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Il PROCESSO DI COGNIZIONE, che rappresenta il modello ordinario applicabile per la tutela dei diritti
soggettivi, si piò dividere in 3 fasi:
2. TRATTAZIONE: fase dedicata ad acquisire tutti quegli elementi di fatto e di diritto che servono
affinché il giudice possa formarsi il proprio convincimento.
All’interno della fase della trattazione si può collocare un’eventuale fase (eventuale perché non
necessariamente è se sempre presente), che è l’ISTRUZIONE PROBATORIA, la quale serve per la
raccolta dei mezzi di prova.
Abbiamo già detto che il processo ordinario di cognizione è un processo che necessita dell’impulso di
parte: quindi è necessario che la parte solleciti il giudice a svolgere la sua funzione tipica che si
concretizza nello IUS DICERE.
Questo diritto di azione viene esercitato attraverso un atto, ovvero l’ATTO DI CITAZIONE, che serve,
appunto, ad INTRODURRE la causa.
L’inizio del processo, però, necessita anche che l’atto di citazione sia notificato alla controparte.
1) L’indicazione del Tribunale davanti al quale la domanda è proposta: infatti, quando abbiamo
parlato della competenza, abbiamo detto che la prima indicazione contenuta nell'atto di citazione,
reca l'individuazione del giudice davanti al quale si propone la causa.
2) Il nome, il cognome, la residenza è il codice fiscale dell'attore, il nome, il cognome, il codice fiscale,
la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li
rappresentano o li assistono.
Se attore o convenuto è una persona giuridica, un'associazione non riconosciuta o un comitato, la
citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l'indicazione dell'organo o ufficio che ne
ha la rappresentanza in giudizio.
4) L'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda (cioè la causa
petendi: quindi ciò vale solo per i diritti eteroindividuati), con le relative conclusioni (cioè i concreti
provvedimenti che si chiedono al giudice).
5) l'indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l'attore intende valersi e in particolare dei
documenti che offre in comunicazione.
6) il nome e il cognome del procuratore e l'indicazione della procura (indicazione della procura alle liti,
a calce o a margine dell'atto di citazione), qualora questa sia stata già rilasciata.
A) La prima parte (da 1 a 5) allude alla c.d. EDITIO ACTIONIS: cioè serve ad individuare l’azione
esercitata.
L’art. 163, n. 4, dispone che, oltre all'esposizione dei fatti e degli elementi di diritto che
costituiscono le ragioni della domanda (cioè, la causa petendi), occorre anche specificare le
conclusioni (che sono i concreti provvedimenti che si chiedono al giudice).
Ciò assolve un’importante funzione, perché il principio della domanda necessita di
rispettare anche il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato (ex art.
112 c.p.c.): cioè il giudice deve formulare la decisione emettendo quei provvedimenti che
gli sono stati chiesti.
Allora, se applichiamo questa affermazione al caso dei diritti autoindividuati, si può dire che
nel corso del processo si può modificare la causa petendi, perché questo non comporta
una modifica del diritto fatto valere.
Es.: la proprietà resta tale, a prescindere dal fatto costitutivo, che ovviamente rileverà sul
piano probatorio, ma non sul piano dell’allegazione del fatto.
Quindi, questo significa che nel corso del processo si potranno allegare altri fatti costitutivi
del diritto autoindividuato.
Inoltre, nell’art. 163, n. 5 c.p.c. compare, oltre all’indicazione dell’editio actionis,
l’indicazione specifica dei MEZZI DI PROVA dei quali l’attore intende avvalersi e, in
particolare, dei documenti che offre in comunicazione.
Questa necessità di indicare fin dall’atto di citazione i mezzi di prova, NON è posta dal
legislatore a pena di decadenza, cioè non si forma una preclusione: quindi resta aperta la
possibilità di formulare istanze istruttorie anche oltre l’atto introduttivo del giudizio.
B) La seconda parte (6 e 7), invece, prende il nome di VOCATIO IN IUS e serve a chiamare il convenuto
davanti al giudice.
Qui si esplica la funzione della vocazione in ius dell’atto di citazione, cioè l’invito al convenuto a
costituirsi 20 giorni prima dell’udienza (o 10 giorni prima dell’udienza se è stata autorizzata la
prevenzione dei termini), specificando che la costituzione tardiva implica la decadenza di cui agli
artt. 38 e 167 c.p.c.
a) art. 38 c.p.c.: incompetenza eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, nella comparsa di
risposta;
b) art. 167 c.p.c.: domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, appena di decadenza,
nella comparsa di risposta.
à Quindi nell'atto di citazione è necessario avvertire il soggetto convenuto che ha termine per
costituirsi, se non vuole decadere dalla possibilità di compiere queste attività processuali, 20
giorni prima dell'udienza che è stata fissata.
L’atto di citazione, che deve essere sottoscritto ed è poi consegnato dalla parte o dal procuratore
all’ufficiale giudiziario, il quale provvede a notificarlo al convenuto secondo le regole contenuto
negli artt. 137 ss. c.p.c.
Il convenuto, quindi, viene citato a comparire ad udienza fissa, cioè è l’attore che indica l’udienza
alla quale il convenuto sarà tenuto a comparire.
Nel fissare questa udienza l’attore deve tenere conto della necessità di rispettare i TERMINI DI
DIFESA, cioè i termini posti dall’art. 163-bis: ovvero deve dare al convenuto la possibilità di avere a
sua disposizione un lasso di tempo adeguato per predisporre la sua difesa.
L’art. 163 bis c.p.c. stabilisce che “Della notificazione della citazione e quello dell'udienza di
comparizione, devono intercorrere termini liberi non minori:
a) di 90 giorni se il luogo della notificazione si trova in Italia;
b) e di 150 giorni se il luogo della notificazione si trova all'estero.
Però può accadere che l’attore speculi sul fatto di essere lui il soggetto che prende l’iniziativa
processuale determinando così la litispendenza (cioè, l’inizio della causa), fissando un’udienza
collocata molto in là nel tempo.
Quindi l’ordinamento prevede un meccanismo correttivo, consentendo al convenuto di chiedere
l’ANTICIPAZIONE DELL’UDIENZA.
• LA NUTTILITA’ DELLA CITAZIONE
L’ART. 164 C.P.C. offre una DISCIPLINA SPECIFICA con riferimento alla NULLITÀ DELLA CITAZIONE data
l’importanza di questo atto.
Questa disciplina offre una regolamentazione diversa a seconda che i vizi attengano:
- alla vocatio in ius;
- o all’editio actionis.
- I vizi della citazione sono sanati: cioè, se il convenuto si costituisce in giudizio senza dedurre
niente sulla validità dell’atto di citazione, restano salvi gli effetti sostanziali e processuali
della domanda fin dal momento della notificazione.
La sanatoria opera con effetto retroattivo al momento della prima notificazione.
In questo caso la sanatoria NON HA EFFICACIA RETROATTIVA: cioè, non vengono fatti salvi gli
effetti della domanda se non dal momento in cui la domanda è stata rinnovata.
Se l’attore non provvede a depositare la memoria contenente le integrazioni: il giudice chiude in
rito il processo.
• LA COMPARSA DI RISPOSTA
(comparsa di risposta= atto con il quale il convenuto si costituisce in giudizio)
All’atto di citazione corrisponde, dalla parte del soggetto convenuto, la possibilità di depositare la
comparsa di risposta.
La comparsa di risposta è l’atto con il quale il convenuto si difende rispetto all’atto di citazione
dell’attore, cioè è l’atto con il quale il convenuto può esercitare quel complesso di diritto di difesa, nel
quale si estrinsecano diverse attività (mere difese, eccezioni o formulazione di azioni: tutta questa attività
viene formalizzata all’interno della comparsa di risposta).
à Quindi, con riferimento al CONVENUTO della comparsa di risposta, il convenuto sa, perché glielo ha
detto l'attore nell'atto di citazione, che deve necessariamente, a pena di decadenza, compiere alcune
attività.
Tra queste attività vi è:
a) la proposizione di eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio;
b) e la formulazione di domanda riconvenzionale.
c) Inoltre la norma impone anche al convenuto di esplicare la sua volontà di chiamare il terzo in
causa.
“Il convenuto deve costituirsi a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge:
- almeno 20 giorni prima dell'udienza di comparizione fissata nell'atto di citazione;
- o almeno dieci giorni prima nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma
dell'articolo 163bis
- ovvero almeno venti giorni prima dell'udienza fissata a norma dell'articolo 168bis, quinto comma
depositando in cancelleria il proprio fascicolo contenente la comparsa di risposta di cui
all'articolo 167 con la copia della citazione notificata, la procura e i documenti che offre in comunicazione”.
à quindi il convenuto si deve costituire almeno 20 giorni prima dell'udienza di prima comparizione
fissata nell'atto di citazione
“L'attore:
- entro 10 giorni dalla notificazione della citazione al convenuto;
- ovvero entro cinque giorni nel caso di abbreviazione di termini a norma del secondo comma
dell'articolo 163bis,
deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, o personalmente nei casi consentiti dalla legge,
depositando in cancelleria la nota d'iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l'originale della
citazione, la procura e i documenti offerti in comunicazione.
Se si costituisce personalmente, deve dichiarare la residenza o eleggere domicilio nel comune ove ha sede il
tribunale.
Se la citazione è notificata a più persone, l'originale della citazione deve essere inserito nel fascicolo entro
dieci giorni dall'ultima notificazione.
à Quindi l'attore si deve costituire entro 10 giorni dalla notificazione dell’atto di citazione al convenuto,
depositando la nota di iscrizione a ruolo ed il fascicolo.
L’ART. 171 C.P.C. prevede e disciplina il caso in cui LE PARTI NON SI COSTITUISCONO IN GIUDIZIO,
secondo il quale:
1. “Se nessuna delle parti si costituisce nei termini stabiliti (165 e 166) si applicano le disposizioni
dell'articolo 307, 1° e 2° comma.
à L’art. 307 è la norma che disciplina l’estinzione del processo per inattività delle parti.
2. Se una delle parti si è costituita entro il termine rispettivamente a lei assegnato, l'altra parte può
costituirsi successivamente fino alla prima udienza, ma restano ferme per il convenuto le
decadenze di cui all'articolo 167.
3. La parte che non si costituisce neppure in tale udienza è dichiarata contumace con ordinanza del
giudice istruttore, salva la disposizione dell'articolo 291.
“All'atto della costituzione dell'attore o, se questi non si è costituito, all'atto della costituzione del
convenuto, su presentazione della nota d'iscrizione a ruolo, il cancelliere iscrive la causa nel ruolo
generale.
à è un libro nel quale compaiono tutte le cause iscritte ed alle quali viene assegnato un numero, che è il
numero di ruolo generale.
Contemporaneamente il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio, nel quale inserisce la nota di iscrizione a
ruolo, copia dell'atto di citazione, delle comparse e delle memorie in carta non bollata, e successivamente,
i processi verbali di udienza, i provvedimenti del giudice, gli atti d'istruzione e la copia del dispositivo delle
sentenze.”
à Cioè, il cancellerie forma il fascicolo d’ufficio, il quale conterrà tutti gli atti che le parti si sono
scambiate, tutti i provvedimenti del giudice, tutti i documenti che le parti avranno depositato, tutti i
processi verbali nei quali si darà conto di quello che è accaduto nel corso delle udienze.
L’ART. 168-BIS C.P.C. stabilisce che:
2. La designazione del giudice istruttore deve, in ogni caso, avvenire non oltre il secondo giorno
successivo alla costituzione della parte più diligente.
3. Subito dopo la designazione del giudice istruttore il cancelliere iscrive la causa sul ruolo della
sezione, su quello del giudice istruttore e gli trasmette il fascicolo.
4. Se nel giorno fissato per la comparizione il giudice istruttore designato non tiene udienza, la
comparizione delle parti è d'ufficio rimandata all'udienza immediatamente successiva tenuta dal
giudice designato.
5. Il giudice istruttore può differire, con decreto da emettere entro 5 giorni dalla presentazione del
fascicolo, la data della prima udienza fino ad un massimo di 45 giorni.
In tal caso il cancelliere comunica alle parti costituite la nuova data della prima udienza.
àSarà questa la data a cui il convenuto dovrà far riferimento per calcolare i 20 giorni entro i quali
si deve costituire se non vuole incorrere nelle decadenze indicate dalle norme che abbiamo
esaminato.
- la regola generale è contenuta nell’art. 50 ter c.p.c., secondo il quale “fuori dei casi previsti
dall’art. 50 bis, il tribunale giudica in composizione monocratica”.
à si tratta di un'elencazione che non segue una ratio comune, per cui si ritiene che questi siano
casi che devono essere sottoposti ad un’interpretazione rigida e che rappresenti un’elencazione
tassativa.
L’art. 50-ter c.p.c. disciplina le cause nelle quali il Tribunale giudica in composizione monocratica.
L’art. 50-bis c.p.c. disciplina le cause nelle quali il Tribunale giudica in composizione collegiale.
• ISTRUZIONE DELLA CAUSA
Con riferimento ai poteri che ha il giudice, l’ART. 175 C.P.C. stabilisce che:
“Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento.
Egli fissa le udienze successive e i termini entro i quali le parti debbono compiere gli atti processuali”.
Questa è una norma generale che attribuisce in qualche modo dei POTERI DIRETTIVI AL GIUDICE.
L’ART. 183 C.P.C. disciplina la prima comparizione delle parti e la trattazione della causa.
Tale norma dispone che:
- il giudice, all’udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione, la prima cosa
che deve fare è verificare la REGOLARITA’ DEL CONTRADDITTORIO.
- Nel procedere a questa verifica compie una serie di accertamenti che possono obbligarlo a
pronunciare diversi provvedimenti.
Se vi sono irregolarità nel contraddittorio, il giudice pronuncerà tali provvedimenti:
a) integrazione del contraddittorio in caso di litisconsorzio necessario;
b) sanatoria della citazione/rinnovazione della citazione;
c) sanatoria della domanda riconvenzionale;
d) sanatoria di difetti di rappresentanza, assistenza e autorizzazione;
e) sanatoria dei vizi di notificazione della citazione.
Infatti, ad un certo punto il Tribunale di Milano, facendosi promotore di un utilizzo più moderno della
conciliazione, aveva promosso il c.d. progetto conciliamo, istituendo presso lo stesso Tribunale un organo
di conciliazione, al quale i giudici inviavano le parti nelle ipotesi in cui avessero verificato che c’era spazio
per una conciliazione, consentendo in questo modo che la conciliazione si svolgesse, non davanti al
giudice, ma davanti ad un soggetto conciliatore/mediatore.
à Tutto questo avveniva prima dell’entrata in vigore del PROVVEDIMENTO LEGISLATIVO che ha
INTRODOTTO nel nostro ordinamento la MEDIAZIONE (provvedimento del marzo 2010), che impone la
mediazione come condizione di procedibilità per una serie di controversie.
In questo caso, ovviamente, non ha più senso l’obbligo del tentativo di conciliazione davanti al giudice,
perché le parti, in realtà, avranno in un gran numero di casi, già provveduto a tentare la conciliazione.
Ciò nonostante, l’ART. 185 C.P.C. consente comunque al giudice di fissare una nuova udienza quando le
parti concordemente gli richiedono di espletare la conciliazione.
3. Inoltre, la norma prevede per le parti la possibilità di farsi rappresentare anche da un procuratore
speciale, quindi da un procuratore che viene nominato ad hoc per questo interrogatorio.
La norma, per altro, dice che il soggetto deve essere però a conoscenza dei fatti di causa, perché,
comunque, le mancata conoscenza potrà essere valutata come argomento di prova.
à Quindi vi è una deroga alla rappresentanza volontaria disciplinata dall’art. 77 c.p.c., rispetto alla
quale occorre che ci sia coincidenza tra piano processuale e piano sostanziale: cosa che qua,
invece, non è prevista perché, appunto, la parte può farsi rappresentare anche da un procuratore
speciale
In questo caso, L’ART. 183 C.P.C., stabilisce che:
2. Nell’udienza di trattazione o in questa nuova udienza, il giudice richiede alle parti, sulla base dei
fatti allegati:
- i chiarimenti necessari;
- ed indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione.
à Questa è una norma molto importante perché va collegata con la necessità per il giudice di realizzare il
CONTRADDITTORIO SULLE QUESTIONI CHE IL GIUDICE STESSO RILEVA.
- l'ATTORE può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda
riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto.
Può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli
articoli 106 e 269, co. 3, se l'esigenza è sorta dalle difese del convenuto.
Questa parte della norma dell’art. 183, così come quella successiva, è molto importante, perché ci
aiuta a capire entro che limiti si può incidere sul contenuto della citazione nella comparsa di
risposta.
Cioè:
- fino a che punto si possono allegare nuovi fatti e nuove prove;
- e fino a che punto si possono modificare le domande che sono già state formulate.
a) Quando la norma stabilisce che “l'attore può proporre domande ed eccezioni che sono
conseguenza delle domande riconvenzionali e delle eccezioni proposte dal convenuto”, si
riferisce ad un'attività che si rende necessaria a seguito della dialettica processuale, come
risposte a ciò che il convenuto ha detto (diritto di replicare a quanto compiuto dal
convenuto).
1) Per quanto riguarda la PRIMA TRANCHE di attività che l’ATTORE può compiere a seguito di
come si è difeso il convenuto, come effetto della dialettica processuale, l’attore può:
- inoltre, l’attore può allegare fatti impeditivi, estintivi o modificativi del diritto fatto
valere dal convenuto con la sua domanda riconvenzionale.
à Tutte queste attività che l’attore può compiere a seguito della dialettica processuale con
il convenuto, si ritiene che possano determinare anche quello dello IUS POENITENDI di cui
alla seconda tranche, in quanto si ritiene che possa essere esercitato anche come
conseguenza della dialettica processuale, dalla quale può sorgere l’esigenza per le parti di
modificare le loro domande, le loro eccezioni e le loro conclusioni.
à Ciò che abbiamo visto con riferimento all’attore PUO’ VALERE CON IL CONVENUTO: cioè
teniamo presente che a parti contrapposte deve essere garantita la possibilità di
interloquire.
2) Per quanto riguarda invece la SECONDA TRANCHE (che abbiamo detto che può essere o non
essere agganciato alla dialettica processuale), la norma stabilisce che “le parti possono in
ogni caso precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate”.
4. Le attività di cui abbiamo parlato fino ad adesso, sono attività che il legislatore concede vengano
formulate oralmente all’udienza.
L’art. 183 c.p.c. dice però anche che QUESTE ATTIVITA’ POSSONO ESSERE COMPIUTE CON UNA
TRATTAZIONE SCRITTA: questo però occorre che VENGA RICHIESTO AL GIUDICE, IL QUALE
ASSEGNERA’ UN TERMINE PERENTORIO PER LO SCAMBIO DI 3 ATTI:
- Il primo atto avrà ad oggetto solo le attività di cui abbiamo parlato, cioè si potrà depositare
una memoria nella quale precisare, modificare: le domande, le eccezioni e le conclusioni
già proposte.
Cioè tutto quello che può essere fatto oralmente, si può chiedere al giudice che venga fatto
oggetto di una trattazione scritta attraverso lo scambio di queste tre memorie
(30 giorni);
- La seconda memoria è mista, perché oltre a contenere le repliche alle domande e alle
eccezioni nuove modificate dall’altra parte, deve contenere l’indicazione dei mezzi di prova
e le produzioni documentali: questo rappresenta il momento in cui le parti devono
assolvere anche agli oneri probatori formulando le istanze istruttorie, perché dopo questo
momento decadono dalla possibilità di formulare queste istanze istruttorie
(30 giorni);
- L’ultimo termine per lo scambio di memorie, riguarda le sole indicazioni di prova contraria,
cioè quelle indicazioni che si possono formulare contro le istanze istruttorie formulate
dalla controparte.
(20 iorni).
5. Inoltre, la norma stabilisce che se il giudice istruttore non ritiene la causa matura per la decisione:
- Il giudice istruttore provvede sulle richieste fissando l'udienza di assunzione dei mezzi di
prova mediante ordinanza emanata fuori udienza: questa ordinanza deve essere
pronunciata entro 30 giorni;
- Il giudice istruttore dispone d'ufficio mezzi di prova con ordinanza emanata fuori dal
processo.
Ciascuna parte può dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con
l'ordinanza stessa, i mezzi di prova che si rendono necessari in relazione a quelli disposti
d'ufficio dal giudice e depositare memoria di replica nell'ulteriore termine perentorio
assegnato dal giudice.
àCon ordinanza che ammette le prove il giudice può disporre, se lo ritiene utile, il libero
interrogatorio delle parti.
Se invece il giudice ritiene la causa matura per la decisione (ex art. 187) Senza bisogno di
assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio
Bisogna aggiungere che chiusa la fase di trattazione in senso stretto, ULTERIORI ALLEGAZIONI sono
ammissibili solo eccezionalmente, cioè:
- nel caso di sopravvenienze di fatto o di diritti;
- o in caso di mancato funzionamento corretto del contraddittorio, per cui si deve procedere,
appunto, consentendo l’allegazione di nuovi fatti.
Con riferimento alle attività che può compiere il giudice istruttore, già abbiamo detto dell’importanza
sistematica che viene sempre più a svolgere l’art. 175 c.p.c.
“Tutti i provvedimenti del giudice istruttore, salvo che la legge disponga altrimenti, hanno la
forma dell'ORDINANZA.
o Le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle
che dovevano comparirvi;
o quelle pronunciate fuori dell'udienza sono comunicate a cura del cancelliere entro i tre
giorni successivi”.
“Le ordinanze, comunque motivate, non possono mai pregiudicare la decisione della causa.
Salvo quanto disposto dal seguente comma, le ordinanze possono essere sempre modificate o
revocate dal giudice che le ha pronunciate.
Non sono modificabili né revocabili dal giudice che le ha pronunciate:
o le ordinanze pronunciate sull'accordo delle parti, in materia della quale queste possono
disporre; esse sono tuttavia revocabili dal giudice istruttore o dal collegio quando vi sia
l'accordo di tutte le parti;
o le ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge;
o Le ordinanze per le quali la legge predisponga uno speciale mezzo di reclamo.
“Le parti, senza bisogno di mezzi di impugnazione, possono proporre al collegio, quando la causa è
rimessa a questo, a norma dell'art. 189 tutte le questioni risolute dal giudice istruttore con
ordinanza revocabile.
L'ordinanza del giudice istruttore, che non operi in funzione del giudice unico, quando dichiara
l'estinzione del processo, è impugnabile dalle parti con reclamo immediato al collegio”.
Ai sensi gli ARTT. 177 E 178 C.P.C. LE ORDINANZE CHE VENGONO PRONUNCIATE DAL GIUDICE
ISTRUTTORE NON POSSONO MAI PREGIUDICARE LA DECISINE DELLA CAUSA.
I co. 2 e 3 dell’art. 187 c.p.c. si riferiscono alle questioni preliminari di rito e di merito.
- Il CO. 2 stabilisce che “il giudice istruttore può rimettere le parti al collegio, affinché sia decisa
separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la decisione di
essa può definire il giudizio”.
- Il CO. 3 stabilisce che “il giudice provvede analogamente se sorgono questioni attinente alla
giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali, ma può anche disporre che siano decise
unitamente al merito”.
- il giudice dovrà accogliere la domanda quando sono sussistenti tutti gli elementi costitutivi della
fattispecie del diritto fatto valere e sono inesistenti tutti i fatti estintivi, modificativi o impeditivi:
questo è il presupposto affinché il giudice possa accogliere la domanda.
- Affinché il giudice possa rigettare la domanda è sufficiente che si che si convinca dell’inesistenza di
un elemento della fattispecie costitutiva del diritto, oppure dell’inesistenza di anche di un solo
fatto estintivo, modificativo o impeditivo: in questo caso la causa è matura per la decisione perché
per lui sarà scontato l’esito.
à Lo stesso vale con riguardo alle questioni preliminari di rito, che sono quelle questioni che devono
essere idonee a venire in giudizio (ES.: giudice che ritenga di essere incompetente: è stata sollevata
questione di incompetenza, il giudice pensa che tutto sommato l'eccezione sia fondata e dice che è inutile
che andiamo avanti, rimettiamo la decisione).
In considerazione del solito tema della lunghezza del processo, il legislatore è intervenuto dettando
queste 3 norme, che contengono la disciplina di altrettanti provvedimenti anticipatori di condanna:
- l’art. 186-bis c.p.c.: ordinanza per il pagamento delle somme non contestate;
- l’art. 186-ter c.p.c.: istanza di ingiunzione;
- l’art. 186-quater c.p.c.: ordinanza successiva alla chiusura dell’istruzione.
L’art. 186-bis c.p.c. stabilisce che “su istanza di parte, il giudice istruttore può disporre, fino al
momento della precisazione delle conclusioni, il pagamento delle somme non contestate dalle
parti costituite.
- l’ordinanza sarà sempre soggetta alla disciplina delle ordinanze revocabili, quindi potrà
sempre essere revocata e non comporta uno stralcio di una parte del giudizio (perché
quello che le parti hanno inizialmente contestato, potranno contestarlo in un momento
successivo e determinare così la necessità di procedere alla revoca dell'ordinanza);
- si tratta di un provvedimento che può essere pronunciato solo nei confronti delle parti
costituite.
Quindi la non contestazione non potrà evincersi dal semplice silenzio, necessitato dal
soggetto che ha deciso di restare estraneo al processo.
Allora, la non contestazione si evincerà da un sistema di difese utilizzate dalla parte, che,
in qualche modo, viene implicitamente ad ammettere di dovere almeno una parte delle
somme dovute.
- Questa ordinanza costituisce titolo esecutivo: viene pronunciata ben prima della sentenza
e vale già come titolo esecutivo e quindi è un’ordinanza anticipatoria di condanna ed il
momento utile fino alla quale si può pronunciare è la precisazione delle conclusioni.
L’art. 186-ter c.p.c. richiama la possibilità di ottenere, nell’ambito del processo ordinario di
cognizione, un provvedimento che altrimenti si può ottenere attraverso un processo speciale (che
è quello disciplinato dall’art. 633 c.p.c.)
Il procedimento di ingiunzione disciplinato dall’art. 633 c.p.c. è un procedimento speciale in
quanto:
- per poter utilizzare questo procedimento, gli artt. 633 e 634 c.p.c. pongono come
condizione di ammissibilità la prova scritta del credito fatto valere: quindi è in
procedimento che può essere utilizzato quando, a fondamento del diritto di credito fatto
valere, si producono prove scritte.
- questo provvedimento può essere chiesto fino al momento della precisazione delle
conclusioni, quindi fino al momento in cui si conclude la fase di trattazione.
La dottrina dice che l’interesse a chiedere questo provvedimento sorge nel corso del
giudizio perché, per esempio, la prova scritta è sopravvenuta in quel momento (l'attore
non ce l'aveva nel momento in cui ha assunto l'iniziativa processuale scegliendo il
procedimento ordinario di cognizione e ha scelto quel procedimento proprio perché, per
provare il diritto fatto valere, aveva bisogno di articolare delle prove costituende. Durante il
processo, sopravviene la prova scritta ed ecco che ha la possibilità di chiedere questo
provvedimento).
- Può darsi che l’iniziativa processuale non sia stata assunta dal creditore ma dal debitore
che ha agito in sede di accertamento negativo (il debitore può chiedere che venga
accertata l'assenza del vincolo che lo Lega al creditore): in questo caso, il creditore che ha
nelle sue mani la priva scritta del credito fatto valere, e che si è trovato coinvolto in un
giudizio ordinario di cognizione, potrà utilizzare quella prova scritta per ottenere il
provvedimento di cui all’art. 186-ter c.p.c.
Noi non trattiamo dell’istruzione, ma dobbiamo ragionare come se l’istruzione fosse esaurita:
- Abbiamo già interpretato l’art. 187 c.p.c., quando abbiamo visto i provvedimenti del giudice
istruttore, il quale può ritenere che la causa sia matura per la decisione di merito, senza
bisogno di assumere mezzi di prova.
à art. 187 c.p.c. = no istruttoria.
à Qui ragioniamo come se il processo fosse un processo di competenza del Tribunale che svolge la
sua funzione in composizione collegiale, all’interno del quale si distingue la figura del giudice
istruttore che procede all’assunzione dei mezzi di prova (casi in cui c'è un giudice istruttore che ha
svolto l'istruttoria e che, esaurita l'istruzione, rimette le parti al collegio, nel senso che si
presuppone che sia uno di quei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale ex art. 50
bis c.p.c.).
• L’UDIENZA DI PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI – ARTT. 189 E 190
C.P.C.
Per rimettere la causa al Tribunale collegiale, prima di tutto il giudice istruttore deve invitare le parti a
precisare le conclusioni.
Le CONCLUSIONI sono le RICHIESTE CHE LE PARTI FANNO AL COLLEGIO E CHE POSSONO AVERE AD
OGGETTO LE QUESTIONI PIU’ VARIE (possono avere ad oggetto istanze istruttorie, richieste di rito,
richieste di merito, etc.).
- la sentenza statuisce con riferimento alla situazione di fatto e di diritto che esiste nel momento in
cui sono state precisate le conclusioni.
- è con riferimento alle conclusioni che si riesce ad individuare la parte soccombente, la quale avrà
quindi interesse ad impugnare la sentenza.
- con la precisazione delle conclusioni le parti non possono fare nuove allegazioni, non possono
produrre nuovi documenti e non possono formulare nuove istanze istruttorie, perché tutte
queste sono attività che ormai sono precluse alla parte.
Potranno semplicemente modificare le conclusioni quando ciò non comporti, appunto, nuove
allegazioni o nuove richieste istruttorie (es. potranno modificare in più o meno la somma
richiesta).
Le parti in questa sede devono riproporre al collegio tutte le questioni che sono state decise dal giudice
istruttore con ordinanza e che non devono essere riesaminate d’ufficio in sede decisoria.
Es.: se il giudice istruttore ha rigettato un’istanza istruttoria e lo ha fatto con ordinanza, le parti dovranno
riproporre al collegio la questione perché su questa questione il collegio non è tenuto a decidere d’ufficio.
Con l’udienza di precisazione delle conclusioni, la causa passa in decisione, cioè il giudice istruttorio si
spoglia di quelli che sono i suoi poteri, si spoglia della causa che viene acquisita al collegio, di fronte al
quale si svolgono le successive attività processuali.
3. LA FASE DECISORIA
Nelle comparse conclusionali le parti non potranno modificare le conclusioni che hanno già precisato, ma
useranno la comparsa conclusionale PER SVILUPPARE GLI ARGOMENTI POSTI A SOSTEGNO DELLE LORO
POSIZIONI PROCESSUALI: quindi per sviluppare le ragioni poste a sostegno della domanda o per
sviluppare le difese formulate dal convenuto.
- L’ART. 275 C.P.C.: prima della riforma del 1990, la discussione orale era una tappa obbligatoria del
procedimento ed in realtà essa si traduceva, quasi sempre, in un rimettersi alle conclusioni già
formulate.
Così, il legislatore, nell’art. 275 c.p.c. ha previsto che DEVONO ESSERE LE PARTI A RICHIEDERE DI
DISCUTERE ORALMENTE LA CAUSA DAVANTI AL COLLEGIO ed ha così evitato di considerare la
discussione orale una tappa obbligatoria del procedimento.
Inoltre, i termini per il deposito della sentenza presso la cancelleria del Tribunale (60 giorni) sono
dei termini semplicemente ordinatori (cioè, per la sua inosservanza, non sono previste sanzioni o
effetti sfavorevoli).
- Della REDAZIONE DELLA SENTENZA si occupa l’art. 119 delle disposizioni di attuazione del Codice
di procedura civile.
Tale norma dispone che la sentenza viene sottoscritta dal Presidente e dal relatore.
à Queste norme valgono con riferimento al processo che si è svolto davanti al collegio, quindi nei casi di
cui all’art. 50-bis c.p.c.
- L’ART. 281-QUATER C.P.C. stabilisce che: “le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione
monocratica sono decise, con tutti i poteri del collegio, dal giudice istruttore”.
- L’ART. 281-QUINQUIES C.P.C. stabilisce che: “Il giudice, fatte precisare le conclusioni a norma
dell’art. 189, dispone lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma
dell’art. 190 e, quindi, deposita la sentenza in cancelleria entro 30 giorni dalla scadenza del
termine per il deposito delle memorie di replica.
- L’ART. 281-SEXTIES C.P.C. stabilisce che “la sentenza si intende pubblicata con la sottoscrizione da
parte del giudice del verbale che la contiene ed è immediatamente depositata in cancelleria”.
La prima parte dell’art. 279 c.p.c. si riferisce ai provvedimenti che abbiamo ad oggetto l’istruttoria della
causa e, in questi casi, il provvedimento ha la forma dell’ORDINANZA.
In questo caso il collegio è incerto sulla valutazione o il contenuto dei mezzi di prova che sono stati
acquisiti dal giudice istruttore ed ordina la ripetizione/riassunzione del mezzo di prova davanti a sé.
In questo caso LA CAUSA NON TORNA IN ISTRUTTORIA e quindi, la differenza rispetto al caso in cui ci
siamo occupati prima, è che QUI NON SARA’ NECESSARIA UN’ULTERIORE UDIENZA DI PRECISAZIONE
DELLE CONCLUSIONI.
- Il giudice decidendo alcune delle questioni sopra indicate, non definisce (cioè non conclude) il
giudizio ed impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa: SENTENZE
NON DEFINITIVE DI RITO E DI MERITO.
- Quando il giudice pronuncia un’ORDINANZA: non si spoglia del potere di ritornare su quanto ha
costituito oggetto del suo provvedimento.
- Quanto, invece, il giudice pronuncia sulla questione SENTENZA: il giudice perde il potere di tornare
su quanto ha lui deciso con la sentenza.
La decisione potrà essere messa in discussione solo in quanto attaccata con i mezzi di
impugnazione.
Quando il collegio si pronuncia con sentenza, il collegio non potrà più ritornare sull’oggetto su cui
si è pronunciato: tale facoltà spetterà solo al giudice d’appello.
Il giudice non è libero nell’adottare la forma del provvedimento, perché la scelta è stata già fatta dal
legislatore.
Però può succedere che il giudice sbagli (es: ammetta un mezzo di prova con la sentenza invece che con il
provvedimento dell’ordinanza): in questo caso, il regime del provvedimento non dipende dalla forma in
concreto scelta dal giudice, ma dalla forma che in astratto il provvedimento avrebbe dovuto avere.
Cioè, non è che siccome il provvedimento ammissivo della prova è stato assunto con sentenza, quel
provvedimento sarà impugnabile come sono impugnabili le sentenze: il regime sarà quello dell’ordinanza
revocabile dal giudice che l’ha pronunciata.
Però la regola generale è che IL GIUDICE SI PRONUNCIA CON ORDINANZA TUTTE LE VOLTE IN CUI LA
LEGGE NON GLI IMPONGA DI PRONUNCIARSI CON SENTENZA.
Abbiamo detto che, secondo l’ART. 279, CO. 2 C.P.C., I CASI in cui il GIUDICE DEVE PRONUNCIARSI con
SENTENZA sono:
- Il giudice decidendo alcune delle questioni sopra indicate, non definisce (cioè non conclude) il
giudizio ed impartisce distinti provvedimenti per l’ulteriore istruzione della causa: SENTENZE
NON DEFINITIVE DI RITO E DI MERITO.
Il N. 1 e la PRIMA PARTE DEL N. 2 si riferiscono alle SENTENZE DEFINITIVE DI RITO: quando il giudice
definisce il giudizio decidendo questioni di giurisdizione allude al caso in cui il giudice dichiara di non
avere giurisdizione per la causa che è sottoposta al suo esame e questo comporta la definizione
(conclusione) del giudizio.
Il giudizio può essere definito (concluso) quando il giudice decide di questioni pregiudiziali attinenti al
processo (=QUESTIONI PRELIMINARI DI RITO): se il giudice si pronuncia, per esempio, sull’assenza delle
condizioni dell’azione, definisce (conclude) il processo decidendo, appunto, di questioni che attengono il
rito.
• SENTENZA DEFINITIVA DI MERITO
La SENTENZA DEFINITIVA DI MERITO è prevista nella SECONDA PARTE DEL N. 2, quando si allude al fatto
che il giudice definisce il giudizio decidendo questioni preliminari di merito o quando il giudice definisce
il giudizio decidendo totalmente il merito.
Qui la terminologia del legislatore non è del tutto corretta perché il N. 2 si riferisce alle preliminari di
merito.
Allora, è evidente che quando il giudice definisce il giudizio, in accoglimento, per esempio, di una
questione preliminare di merito quale la prescrizione, il giudice definisce totalmente il merito (è vero che
andrà a verificare se il diritto effettivamente sia mai esistito; ma, decidendo che comunque quel diritto si è
prescritto, decide totalmente il merito e quindi questa pronuncia viene ad equivalere a quella di cui al
numero 3 che allude al caso in cui il giudice definisce il giudizio decidendo totalmente il merito perché, per
esempio, dichiara che il diritto fatto valere non esiste).
Facciamo l’esempio di prima: il giudice rimette la decisione al collegio su una questione preliminare di
merito, per esempio sulla questione di prescrizione.
Quando rimette la questione è perché è convinto che quella questione si in grado di definire il giudizio,
quindi sia fondata.
In sede decisoria, si rende conto che la questione non è fondata: a questo punto succede che pronuncia
una sentenza non definitiva nella quale dirà che non c’è stata prescrizione, ma nello stesso tempo deve
fissare con ordinanza la prosecuzione del processo, perché, a questo punto, l’istruttoria non si è svolta
per verificare se effettivamente il diritto esisteva o meno e quindi è necessario che vi sia l’istruttoria.
A questo punto avremo una sentenza non definitiva sulla questione di merito ed un ulteriore
provvedimento con il quale si dispone che avvenga l’istruttoria.
Ora: il soggetto che si è visto respingere l’eccezione di prescrizione è, rispetto alla sentenza non
definitiva, un soggetto soccombente perché si è visto non accolta la propria eccezione.
Teniamo presente che queste questioni preliminari di rito e di merito sono questioni che non hanno
l’idoneità ad essere oggetto autonomo del processo (non possiamo istaurare un processo per chiedere solo
l’accertamento sull’intervenuta prescrizione).
Da questo punto di vista, il fatto di risultare soccombenti rispetto a queste questioni, fa sì che si parli di una
soccombenza meramente teorica, perché questa soccombenza RIGUARDA SOLO LA QUESTIONE
PRELIMINARE DI RITO O DI MERITO.
Tornando al caso che abbiamo fatto: sollevata l’eccezione di prescrizione, essa costituisce una questione
preliminare di merito. Il giudice pensa che questa questione sia idonea a definire (concludere) il giudizio, la
rimette indecisione e in quella sede ci si rende conto che la questione non è fondata: viene pronunciata
una sentenza non definitiva che dice che il diritto non si è prescritto.
A quel punto, però, si svolgerà un’istruttoria per accertare se effettivamente il diritto è venuto ad
esistenza e nulla esclude che quel processo si concluda con una sentenza che dica che il diritto non è mai
venuto ad esistenza, quindi una sentenza che assorbe in qualche modo il pregiudizio causato al
convenuto dall’essere risultato soccombente sulla questione preliminare di merito rappresentata dalla
prescrizione.
Ripetiamo: ci stiamo occupando delle sentenze non definitive. Queste sentenze non definitive possono
essere sentenze non definitive di rito, oppure sentenze non definitive di merito.
Abbiamo utilizzato l’esempio di una sentenza non definitiva di merito, pronunciata quindi su una
questione preliminare di merito quale può essere l’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto.
Che cosa accade: accade che il giudice abbia rimesso la questione preliminare di merito in decisione,
convinto della fondatezza della stessa.
In sede di decisione, ci si rende conto che quella questione non è fondata, e allora pronuncia una sentenza
nella quale si dice che il diritto non è prescritto.
A quel punto, però, occorrerà svolgere l’istruttoria per verificare che quel diritto che se anche fosse venuto
ad esistenza, comunque, si sarebbe prescritto in una prima fase si è ritenuto di non svolgere l’istruttoria
per verificarne l’effettiva esistenza, occorrerà svolgere l’istruttoria per capire se questo diritto è esistito o
meno.
Allora, queste questioni preliminari di rito o di merito, sono questioni che non possono essere oggetto di
un autonomo processo / non hanno un oggetto idoneo a reggere un processo, e questo spiega anche il
fatto che la soccombenza del soggetto che si vede respinta l’eccezione, nel caso di specie, di prescrizione, è
una soccombenza meramente teorica, perché nulla esclude che nel caso che il giudice, in sede di pronuncia
della sentenza definitiva, dica comunque che il diritto non è mai venuto ad esistenza: in quel caso, la
soccombenza del convenuto sulla questione preliminare di merito, è assorbita da una sentenza per lui
comunque favorevole, perché è una sentenza che dirà che comunque il diritto non si era prescritto, ma
comunque non è mai neanche venuto ad esistenza.
Quindi, il soccombente teorico, è “teorico” perché nulla esclude che egli possa avere poi ragione sulla
definitiva in modo pieno.
- Lasciare che la SENTENZA NON DEFINITIVA PASSI IN GIUDICATO, così la questione diventa
immutabile ed incontestabile.
Qui siamo di fronte ad un caso in cui si ha una scissione del CONTENUTO della sentenza tra l’an ed il
quantum.
La possibilità per il collegio di pronunciare questo provvedimento, presuppone che ci sia una RICHIESTA
DI PARTE e, in questo caso, il collegio pronuncia con sentenza una condanna generica perché manca della
quantificazione.
Questo è un provvedimento che si pronuncerà soprattutto in caso di risarcimento dei danni, quando si
tratterà di verificare l’ASTRATTA esistenza del diritto al risarcimento, che potrà poi essere negata in sede
di liquidazione (perché è possibile che pur astrattamente configurandosi una fattispecie risarcitoria, poi di
fatto non si sia verificato alcun danno risarcibile).
l’interesse deriva dal fatto che a questo provvedimento di condanna generica, sono collegati alcuni effetti
tipici della sentenza di condanna, cioè vale ad iscrivere l’IPOTECA GIUDIZIALE sui beni del debitore e
trasforma la prescrizione breve in PRESCRIZIONE DECENNALE.
In questo caso:
A) il giudice può decidere con UNA UNICA SENTENZA (art. 277 comma 1 c.p.c.).
B) oppure può succedere che il collegio decida SOLO SU ALCUNE DOMANDE PROPOSTE e questo
accadrà quando per le altre sia necessaria un’ulteriore attività istruttoria.
Questa fattispecie, in cui il giudice ne decide solo alcune, ha luogo in 2 casi:
1. Il primo è quello previsto dal n. 5 dell’art. 279 c.p.c.: in questo caso siamo di fronte ad un
esplicito provvedimento di separazione delle cause, a cui segue:
- la decisione delle cause mature;
- e la rimessione in istruttoria per le cause che, invece, necessitano ancora di istruttoria;
à Le sentenze che vengono emesse sono sentenze definitive e per tanto non trova
applicazione la tecnica della riserva di appello (che presuppone che si tratti di sentenze non
definitive): quindi o si impugna subito o la sentenza passa in giudicato.
2. L’altra fattispecie che dobbiamo prendere in considerazione è disciplinata dal co. 2 dell’art. 277
c.p.c..
In questo caso:
o è necessario l’istanza di parte per la decisione di alcune soltanto delle domande e;
o se il giudice ritiene apprezzabile l’interesse di chi gli ha formulato l’istanza, decide solo
su alcune delle domande e rimette in istruttoria le altre.
In questo caso, a differenza di quello previsto dal n. 5 dell’art. 279 c.p.c., non abbiamo un
provvedimento di separazione delle cause.
Tale articolo dispone che per le sentenze non definitive sulle questioni preliminari di merito e di rito non
si ha la possibilità della riserva dell’impugnazione in cassazione.