Sei sulla pagina 1di 27

Procedura civile

LEZIONE 1: 26 febbraio

Il processo di cognizione ordinario di primo grado si articola in tre fasi:

- FASE INTRODUTTIVA, affidata all’iniziativa e alla cura delle parti

- FASE DI TRATTAZIONE, affidata al giudice istruttore. È la fase istruttoria, più o meno ampia a
seconda delle richieste di parte. In questa fase c’è l’assunzione dei mezzi di prova.

- FASE DECISORIA, affidata allo stesso giudice istruttore nelle fattispecie in cui il tribunale giudica in
composizione monocratica, al collegio nelle controversie in cui il tribunale giudica in composizione
collegiale.

FASE INTRODUTTIVA  L’ atto con cui il processo è introdotto dall’attore è l’atto di citazione. La funzione
della citazione è duplice: da un lato individua la situazione sostanziale di cui si chiede la tutela , dall’altro la
citazione porta la domanda giudiziale a conoscenza quanto meno di altri due soggetti. Infatti il processo è
un actus trium personarum, cioè attività di tre persone: colui che chiede la tutela (attore), colui contro
quale la tutela è richiesta e il giudice. La domanda va portata a conoscenza del giudice, perché questi, per
decidere, deve sapere cosa gli è richiesto; la domanda va portata a conoscenza della controparte, per
rispetto del diritto di difesa. All’articolo 163 del nostro codice di procedura civile troviamo quale debba
essere il contenuto della citazione. L’attore non individua solo la domanda e il convenuto, ma anche la data
della prima udienza  citazione a comparire a udienza fissa. Tradizionalmente, si dice che l’atto di citazione
contenga sia la c.d. vocatio in ius, sia la c.d. editio actionis  Ex art. 163 c.p.c. ci sono elementi riconducibili
a entrambe. È l’atto che viene predisposto dall’attore e notificato al convenuto, senza un previo passaggio
all’autorità giudiziaria. Le parti si attivano in questa fase introduttiva, mentre in un secondo momento è
coinvolta l’autorità giudiziaria – a differenza di quanto accade ad es. nel processo del lavoro. Nell’articolo
39 del codice di procedura civile troviamo il criterio con cui si stabilisce la causa preventivamente proposta
che è il momento della notificazione dell’atto di citazione infatti. Importante è il terzo comma dell’articolo
163 del codice, in cui troviamo quale debba essere il contenuto dell’atto di citazione: -indicazione del
tribunale davanti al quale la domanda è proposta; - il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale
dell’attore –il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e
delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistano. Se attore o convenuto è una persona
giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o
la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio – la determinazione
della cosa oggetto della domanda –l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni
della domanda con le relative conclusioni –l’indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore
intende valersi e, in particolari, dei documenti che offre in comunicazione –l’indicazione del giorno e
dell’udienza di comparizione; l’invito al convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima dell’udienza
indicata ai sensi e nelle forme stabilite dall’articolo 166, ovvero di dieci giorni prima in caso di abbreviazione
dei termini e a comparire nell’udienza indicata dinanzi al giudice designato ai sensi dell’articolo 168-bis con
l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implica le decadenze di cui gli articoli 38 e 167 –
indicazioni riguardanti il difensore tecnico. La procura alle liti di solito è rilasciata prima della citazione, ma
può essere rilasciata anche dopo. Può essere apposta a margine dell’atto di citazione o in calce allo stesso
oppure in un atto a parte se la procura è rilasciata in un momento successivo -vocatio in ius. UNA VOLTA
INDICATA LA DATA DI QUESTA UDIENZA, TRA LA NOTIFICAZIONE E L’UDIENZA NON POSSONO
INTERCORRERE PIU’ DI 90 GIORNI DI TEMPO SE IL CONVENUTO RISIEDE IN ITALIA, ALTRIMENTI 150 GIORNI
EX ARTICOLO 163 BIS DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE. L’udienza, poi, non è detto che si svolga
esattamente in quel giorno prescelto dall’attore, dato che si fa riferimento alle prime udienze predisposte
dal tribunale. Una volta indicata la data di questa prima udienza, c’è la vocatio in ius. Nell’atto di citazione,
a pena di nullità, l’attore deve invitare il convenuto a costituirsi nel termine di venti giorni prima la data
dell’udienza fissata, con l’avvertimento che la costituzione oltre i suddetti termini implicherà le decadenze
di cui agli articoli 38 e 167 codice procedura civile. L’articolo 38 comporta la decadenza dall’eccezione di
incompetenza del giudice adito. Le altre decadenze riguardano sempre contenuti della comparsa di risposta
tempestivamente presentata almeno 20 giorni prima: la domanda riconvenzionale, le eccezioni in senso
stretto (di merito come l’eccezione di prescrizione, decadenza, o a contenuto processuale). Quelle di merito
di regola sono rilevabili d’ufficio, fatto salvo il caso in cui la legge preveda l’onere di parte di eccepirle.
Quelle a contenuto processuale si suddividono in vizi formali o extraformali. L’ultima attività difensiva è la
chiamata in causa del terzo, ex art. 106 c.p.c.  questa intenzione deve essere manifestata nella comparsa
di risposta tempestivamente depositata almeno 20 giorni prima l’udienza fissata. L’atto di citazione deve
contenere la domanda: il petitum inteso come immediato e mediato (provvedimento domandato e bene
della vita) e la causa petendi, ex n. 3 e 4 art. 183 c.p.c. In questa fase rileva meno la differenza tra diritti
auto e etero-individuati, dato che non è necessario allegare il fatto costitutivo del diritto auto-individuato,
anche se, comunque, sarà necessario allegarlo e provarlo successivamente (contratto di compravendita e
usucapione per il diritto di proprietà), mentre per il diritto etero-individuato sarà necessario. Inoltre l’atto di
citazione ex n. 5) può contenere un elemento facoltativo. L’attore può produrre i documenti anche in un
momento successivo. L’indicazione di questi nell’atto di citazione attiene alla strategia difensiva del
difensore tecnico. Normalmente alcuni sono prodotti subito, altri dopo per evitare che il convenuto possa
predisporre una difesa e trovare la prova contraria rispetto a questi.

Al giorno d’oggi il processo telematico sta prendendo sempre più piede, è diventato obbligatorio per le fasi
centrali del processo, e anche la notificazione ormai tende a essere sempre più effettuata con modalità
telematiche. Tutti gli atti e i documenti sono predisposti in formato elettronico, convertendo file word in
pdf. Invece la procura, dovendo essere sottoscritta, viene scannerizzata e convertita in pdf.

Abbiamo visto che la citazione ha una doppia funzione: da un lato instaurare il contraddittorio (vocatio in
ius) e dall’altro individuare l’oggetto del processo (editio actionis). Iniziando dai primi, possiamo constatare
che la nullità della citazione consegue alla omissione o assoluta incertezza relative: a) al giudice adito b) alle
parti del processo c) alla data di udienza d) all’assegnazione di un termine a comparire inferiore al legale di
cui artico 163 bis e) al mancato avvenimento di cui al n. 7 dell’articolo 163. Per quanto riguarda l’omissione
o l’assoluta incertezza della indicazione delle parti, occorre tener presente che l’individuazione delle parti
rileva non solo per quanto riguarda la vocatio in ius, ma anche per quanto attiene alla editio actionis. Nella
vocatio in ius rileva la parte in senso processuale (il soggetto cui si imputano gli effetti degli atti processuali)
e in senso formale (il soggetto che può compiere gli atti del processo). Nella editio actionis rileva invece la
parte in senso sostanziale e cioè i titolari della situazione giuridica dedotta in giudizio: infatti un diritto è
individuato anche attraverso i soggetti cui fa capo. Ne consegue che se manca o è assolutamente incerta
l’individuazione dei soggetti cui fa capo la situazione sostanziale dedotta in giudizio, si ricade nei vizi relativi
alla editio actionis. Nell’articolo 163 troviamo i termini per comparire ed è anche presente la possibilità di
abbreviare i termini. Bisogna sottolineare che la distinzione tra vocatio in ius ed editio actionis non è
descrittiva, dato che cambia il regime delle invalidità. Nell’articolo 164 è disposta la nullità della citazione, la
quale è nulla se è omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti nei commi 1 e 2
dell’articolo 163, se manca l’indicazione della data dell’udienza di comparizione, se è stato assegnato un
termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero se manca l’avvertimento previsto dal
comma 7 dell’articolo 163. Se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullità della
citazione ai sensi del primo comma, ne dispone d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio.
Questa sana i vizi e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della
prima notificazione. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal
ruolo e il processo si estingue a norma dell’articolo 307 comma terzo. La sanatoria opera ex tunc, non
facendo incorrere il convenuto in decadenze. La rinnovazione sana con efficacia retroattiva la nullità dalla
prima notifica. La costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e
processuali. Tuttavia, se il convenuto deduce l’inosservanza dei termini a comparire o la mancanza
dell’avvertimento previsto dal numero sette dell’articolo 163, il giudice fissa una nuova udienza nel rispetto
dei termini  L’ATTO VIZIATO, COMUNQUE, HA RAGGIUNTO IL SUO SCOPO E PERCIO’ LA NULLITA’ E’
SANATA EX TUNC. Tuttavia il legislatore aggiunge che in caso in cui non sia stato rispettato il termine di 90
giorni o sia mancato l’avvertimento, il giudice fissa nuova udienza, dunque una rinnovazione che sana gli
effetti della domanda originariamente proposta.

Molto diverso è il regime della nullità dell’atto di citazione che attiene all’edictio actionis, in particolar
modo il petitum e la causa petendi. Il regime è più severo, dato che il convenuto non può predisporre le sue
difese in maniera adeguata. Inoltre c’è il principio di non contestazione. A fronte di un atto di citazione
impreciso sul petitum o causa petendi, il convenuto ha un vulnus di difesa, per cui il legislatore prescrive un
regime di invalidità più severo. Il giudice, rilevata la nullità, fissa all'attore un termine perentorio per
RINNOVARE la citazione o, se il convenuto si è costituito, per INTEGRARE la domanda. Restano ferme le
decadenze maturate e salvi i diritti acquisiti anteriormente alla rinnovazione o alla integrazione  SE IL
CONVENUTO SI COSTITUISCE, IL GIUDICE ORDINA L’INTEGRAZIONE, MENTRE SE NON SI COSTITUISCE LA
RINNOVAZIONE. L’EFFICACIA SANANTE QUI NON HA PORTATA RETROATTIVA, DUNQUE NON OPERA EX
TUNC MA EX NUNC. Il convenuto riceve l’atto di citazione, in cui è indicata la data della prima udienza, a
mezzo ufficiale giudiziario o modalità telematica. Il difensore dovrà predisporre l’atto difensivo del
convenuto, la comparsa di risposta di cui l’articolo 167 il quale dispone che il convenuto deve proporre
tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda, indicare le
proprie generalità e il codice fiscale, i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in
comunicazione, formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande
riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. Se è omesso o risulta
assolutamente incerto l'oggetto o il titolo della domanda riconvenzionale, il giudice, rilevata la nullità, fissa
al convenuto un termine perentorio per integrarla. Restano ferme le decadenze maturate e salvi i diritti
acquisiti anteriormente alla integrazione. Se intende chiamare un terzo in causa, deve farne dichiarazione
nella stessa comparsa. Nella comparsa di risposta sono svolte dal convenuto una serie di attività difensive
che potranno essere compiute anche in altri atti in tutto il corso del processo. Le conclusioni della comparsa
di risposta potranno essere le più varie, ad es. di rigetto della domanda dell’attore per infondatezza della
stessa nel merito, o inammissibilità. Nella parte della comparsa di risposta della domanda riconvenzionale
dovranno essere indicati dal convenuto petitum e causa petendi, a pena di nullità.

Artt. 165 e 166 c.p.c.  Il convenuto deve costituirsi almeno 20 giorni prima l’udienza. La comparsa di
risposta dovrà essere depositata presso la cancelleria del tribunale. L’attore inoltra inizialmente l’atto di
citazione all’ufficiale giudiziario, il quale provvede alla notifica. L’attore entro 10 giorni dalla notifica
dell’atto di citazione deve costituirsi in giudizio, depositando in cancelleria l’originale della citazione, la
procura, i documenti eventualmente allegati all’atto di citazione e la c.d. nota di iscrizione al ruolo. LA
COSTITUZIONE IN GIUDIZIO E’ L’ATTO CON CUI LE PARTI SI PRESENTANO ALL’AUTORITA’ GIUDIZIARIA E LE
RENDONO FORMALMENTE NOTO CHE PENDE UN PROCESSO TRA LORO. L’autorità giudiziaria nel prendere
atto di questa costituzione iscrive a ruolo la causa. Una volta che il cancelliere ha iscritto la causa a ruolo,
forma, anche ai sensi dell’art. 168 c.p.c, il fascicolo d’ufficio di quella causa. Anche con modalità
telematiche, il concetto è analogo. Il presidente della sezione del tribunale assegna il giudice a quella causa.
Il convenuto deve depositare la comparsa di risposta al più tardi venti giorni prima l’udienza. Il convenuto si
costituisce direttamente in giudizio, depositando comparsa, procura e documenti necessari in cancelleria,
che saranno inseriti nel fascicolo d’ufficio, a differenza dell’attore che deve anche notificare. Il convenuto
non deve notificare la comparsa di risposta all’attore. L’attore avrà modo di verificare l’avvenuta
costituzione in giudizio del convenuto in cancelleria.

Sia l’attore, sia il convenuto potrebbero non costituirsi in giudizio entro i termini. In questo caso si avrà
contumacia, dell’attore o del convenuto. Il nostro ordinamento giuridico non assegna alla contumacia un
significato di riconoscimento dell’altrui pretesa o di rinuncia alle difese, ma anzi c’è un regime protettivo
assegnato al contumace.

LEZIONE 2: 27 FEBBRAIO 2018 (manca il primo quarto d’ora)


Prima di arrivare alla prima udienza, bisogna considerare due istituti introdotti a volte dal legislatore
come condizioni di procedibilità, che sono 1) MEDIAZIONE 2) NEGOZIAZIONE ASSISTITA. 
Il legislatore le ha rafforzate forzando la mano, perché ha previsto che la mediazione e la negoziazione
assistita costituiscano una condizione di procedibilità della domanda davanti al giudice togato. La
mediazione è stata introdotta per la prima volta nel 2010 e la mediazione obbligatoria è stata oggetto di
questione di illegittimità costituzionale, perché è stata vista come una limitazione al diritto di azione. Nella
fase di mediazione è stata introdotta la obbligatorietà della presenza degli avvocati. Piano piano sta
prendendo piede, perché è necessario radicare la cultura della mediazione nell'ottica di riduzione delle
controversie. (Professione del mediatore- basta una laurea triennale negli ambiti più disparati: giuristi,
architetti, commercialisti, ingegneri). 

Mediazione e negoziazione assistita sono condizioni di procedibilità in ordine alle seguenti controversie: 
Mediazione   disciplinata dal  Decreto legislativo 4 marzo 2010, numero 98 
In materia di: -condominio –diritti reali –divisione –successioni ereditarie –patti di famiglia –locazione –
comodato –affitto di azienda per attività medica e sanitaria –diffamazione a mezzo di stampa.
Il passaggio per questi istituti è condizione di procedibilità della domanda: il convenuto o lo stesso giudice
di ufficio nella prima udienza possono esperire il mancato procedimento della mediazione. Se viene
eccepito che non è stato esperito il tentativo di mediazione il giudice rimanda le parti al mediatore. 

Negoziazione assistita  disciplinata dal decreto legislativo  12 settembre 2014, numero 132, convertito il
10 novembre 2014 - introduzione della convenzione di negoziazione assistita 
Le parti convengono di cooperare in buona fede e con lealtà 
Nella mediazione le parti, assistite da un avvocato, si rivolgono a un terzo che cerca di farle accordare. Nella
negoziazione non c'è nemmeno il terzo. La stipulazione è condizione di procedibilità di questo decreto
legge: 
- controversie in materia di circolazione di veicoli e natanti 
- controversie in materia di proposta di domanda di pagamento a qualunque titolo di somme non eccedenti
a 50 miliardi euro. 
A patto che non sia una controversia che rientra in quella della mediazione. 
È onere dell'avvocato avvisare il cliente della esistenza di questi istituti a pena di annullabilità del mandato
professionale. 
Nel 2017 è stata introdotta una fattispecie alternativa alla mediazione in materia medico sanitaria, affidata
a un tecnico. Il giudice alla prima udienza deve effettuare una serie di verifiche funzionali a verificare
effettività e regolarità in ordine alle parti, alla difesa tecnica e al contraddittorio.
Articolo 182 cpc - difetto di rappresentanza e autorizzazione 
Norma riformata nel 2009 in un'ottica di tendenziale sanabilitá dei vizi processuali innocui. Ci può essere
stata una irregolarità in sede di costituzione delle parti e, quando occorre, il giudice le invita a completare e
a mettere in regola le parti che riconosce difettose. La sanatoria ha effetti ex tunc, cioè senza nessuna
decadenza. Quando rileva un difetto di rappresentanza, di assistenza o di autorizzazione, ovvero un vizio
che determina la nullità della procura al difensore, il giudice assegna alle parti un termine perentorio per la
costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza, o l'assistenza, o per il rilascio delle
necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio della procura alle liti o per la rinnovazione della stessa.
L'osservanza del termine sana i vizi, e gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono fin dal
momento della prima notificazione.
Articolo 183 cpc - irregolare istituzione del contraddittorio tra le parti 
'All'udienza fissata per la prima comparizione delle parti e la trattazione il giudice istruttore verifica d'ufficio
la regolarità del contraddittorio e, quando occorre, pronuncia i provvedimenti previsti dall'articolo 102,
secondo comma, dall'art. 164, secondo, terzo e quinto comma, dall'art. 167, secondo e terzo comma,
dall'articolo 182 e dall'articolo 291, primo comma.'
Cfr. 102 litisconsorzio necessario 
Cfr. 164 167, cioè tutte le fattispecie di nullità dell'atto di citazione
Cfr. 291 tutte le previsioni a tutela del contumace Quando pronunzia i provvedimenti di cui al primo
comma, il giudice fissa una nuova udienza di trattazione.
Il giudice istruttore fissa altresì una nuova udienza se deve procedere a norma dell'art. 185'. Il giudice indica
le parti e fissa una nuova udienza. Inizia la trattazione orale della causa. Nell'udienza di trattazione, ovvero
in quella eventualmente fissata ai sensi del terzo comma, il giudice richiede alle parti, sulla base dei fatti
allegati, i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d'ufficio delle quali ritiene opportuna la
trattazione.'
Per parti si intendono i difensori.
I fatti allegati sono i fatti affermati. I fatti si affermano, i documenti si producono. 
In questa fase il giudice richiede la prova del fatto allegato. Il giudice presiede alla trattazione. In questa
fase è onere del giudice segnalare alle parti le questioni rilevabili d'ufficio. Sono vietate le decisioni di terza
via, cioè le decisioni a sorpresa del giudice, senza aver sollecitato il contraddittorio. Il giudice, guardando gli
atti, ravvisa un profilo di nullità del contratto, perché manca un requisito, o vede un profilo di illiceità. La
nullità è una eccezione di merito in senso lato sollevabile d'ufficio dal giudice. 
Può accadere che vengano sentite personalmente le parti, il giudice può infatti ordinare la comparizione
personale delle parti che sia funzionale all'interrogatorio libero delle parti (art 117), ma funzionale a
esperire un tentativo di conciliazione delle parti davanti al giudice stesso. Di recente nel 2013 il legislatore
ha introdotto il 185 bis, la proposta di conciliazione del giudice. Se formula una proposta di conciliazione ciò
non porta astensione e ricusazione, perché è come se anticipasse un pochino la sua decisione. Non rientra
nell'ipotesi di astensione (art 50 cpc) del giudice che ha già conosciuto in altro grado la stessa causa. La
comparizione personale delle parti può servire a dei chiarimenti del giudice e ciò che diranno non potrà mai
costituire una ragione in base a cui il giudice decide. Servono solo a chiarire le allegazioni, non siamo sul
piano probatorio. 
La causa va avanti. Nella stessa udienza l'attore può proporre le domande e le eccezioni, che sono
conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto. Può altresì chiedere
di essere autorizzato a chiamare un terzo ai sensi degli articoli 106 e 269, terzo comma, se l'esigenza è sorta
dalle difese del convenuto. Le parti possono precisare e modificare le domande, le eccezioni e le
conclusioni già formulate. In questa prima udienza l'attore può proporre nuove domande e nuove
eccezioni, a patto che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal
convenuto. Il difensore ha l'onere di dimostrarlo. 
Sempre l'attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo se l'esigenza di chiamarlo è
sorta dalle difese del convenuto. La giurisprudenza subordina anche la chiamata del terzo del convenuto
alla autorizzazione. È una distorsione, ma quando un convenuto chiama in giudizio un terzo il processo
diventa soggettivamente complesso, il convenuto deve notificare al terzo chiamato un atto di citazione. Le
chiamate possono diventare una causa di allungamento. Il rischio di non chiamare sta nella opposizione
della sentenza. Io vengo condannato, poi agisco di nuovo e non ottengo il risarcimento, magari il giudice la
pensa diversamente.
In questa prima udienza il convenuto può avere esigenza di precisare quanto detto o di modificare le sue
difese. Bisogna capire fino a che punto il giudice concede alle parti la possibilità di modificare le sue attività
e quando devono instaurare un nuovo giudizio. 
 
LEZIONE 3: 28 FEBBRAIO 2018

Prima udienza  L’attuazione del contraddittorio è tale che in questa prima udienza all’attore è consentito
di proporre nuove domande ed eccezioni purché siano conseguenza dell’attività difensiva svolta dal
convenuto e può altresì chiedere di essere autorizzato a chiamare un terzo, se l’esigenza è sorta dalle difese
del convenuto. (art. 183.5 codice procedura civile). A questo punto ci sono due alternative. O una
prosecuzione della stessa prima udienza, con svolgimento orale di una ulteriore attività difensiva di
entrambe le parti, oppure, su richiesta delle parti, il giudice concede termine alle parti per svolgere le
proprie difese in forma scritta nell’ambito di tre successive memorie scritte, le c.d. tre memorie 183, per
depositare le quali il giudice assegna tre termini perentori (30 giorni per la prima, 30 per una seconda, 20
giorni per una terza). Nella prassi le parti svolgono le difese con le tre memorie scritte.

In cosa consiste questa difesa?


C’è una attività difensiva che attiene alla possibilità di precisare ovvero modificare le domande e le
eccezioni fino a quel momento svolte dalle parti. “Precisare ovvero modificare” domande od eccezioni già
svolte sono nozioni diverse rispetto al proponimento di nuove domande od eccezioni consentito all’attore.
Modifica di una domanda è una nozione diversa rispetto al proponimento di una nuova domanda. La
precisazione è un c.d. ius penitendi, mentre la formulazione di una nuova domanda è una attività preclusa
alle parti. Su questo tema c’è una dottrina e una giurisprudenza molto ricca, non essendo netto il confine
tra le due nozioni.

Art. 183 c.p.c. quinto comma ultimo periodo  È possibile modificare le domande, eccezioni e conclusioni
già formulate. Art. 183 sesto comma c.p.c.  se richiesto, il giudice concede alle parti i seguenti termini
perentori: 1) un termine di ulteriori trenta giorni per il deposito di memorie limitate alle sole precisazioni o
modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; 2) un termine di ulteriori
trenta giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte, per proporre le
eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime e per l'indicazione dei mezzi di
prova e produzioni documentali; 3) un termine di ulteriori venti giorni per le sole indicazioni di prova
contraria.

Da un lato c’è un contenuto che attiene alla attività difensiva (domande, eccezioni e conclusioni), dall’altro
un contenuto che attiene ai mezzi di prova. Sono due piani concettuali separati, in quanto innanzitutto la
parte deve allegare i fatti, fondanti il diritto, e in un secondo momento produrre i documenti che ne sono la
prova. L’alternativa alla concessione di questi termini è la diretta rimessione della causa in decisione. Se il
convenuto, ad es., nella sua comparsa di risposta propone una difesa forte, come l’eccezione di
prescrizione, avrà interesse a domandare questa diretta rimessione della causa in decisione. Per cui di solito
la concessione di questi termini perentori per il deposito delle tre memorie scritte è richiesta dall’attore,
che ne ha un forte interesse. Di solito il giudice non li concede se la domanda dell’attore è palesemente
infondata, tuttavia nel caso in cui appaia fondata per prudenza e tutela del principio del contraddittorio li
concede.

PRECISARE LE DOMANDE  è una nozione intuitiva: svolte le domande, articolate nelle richieste, la parte
intende precisare i termini della domanda. Non si modificano né i fatti costitutivi, né la causa petendi né il
petitum. Si assegnano alla fattispecie dedotta in giudizio una qualifica giuridica leggermente diversa, ad es.
da risarcimento del danno ad arricchimento senza causa. Si possono allegare fatti secondari non
identificatori del diritto, ad es. domanda di risarcimento danni per responsabilità extracontrattuale di un
pedone investito da un ciclista: onere dell’attore è la prova del fatto, dell’illiceità del fatto, del nesso
causale, del danno, e può allegare fatti secondari che corroborano i fatti allegati, come ad es. “era buio”,
“no, erano le 15 di giugno, c’era luce”, per precisare le allegazioni.

MODIFICARE LA DOMANDA  è una nozione di più difficile comprensione, dato che non può estendersi
alla formulazione di una nuova domanda, che non è consentita. Bisogna richiamare la distinzione tra
domande auto e etero individuate, sebbene la giurisprudenza abbia leggermente superato questa.

Domanda non ammessa di certo è il caso in cui il petitum mediato cambi e/o si arricchisca di ulteriori
elementi. Ad es. da una domanda di risarcimento danni per 100 a una domanda di risarcimento danni per
150. Ad es. risoluzione del contratto e restituzione di un bene X, che diventa restituzione di un bene Y.
Sarebbe una nuova domanda, inammissibile in quel processo, ma nulla vieta all’attore di proporre in un
nuovo giudizio quella domanda, non essendo coperta dal giudicato. Per quanto attiene alla causa petendi,
bisogna distinguere tra domande auto e etero individuate. Le domande auto individuate hanno per oggetti
diritti assoluti e reali salvo i diritti di garanzia. Ad es. la domanda volta all’accertamento della proprietà non
muta per la diversa allegazione. Non importa che il fatto costitutivo sia un contratto di proprietà o
l’usucapione o successione mortis causa, la domanda sarà sempre identica. Dunque se nell’atto di citazione
l’attore ha proposto domanda sulla base di un contratto di compravendita, ma poi tema che manchino i
requisiti di forma di questo, potrà in un momento successivo allegare l’usucapione per la sua buona fede
certa e il tempo passato. È una modifica della domanda perché cambia il fatto allegato, ma non una nuova
domanda, trattandosi di una domanda avente per oggetto un diritto auto-individuato. Per quanto riguarda
le domande etero individuate, al mutare del fatto costitutivo allegato muta il diritto fatto valere. Ad es. una
domanda di risarcimento di 100 a titolo di inadempimento contrattuale che diventa una domanda di
risarcimento di 100 a titolo di un altro inadempimento contrattuale diventa una modifica della domanda,
sebbene il risarcimento sia sempre 100. Un caso ancora diverso è quello delle azioni costitutive. Ad es.
domanda di annullamento del contratto per errore, viene allegato un fatto storico tale da integrare l’errore
nell’atto di citazione. Poi questo fatto storico viene qualificato come dolo nella prima memoria scritta. O
ancora, prendiamo ad esempio la domanda di annullamento di un contratto per errore per un fatto storico
X nell’atto di citazione, quando poi nella prima memoria scritta il fatto storico allegato che integra sempre
errore diventa il fatto storico Y. O ancora, da una domanda di sentenza costitutiva di passaggio di proprietà
per inadempimento del contratto preliminare a una domanda di accertamento dell’avvenuto passaggio di
proprietà, dato che il contratto stipulato era già definitivo. Qui cambia addirittura anche il petitum mediato.
Secondo la teoria generale, sulla base della nozione di domanda etero-individuata, si tratterebbe di tutte
nuove domande e non di mere modifiche. Le modifiche di domande sarebbero consentite solo nell’ambito
della domanda auto individuata. Forse solo nel secondo es. sarebbe possibile, se si allegano fatti diversi che
integrano sempre lo stesso errore. Le sezioni unite cassazione nel 2014 e 2015 ha dato una nozione elastica
alla modifica della domanda. Alla luce del principio di economia processuale e ragionevole durata del
processo, è necessario interpretare la legge in modo che la controversia sul bene della vita, oggetto della
domanda di parte, sia il più possibile unica, in modo da non disperdere energie processuali ed evitare
l’ammissione di nuovi processi, dato che dando una interpretazione restrittiva le domande non sarebbero
coperte dal giudicato e dunque ammissibili in un nuovo processo. Dunque la Cassazione propende per
l’allargare la nozione di giudicato. Su un bene della vita, una unica controversia. Ciò premesso, secondo la
Cassazione è modifica e non domanda nuova ex art. 183 comma 6 numero 1 quella domanda pur
caratterizzata da elementi individuatori nuovi, che tuttavia si sostituisce alla domanda originaria e non si
aggiunge alla stessa e ha per oggetto lo stesso bene della vita. Si tratta delle c.d. DOMANDE COMPLANARI,
come afferma Consolo. Secondo le Sezioni Unite 2015, si modifica una domanda originaria, precisandola,
dato che non muta il bene della vita. Viene tutelato comunque il contraddittorio e il diritto di difesa del
convenuto, che ha già pronte le sue attività difensive. Secondo la teoria generale, è modifica della domanda
solo quella fattispecie in cui siamo innanzi una domanda etero-individuata... Tuttavia, ULTIMAMENTE LA
GIURISPRUDENZA INTERPRETA ESTENSIVAMENTE LA NOZIONE DI DOMANDA E RESTRITTIVAMENTE LA
NOZIONE DI NUOVA DOMANDA E RITIRNE CHE SIA MODIFICA DELLA DOMANDA AMMISSIBILE AI SENSI
DELL’ARTICOLO 183.6 DEL CODICE DI PROCEDURA CIVILE QUELLA DOMANDA CHE ABBIA PER OGGETTO
STESSO BENE DELLA VITA DELLA DOMANDA ORIGINARIA E CHE SI SOSTITUISCA E NON SI AGGIUNGA A
QUELLA ORIGINARIAMENTE FORMULATA E CONSENTA ALLA CONTROPARTE LO SVOLGIMENTO DI UNA
ATTIVITA’ DIFENSIVA. Ad es. domanda costitutiva ex art. 2932 c.c. ad una domanda di accertamento
dell’avvenuto passaggio della proprietà. C’è una giurisprudenza ondivaga con riferimento agli altri es. visti
prima, per quanto la tendenza sia quella deflattiva.

Nella c.d. memoria numero uno ex art. 183 c.p.c. tendenzialmente scriverà di più l’attore, salvo che non ci
sia stata una discussione orale nell’udienza molto ricca. Nella c.d. memoria numero due ex art. 183 c.p.c.
c’è un termine per replicare alle domande nuove, le stesse consentite all’attore in udienza e prima
memoria. Poi ci sono le ECCEZIONI C.D. MODIFICATE. Si ha la piena attuazione del contraddittorio con
questa memoria, dato che la parte può replicare a quanto fatto valere dalla controparte nella memoria
precedente. Il contraddittorio termina con questa memoria numero due 183, si cristallizza tendenzialmente
in modo definitivo quanto domandato dalle parti. L’oggetto sia del cognitum sia del decisum del giudice si
cristallizza con questa memoria numero due. In questo momento, a partire dalla memoria numero due,
inizia il contenuto dell’attività istruttoria delle parti. Si ha la formulazione di istanze di prova diretta e la
produzione di prove documentali a prova diretta. Nel nostro ordinamento vige il PRINCIPIO dell’ONERE
DELLA PROVA  L’attore deve allegare e provare i fatti costitutivi del proprio diritto, mentre il convenuto i
fatti estintivi, modificativi, impeditivi del proprio. La regola dell’onere della prova è una c.d. regola di
giudizio. Entrambe le parti allegheranno i fatti e introdurranno mezzi di prova per allegare quei fatti.
Esistono c.d. prove legali che il giudice non può liberamente valutare, ma si tratta dell’eccezione. Di regola
sono liberamente valutabili dal giudice. Il prudente apprezzamento del giudice ha un limite, ossia l’onere
probatorio: se ritiene che una parte non abbia soddisfatto l’onere della prova, quindi non ci sia stata la
piena prova di un fatto costitutivo, deve decidere sulla base della regola di giudizio dell’onere della prova,
dunque rigettare la domanda. Si tratta di una regola, quella dell’onere probatorio, di certo rivolta alle parti,
ma fondamentale dall’ottica del giudizio, ancor prima rivolta al giudice. Se i mezzi di prova introdotti dalle
parti non saranno sufficienti a provare il fatto costitutivo del diritto fatto valere, o i fatti estintivi,
modificativi o impeditivi delle eccezioni, il giudice rigetterà. Inoltre vale il principio di acquisizione della
prova, alla luce del quale il giudice ad es. tiene conto anche della prova sfavorevole all’attore introdotta con
il mezzo di prova portato in giudizio dall’attore stesso.

Ex art. 183 comma sei n. 2 c’è un termine preclusivo per l’introduzione dei mezzi di prova e la produzione
della prova documentale. Dunque in questo termine le parti “scoprono le proprie carte” e formulano le
istanze istruttorie. Si passa dalla mera allegazione alla formulazione di queste istanze probatorie.

La memoria numero tre, per cui vige un termine più breve di venti giorni, ha un contenuto riservato
esclusivamente all’attività istruttoria, dunque ai mezzi di prova, attua il principio di contraddittorio in
materia di istruzione probatoria, dato che il giudice concede un ulteriore termine per la sola indicazione
della prova contraria, a differenza della prova diretta nella memoria numero due. A fronte delle istanze
istruttorie, formulate dalle parti, nella memoria numero due, si ha la risposta nella memoria numero tre.
Allo stesso modo con la prova documentale, nella memoria numero tre si ha la produzione di un
documento che la smentisce. Non si ha dunque una prova di un fatto ulteriore e diverso, non si allegano
nuovi fatti, ma si introducono mezzi di prova concernenti fatti già allegati in precedenza dalla controparte.

Trattandosi di termini perentori, il giudice dovrebbe ritenere inammissibili i mezzi di prova introdotti
successivamente, una volta decorsi. Tuttavia è sempre possibile la rimessione in termini per cause non
imputabili alla parte.

In queste tre memorie si delimita progressivamente l’oggetto del cognitum, del decisum e dell’attività
probatoria che deve svolgersi nel processo. Il giudice fissa anche una ulteriore data: la data per l’udienza
dell’assunzione dei mezzi di prova. Il giudice fissa questa udienza salvo che all’esito della lettura delle tre
memorie ritenga che in realtà la causa sia matura per la decisione e non occorra lo svolgimento per alcuna
attività istruttoria. Il convenuto che ritenga che le domande dell’attore siano infondate domanderà al
giudice la diretta rimessione della causa in decisione. Tale udienza potrà articolarsi poi in più udienze, dato
che le istanze istruttorie spesso sono sovrabbondanti, i capitoli di prova numerosi, i testimoni numerosi.
Inoltre, nell’ambito dell’attività istruttoria, alcuni mezzi di prova possono essere assunti in processo solo se
a richiederlo sono le parti, mentre altri possono essere disposti d’ufficio anche dal giudice. Ad es.
l’ispezione può essere disposta d’ufficio dal giudice nel caso di un risarcimento di danni ad un immobile
danneggiato. Quando il tribunale giudica in composizione monocratica, il giudice può disporre d’ufficio
anche della testimonianza, qualora il soggetto terzo non sia stato citato come testimone dalle parti. Quindi
il giudice, oltre ad ammettere o meno le istanze istruttorie di parte, può anche ammettere d’ufficio mezzi di
prova.

Ex art. 183 c.p.c. il faro del legislatore è sempre il principio del contraddittorio, anche in relazione
all’ammissione d’ufficio di mezzi di prova.

“Nel caso in cui vengano disposti d'ufficio mezzi di prova con l'ordinanza di cui al settimo comma, ciascuna
parte puo' dedurre, entro un termine perentorio assegnato dal giudice con la medesima ordinanza, i mezzi
di prova che si rendono necessari in relazione ai primi nonche' depositare memoria di replica nell'ulteriore
termine perentorio parimenti assegnato dal giudice, che si riserva di provvedere ai sensi del settimo
comma.”
La controparte può svolgere una ulteriore attività difensiva anche con riferimento all’iniziativa officiosa
assunta dal giudice, non essendo ammissibili le c.d. decisioni della terza via nel nostro ordinamento. È
prerogativa delle parti esclusiva la formulazione delle domande e l’allegazione dei fatti. Quanto invece al
piano dell’attività istruttoria, nel nostro ordinamento convivono sia il principio dispositivo, sia il principio
inquisitorio in senso formale.

Domande: parti

Fatti: parti (tranne per il caso del fatto notorio), il giudice non può avvalersi della scienza privata

Prove: parti e giudice

Ampliando i poteri del giudice, la decisione più probabilmente si avvicinerà alla realtà.

Quando c’è una azione risarcitoria e c’è una compagnia assicuratrice coinvolta, il convenuto non tenderà a
difendersi senza grande preoccupazione. La compagnia assicuratrice chiamata in giudizio svolgerà
principalmente l’attività difensiva del convenuto, avendone un certo interesse. Il giudice allora cercherà di
tutelare la compagnia assicuratrice, dato che non è detto che la parte si muova nell’interesse
dell’accertamento della verità. Per cui non bisogna guardare con sfavore all’aumento di poteri istruttori del
giudice e al principio inquisitorio, dato che è un rischio a volte lasciare tutta l’iniziativa istruttoria alle sole
parti.

LEZIONE 4: 6 MARZO 2018

Memoria numero due: prova diretta memoria numero tre: prova contraria

Il giudice fissa l’udienza dedicata all’assunzione dei mezzi di prova. In questa udienza, il giudice, farà
discutere alle parti, nel contradditorio, le richieste dalle stesse effettuate all’interno delle memorie e, a
valle di queste istanze, dovrà vedere se le istanze formate dalle parti sono, innanzitutto, AMMISSIBILI e poi
formulerà un ulteriore giudizio che è di RILEVANZA del mezzo di prova, vedere cioè se è rilevante, ai fini
della decisione, l’assunzione di quel determinato mezzo di prova. Le possibilità sono due: a valle di questa
riserva la SCIOGLIERA’ CON ORDINANZA, IN CUI INDICHERA’ I MEZZI DI PROVA AMMISSIBILI E RILEVANTI E
FISSERA’ UN’ULTERIORE UDIENZA DEDICATA AD ASSUMERE QUESTI MEZZI DI PROVA OPPURE RITIENE NON
OPPORTUNO DEDICARE UN’ULTERIORE UDIENZA DEDICATA ALL’ASSUNZIONE DI QUESTI MEZZI DI PROVA,
RIMETTENDO, IN QUESTO CASO, LA CAUSA IN DECISIONE. Questo accade quando? Quando non si svolge
l’attività istruttoria? 1) O quando la CAUSA potrà essere DECISA solo SULLA BASE DELLE PROVE
DOCUMENTALI, cd precostituite, prodotte dalle parti o non sulla base delle prove costituende, che devono,
invece, essere assunte nel corso del giudizio. 2) o la CAUSA RICHIEDE ESCLUSIVAMENTE SOLUZIONE DI
QUESTIONI DI DIRITTO, cioè I FATTI SONO PACIFICHI TRA LE PARTI e un fatto è pacifico quando non viene
contestato dalla parte e l’effetto della non contestazione è l’esclusione di quel fatto dalla prova
probandum, ESCLUSIONE DELL’ONERE DI PROVARE IN GIUDIZIO QUEL FATTO E IL FATTO CHE SI TRATTI DI
UN FATTO PACIFICO PUO’ EMERGERE SIA NEGLI ATTI INTRODUTTIVI CHE A VALLE DELLE TRE MEMORIE,
perché, secondo l’orientamento oggi dominante, il momento ultimo, oltre il quale le parti non possono più
contestare i fatti allegati dalla controparte è la memoria numero 2 ex articolo 183 e, infatti, il momento
ultimo in cui si può contestare è la memoria numero due. A questo punto la soluzione della causa dipende
esclusivamente dalla soluzione di questioni di diritto. È assolutamente inutile che si svolga un’attività
istruttoria. 3) quando le parti sollevino e il giudice rilevi d’ufficio che la CAUSA POSSA ESSERE DECISA PER
EFFETTO DI UNA QUESTIONE PRELIMINARE DI MERITO O QUESTIONE PREGIUDIZIALE DI RITO,
PRESENTANDO ENTRAMBE L’ATTITUDINE A DEFINIRE IMMEDIATAMENTE LA CAUSA  Di che cosa si tratta?
Entrambe le categorie possono comportare una definizione immediata della lite. Le questioni preliminari di
merito attengono tendenzialmente a QUESTIONI CHE NON POSSONO E NON POTREBBERO MAI FORMARE
OGGETTO AUTONOMO DEL PROCESSO, ENTRANO NEL PROCESSO PER UNA ECCEZIONE SOLLEVATA DAL
CONVENUTO E, TENDENZIALMENTE, CONSISTONO IN UN FATTO ESTINTIVO DEL DIRITTO FATTO VALERE
DALL’ATTORE CHE HA CARATTERISTICHE TALI DA AUTORIZZARE UN RIGETTO DELLA DOMANDA SENZA
ESAME NEL MERITO DELLA STESSA E RENDE INUTILE E SUPERFLUO L’ESAME NEL MERITO DELLA
DOMANDA. Esempio classico è l’eccezione di prescrizione: domanda adempimento di un contratto e il
convenuto sollevi una serie di eccezioni e il diritto fatto valere dall’attore si prescrive  se il giudice,
dall’esame degli atti, si rende conto che l’eccezione sollevata dal convenuto sia un’eccezione fondata per
decidere sulla domanda si dovrebbe svolgere un’attività istruttoria particolarmente complessa, ma se il
giudice si accorge che è verosimilmente fondata questa ha l’attitudine di definire immediatamente la
domanda perché il diritto è ormai prescritto. Le QUESTIONI PREGIUDIZIALI DI RITO attengono alla CARENZA
DI UN PRESUPPOSTO PROCESSUALE O CONDIZIONE DELL’AZIONE. Emerge, ad esempio, la carenza di
interesse ad agire oppure emerge la carenza di legittimazione ad agire, perché fa valere un diritto proprio in
nome di sua sorella. A questo punto è inutile vedere se esiste il diritto, perché chi lo sta facendo valere non
ha diritto a un decisum sul merito da parte del giudice. In questo caso il giudice rimette la causa in decisione
e l’attività istruttoria non si svolge. Ma se questa valutazione prognostica è giusta avremo lo scambio delle
memorie e il PROCESSO SI CONCLUDERA’, NEL PRIMO CASO, CON UNA SENTENZA DI RIGETTO DELLA
DOMANDA NEL MERITO, MENTRE NEL SECONDO CASO ABBIAMO UNA SENTENZA IN RITO CHE DICHIARA
INAMMISSIBILE LA DOMANDA. Ma se la valutazione prognostica è errata? Ciò accade soprattutto quando
viene rimessa in mano al collegio la causa ma può avvenire anche nel monocratico. In questo caso avremo
la PRONUNCIA DELLA SENTENZA NON DEFINITIVA E CON ORDINANZA LA CAUSA REGREDISCE DA DOVE ERA
STATA RIMESSA IN DECISIONE. 4) o ipotesi non espressamente prevista dalla legge, ma che costituisce oggi
diritto vivente che va sotto il nome di RAGIONE PIU’ LIQUIDA DEL DECIDERE. L’articolo 276 prescrive e
indica al giudice che deve decidere un ordine in base al quale le questioni debbano essere affrontante ai fini
della decisione  il giudice, prima di decidere nel merito la controversia, dovrà verificare la sussistenza di
tutti i presupposti processuali di condizione dell’azione. C’è un ordine logico di valutazione delle questioni.
Ultimamente la corte di cassazione e parte della dottrina sostengono che questa norma deve essere letta in
modo costituzionalmente orientato e alla luce del principio della ragionevole durata del processo
imponendo al giudice, qualora ravvisi una ragione che gli consenta di decidere la controversa in modo più
rapido, di invertire l’ordine di esame delle questioni, anzi di saltare l’ordine imposto e prescritto
dall’articolo 276 in virtù, appunto, del principio della ragionevole durata del processo. Es: si svolgono delle
trattative fra due parte per l’assicurazione di un contratto, ma le parti non raggiungono un accordo e il
contratto non viene stipulato ma una delle parti sostiene che l’altra sia receduta in modo non corretto 
per valutare la fondatezza del merito della domanda ci vorrebbe un’attività istruttoria molto complessa, ma
se ci si accorge che, a valle, la persona abbia venduto il bene a una altra persona a un prezzo più alto siamo
dinanzi a una questione risarcitoria che non c’è  siamo nell’ambito di una responsabilità precontrattuale
o addirittura extracontrattuale, per cui il danno sarebbe l’ultima questione da valutare ma, qualora ci si
accorga che il danno non c’è, sin da subito, la decisione viene presa in base alla ragione più liquida
rimettendo immediatamente la causa in decisione. A oggi tendenzialmente la giurisprudenza non ammette
l’inversione delle questioni ex articolo 276 tra questioni di merito e questioni di rito. Bisogna prima valutare
questioni che attengono al rito, i presupposti processuali e qualora si accettasse un’inversione potremmo
arrivare all’ipotesi patologica che a decidere sia un giudice non giudice. In dottrina qualcuno ammette
l’inversione, ma la giurisprudenza ancora non fa questo passo e forse non lo farà mai. La ragione più liquida
significa inversione delle questioni nel merito ex articolo 276.

Prima di arrivare a descrivere la fase decisoria dobbiamo esaminare ancora che cosa può accadere nella
fase del processo. Nell’ipotesi in cui si svolga attività istruttoria o, comunque, nel corso di tutto il processo,
il giudice, nella sua funzione di direzione del processo, esercita tutti i poteri solleciti ad un leale svolgimento
del processo, dirigendolo e mettendo, nel corso dello stesso, provvedimenti ordinatori, DESTINATI A
GOVERNARE LO SVOLGIMENTO DEL PROCESSO, SENZA CHE, DAGLI STESSI, DERIVI ALCUN TIPO DI
DECISIONE O INCISIONE SUI DIRITTI SOGGETTIVI DELLE PARTI. I PROVVEDIMENTI DECISORI HANNO SEMPRE
LA FORMA DELL’ORDINANZA E, DI REGOLA, SONO SEMPRE REVOCABILI O MODIFICABILI DALLO STESSO
GIUDICE CHE LE HA PRONUNCIATE. LA REVOABILITA’ E LA MODIFICABILITA’ SONO UN COROLLARIO DELLA
NATURA ORDINATORIA DELLE STESSE. Revocabili o modificabili o modu propriu, quindi su iniziativa del
giudice, o perché sollecitato dalle parti. Dispone articolo 176 al primo comma che tutti i provvedimenti del
giudice istruttore, salvo che la legge disponga altrimenti, hanno la forma dell’ordinanza. Le parti possono
formulare un’istanza al giudice per chiedere di modificare o revocare un’ordinanza. Le ordinanze, se
pronunciate in udienza, si presumono conosciute dalle parti, mentre se fuori vengono COMUNICATE e NON
NOTIFICATE ALLE PARTI TRAMITE CANCELLERIA. Quindi regola generale è che il giudice emetta una serie di
ordinanze, di regola sempre modificabili o revocabili. Ma ci sono delle eccezioni: innanzitutto l’articolo 178
ci dice quando queste non sono né modificabili né revocabili, OVVERO 1) QUANDO SI TRATTA DI
ORDINANZA SULL’ACCORDO DELLE PARTI 2) LE ORDINANZE DICHIARATE ESPRESSAMENTE NON
IMPUGNABILI DALLA LEGGE E 3) LE ORDINANZE PER LE QUALI LA LEGGE VUOLE MEZZO DI RECLAMO. Gli
articoli 186 bis, ter, quarter recano la disciplina di tre particolari ordinanze, ANTICIPATORIE DI CONDANNA,
CHE POSSONO ESSERE PRONUNCIATE NEL CORSO DEL PROCESSO, IN FUNZIONE ANTICIPATORIA E
SATISSFATTIVA SU ISTANZA DELLA PARTI. Queste tre ordinanze rappresentano una possibile articolazione
del processo, che si sviluppa prima della fase decisoria. Sono delle ordinanze che presentano tratti
caratterizzanti, che le allontano molto dall’ordinanza tipica. Hanno queste contenuto decisionale. La stessa
numerazione bis, ter, quarter ci fa capire che sono state introdotte dopo, intorno agli anni 90, perché, da
molti anni, si pone il problema della durata dei processi, della concessione di giustizia. Il legislatore ha
introdotto, nella fase istruttoria, la possibilità per le parti di ottenere un provvedimento che anticipa, in
tutto o in parte, la decisione finale della causa. Tutte e tre le ordinanze appartengono al genus di condanna,
il cui EFFETTO PRINCIPALE È SFOCIARE IN UN TITOLO ESECUTIVO CON EFFETTI SECONDARI DI
ALLUNGAMENTO DELLA PRESCRIZIONE E TITOLO PER ISCRIVERE IPOTECA GIUDIZIALE. 186 bis 
ORDINANZA PAGAMENTO DELLE SOMME NON CONTESTATE 186 ter  ORDINANZA DI INGIUNZIONE 186
quater  ORDINANZA SUCCESSIVA ALLA CHIUSURA DELL’ISTRUZIONE. 186 bis: ORDINANZA PAGAMENTO
DELLE SOMME NON CONTESTATE. Capiamo che l’ambito di applicazione di questa ordinanza è molto
circoscritto, perché occorre che ci troviamo in una DOMANDA che ha ad OGGETTO PAGAMENTO DI
SOMME DOVUTE E IL CONVENUTO NON CONTESTA e può essere formulata fino alla precisazione delle
conclusioni. L’attore chiede la condanna del convenuto al pagamento di 100, il convenuto per 50 lo
riconosce, mentre dice di non dovere gli altri 50. L’articolazione delle difese del convenuto è formulata in
modo tale da non contestare una parte nella prassi  è raro che si contesti in integrum. Di solito non
contesta una parte del petitum. LA PARTE DEVE ESSERE COSTITUITA, NON PUO’ ESSERE PRONUNCIATA
ORDINANZA NEI CONFRONTI DELLA PARTE CONTUMACE, PERCHE’ LA CONTESTAZIONE PUO’ ESSERCI SOLO
DALLA PARTE COSTITUITA. Il giudice emette ordinanza di pagamento delle somme non contestate, quindi
ordina alla parte di adempiere alla prestazione e, se non adempie alla prestazione, può essere soggetta a
esecuzione forzata  TUTELA ESECUTIVA ANTICIPATA CON PROCESSO DI COGNIZIONE ANCORA PENDENTE.
Qualora emerga che la pretesa sia infondata, l’ordinanza può essere modificata o revocata. Nel frattempo,
questa ordinanza incide sui diritti soggettivi, è un ordinanza che ha in comune con le ordinanze classiche la
revocabilità e modificabilità ma è un po’ più stabile rispetto alle ordinanze perché, qualora il processo si
estingua conserva la sua efficacia  quale efficacia? Cosa significa? Ha soltanto un’efficacia esecutiva o a
seguito dell’estinzione ha anche efficacia decisoria? C’è chi dice che è un provvedimento ibrido, ma non ha
nulla a che vedere con una sentenza, chi dice il contrario.

186 ter: ISTANZA DI INGIUNZIONE. Questa ordinanza può essere pronunciata su istanza di parte dal giudice
fino alla precisione delle conclusioni quando, nel corso del processo, LA PARTE CHE HA FORMULATO LA
DOMANDA ENTRA IN POSSESSO DI UN MEZZO DI PROVA DEL DIRITTO DI CREDITO FATTO VALERE, DI UNA
PROVA SCRITTA CHE AVREBBE CONSENTITO ALLA PARTE DI CHIEDERE E OTTENERE UN DECRETO
INGIUNTIVO INAUDITA ALTERA PARTE. Nel nostro ordinamento, IL LEGISLATORE CONSENTE CHE QUANDO
IL DIRITTO DI CREDITO SI FONDA SU UNA PROVA SCRITTA PARTICOLARMENTE QUALIFICATA, PER CUI IL
DIRITTO E’ PROVATO IN MODO TALE DA FAR PRESUMERE L’EFFETTIVA PRESENZA DI QUEL CREDITO, SI PUO’
CHIEDERE AL GIUDICE LA PRONUNCIA DI UN DECRETO INGIUNTIVO SENZA PREVIA ATTUAZIONE DEL
CONTRADDITTORIO CON IL CONVENUTO. È uno strumento di tutela molto rapido. Questa ordinanza ci dice
che un provvedimento emanato sugli stessi presupposti del decreto ingiuntivo può essere pronunciato dal
giudice nel corso del primo grado. C’è un rinvio alle norme del decreto ingiuntivo e dice che, se nel corso
del processo di primo grado, hai in mano quelle stesse prove scritte così forti puoi richiedere
provvedimento di cui articolo 183. Ma perché se un soggetto è in possesso di queste prove scritte instaura
un processo di cognizione ordinaria invece di chiedere direttamente un decreto ingiuntivo? O PERCHE’ NON
ERA A CONOSCENZA DI QUESTO TITOLO PRIMA OPPURE L’ISTANZA VIENE RIFORMULATA IN VIA
RICONVENZIONALE DAL CONVENUTO, CIOE’ ILCONVENUTO NON SOLO FORMULA UNA DOMANDA
RICONVENZIONALE, MA CHIEDE AL GIUDICE LA PRONUNCIA, NEL CORSO DEL PROCESSO, DI UN DECRETO DI
INGIUNZIONE PERCHE’ IN POSSESSO DI QUEL TITOLO. E’ un continuo rinvio alle norme sul decreto
ingiuntivo, perché ci dice che questo provvedimento è immediatamente esecutivo. Anche questa ordinanza
è modificabile e revocabile. Se il processo si estingue, l’ordinanza, se non era immediatamente esecutiva, lo
diventa, è POSSIBILE ANCHE CON LA PARTE CONTUMACE, ALLA QUALE DEVE ESSERE IMMEDIATAMENTE
NOTIFICATA E ISTITUISCE TITOLO PER L’ISCRIZIONE DELL’IPOTECA GIUDIZIALE.

186 quarter: ORDINANZA SUCCESSICA ALLA CHIUSURA DELL’ISTRUTTORIA. Il giudice lo pronuncia all’esito
dell’attività istruttoria, poi si rimette la causa in decisione in cui si decide se l’intera domanda deve essere
accolta. Nel frattempo però viene RISARCITO CIO’ CHE E’ STATO PROVATO. Nei limiti in cui la prova è stata
raggiunta pronuncia l’ordinanza. Presupposto è che l’attività istruttoria abbia rilevato che diritto sia provato
fino a quei limiti. È modificabile e revocabile solo con la sentenza, è più stabile rispetto alle altre ordinanze.
Se il processo si estingue acquista l’efficacia della sentenza impugnabile, quindi sicuramente avrà una
natura decisoria. Ma perché nella prassi nessuno la chiede? Qual è la controindicazione? Il rischio è che
l’attore chieda la pronuncia di questa ordinanza nei limiti della prova raggiunta, che casomai è minima e
dunque a questo punto l’avvocato del convenuto fa in modo che il processo finisca, perché è il
CONVENUTO CHE DEVE CHIEDERE LA PROSECUZIONE DEL PROCESSO. Per minimizzare la litigiosità, il
silenzio estingue il processo: per andare avanti deve esserci la richiesta al convenuto, che non lo richiede se
sa di aver torto e viene condannato a una parte minima, alla parte provata sino a quel momento. È per
questo che nella prassi non viene chiesta, perché non conviene sempre all’attore chiederla.

Si passa alla decisione. Art 187: l’articolo continua a parlare di collegio, anche se oggigiorno è più il giudice
monocratico. Verrà fissata un’udienza, la cd UDIENZA DI PC, di precisazione delle conclusioni, NELLE QUALI
LE PARTI COPIANO LE SOLUZIONI CHE HANNO FORMULATO O GLI ATTI INTRODUTTIVI, PERCHE’ NON CI
SONO STATE LE TRE MEMORIE O A VALLE DELLE TRE MEMORIE. Il foglio di pc va fatto bene, perché si
cristallizzano soluzioni formulate prima. Bisogna tener conto delle precisazioni e modificazioni della
seconda memoria o della prima udienza. L’oggetto della causa, quando il giudice dovrà decidere, lo andrà a
vedere al foglio di pc, di precisazione delle conclusioni. È un atto rapido, veloce e formale ma dal punto di
vista dell’oggetto della decisione è fondamentale. Tutto si cristallizza, dal punto di vista temporale, al
momento della precisazione delle conclusioni. LA PRECISAZIONE DELLE CONCLUSIONI È LA DELIMITAZIONE
DELL’OGGETTO DEL PROCESSO.

LEZIONE 5: 07 MARZO 2018

Invita le parti a precisare le conclusioni in modo completo. La causa può essere rimessa in decisione anche
se sorgono questione pregiudiziali di merito o preliminari di rito. Bisogna precisare integralmente le
conclusioni, anche la rimessione della causa avviene su questioni pregiudiziali di merito o preliminari di rito.
Le conclusioni di merito devono essere interamente formulate. Una volta precisate le conclusioni, alle parti
spetta predisporre ulteriori due atti scritti: ai sensi dell’articolo 190 viene assegnato alle parti un termine di
60 giorni per RELAZIONE COMPARSA CONCLUSIONALE e ULTERIORI 20 GIORNI per lo SCAMBIO DELLE
MEMORIE CD DI REVOCA. Sono memorie difensive, nell’ambito delle quali, le parti non potranno introdurre
alcuna nuova modifica. Si riordina l’intera attività difensiva e si può arricchire sotto il profilo di difesa in
diritto, senza che l’oggetto della controversia possa in questo caso essere ulteriormente depositato. Questo
scambio avviene sempre. Si passa a questo punto alla fase decisoria e quindi agli articoli 275 e ss, capo
terzo della decisione della causa. L’articolo 275 dispone che, rimessa la causa in decisione, la sentenza è
depositata in cancelleria entro 60 giorni dalla scadenza dei termini per le memorie di replica. L’intervallo
lungo si ha tra l’ultima udienza istruttoria o ultima memoria ex 183 e quella della precisione delle
conclusioni il cui intervallo di tempo tra l’una e l’altra di solito è di un anno. Atto di citazione-comparsa di
risposta-tre memorie-udienza istruttoria-precisazione conclusione-conclusionali-replica-sentenza.

Ciascuna delle parti può chiedere che un’udienza di discussione dinanzi al collegio o allo stesso giudice,
cioè, dopo le conclusionali, le parti possono chiedere di essere di nuovo sentite dal giudice e questa
richiesta deve esserci alla precisazione delle conclusioni e reiterata al presidente del tribunale e alla
scadenza del termine per depositare le memorie di replica. È un po’ un disincentivo: devi formularla una
volta e, poi, ribadirla.

A questo punto siamo nella decisione. Il giudice ha collezionato quantità di atti scambiati tra le parti, il
giudice di solito arriva avendo già letto tutti gli atti e se legge le memorie conclusionali delle parti ha un
quadro completo, perché di solito qui le parti riassumono anche i caposaldi della controversia. Nell’ambito
del collegio viene subito in considerazione l’importante articolo 276, che al primo comma ci dice che I
GIUDICI SI RIUNISCONO IN CAMERA DI CONSIGLIO E IN SEGRETO E AD ESSA POSSONO PARTECIPARE SOLO I
GIUDICI CHE HANNO PARTECIPATO ALLA CONCLUSIONE e nel secondo comma abbiamo la regola di ordine
di esame delle questioni, che viene spesso derogata  questo comma ci dice che il collegio decide prima le
questioni pregiudiziali poi il merito della causa, ma abbiam visto che si autorizza l’inversione dell’esame
delle questioni. La decisione va presa a maggioranza dei voti e il primo a votare è il giudice relatore che
sarebbe il giudice istruttore che ha seguito la causa ab origine, mentre gli altri 2 arrivano solo ora e il
giudice istruttore gli dà un quadro di quanto successo e infine vota il presidente. Interessante è il quarto
comma che dispone che, se intorno a una questione si prospettano più decisioni e nessuna raggiunge la
maggioranza, il collegio deve procedere alla riduzione delle possibili decisioni finché non si riducano a 2. Il
presidente iscrive e sottoscrive il dispositivo con motivazione estesa al presidente dal giudice istruttore, ma
se questo ha votato contro non si costringe ad una motivazione che, in realtà, non condivide. Quale è il
possibile contenuto dei provvedimenti che il giudice rende all’esito del processo? Sono da distinguere con i
provvedimenti ordinatori. Abbiamo parlato di provvedimenti del giudice fino ad ora non decisori, mentre
qui bisogna individuare il possibile tenore e la possibile forma della decisione del giudice. Bisogna precisare
e inquadrare in concreto la disciplina del provvedimento decisorio e individuarne le tipologie. FORMA: di
solito il provvedimento enunciato dal giudice assume la forma della sentenza, salvo che il processo si
concluda con un provvedimento che ha la forma dell’ordinanza e si ha questo solo quando si abbia ad
oggetto esclusivamente la competenza  è così ex art 279 come modificato nel 2009. Tendenzialmente
sarà un provvedimento declinatorio della competenza. Fino al 2008 la forma anche di questo era la
sentenza. In tutti gli altri casi il provvedimento che chiude il giudizio ha la forma della sentenza. Bisogna
però distingue, perché ne derivano una serie di corollari applicativi, tra:

1) SENTENZE DEFINITIVE DI MERITO

2) SENTENZE DEFINITIVE DI RITO

3) SENTENZE NON DEFINITIVE DI MERITO SU QUESTIONI

4) SENTENZE NON DEFINITIVE PARZIALI SU DOMANDA

5) CONDANNA GENERICA.

SENTENZA DEFINITIVA DI MERITO: Chiude il processo dinanzi a quel giudice, che si spoglia di quella
controversia e la decisione ha per oggetto il merito della controversia stessa. Dopodiché la sentenza sul
merito può essere una sentenza che accolga in tutto o in parte o rigetti in tutto o in parte le domande
dell’attore e avremo una sentenza definitiva anche se il rigetto della domanda dell’attore sarà avvenuto su
una questione preliminare di merito, per mancanza di un fatto costitutivo fatto valere nella domanda. Al
secondo comma dell’articolo 279 numero 3  quando definisce il giudizio decidendo totalmente nel merito
della controversia. Numero 2 definisce il giudizio definendo questioni preliminari di merito (=il diritto è
prescritto). Queste 2 fattispecie, di cui al numero 2 e 3, sono identiche  abbiamo in entrambi i casi una
sentenza sul merito, sia che venga rigettata per mancanza di un fatto costitutivo, sia per una questione
preliminare di merito. DECISIONE SUL MERITO DELLA CONTROVERSIA E’ UNA DECISIONE CHE ACCOGLIE
NEL MERITO LA DOMANDA O LA RIGETTA E PRODUCE GLI STESSI EFFETTI QUALUNQUE SIA IL MOTIVO DEL
RIGETTO, CHE SIA PERCHE’ SI ESTINGUE IL DIRITTO (PRESCRIZIONE O DECADENZA) CHE SIA PERCHE’ NON
VIENE PROVATO IL DIRITTO FATTO VALERE. Il collegio definisce con sentenza questioni di giurisdizione e
quando definisce il giudizio decidendo ragioni pregiudiziali attinenti al processo o questioni preliminari di
merito (art 279 comma 1 e 2).

12 marzo 2018

Provvedimenti in rito  contenuto squisitamente processuale provvedimento in merito  sentenze


definitive e sentenze non definitive. Sentenze non definitive: a oggi, nel nostro ordinamento vigono e sono,
anzi, spesso applicate. Sentenze non definitive che possiamo suddividere in una serie di categorie:

1) questioni non definitive di rito o di merito

2) sentenze non definitive su domanda o domande anche chiamate sentenze parziali.

3) Una categoria vicina a quest’ultima è rappresentata dalla condanna generica.

Seguono una serie di corollari applicativi  categorie non create a puri fini descrittivi. SENTENZA NON
DEFINITIVA SU QUESTIONI: aspetto più vistoso è che, rispetto alla sentenza definitiva, che decide questioni
pregiudiziali attinenti al processo, non definisce il processo ma, anzi, prosegue. In sostanza il giudice nella
sentenza non definita dice che l’eccezione, ad esempio, non è fondata, per cui il processo prosegue mentre
la sentenza non definitiva dice ‘’il diritto è prescritto’’, quindi si prescrive. Come si arriva a una pronuncia di
sentenza non definitiva su questione? Di regola, nel processo, l’attore formula la sua domanda e il
convenuto solleva una serie di eccezioni e il giudice, quando rilegge tutti gli atti delle parti, deciderà, in un
senso o nell’altro, e dovrà prendere posizione su tutte le eccezioni che il convenuto ha svolto nel corso del
giudizio, ma la soluzione di tutte queste questioni andrà a comporre la motivazione della sentenza,
insufficiente o lacunosa qualora il giudice non prenda posizione. Il giudice accoglie domanda o la rigetta e
nel momento in cui si trova dinanzi alle eccezioni, potrebbe non rigettarle tutte  se rigetta la domanda, le
eccezioni si assorbono mentre se accoglie la domanda dell’attore nella motivazione troveremo il rigetto e le
motivazioni delle eccezioni. Per capire la fattispecie più intuitiva, bisogna immaginare che la fase della
trattazione si svolga dinanzi al giudice istruttore, che, a valle, dello scambio delle tre memorie ha un quadro
complessivo della controversia e anche spinto dal principio della ragionevole del processo si rende conto
che a fronte delle eccezioni sollevate dal convenuto, quella sulla prescrizione risulta fondata per cui, in
nome della ragione più liquida, rimette le parti in decisione. Se il collegio non condivide la decisione del
giudice, sostenendo che, ad esempio, il diritto non è prescritto perché sono passati due anni e mezzo invece
che 10, il collegio pronuncia una sentenza non definitiva su questioni preliminari di rito o procedurali di
merito in cui si dice che il diritto non è prescritto, ma è non definitiva perché si va avanti nel collegio  LA
SENTENZA NON DEFINITIVA HA UN OGGETTO ANOMALO, NON IDONEO, PERCHE’ LE QUESTIONI NON
POTREBBERO FORMARE AB ORIGINE OGGETTO DI SENTENZA E IL PROCESSO REGREDISCE, RITORNANDO DA
DOVE ERA PARTITO, ANDANDO AVANTI NELL’ESAME DI TUTTTE LE ALTRE QUESTIONI SOLLEVATE DALLE
PARTI NEL CORSO DELLA CAUSA. Che cosa è la pronuncia di sentenza non definitiva su questione? Il
tribunale non potrà mai più tornare in quella questione, ma potrà essere impugnata autonomamente. Il
giudice non potrà più impugnare quella questione nel corso del processo. E’ una frazione anticipata e
cristallizzata della futura motivazione della sentenza definitiva, è immutabile. DI REGOLA LA SOLUZIONE DI
TUTTE LE QUESTIONI SOLLEVATE DALLE PARTI LA SI TROVA NELLA MOTIVAZIONE DELLA SENTENZA
DEFINITIVA, MA SE C’E’ UNA SENTENZA NON DEFINITIVA ANDRA’ ABBINATA ALLA MOTIVAZIONE DI QUELLA
DEFINITIVA. LA SENTENZA NON DEFINITIVA TROVA, DI REGOLA, LA SUA RAGIONE D’ESSERE IN UN
INCIDENTE DI PERCORSO, CHE CONSISTE IN UN DISACCORSO TRA GIUDICE ISTRUTTORE E COLLEGIO. Ciò
potrebbe portare a pensarci che il caso di giudice monocratico queste non esistano, ma non è così. Le parti
mostrano, sin dagli atti introduttivi, un’accesa litigiosità su questioni preliminari di merito e pregiudiziale di
rito  esempio di pregiud di rito potrebbe essere difetto di incompetenza, che deriva da una clausola
compromissoria tra le parti con la quale si decide che la causa sia risolta dagli arbitri, perché, nel perimetro
di ammissibilità, preferiscono far risolvere la questione ad arbitri piuttosto che al giudice togato. Nella
maggior parte dei casi, quando sorge la controversia, una parte non vuole più l’arbitrato ma l’altra parte
solleva subito l’eccezione di incompetenza  è un’incompetenza sui generis. L’altra parte dice che la
clausola compromissoria è invalida, ad esempio, solleva praticamente tutta una serie di questioni. Il giudice
togato allora rimette la causa in decisione sulla sola questione di competenza, che ha forma della sentenza
se si tratta della competenza rispetto agli arbitri (se competenza pura=ordinanza), mettendo a tacere le
parti perché sulla questione il giudice non potrà cambiare idea una volta che ha pronunciato una sentenza
non definitiva  chiude la questione in quel processo, con cui il giudice si spoglia definitivamente con
sentenza non definitiva della questione. L’ordinanza non può mai pregiudicare la decisione della causa, è
sempre modificabile o revocabile e per questo la questione non viene decisa con ordinanza, ma con
sentenza non definitiva. Questo è ciò che caratterizza le sentenze non definitive su questione che le
distingue, anche ontologicamente, dalle sentenze non definitive su domande (ricordare anche il cumulo). Es
domanda risoluzione del contratto con conseguente domanda risolutoria e domanda risarcitoria: 3
domande  domanda risoluzione  costitutiva risoluzione e risarcimento  condanna. E’ possibile che,
nel corso del processo, emerga che l’attività istruttoria ha una complessità via via crescente e sempre più
complessa, per cui il legislatore consente la pronuncia di una sentenza non definitiva su domanda o su
domande SE IL GIUDICE RICONOSCE CHE, PER ESSE SOLTANTO, NON SIA NECESSARIA UN’ULTERIORE
ISTRUZIONA E SE LA LORO SOLLECITATA SOLUZIONE E’ DI INTERESSA APPREZZABILE PER LA PARTE CHE HA
FATTO ISTANZA (articolo 277.2)  occorre istanza della parte, cioè la parte deve chiedere al giudice di
cominciare a decidere su una certa domanda, l’interesse apprezzabile alla decisione di quella domanda.
Quale è l’interesse apprezzabile? Possono essere molteplici, come ad esempio l’inizio di una transazione tra
le parti. La sentenza non definitiva su domanda a seguito di cumulo di domanda si ha quando l’attività
istruttoria è complessa, consentendo la frazionalità. SI DECIDE SU ALCUNI DIRITTI, LA SENTENZA NON
DEFINITIVA SU DOMANDA HA AD OGGETTO UN OGGETTO IDONEO, CHE POTREBBE FORMARE OGGETTO AB
ORIGINE DI UN PROCESSO E QUESTA E’ LA DIFFERENZA CON LA SENTENZA NON DEFINITIVA SU QUESTIONI,
IL CUI OGGETTO E’ INIDONEO A FORMARE OGGETTO DI UN’AUTONOMA DOMANDA AB ORIGINE.
Appartiene alla categoria di sentenza non definitiva su domande l’istituto della condanna generica, che è
una pronuncia sull’an  è una via di mezzo alla luce della lettura che la giurisprudenza dà per ottenere una
condanna generica  a fronte di una condotta illecita o di un inadempimento è possibile che si sia
verificato il danno. Molto spesso l’attività istruttoria, oltre ad essere necessaria a verificare il quantum,
delle volte è necessaria anche a vedere se il danno fosse effettivamente sorto la giurisprudenza ha
elaborato un ulteriore fattispecie di condanna generica, che è la condanna generica autonoma che
consentirebbe alle parti di chiedere la pronuncia di una condanna generica che va trattata come una
sentenza DEFINITIVA, mentre il legislatore sembra essere d’accordo solo ad una condanna generica con
sentenza non definitiva. Quindi abbiamo 2 categorie di condanne generiche. Il cumulo oltre ad essere
oggettivo può essere anche soggettivo, per cui il legislatore prevede che possa essere opportuno la
separazione delle cause in corso  in questo caso, a norma dell’articolo 279.5, il giudice decide alcune
domande rispetto ad alcune parti e non altre, se non che la sentenza è non definitiva ovvero parziale
definitiva cioè quando il giudice decide solo alcune domande, si spoglia di altre rimettendole davanti a sé o
ad altri, la sentenza è definitiva o non definitiva? La questione è talmente controversia, che la
giurisprudenza ha operato un criterio distintivo geniale  la cassazione dice che se il giudice che pronuncia
la sentenza e condanna le parti alle spese è una sentenza definitiva, mentre se non le condanna alle spese è
una sentenza non definitiva. Articolo 279.5 si riferisce, dunque, alla sentenza che decide su alcune
domande a fronte di un cumulo soggettivo e, forse, anche oggettivo, in realtà  la questio è: è una
sentenza definitiva? Bisogna vedere se c’è una condanna alle spese, perché se non c’è il processo prosegue
e siamo dinanzi a una sentenza non definitiva. 7

ARTICOLO 277: primo comma  modello base: si risolvono tutte le questioni emerse. Comma due:
sentenza non definitiva su domanda o su domande. ARTICOLO 278: sentenza non definitiva di condanna
generica diversa da quella di creazione giurisprudenziale che non si trova in alcuna norma. 279: ordinanze
provvedimenti ordinatori, decisorio solo quando si decide sulla competenza. Ordinanza non definitiva
quando dice che è competente. Sart 279 1) sentenza definitiva in rito su giurisdizione, 2) sentenza definitiva
in rito, sentenza definitiva sul merito = a quella prevista nel numero 3 che è la sentenza definitiva di merito
4)sentenze non definitive su questioni 5)sentenza parziale su domande in caso di cumulo oggettivo o
soggettivo  parziale non definitive se non c’è condanna alle spese, mentre parziali definitive se c’è
condanna alle spese. Quando si rimettono le parti dinanzi al giudice istruttore, in caso di sentenza non
definitiva, il provvedimento è ordinanza - il legislatore ribadisce cosa è.

VARIANTI RISPETTO AL MODELLO BASE

INTERVENTO TERZO O CHIAMATA DEL TERZO  gli articolo 267 e 268 si occupano del terzo che interviene
volontariamente nel processo. Apprendiamo che il terzo interveniente volontario dal punto di vista dell’atto
predispone una comparsa di risposta  il cancelliere dà notizia dell’intervento alle altre parti, se non si è
costituito in udienza. Il terzo può decidere di intervenire sino a che non vengano precisate le conclusioni.
Dice che il terzo non può compiere atti che non sono possibili alle altre parti, valendo le preclusioni che
valgono per le altre parti a meno che non intervenga ai sensi del 102 per integrare il contraddittorio,
perché, in quel caso, c’è la remissione in termini. È giusto che le preclusioni maturate valgano per il terzo
interveniente? Se è giusta per il terzo pretendente, che sceglie di intervenire, non è proprio giusto per il
terzo che interviene adesivamente, perché comunque è un terzo che non ha la possibilità di difendersi in
altra sede processuale. Chiamata del terzo in causa: ARTICOLO 269  nella comparsa di risposta, il
convenuto chiede di autorizzare la chiamata del terzo e deve, contestualmente, chiedere al giudice
istruttore lo spostamento della prima udienza, emettendo un decreto di differimento della prima udienza
entro cinque giorni. Nel caso di amministrazione società che chiama la polizza assicurativa perché non ha
un milione di euro per risarcire, viene fatto atto di citazione al terzo. Autorizzazione al giudice non è
correttissimo, perché il si ha DIRITTO di chiamare il terzo per cui 1) chiedo di chiamare il terzo 2) chiedo
fissazione nuova udienza. La parte che chiama il terzo deve, a norma dell’articolo 165, depositare in
cancelleria la citazione notificata e il terzo dovrà costituirsi nei venti giorni precedenti alla nuova udienza
fissata. Le memorie ex articolo 183 vengono fissate quando c’è anche il terzo. La chiamata a norma del 107
può essere disposta in qualsiasi momento dal giudice istruttore.

La compagnia di assicurazione potrebbe poter chiamare in causa la compagnia di riassucazione  la


giurisprudenza che legge autorizzare, pur essendo un diritto, è per questo perché altrimenti tutti
chiamiamo tutti e non si finisce più. Le questioni sull’intervento possono formare oggetto di una sentenza
non definitiva su questioni  remissione della causa in decisione.

Lezione 7: 13 marzo 2018

Riunione dei giudizi: condivide con l’istituto della litispendenza e della connessione i presupposti, ma non
davanti a uffici giudiziari diversi, ma DINANZI A GIUDICI CHE APPARTENGONO ALLO STESSO UFFICIO
GIUDIZIARIO  due cause connesse promosse dinanzi lo stesso ufficio giudiziario. In questo caso si attua
l’istituto della riunione e, gli articoli 273 e 274, consentono al giudice o al presidente della sezione o al
presidente del tribunale di proporre d’ufficio la riunione. È espressione evidente del principio di economia
dei giudizi, ma non sarà possibile quando due giudizi pendono in gradi diversi. Minimo comun
denominatore stessa causa/cause connesse  non è rimessa l’iniziativa alle parti. Le norme studiate sin qui
sono, tendenzialmente, tutte vigenti sia quando il tribunale giudica in composizione monocratica sia
laddove giudica in composizione collegiale, ma ci sono quattro norme che sono dedicate e sono state
introdotte strada facendo dal legislatore e sono norme espressamente riservate al tribunale in
composizione monocratica: c’è la norma che afferma la norma generale secondo cui tutte le norme, ove
non derogate, applicabili al giudice collegiale sono applicabili anche a quello monocratico deroghe:
attività istruttoria, cioè il tribunale in composizione monocratica può proporre d’ufficio la prova
testimoniale mentre le altre deroghe sono squisitamente processuali con l’obiettivo di velocizzare le
pratiche dinanzi al tribunale monocratico, le cui cause dovrebbero essere meno complesse rispetto a quelle
dinanzi al tribunale in composizione collegiale. A valle della precisione delle conclusioni, 60 giorni per le
conclusionari mentre 20 per le memorie  discussione altrimenti, decorsi 60 giorni, il tribunale dovrà
depositare la sentenza  questa è la disciplina fondamentale del tribunale in composizione collegiale, ma
rispetto a questo modello base, qualora il tribunale giudichi in composizione monocratica, dà la possibilità
di una trattazione mista, così la chiama il legislatore, o di una trattazione orale: TRATTAZIONE MISTA se le
parti ne fanno richiesta possono chiedere, o meglio rinunciare, alla possibilità di scambiarsi le memorie di
replica chiedendo che dopo le comparse di replica si svolga la discussione, a valle della quale il tribunale
enuncerà la sentenza per cui rimane il modello base, ma se le parti ne fanno richiesta vengono meno LE
MEMORIE DI RESPLICA SOSTITUITE DA UN’UDIENZA DI DISCUSSIONE. TRATTAZIONE ORALE: PUO’ ESSERE
LO STESSO GIUDICE D’UFFICIO A FISSARE UN’UDIENZA ORALE DELLA CAUSA IN CUI PRONUNCERA’ IL
DISPOSITIVO DELLA SENTENZA, DEPOSITANDO IN UN SECONDO MOMENTO LA MOTIVAZIONE DELLA
STESSA trattazione orale, che presuppone una preparazione del giudice e degli avvocati  il giudice ha
già quasi in mente la decisione da assumere a valle della discussione orale delle parti. Anche qui peculiarità
procedimentale nell’ipotesi in cui il tribunale giudichi in composizione monocratica. Quale conseguenze ha
sul processo il fatto che per errore la causa venga incardinata dinanzi al tribunale monocratico invece che
collegiale e viceversa? La cosa più importante è che questo tipo di errore non determina alcuna invalidità
del giudizio o nullità processuale e nell’ipotesi in cui il giudice adito si avveda dell’errore, sollecitato dalle
parti o d’ufficio, con ordinanza non impugnabile rimette la causa se in composizione monocratica davanti al
collegio e viceversa  se ciò non accade, comunque, non c’è nessuna nullità. Gli articoli rilevanti sono il 271
septies, octies e nonies.

VICENDE ANOMALE DEL PROCESSO:

SOSPENSIONE DEL PROCESSO, INTERRUZIONE DEL PROCESSO E L’ESTINZIONE DEL PROCESSO.

Sono tre istituti che determinano una stati del processo. La sospensione e l’interruzione dal punto di vista
degli effetti sono simili, tanto che nessun atto processuale potrà essere compiuto, se non quelli urgenti. LA
SOSPENSIONE DEL PROCESSO E’ FUNZIONAL ALLA TUTELA DEL GIUDICATO, DEL PRINCIPIO NE BIS IDEM
EVITANDO IL CONFLITTO DI GIUDICATI, MENTRE L’INTERRUZIONE E’ FUNZIONALE ALLA TUTELA DEL
PRINCIPIO DEL CONTRADDITTORIO  la ragion d’essere è completamente diversa. Concettualmente più
difficile è la SOSPENSIONE DEL PROCESSO  anzitutto conosciamo:

1) SOSPENSIONE DEL PROCESSIO VOLONTARIA: La sospensione volontaria è prevista dall’articolo 296


del codice di procedura: il giudice istruttore, su istanza di tutte le parti, dimostrando che sussistano
fondati motivi, sospende il processo per un periodo non superiore a 3 mesi e si applica, di solito,
quando le parti sono in trattativa, ma l’applicazione è scarsa perché tra un termine e l’altro le parti
hanno tutto il tempo per giungere ad una soluzione ma spesso quando si segnala al giudice che
sono in corso trattative, questo rimanda l’udienza.

2) SOSPENSIONE DEL PROCESSO NECESSARIA O PROPRIA,

3) SOSPENSIONE DEL PROCESSO FACOLTATICA,

4) SOSPENSIONE DEL PROCESSO IMPROPRIA. SOSPENSIONE NECESSARIA O PROPRIA: norma non


modificata nel tempo, originaria. Il giudice dispone che il processo sia sospeso IN CASO IN CUI EGLI
STESSO DEBBA RISOLVERE UNA CONTROVERSIA DALLA CUI DEFINIZIONE DIPENDE LA SOLUZIONE
DELLA CAUSA ci ricorda l’articolo 34, cioè il giudice per decidere sulla causa deve risolvere una
serie di questioni pregiudiziali, che non sono oggetto di decisum ma di cognitum del giudice. Le
parti possono, ove insorga controversia su una delle questioni pregiudiziali, chiedere che il giudice
ne faccia oggetto di decisum, allargando il perimetro del giudicato  il giudice non decide, dunque,
incidenter tantum su determinate questioni. LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE GERMINA ALL’INTERNO
DELLO STESSO PROCESSO O COME INCIDENTER TANTUM, PERCHE’ RICHIESTO DALLE PARTI O EX
LEGGE, MENTRE LA SOSPENNSIONE NECESSARIA OPERA QUANDO LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE
FORMA OGGETTO DI UN SEPARATO PROCESSO. PENSONO, IN PRIMO GRADO, DINANZI A DUE
GIUDICI DIVERSI, DA UN LATO IL GIUDIZIO AVENTE IL DIRITTO PREGIUDIZIALE, DALL’ALTRO UNO
AVENTE PER OGGETTO IL DIRITTO DIPENDENTE E DALL’ALTRO CASO, PER EFFETTO DI DOMANDA DI
ACCERTAMENTO INCIDENTALE O PER EFFETTO DI LEGGE, SI IMPONE LA NECESSITA’ DI DECIDERE
CON AUTORITA’ DI GIUDICATO LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE, CIOE’ FATTISPECIE CHE INTEGRA LA
FATTISPECIE GIURIDICA DEL FATTO COSTITUTIVO, MA PER QUESTIONI DI COMPETENZA INNANZI
UN GIUDICE SI INCARSINA IL GIUDIZIO CHE HA PER OGGETTO LA QUESTIONE PREGIUDIZIALE,
INNANZI A UN ALTRO IL PROCESSO PRINCIPALE. È il giudizio sul diritto dipendente a essere sospeso,
naturalmente. Se 2 giudizi proseguissero su vie parallele, si potrebbe avere un conflitto di giudicati.
È un istituto, evidentemente, che non giova alla ragionevole durata del processo, perché il rischio è
l’allungamento dei termini, soprattutto se si pensa al problema che può nascere dall’esigenza di
aspettare che il giudizio sul diritto dipendente venga deciso affinché la sentenza sulla questione
pregiudiziale passi in giudicato, ma dal 2010 le sezioni unite della cassazione hanno deciso di
valorizzare un’altra norma l’articolo 337, che andiamo a leggerla al fine di coordinarla con il 295.
L’articolo 337 parla di sospensione facoltativa e lo si capisce dal ‘’può’’  se in un processo viene
invocata una sentenza resa da altro giudice, è evidente che se la invoco è perché il dispositivo di
quella sentenza è rilevante per la causa in cui viene invocato, per cui siamo sempre in un rapporto
pregiudizialità-dipendenza. Ma la norma dice che quando in un processo viene invocata una
sentenza e questa è impugnata  significa che la sentenza non è passata in giudicato, ma è in
appello o in cassazione. Fino al 2010 si applicava sempre il 295 cioè SOSPENSIONE NECESSARIA
QUALE FOSSE IL GRADO IN CUI PENDEVA IL GIUDIZIO SUL RAPPORTO PREGIUDIZIALE, mentre il 337
era molto circoscritto e si diceva che la sospensione solo se ad essere invocata fosse una sentenza
impugnata con mezzo di impugnazione straordinaria  Libman diceva già nel 45 che autorità
imperativa c’era già in primo grado dicendo che questa norma era la prova che la sentenza già in
primo grado produceva effetti dichiarativi. Nel 2010 la Cassazione decide di valorizzare quanto
detto da Liebman invocando il principio della ragionevole durata del processo, dicendo che ci può
consentire una lettura costituzionalmente orientata delle norme vigenti e ciò porta a leggere
l’articolo 337, CIOE’ QUANDO IN UN PROCESSO DI PRIMO GRADO SU UN DIRITTO DIPENDENTE
VIENE INVOCATA UNA SENTENZA IMPUGNATA IN QUALSIASI GRADO, IL GIUDICE PUO’
SOSPENDERE IL GIUDIZIO MA NON E’ OBBLIGATO, MA SE SOSPENDERE DOVRA’ DECIDERE SUL
DIRITTO DIPENDENTE IN MODO CONFORME RISPETTO A QUANTO DECISO NELLA SENTENZA
IMPUGNATA. Se va avanti, non sospendendo e la sentenza impugnata aveva detto x, il giudice
dovrà decidere in modo conforme sul diritto dipendente. Il giudice fa una valutazione prognostica
sulla fondatezza dell’impugnazione della sentenza, che se risulta infondata non sospende di solito.
Il provvedimento che dispone la sospensione è un’ordinanza che è impugnabile con regolamento di
competenza, per cui questa espansione ha determinato un incremento del regolamento di
competenza. Ordinanza ex art 295 e 337 sono impugnabili con regolamento di competenza, nel
caso di 295 perché decisione di una causa non dipende da quella dell’altra, mentre ex 337 perché
abbia motivato e scrutinato le possibilità di impugnazioni, perché la discrezionalità del giudice non
può essere oggetto di ricorso in cassazione. Prima articolo 337 molto circoscritto, perché si
applicava quando sentenza passata in giudicata era sottoposta a impugnazione straordinaria.

La sospensione impropria non la si trova in una norma specifica, ma sparsa in leggi speciali o all’interno del
cpc, per cui il legislatore, onde evitare contrasto di giudicato, impone una sospensione del processo.
Quando si ha una questione di legittimità costituzionale  Si discute perché la legge prevede
espressamente la sospensione del giudizio a quo, mentre se i giudizi pendenti dinanzi ad altri giudici che
devono applicare la norma a vaglio della corte costituzinale debbano essere sospesi. E’ sospensione
impropria anche in caso di proposizione del regolamento di giurisdizione, che si può proporre fino a quando
la questione non viene decisa in primo grado  la sospensione è diventata facoltativa anche in questo
caso. Altra fattispecie è quando si ha un giudizio di impugnazione su una sentenza non definitiva e un
processo di primo grado che va avanti  possibile conflitto qualora la sentenza non definitiva venga
riformata. Durante la sospensione del processo nessuna parte del giudizio può chiedere atti, salve quelli
urgenti  le parti devono chiedere al giudice la fissazione della prima udienza entro tre mesi dalla causa di
sospensione. Se non viene proposta questa istanza o la causa non viene riassunta entro tre mesi, la causa si
estingue.

Altra ipotesi di sospensione è quella di pregiudizialità penale  un tempo nella misura in cui pendeva un
processo penale che entrava a concorre la fattispecie fatta valere nel processo civile, il processo civile
doveva essere necessariamente sospeso ma, ora, l’ipotesi di sospensione del processo civile è stata
circoscritta alla sola ipotesi in cui venga proposta in sede penale tramite costituzione di parte civile
un’azione di risarcimento. ART 3.

INTERRUZIONE:

E’ un istituto funzionale alla tutela del principio del contraddittorio  articolo 299 deve essere arrestato il
processo per dare il tempo di difendersi effettivamente. Proprio perché funzionale alla tutela del
contraddittorio, ciò a cui si deve prestare attenzione è il momento del processo in cui si verifica l’evento
interruttivo perché, a volte, potrebbe determinare la violazione del principio del contraddittorio e infatti, di
solito, nelle norme sull’interruzione viene indicato il momento. La morte o la perdita della capacità della
parte, che si verificano prima della costituzione determina automaticamente l’effetto interruttivo del
processo. I successori, gli eredi legittimi, il curatore, il curatore fallimentare si costituiscono per succedere
alla parte venuta meno  mi affretto a notificare nel termini ex 163. Se non si ha riassunzione immediata,
l’evento interruttivo è immediato. Ma se l’evento impeditivo si verifica DOPO la costituzione, l’interruzione
non viene dichiarata d’ufficio, ma solo se eccepita da una delle parti. Articolo 300 Il legislatore ritiene che la
parte colpita dall’evento interruttivo è comunque sufficientemente tutelata, perché dopo la costituzione c’è
il difensore per cui si interrompe solo se il difensore lo dichiara. In due casi è obbligatoria, cioè quando la
parte colpita dall’evento interruttivo sia difensore di se stesso, perché non c’è nessuno in giudizio che possa
difendere la parte e un altro caso è l’articolo 43 del codice di procedura fallimentare ed è una scelta di
politica legislativa. Se, invece, l’evento interruttivo si verifica dopo la discussione della causa dinanzi al
collegio, quindi se si è esaurita tutta la fase decisoria e manca solo al giudice decidere, perché,
processualmente, è tutto esaurito, il processo non si interrompe perché il principio del contraddittorio è già
tutelato e non c’è alcun bisogno di interrompere il processo. SI PARLA DI PROSECUZIONE DEL PROCESSO SE
L’INIZIATICA E’ ASSUNTA DAGLI AVENTI CAUSA DELLA PARTE COLPITA DALL’EVENTO INTERRUTTIVO,
MENTRE SI PARLA DI RIASSUNZIONE DEL PROCESSO SE L’INIZIATIVA E’ ASSUNTA DALLA CONTROPARTE. La
riassunzione deve avvenire entro tre mesi, altrimenti il processo si estingue e questo vale anche rispetto
alla sospensione.

ESTINZIONE DEL PROCESSO

L’estinzione del processo si può verificare per due categorie di ragione:

1) INATTIVITA’ DELLE PARTI.

2) RINUNCIA AGLI ATTI.

In entrambi i casi l’effetto è l’estinzione. È una modalità anomala di chiusura del giudizio che può
sottendere il fatto che, forse, le parti si siano in qualche modo messe d’accordo tra loro, anche se
l’inattività può essere frutto di inattenzioni. La rinuncia agli atti è frutto del fatto che le parti si siano
messe d’accordo. La rinuncia agli atti è espressione di questo fatto. Bisogna capire in che rapporti
stanno l’iter del processo con la transazione e, soprattutto, in che modo è possibile tutelare la parte
assistita con un accordo, a fronte di una lite importante

Articolo 310 è la norma più importante (RICORDALA)  L’ESTINZIONE DEL PROCESSO NON ESTINGUE
L’AZIONE, cioè se il processo si estingue nulla impone a entrambe le parti di riproporre una domanda
identica a quella del processo estinto  è molto simile alla sentenza declinatoria in rito. Si tratta di
capire che ne è degli atti processuali e eventualmente dei provvedimenti pronunciati nel procedimento
estinto  che cos’è di tutta questa attività processuale? L’articolo 310 ci dice che l’estinzione rende
inefficaci gli atti compiuti, ma non le sentenze non definite di merito e le pronunce della cassazione
sulla competenza. Travolte dall’estinzione sono le sentenze non definite di rito. Ordinanza ingiunzione
se processo si estingue diventa esecutiva se non lo era, ordinanda contestazione somme non pagate
resta efficace e ordinanza ultima divent … Le sentenze non definitive di rito sono invece travolte
dall’estinzione del processo. Le sentenze anticipatorie di condanna si salvano. Le prove raccolte sono
valutate dal giudice ai sensi dell’art. 116 comma due c.p.c., cioè non perdono totalmente efficacia, ma
avranno efficacia di argomenti di prova. L’argomento di prova non è un mezzo di prova, dunque non
può essere una base di decisione, ma è uno strumento per valutare altri mezzi di prova. L’art. 116
comma due c.p.c. fa riferimento in generale al comportamento processuale delle parti. L’art. 306 c.p.c.
disciplina l’estinzione del processo per rinuncia agli atti del giudizio. Non basta la sola rinuncia
dell’attore, ma deve esserci anche una accettazione della rinuncia delle parti che ne hanno interesse in
giudizio perché il processo si estingua. Non si potrà avere estinzione innanzitutto in ipotesi di
contumacia. L’accettazione comunque è necessaria quando c’è l’interesse in giudizio. Non è necessaria
dunque alla luce degli effetti dell’estinzione del processo, quindi quando il convenuto sa che la
domanda dell’attore è infondata, e ha una posizione forte nel merito, proprio perché l’estinzione del
processo non implica estinzione dell’azione. Quando la parte costituita non ha interesse alla
prosecuzione del giudizio? QUANDO LA PARTE SI E’ DIFESA SOLTANTO CON ECCEZIONI A CONTENUTO
PROCESSUALE, DUNQUE ASPIRA AD UNA SENTENZA IN RITO CHE PRODUCE GLI STESSI EFFETTI
DELL’ESTINZIONE DEL PROCESSO. DUNQUE, IN VIA INTERPRETATIVA, NON E’ NECESSARIA, IN QUESTO
CASO, L’ACCETTAZIONE DELLA RINUNCIA AGLI ATTI.

14 marzo 2018

La rinuncia agli atti determina l’estinzione solo se accettata dall’altra parte e se la sua attività rileva un
non interesse alla prosecuzione della causa, interesse funzionale ad ottenere una sentenza declinatoria
in rito. Affinchè la rinuncia agli atti produca i suoi effetti, occorre che le dichiarazioni di rinuncia o
accettazione siano fatte o dalle parti personalmente o dal loro procuratore speciale, per cui occorre che
la procura alle liti sia accompagnata anche dalla procura speciale. Il giudice, se la rinuncia e
l’accettazione sono regolari, dichiara l’estinzione del processo. Il rinunciante deve rimborsare le spese
alle altre parti, salvo diverso accordo tra loro. Il più delle volte sottende la conciliazione della lite. La
vicenda anomala del giudizio che protegge a pieno le parti, combaciando e in perfetta sintonia con
l’accordo avvenuto tra le parti, con la transazione che produce un effetto estintivo della controversia in
via privatistica e parallelamente rinunciano agli atti  la rinuncia agli atti, però, non preclude la
proposizione di una nuova lite, ma dovrebbe determinarlo la transazione  è sicuramente un modo
efficace, perché se anche la rinuncia agli atti non preclude la proposizione di una nuova lite, la
transazione non permette però la proposizione di una domanda avente ad oggetto quegli stessi atti,
appunto perché è avvenuta una transazione e gli atti sono stati cambiati. La transazione dovrebbe
essere affiancata da una rinuncia agli atti. La giurisprudenza e la prassi conoscono un particolare tipo di
sentenza che chiude la lite a fronte della transazione che è la SENTENZA DI CESSAZIONE DELLA
MATERIA DEL CONTENDERE, il cui ambito è molto ampio e può aver luogo anche perché nel corso del
giudizio si verificano fatti che fanno venir meno la ragione della lite. Da questo punto di vista è questa
una soluzione soprattutto nel giudizio di cassazione che non si può estinguere per cui questo tipo di
sentenza è particolarmente utile. Si discute sulla natura di questa sentenza, perché per alcuni è una
sentenza sul merito per altri una sentenza per questioni puramente processuali, ma tutto sta che sia
molto utile. Importante è la norma 185 bis, introdotto nel 2013  PROPOSTA DI CONCILIAZIONE DEL
GIUDICE. Il giudice può lui stesso elaborare una proposta conciliativa, che può formularsi o nella prima
udienza o durante attività istruttoria, che può essere però frutto questa proposta di un accordo
transativo tra le parti, chiudendosi il processo in questo modo. Sono tecniche utilizzate  le parti
vanno al giudice, parlano della transazione, giudice finge proposta. Altra cosa è l’istituto della
MEDIAZIONE DELEGATA, cioè il giudice, nel corso della lite, in base al decreto legislativo 28/2010, può
mandare le parti davanti al mediatore. È chiaro che la mediazione delegata potrebbe essere utile,
qualora le parti si siano già accordate e hanno bisogno di qualcuno che scriva la transazione e nel
momento in cui il giudice non vuole far lui proposta di conciliazione, dice di andare dal mediatore.

Altra fattispecie che determina l’estinzione del processo è l’inattività delle parti, che molto spesso
sottende il fatto che le parti si stiano mettendo d’accordo. Il fatto che le parti non diano impulso agli atti
sottende un certo interesse al progredire della controversia. È un modo per far alienare il processo,
perché le parti si stanno mettendo d’accordo. C’è l’articolo 307, che è stato modificato e riscritto 
prima fattispecie alle prime tre righe: l’attore si deve costituire entro 10 giorni dalla notizia dell’atto di
citazione, mentre il convenuto 20 giorni prima dell’udienza se non vuole cadere in decadenze mentre
se l’attore si costituisce ha tempo fino all’udienza, ma se nessuno dei due si costituisce, il giudice nulla
sa, perché nessuno ha messo piede nella cancelleria, per cui c’è un processo pendente, ma l’organo
dinanzi a cui quella lite pende non lo sa per cui non è che possa dichiarare l’estinzione del processo.
Seconda fattispecie le parti si sono costituite e il giudice abbia effettuato una cancellazione della causa
dal ruolo e bisogna che sia riassunto nel termine perentorio di tre mesi dal provvedimento della
cancellazione della causa dal ruolo. Se entro tre mesi quel processo non viene iscritto a ruolo, viene
meno la litispendenza.

Il secondo comma detta una norma punitiva abbastanza pignola: una volta è consentita la cancellazione
della causa dal ruolo, ma due no, perché altrimenti avremmo estinzione immediata.

Al terzo comma troviamo un’altra fattispecie di estinzione, ovvero INATTIVITA’ QUALIFICATA  si


attribuisce alle parti l’onere di svolgere un’attività di impulso processuale, salve estinzione del processo.
E’ un rinvio a tutte le ipotesi in cui il processo deve essere riassunto entro tre mesi, altrimenti si
estingue.

Articolo 309: modificata nel tempo. Le parti si sono regolarmente costituite, per cui è fissata una
qualsiasi udienza. Se nel corso del processo nessuna delle parti si presenta all’udienza, il giudice
provvede ex art 181. 1  il giudice fissa una successiva udienza e se nessuna si presenta dichiara la
cancellazione della causa dal ruolo e estinzione del processo. Due cause che vanno deserte, una dietro
l’altra, provocano l’estinzione. La contumacia è l’effetto della mancata costituzione per cui non c’entra
nulla. E’ un’altra modalità di cui si usufruisce quando si giunge a un accordo. L’articolo 181 detta una
speciale disciplina, nell’ipotesi in cui a non comparire all’udienza sia il solo attore: se l’attore costituito
non comparisce alla prima udienza, il giudice fissa una nuova udienza e qualora l’attore non si presenti
di nuovo e il convenuto non chieda di andare avanti nel processo senza attore, questo si estingue a
fronte dell’assenza del solo attore. Le fattispecie sono tantissime. L’estinzione del processo è rilevata
d’ufficio dal giudice. L’articolo 308 sembrerebbe dirci che la forma è quella dell’ordinanza e ci dice
anche che contro questa ordinanza è ammesso reclamo al collegio  e se siamo dinanzi al tribunale
che pronuncia in composizione monocratica? Il legislatore non lo ha previsto, ma sul piano
interpretativo la soluzione a cui è arrivata la giurisprudenza è che la forma non sarà l’ordinanza, ma la
sentenza. Normalmente non è facilissimo che venga dichiarata erroneamente l’estinzione, ma i casi ci
sono.

CONTUMACIA

Il nostro ordinamento ha un atteggiamento protettivo nei confronti del contumace, che è la parte che
non si costituisce e cosa diversa dall’assenza. Ciò che preoccupa, in particolar modo, il legislatore è la
contumacia del convenuto. Qual è la modalità di accertamento e dichiarazione della contumacia nel
processo? ARTICOLO 290: contumacia dell’attore ARTICOLO 291: contumacia del convenuto.

Se attore non si costituisce e convenuto si costituisce nei termini o rileva la volontà di andare avanti
oppure la causa di estingue.
Se attore si costituisce e convenuto no né nei 20 giorni prima né nell’udienza, si arriva alla prima
udienza e il giudice constata la mancanza del convenuto e il giudice prima di dichiarare la contumacia
deve indagare che si tratti di contumacia volontaria e non che ci siano stati errori nella vocatio in ius,
nella notificazione perché, se così fosse, il giudice ordina un termine perentorio entro cui notificarla.
Bisogna che si tratti di una notificazione nulla e non inesistente. Ragionando al contrario, immaginando
di essere i difensori del convenuto e si viene a sapere che la citazione raggiunge il proprio scopo, pur
essendo la notificazione nulla cerca di tirare un pochino più avanti il processo. Una volta che il
convenuto non si costituisce neppure alla nuova udienza, il giudice dichiara la contumacia con
ordinanza. Se il giudice ordina di rinnovare la citazione e l’attore non lo fa, il giudice ordina la
cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue ex articolo 307. Qual è l’effetto protettivo?
Oltre a un effetto protettivo indiretto, l’articolo 292 individua una serie di atti che si possono verificare
nel corso del processo, che vanno notificate personalmente al contumace. Alcuni atti, scelti dal
legislatore in modo tassativo, devono essere notificati alla parte contumace, perché potrebbero portare
il contumace a cambiare strategia. E’ questa la vera disciplina protettiva del contumace. L’articolo 292
impone notificazione di certi atti, pena nullità sentenze: ordinanza che ammette interrogatorio e
giuramento formale, comparse contenenti domande nuove o riconvenzionali, sentenze mentre altri atti
vengono depositati in cancelleria. Gli articolo 293 e 294 disciplinano il pentimento del contumace, cioè
il contumace, ad un certo punto, decide di costituirsi perché casomai la sua contumacia è stata
involontaria e può chiedere e ottenere che possa essere rimesso in termini. L’articolo 293 ci dice che la
parte dichiarata contumace può costituirsi fino al momento della precisazione delle conclusioni,
depositando una comparsa, una procura e i documenti. Dal primo comma 294 ricaviamo, invece, la
regola punitiva. E’ lui che deve dimostrare. Il giudice se ritiene verosimilmente fondata l’involontarietà
ne chiede la prova ed abbiamo la remissione in termini. L’attività che il contumace può sempre svolgere
è il disconoscimento delle scritture contro di lui prodotte, cioè, nel momento in cui, in giudizio vengano
prodotte scritture da lui sottoscritte, può disconoscerne la paternità anche se secondo i termini ordinari
non potrebbe più farlo.

La contumacia è dunque quella situazione che si ha quando la parte non si presenti dinanzi all’autorità
giudiziaria, non si costituisca dunque. È un’ordinanza che produce degli effetti in parte protettivi per il
contumace. Tendenzialmente subisce le preclusioni maturati nel frattempo, salvo che la sua
contumacia sia involontaria, cioè dovuta dalla nullità della domanda o da fatti a lui non imputabili.

ATTIVITA’ ISTRUTTORIA: LE PROVE

Quanto la verità processuale si può avvicinare a quella storica? Tanto più i poteri dei giudici sono
circoscritti, tanto più è possibile che una sentenza sia valida, vincolante ma non risponde alla verità dei
fatti. Sul piano del processo l’attività delle parti che si rivolgono al giudice si compone,
fondamentalmente, di tre diversi elementi: le parti allegano i fatti nel processo, le parti devono provare
i fatti allegati e, a valle di questa attività, riconducendo il fatto allegato ad una fattispecie prevista da
una norma di diritto, formulano una domanda giudiziale con la quale chiedono riconoscimento di un
diritto. Non bisogna confondere l’allegazione degli atti con la prova. Se consideriamo queste tre attività,
cioè allegazione, prova del fatto e la domanda possiamo fare la seguente considerazione: il principio
dispositivo, in virtù del quale il processo inizia solo su richiesta delle parti, concerne non solo le
domande giudiziali ma anche le allegazioni  l’allegazione dei fatti nel processo è tendenzialmente
legata alle parti. Allegare un fatto nel processo significa narrare e raccontare fatti al giudice che non le
conosce e solo le parti possono allegare, mentre per quanto concerne l’attività istruttoria essa è
riservata per una frazione alle parti ma per altra frazione può essere lo stesso giudice d’ufficio ad
assumere l’assunzione di quel fatto. Il giudice, cioè, di sua iniziativa può disporre l’assunzione di un
teste e così l’iniziativa può essere raggiunta dal giudice. La premessa maggiore di questo potere del
giudice è che le parti abbiano raccontato, negli atti, i fatti e nel raccontarli facciano riferimento a terze
persone, ma le parti non le indicano come testimoni e allora il giudice può decidere di sentirle. Mai il
giudice potrà narrare fatti nuovi nel processo. Quando ci si sposta dall’allegazione alla prova, si
ammettono le iniziative istruttorie assunte dal giudice e si dice che nel nostro ordinamento vige il
principio inquisitorio e dispositivo in senso formale. Vige il principio dispositivo in senso sostanziale, che
si riferisce al potere delle parti di narrare e allegare nel processo, mentre nel verso dell’attività
istruttoria esistono un principio inquisitorio e dispositivo in senso formale e tanto più questo è forte,
tanto più ci si potrebbe avvicinare alla verità ma il fatto che vige il principio dispositivo in senso
sostanziale ciò può allontanare la verità processuale da quella storica perché le parti raccontano ciò che
vogliono. Importante è il FATTO NOTORIO: quando un fatto è notorio entra nel processo su iniziativa
del giudice, a prescindere dalle parti e già provato. Fino a pochi anni fa si trattata del fatto notorio con
riferimento a singoli fatti, come il fatto che dall’anno x la moneta è l’euro cioè sono fatti che tutti
conoscono e che il giudice deve prendere in considerazione  si considera un fatto iuris de iure,
conosciuti da tutti e non di scienza privata. Questi fatti costituiscono una deroga al principio dispositivo,
perché sono inseriti nel processo dal giudice e, se rilevanti, assunti alla fine della decisione. Ma
ultimamente la rilevanza del fatto notorio nel processo è molto molto più ampia, perché è internet che
sta cambiando la nozione di fatto notorio perché le notizie che possono essere conosciute sono molte
di più. Se da internet il giudice scopre fatti riconducibili alle parti questi possono essere rilevanti? No,
perché se entra su facebook e vede che le parti si sono insultate questo non può costituire un fatto
notorio. Cosa diversa dal processo penale. Finchè si tratta di fatti disponibili, sono fatti delle parti
perché non li allegano.

Bisogna introdurre alcuni criteri di classificazione delle prove. Il primo, molto semplice, è la distinzione
tra prove costituiende e prove costituite. La prova costituenda si forma all’interno del processo e
presuppone un’attività di assunzione. Le prove precostituite e costituite sono quelle formate al di fuori
del processo. Secondo criterio di distinzione è tra prova diretta e prova indiretta  la prova diretta è
una prova che fa direttamente conoscere al giudice il fatto allegato, mentre quella indiretta è la prova
che consente al giudice di verificare la veridicità del fatto allegato attraverso ciò che soggetti terzi gli
raccontano. Esempio della prima categoria è l’ispezione, cioè il giudice si reca direttamente sul luogo
mentre la prova indiretta è la testimonianza, cioè il giudice sente alcuni testimoni che hanno assistito al
fatto. La prova diretta è considerata più attendibile dal legislatore. Terza distinzione è tra l’efficacia che i
mezzi di prova hanno sul giudice  la regola generale è quella per cui la prova è liberamente valutabile
dal giudice in base al suo apprezzamento. Le parti allegano un determinato fatto e il giudice valuta
liberamente in base al suo prudente apprezzamento. E’ chiaro che il giudice non può essere vincolato è
ritenere per vero tutto, ma valuta liberamente. Dal punto di vista dell’efficacia ci sono prove che si
qualificano come prove legali, cioè a fronte delle stesse il giudice è vincolato a decidere in base alla
risultanza delle stesse e non ha il potere di valutare liberamente la verità di quella prova. Il giudice
potrà decidere, ma quel fatto lì, anche se non è per niente convinto, si dà per provato  è prova piena.
Ma perché ciò? L’esempio classico di prova legale è la CONFESSIONE. La confessione viene resa
direttamente da una delle parti a fatti a sé sfavorevoli. Nel processo civile la parte dice ‘’è vero, ho un
debito di 1000 euro nei confronti di Tizio’’  siccome è statisticamente improbabile che una parte
dichiari fatti a se sfavorevoli, qualora lo fa saranno veri. Questa è la ratio. Altre sono le prove assunte
nel processo estinto e riprese in altro procedimento, hanno efficacia di argomento di prova così come il
contegno di prova. Qual è la differenza tra argomento di prova e prova liberamente valutabile?
L’argomento di prova non potrà mai consentire al giudice di considerare il fatto provato e sono
strumenti attraverso i quali il giudice, dal punto di vista dell’efficacia, può valutare altri strumenti di
prova. Sono strumenti di prova veri e propri. Pensiamo al processo estinto, nel corso del quali erano
stati sentiti 20 testimoni  nasce un nuovo processo, ma il giudice riesce a sentire 2 soli testimoni o 2
dei testimoni che già c’erano nel processo estinto, il giudice dice che si corrobora la prova testimoniale.
Prove assunte nel nuovo processo hanno efficacia limitata alla prova, per assicurare il principio di
contraddittorio e anche perché il giudice è lontano dal mezzo di prova e per il giudice è diverso sentire
da vicino il testimone rispetto a leggere un verbale. Importante è per il legislatore che il giudice stia
vicino al mezzo di prova, perché importante è il suo libero apprezzamento affinché si possa arrivare alla
verità. Importante è l’articolo 116.2  il giudice può ricavare argomento di prova dal contegno
processuale. Dispone che il giudice deve valutare le prove secondo il suo libero apprezzamento, salvo
diversa previsione di legge.

19 Marzo 2018

Prove rappresentative dei fatti vs prove critiche dei fatti: la prova rappresentativa del fatto è quella che
ha ad oggetto direttamente i fatti principali, che sono i fatti costitutivi se guardiamo all’attore e i fatti
estintivi, modificativi e impeditivi se guardiamo al contenuto. Le prove critiche, invece, che vanno anche
sotto il nome di presunzioni semplici hanno come oggetto dei fatti secondari, che sono quei fatti dei
quali il giudice può e deve tenere conto ove provati e che consentono allo stesso di risalire i fatti
principali. I fatti secondari possiamo anche descriverli come dei fatti noti appunto come oggetti di
prova, che consentono di risalire al fatto ignoti che è, poi, il fatto principale. L’istituto lo troviamo
previsto e disciplinato nel codice civile all’articolo 2727  le presunzioni sono le conseguenze che la
legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a uno ignorato e per quanto riguarda le presunzioni
semplice quelle non stabilite dalla legge sono a discrezione del giudice. In sostanza, ove sussistano
prove del verificarsi una serie di fatti noti, il giudice può, in presenza di precisioni GRAVI, PRECISE E
CONCORDANTI risalire al fatto ignoto. Il classico caso è quello dell’incidente statale a cui nessuno
assiste per cui la dinamica dei fatti viene raccontata dalle parti ciascuno con la propria prospettiva.
Rappresenta i fatti secondo la loro prospettazione. Bisogna guardare tutta una serie di fatti noti
secondari (velocità, segni della frenata)  sono fatti secondari che diventano noti ricostruiti i quali
consentono al giudice di risalire al fatto noto. La presunzione semplice ha ad oggetto un fatto
secondario che mi consentono di risalire a quello principale e per questo è una prova critica. Prova
critica nel senso che deve effettuare un ragionamento. Con questa fattispecie non devono essere
confusi altri tipi di presunzione, che hanno un’altra funzione, cioè la funzione o di incidere sulla
fattispecie sostanziale, le cd presunzioni assolute oppure di incidere sull’onere della prova, le cd
presunzioni legali semplici. Le presunzioni legali o assolute o iuris de iure sono definitive all’articolo
2728 del codice civile  rende un fatto costitutivo del suo diritto come già provato e non occorre la
prova e non potrà la controparte dare prova contrare. Altera la fattispecie sostanziale. Un tipo di
presunzione assoluta si trova all’articolo 599 del codice civile in materia di successione testamentale. Il
notaio non può ricevere i beni dal de cuis per cui se è indicato come benificiario è nulla  presunzione
assoluta legale di nullità. Ci sono, poi, delle presunzioni che sono quasi assolute, che possono essere
vinte soltanto da alcune e ben identificate prove contrarie. Ci riferiamo a norme di materie prescrizione
presuntiva all’articolo 2954 per esempio troviamo che si prescrive in sei mesi il diritto dell’albergatore a
ricevere il pagamento dell’alloggio. Questo diritto si prescrive a meno che colui al quale la prescrizione
è stata opposta, cioè l’albergatore, a meno che l’albergatore può deferire al suo ospite non pagante il
giuramento il cui oggetto è l’effetto estintivo del debito, cioè ho pagato o non ho pagato. Le presunzioni
assolute escludono un fatto dall’oggetto della prova e può essere vinta soltanto con un particolare
mezzo di prova. PRESUNZIONI IURIS TANTUM: presunzioni legali semplici. L’effetto di queste è
esclusivamente quello di invertire l’onere della prova e per capirne dell’effetto bisogna richiamare
l’importantissima regola dell’onere della prova. La nozione di onere della prova l’abbiamo incontrata
quando abbiam parlato di eccezioni e definisce che l’attore deve provare i fatti costitutivi del diritto,
mentre chi eccepisce tali fatti, dunque oppone dei fatti estintivi, modificativi del diritto avrà l’onere di
provarli. E’ una regola indirizzata alle parti, ma ancpr prima al giudice, cioè le parti, in realtà
cercheranno di provare fatti a se favorevoli, per cui l’attore cercherà di provare i fatti alla base del suo
diritto così come il convenuto. In base a questa regola il giudice dovrà decidere, allorché le parti non
siano riuscite a dare la piena prova dei fatti allegati. Il problema per il giudice diviene quello di capire
chi debba provare che cosa, perché la vera difficoltà è l’individuazione e la qualificazione del fatto come
costitutivo, modificativo o estintivo o meglio è abbastanza facile individuare i fatti estintivi e
modificativi perché sono successivi al fatto costitutivo mentre fatto costitutivo e impeditivi sono
contemporanei, anche perché il fatto costitutivo non è che quello impeditivo al negativo. La validità di
un contratto, ad esempio, si può vedere come fatto costitutivo oppure impeditivo che il convenuto
deve allegare e provare. Il problema è quello di dare una qualificazione ai fatti e il giudice dovtà porsi
questa domanda, pensando alla differenza tra responsabilità contrattuale ed exstracontrattuale 
guardiamo l’articolo 2043 dal punto di vista del giudice che deve decidere  chi agisce per ottenere il
risarcimento di un danno exstraconttuale deve dimostrare fatto, illecietà, dolo o colpa, nesso di
casualità mentre chi agisce per ottenere un risarcimento di responsabilità contrattuale l’attore deve
mostrale l’esistenza del contratto, allegando e provando l’inadempimento, nesso di casualità tra
inadempimento e danno e la parte convenuta dovrà dimostrare che quell’inadempimento non è
dovuto alla sua negligenza. Di qui molti dibattiti, circa la qualificazione di responsabilità contrattuale e
exstraconttuale tanto che oggi la Cassazione è arrivata ad assimilare la responsabilità precontrattuale
con quella contrattuale e non exstracontrattuale come qualche tempo fa  questo perché si vuole
alleggerire l’onere della prova. La questione cruciale è capire se un fatto è costitutivo o impedintivo.
Alcune volte è il legislatore interviene sulle fattispeci sostanziali a trasformare, con presunzioni
semplici, un fatto costitutivo in fatto impeditivo. Abbiam visto l’articolo 2043, per cui chi agisce ha
l’onere di provare essenzialmente tutto. L’articolo 2054  circolazione di veicoli inverte l’onere di
provare sia lo stato colposo e addirittura si discute anche sul nesso di casualità. A differenza della
presunzione legale assoluta si inverte l’onere della prova. Tutte le volt e in cui si trova ‘’a meno che’’,
‘’salvo che’’ sono tutte le formule che invertono l’onere della prova. Azione revocatoria: Devo provare
malafede, pregiudizio, che il danno sia ingiusto, per cui tutti fatti costitutivi difficilissimi da provare,
sono diabolici  se il soggetto fallisce e viene mosso dal curatore fallimentare quasi tutti questi fatti
che chi agisce deve provare sono presunti, a meno che il convenuto dimostra il contrario. Nella
revocatoria fallimentare tutti i fatti costitutivi della revocatoria divengono impeditivi, perché il
legislatore inserisce delle presunzioni semplici. Talora è la legge con delle presunzioni legali semplici a
trasformare un fatto costitutivo in impeditivo invertendo l’onere della prova. Ci sono alcuni casi in cui si
continua a discutere se un fatto costitutivo o impeditivo, anche attraverso il criterio della normalità e
della eccezionalità: qualora ci sia un fatto eccezionale, ad esempio la neve, è il convenuto a dover
dimostrare che non ha potuto adempiere a causa della neve. Altro criterio è quello della vicinanza della
prova. Una cosa è l’allegazione del fatto, una cosa la prova dello stesso. Un altro criterio di
classificazione è la distinzione tra prove tipiche e prove atipiche. Questo più che criterio di
classificazione è un problema. Nel codice civile troveremo una serie di mezzi di prova elencati dal
legislatore e il problema che oggi ci si pone è se sia un elenco tassativo oppure se siano ammesse anche
prove non tipiche, cioè non disciplinate dalla legge. Quali sono le ragioni a favore e quali quelle contro?
Non c’è una risposta su questo punto, la stessa giurisprudenza è oscillante. Le ragioni a favore
dell’ammissibilità: il diritto a poter provare un fatto, una volta allegato nel giudizio, si ritiene che sia un
diritto a copertura costituzionale, nel senso che il diritto alla prova è considerato espressione del diritto
di difesa ex articolo 24 per cui qualsiasi limitazione al diritto alla prova diviene una limitazione al diritto
alla difesa e questo finchè questo diritto non va a ledere diritti di rango superiore della controparte, per
cui l’idea che le prove siano tassative andrebbe contro la costituzione. Ma ciascun mezzo di prova ha il
suo requisito di ammissibilità, per cui anche quelli tipici hanno requisiti di ammissibilità per cui
portando all’estremo questa tesi dovremmo ritenere che anche i mezzi di prova tipici siano
incostituzionali. Comunque, il problema sussiste e riguarda principalmente 3 categorie dei mezzi di
prova: 1) DICHIARAZIONI SCRITTE PROVENIENTI DA TERZI (DICHIARAZIONI DI SCIENZA
PRINCIPALMENTE), cioè dichiarazione resa dal terzo non nel contradditorio che efficacia è dal momento
che non c’è nessuna previsione? Per alcuni deve avere un’efficacia degradata, cioè serve solo ad
argomentare altri mezzi di prova. 2) PROVE SCIENTIFICHE: prova del dna per esempio. Non troviamo
disciplinato il modo di acquisizione, però su questo tipo di prove non ci sono problemi di garanzie. Si
pensi al disconoscimento di paternità  è essenziale la prova scientifica. Ma non le troviamo
disciplinate. 3) Ultimo problema, forse quello più serio, riguarda le PROVE TIPICHE MA ILLECITAMENTE
ACQUISITE, cioè se io assolvo un investigatore privato che registra le dichiarazioni della controparte,
acquisendolo illecitamente  è un problema di illecietà e tipicità  può essere acquisita nel processo?
Dopodichè l’illecietà potrà essere essa stessa fatto costitutivo per un nuovo processo. Oggi anche il
processo tecnologico pone problemi tecnologici, come, ad esempio, wa.

Nel momento in cui le parte allegano i fatti, introducendo e formando istanze istruttorie, bisogna capire
cosa il giudice deve fare. La prima cosa che il giudice deve fare è verificare quale sia il tema probandum,
cioè individuare che cosa deve essere provato, cioè individuare quali fatti allegati in giudizi dovranno
essere provati e può fare subito degli sconti, cioè può eliminarne qualcuno? Bisogna vedere se c’è stata
una non contestazione dall’una o dall’altra parte, perché la non contestazione è rilevante affinché un
fatto sia reputato pacifico. A questo punto ha i fatti che devono essere provati, ma ancora non deve
cchiedersi chi abbia l’onere di provare, perché ciascuna parte lo farà ma qualora non lo facciano il
giudice se ne frega perché esiste nel nostro ordinamento il principio di acquisizione processuale, cioè
quel principio secondo cui una volta che la prova entra nel processo ci resta, cioè una volta che la parte
prova pur non avendone l’onere questa prova entra ormai nel processo. La prima valutazione che il
giudice deve fare è quella di AMMISSIBILITA’  ciascun mezzo di prova ha dei requisiti che riguardano
l’ammissibilità. Nella misura in cui l’istanza istruttoria supera il vaglio dell’ammissibilità, al giudice deve
VANTARE SE LA PROVA RICHIESTA SIA RILEVANTE, cioè c’è un giudizio di rilevanza dei mezzi di prova
alla fine della decisione. Bisogna capire se sia un mezzo di prova rilevante. E’ un giudizio rimesso al
prudente apprezzamento del giudice. L’ammissibilità sta prima e a monte rispetto a quello di rilevanza.
Esaurita la fase della valutazione di rilevanza, può il giudice stesso assumere delle iniziative istruttorie
cioè può ammettere lo stesso giudice l’assunzione dei mezzi di prova d’ufficio, verificando che ci sia un
buco sui fatti allegati dalle parte e disporre d’ufficio l’assunzione delle prove. A quel punto si chiude il
quadro e il giudice dispone l’assunzione dei mezzi di prova. Gli articoli 202 e ss si trova la disciplina della
cd FASE DI ASSUZIONE DEI MEZZI DI PROVA  sono norme abbastanza descrittive, perché
semplicemnte dicono che il giudice disciplina e regola con l’ordinanza, disporrà il tempo, il luogo e il
modo in cui le prove verranno assunte (udienze istruttorie, il giudice può delegare altro giudice, può
effettuare rogatoria anche a giudici esteri, le parti possono assistere personalmente e il cancelliere e gli
avvocati redigono il verbale dei mezzi di prova. Il giudice nel riportare le dichiarazione, se lo ritiene
oppure, descrive il contegno  sono, insomma, tutte norme descrittive. Non è un mezzo di prova
l’interrogatorio libero della prova, che può essere disposto dal giudice nel corso della prima udienza o
nel corso della trattazione  la funzione è quello di portare le parti ad una conciliazione ed è questo
l’obiettivo perseguito concretamente dalla parte e se il giudice sospetta che gli avvocati non si stiano
dando da fare per far arrivare le parti ad una conciliazione invita le parti a venire ed altra funzione è
quella dei chiarimenti sulle allegazioni, ponendosi in una fase in cui le narrazioni dei fatti delle parti non
sono chiarissime. E’ funzionale a tenere un chiarimento delle allegazioni. Si pone l’interrogatorio libero
in una fase precedente. Si distingue dall’interrogatorio formale, che è un mezzo di prova vero e proprio,
cje può sfociare nella confessione. Mai, però, la precisazione e il chiarimento della parte
nell’interrogatorio libero potranno sfociare in una confessione, anche se la precisazione e il chiarimento
sono a se sfavorevoli. Le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’interrogatorio libero non possono
essere articolate in confessione. Ma articolo 116: il contegno delle parti può costituire argomento di
prova  potrebbe essere, al massimo, uno strumento per valutare un altro mezzo di prova, ma mai
potrà essere un mezzo di prova.

CONSULENZA TECNICA: non è un vero e proprio mezzo di prova. La si studia con le prove, ma non è un
vero mezzo di prova. Il consulente è un professionista dotato di competenze tecniche di cui il giudice è
privo. Se la controversia su una responsabilità medica, probabilmente avrà bisogno di un medico il
giudice, se la controversia è in materia di acquisto e partecipazioni societarie avrà bisogno di un dottore
commercialista. Anche se per hobby il giudice è esperto del settore, deve far ricorso al consulente
tecnico. E’ al limite la consulenza tecnica, perché serve al giudice per ACCERTARE i fatti. E’ qualcosa di
diverso però rispetto alla prova in senso propria. Il consulente tecnico, nominato ex officio dal giudice,
può essere recusato dalle parti e ha il dovere di astenersi se ha legami con le parti  deve essere terzo
e imparziale. Impone, anche la consulenza tecnica, il rispetto del principio del contraddittorio: le parti
potranno sempre assistere e possono anche esse nominare il consulente tecnico, i quali dovranno
svolgere delle osservazioni sull’attività svolta dal consulente tecnico d’ufficio. Poi si riuniscono il
consuletne tecnico delle parti e quello d’ufficio, stendono un processo verbale delle loro riunioni, cioè
deve restare traccia di ciò che accade. Di solito quello di ufficio predispone una bozza della sua
dichiarazione che predispone a quello delle parti prima di renderla definitiva e i consulenti delle parti
ne fanno la critica. La dichiarazione viene, poi, depositata nel processo. Ma i problemi sono 2: che tipo
di vincolo la relazione del consulente tecnico spiega nei confronti del giudice? No, non c’è un vincolo
assoluto, ma rimane il prdente apprezzamento del giudice, il quale potrà anche discostarsi. Il giudice
potrà nella decisione tenere indebita considerazione della relazione dei consulenti potendosi alla fine
discostare anche da quanto dice la consulenza tecnica. La consulenza tecnica non potrà mai essere
esplorativa, cioè il consulente non può andare alla ricerca di fatti ma deve semplicemnte VALUTARE
FATTI CHE GIA’ SIANO STATI ALLEGATI DALLE PARTI. I consulenti non possono chiedere la consulenza
tecnica per aggirare l’onere di provare i fatti, perché essa serve a precisare quel fatto, non a provarlo.
Proprio per questo, il consulente tecnico può utilizzare solo i documenti tecnici prodotti dalle parti.
Questa consulenza tecnica viene, generalmente definita come CONSULENZA TECNICA DEDUCENTE, che
si contrappone ad un’altra fattispecie che è la CONSULENZA TECNICA PERSPICENTE, che è funzionale ad
accertare fatti ulteriori rispetto a quelli allegati dalle parti. Quando può accertare fatti ulteriori? E’ il
caso della consulenza tecnica che va sotto il nome di ESAME CONTABILE ex articolo 198 codice
procedura civile. Il consulente può esaminare anche registri non prodotti in causa. Il legislatore dice che
quando c’è l’esame contabile, si consente al consulente anche utilizzare documenti ulteriori. Ciò
significa che al di là delle ipotesi della consulenza tecnica perspicente, in quella deducente potrà
utilizzare solo i fatti allegati dalle parti senza poter andare oltre. Questa è la previsione generale.

Potrebbero piacerti anche