattesa nella decisione del diritto dipendente. Tale vincolatività sussiste sempre quando le parti dei due
processi sono le stesse, in quanto, in virtù dell’art. 2909 c.c. il giudicato fa stato ad ogni effetto. Quando
le parti sono diverse, occorre ai fini della sospensione preventivamente stabilire, sulla base delle regole
sui limiti soggettivi di efficacia della sentenza, se l’emananda sentenza sulla situazione pregiudiziale,
farà stato anche nel processo dipendente.
Una sospensione del processo civile si può avere anche in relazione:
 Al processo amministrativo: sia nelle sole ipotesi di giurisdizione esclusiva, quando cioè anche il
giudice amministrativo conosce anche dei diritti soggettivi

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 Processo penale: le ipotesi più comuni sono le domande restitutorie e risarcitorie, che si hanno quando il
fatto reato fonda un diritto alla restituzione o al risarcimento. In realtà il c.p.p. prevede che non si
sospendano i due processi, ma che proseguano parallelamente, con un’eccezione: il processo civile in
cui sono fatti valere diritti restitutori o risarcitori è sospeso in attesa dell’esito del processo penale in due
ipotesi:
- Se si è avuta costituzione di parte civile in sede penale e successivamente tale costituzione è stata
volontariamente revocata
- Quando la domanda in sede civile è stata proposta dopo l’emanazione della sentenza penale di
primo grado.
Vediamo ora come si verifica la sospensione e che effetti produce. Distinguiamo tra:
o Sospensione legale: il processo si arresta automaticamente al verificarsi della fattispecie prevista dalla
legge. Se il giudice non sospende il processo quando si verificano i presupposti, tutti gli atti compiuti
successivamente sono automaticamente nulli. Si ha a seguito:
 Della proposizione del regolamento di competenza
 Della rimessione alla Corte Costituzionale
 Della rimessione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea
o Sospensione giudiziale: il processo si arresta in virtù del provvedimento del giudice con cui dispone la
sospensione del processo. Se il giudice non sospende il processo, gli atti compiuti restano validi.
All’interno di questa ipotesi distinguiamo:
 Ipotesi di sospensione a presupposti vincolati
 Ipotesi di sospensione che comportano una valutazione di opportunità da parte del giudice
La rilevazione della fattispecie sospensiva, ovvero dei presupposti in presenza dei quali il giudice deve
emettere provvedimento di sospensione, avviene anche d’ufficio senza necessità di istanza di parte, Non
hanno effetto eventuali accordi tra le parti per evitare la sospensione.
Il provvedimento di sospensione è un’ordinanza del g.i. o del collegio, a seconda che la causa sia affidata o
meno al collegio. Avendo forma di ordinanza il provvedimento non definisce il giudizio. L’ordinanza è
impugnabile con regolamento di competenza: la Corte di Cassazione controllerà la sussistenza della
fattispecie sospensiva e, nel caso, farà ripartire il processo erroneamente sospeso.
Gli effetti della sospensione sono previsti dall’art. 298 II comma c.p.c.: la sospensione interrompe i termini
in corso, i quali ricominciano a decorrer ex novo dalla ripresa del processo. Durante la sospensione non
possono essere compiuti atti del processo: gli atti compiuti dopo il provvedimento di sospensione, se
sospensione giudiziale, o dopo il maturarsi della fattispecie sospensiva, se sospensione legale, sono nulli. Vi
sono però due eccezioni:
 Tutela cautelare ex art. 669 quater II comma c.p.c
 Regolamento di competenza: il giudice può autorizzare il compimento di atti urgenti
La riassunzione del processo sospeso deve avvenire nel termine perentorio di tre mesi dal passaggio in
giudicato della sentenza sulla questione pregiudiziale o dalla cessazione dell’impedimento previsto.
Se il processo non viene riassunto nel termine previsto, il processo si estingue.

C) INTERRUZIONE  E’ un arresto temporaneo del processo determinato dalla necessità di assicurare


l’effettività del contraddittorio, a seguito di eventi che abbiano menomato l’attiva partecipazione al processo
delle parti o dei loro rappresentanti legali o dei loro procuratori in giudizio.
Le ipotesi sono previste dall’art. 299 c.p.c.:
 Morte della parte fisica o estinzione personalità giuridica
 Morte del rappresentante legale
 Perdita di capacità della parte (es per interdizione)
 Perdita di capacità del rappresentante legale
 Cessazione della rappresentanza legale
Dobbiamo distinguere a seconda del momento in cui si verificano tali eventi.
o Gli eventi si verificano prima della proposizione della domanda giudiziale => non si ha interruzione in
quanto il processo non è ancora iniziato.
 Se la parte destinataria degli effetti degli atti processuali viene meno prima della proposizione della
domanda giudiziale abbiamo un processo inesistente che non può in alcun modo essere sanato

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 Se la parte perde la capacità oppure gli eventi in questione colpiscono il rappresentante legale,
allora il giudice riscontra un difetto di rappresentanza e dà un termine per sanare il vizio
o Gli eventi si verificano dopo la proposizione della domanda giudiziale ma prima della costituzione in
giudizio => ex art. 299 c.p.c. abbiamo interruzione automatica del processo, senza bisogno del
provvedimento del giudice. Il processo potrà essere proseguito con costituzione volontaria di coloro che
subentrano nel processo al posto di colui nei cui confronti si è verificato l’effetto interruttivo. Se non
avviene la costituzione, il processo dovrà essere riassunto dalla controparte.
o Gli eventi si verificano tra la costituzione delle parti e l’udienza di discussione della causa.
Distinguiamo tre ipotesi:
 Il fenomeno interruttivo riguarda un soggetto che si è costituito in giudizio mediante un
rappresentante tecnico => l’interruzione non si verifica automaticamente al verificarsi del fenomeno
interruttivo, ma quando il procuratore della parte lo dichiara in udienza o notifica l’avverarsi di tale
evento alle altre parti. Non vi è quindi alcuna invalidità del processo, se il difensore della parte,
colpita dall’evento, non la dichiara.
 La parte è costituita personalmente e non mediante difensore tecnico => l’interruzione avviene
automaticamente al verificarsi dell’evento
 L’evento interruttivo colpisce il contumace => il processo è interrotto dal momento in cui tale evento
è documentato dalla controparte, oppure è notificato, oppure è attestato dall’ufficiale giudiziario in
occasione della notificazione di uno degli atti da notificare al contumace
o L’evento interruttivo si verifica dopo l’ultimo momento utile per il compimento di atti di parte => non si
ha alcun effetto, in quanto da un certo momento in poi della fase decisoria, l’unico soggetto a compiere
atti del processo è il giudice
Per quanto riguarda gli eventi che riguardano il difensore, sono interruttivi la morte e la perdita di potere di
stare in giudizio in nome e per conto della parte, a causa della radiazione o sospensione dall’albo (ius
postulandi): essi producono interruzione automatica, e gli atti compiuti dopo sono nulli; se si verificano
dopo la chiusura della discussione sono irrilevanti. Non sono interruttivi, ex art. 301:
 Revoca della procura da parte del cliente
 Rinuncia del mandato da parte del difensore
 La cancellazione volontaria dell’avvocato dall’albo
Due sono i meccanismi di ripresa del processo dopo che si è avuta interruzione:
 Prosecuzione: si verifica quando l’iniziativa è presa dalla parte, in relazione alla quale si è verificato
l’evento interruttivo, mediante costituzione volontaria della parte stessa.
 Riassunzione: l’iniziativa di rimettere in moto il processo è presa dalla controparte, mediante un atto di
riassunzione che contenga la vocatio in ius del soggetto. Se in conseguenza dell’evento interruttivo si è
prodotto anche il venir meno della parte destinataria degli effetti degli atti processuali, abbiamo anche
una successione nel processo
Per individuare i soggetti che debbono costituirsi per proseguire il processo, oppure nei confronti dei quali il
processo deve essere riassunto, occorre distinguere a seconda dei vari eventi interruttivi:
 Se evento interruttivo è morte persona fisica o estinzione persona giuridica, il processo è proseguito da o
riassunto nei confronti del successore universale, ex art. 110 c.p.c., che diventerà parte processuale.
 Se effetto interruttivo è perdita di capacità della parte la prosecuzione o riassunzione sono effettuate
rispettivamente da parte o nei confronti del rappresentante legale
 In caso di acquisto della capacità la prosecuzione o la riassunzione sono fatte da e nei confronti del
soggetto che ha acquistato la capacità
 In caso di mutamento del rappresentante legale il processo va proseguito o riassunto da o nei confronti
del nuovo rappresentante
 In caso di morte o perdita dello ius postulandi del difensore la prosecuzione avviene con nomina di un
nuovo rappresentante, l’atto di riassunzione invece va notificato alla parte personalmente.
Se il processo non viene tempestivamente riassunto o proseguito, entro il termine perentorio di 3 mesi che
decorrono dall’interruzione, si ha l’estinzione. Specifichiamo però l’inizio termine di decorrenza:
 In caso di interruzione automatica il termine decorre dalla conoscenza dell’effetto interruttivo
 In caso di interruzione certificata o dichiarata dall’ufficiale giudiziario, il termine decorre dalla
certificazione o dichiarazione

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D) ESTINZIONE  E’ la cessazione anticipata del processo per causa che impedisce la sua prosecuzione.
Distinguiamo due casi:
1) Rinuncia agli atti del giudizio: si rinuncia all’attività compiuta in quel processo e quindi anche alla
richiesta di tutela giurisdizionale. Ha effetti esclusivamente processuali: la domanda può essere
riproposta.
La rinuncia deve necessariamente provenire da chi ha proposto la domanda, personalmente o per mezzo
di procuratore speciale, o con una dichiarazione in udienza o con atto notificato alle altre parti, e deve
essere accettata dalle parti costituite che hanno interesse alla prosecuzione del processo.
Se il convenuto ha proposto domande riconvenzionali, è necessario che anche lui rinunci agli atti del
processo, e che l’attore accetti.
Se il processo ha una pluralità di parti, se si tratta di litisconsorzio necessario, l’accettazione deve
provenire da tutti, ma se si tratta di litisconsorzio facoltativo semplice oppure unitario, la rinuncia agli
atti provoca solo l’estinzione di quelle cause per cui si è avuta rinuncia ed accettazione.
Se si è avuto un intervento, la rinuncia deve provenire o essere accettata anche da coloro che abbiano
fatto intervento principale; non è invece necessaria l’accettazione di chi abbia proposto intervento
adesivo dipendente.
In caso al processo partecipi il PM, se si tratta di cause proposte o proponibili da PM, è necessaria la sua
accettazione, se si tratta di cause a cui il PM può solo partecipare ma non proporre, non c’è bisogno della
sua accettazione.
L’estinzione è dichiarata con ordinanza se tra le parti non sorgono contestazioni in ordine all’estinzione
del processo, ad opera del g.i. o del collegio; è dichiarata invece con sentenza quando le parti
controvertono.
2) Inattività delle parti: distinguiamo tra:
o Inattività semplice, disciplinata dall’art. 307 I e II comma c.p.c. Si ha estinzione per mancato
compimento degli atti di impulso processuali. Varie fattispecie:
- Il giudice ha ordinato cancellazione della causa del ruolo, alla quale segue una quiescenza della
causa di tre mesi, entro cui la causa può essere riassunta, pena l’estinzione.
- Nessuna delle parti si è costituita, quindi non si ha iscrizione a ruolo. Si ha quiescenza del
processo di 3 mesi
- Casi di estinzione immediata senza quiescenza (assenza attore con convenuto che tace entrambe le
volte; contumacia attore che tace; cancellazione causa dal ruolo che prima volta comporta
quiescenza, poi estinzione immediata)
- Nessuna parte si presenta ad udienza successiva alla prima, viene quindi fissata ulteriore udienza e
se le parti non compaiono si ha estinzione processo
In questi casi l’alternativa all’estinzione è la pronuncia di merito
o Inattività qualificata, disciplinata dall’art. 307 III comma c.p.c. Si ha estinzione per mancata sanatoria
dei vizi di presupposti processuali, quando “le parti, alle quali spettava di rinnovare la citazione o di
proseguire il processo, riassumere o reintegrare il giudizio, non vi abbiano provveduto entro il termine
perentorio stabilito dalla legge, o dal giudice che dalla legge sia autorizzato a fissarlo”. In tal caso si
ha estinzione immediata senza quiescenza.
Ex art. 307 IV comma c.p.c. l’estinzione opera di diritto ed è dichiarata dal giudice anche d’ufficio, e può
essere rilevata in ogni stato e grado del processo. Può essere eccepita anche dalla parte interessata, mentre
fino alla riforma del 2009 l’estinzione poteva essere dichiarata solo su eccezione di parte proposta prima di
ogni altra difesa (molto importante era quindi la distinzione inattività semplice-inattività qualificata, che
oggi perde di valore).
Una volta rilevata o eccepita l’estinzione, il giudice, se ritiene matura la fattispecie estintiva, dichiara estinto
il processo, con effetto retroattivo al momento della maturazione della fattispecie estintiva.
L’estinzione può essere dichiarata con due modalità diverse, a seconda che la causa sia di:
 Decisione collegiale. Distinguiamo due ipotesi temporali:
 L’estinzione è eccepita in fase decisoria: il collegio provvede sempre con sentenza, tranne nel caso in
cui rigetti l’estinzione o non pronunci sentenza, ma solo un’ordinanza istruttoria, nel qual caso
provvedere pure alla decisione dell’eccezione di estinzione con ordinanza. La sentenza è impugnabile
in appello e in Cassazione.

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 L’estinzione è eccepita in fase di trattazione: sull’eccezione pronuncia il g.i. con ordinanza. Se


eccezione è rigettata da g.i., estinzione non è reclamabile immediatamente al collegio, ma la parte
può riproporla con la precisazione delle conclusioni. Anche l’accoglimento dell’eccezione è preso
con ordinanza: contro di essa, però, chiudendo il processo, deve essere previsto uno strumento di
controllo. L’ordinanza è immediatamente reclamabile in collegio, il quale decide con: ordinanza non
impugnabile se accoglie il reclamo ritenendo che non ci sia stata estinzione, e quindi permettendo la
riproposizione dell’eccezione alla precisazione delle conclusioni; se invece il collegio rigetta il
reclamo si pronuncia con sentenza in camera di consiglio, in quanto si definisce il processo, contro la
quale sono possibili i soliti mezzi di impugnazione.
 Decisione del giudice monocratico (g.i. e giudice pace). L’eccezione è decisa con ordinanza se rigettata:
la questione è riproponibile con la precisazione delle conclusioni; l’eccezione è invece decisa con
sentenza se viene accolta.
Per quanto riguarda gli effetti, l’art. 310 c.p.c. dispone che“l’estinzione del processo non estingue l’azione”:
la domanda potrà quindi essere riproposta. L’estinzione rende inefficace gli atti compiuti, tranne due
eccezioni:
 Mantengono effetti le sentenze non definitive di merito pronunciate nel corso del processo
 Prove raccolte, che saranno valutate dal giudice come argomenti di prova. Naturalmente non parliamo di
prove precostituite come i documenti, ma di prove costituite liberamente valutabili (es prove
testimoniali) raccolte nel processo estinto. Le prove legali rimangono legali. Per la Corte di Cassazione,
l’utilizzazione delle prove raccolte nel processo estinto è subordinata all’istanza di parte: il giudice non
può acquisirle d’ufficio.

PROCEDIMENTO INNANZI AL GIUDICE DI PACE

Il giudice di pace viene istituito dalla L. 468/1999 in sostituzione del giudice conciliatore.
Il giudice di pace è un giudice onorario, che ha da 30 a 60 anni (se avvocati o notai no minimo di età).
L’art. 311 rinvia alle regole valide per il processo dinanzi al tribunale con due limiti:
 Non si applicano le norme del processo dinanzi al tribunale che siano espressamente derogate dagli artt. 316
e seg.
 Non si applicano norme processo tribunale se incompatibili
Il processo dinanzi al gdp presenta alcune semplificazioni rispetto a quello del tribunale monocratico:
 Sia la domanda che la difesa del convenuto, che può anche contenere una domanda riconvenzionale o la
chiamata in causa di un terzo, possono essere orali. In tal caso spetta al gdp redigere il verbale contenente la
domanda o le difese del convenuto
 La domanda ha lo stesso contenuto, ma i termini a difesa sono dimezzati (45gg se notificata in Italia, 75 gg
se notificata all’estero), e deve contenere solo l’indicazione del giudice, delle parti e dell’oggetto, e
l’esposizione dei fatti (quindi non è necessaria l’esposizione dei motivi in diritto né l’indicazione delle
prove)
 Le parti possono stare in giudizio senza un difensore per le cause di valore non superiore a 516,46 euro o se
sono autorizzate dal giudice. Possono inoltre costituirsi direttamente all’udienza, quindi non si verifica
alcuna decadenza per il convenuto fino alla prima udienza del processo.
 Si può avere la fissazione di una seconda udienza solo quando nella prima si sono avute novità in punto di
domande e/o di allegazione di fatti e/o di attività istruttoria
 La discussione della causa avviene in forma orale, ma può avvenire anche in forma scritta con deposito delle
difese scritte
 La sentenza è sempre in forma scritta, ma deve essere depositata in cancelleria entro 15 gg.

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L’IMPUGNAZIONE

E’ lo strumento posto a disposizione delle parti per richiedere la rimozione di un atto ad esse pregiudizievoli, o
per ottenere il controllo della sentenza.
L’art. 323 c.p.c. contiene un elenco tassativo dei mezzi di impugnazione:
 Regolamento di competenza
 Appello
 Ricorso per cassazione
 Revocazione
 Opposizione di terzo.
I mezzi di impugnazione si distinguono in:
 Ordinari: sono quelli proponibili contro una sentenza non ancora passata in giudicato. Riguardano i vizi
palesi. Lo sono il regolamento di competenza, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione ordinaria.
La domanda non è soggetta a trascrizione.
 Straordinari: sono quelli proponibili anche contro sentenze che la legge considera non più soggette a
controllo o riesame. Riguardano vizi occulti. Lo sono la revocazione straordinaria e l’opposizione di terzo.
La domanda si propone al giudice che ha emesso la sentenza, il processo si svolge con le stesse modalità con
cui si è svolto quello precedente, la pronuncia sarà impugnabile con gli stessi mezzi di quella pronunciata ed
impugnata => in caso di mezzi di impugnazione straordinaria, si può avere riproposizione della domanda
dinanzi allo stesso giudice. La domanda è soggetta a trascrizione in quanto produce nuovi effetti sostanziali
 Devolutivi o sostituivi: sono proponibili per il solo fatto che la parte soccombente afferma che la sentenza
sia per qualsiasi motivo difettosa o ingiusta e chiede che la lite sia decisa di nuovo. Provocano quindi un
nuovo esame della controversia, sicchè la nuova sentenza sostituisce in ogni caso la sentenza impugnata.
Tali impugnazioni sono qualificate come “mezzi di gravame”

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 Rescindenti: presuppongono la denuncia di vizi specifici della sentenza e portano ad una nuova decisione
solo se i vizi affermati sussistono. In caso affermativo la sentenza viene annullata, e dovrà essere
pronunciata una nuova sentenza sostitutiva nei termini previsti. Lo sono ricorso per cassazione, revocazione
ed opposizione di terzo revocatoria.
Oggetto dell’impugnazione sono le sentenze; l’art. 111 Cost. ha sancito anche la ricorribilità per Cassazione di
tutti i provvedimenti a carattere decisorio, anche se non sentenze.
I mezzi di impugnazione sono proponibili:
 Dalla parte: tutti tranne opposizione di terzo
 Dal terzo: opposizione di terzo
In certi casi i mezzi della parte sono utilizzabili anche dal terzo:
 Successione nel processo: l’impugnazione può essere proposta dal successore universale
 Successione nel diritto controverso: l’impugnazione può essere proposta dal successore nel diritto
controverso
 Il processo è condotto dal legittimato straordinario senza la presenza del legittimato ordinario: il titolare del
rapporto dedotto in giudizio è parte in senso sostanziale
 Impugnazione della sentenza in via surrogatoria da parte del creditore del soccombente
I presupposti per impugnare sono:
 Interesse ad impugnare. La sentenza di impugnazione deve dare tutela maggiore della sentenza impugnata.
Per sapere se una parte ha interesse ad impugnare occorre mettere a confronto la sentenza che si vuole
impugnare e la domanda di impugnazione: se l’accoglimento della domanda di impugnazione dà alla parte
maggiore tutela di quella che gli dà la sentenza impugnata allora vi è interesse
 Legittimazione ad impugnare. Presuppone la soccombenza: con il provvedimento che si vuole impugnare si
è ottenuta una tutela inferiore a quella richiesta nella precisazione delle conclusioni. Si deve quindi mettere a
confronto ciò che la parte ha chiesto nell’udienza di precisazione delle conclusioni, da ciò che gli ha dato la
sentenza: se la sentenza gli ha dato una tutela equivalente a quella richiesta la parte non è soccombente e
quindi non può impugnare.
Vediamo le ipotesi in cui la parte non è da considerarsi soccombente e quindi legittimata ad impugnare:
 Casi in cui una sola situazione sostanziale sia dedotta nel processo che ha partorito la sentenza.
 Il convenuto si è difeso soltanto in rito, ed il giudice ha rigettato la domanda dell’attore in merito =>
il convenuto non ha interesse ad impugnare, perché la vittoria nel merito gli dà tutela superiore a
quella che aveva chiesto
 Il convenuto si è difeso sia in rito che in merito, e il giudice rigetta la domanda nel merito => il
convenuto non ha interesse ad impugnare perché ha cmq ottenuto la tutela superiore con
accoglimento della domanda in rito
 Il convenuto si è difeso sia in rito che in merito, e il giudice rigetta la domanda in rito => il
convenuto non può impugnare la sentenza che accolga l’eccezione di rito. Per ottenere un esame
delle questioni di merito, il convenuto deve rinunciare a far valere quelle di rito. Il convenuto nei
cui confronti è instaurato un processo viziato relativamente ad un presupposto processuale, deve
scegliere tra due strategie:
 Punta direttamente al rigetto nel merito, senza sollevare questioni di rito
 Si difende nel rito, sapendo però che non potrà lamentarsi se il giudice accoglie la difesa di rito
 Il convenuto si è difeso nel merito ed il giudice rigetta la domanda in rito rilevando d’ufficio una
questione processuale => il convenuto ha interesse ad impugnare perchè ciò che chiede al giudice
ha tutela superiore
 Il convenuto si difende facendo valere più eccezioni di rito ed il giudice ne accoglie una e rigetta o
assorbe le altre => il convenuto non ha interesse ad impugnare perché il rigetto in rito è sempre
uguale indipendente dal difetto del processo su cui si fonda la decisione
 Il convenuto si è difeso solo in merito allegando ad es. la carenza di alcuni fatti costitutivi e/o la
presenza di alcuni fatti impeditivi o estintivi, ed il giudice rigetta la domanda accogliendo una delle
difese del convenuto e rigettando o assorbendo le altre => il convenuto non ha motivo di
impugnare.
L’impossibilità di proporre impugnazione principale non esclude di impugnare incidentalmente.

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Si parla di “soccombenza virtuale” quando non vi è soccombenza effettiva, perché la parte vittoriosa
ottiene una tutela equivalente o maggiore a quella richiesta: non comporta impugnazione principale ma
incidentale.
Si ha “soccombenza parziale reciproca” quando il giudice abbia accolto solo in parte la domanda, e
correlativamente abbia accolto solo in parte le difese del convenuto: essendo soccombenza effettiva
legittima ciascuna parte a prendere l’iniziativa di impugnare.
 Ipotesi in cui nel processo che ha partorito la sentenza vi sono più domande cumulate, in quanto più
diritti sono dedotti in giudizio: una sentenza con cumulo oggettivo, anche se unica, sostanzialmente si
scinde in tante sentenze, ciascuna delle quali decide di una domanda, e quindi in relazione a ciascuna di
esse si deve ripetere l’esame fatto per il processo con un solo oggetto.
I termini per l’impugnazione sono di due tipi:
 Breve (artt. 325-326): 30 gg. E’ apposto per regolamento di competenza, appello, revocazione ed
opposizione di terzo. Per ricorso in cassazione è di 60 gg. Per opposizione di terzo ordinaria non è previsto
alcun termine
La decorrenza dei termini è disciplinata dall’art. 326 c.p.c. Distinguiamo:
 Decorrenza dalla notificazione della sentenza: l’unica idonea per la decorrenza è quella effettuata al
difensore della parte e non quella alla parte personalmente, tranne nel caso in cui non vi è stata
costituzione in giudizio a mezzo di difensore (parte contumace, costituita in giudizio di persona, si è
difesa senza rappresentante tecnico). La notificazione della sentenza fa decorrere il termine breve sia per
chi la riceve sia per chi la effettua. I termini brevi possono essere interrotti nei casi previsti dall’art. 299
c.p.c. (morte o perdita capacità prima della costituzione): possono essere rinnovati con nuova
notificazione.
 Decorrenza dalla comunicazione della sentenza
 Decorrenza dalla conoscenza dei vizi occulti. Si rivolge ai mezzi di impugnazione straordinaria: la parte
che quindi propone impugnazione straordinaria, deve dimostrare non solo l’esistenza del motivo di
impugnazione, ma anche il giorno in cui ne è venuta a conoscenza.
 Lungo (art. 327): 6 mesi. Vale solo per le impugnazioni ordinarie. Vi è un’eccezione: art. 327 II comma
c.p.c. prevede che il termine lungo non decorre nei confronti della parte contumace, che dimostri di non
avere avuto conoscenza del processo per la nullità della citazione o per la nullità della notificazione della
citazione, e per la nullità della notificazione degli atti.
L’acquiescenza si ha quando colui che è nelle condizioni di impugnare ha tenuto un comportamento univoco
incompatibile con la volontà di impugnare, perdendo quindi la perdita del potere di impugnare. Si distingue in
due categorie:
 Acquiescenza Volontaria: perché si verifichi acquiescenza è necessaria la volontà della parte di accettare la
sentenza. Può essere espressa (quando si ha manifestazione espressa di accettare la sentenza o di rinunciare
all’impugnazione) o tacita (quando la parte pone in essere atti incompatibili con la volontà di avvalersi delle
impugnazioni ammesse dalla legge). Si tratta quindi di un negozio processuale. Non è ammissibile una
acquiescenza preventiva: l’acquiescenza è possibile solo quando il potere di impugnare è sorto => non si può
avere acquiescenza di impugnazioni straordinarie, se non dopo che si siano verificati i presupposti per
esercitarla; inoltre l’acquiescenza non è possibile prima della pubblicazione della sentenza, perché fino a
quel momento non esiste il potere di impugnare.
 Acquiescenza legale (o tacita qualificata): non è un negozio processuale ma un atto giuridico in senso stretto.
Rilevante è solo la volontarietà del comportamento e non anche la volontà degli effetti. Es di fattispecie: la
parte soccombente ad es su due capi di sentenza in un processo cumulato, impugna la sentenza solo con
riferimento ad un capo, con riferimento all’altro si crea acquiescenza.

Nel caso in cui più soggetti hanno preso parte al processo di primo grado, abbiamo due discipline processuali:
 Art. 331 c.p.c., Unicità della decisione: quando si tratta di causa inscindibile o di cause dipendenti,
l’impugnazione deve essere proposta nei confronti di tutte le parti, e quindi l’impugnazione deve investire
tutto quanto deciso nella precedente fase => la regola è: l’impugnazione deve essere proposta ab origine nei
confronti di tutti; se l’impugnante non adempie a tale obbligo primario, il giudice ordina l’integrazione del
contraddittorio. La fonte della disciplina della causa inscindibile o delle cause tra loro dipendenti sarà
unicamente la sentenza emessa in sede di impugnazione, che si sovrapporrà alla sentenza di primo grado. Se
nessuno provvede ad integrare il contraddittorio l’impugnazione è dichiarata inammissibile.

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Quindi tale disciplina sarà applicata nelle cause:


- Inscindibili  si è avuta una pluralità di parti intorno ad un unico oggetto del processo (litisconsorzio
necessario, litisconsorzio unitario, intervento adesivo dipendente, successione nel diritto controverso
quando l’avente causa è intervenuto o è stato chiamato a partecipare al processo). E’ irrilevante chi
vince o perde nel giudizio di primo grado, chi impugna e cosa chiede nell’impugnazione: quando viene
impugnata dal soccombente, chiunque sia, la sentenza che decide una causa inscindibile, si verifica la
pluralità di parti in sede di impugnazione.
- Dipendenti  si è avuta una pluralità di parti intorno a più oggetti del processo. Qui è importante la
decisione che è stata presa con la sentenza e la richiesta di impugnazione. Il criterio da applicare è il
seguente: ove l’accoglimento, da parte del giudice di impugnazione, della richiesta formulata con la
domanda di impugnazione rispetto ad una delle cause connesse è compatibile con il permanere, rispetto
all’altra causa connessa, della disciplina della sentenza impugnata, allora applicheremo la norma delle
cause scindibili dell’art. 332; ove vi sia incompatibilità, applicheremo la normativa sulle cause
dipendenti dell’art. 331. Si applica tale disciplina al processo cumulato quando la decisione dell’una
causa sia stata presa tenendo conto di ciò che è stato deciso dell’altra causa.
 Art. 332 c.p.c. Unitarietà del processo: se la sentenza non è stata impugnata nei confronti di tutti, il giudice ne
ordina la notificazione alle altre parti. Il dovere primario è quindi quello di notificare l’impugnazione alle
parti => non è necessario portare di fronte al giudice dell’impugnazione il rapporto che fa capo alle altre
parti, ma basta semplicemente avvertire le altre parti che è stata proposta impugnazione su un capo della
sentenza diverso da quello che le riguarda. Se l’impugnante non adempie tale obbligo, il giudice ordina la
notificazione dell’impugnazione. Inoltre, a differenza della disciplina dell’art. 331 che richiede
l’impugnazione nei confronti di tutte le parti della causa inscindibile o cause tra loro dipendenti, l’art. 332
vuole che la notificazione dell’impugnazione avvenga nei confronti di solo coloro per cui l’impugnazione
stessa non è preclusa o esclusa, ovvero delle parti soccombenti (è esclusa per i non soccombenti, è preclusa
per coloro che potevano impugnare e non hanno impugnato nei termini o hanno fatto acquiescenza). Si rende
quindi possibile l’applicazione dell’impugnazione incidentale. Le cause cumulate ricadono in questa
disciplina quando la causa che ha ad oggetto il diritto connesso, è decisa sulla base di elementi suoi propri,
ma se il diritto connesso non è dedotto in giudizio, ed il suo titolare partecipa al processo in via adesiva, il
diritto non è esaminato, e quindi non può neppure essere deciso sulla base di elementi suoi propri. Capiamo
quindi come tale disciplina si applicherà sempre al litisconsorzio facoltativo semplice.

Impugnazioni Incidentali
Sono quelle di coloro che sono già coinvolti dall’impugnazione principale, che anziché limitarsi a chiedere la
conferma della sentenza, ne domandano la riforma per propri interessi.
Il presupposto è che vi sia una pluralità di soccombenti: non si può avere se il soccombente è uno solo.
Lo scopo è mantenere l’unitarietà del processo di impugnazione: una volta proposta la prima impugnazione
(principale), gli altri soggetti soccombenti che vogliono impugnare, debbono utilizzare la forma incidentale, ed
inserire la loro impugnazione all’interno del processo già aperto dalla prima impugnazione; non possono
proporre un autonomo atto di impugnazione.
L’obbligo di impugnazione incidentale scatta solo quando il soccombente sia venuto a conoscenza
dell’impugnazione principale.
L’impugnazione incidentale non è secondaria rispetto alla principale, ma solo quella successiva nel tempo;
inoltre non è dipendente dalla decisione della principale: se per qualsiasi motivo, l’impugnazione principale non
può essere esaminata, di norma ciò non incide sulla possibilità che sia esaminata l’impugnazione incidentale.
Poiché l’impugnazione incidentale si inserisce in un processo già aperto con l’atto di impugnazione principale,
essa deve essere contenuta nell’atto di difesa (che in appello è la comparsa di risposta da depositare in cancelleria
almeno 20 gg prima dell’udienza di comparizione, in ricorso per Cassazione è il controricorso che va notificato
entro 40 gg dalla notificazione del ricorso principale) che l’impugnato può compiere verso l’impugnazione
principale: è quindi inammissibile l’impugnazione incidentale proposta dopo il termine ultimo per il compimento
dell’atto difensivo.
Vi sono due casi in cui l’obbligo di impugnazione incidentale non scatta, e quindi si possono avere più
impugnazioni principali:
- Quando due impugnazioni principali si incrociano tra loro, in quanto proposte contemporaneamente.

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- Quando le parti, per cui è esclusa o preclusa l’impugnazione, non ricevono la notificazione
dell’impugnazione: il giudice dilaziona quindi la trattazione del processo in attesa che, per le parti
soccombenti, si verifichi il fenomeno preclusivo della scadenza del termine
In questi casi è previsto dall’art 335 c.p.c. un meccanismo di recupero, che consiste nella riunione delle
impugnazioni separate. L’articolo stabilisce che le parti, che hanno ricevuto la notificazione di
un’impugnazione, devono proporre a pena di decadenza le loro impugnazioni in forma incidentale nello stesso
processo.
L’art. 334 disciplina le cd impugnazioni incidentali tardive: le parti possono impugnare in via incidentale tardiva
anche se nei loro confronti la sentenza è divenuta definitiva. Ratio: consentire a chi non può impugnare la
sentenza (perché soccombente solo virtuale, perché ha prestato acquiescenza, perché ha fatto decorrere i termini
per l’impugnazione) di proporre a sua volta impugnazione, nel caso in cui l’iniziativa di impugnare sia presa da
altri. L’impugnazione incidentale può investire anche una sentenza non definitiva, e allora dobbiamo
distinguere:
- Convenuto soccombente sia su definitiva che su non definitiva: egli è l’unico che può impugnare, ed
ovviamente deve impugnare sia la non definitiva che la definitiva, altrimenti ex art. 329 II comma c.p.c.
(acquiescenza tacita qualificata), l’impugnazione di una di esse fa passare in giudicato l’altra. Naturalmente,
la non definitiva è impugnabile solo se, a suo tempo, è stata efficacemente riservata, altrimenti il
soccombente su ambedue può impugnare solo la definitiva, in quanto sulla questione decisa dalla non
definitiva si è formato il giudicato.
- Convenuto è soccombente sulla non definitiva e vittorioso sulla definitiva: egli non può impugnare in via
principale la non definitiva, perché è soccombente solo virtuale, quindi se vuole reinvestire il giudice
dell’impugnazione della cognizione della questione decisa con la non definitiva deve impugnare in via
incidentale la non definitiva. E siccome l’impugnazione incidentale tardiva è possibile anche nei confronti di
sentenze passate in giudicato, si conferma che la riserva di impugnazione è utile solo se la parte
soccombente sulla non definitiva è soccombente anche sulla definitiva.
L’impugnazione incidentale tardiva è possibile anche quando una parte è soccombente rispetto ad una domanda,
e l’altra è soccombente rispetto ad un’altra domanda. Essa è in qualche modo legata all’impugnazione principale,
in quanto la parte impugna in via incidentale tardiva perché ed in quanto la controparte ha impugnato in via
principale. E’ logico quindi che la decisione dell’impugnazione incidentale tardiva sia subordinata
all’ammissibilità dell’impugnazione principale: se quest’ultima non è ammissibile, e quindi la domanda di
impugnazione non può essere decisa, rimane ferma la sentenza impugnata, e non si ha alcun motivo di coltivare
l’impugnazione incidentale tardiva perché la sentenza che rimane ferma non era impugnabile da lui se
soccombente virtuale, o non è stata da lui impugnata se soccombente effettivo.
L’impugnazione incidentale tardiva è diversa rispetto all’impugnazione inammissibile per decorrenza dei
termini: la prima si ha quando, nel momento in cui essa è proposta sono già decorsi i termini per impugnare in
via principale o si è fatta acquiescenza; l’impugnazione è invece tempestiva se, in quel momento, non è stata
fatta acquiescenza e non sono decorsi i termini per impugnare in via principale.
L’impugnazione incidentale, tardiva o tempestiva, è inammissibile se l’atto in cui è contenuta, è compiuto in un
momento successivo alla scadenza del termine previsto per la proposizione dell’impugnazione incidentale, quindi
se la comparsa di costituzione è deposita meno di 20 gg prima dell’udienza di comparizione per l’appello, e se il
controricorso è notificato dopo 40 gg da quando è stato notificato il ricorso principale per il ricorso in cassazione.

Inammissibilità, Improcedibilità ed estinzione nei processi di impugnazione


Le prime due sono istituti peculiari di tutti i mezzi di impugnazione, l’estinzione solo di alcuni di essi.
 Inammissibilità  E’ un istituto non disciplinato in generale, ma singolarmente in relazione ai singoli mezzi
di impugnazione. Se ne parla in cinque norme:
- Art. 331 c.p.c. in tema di cause inscindibili o tra loro dipendenti: se nessuno provvede all’integrazione
del contraddittorio l’impugnazione è dichiarata inammissibile.
- Art. 360 bis c.p.c. in tema di ricorso per cassazione: il ricorso è inammissibile se il provvedimento
impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, e il
ricorrente non fornisce elementi tali da convincere la Corte a riaffrontare tali questioni, oppure se è
manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo
- Art. 365 c.p.c. in tema di ricorso per cassazione: il ricorso deve essere sottoscritto da un avvocato
iscritto nell’apposito albo e munito di procura speciale, altrimenti è inammissibile

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- Art. 366 c.p.c. in tema di ricorso per cassazione: il ricorso deve contenere, pena l’inammissibilità, gli
elementi indicati nella norma
- Art. 398 c.p.c. in tema di revocazione: la citazione deve indicare, pena l’inammissibilità, il motivo della
revocazione e le prove relative alla dimostrazione dei fatti di cui ai numeri 1-2-3-6 art. 395 c.p.c.,
ovvero del giorno della scoperta o dell’accertamento del dolo della parte o del giudice e falsità, o del
recupero dei documenti
Da queste norme capiamo come l’inammissibilità riguarda un vizio dell’atto introduttivo dell’impugnazione:
 Insanabile. Due ipotesi:
- Impugnazione proposta fuori termine: è inammissibile perché l’atto di impugnazione è viziato in
quanto proposto da chi non aveva più il potere di proporlo
- Proposizione di mezzo di impugnazione errato: è inammissibile l’atto introduttivo per carenza di
presupposti
 sanabile all’origine ma in concreto non sanato. Due ipotesi:
- se l’impugnazione è proposta al giudice incompetente, il giudice adito dichiara la sua incompetenza
e dà un termine per la riassunzione davanti al giudice competente: se l’impugnazione non è
tempestivamente riassunta, essa diviene inammissibile
- se è nulla la citazione in appello o la sua notificazione, il giudice dà un termine per rinnovare l’atto:
se l’atto non è rinnovato, la nullità diviene insanata, e conduce all’inammissibilità
dell’impugnazione.
 Improcedibilità  Non definita in via generale. E’ prevista in tre norme:
- Art. 348 c.p.c. in tema di appello. Si ha improcedibilità quando:
- L’appellante non si costituisce nei termini
- Se l’appellante costituito non compare in prima udienza davanti al collegio, questo fissa una
seconda udienza, e se anche in tale udienza l’appellante non compare, l’appello è dichiarato
improcedibile
- Art. 369 c.p.c. in tema di ricorso in Cassazione: il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della
Corte entro 20 gg dalla sua notificazione, insieme a decreto di concessione del gratuito patrocinio, copia
autentica della sentenza o dei provvedimenti impugnati, procura speciale, atti processuali documenti
contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda, pena l’improcedibilità
- Art. 399 c.p.c. in tema di revocazione: l’atto introduttivo deve esser depositato entro 20 gg dalla
notificazione, insieme a copia autentica della sentenza impugnata.
Da queste norme ricaviamo come l’improcedibilità sanziona l’inattività dell’impugnante. Ma l’elenco è
tassativo: essendo anche l’estinzione sanzionante dell’inattività dell’impugnante, e non essendoci un fattore
che discrimini l’uno o l’altro istituto, bisogna attenersi agli elenchi tassativi del legislatore.

Gli effetti dell’inammissibilità e dell’improcedibilità sono previsti dagli artt. 358 e 387 c.p.c., che contengono la
stessa disposizione: l’appello o il Ricorso per Cassazione dichiarato inammissibile o improcedibile non può
essere riproposto, anche se non è decorso il termine fissato dalla legge. L’impossibilità di riproporre
l’impugnazione non comporta però necessariamente il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Vediamo
qualche ipotesi:
- Concorso di più mezzi di impugnazione: la pronuncia è quindi impugnabile con più mezzi. In questi casi,
l’impossibilità di riproporre l’impugnazione dichiarata inammissibile o improcedibile non comporta
l’impossibilità di proporre l’altro mezzo di impugnazione.
- Errore nella scelta del mezzo di impugnazione: si può riproporre con impugnazione giusta
- Cause scindibili o dipendenti: la dichiarazione d’inammissibilità della prima impugnazione non impedisce la
proposizione della stessa impugnazione ad opera di un altro soggetto, con il coinvolgimento di tutte le altre
parti
- Impugnazione dichiarata inammissibile perché non era ancora venuto ad esistenza un presupposto per
esercitare il potere di impugnazione, che viene ad esistenza successivamente.

 Estinzione  E’ disciplinato dall’art. 338 c.p.c. nella parte generale delle impugnazioni. Come nel processo
di primo grado si può avere per:

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- Rinuncia agli atti: proviene dall’impugnante principale e deve essere accettata da tutte le parti che
abbiano proposto impugnazione incidentale, ancorchè tardiva. Tale estinzione determina il passaggio in
giudicato formale della sentenza impugnata
- Inattività: l’art. 338 fa riferimento solo all’appello e alla revocazione ordinaria; nel processo di
Cassazione è possibile una rinuncia al ricorso, ma non un’estinzione per inattività, perché il processo
procede d’ufficio.

L’effetto espansivo della pronuncia resa in sede di impugnazione si distingue in:


 Effetto espansivo interno (art. 336 I comma c.p.c.): “la riforma o la cassazione parziali producono effetti
anche sulle parti della sentenza che non sono state impugnate, ma che sono dipendenti dalla parte riformata o
cassata”. Opera quindi in relazione ad un unico provvedimento con più parti l’una dipendente dall’altra.
Ipotesi:
- Tutti i casi in cui la sentenza impugnata pronuncia su più oggetti e viene impugnato un oggetto
pregiudiziale (processo cumulato)
- Rapporti tra decisione della domanda e condanna alle spese: la condanna alle spese è una parte della
sentenza dipendente dalla decisione della domanda, che quindi è pregiudiziale perché il suo contenuto è il
presupposto per stabilire chi è soccombente e quindi condannato alle spese.
- Regolamento di competenza facoltativo: la decisione sul merito è dipendente dalla statuizione sulla
competenza
 Effetto espansivo esterno (art. 336 II comma c.p.c.): “la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai
provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”. Opera quindi in relazione a più
provvedimenti, uno dei quali dipendente dall’altro. Ipotesi:
- Sentenze non definitive: una volta emessa la sentenza non definitiva il processo prosegue per l’istruttoria
degli altri elementi per decidere la causa. Gli atti compiuti e i provvedimenti emessi nella prosecuzione
del processo di primo grado, dopo che è stata emessa sentenza non definitiva immediatamente impugnata,
vengono travolti dalla sentenza d’appello che riforma la non definitiva, e perdono effetti.
- Sentenza parzialmente definitiva: se è decisa con sentenza parzialmente definitiva la domanda
pregiudiziale, qualora la sentenza venga immediatamente impugnata e l’impugnazione venga accolta, gli
atti istruttori relativi alla domanda dipendente e la sentenza definitiva che eventualmente fosse stata
pronunciata nel frattempo, perdono effetti in virtù della riforma della sentenza parzialmente definitiva.
- Esecutività delle pronunce: se l’esecuzione forzata che deriva dalla sentenza di primo grado non è ancora
iniziata, la riforma in appello della sentenza di primo grado fa venir meno il titolo esecutivo; se
l’esecuzione è ancora in corso nel momento in cui viene pubblicata la sentenza d’appello di riforma gli
atti del processo esecutivo vengono travolti.

Vediamo ora i singoli mezzi di impugnazione.


A) APPELLO  L’art. 359 c.p.c. stabilisce che “ove non diversamente stabilito, si applicano le regole relative
al processo di primo grado”. Di regola sono appellabili:
- tutte le sentenze di primo grado ex art. 339 c.p.c.
- le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equità con valore non superiore a 1100 €
- ordinanze quando il giudice, sbagliando forma, pronuncia ordinanza anziché sentenza
Vi sono però sentenze in unico grado che sono inappellabili:
- Sentenze in tema di opposizione agli atti esecutivi ex art 618 c.p.c. (impugnabili in Cassazione)
- Sentenze in materia di lavoro per controversie di valore non superiore a 25,82 €
- Quando le parti concordano di omettere l’appello e adire direttamente la Corte di Cassazione
- Quanto le parti hanno consensualmente incaricato il giudice di primo grado di dirimere la controversia
secondo equità
- Provvedimenti emessi in forma di sentenza anziché di ordinanza.
L’appello è un mezzo di gravame (permette il riesame totale della controversia) e ha effetto devolutivo (il
giudice d’appello viene reinvestito del potere di decidere su ciò che ha già deciso il giudice di primo grado),
anche se solo parziale in quanto oggetto dell’appello e questione che il giudice d’appello deve affrontare
sono determinate dalle parti.
L’appello si propone all’ufficio giudiziario, nel cui ambito territoriale si trova l’ufficio giudiziario al quale
appartiene il giudice che ha pronunciato la sentenza di primo grado: se la sentenza è del gdp l’appello si

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propone al tribunale nel cui ambito territoriale si trova l’ufficio del gdp; se la sentenza è emessa dal
tribunale, l’appello si propone alla corte d’appello nel cui distretto si trova il tribunale. A tale regola
troviamo però l’eccezione del foro erariale: ex art. 25 c.p.c. quando è in causa lo Stato, difeso
dall’avvocatura dello Stato, tutte le controversie si concentrano presso il tribunale dove ha sede l’avvocatura
di Stato. L’appello proposto a giudice incompetente non comporta inammissibilità, ma dichiarazione di
incompetenza del giudice e possibilità di riassunzione del giudizio di appello dinanzi a giudice competente.
L’atto di appello si propone con citazione con i termini di comparazione previsti da art. 163 bis c.p.c. (90 gg
se luogo di notificazione in Italia, 150 gg se all’estero). L’atto difensivo è la comparsa di risposta come nel
giudizio di primo grado.
Ex art. 342 c.p.c. la citazione deve contenere l’esposizione sommaria dei fatti (informazioni sul processo di
primo grado) e motivi dell’impugnazione, che possono essere distinti in due settori:
- Ragioni dell’impugnazione: argomenti che valgono a convincere il giudice d’appello della fondatezza
dell’impugnazione. Non devono necessariamente essere contenuti nell’atto d’appello, ma possono essere
esposti al giudice in un momento successivo, precisamente nella comparsa conclusionale di appello,
luogo in cui si espongono le ragioni di fatto e di diritto, in virtù delle quali ciascuna parte ritiene che il
giudice debba darle ragione.
- Individuazione di ciò che viene devoluto in appello: oggetto dell’appello e questioni che l’appellante
propone, quindi dipendenti dalla volontà dell’appellante. E’ molto importante in quanto individua ciò di
cui il giudice d’appello viene investito.
Con l’atto d’appello l’appellante deve riproporre al giudice tutte le questioni affrontate e decise in modo a
lui sfavorevole in primo grado. Simmetrica è la posizione dell’appellato, il quale deve investire il giudice di
tutte le questioni su cui ha avuto torto, e quelle proposte dall’appellante che il giudice non ha esaminato.
Art. 346 c.p.c. prevede che “le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, che non
sono espressamente riproposte in appello, si intendono rinunciate”.
Anche le istanze istruttorie alcune volte devono essere riproposte. Se la richiesta di ammissione dei mezzi di
prova è rigettata dal g.i. sia in sede decisoria sia in sentenza, l’istanza deve essere riproposta al giudice
d’appello, o con l’atto d’appello o con la comparsa di risposta.
Per quanto riguarda le questioni rilevabili d’ufficio, quando il giudice le abbia decise non sono più
rilevabili d’ufficio, e se non sono riproposte al giudice d’appello su di esse si forma il giudicato.
Le domande rigettate non possono essere riproposte ex art. 346 ma devono essere oggetto di appello
incidentale => la dicitura dell’art. 346 con riferimento alle domande non accolte deve essere limitata alle
domande assorbite.
Precedentemente l’art. 346 non si applicava al contumace in appello, in quanto non compiendo alcuna
attività, non vi era alcun comportamento da cui si potesse ricavare la volontà di rinunciare a domande o
eccezioni non accolte. Oggi invece si applica anche al contumace.
L’appello incidentale riguarda le domande esaminate e rigettate, quindi in linea generale per avere appello
incidentale devono essere state proposte più domande, su cui il giudice ha deciso in maniera favorevole
all’attore per alcune e in maniera favorevole al convenuto per altre. Quando uno dei due soggetti prende
l’iniziativa di impugnare l’altro può a sua volta prendere l’iniziativa di impugnare in via incidentale =>
come regola generale con l’appello incidentale si fa valere la soccombenza su un soggetto diverso da quello
dell’appello principale. Quindi:
- Non vi è bisogno di appello incidentale per le questioni pregiudiziali di rito in quando non sono oggetto
di domanda
- Non vi è bisogno di appello incidentale per le questioni pregiudiziali di merito, se ed in quanto esse
siano rimaste effettivamente tali e non si siano sviluppate in domande.
Vi è però una eccezione a tale regola generale: secondo la giurisprudenza è necessaria l’impugnazione
incidentale e non la semplice riproposizione per le sentenze non definitive.
L’appello incidentale va proposto con la comparsa di risposta, che deve essere depositata in cancelleria del
giudice d’appello almeno 20 gg prima dell’udienza di comparizione. L’appello incidentale può essere:
- Tempestivo: quando nel momento in cui l’appellato deposita la comparsa di risposta, sono ancora aperti
i termini per proporre appello principale
- Tardivo: quando nel momento in cui l’appellato deposita la comparsa di risposta, egli non ha più il
potere di impugnare per via principale perché ha fatto acquiescenza o perché sono decorsi i termini per
appellare

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- Inammissibile: quando il convenuto deposita la comparsa di risposta meno di 20 gg prima dell’udienza


di comparizione.
La proposizione dell’appello incidentale mediante il deposito della comparsa, nel quale esso è inserito, è
ovviamente sufficiente quando la parte o le parti, nei cui confronti esso è proposto sono costituite. Se esse
sono contumaci, la comparsa va notificata alle stesse, costituendo l’appello incidentale l’equivalente
funzionale della domanda riconvenzionale in primo grado. Nei confronti di chi è parte, oltre alla notifica
della comparsa contenente l’appello incidentale, occorrerà unirvi anche una qualche vocatio in ius, con la
quale lo si avverte della pendenza del processo, gli si indica la data dell’udienza e lo si invita a costituirsi.

Ora esaminiamo i limiti in cui, in sede di appello, si può discutere di questioni non dedotte in primo grado.
Dobbiamo distinguere tra:
 Domande nuove: l’art 345 c.p.c. stabilisce in generale che in appello non possono proporsi domande
nuove, e non si può quindi investire il giudice di appello della decisione di una situazione sostanziale,
non ricompresa nell’oggetto del processo.
In linea generale una domanda è nuova se sono diversi:
- Le parti
- Il provvedimento del giudice richiesto (petitum)
- Le ragioni della domanda (causa petendi)
Poiché una domanda nuova presuppone necessariamente allegazione di nuovi fatti, ma non tutte le nuove
allegazioni costituiscono domanda nuova dobbiamo distinguere:
- Nuove allegazioni che costituiscono nuova domanda, non appellabili
- Nuove allegazioni che costituiscono una semplice modificazione di una domanda già proposta,
appellabili
L’art. 345 c.p.c. stabilisce che le domande nuove, se proposte in appello devono essere dichiarate
inammissibili, anche d’ufficio. E’ prevista però un’eccezione: pur essendo domande nuove sono
proponibili in appello le domande attinenti:
- Agli interessi, frutti ed accessori maturati dopo la deliberazione della sentenza impugnata
- Al risarcimento dei danni sofferti dopo tale sentenza.
 Eccezioni: l’art 345 c.p.c. afferma che non sono proponibili nuove eccezioni che non siano rilevabili
anche d’ufficio. Sono rilevabili d’ufficio tutte quelle non siano riservate alla parte: pertanto in appello
non possono essere proposte per la prima volta eccezioni come la prescrizione, la compensazione, o
l’annullabilità del contratto, ma possono essere proposte tutte le eccezioni non riservate alla parte.
Parliamo delle eccezioni in senso stretto. Simmetricamente, la possibilità di proporre nuove eccezioni
comporta la possibilità di introdurre in giudizio nuovi fatti costitutivi del diritto, a patto che tali fatti non
integrino una domanda nuova.
 Prove nuove: si ha quanto muta o il mezzo di prova o il fatto da provare. L’art 345 c.p.c. fa divieto
generale di richiedere mezzi di prova nuovi, ivi comprese le prove precostituite e quindi i documenti.
Abbiamo però delle eccezioni:
- Il giuramento decisorio è sempre deferibile
- Le nuove prove sono ammissibili allorchè sia ammissibile l’allegazione in giudizio di fatti nuovi
- Possono essere ammessi nuovi mezzi di prova allorchè il collegio li ritenga “indispensabili” ai fini
della decisione della causa
- Possono essere ammessi nuovi mezzi di prova quando la parte dimostri di non aver potuto proporli
nel processo di primo grado per causa ad essa non imputabili
 Intervento di terzi: art. 344 ammette ad intervenire in appello, per la prima volta, soltanto quei soggetti
che potrebbero proporre opposizione di terzo.
Tutte le altre forme di intervento volontario o coatto non sono ammissibili in appello. Ovviamente sono
ammissibili tutte le ipotesi di successione processuale.

Vediamo come le peculiarità del processo d’appello:


 Per la costituzione in giudizio delle parti l’art 347 c.p.c. rinvia al processo di primo grado
 Per l’improcedibilità, che in generale è definibile come una peculiare forma di inattività, in appello si
verifica in due ipotesi:
- Per mancata costituzione dell’appellante

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- Per mancata comparizione, alla prima udienza, dell’appellante già costituito, quando dopo il rinvio ad
una successiva udienza, di cui il cancelliere dà comunicazione all’appellante, l’appellante non
compare neanche a quella
L’improcedibilità deve essere dichiarata d’ufficio, non si preclude per mancata rilevazione e quindi può
essere rilevata per la prima volta anche in Cassazione.
 L’art. 350 stabilisce come si svolge il processo distinguendo a seconda che sia impugnata:
- Sentenza del gdp: è competente il tribunale, e la trattazione decisione della causa è monocratica
- Sentenza del tribunale: è competente la corte d’appello, e la trattazione è integralmente collegiale.
Il giudice alla prima udienza verifica la regolare costituzione del processo, e se occorre integra il
contraddittorio o la notificazione dell’impugnazione, oppure dispone che si rinnovi la notificazione
dell’atto di appello.
Il giudice dichiara l’eventuale contumacia delle parti, provvede alla riunione degli appelli proposti contro
la stessa sentenza e procede al tentativo di conciliazione, se lo ritiene opportuno; tutti i provvedimenti
sono dati con ordinanza e sono soggetti al riesame al momento della decisione.
Ex art. 283 c.p.c. la parte interessata può chiedere al giudice d’appello la sospensione dell’esecutività
della sentenza impugnata, mediante impugnazione principale o incidentale. La sospensione può essere
chiesta quando ricorrono “gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una
delle parti”. La sospensione può avere ad oggetto l’efficacia esecutiva (l’esecuzione non è ancora iniziata
e se ne impedisce l’inizio) o l’esecuzione. La parte può chiedere al giudice di anticipare la decisione
sull’istanza di sospensione dell’esecuzione provvisoria prima dell’udienza di comparizione fissata per il
merito: in questo caso viene fissata una udienza ad hoc. In caso di particolare urgenza la sospensione può
essere immediatamente disposta d’ufficio, ma deve essere confermata all’udienza fissata.
Compiute le attività previste dall’art. 350, il giudice o provvede con ordinanza ad ammettere eventuali
prove, o fa precisare le conclusioni e rimette la causa in decisione.
La fase di istruttoria è identica a quella del processo di primo grado: il giudice può emettere o sentenza o
ordinanza se dispone sulle prove. Il giudice d’appello in generale può:
- Ammettere una prova nuova
- Ammettere una prova illegittimamente non ammessa dal giudice di primo grado
Disporre la rinnovazione totale o parziale di una assunzione già avvenuta in primo grado
Oggetto di cognizione in sede di appello è sicuramente la sentenza definitiva, ma anche la non definitiva
limitatamente alle questioni pregiudiziali o preliminari.
Laddove ritenga di non dover assumere prove, il giudice deve esaminare varie questioni nel seguente
ordine:
- Questioni relative alla decidibilità dell’impugnazione, ovvero del rito: corretta proposizione
dell’appello, sussistenza di tutti i requisiti (inammissibilità, improcedibilità, estinzione)
- Questioni di rito ancora rilevabili d’ufficio, non rilevate in primo grado, e quelle non rilevabili
d’ufficio, che siano state tempestivamente rilevate e riproposte con gli atti introduttivi dell’appello.
Inoltre questioni di nullità formali.
- Questioni di rito rilevabili d’ufficio, decise in primo grado e riproposte dalle parti
- Merito della controversia: il giudice d’appello ha tutti i poteri del giudice di primo grado, e opera una
nuova valutazione di tutto il materiale istruttorio raccolto
La sentenza del giudice d’appello è sostitutiva a tutti gli effetti di quella di primo grado, anche se la
conferma in tutto e per tutto.
 Tipologia delle sentenze d’appello:
- Sentenza non definitiva con contestuale rimessione in istruttoria per l’assunzione di mezzi di prova.
Non è immediatamente impugnabile, ma potrà essere impugnata in Cassazione, senza necessità di
riserva, quando sarà emessa la sentenza definitiva.
- Sentenza che conferma sentenza non definitiva di primo grado: è definitiva del processo d’appello,
ma, riguardo alla controversia, è identica alla sentenza non definitiva che era stata emessa in primo
grado
- Sentenza che riforma sentenza non definitiva di primo grado: è definitiva per processo d’appello, ma
è definitiva anche per la controversia => effetto espansivo esterno.
 L’appello può essere finalizzato anche a rimediare l’eventuale invalidità della sentenza impugnata =>
- Non è rilevante la decisione del giudice, ma solo se vi sia o meno un illecito processuale

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- I limiti posti dall’art. 345 c.p.c. su domande ed eccezioni nuove, non trovano applicazione, in quanto
si riferiscono ad un giudizio di gravame, mentre rispetto alla questione di rito il processo d’appello è
un giudizio di primo grado.
Il processo d’appello serve da mezzo di controllo e di recupero dei vizi sanabili verificatasi in primo
grado.
Verificata la nullità della sentenza di primo grado, il giudice d’appello:
- Se il vizio che ha prodotto nullità si è verificato in fase decisoria, pronuncia nuova sentenza
sostitutiva di quella viziata
- Nelle ipotesi previste dagli art. 353-354 c.p.c. annulla la sentenza di primo grado con rinvio al
giudice che l’ha emessa. Sono sei ipotesi:
 Il giudice di primo grado ha dichiarato la carenza di giurisdizione, mentre il giudice d’appello
ritiene che la giurisdizione sussiste
 Il giudice d’appello rileva la nullità della notificazione della citazione introduttiva di primo grado
 Il giudice d’appello rileva la non integrazione del contraddittorio in presenza di litisconsorzio
necessario
 Il giudice d’appello dichiara erronea l’estromissione di una parte
 Il giudice d’appello dichiara l’inesistenza della sentenza di primo grado
 Il giudice d’appello dichiara che l’estinzione, pronunciata dal giudice di primo grado, in realtà
non si è verificata.

B) RICORSO PER CASSAZIONE  La Corte di Cassazione è attualmente un ufficio giudiziario unico: è


l’organo unificante di tutte le varie strutture giurisdizionali, esclusa la giurisdizione sulla costituzionalità
delle leggi che appartiene alla Corte Costituzionale, e la giurisdizione comunitaria che appartiene alla
Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Funzioni:
- risolvere i conflitti tra i vari giudici speciali;
- nomofilachia, ovvero funzione di unificare e coordinare l’interpretazione ed applicazione delle
norme, al fine di garantire un’omogenea evoluzione della giurisprudenza.
Provvedimenti impugnabili in Cassazione:
- sentenze emesse in grado d’appello o in unico grado (art. 360 c.p.c)
- sentenze appellabili dal tribunale quando le parti siano d’accordo per omettere l’appello (art. 360
c.p.c.) => ricorso per saltum, possibile solo per violazione o falsa applicazione di norme di diritto
- sentenze e provvedimenti che incidono su diritti soggettivi e siano idonei al giudicato, emesse da
giudici ordinari o speciali in grado d’appello o in unico grado che sono denunziabili per violazione di
legge
- ricorso contro le decisioni dei giudici speciali (art. 362 c.p.c.)
- conflitti di giurisdizione (art. 362 c.p.c.)
- conflitti di attribuzione tra PA e giudici ordinari o speciali (art. 132 Cost.)
Motivi di ricorso in Cassazione, tassativamente elencati dall’art. 360 c.p.c.:
1. motivi attinenti alla giurisdizione
2. per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza
(ovvero quando il provvedimento non sia impugnabile con regolamento di competenza necessario)
3. per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (norme sostanziali, ma anche norme
processuali quando oggetto della controversia sono regole di condotta processuali di un altro
processo). Intendiamo per:
- violazione, quell’errore in cui incorre l’interprete quando individua o dà un certo significato ad
una disposizione normativa, cioè è un errore nell’individuazione o nell’interpretazione
- falsa applicazione, quell’errore in cui incorre l’interprete allorchè, individuata esattamente la
portata precettiva della norma, la applica ad una fattispecie che non è quella dalla norma
descritta
- norme di diritto:
- fonti dell’ordinamento statale di cui è organo giurisdizionale la Corte di Cassazione (norme
costituzionali, norme primarie quindi decreti leggi e decreti legislativi, leggi regionali,
regolamenti fonti di diritto, consuetudine, gli usi)

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- la riforma del 2006 ha esteso il ricorso di Cassazione per tali motivi anche ai contratti e
accordi collettivi nazionali di lavoro
- norme comunitarie
- diritto straniero
4. per nullità della sentenza o del procedimento, ovvero tutti i motivi di nullità dell’attività processuale
anteriore alla sentenza rispetto ai quali non sia intervenuta sanatoria, ed i motivi di nullità propria
della sentenza. Non c’è omogeneità tra l’intervento laddove sia in gioco l’ingiustizia della sentenza e
l’invalidità della stessa, e ciò è evidente in due direzioni:
1) distinguiamo tra:
- errores in iudicando: la Corte non può occuparsi di questioni non sottoposte dalle parti
- errores in procedendo: la Corte può rilevare d’ufficio qualunque tipo di questione che non sia
preclusa (perché non rilevabile in ogni stato e grado del processo, oppure perché già decisa e non
riproposta)
2) mentre la ricostruzione dei fatti storici, rilevanti ai fini del merito, sfugge alla cognizione della
Corte, in relazione al rito la Corte è giudice anche del fatto, potendo attingere direttamente agli
atti del processo, e procedere autonomamente alla cognizione e ricostruzione del fatto storico
processualmente rilevante
5. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio:
- motivazione omessa significa che il fatto è puramente e semplicemente affermato o negato
dal giudice, che non spiega perché giunge a concludere per la sua esistenza o inesistenza
- insufficiente motivazione significa che, con gli argomenti addotti, sarebbe possibile giungere
ad una diversa conclusione in ordine all’esistenza o meno del fatto storico controverso
- contraddittoria motivazione significa che il giudice fa affermazioni che si contraddicono l’un
l’altra, con riferimento all’esistenza o inesistenza di un fatto storico controverso.
Il difetto di motivazione riguarda quindi il giudizio di fatto.
Per “fatto decisivo” la giurisprudenza intende quel fatto che, se preso in considerazione dal giudice,
avrebbe portato ad una decisione diversa.
Vediamo i settori in cui si applica questo Art. 360 n.5 c.p.c.:
- valutazione delle prove libere: al contrario delle prove legali per cui abbiamo una prevalutazione
della legge (in caso di violazione avremo il ricorso in Cassazione per i n. 3-4), la prova libera è
caratterizzata dal fatto che il legislatore non individua i presupposti di attendibilità delle prove,
ma rimette al giudice di valutare liberamente secondo regole non giuridiche che vivono
all’interno dell’ordinamento, che quindi, se violate, non comportano violazione o falsa
applicazione di norme di diritto
- presunzioni semplici: mentre per le presunzioni legali abbiamo disposizioni di legge, la cui
violazione comporta quindi violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per le presunzioni
semplici il legislatore rimette l’individuazione delle inferenze tra fatto secondario noto e fatto
principale ignoto, alle massime d’esperienza, il cui errore comporta violazione di regole non
giuridiche, conducendo alla censura dell’art. 360 n.5 c.p.c.
- incompleta ricostruzione di un fatto storico complesso: la Cassazione censura l’errore consistente
in ciò che il giudice non ha preso in considerazione tutti gli elementi che compongono un fatto
storico complesso. In realtà qui pare essere non tanto un vizio di motivazione, quando una
violazione di norme di diritto, in quanto errore nella ricostruzione della fattispecie legale
- norme elastiche: tutte quelle ipotesi in cui il legislatore non descrive con precisione un elemento
della fattispecie ma lo individua facendo riferimento ad una valutazione affidata al giudice.
L’art 363 prevede un ulteriore motivo di ricordo in Cassazione, ovvero il “ricorso nell’interesse della
legge”, che si verifica allorchè, alternativamente:
- il provvedimento è astrattamente ricorribile in Cassazione, ma le parti non lo hanno
tempestivamente impugnato
- quando il provvedimento non è ricorribile in Cassazione e non è altrimenti impugnabile (es.
provvedimenti che non hanno forma di sentenza, né sono decisori né definitivi)

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L’art. 363 III comma prevede che la Cassazione enunci un principio di diritto anche d’ufficio,
quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, laddove la Corte ritenga che la
questione decisa è di particolare importanza.
In questi casi non vi è una vera e propria impugnazione, e per questo ex art. 363 IV comma stabilisce
che la pronuncia della Corte non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito. La corte in
sostanza enuncia un principio di diritto per il futuro, senza rimozione di provvedimenti errati.

L’art. 360 bis c.p.c. introdotto dalla riforma del 2009, prevede le ipotesi di inammissibilità del ricorso:
 quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla
giurisprudenza della Corte, e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare
l’orientamento della stessa. Si tratta sostanzialmente degli errores in iudicando. Due presupposti:
- la questione di diritto sia stata decisa, nella sentenza impugnata in modo conforme ai precedenti
della Corte (Sezioni Unite) => se il provvedimento applica un diritto contrario alla
giurisprudenza della Corte, il ricorso è sempre ammissibile
- i motivi di ricorso non introducano elementi e ragioni nuove tali da rendere opportuno un
riesame della questione da parte della Corte
 è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto
processo. Si tratta quindi degli errores in procedendo

Il ricorso in Cassazione deve essere proposto, ex art. 365 c.p.c. pena l’inammissibilità, da un legale
iscritto all’albo di difensori di fronte alle giurisdizioni superiore (Corte di Cassazione, Consiglio di Stato,
Corte dei Conti, Corte Costituzionale), albo unico nazionale tenuto dal Consiglio Nazionale forense. E’
necessaria anche una procura speciale che deve essere rilasciata dopo il deposito della sentenza da
impugnare e prima della proposizione del ricorso, con cui si dà l’incarico specifico di proporre ricorso in
Cassazione contro quella sentenza.
Il ricorso deve contenere, pena l’inammissibilità ex art. 366 c.p.c.)
- indicazione parti
- indicazione sentenza o decisione impugnata
- esposizione sommaria dei fatti della causa
- motivi per cui si chiede la Cassazione, con indicazione delle norme di diritto su cui si fondano
- indicazione della procura, se conferita con atto separato, e, in caso di ammissione al gratuito
patrocino, del relativo decreto
- specifica indicazione degli atti processuali, documenti e contratti o accordi collettivi su cui si fonda il
ricorso.
Una volta depositato nella cancelleria della Corte il ricorso notificato, il processo di cassazione arriva al
suo termine senza bisogno di atti di impulso processuale. (=> non si ha estinzione per inattività delle
parti, in quanto non vi è attività).
Chi si vede notificato il ricorso (entro 60 gg dalla notifica della sentenza, o entro 6 mesi dalla
pubblicazione) può presentare “controricorso” ex art. 370 c.p.c., che deve essere sottoscritto da avvocato
cassazioni sta munito di mandato speciale: esso viene notificato alla controparte e poi depositato nella
cancelleria della Cassazione. Deve esservi contenuta l’eventuale impugnazione incidentale: la parte che
presenta controricorso, se vuole impugnare a sua volta la sentenza, per motivi naturalmente diversi da
quelli indicati dal ricorrente, può proporre ricorso incidentale, col medesimo atto contenente il
controricorso. Particolare tipo di concorso incidentale è quello condizionato dall’accoglimento del
ricorso principale: tale ricorso è presentato dalla parte vittoriosa che abbia interesse a sottoporre alla
Corte questioni pregiudiziali o preliminari sfavorevolmente risole nelle fasi di merito, e poiché tale
ricorso è proposto dal non soccombente, esso è esaminato solo se accolto il ricorso principale.
Con il ricorso, oggetto della cognizione e della decisione della Corte diventa la presenza del vizio
denunciato, salvo le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state oggetto di decisione nelle fasi
precedenti del processo =>
- le questioni assorbite non sono mai deducibili in Cassazione, in quanto per definizione una questione
assorbita è una questione non decisa, tranne nel caso in cui vi sia stato un errore nell’assorbimento
- la riproposizione delle questioni, senza bisogno dell’impugnazione incidentale, è possibile soltanto
dove vi sia il potere d’ufficio della Corte. Quindi la riproposizione è possibile quando la parte

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resistente espone le proprie ragioni relativamente a questioni di cui la Corte si deve occupare in virtù
del ricorso principale o d’ufficio, o anche quando l’accertamento del vizio lamentato non comporta
automaticamente la cassazione della pronuncia, ma investe la Corte dell’ulteriore potere di ricercare
d’ufficio la corretta applicazione della norma, che è stata male applicata nella senza impugnata.
Ogni questione decisa dal giudice, diversa da quelle di cui la corte si deve occupare in virtù del ricorso
principale, deve essere fatta valere con l’impugnazione incidentale: ciascuna parte deve proporre ricorso
per tutte le questioni che la sentenza impugnata ha risolto in modo a lei sfavorevole.

Vediamo ora le possibili novità di fronte alla Corte di Cassazione. Dobbiamo distinguere tra:
- profili di merito: in sede di Cassazione non è mai possibile l’allegazione di ulteriori fatti rilevanti ai
fini della decisione di merito. Sia i fatti storici che servono per la decisione di merito, sia i fatti
sopravvenuti, possono essere allegati, come ultimo momento utile, all’udienza di precisazione delle
conclusioni: abbiamo quindi una divaricazione tra la realtà legale e la realtà effettiva, in quanto il
referente temporale di efficacia della sentenza della cassazione, per quanto riguarda i fatti, è fissato
dall’udienza di precisazione delle conclusioni del processo, da cui è scaturita la sentenza impugnata
in Cassazione: tutto quello che viene dopo non è spendibile in cassazione. Invece, laddove la
Cassazione accoglie il ricorso con rinvio per la fase rescissoria, allora quei fatti, sopravvenuti alla
precisazione delle conclusioni d’appello, devono essere dedotti in sede di rinvio, perché, quando il
giudice di rinvio emette la pronuncia di merito, il referente temporale rilevante diviene l’udienza di
precisazione delle conclusioni di fronte a lui.
Diverso è il discorso delle norme di diritto: le nuove norme di diritto che intervengono durante lo
svolgimento del processo di Cassazione, devono essere poste dalla Cassazione a fondamento della
sua decisione. Il referente temporale è la pubblicazione della sentenza
- profili di rito: possono essere introdotte le stesse novità che possono essere introdotte in appello, in
quando in Cassazione, come in appello, può essere sollevata per la prima volta una questione di rito
rilevabile in ogni stato e grado del processo, che non sia stata rilevata o decisa nelle precedenti fasi.
Tuttavia la questione può essere ritenuta fondata, solo se i fatti che ne costituiscono la fattispecie
sono già acquisiti al processo, in quando non è possibile in assoluto svolgere attività istruttoria
relativa a prove costituende e precostituite (tranne i casi limitati previsti dall’art. 372: comunicazione
degli atti al PM, assegnazione della causa, in caso di udienza di discussione).
Un altro gruppo di questioni di rito rilevanti sono quelle relative alla corretta instaurazione del
processo di Cassazione: la Cassazione dovrà quindi chiedersi se il ricorso è ammissibile, se è
procedibile, se non vi è stata rinuncia.
L’art. 372 pone un limite normativo alla produzione di documenti nuovi: non è ammissibile in Cassazione
la produzione di documenti, tranne quelli che riguardano la nullità della sentenza impugnata e
l’ammissibilità del ricorso e del controricorso. Ecco spiegata la differenza tra questioni di merito e di rito:
mentre in relazione alle questioni di merito non si può neppure allegare il fatto rilevante, per la questione
di rito ciò è possibile, ma solo se i fatti su cui si fonda sono già acquisiti agli atti della causa, e solo per le
due questioni previste dall’art. 372 (nullità della sentenza impugnata, ammissibilità del ricorso e
controricorso).
Vi è un’eccezione: la Corte di Cassazione ammette la produzione di alcuni documenti nuovi, che non
sono rilevanti per il rito, ma hanno un’incidenza sul merito. Si tratta dei documenti da cui si ricava la
cessazione della materia del contendere, che si ha quando, dopo la precisazione delle conclusioni della
fase in cui è stata emessa la sentenza impugnata, siano avvenuti dei fatti che abbiano superato la sentenza
stessa, in quanto forniscono essi stessi, alla situazione controversa, una disciplina completa autonoma e
prevalente rispetto alla sentenza impugnata (il fenomeno riguarda soprattutto transazioni, accordi, atti
negoziali in genere che le parti abbiano posto in essere dopo la precisazione delle conclusioni della
precedente fase e con cui si sia disciplinata la situazione controversa.

Esaminiamo ora il processo di Cassazione.


Una volta avvenuto il deposito del ricorso, anche se le parti rimangono inattive, la Cassazione giunge
ugualmente alla sentenza. Quindi non è possibile un’estinzione per inattività, ma è possibile quella per
rinuncia agli atti, disciplinata dagli artt. 390-391 c.p.c.: la rinuncia deve essere accettata dalla controparte
se questa ha impugnato in via incidentale, anche tardivamente, altrimenti basta la rinuncia del ricorrente;

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accertata l’esistenza della rinuncia e l’eventuale accettazione delle parti, la Corte pronuncia con ordinanza
e sentenza; se deve decidere altri ricorsi contro lo stesso provvedimento, allora dichiara l’estinzione con
la sentenza che decide degli altri ricorsi, se invece vi è rinuncia totale all’unico o a tutti i ricorsi,
pronuncia ordinanza; il processo di cassazione si estingue e passa in giudicato formale la sentenza
impugnata.
Al processo di Cassazione non si applicano gli istituti della sospensione e dell’interruzione.
La Corte di Cassazione decide secondo tre schemi diversi:
 schema semplificato (art. 375 c.p.c.)  si ha quando:
- decide un regolamento di competenza o giurisdizione
- dichiara l’inammissibilità del ricorso
- ordina l’integrazione del contraddittorio o dispone la notificazione dell’impugnazione nelle
cause scindibili
- dichiara l’estinzione del processo, salvo che si tratti di rinuncia (in questo caso provvede il
presidente con decreto
 schema ordinario  è seguito per la pronuncia a sezioni semplici. Il procedimento inizia con l’avviso
agli avvocati delle parti della fissazione dell’udienza, i quali possono depositare memorie entro i 5 gg
antecedenti. Il giorno della discussione, il relatore della causa espone lo svolgimento del processo, il
contenuto della sentenza impugnata ed i motivi di ricorso; successivamente gli avvocati del ricorrente
e del resistente espongono le loro ragioni; si hanno poi le conclusioni del PM, che dà il suo parere
obbiettivo sulle questioni sollevate.
 schema complesso  è seguito per la pronuncia a Sezioni Unite. Il procedimento si differenza dallo
schema ordinario solo per questo: la decisione non è presa da 4 consiglieri di Cassazione più un
presidente, ma da otto consiglieri più un presidente. La pronuncia a Sezioni Unite si ha in tre ipotesi:
- quando si decidono questioni di giurisdizione comunque pervenute alla Corte (in via di
regolamento preventivo, in via di ricorso ordinario, in via di conflitto). Se una questione di
giurisdizione è già stata oggetto di pronuncia delle Sez. Un., i successivi ricorsi possono essere
assegnati alle sezioni semplici, tranne che si tratti di ricorsi contro sentenze del Consiglio di
Stato o della Corte dei Conti, per cui si ha sempre pronuncia in Sezioni Unite
- quando si tratta di decidere ricorsi che pongono questioni che sono state decise in modo difforme
dalle sezioni semplici, oppure quando si tratta di una questione di diritto di massima importanza
(es. interpretazione legge)
- ipotesi in cui su una questione di diritto si sia già avuta una decisione delle Sezioni Unite
(introdotta da Riforma 2006)
Le sentenze soggette a ricorso in cassazione, come tutte le sentenze di condanne, sono esecutive, ma è
possibile ottenere la sospensione dell’esecutività delle sentenze impugnate in Cassazione ex art. 373
c.p.c., che stabilisce i presupposti per avere sospensione:
- avvenuta proposizione del ricorso per Cassazione
- dall’esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, per cui il danno è:
- grave, quando il beneficio di chi ottiene l’esecuzione è sproporzionato rispetto al pregiudizio di
chi subisce l’esecuzione o adempie
- irreparabile, quando l’esecuzione della sentenza conduce a distruzione fisica o giuridica del
bene, ed in generale quando si ha sproporzione tra il vantaggio che avrebbe la parte vittoriosa
con l’esecuzione forzata ed il pregiudizio che avrebbe la parte soccombente.
La sospensione deve essere richiesta al giudice che ha emesso la sentenza impugnata.
L’ordine di esame delle questioni è uguale a quello dell’appello: la Corte per prima cosa valuta la
decidibilità nel merito del ricorso, e quindi esamina ammissibilità e procedibilità; successivamente, se
l’impugnazione è ritenuta decidibile nel merito, la Corte deve affrontare i profili relativi ai presupposti
processuali generali dell’intero processo; infine esamina le questioni di merito proposte con il ricorso
principale o incidentale. Ove la Corte ritenga di porre a fondamento della decisione una questione rilevata
d’ufficio, deve attivare il contraddittorio con le parti e il PM, pronunciando un’ordinanza con cui segnala
loro la questione, ed assegna un termine per il deposito in cancelleria di osservazioni scritte sulla
medesima questione.

I provvedimenti che la Corte può emanare sono:

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 ordinanze, nelle ipotesi dell’art. 375 c.p.c., pronunciate in camera di consiglio:


- inammissibilità del ricorso principale e incidentale
- integrazione del contraddittorio o notificazione impugnazione o rinnovazione impugnazione
- estinzione del processo in caso diverso dalla pronuncia
- pronuncia su istanza di regolamento di competenza e giurisdizione
- accoglimento o rigetto del ricorso principale e incidentale per manifesta fondatezza o
infondatezza
 sentenze, che possono avere vari contenuti:
- rigetto del ricorso, che si ha quando la Corte ritiene infondate le censure alla sentenza impugnata
avanzate col ricorso principale o incidentale, e sempre che non vi siano questioni processuali
rilevabili d’ufficio. Determina la formazione del giudicato sostanziale sulla sentenza impugnata
- rigetto con correzione dei motivi (art. 384 II comma c.p.c.): quando la Corte riconosce fondate le
lamentele prospettate nel ricorso, prima di cassare la sentenza deve valutare la causalità
dell’errore commesso dal giudice della sentenza impugnata e riconosciuto come tale dalla Corte.
La Corte quindi, laddove ritenga che abbia ragione il ricorrente sulla lamentela dell’errore del
giudice, d’ufficio ricerca una corretta soluzione della questione di diritto, e se la corretta
interpretazione ed applicazione delle norme conduce alla stessa conclusione e quindi allo stesso
dispositivo della pronuncia, rigetta il ricorso e corregge la motivazione in diritto. Ciò non è
possibile quando la correzione della motivazione, porterebbe ad una diversa portata precettiva
della sentenza
- decisione sulla giurisdizione: è una sentenza definitiva, con efficacia vincolante anche nei
confronti dei giudici speciali
- decisione sulla competenza: è sentenza definitiva, con efficacia vincolante
La cassazione può essere:
 senza rinvio è sempre correlata alla chiusura in rito del processo, in quanto la Cassazione accerta
l’impossibilità di giungere ad una sentenza di merito. Si ha in tre ipotesi:
- difetto assoluto di giurisdizione, che si può avere solo nei confronti di un giudice straniero e di
un potere non giurisdizionale dell’ordinamento statale: se fosse relativo (la tutela richiesta può
essere data, non dal giudice prescelto, ma da giudice di altro settore organizzativo), non si ha
cassazione senza rinvio, ma statuizione sulla giurisdizione
- la causa non poteva essere proposta. L’improponibilità può essere oggettiva (quando: la tutela
richiesta al giudice non può essere data perché non prevista dall’ordinamento; si ha carenza dei
presupposti processuali attinenti l’oggetto del processo) oppure soggettiva (quando sussiste un
vizio insanabile, insanato, o non sanabile con efficacia retroattiva di un presupposto processuale
attinente alle parti)
- il processo non poteva essere proseguito: quando i presupposti processuali sono tutti presente,
ma si è verificato un ostacolo alla prosecuzione del processo
La Cassazione può pronunziare nel merito, ma è necessario che non siano necessari ulteriori
accertamenti di fatto. Sono necessari ulteriori accertamenti di fatto in tre ipotesi:
- quando la sentenza della Cassazione, riscontrando sussistente un error in procedendo, afferma
che una prova deve essere assunta o ripetuta
- quando l’interpretazione ed applicazione della norma sostanziale, enunciata dalla Cassazione, dia
rilevanza giuridica a fatti diversi da quelli accertati dal giudice di merito
- quando vi siano questioni che sono state assorbite dal giudice d’appello.
Perché la Cassazione possa pronunciare nel merito occorre, in linea di massima, che il fatto al quale
essa deve applicare la norma, sia pacifico inter partes, oppure che la valutazione probatoria relativa a
tale fatto sia già stata effettuata nelle fasi di merito, e che su tale valutazione non vi siano
contestazioni
 con rinvio  si ha quando non ricorrono i presupposti per la decisione di merito da parte della Corte
di Cassazione, essa quindi cassa e rinuncia ad un giudice di pari grado a quello che ha pronunciato la
sentenza cassata. Vi è una sola eccezione: nel caso di ricorso per saltum previsto dall’art. 360 II
comma, se la Cassazione cassa la sentenza di primo grado può rinviare a sua scelta o allo stesso
giudice di primo grado o al giudice che sarebbe stato competente per l’appello.

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L’art. 384 I comma c.p.c prevede che la Corte di Cassazione “enuncia il principio di diritto quando
decide il ricorso proposto a norma dell’art. 360 I comma n.3, e in ogni altro caso in cui, decidendo su
altri motivi di ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza”. L’enunciazione del
principio diritto non è né sufficiente né necessaria per determinare l’efficacia vincolante alla sentenza
della Corte in sede di rinvio. Il principio di diritto è destinato a perdere efficacia in caso di
sopravvenienza di norme nuove. La riforma del 2006 prende atto che il principio di diritto enunciato
quando vi è accoglimento del ricorso, vale quanto quello enunciato quando il ricorso è rigettato, e la
Corte può pronunciarlo anche quando esamina una censura relativa all’error in procedendo, mentre in
precedenza il principio di diritto era enunciato solo quando il ricorso era accolto per violazione o
falsa applicazione delle norme di diritto.

Le sentenze della Cassazione nascono già passate formalmente in giudicato: non previsti mezzi di
impugnazione contro le sentenze di Cassazione. Tuttavia sono previsti due strumenti con cui si può
incidere su di essa, ex art. 391 bis
- correzione della sentenza (artt. 287-288 c.p.c.), con cui si possono far valere omissioni o errori
materiali o di calcolo (es quando la Corte non indica il giudice di rinvio, o pronuncia senza rinviare e
si dimentica di provvedere sulle spese)
- revocazione per errore di fatto (art. 395 n. 4 c.p.c.): deve essere proposta con ricorso entro 60 gg dalla
notificazione della sentenza di Cassazione, o entro un anno dal deposito. Non impedisce il passato in
giudicato della sentenza impugnata con il ricorso in cassazione rigettato, né si può chiedere la
sospensione dell’esecuzione della sentenza. Nel caso in cui invece il ricorso in cassazione è accolto,
il giudizio di rinvio non è sospeso dalla proposizione della revocazione, né è sospeso il termine per
riassumere la causa dinanzi al giudice di rinvio.

Vediamo ora il giudizio di rinvio.


Ha la funzione di emettere una sentenza di merito: i vizi della precedente fase processuale inerenti ai
presupposti processuali generali dell’intero processo o sono stati colti dalla Corte stessa, o non possono
più essere fatti valere in sede di rinvio. Constatiamo quindi da un lato l’impossibilità di far valere in sede
di rinvio i vizi processuali antecedenti alla pronuncia della Corte di Cassazione; dall’altro, ove la Corte
colga un vizio del processo che impedisce la pronuncia di merito, cassa senza rinvio => il giudizio di
rinvio è destinato quasi certamente a chiudersi con l’emanazione di una pronuncia di merito. Si ha
un’unica eccezione: quando la Corte abbia disposto l’assunzione di prove sulla fattispecie di un
presupposto processuale, secondo l’esito dell’istruttoria, il processo può chiudersi in rito per difetto di un
presupposto processuale generale.
Data l’originaria posizione della Corte, si riteneva che il giudizio di rinvio fosse un nuovo processo
d’appello, oggi invece il giudizio di rinvio è strutturato come una fase rescissoria in senso proprio (fase in
cui si fa quel tanto che è necessario per giungere ad una pronuncia di merito), quindi come una
prosecuzione del processo di Cassazione.
L’art 394 c.p.c. dispone che “le parti non possono prendere conclusioni diverse da quelle prese nel
giudizio nel quale fu pronunciata la sentenza cassata, salvo che la necessità delle nuove conclusioni sorga
dalla sentenza di cassazione”: nel giudizio di rinvio non sono quindi ammesse nuove allegazioni di fatti e
nuove richieste istruttorie; non si ripercorre in toto la fase processuale che ha portato all’emanazione della
sentenza cassata, ma si rifà il processo dal punto in cui è caduta la censura della Cassazione, e vengono
quindi sostituite l’attività viziata e quelle successive.
Vediamo, sulla base delle ragioni dell’annullamento, qual è la parte di processo che viene rifatta in sede
di rinvio:
 se la Cassazione ha annullato per motivi attinenti alla giurisdizione o alla competenza, il vizio del
processo sussiste fin dall’atto introduttivo del processo di primo grado, e quindi tutto il processo è
viziato e andrà rifatto dagli atti introduttivi di primo grado
 se la Cassazione è avvenuta per art. 360 n.4 c.p.c. (nullità della sentenza o del procedimento), vuol
dire che la Cassazione ha colto, nell’iter processuale, un vizio che può collocarsi o nella fase

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introduttiva di primo grado (es. mancata integrazione del contraddittorio) o in un atto successivo o
nella sentenza. Sappiamo che quando abbiamo un vizio di nullità di un atto, gli atti successivi sono
anch’essi nulli, quelli anteriori no. A questo punto bisogna vedere dove si colloca il vizio del
processo:
- se si colloca nell’atto introduttivo del processo di primo grado, occorre rifare tutto il processo, e
quindi avremo una cassazione con rinvio al giudice di primo grado
- se il vizio è nell’atto introduttivo d’appello, va rinnovato il processo d’appello, dall’atto
introduttivo in poi
- se il vizio è nato nel procedimento di formazione dell’atto-sentenza, occorre rinnovare la
sentenza come atto: il giudizio di rinvio passa immediatamente alla fase decisoria e il giudice di
rinvio emette una nuova decisione immune dal vizio proprio della sentenza cassata
 se la cassazione è avvenuta per vizio di motivazione (art. 360 n.5 c.p.c.) vuol dire che la Corte ha
colto un errore nella ricostruzione dei fatti storici.
 Se la cassazione è avvenuta per l’art. 360 n.3 c.p.c. (violazione o falsa applicazione delle norme di
diritto) il vizio si colloca nella fase della decisione di interpretazione ed applicazione delle norme
sostanziali ai fatti storici ricostruiti, e nella fase di individuazione degli effetti giuridici che
promanano dall’applicazione delle norme alla fattispecie.
Poiché in sede di rinvio si rinnova il processo dall’atto viziato in poi, le parti hanno in sede di rinvio tutti
i poteri che hanno normalmente in un processo che si trovi nello stadio in cui si è verificato il vizio:
 se cassazione avviene per motivi di giurisdizione e competenza le parti possono compiere ogni
attività
 se cassazione avviene per nullità del procedimento le parti possono compiere ogni attività; se la
nullità si verifica nell’atto introduttivo d’appello, le parti hanno i poteri della fase introduttiva
dell’appello; se nullità si è verificata per la mancata assunzione di una prova in appello, le parti
hanno i poteri propri della fase istruttoria d’appello; se è viziato l’atto-sentenza in quanto tale, le parti
non possono introdotte novità di domande, allegazione ed attività istruttoria in sede di rinvio
 se la cassazione avviene per errore di motivazione il giudice di rinvio deve rimotivare in fatto senza
cadere nell’errore individuato dalla Corte, oppure può giungere alla stessa ricostruzione dei fatti a cui
era giunto il giudice della sentenza cassata, ma con una motivazione diversa esente da vizi. Le parti
non possono allegare nuovi fatti e chiedere nuove prove, perché il vizio si è verificato nella fase di
deliberazione della sentenza
 se la cassazione avviene per violazione o falsa applicazione ex art. 360 n.3 c.p.c., il giudice di rinvio
è vincolato all’esatta applicazione ed interpretazione delle norme e le parti non possono allegare
nuovi fatti e chiedere nuove prove perché il vizio si è verificato in fase di deliberazione della
sentenza
Alla regola per cui ci si deve ricollocare nel punto in cui si è verificato il vizio colto dalla Cassazione,
stabilendo i poteri delle parti, ci sono 4 eccezioni:
- art. 394 III comma c.p.c.: nel giudizio di rinvio può deferirsi il giuramento decisorio. Quindi la
ricostruzione dei fatti storici deve essere compiuta ex novo sulla base delle risultanze del giuramento
decisorio. Se, in virtù del giuramento decisorio, i fatti non sono più quelli di prima, allora le norme da
applicare non saranno più quelle individuate dalla Cassazione, ma dovranno essere individuate ex
novo, sulla base della diversa questio facti
- le nuove conclusioni, allegazioni, o richieste istruttorie possono discendere dalla diversa
impostazione in diritto della controversia, che dà la Corte di Cassazione, e che rende rilevanti fatti
diversi da quelli precedentemente allegati: è quindi possibile allegare e provare tali fatti in sede di
rinvio.
- Può darsi che tra il momento in cui si preclude l’acquisizione in giudizio di novità in tema di fatti e
norme applicabili, ed il momento in cui il giudice di rinvio pronuncia, si siano verificati fatti nuovi, o
si siano avute modifiche del legislatore: quindi in sede di rinvio possono essere allegati tutti i fatti
sopravvenuti all’udienza di precisazione delle conclusioni della fase in cui è stata emessa la sentenza
cassata, e devono essere applicata le norme sopravvenute alla pubblicazione della sentenza della
Corte, senza che quest’ultima costituisca un ostacolo alla discussione di tale novità.

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- Le questioni assorbite non sono deducibili in Cassazione, perché su di esse non si è pronunciato il
giudice della sentenza impugnata: possono essere riproposte in sede di rinvio tutte le questioni
assorbite dal giudice d’appello, ivi comprese le relative istanze istruttorie.
Vediamo i profili processuali del rinvio. Ex art. 392 c.p.c., la causa si riassume nel termine perentorio di
tre mesi dalla pubblicazione della sentenza di cassazione o dalla sua notificazione. In sede di rinvio vi è
litisconsorzio necessario processuale tra tutte le parti del processo di Cassazione: chi è stato parte del
processo di Cassazione è necessariamente parte anche del processo di rinvio, in quanto questo è
prosecuzione del primo. Se la riassunzione non avviene entro il termine previsto, o si avvera
successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio, l’intero processo si estingue.
Ex art. 393 c.p.c. la sentenza della Cassazione conserva il suo effetto vincolante anche nel nuovo
processo che sia instaurato con la riproposizione della domanda: quindi il principio di diritto che la Corte
ha enucleato sopravvive anche all’estinzione del processo di rinvio. Nel nuovo processo, il principio di
diritto ha un’efficacia preclusiva peculiare:
- è soggetto a venire meno in virtù di sopravvenienze in diritto
- ciò che rende vincolante il principio di diritto in sede di diritto è l’intangibilità dell’accertamento dei
fatti storici, così come effettuato dalla sentenza cassata.
Ex art. 398 c.p.c. la cassazione della sentenza, che costituisce titolo dell’attribuzione patrimoniale, fa
nascere nella parte, prima soccombente poi vittoriosa, la possibilità di ottenere la restituzione di quello
che è stato dato in adempimento a quanto prescritto dalla sentenza cassata. Il giudice del rinvio deve
disporre la restituzione a prescindere dall’esito del giudizio di rinvio: quando la domanda di restituzione
è matura per la decisione, deve pronunciare su di essa.

C) REVOCAZIONE  E’ un mezzo di impugnazione proponibile per i motivi indicati dall’art. 395 c.p.c.:
1) “se sono l'effetto del dolo di una delle parti in danno dell'altra”. Per dolo generalmente si intende il
raggiro idoneo a paralizzare la difesa della controparte. Per aversi dolo revocatorio occorre un qualcosa in
più rispetto alla normale attività processuale (es. collusione con il legale di controparte)
2) “se si è giudicato in base a prove riconosciute o comunque dichiarate false dopo la sentenza oppure che
la parte soccombente ignorava essere state riconosciute o dichiarate tali prima della sentenza”. E’ esclusa
la prestazione di falso giuramento. E’ ammissibile la concorrenza anche quando è falsa la consulenza. La
prova deve essere riconosciuta o dichiarata falsa: il riconoscimento deve provenire non da chi ha formato
o richiesto la prova, ma dalla parte vittoriosa. La dichiarazione di falsità avviene con sentenza passata in
giudicato e soggettivamente opponibile alla parte contro cui si chiede la revocazione, e preesistente alla
domanda di revocazione
3) “se dopo la sentenza sono stati trovati uno o più documenti decisivi che la parte non aveva potuto
produrre in giudizio per causa di forza maggiore o per fatto dell'avversario”. Per documento decisivo si
intende documento su fatti decisivi tali che, se presi in considerazione dal giudice, questi avrebbe deciso
diversamente la controversia. La parte non può utilizzare la revocazione quando, essendo a conoscenza
dell’esistenza del documento, non ne ha chiesto l’esibizione, ovvero quando, avendola ottenuta, la
controparte l’ha rifiutata. La revocazione non è mai possibile quando il documento si trovava presso un
depositario pubblico, perché chiunque poteva farsene rilasciare una copia. I documenti devono preesistenti,
e devono avere ad oggetto fatti già allegati nella precedente fase processuale: i fatti sopravvenuti danno
luogo non a revocazione, ma a riproposizione della domanda
4) “se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo
errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente
esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto
nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a
pronunciare”. L’errore di fatto revocatorio è fondamentalmente un errore di percezione e non di giudizio,
e può riguardare, oltre i fatti sostanziali, anche i fatti processuali
5) “se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non
abbia pronunciato sulla relativa eccezione”. La previsione si applica solo al giudicato esterno (non allegato
e non eccepito), perché solo questo deve essere allegato e provato in giudizio; il giudicato interno invece
risulta dagli atti: se il giudice d’appello omette di rilevarlo, lo può fare la Cassazione. Il precedente giudicato
può avere o lo stesso oggetto della sentenza di cui si chiede la revocazione, oppure un diritto pregiudiziale
a quello oggetto della sentenza di cui si chiede la revocazione: in caso di pregiudizialità la revocazione non

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è utilizzabile. In caso di stesso oggetto, la sentenza, contrastante con la prima, deve essere fatta oggetto di
un mezzo di impugnazione: se il vizio è fatto valere con revocazione, la seconda sentenza è travolta; se il
vizio non è fatto valere, la perdita del mezzo di impugnazione significa sanatoria della seconda sentenza
che diventa valida come la prima
6) “se la sentenza è effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato”. Tale vizio
non risulta mai essere stato utilizzato.
La revocazione dei motivi 4 e 5 è revocazione ordinaria; la revocazione dei motivi 1-2-3-6 è revocazione
straordinaria.
Provvedimenti impugnabili per revocazione sono:
- Sentenze d’appello e in un unico grado (art. 395 I comma)
- Sentenze di primo grado passate in giudicato, purchè la conoscenza del motivo di revocazione
straordinaria sia avvenuta dopo il passaggio in giudicato della sentenza
- Sentenze della Cassazione per errore di fatto (art. 395 n. 4 ) ex art. 391 bis c.p.c
- Sentenze della Cassazione che decidono nel merito ex art 391 ter c.p.c.
Termini:
- Per revocazione ordinaria la decorrenza del termine è 30 gg dalla notificazione della sentenza o 6
mesi dalla sua pubblicazione = dies a quo certo
- Per revocazione straordinaria la decorrenza del termine è dal giorno in cui è stato scoperto il dolo, la
falsità o la collusione, o recuperato il documento, o è passata in giudicato la sentenza effetto del dolo
del giudice => dies a quo incerto. Se il motivo di revocazione straordinaria è conosciuto in pendenza
dei termini per appellare, questi si prolungano se necessario di 30 gg e il motivo della revocazione
straordinaria va fatto valere con l’appello.
Finchè c’è possibilità di appellare, l’appello assorbe la revocazione.
La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre ricorso in Cassazione, e se
questo è già stato proposto, il relativo procedimento non è sospeso, tranne nel caso in cui il giudice non
ritenga la revocazione non manifestamente infondata.
Vizi che riguardono la revocazione:
- Revocazione ordinaria => vizi palesi
- Revocazione straordinaria => vizi occulti

Oltre che proposta dalla parte, la revocazione è proponibile dal PM (art. 297 c.p.c.). Il PM può
impugnare per revocazione la sentenza in due ipotesi:
- Non è stato chiamato a partecipare al processo
- La sentenza è frutto della collusione delle parti per frodare la legge: in questa ipotesi deve trattarsi di
diritti indisponibili, sicchè eventuali negozi, posti in essere sul piano sostanziale dalle parti del
processo, non hanno rilevanza giuridica
Vediamo il processo di revocazione.
La revocazione si propone con citazione (o ricorso nei processi di rito speciale) allo stesso giudice che ha
pronunciato la sentenza impugnata.
L’atto introduttivo deve contenere, pena l’inammissibilità il motivo di revocazione e, se si tratta di motivi
di revocazione straordinaria, le prove relative alla scoperta del dolo, al recupero del documento, alla
conoscenza della falsità della prova ecc..
La domanda se riguarda uno dei diritti in tema di beni immobili o mobili registrati, è soggetta a
trascrizione.
La domanda di revocazione non è sottoposta ad alcun termine finale di decadenza.
La citazione deve essere depositata nella cancelleria dell’ufficio giudiziario e l’attore in revocazione deve
costituirsi, a pena di improcedibilità, entro 20 gg dalla notificazione.
Per il processo di revocazione valgono le norme generali del processo di fronte a quel giudice. Occorre
inoltre tener conto del grado in cui è stata emessa la sentenza impugnata: il processo si svolgerà come nel
processo del grado in cui è stata emessa.
E’ possibile ottenere la sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, se l’esecuzione
non ha ancora avuto luogo.
Si svolge poi normale istruttoria con tutti gli accertamenti del caso.
Il giudice può emettere:

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- Pronunce in rito di inammissibilità o improcedibilità della revocazione (es. la revocazione è stata


proposta oltre i 30 gg prescritti; la parte non ha depositato la citazione nei termini…)
- Pronunce di merito di rigetto della revocazione o di accoglimento della revocazione (che annulla la
sentenza impugnata e quindi rende necessaria l’emanazione di un’altra sentenza sostitutiva di quella
revocata. La sostituzione può avvenire con unico provvedimento, se l’istruttoria effettuata per la fase
rescindente è sufficiente anche per la fase rescissoria, cioè quando le prove raccolte dal giudice per
stabilire se la sentenza doveva essere revocata, sono sufficienti anche per pronunciare la sentenza
sostituiva. Se il giudice ha le prove sufficienti per annullare la sentenza impugnata ma non per
sostituirla, allora pronuncia con sentenza la revocazione della sentenza impugnata e rimette con
ordinanza le parti in istruttoria per l’assunzione dei messi di prova necessari alla fase rescissoria. Se il
processo si estingue in questa fase, muore tutto perché vi è la sentenza che annulla e non quella che
sostituisce la sentenza annullata: si può riproporre la domanda nel merito in primo grado)
La sentenza che è pronunciata nel processo di revocazione non può essere impugnata per revocazione.

D) OPPOSIZIONE DI TERZO  E’ il mezzo di impugnazione utilizzato dai terzi, quindi non parti del
processo.
E’ disciplinato dall’art. 404, che distingue tra opposizione ordinaria (primo comma) e revocatoria
(secondo comma).
 Opposizione Ordinaria  è strumento a difesa dei soggetti non vincolati dal giudicato altrui.
La nozione di parte rilevante per l’opposizione di terzo è quella di parte processuale => sono terzi
coloro cui sono imputati gli effetti degli atti compiuti, e tra questi gli effetti delle sentenze di rito, ivi
compresa la condanna alle spese.
Il terzo per far valere l’opposizione non può limitarsi ad eccepire la nullità della pregressa fase
processuale, né far valere un interesse non protetto giuridicamente, ma deve far valere un proprio
diritto che deve sussistere nei confronti di ambedue le parti originarie.
Uno dei requisiti richiesti è che la sentenza non abbia effetti vincolanti, diretti o riflessi, nei confronti
dell’opponente: il diritto del terzo deve quindi essere autonomo, ma che sia anche incompatibile con
quello riconosciuto nella pronuncia che si oppone (diritti incompatibili = quando ciascuno di essi
nega potenzialmente l’esistenza o il contenuto dell’altro).
L’opposizione di terzo si fonda sull’incompatibilità giuridica delle situazioni sostanziali, e non
sull’impossibilità pratica di soddisfare i due diritti in conflitto.
Per quanto riguarda il pregiudizio che il terzo deve subire dalla sentenza per potervisi opporre, è
quello riguardante al cd danno da esecuzione, intendendosi per tale non l’esecuzione forzata in senso
stretto, ma l’attuazione inter partes della situazione sostanziale accertata nella sentenza, quindi
l’esecutività estrinseca all’accertamento.
Il pregiudizio presuppone una pronuncia, anche non formalmente di condanna, che riconosca dovuto
da parte del soccombente un certo comportamento, e una incompatibilità tra il comportamento
imposto dalla pronuncia e quello che il soccombente ed eventualmente il terzo devono tenere nei
confronti dell’opponente. L’opposizione di terzo ha la finalità di impedire tale pregiudizio,
eliminando il provvedimento e sostituendolo con altro che accerti la prevalenza del diritto di terzo. A
ciò consegue che, ove l’obbligato abbia tenuto per intero il comportamento impostogli, il pregiudizio
ormai si è attuato e l’opposizione non ha più senso: al terzo resterà eventualmente la possibilità di
agire in via ordinaria nei confronti della parte vittoriosa o in risarcimento dei danni.
L’opposizione di terzo è facoltativa: il terzo può raggiungere lo stesso risultato anche con altri mezzi
di impugnazione, in particolare con un’autonoma domanda in via ordinaria.
Parte della dottrina ritiene che l’opposizione di terzo sia utilizzabile dai litisconsorti necessari
pretermessi, ovvero quei soggetti che erano parti necessarie nella precedente fase processuale e non
sono stati chiamati a parteciparvi.
Un altro soggetto che è legittimato all’opposizione di terzo, è il falsamente rappresentato.
Per quanto riguarda gli effetti di accoglimento dell’opposizione di terzo, ove l’opposizione sia
proposta dal litisconsorte necessario pretermesso che abbia avanzato una domanda di merito, il
giudice riscontrato il vizio del contraddittorio, deve solo annullare la sentenza impugnata, e se è
sentenza d’appello, rimettere al giudice di primo grado; se invece l’opposizione è proposta ad un

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giudice di primo grado, questi può o previamente annullare la decisione e successivamente emettere
sentenza sostitutiva, oppure con unica decisione annullare ed emettere pronuncia sostitutiva.
Se invece l’opposizione è proposta dal titolare del diritto autonomo, incompatibile e prevalente, la
sentenza travolta dall’opposizione mantiene effetti tra le parti originarie non con riferimento al diritto
fatto valere dall’attore, ma con riferimento a diritti da esso dipendenti. Nell’ipotesi in cui il giudice
ritenga fondata l’opposizione del terzo titolare di un diritto autonomo incompatibile e prevalente, la
decisione di merito è emessa dallo stesso giudice dell’opposizione, anche in grado d’appello, senza
rimessione al giudice di primo grado. La pronuncia ha effetti sostitutivi.
 Opposizione di terzo Revocatoria è strumento a difesa dei terzi cui è opponibile il giudicato altrui.
E’ quindi lo strumento necessario per chi vuole sottrarsi all’efficacia della sentenza altrui, allegando
la sussistenza del dolo o della collusione. Non tutti i terzi vincolati al provvedimento altrui sono
legittimati a proporre opposizione: devono escludersi coloro che hanno a loro disposizione i mezzi di
impugnazione propri delle parti.
L’accoglimento dell’opposizione di terzo revocatoria è subordinata alla prova, da fornirsi
dall’opponente, che la sentenza impugnata è affetta da dolo o collusione ai suoi danni:
- Collusione è la condotta processuale, concordata tra le parti, al fine di far emettere dal giudice un
provvedimento che faccia apparire una realtà sostanziale che invece le parti in accordo ritengono
non esistente tra loro (opposizione = azione di simulazione per atti di diritto sostanziale)
- Dolo è la condotta processuale, che può essere anche solo del soccombente, con la quale si vuole
effettivamente l’alterazione fraudolenta, con il mezzo processuale, della realtà sostanziale a
danno del terzo (opposizione = azione revocatoria per atti di diritto sostanziale)
Una volta dimostrati dolo e collusione e loro incidenza sul contenuto della sentenza l’opponente non
deve dimostrare altro: la dimostrazione dell’ingiustizia della sentenza spetta a chi ne ha interesse
secondo il normale onere probatorio.
La sentenza affetta da dolo e collusione deve pregiudicare il terzo. Il pregiudizio che nasce è
ovviamente diverso per i creditori e gli aventi causa:
- Creditori: il pregiudizio consiste nell’eventus damni dell’azione revocatoria e nel pregiudizio che
arreca ai creditori l’atto simulato, quindi nella concreta diminuzione delle possibilità di
soddisfarsi sul patrimonio del debitore
- Aventi causa: il pregiudizio è diretto ed incondizionato, e consiste nell’efficacia riflessa della
sentenza che impedisce loro di sostenere che la realtà sostanziale è diversa da quella accertata dal
giudice.
Per quanto riguarda gli effetti dell’accoglimento dell’opposizione revocatoria:
- quando la pronuncia afferma un obbligo del debitore è sufficiente che gli effetti vengano
eliminato perché l’opponente riceva tutela (spetterà semmai alla parte già vittoriosa affermare che
il proprio diritto esiste a prescindere dal dolo o dalla collusione, e domandarne l’accertamento
tramite processo non viziato) => effetti solo sostitutivi
- quando la sentenza opposta nega l’esistenza di un elemento attivo del patrimonio del debitore, il
terzo, ottenuta l’eliminazione della pronuncia, dovrà chiedere che si accerti e dovrà dimostrare
che quell’elemento attivo appartiene veramente al patrimonio del debitore, e quindi può essere
oggetto di espropriazione => effetti sostitutivi e rescissori
Inoltre l’eventuale decisione in ordine alla situazione sostanziale già fatta valere nel processo che ha
portato alla sentenza opposta e annullata non può avere effetti in primis tra i titolari della situazione
stessa, in quanto la nuova decisione consegue alla domanda di uno di costoro o dell’opponente, il
quale ha senz’altro legittimazione straordinaria a far valere in giudizio il diritto del suo debitore o
dante causa.

Provvedimenti impugnabili per revocazione (art. 404 c.p.c.):


- sentenze, che devono essere passate in giudicato o cmq essere esecutive
- ordinanza di convalida di sfratto per finta locazione e per morosità (Corte Costituzionale ha
dichiarato illegittimo art 404 nella parte in cui non la prevedeva)
- statuto dei lavoratori
- decreto ingiuntivo divenuto esecutivo (con opposizione di terzo revocatoria)
- lodo arbitrale

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- nel 2006 rende possibile l’opposizione di terzo avverso le sentenze della Corte di Cassazione che
decidono nel merito: i relativi ricorsi si propongono alla Corte stessa che può pronunciare nel merito
dell’opposizione, quando non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto, altrimenti, dichiarata
ammissibile l’opposizione di terzo, rimette la causa al giudice che ha emesso la sentenza opposta.

L’opposizione di terzo ordinaria non è sottoposta ad alcun termine; l’opposizione di terzo revocatoria
deve essere proposta entro 30 gg da quando è stato scoperto il dolo o la collusione.

Competente per l’opposizione è lo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza che si impugna.
L’opposizione si propone con citazione (art. 405 II comma), ma, ove la sentenza sia stata pronunciata
secondo rito speciale, l’opposizione deve essere proposta con ricorso.
Il processo si svolge secondo le regole previste per il processo innanzi al giudice competente.
In caso di opposizione del terzo titolare di diritto autonomo incompatibile e prevalente, si avrà una nuova
istruttoria della causa, ma potranno essere utilizzate anche le prove già raccolte: l’opponente avrà cmq
diritto alla prova contraria o alla riassunzione delle prove costituende che siano state raccolte in sua
assenza; se invece l’opposizione è proposta dal litisconsorte necessario pretermesso, gli atti
anteriormente compiuti sono nulli.
L’opponente può chiedere la sospensione dell’esecuzione della sentenza impugnata, alle stesse
condizioni e con lo stesso procedimento previsto per le sentenze gravate di ricorso in cassazione, e quindi
allegando un danno grave ed irreparabile. La competenza è del giudice investito dell’opposizione che
deciderà con ordinanza non impugnabile.
Il provvedimento che decide dell’opposizione può enunciare anche:
- inammissibilità, quando si ha ipotesi dell’art. 331 c.p.c. (non integrazione del contraddittorio
necessaria) e in tutti i casi in cui l’atto introduttivo del processo sia affetto da nullità insanabile o
insanata
- improcedibilità, quando si ha ipotesi dell’art. 348 c.p.c. (improcedibilità dell’appello)

L’opposizione di terzo può trovarsi in concorso con revocazione e ricorso per cassazione: per la
giurisprudenza la riunione delle impugnazioni non è praticabile in caso di concorso tra opposizione e
ricorso per cassazione.

La sentenza che decide sull’opposizione di terzo è impugnabile con gli stessi mezzi con cui era
impugnabile la sentenza opposta.

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