Ripartiamo dal giuramento. La norma di partenza è l’art 2736 cc che ci introduce le tre forme di giuramento. Il giuramento decisorio
che è un mezzo di prova nella diponibilità esclusiva delle parti (previsto nel n.1 art 2736cc) poi il giuramento suppletorio ed il
giuramento estimatorio che rientrano tra i poteri istruttori d’ufficio del giudice (previsti nel n. 2 art 2736cc).
Il giuramento in tutte queste ipotesi è un mezzo di prova legale, quindi è una dichiarazione giurata, una dichiarazione solenne che una
parte rende, che ha ad oggetto la verità di fatti favorevoli alla parte che rende la dichiarazione e che ha effetto di prova legale. Quindi
l’effetto del giuramento è questo: che i fatti oggetto del giuramento si devono ritenere definitivamente accertati. Non sussiste alcuna
possibilità di offrire una prova contraria. Anzi si parla, con riferimento al giuramento, di una prova legale assoluta nel senso che non
c’è alcuna possibilità per la controparte di offrire una prova contraria e il giudice è vincolato a ritenere esistenti i fatti oggetto di
giuramento.
L’effetto del giuramento non salta neppure nel caso in cui ne venga accertata la falsità. Neppure a seguito di una sentenza di
condanna penale emanata nei confronti della parte che ha prestato un giuramento falso, la sentenza resa sulla base di quel giuramento
può saltare. Il giuramento falso non è previsto fra i casi di revocazione della sentenza. Non rientra tra le previsioni dell’art. 395cpc
È un mezzo di prova che è nato in un contesto storico completamente diverso dal nostro è infatti un istituto che risale all’ordinamento
romano. Un momento in cui una dichiarazione solenne/formale in cui era prevista anche l’invocazione della divinità, sicuramente
aveva un significato molto diverso rispetto a quello che ha nell’attuale contesto storico e sociale. È un istituto che però è sempre
rimasto nel nostro ordinamento processuale ed anzi ha una “corsia preferenziale” nel nostro processo civile perché è un mezzo di
prova che può essere utilizzato in ogni stato e grado del processo.
Buona parte della dottrina ritiene che sarebbe il tempo di tornare a meditare su questa fondamentale scelta. Ci si chiede infatti se sia il
caso sì di lasciare aperta la possibilità di una dichiarazione giurata della parte ma soggetta al libero apprezzamento del giudice.
Almeno con riferimento al giuramento decisorio siccome il deferimento del giuramento rientra nella disponibilità esclusiva delle
parti, si rietine che alla fine non sia un istituto che crea dei danni perché le parti sono libere di non deferire il giuramento alla
controparte.
Queste considerazioni critiche sono certamente più forti con riferimento alle forme di giuramento che rientrano nella disponibilità
esclusiva del giudice. Ciò l’abbiamo già accennato parlando del principio dell’onere della prova inteso come regola di giudizio
formale che impone al giudice di ritenere non esistenti i fatti della cui esistenza non è pienamente convinto.
IL GIURAMENTO DECISORIO:
Il giuramento decisorio deve avere ad oggetto fatti decisivi, cioè fatti che sono idonei a condurre alla decisione immediata della causa
(almeno di una parte della causa). Secondo la giurisprudenza, infatti, il fatto oggetto di giuramento decisorio deve essere in grado di
fondare direttamente la decisione del giudice. Quindi il giudice deve essere nella condizione di emanare il suo provvedimento finale
sulla base del giuramento stesso.
Ciascuna delle parti si vede aperta la possibilità di deferire il giuramento alla controparte.
Cosa può fare la controparte?
-La controparte può rendere la dichiarazione giurata e a questo punto in base a quanto previsto dall’art. 2738cc il fatto è
definitivamente fissato. Quindi i fatti della dichiarazione giurata si devono ritenere definitivamente accertati senza alcuna possibilità
di prova contraria.
-Può rifiutarsi di giurare e la conseguenza della mancata prestazione di giuramento è molto pesante perché in base alla disciplina
contenuta nel codice di procedura civile “se la parte non presta il giuramento senza un giustificato motivo la conseguenza è che
quella parte rimarrà soccombente sui fatti oggetto di giuramento”.
-La terza possibilità che opera solo laddove i fatti oggetto del giuramento sono comuni all’altra parte è quella di deferire, a sua volta,
il giuramento alla controparte. Quindi può chiedere che la dichiarazione giurata sia resa dalla parte che ha preso l’iniziativa cioè la
parte che per prima ha deferito il giuramento.
Per deferire il giuramento è richiesta la stessa capacità richiesta per prestare la confessione. Quindi deve essere deferito da persona
che ha la capacità di disporre del diritto.
Quali sono i limiti di ammissibilità? I limiti di ammissibilità sono diversi.
Primo limite: Intanto il giuramento non può essere deferito nelle cause che hanno ad oggetto diritti non disponibili (di cui le parti non
possono disporre). È una previsione analoga a quella che già abbiamo riscontrato con riferimento alla confessione: laddove il diritto
non è disponibile il legislatore limita l’efficacia di prova legale del mezzo di prova perché non si vuole che le parti abbiano il potere
di vincolare il giudice a ritenere esistenti determinati fatti ove la controversia abbia ad oggetto diritti che non sono nella diponibilità
delle parti.
Secondo limite: riguarda i fatti illeciti cioè il giuramento non può avere ad oggetto un fatto illecito inteso non soltanto come illecito
penale ma anche un fatto che integra un illecito extracontrattuale. Questo perché non si vuole che la parte sia posta di fronte
all’alternativa di giurare il falso o di ammettere un fatto riprovevole.
Due ulteriori limitazioni si hanno con riferimento alla materia contrattuale e sono legate alla disciplina della forma dei contratti.
Infatti il giuramento non può essere deferito laddove è diretto a provare l’esistenza di un contratto per cui è prevista la forma scritta
ad substantiam (quindi la forma scritta come requisito di validità) mentre questo limite si ritiene che non operi laddove la forma
scritta è richiesta soltanto ad probationem. La ratio è quella di evitare che il giuramento sia utilizzato per eludere le norme relative
alla forma dei contratti. Inoltre il giuramento non può essere deferito per negare un fatto che da un atto pubblico risulti essere
avvenuto in presenza del pubblico ufficiale che ha redatto lo stesso atto. Questo perché per contestare la veridicità di quanto riportato
nell’atto pubblico (c.d. estrinseco dell’atto pubblico) il legislatore ha posto a disposizione uno strumento ad hoc che è la querela di
falso.
Si tratta di un istituto che trova una utilizzazione estremamente limitata nel processo civile. In pratica il giuramento decisorio viene
utilizzato soltanto quando non c’è altra scelta (quando non ci sono altri strumenti per provare l’esistenza di un fatto).
La disciplina processuale la ritroviamo negli artt. 233 ss. c.p.c.
In base all’art. 233 co.1 il giuramento decisorio può essere deferito in qualsiasi stato e grado della causa davanti al giudice
istruttore e si deferisce attraverso una dichiarazione fatta all’udienza dalla parte o dal suo procuratore munito di mandato speciale o
con atto sottoscritto dalla parte.
In base al co.2 art 233 viene deferito in articoli separati, in modo chiaro e specifico. Quindi si richiede quella precisazione che
richiama da vicino quanto previsto in tema di testimonianza.
Il giudice in base all’art 236 cpc nell’ammettere il giuramento può modificare la formula proposta dalla parte e questa può revocarlo.
Quindi il giudice può apportare modificazioni formali alla formula del giuramento mentre se vengono apportate delle modificazioni
sostanziali la parte può revocare la delezione del giuramento. Attenzione: si prevede la revoca della delazione del giuramento ma
non si può revocare il giuramento prestato.
Se la revoca della delazione non viene compiuta nel primo atto difensivo successivo all’ordinanza del giudice non è più possibile,
quindi il giuramento prestato sulla formula modificata produce tutti i suoi effetti previsti dalla legge.
Il giuramento può essere deferito in qualsiasi stato della causa davanti al giudice istruttore quindi:
-può essere deferito lungo tutto il corso del processo di primo grado fino all’udienza di presentazione delle conclusioni
-poi può essere deferito di fronte al giudice dell’appello
-e infine può essere deferito anche di fronte al giudice del rinvio quindi in quella fase processuale che si apre a seguito del
procedimento per Cassazione.
Sia il deferimento del giuramento sia il riferimento del giuramento sono revocabili fino a quando l’avversario non si sia dichiarato
pronto a rilasciare la dichiarazione ovvero a prestare il giuramento. Oppure nel caso del giuramento che è stato deferito finché
l’avversario non l’ha a sua volta riferito se si tratta di fatti comuni alle due parti. Però se il giudice nell’ammettere la prova (il
giuramento) ha modificato la formula proposta dalla parte possono essere revocati anche dopo questo momento finché la parte non ha
prestato il giuramento.
Il giuramento può avere ad oggetto fatti decisivi ma non si richiede che i fatti non siano stati provati o non siano stati pienamente
provati quindi può avere ad oggetto fatti che sono già stati provati attraverso altri mezzi di prova. Questo si spiega in ragione
dell’efficacia del giuramento che prevale su qualsiasi altro mezzo di prova.
Se ci sono delle contestazioni in base all’art.237 cpc queste vengono risolte se il giudizio si svolge di fronte al tribunale in
composizione monocratica dal giudice designato ma se la controversia rientra tra quelle che sono soggette a decisione collegiale le
contestazioni vengono risolte dal collegio.
L’ordinanza che ammette il giuramento, proprio per le conseguenze che sono legate alla mancata prestazione del giuramento (art 239
cpc), determina la soccombenza della parte sulla domanda o sul punto di fatto relativamente al quale il giuramento è stato ammesso.
È uno di quei provvedimenti che devono essere sempre notificati alla parte anche laddove questa sia contumace e rientra
nell’elencazione tassativa (già esaminata nelle precedenti lezioni) di atti e provvedimenti che devono essere notificati personalmente
alla parte.
Nella pratica la giurisprudenza equipara alla mancata prestazione del giuramento alcuni comportamenti della parte per esempio la
modifica in modo sostanziale della formula oppure la dichiarazione giurata di fatti diversi rispetto a quelli indicati nella formula, la
dichiarazione di non ricordare o di ignorare i fatti nell’ambito del giuramento de veritate. Quindi la giurisprudenza (anche se la
dottrina non è sempre concorde) interpreta in maniera ampia questa mancata prestazione del giuramento.
GIURAMENTO SUPPLETORIO
In base al n. 2 dell’art 2736 “è suppletorio il giuramento quello che è deferito d'ufficio dal giudice a una delle parti al fine di
decidere la causa quando la domanda o le eccezioni non sono pienamente provate, ma non sono del tutto sfornite di prova..” si parla
di semiplena probatio. Chiaramente la disposizione rimette al giudice uno spazio di discrezionalità perché sta al giudice valutare se
esiste il presupposto della semiplena probatio se quindi c’è una domanda o un’eccezione che non è del tutto provata ma neppure
sfornito totalmente di prova. Quindi valutare l’esistenza di questo presupposto è rimesso a una valutazione discrezionale del giudice.
Naturalmente il giudice deve dar conto, deve motivare in maniera adeguata la propria scelta. Quindi si ritiene, proprio perché è una
scelta estremamente delicata e ampiamente discrezionale ma che però ha delle conseguenze molto importanti sull’esito della lite che
il giudice debba motivare in maniera molto rigorosa questa valutazione.
Nel giuramento suppletorio il giudice istruttore/designato si vede attribuita una discrezionalità marcatissima nella individuazione
della parte a cui deferire il giuramento. Parte che in questa particolare ipotesi non può riferire il giuramento. Quindi la parte che viene
chiamata a giurare di fronte al giudice ha di fronte a sé solo la scelta sul se prestare o no il giuramento.
Questa duplice valutazione discrezionale che il codice affida al giudice ha portato la dottrina a dubitare della legittimità
costituzionale di questo istituto. Perché in pratica il giudice attraverso scelte totalmente discrezionali può andare ad incidere sull’esito
della lite, può andare a favorire una parte piuttosto che l’altra. Il tutto va considerato alla luce di quella che è la fondamentale regola
di cui all’art. 2697cc che abbiamo detto distribuisce il rischio della mancata prova addossando a ciascuna parte le conseguenze che
derivano dalla mancata prova dei fatti a se favorevoli.
Quindi il giudice nel momento in cui deferisce il giuramento suppletorio lo può deferire proprio alla parte che non ha ottemperato a
quanto gli viene richiesto dall’art 2697cc ponendo a disposizione di questa parte uno strumento formidabile per riuscire a vincere la
lite nonostante non abbia assolto a quanto gli viene imposto dall’art 2697cc.
Si ritiene tuttavia che l’ordinanza che ammette il giuramento suppletorio possa essere revocata ma a differenza di quello che abbiamo
visto con riferimento al giuramento decisorio si ritiene che la revoca che ha ammesso il giuramento suppletorio possa essere disposta
anche dopo che il giuramento è stato prestato. Questa revoca si ritiene che possa essere disposta non soltanto dal giudice di primo
grado ovvero dal giudice che materialmente a deferito il giuramento ma si ritiene che possa essere disposta anche dal giudice
dell’appello anche nel caso sia stato il giudice di primo grado a deferire il giuramento. Quindi se il giudice d’appello, laddove sia
stato formulato sul punto un motivo di impugnazione, valuta non esistenti i presupposti a cui è subordinato il deferimento del
giuramento suppletorio può revocare l’ordinanza.
Laddove comunque il giuramento viene prestato e finché non viene disposta la revoca dell’ordinanza che lo ha ammesso al
giuramento suppletorio si applicano tutte le disposizioni relative al giuramento decisorio. Quindi rimane ferma la sua efficacia di
prova legale, quindi la sua efficacia vincolante. Si parla anche con riferimento al giuramento suppletorio di un valore di prova legale
assoluto.
GIURAMENTO ESTIMATORIO
Torniamo all’art 2736 n. 2 seconda parte dove si fa riferimento al giuramento che è “deferito al fine di stabilire il valore della cosa
domandata, se non si può accertarlo altrimenti”. Si tratta di un giuramento diverso dal giuramento suppletorio che ha come
presupposto l’impossibilità di accertare il valore della cosa domandata.
Quindi l’oggetto del giuramento estimatorio è il valore della cosa, è il quantum della prestazione quindi non riguarda l’esistenza o
l’an della prestazione ma soltanto il segmento relativo al quantum.
Anche in questo caso la legge lascia al giudice un ampio margine di discrezionalità anche se il codice dice che il giudice nel
momento in cui deferisce il giuramento estimatorio deve determinare la somma fino a concorrenza della quale il giuramento avrà
efficacia: è la c.d. tax actio. Tuttavia anche questa volta la fissazione di questo limite passa attraverso la valutazione discrezionale del
giudice.
Quindi il giudice in questa particolare ipotesi discrezionalmente decide:
1) se deferire o non deferire il giuramento estimatorio
1) fissa in maniera discrezionale il limite della tax actio
Invece in questa particolare ipotesi il giudice non ha la scelta della parte a cui deferire il giuramento perché dalla lettera delle
disposizioni che disciplinano questo particolare giuramento si capisce che il giuramento estimatorio deve essere deferito al creditore
(da colui che ha chiesto il pagamento di una somma di denaro).
E infatti il codice stabilisce che il giuramento ha un efficacia di piena prova se ha ad oggetto una somma che è pari o inferiore alla
somma fissata dal giudice mentre invece ha efficacia solo fino a questo limite se viene prestato per una somma superiore. Quindi è
una disposizione che evidentemente fa riferimento ad un limite massimo e da questa previsione si desume che il giuramento
estimatorio dev’essere necessariamente deferito al solo creditore. Di conseguenza la discrezionalità del giudice, in questa particolare
ipotesi, non riguarda (a differenza del giuramento suppletorio) la scelta della parte.
Anche al giuramento estimatorio si applicano le norme relative al giuramento decisorio e in particolare vale l’efficacia di prova
legale. Su questo punto vorrei ricordare che il giuramento ha un’efficacia di prova legale assoluta quindi non è ammessa la prova
contraria e il giudice deve dichiarare la vittoria della parte che ha giurato e la soccombenza della controparte.
La stabilità di questi effetti resiste anche nelle ipotesi in cui in sede penale venga accertata la falsità della dichiarazione perché l’art
395 cpc che si occupa della revocazione non contempla il falso giuramento come motivo di revocazione della sentenza.
Il giuramento non perde mai la propria efficacia di prova legale assoluta però la parte che è stata danneggiata si vede riconosciuto il
diritto ad ottenere una tutela risarcitoria. Questo diritto è subordinato dagli artt. 2738 cc e 371 cp non soltanto alla sussistenza del
reato ma anche alla pronuncia di una condanna penale per falso giuramento. Tuttavia dobbiamo ricordare che viene ammesso che nei
casi in cui la condanna penale non possa essere emessa per estinzione del reato, il giudice civile può accertare incidenter tantum
l’esistenza del reato per condannare la parte che ha giurato il falso al risarcimento del danno.
La corte costituzionale ha esteso questa deroga alle ipotesi in cui la sentenza irrevocabile di assoluzione pronunciata nel giudizio
penale non ha efficacia nei confronti del danneggiato.
Si è posta inoltre la questione relativa al se il danneggiato prima di rivolgersi al giudice civile per chiedere il risarcimento del danno
debba aspettare la conclusione del processo penale, quindi ci si è chiesti se deve aspettare l'emanazione della sentenza penale per
verificare se la sentenza finale, di eventuale assoluzione è piu o meno vincolante per lui.
Secondo la dottrina stante l’autonomia del processo civile rispetto al processo penale si dovrebbe ritenere che la falsità del
giuramento possa essere accertata incidenter tantum dal giudice civile (ovviamente solo ai fini del risarcimento del danno) anche
quando il processo penale non ha avuto inizio.
Questa è una questione aperta che si inserisce all’interno di una problematica molto più ampia che è quella della pregiudizialità c.d.
penale.
LA PROVA DOCUMENTALE
La prova documentale rinviene la propria disciplina in primis nel codice civile negli artt. 2699 ss. L’ordinamento italiano, a
differenza di altri ordinamenti, ha adottato una nozione di documento molto ampia. Nel senso che il documento è una cosa, un
oggetto che è idoneo a rappresentare un determinato fatto. Talvolta lo rappresenta in via immediata e altre volte lo rappresenta in via
mediata.
Si ha una rappresentazione in via immediata quando il documento ad oggetto direttamente il fatto, per esempio il documento (può
essere un atto pubblico o una scrittura privata) che rappresenta un contratto. Qui la rappresentazione è diretta perché incorpora il
contratto.
A volte invece si parla di una rappresentazione mediata perché il documento ha ad oggetto una dichiarazione che ha ad oggetto a
sua volta un fatto per esempio una quietanza di pagamento la quale non rappresenta direttamente il fatto ma una dichiarazione avente
ad oggetto il fatto.
Nell’ordinamento italiano si ritiene che il documento che è sempre una cosa (una res materiale), un supporto non deve
necessariamente essere il documento scritto infatti vengono annoverati fra i documenti anche documenti non scritti. Si ritiene quindi
che questo supporto non debba essere necessariamente cartaceo ma anche documenti informatici (per es. un CD-ROM, DVD, file di
vario tipo ecc) purchè però siano idonei a rappresentare un determinato fatto.
Il documento è una prova che generalmente si forma nell’immediatezza del fatto che rappresenta. Quindi è una prova rappresentativa
e quindi è una rappresentazione che ha un carattere permanente. Quindi è una rappresentazione che fino a quando il documento non
viene distrutto rimane ferma.
Si forma nell’immediatezza del fatto quindi al di fuori e prima del processo (si tratta di prove precostituite) e poi viene portata nel
processo. Proprio da ciò la differenza rispetto alle prove costituende che si formano nel processo.
Quindi il documento è sottratto all’effetto corrosivo del tempo che invece lavora sulla memoria per esempio dei testimoni. La prova
documentale, di solito, è una prova più certa, più attendibile rispetto alla prova testimoniale.
Nell’ambito del nostro ordinamento troviamo la disciplina di molteplici documenti. Dobbiamo però considerare che l’evoluzione
tecnologica, fa sì che nella realtà emergano dei documenti sempre nuovi (basta pensare a tutte le forme di documento informatico).
Il codice civile è stato scritto tanti anni fa e contiene anche la disciplina di documenti che non si vedono (non sono di uso corrente) e
non è stato sempre adeguatamente aggiornato quindi alcune forme nuove di documenti vengono riportate in alcune figure che il
codice già prevede. Altri sono stati disciplinati dal legislatore in altre sedi per esempio i documenti informatici rinvengono la propria
disciplina nel codice dell’amministrazione digitale, altri ancora si fa fatica a collocarli e quindi la loro efficacia probatoria viene
ricostruita con delle operazioni ermeneutiche molto complesse che vengono svolte dagli operatori pratici e teorici.
In via generale la prova documentale rientra nella nozione di mezzi di prova quindi dev’essere richiesta negli stessi termini previsti
per le richieste istruttore. Di conseguenza con riferimento al giudizio di primo grado valgono le preclusioni dell’art 183 cpc nella
famosa appendice scritta.
Le prove documentali non richiedono un’assunzione: la parte nel momento in cui chiede al giudice l’assunzione dei mezzi di prova li
produce in udienza o nella cancelleria depositandoli. Il giudice quindi non è chiamato ad effettuare una valutazione preventiva delle
prove documentali, non valuta l’ammissibilità e la rilevanza delle prove documentali. Tutte queste valutazioni vengono compiute nel
momento in cui il processo arriva in fase decisoria. Nel momento in cui il giudice prende la sua decisione esamina i documenti che
sono stati prodotti ed è in quel momento che ne valuta l’ammissibilità e la rilevanza.
Si tratta di due mezzi di prova legale che in presenza delle condizioni indicate dalla legge vincolano il giudice.
ATTO PUBBLICO è disciplinato nel codice civile agli artt. 2699-ss. la definizione è contenuta nell’art 2699 cc. “L'atto pubblico
è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede
nel luogo dove l'atto è formato”. La definizione contiene un riferimento a dei requisiti soggettivi e dei requisiti oggettivi.
Intanto l’atto pubblico viene formato da un notaio (che trova la propria disciplina nella legge notarile l. n. 89/1913) o da altro
pubblico ufficiale autorizzato (autorità consolari, l’ufficiale di stato civile, l’ufficiale giudiziario, il cancelliere). Ovviamente ogni
pubblico ufficiale può formare atti pubblici nei limiti della propria competenza.
L’art. 2699 fa riferimento anche al luogo, alla competenza nel luogo dove l’atto è formato. Infatti è necessario che il pubblico
ufficiale che redige l’atto pubblico debba essere in tal senso di una competenza territoriale per esempio il notaio esercita le proprie
funzioni nell’ambito del c.d distretto di appartenenza e anche l’ufficiale giudiziario opera nei limiti territoriali dell’ufficio a cui è
addetto.
Se il pubblico ufficiale (c.d. rogante) che redige l’atto pubblico esercita le proprie funzioni al di fuori della propria circoscrizione
l’atto perde la propria natura di atto pubblico e, al limite, se ricorrono i requisiti indicati dalla legge può avere l’efficacia della
scrittura privata. Si opera la c.d conversione dell’atto pubblico previsto dall’art 2701 cc “Il documento formato da ufficiale pubblico
incompetente o incapace ovvero senza l'osservanza delle formalità prescritte, se è stato sottoscritto dalle parti, ha la stessa efficacia
probatoria della scrittura privata”.
L’atto pubblico deve essere redatto sulla base di quanto stabilito dalla legge questo è l’elemento soggettivo. Quindi se l’atto viene
redatto da un notaio dovrà rispettare tutto quanto previsto dalla legge notarile per la formazione dell’atto pubblico.
La giurisprudenza riconduce nella nozione di atto pubblico, non soltanto l’atto formato dal notaio oppure dagli altri pubblici ufficiali
autorizzati dalla legge ad attribuirgli pubblica fede MA anche degli atti che possono essere considerati atto pubblico anche se soltanto
in base ad una interpretazione molto ampia ne sono esempio: i verbali redatti dalla polizia giudiziaria, i verbali redatti dagli ufficiali
dell’ispettorato del lavoro oppure i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali.
Si fa quindi riferimento a tutta una serie di atti, di verbali a cui la giurisprudenza attribuisce l’efficacia di atto pubblico (che è un
efficacia forte, di prova piena e legale) facendo leva su una sorta di presunzione di veridicità di questi atti che richiama molto da
vicino la presunzione di legittimità dell’atto amministrativo e con una operazione che non sempre trova il consenso della dottrina.
La dottrina ritiene che in questa occasione la giurisprudenza abbia concluso un’operazione indebita perché in tutte queste ipotesi non
ricorrono le condizioni a cui la legge subordina l’esistenza dell’atto pubblico.
Stando all’art 2700 cc “L'atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico
ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua
presenza o da lui compiuti”.
L’espressione fa piena prova fino a querela di falso si ritiene che il legislatore abbia attribuito all’atto pubblico, sia pure nei limiti
indicati dall’art 2700, efficacia di prova legale: questo è il significato di questa espressione.
Siamo di fronte anche in questo caso ad un’ipotesi in cui la valutazione del mezzo di prova è stata compiuta dal legislatore. Quindi è
il legislatore ad aver valutato l’attendibilità della prova che quindi sfugge al libero apprezzamento del giudice.
La norma parla di piena prova fino a querela di falso e la querela di falso, lo vedremo è uno strumento capace di far saltare l’efficacia
di piena prova. È uno strumento per il cui tramite si attacca il cd estrinseco del documento nei limiti che adesso vado a spiegare.
Qual è l’oggetto dell’efficacia di piena prova? Sono gli elementi indicati nell’art. 2700 cc a cui dobbiamo aggiungere anche gli
elementi che risultano dalla legge notarile.
1) Innanzitutto la provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato (primo)
2) Data e del luogo in cui il documento si è formato. Non è previsto espressamente da questa disposizione ma lo prevede la
legge notarile
3) le dichiarazioni delle parti quindi le dichiarazioni che il notaio o il pubblico ufficiale attesta essere state rilasciate in sua
presenza.
4) Infine gli altri atti che il pubblico ufficiale attesta essere venuti in sua presenza o da lui compiuti, per es. un pagamento.
È su questi elementi che si forma la piena prova fino a querela di falso.
Si ritiene che l’atto pubblico faccia piena prova fino a querela di falso soltanto con riferimento all’estrinseco e non anche
all’intrinseco del documento.
Che cosa vuol dire che l’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso soltanto con riferimento all’estrinseco?
Significa che l’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso in ordine agli elementi richiamati prima:
‐ la provienza
‐ la data e il luogo
‐ le dichiarazioni
‐ gli altri atti (che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza)
Non fa invece piena prova in ordine al contenuto dell’atto pubblico.
Quali sono i possibili vizi dell’atto pubblico? Si ritiene che l’atto pubblico possa essere affetto da falsità materiale o da falsità
ideologica. Entrambe sono i vizi che possono riguardare l’estrinseco dell’atto.
Si parla di:
Falsità materiale nei casi in cui viene contraffatto il documento (per es. viene contraffatto la firma del notaio o il sigillo notarile)
quindi si spende come atto pubblico un atto che non è stato formato dal notaio o dal pubblico ufficiale. Ecco la falsità materiale.
Falsità ideologica quando il documento è stato formato dal notaio o dal pubblico ufficiale ma si è verificata un’alterazione, quindi
è stato modificato quanto riportato nel documento (per es. sono state cancellate o aggiunte alcune clausole).
Il falso materiale e il falso ideologico sono quindi i possibili vizi che possono colpire l’estrinseco del documento. Entrambi possono
essere fatti valere in giudizio in sede civile (attraverso la querela di falso artt. 221 ss. cpc) e in sede penale (ai sensi dell’art. 476 cp).
Per quanto concerne l’intrinseco ovvero il contenuto delle dichiarazioni che vengono riportate nell’atto pubblico dobbiamo
distinguere a seconda che nell’atto pubblico vengano riportate delle dichiarazioni di volontà o delle dichiarazioni di scienza.
Se l’atto pubblico contiene delle dichiarazioni di volontà l’efficacia di queste dichiarazioni trova la propria disciplina tra le norme
relative ai contratti e agli atti unilaterali quindi negli artt. 1321 ss. cc. ( oltre che, se si tratta di testamento, nella disciplina del
testamento )
Che cosa vuol dire che l’atto pubblico fa piena prova con riferimento all’estrinseco ma non all’intrinseco?
Laddove l’atto pubblico contiene delle dichiarazioni di volontà significa che l’efficacia di piena prova fino a querela di falso
concerne soltanto il fatto che la dichiarazione di volontà sia stata resa di fronte al notaio e che il notaio l’abbia fedelmente riportata
MA laddove si voglia affermare che la dichiarazione di volontà fosse viziata e che quindi il consenso prestato non fosse un consenso
valido ma era un consenso viziato (perché per es. è stato rilasciato da una parte che versava in una situazione di errore, che ha subito
violenza o ha subito il dolo) allora il rimedio per contestare la validità del consenso, quindi della dichiarazione di volontà non è la
querela di falso ma sono le azioni di impugnativa negoziale (può essere un azione di annullamento del contratto, oppure un azione
di simulazione del contratto) perché in questa ipotesi la querela di falso non serve.
La querela di falso si può contestare se il notaio non abbia riportato fedelmente la dichiarazione che è stata resa ma se il notaio ha
riportato fedelmente la dichiarazione resa e se ne vuole contestare la validità lo strumento sono le azioni di impugnativa negoziale.
L’atto pubblico fa piena prova anche dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza. Questa è la previsione
per il cui tramite passa la giurisprudenza quando riconosce/attribuisce natura di atto pubblico ai verbali che sono redatti da pubblici
ufficiali nell’ambito delle specifiche competenze come per es: i verbali redatti dalla polizia giudiziaria, i verbali di accertamento
redatti dagli ufficiali dell’ispettorato del lavoro oppure i verbali redatti dai funzionari degli enti previdenziali e assistenziali ed i
verbali del curatore fallimentare.
Si tratta di previsioni che sono viste di malocchio da parte della dottrina perché si ritiene che questa prassi vada a rompere un
fondamentale principio adottato dal nostro ordinamento processuale e cioè il principio secondo cui le dichiarazioni di scienza di
soggetti terzi possono essere acquisite soltanto passando attraverso la testimonianza quindi soltanto se rese in udienza di fronte al
giudice.
Si risponde però, da parte di altri, che qui siamo di fronte a dei soggetti che non possono essere equiparati ai testimoni. Quindi è
improprio parlare di questi pubblici ufficiali o meglio dei loro verbali come di una forma di testimonianza anticipata. Perché si tratta
innanzitutto di pubblici ufficiali cioè di soggetti particolarmente qualificati, che hanno una qualifica professionale, e che redigono
questi documenti nel rispetto di quanto previsto dalla legge perché le attività di questi funzionari pubblici sono regolate dalla legge e
che attraverso i loro verbali danno conto di fatti che percepiscono direttamente e ne danno conto nell’immediatezza del loro
verificarsi. Quindi il documento viene formato nel momento stesso in cui questi soggetti percepiscono questi fatti e quindi si tratta di
una serie di ipotesi su cui la giurisprudenza segue un certo orientamento e la dottrina discute. Quindi si tratta di ipotesi che sono al
centro di discussioni ormai da qualche anno.
SCRITTURA PRIVATALa disciplina la ritroviamo negli artt. 2702 ss. cc. Con riferimento alla scrittura privata non troviamo una
definizione offerta dal cod. civ. perché l’art. 2702 si occupa direttamente dell’efficacia probatoria della scrittura privata.
Come l’atto pubblico la scrittura privata è qualcosa che ha la capacità di conservare in maniera duratura la traccia di segni grafici.
L’atto pubblico però è un documento formato da un soggetto diverso da coloro che rilasciano le dichiarazioni mentre la scrittura
privata viene formata dagli stessi soggetti che rilasciano le dichiarazioni.
La prima norma si occupa della efficacia della scrittura privata e nell’ambito della disciplina della scrittura privata l’elemento
fondamentale è la sottoscrizione. La sottoscrizione, che deve essere autografa, è lo strumento per il cui tramite una parte si attribuisce
la paternità di quanto riportato nella scrittura privata. La scrittura privata di per sé può essere dattiloscritta, può essere un
documento/foglio stampato dal computer ma questo è irrilevante. Ciò che rileva è la sottoscrizione che deve essere autografa
necessariamente. Il resto del documento può essere anche una stampa, non necessariamente deve essere olografo. Ma attraverso la
sottoscrizione la parte si attribuisce la paternità delle dichiarazioni riportate nel documento.
In base all’art. 2702 cc: “La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha
sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata
come riconosciuta”.
Come l’atto pubblico anche la scrittura privata ha efficacia di prova legale infatti la formula è la stessa: fa piena prova fino a querela
di falso. MA l’efficacia di prova legale della scrittura privata è più limitata rispetto a quella dell’atto pubblico perché l’efficacia di
prova legale della scrittura privata riguarda soltanto la provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta.
L’efficacia di prova legale della scrittura privata, peraltro, è subordinata al riconoscimento della sottoscrizione da parte dell’autore
della sottoscrizione ed è la parte contro cui la scrittura privata viene prodotto e viene utilizzata.
Come avviene questo riconoscimento? Il codice prevede diverse forme di riconoscimento. Si passa dalla sottoscrizione c.d
autenticata disciplinata dall’art. 2703 cc che è una forma di riconoscimento legale al riconoscimento o mancato disconoscimento
espresso da parte del sottoscrittore (che deve essere la controparte contro cui la scrittura privata è prodotta).
Infatti (ripetiamo l’art. 2702): La scrittura privata fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da
chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente
considerata come riconosciuta.
Andiamo a vedere nel dettaglio quali sono gli strumenti che consentono di attribuire efficacia legale alla scrittura privata.
Tutte queste modalità sono modalità per il cui tramite si acquisisce la certezza in ordine all’autenticità della sottoscrizione.
La PRIMA MODALITÀ è disciplinata dall’art. 2703 cc e passa attraverso l’autentica della sottoscrizione. Il procedimento di
autentica è un procedimento che prevede l’intervento del notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato infatti in base all’art.
2703 cc: “Si ha per riconosciuta la sottoscrizione autenticata dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
L'autenticazione consiste nell'attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il
pubblico ufficiale deve previamente accertare l'identità della persona che sottoscrive”.
Quindi l’autentica della sottoscrizione prevede l’intervento del notaio. Per l'autenticazione si va dal notaio o di fronte ad un pubblico
ufficiale, il quale chiederà un documento e dopo aver verificato l'identità chiederà di sottoscrivere il documento in sua presenza,
quindi mette un timbro in cui dichiara ed attesta che quel documento è stato sottoscritto in sua presenza dalla persona identificata e
vengono riportati gli estremi della identificazione. L’autentica è molto importante perché rileva sulla disciplina della c.d. data certa
(art. 2704 cc).
L’istituto della data certa è molto importante nella disciplina di opponibilità di certi atti a soggetti terzi infatti l’art. 2704 cc co. 1
stabilisce:
“La data della scrittura privata della quale non è autenticata la sottoscrizione [qui implicitamente si fa riferimento come prima
possibilità all’autentica perché l’intervento del notaio consente di fissare la data in cui la firma è stata apposta] non è certa e
computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la scrittura è stata registrata [ecco la seconda possibilità] o dal giorno della
morte o della sopravvenuta impossibilità fisica di colui o di uno di coloro che l'hanno sottoscritta o dal giorno in cui il contenuto
della scrittura è riprodotto in atti pubblici o, infine, dal giorno in cui si verifica un altro fatto che stabilisca in modo egualmente
certo l'anteriorità della formazione del documento”.
Si tratta di una disciplina molto importante perché il requisito della data certa viene richiamato in molti istituti del diritto privato per
evitare delle collusioni a danno di terzi e che è molto importante allorquando, al di fuori delle ipotesi in cui interviene la trascrizione
o l’anteriorità del possesso, e che viene fuori in riferimento a molti istituti quando si tratta di risolvere il conflitto fra diritti. Quindi
fra diritti acquistati da due o più soggetti e si tratta di stabilire quale tra questi soggetti prevale sugli altri.
Al di fuori dei casi in cui la sottoscrizione è stata autenticata [l’autentica appare evidente che deve intervenire nel momento stesso in
cui la sottoscrizione viene apposta perché nessun notaio autentica una sottoscrizione se non è presente nel momento in cui la
sottoscrizione viene apposta] il codice consente che la scrittura privata possa esplicare efficacia di piena prova fino a querela di falso
anche in altre ipotesi e cioè laddove si abbia un riconoscimento espresso o tacito della sottoscrizione.
La disciplina di queste ipotesi è contenuta nel codice di procedura civile. Il riconoscimento espresso e tacito sono disciplinati negli
artt. 214 e 215 cpc.
Il riconoscimento espresso è un atto per il cui tramite la parte contro cui è prodotta la scrittura privata riconosce che la sottoscrizione
è la propria. Ma il riconoscimento non è necessariamente espresso si consente, infatti, anche un riconoscimento tacito.
Il riconoscimento tacito scatta se la parte contro cui la scrittura privata è prodotta non la disconosce immediatamente, in prima
difesa infatti il precedente art. 214 cpc precisa: “che colui contro il quale è prodotta una scrittura privata, se intende
disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione.
Gli eredi o aventi causa possono limitarsi a dichiarare di non conoscere la scrittura o la sottoscrizione del loro autore”. Quindi
la scrittura privata fa piena prova fino a querela di falso non soltanto nel caso in cui la sottoscrizione è stata autenticata dal
notaio o dal pubblico ufficiale ma anche nel caso in cui la sottoscrizione venga riconosciuta espressamente ovvero attraverso
una dichiarazione formale oppure tacitamente e il riconoscimento tacito passa attraverso il mancato immediato disconoscimento.
Si tratta di una vera e propria domanda sia che venga presentata in via incidentale sia che venga presentata in via principale.
Se all’apertura di una causa la domanda viene ritenuta una domanda di mero accertamento ed è un ipotesi molto peculiare perché è
uno dei rari casi in cui una domanda giudiziale ha ad oggetto un mero fatto e non un diritto o uno status.
Nell’ipotesi in cui l’istanza di verificazione viene proposta in via incidentale si ritiene che sia una delle ipotesi in cui una questione
deve essere accertata con autorità di cosa giudicata per espressa previsione di legge. Quindi è una delle ipotesi in cui viene
derogato l’art. 34 cpc.
Il sistema delineato dal codice è chiaro: o vi è una certezza in ordine alla autenticità della scrittura privata e allora questa fa piena
prova fino a querela di falso circa la provenienza delle dichiarazioni riportate da chi l’ha sottoscritta oppure non vi è certezza e allora
la scrittura privata è priva di qualsiasi efficacia probatoria.
Il codice non prevede la possibilità di un accertamento incidenter tantum dell’autenticità della sottoscrizione.
Se vi è stato un disconoscimento espresso nel rispetto di quanto previsto dagli articoli 214 e 215 la parte che intende avvalersi della
sottoscrizione deve proporre un istanza di verificazione che determina un accertamento con autorità di cosa giudicata per la veridicità
della sottoscrizione.
Se l’istanza di verificazione viene accolta e quindi il giudice accerta l’autenticità della sottoscrizione, contro quella scrittura privata
non potrà più essere proposta la querela di falso, non potrà più essere contestata.