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LEZIONE 9 MARZO

Continuiamo a parlare del litisconsorzio necessario, ma prima riprendiamo alcuni tratti


dell’istituto.

La norma di riferimento del litisconsorzio necessario è l’art 102 c.p.c e cominciamo a rileggere
questa disposizione insieme: “Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti,
queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o
contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l’integrazione del contraddittorio in un termine
perentorio da lui stabilito.” Come dice la stessa norma in maniera evidente, si parla di
litisconsorzio necessario con riferimento ad ipotesi in cui il processo deve necessariamente
svolgersi fra una pluralità di parti. In questo il litisconsorzio necessario si contrappone nettamente
al litisconsorzio facoltativo, che è disciplinato nella norma immediatamente successiva. Infatti, la
disposizione prevede che se la domanda è proposta da alcune o contro alcune soltanto delle parti
necessarie, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorioquindi, fissa un termine
entro il quale le parti devono chiamare in causa la parte o le parti pretermesse. Se le parti
ottemperano tempestivamente il vizio si sana (si tratta di un tipico meccanismo di sanatoria
avente efficacia retroattiva. Nonostante la gravità del vizio il legislatore, accogliendo le tesi a suo
tempo formulate da Enrico Redenti, ha previsto la possibilità che il vizio possa essere eliminato
senza alcuna conseguenza). Come già detto nella scorsa lezione, a parte questa previsione che è in
linea con la disciplina dettata con riferimento ad altri istituti, questo istituto va soggetto ad una
disciplina piuttosto rigida. Infatti, l’eccezione di difetto di integrazione del contraddittorio è
un’eccezione rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo (quindi può essere
rilevata per la prima volta in appello e addirittura di fronte alla Corte di Cassazione). Se il vizio
viene rilevato da parte del giudice d’appello, l’art 354 stabilisce che in deroga a quella che è la
regola generale, il giudice d’appello, annullata la sentenza di primo grado, rimette la causa di
fronte al giudice di primo grado e la stessa soluzione deve essere praticata dalla Cassazione perché
in base all’art 383 terzo comma c.p.c se il vizio viene rilevato di fronte alla suprema corte sarà
questa a rimettere le parti di fronte al giudice di primo grado (cioè la corte suprema fa quello che
avrebbe dovuto fare il giudice dell’appello).

A integrazione di questa disciplina gli operatori pratici e teorici ammettono che il vizio possa
essere sanato anche a seguito dell’intervento volontario del terzo nel processo; tale intervento
può avvenire sia in primo grado, sia in grado di appello. Con riferimento al primo grado,
l’intervento del litisconsorte necessario pretermesso viene ritenuto un intervento sui
generisquindi una forma di intervento che non rientra nella previsione dell’intervento volontario
dell’art 105 e infatti si ritiene che, a prescindere dal momento in cui interviene, il terzo non deve
accettare il processo nello stato in cui si trova, ma può esercitare tutti i poteri processuali, anche
quelli con riferimento ai quali a carico delle parti sono maturate delle preclusioni. Naturalmente se
tali poteri vengono esercitati, dovrà essere applicato e assicurato il principio del contraddittorio,
quindi le parti dovranno essere ammesse ad esercitare i cosiddetti poteri consequenziali. Anche in
appello si ritiene che l’intervento del litisconsorte pretermesso possa avvenire al di fuori della
previsione contenuta nell’art 344, che disciplina l’intervento volontario in appello. Anche in questa
ipotesi viene ritenuto un intervento sui generis. Infatti, la giurisprudenza, per mitigare le
conseguenze disastrose previste a seguito del mancato rilievo tempestivo di questo vizio, afferma
che se il terzo interviene volontariamente in appello e dichiara di accettare il processo nello stato
in cui si trova, allora il giudice dell’appello non è tenuto a rimettere la causa di fronte al giudice di
primo grado, ma può proseguire il processo di fronte a sé. Questa massima talvolta è stata estesa
anche all’ipotesi in cui sia il giudice dell’appello, d’ufficio o su istanza di parte, a rilevare il vizio.
Quindi si ammette la possibilità che il giudice dell’appello, anziché rimettere le parti direttamente
in primo grado, possa disporre l’integrazione del contraddittorio di fronte a sé per sentire se il
terzo è disposto ad accettare il processo nello stato in cui si trova e quindi evitare la rimessione del
processo di fronte al giudice di primo grado. Questo vizio, tra l’altro, viene ritenuto dalla
giurisprudenza e dalla dottrina, un vizio gravissimo. Tanto grave da sopravvivere anche al
passaggio in giudicato della sentenza, infatti se voi andate a leggere le sentenze, troverete spesso
l’affermazione secondo cui la sentenza emanata in assenza di un litisconsorte necessario, è una
sentenza inutiliter data. Cosa significa inutiliter data? Significa, innanzitutto, che questa sentenza
non produce nessun effetto nei confronti del terzo pretermesso, il che è comprensibile e
ragionevole perché qui abbiamo un terzo che a questo processo non ha preso parte, non perché
non abbia voluto prendere parte, ma semplicemente perché non era neppure a conoscenza della
pendenza di questo processo; quindi non è pensabile che questa sentenza produca effetti nei suoi
confronti, ne va del suo diritto di difesa (su questi temi torneremo ampiamente nelle lezione
dedicate ai limiti soggettivi del giudicato).
Ma la giurisprudenza va oltre, affermando che la sentenza emessa non ha effetto neppure fra
coloro che hanno preso parte al processo, quindi è una sentenza inutile. Perciò è un vizio
gravissimo e su questo punto tornerò dopo essermi soffermata sull’ambito applicativo di questo
istituto e come ho detto la scorsa volta, questo principio della sentenza inutiliter data è un
principio che deve avere delle conseguenze anche con riferimento al regime cui la sentenza
emessa a contraddittorio non integro va soggetta nell’ambito del processo (quindi nel passaggio
della causa dal grado precedente al grado successivo). Trattandosi di un vizio che può sopravvivere
al giudicato esterno, nella misura in cui lo si ritiene idoneo a sopravvivere al giudicato esterno, si
deve ritenere a più forte ragione che sia un vizio non idoneo a sopravvivere neppure al giudicato
internoquindi, dobbiamo favorire il più possibile la possibilità per il giudice dell’impugnazione di
rilevare questo vizio, perché tanto se il vizio non viene rilevato rimane in piedi e tutta l’attività
svolta risulta inutile, perché la sentenza è una sentenza che non produrrà alcun effetto per
nessuno.
Se questa è la disciplina del litisconsorzio necessario, capite che è molto importante delineare, al
massimo della chiarezza, l’ambito applicativo dell’istituto, perché un errore nella collocazione di
una certa fattispecie sotto l’art 102 può avere delle conseguenze devastanti. Nonostante la
delicatezza della questione, come vi avevo già fatto notare nel corso della passata lezione, l’art
102 è la classica norma in biancocioè è una norma che non mi dice quando il litisconsorzio è
necessario, dandolo per presupposto. Mi dice quando la decisione non può pronunciarsi “che in
confronto di più parti”, quindi l’art 102 non mi è di alcun aiuto. Quindi la ricostruzione dell’ambito
applicativo di questo istituto deve essere effettuata in via interpretativa. Ci sono alcune ipotesi in
cui è lo stesso legislatore a richiamare l’art 102 o comunque ad imporre la partecipazione
necessaria di più parti al processo. Queste disposizioni sono:
 Art 784 c.p.c, che reca la rubrica “litisconsorzio necessario”. È una disposizione che si
occupa dello scioglimento delle comunioni e prevede che la domanda di divisione
ereditaria e di scioglimento di qualsiasi altra comunione deve proporsi in confronto di tutti
gli eredi o condomini; richiama anche i creditori opponenti, ma su questo punto della
disposizione ci tornerò a chiusura della trattazione dell’argomento. Quindi nel giudizio di
divisione della comunione tutti gli eredi o tutti i c.d comunisti o condomini sono parti
necessarie. Ulteriori previsioni le ritroviamo in materia di status familiari. Come dicevo la
scorsa volta l’art 247 in tema di azione di disconoscimento della filiazione legittima
stabilisce che la madre, il padre ed il figlio sono litisconsorti necessari. Previsione analoga si
rinviene negli articoli successivi, art 248 in tema di contestazione dello stato di figlio
legittimo e l’art 249 in tema d’azione di reclamo dello stato di figlio legittimo
 Altre ipotesi le ritroviamo in alcune disposizioni che prevedono forme di legittimazione
straordinaria ad agire, quindi disposizioni riconducibili alla previsione dell’art 81 c.p.c.
infatti l’art 1012 c.c in tema di usufrutto (disposizione che ci è nota, che l’abbiamo
richiamata parlando delle forme di tutela, perché è una delle disposizioni che prevede, sia
pur indirettamente, la tutela di mero accertamento, la tutela di condanna e la tutela
inibitoria) prevede che l’usufruttuario è legittimato ad esercitare le azioni di cui agli artt.
949 e 1079 (si tratta della “actio negatoria servitutis” e della “actio confessoria servitutis”).
Abbiamo che detto che l’usufruttuario è un legittimato straordinario, perché il legittimato
ordinario è il nudo proprietario. Ebbene l’art 1012, dopo aver attribuito all’usufruttuario la
legittimazione straordinaria in ordine alla actio negatoria e ad alla actio confessoria
servitutis, dice espressamente che il nudo proprietario deve essere chiamato in giudizio.
Quindi pone la regola secondo cui se l’azione viene esercitata dal legittimato straordinario,
il legittimato ordinario è parte necessaria di quel processo.
Una previsione analoga la ritroviamo nell’art 2900 c.c, che si occupa dell’azione
surrogatoria e prevede che se il creditore agisce, esercita l’azione surrogatoria perché il
debitore è rimasto inerte, deve citare anche il debitore a cui intende surrogarsi.
La ratio che sta a fondamento di queste due previsioni è evidente Trattandosi di forme di
legittimazione straordinaria, abbiamo un soggetto che è ammesso in via eccezionale a far
valere in giudizio in nome proprio un diritto altrui. Quindi il legittimato ordinario è il vero
titolare del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, è colui che è destinato a subire gli
effetti della sentenza perché la sentenza conterrà una statuizione in ordine all’esistenza e
al modo d’essere del rapporto appartenente al legittimato ordinario. Quindi questa
previsione ha a suo fondamento l’esigenza di tutelare in maniera adeguata il diritto di
difesa del legittimato ordinario o sostituito processuale. Per questo motivo si ritiene che gli
artt. 1012 e 2900 siano espressione di una regola più generale, secondo cui ogni volta che il
legittimato straordinario (quindi nelle ipotesi tassativamente previste dall’art 81) esercita
l’azione, quindi fa valere in nome proprio il diritto del legittimato ordinario o del sostituito
processuale, questi è parte necessaria del processo. È una regola che si applica anche alle
altre ipotesi di legittimazione straordinaria, per esempio all’azione di annullamento del
matrimonio (art 117 c.c), all’azione di nullità del contratto (art 1421 c.c). come vi ho detto
l’altra volta, soltanto in alcune ipotesi eccezionali, l’ordinamento processuale ammette che
il sostituito processuale possa uscire o comunque restare fuori dal processo; si tratta di
istituti particolari che prendono il nome di “estromissione della parte” (artt. 108-109 e
un’altra previsione la rinveniamo nell’art 111 che si occupa della successione a titolo
particolare nel diritto controverso. Sono tutti istituti su cui torneremo nelle prossime
lezioni). Sicuramente possiamo ritenere che un primo ambito applicativo del litisconsorzio
necessario è offerto proprio da ipotesi di legittimazione straordinaria ad agire, nel caso in
cui l’azione venga esercitata dal legittimato straordinario (viceversa se l’azione viene
esercitata dal legittimato ordinario, non si applica l’art 102, perché il legittimato
straordinario non è parte necessaria di questo processo)
 Il terzo settore è quello dei rapporti plurisoggettivi. Cioè si tratta di rapporti giuridici che
corrono fra parti diverse e che esibiscono una forma di connessione data dall’identità della
causa petendi e del petitum. All’interno dei rapporti plurisoggettivi possiamo collocare
proprio le ipotesi espressamente previste dalla legge, cioè l’art 784 che riguarda lo
scioglimento della comunione, ma anche le azioni in tema di status familiareperché lo
status di figlio legittimo non è uno status che lega il figlio ad uno dei genitori, ma è uno
status che coinvolge necessariamente i due genitori, perché nel nostro ordinamento, lo
status di figlio legittimo è legato alla circostanza che i due genitori siano sposati (quindi è
un rapporto necessariamente trilatere).
Fra le varie tesi che sono state prospettate circa l’estensione del litisconsorzio necessario
nell’alveo dei rapporti plurisoggettivi, c’è stato anche chi ha proposto, chi ha affermato che
tutti i rapporti plurisoggettivi sono soggetti al litisconsorzio necessario (il che sarebbe una
soluzione che per certi versi ci esonerebbe da questa operazione interpretativa cosi
difficoltosa), ma noi già sappiamo che così non è, questo non corrisponde al vero, perché
nelle nostre lezioni abbiamo già passato in rassegna settori che possiamo tranquillamente
definire di rapporti plurisoggettivi che certamente non sono soggetti alla disciplina dell’art
102 (vi ricordo la disciplina dell’impugnazione delle delibere assembleari di cui agli
artt.2377-2378 c.c, che abbiamo detto danno luogo sul piano processuale ad un
litisconsorzio quasi necessario o unitario, perché è un litisconsorzio che è facoltativo
quanto all’instaurazione, ma è necessario quanto a trattazione e decisione.
E poi abbiamo tutto il settore delle obbligazioni solidali, che stante la previsione dell’art
1306, sappiamo con assoluta certezza, non danno luogo ad un litisconsorzio necessario,
perché la regola secondo cui la sentenza emanata nei confronti di alcuni soltanto dei
condebitori solidali, non può recare pregiudizio, non può produrre un’efficacia sfavorevole,
non può avere effetti contro i condebitori che sono rimasti estranei al processo e ci
consente di ritenere che questo settore non è soggetto alla disciplina dell’art102 (perché in
ipotesi di litisconsorzio necessario, tutte le parti devono essere presenti al processo. E la
sentenza emessa è una sentenza che non può produrre mai effetto nei confronti del terzo).
Perciò la disciplina dell’art 1306 è incompatibile con l’art 102. Abbiamo detto, invece, che
le obbligazioni solidali nonostante l’intensità della forma della connessione che esibiscono,
danno luogo sul piano processuale ad una forma di litisconsorzio facoltativo, così come
desumibile dall’art 1305 in tema di efficacia del giuramento che è stato deferito o prestato
da uno solo dei condebitori, e poi dall’analisi di tutta la disciplina sostanziale delle
obbligazioni solidali che è marcata da una evidente autonomia dei rapporti che corrono fra
la parte comune e ciascuno dei componenti della parte collettiva, ciascuno dei condebitori
solidali.
Quindi la presenza di queste due discipline di questi due settori ci dice che l’art 102 non
può essere soprapposto su tutto il settore dei rapporti plurisoggettivi. Perciò la
ricostruzione dell’ambito applicativo dell’istituto purtroppo non è così semplice.
Ora se noi prendiamo i manuali, soprattutto quelli più datati di procedura civile, troviamo scritto
che l’art 102 si applica ogni volta che viene esercitata un’azione di tipo costitutivo, con riferimento
ad un rapporto plurisoggettivo. Questa massima, come vi dicevo, è ripresa da una teoria formulata
da Giuseppe Chiovenda; vi ricordo che l’art 102 non esisteva sotto l’egida del codice del 1865, era
previsto l’intervento coatto del terzo su ordine del giudice, ma non era previsto il litisconsorzio
necessario. Questa figura è stata per primo intravista e disegnata da Enrico Redenti, il quale
aveva individuato ipotesi di partecipazione necessaria di più parti al processo nell’ambito dei diritti
reali in comunione; in particolare Redenti aveva elaborato la sua teoria con riferimento alle ipotesi
in cui viene esercitata un’azione a tutela di un diritto di servitù su un fondo in comproprietà,
affermando che il diritto di servitù è un diritto inscindibile e come tale, qualsiasi azione avente ad
oggetto questo diritto, doveva necessariamente coinvolgere tutti i comproprietari del fondo su cui
la servitù insisteva.

Nel dibattito intervenne molto presto Giuseppe Chiovenda, il quale elaborò la sua teoria nel
tentativo di limitare la portata di quanto diceva Enrico Rendenti, infatti scrive che il litisconsorzio
necessario (quindi la partecipazione necessaria di più parti al processo) si lega all’esercizio di
un’azione di tipo costitutivo. Questo perché diceva Chiovenda che se si fa valere in giudizio il
diritto potestativo a necessario esercizio giudiziale (cioè il diritto ad ottenere il mutamento
giuridico) e il giudice accoglie questa domanda emanando la sentenza che produce il mutamento
giuridico, questo mutamento o si produce nei confronti di tutti i titolari del rapporto oppure non si
può produrre. Il suo era un tentativo di arginare gli effetti che potevano scaturire dalla teoria
elaborata da Enrico Redenti. La giurisprudenza per molto tempo ha ripreso questa massima, ha
affermato che si ha litisconsorzio necessario quando viene esercitata un’azione costitutiva; in
verità però se si vanno a leggere i repertori della giurisprudenza a partire anche dagli anni 70, è
evidente che la giurisprudenza si è discostata da questa teoria, perché la giurisprudenza applica
l’art 102 ad ipotesi di azioni che certamente non sono azioni costitutive o quantomeno sono azioni
che certamente non possono essere ricondotte all’art 2908 c.c. Infatti, da qualche anno si
ritrovano in giurisprudenza delle sentenze che lo dicono espressamente, cioè che il litisconsorzio
necessario non è affatto legato al tipo di azione proposta, cioè è irrilevante la circostanza che
l’azione è stata un’azione di accertamento, di condanna o costitutiva e ciò che si rileva è l’oggetto
di questa domanda. Per cui la teoria di Chiovenda la possiamo sicuramente accantonare.

Andando a leggere i repertori della giurisprudenza si individuano grosso modo due settori in cui
l’art 102 viene applicato: il primo gruppo di ipotesi riguarda la comproprietà e più in generale i
diritti reali in comunione (il settore su cui aveva lavorato Enrico Rendenti). A livello sostanziale
secondo quella che è la migliore dottrina italiana, la comproprietà, stante la definizione offerta
dall’art 1100, è un rapporto uno ed unico che fa capo a più soggetti, che sono i comproprietari.
Quindi la comproprietà ci offre un esempio chiaro di rapporto giuridico plurisoggettivo, un
rapporto unico che fa capo a più soggetti. A livello sostanziale ciascuno dei comproprietari o
condomini è legittimato a godere del bene oggetto della comproprietà ed è legittimato altresì ad
esercitare autonomamente le azioni a tutela della proprietà (Alcuni esempi: se viene provocato un
danno ad un bene in comproprietà, è pacifico che ciascuno dei comproprietari autonomamente
possa esercitare l’azione di risarcimento del danno contro il danneggiante. Così come, per
esempio, se viene effettuato un contratto di appalto con una ditta per effettuare dei lavori su un
bene in comproprietà, se il lavoro non viene bene eseguito è pacifico che ciascuno dei
comproprietari possa esercitare l’azione di responsabilità contrattuale nei confronti della ditta che
ha male eseguito i lavori.
Ancora, è altresì pacifico che ciascuno dei comproprietari possa esercitare autonomamente
l’azione di rivendica, cioè l’azione per il cui tramite, previo accertamento dell’esistenza del diritto
di proprietà, si chiede la restituzione, la consegna, il rilascio del bene oggetto del diritto in
comproprietà). Quindi ciascuno dei comproprietari viene ritenuto legittimato ad agire a tutela del
diritto in comunione perché, come rileva la giurisprudenza e la dottrina, ciascuno è proprietario
dell’intero bene, sia pure pro quota. Con riferimento all’azione di rivendica, inoltre, è pacifico che
nell’ipotesi in cui siano stati più di uno, coloro che hanno spogliato i comproprietari o il
proprietario di un bene, l’azione di rivendica può essere esercitata nei confronti anche di uno solo
dei compossessori (si ritiene che ciascuno dei compossessori sia legittimato a contraddire, a fronte
di un’azione di rivendica).
Ci sono però una serie di ipotesi in cui, per opinione comune, si applica l’art 102. Si tratta di una
serie di casi in cui l’azione viene proposta nei confronti della comproprietà, quindi nell’ipotesi in
cui i comproprietari si trovano sul lato passivo della domanda giudiziale, cioè sono convenuti in
giudizio. Il caso paradigmatico è l’ipotesi in cui viene esercitata un’azione volta alla costituzione di
una servitù coattiva ex art 1032, su un fondo che è in comproprietà. Questa è l’ipotesi
paradigmatica su cui lavorava anche Enrico Redenti. Però ci sono degli orientamenti
assolutamente pacifici nel ritenere che si hanno delle forme di litisconsorzio necessario anche
laddove venga esercitata ad esempio un’actio negatoria servitutisquindi un’azione per il cui
tramite il proprietario chiede che si accerti la non esistenza del diritto di servitù, se il preteso
fondo dominante (***-? Da min.31.37 a 31.45?-) viene cumulata una domanda di distruzione delle
opere che sono state eseguite per esercitare la servitù. Ugualmente si applica il litisconsorzio
necessario nell’ipotesi in cui venga esercitata un’actio confessoria servitutis, quindi l’ipotesi
opposta rispetto alla precedente, cioè è un caso in cui è il titolare di un diritto di servitù che agisce
nei confronti dei proprietari del fondo servente per chiedere l’accertamento del suo diritto di
servitù, ma anche in questo caso solo laddove alla actio confessoria servitutis sia cumulata la
domanda di distruzione delle opere che impediscono l’esercizio della servitù (esempio: quando è
stato costruito un muro che impedisce la servitù di passaggio, oppure l’edificio è stato elevato di
un piano impedendo la servitù di veduta). Laddove nei due esempi la proprietà, del fondo
dominante nel primo caso e servente nel secondo, ha eseguito delle opere che impediscono
l’esercizio della servitù oppure si tratta di ottenere la costruzione di opere che consentono
l’esercizio della servitù, si applica l’art 102, cioè si ritiene che tutti i comproprietari, che sono
convenuti in giudizio, quindi la comproprietà deve trovarsi sul lato passivo della domanda, si
applica l’art 102 perciò devono essere tutti presenti in giudizio.
Capite bene che siamo di fronte a delle ipotesi (e vi assicuro che si tratta di orientamenti
assolutamente pacifici) che certamente non si prestano ad essere ricondotti nell’art 2908, ma si
tratta di forme di tutela di condanna. La giurisprudenza da sempre afferma che in queste ipotesi si
applica l’art 102 perché se la domanda non viene proposta nei confronti di tutti i comproprietari,
la sentenza è inutiliter data, cioè una sentenza che non soltanto non produce effetti nei confronti
del litisconsorte pretermesso, ma non produce effetti nemmeno fra le parti del processo. Questo
perché nel momento in cui si chiede la distruzione di un’opera o si chiede la costruzione di
un’opera, quindi l’esecuzione di opere materiali, questa sentenza deve essere emessa nei
confronti di tutti i comproprietari del bene. Perché si tratta di una sentenza per il cui tramite si
chiede la ablazione, la distruzione, la modificazione della conformazione del diritto o del bene che
ne costituisce l’oggetto. Perciò è un processo in cui viene dedotto in giudizio un rapporto uno ed
unico che dovrà essere accertato nei confronti di tutti coloro che ne sono proprietari.
Il secondo settore in cui viene applicato il litisconsorzio necessario è quello delle azioni di
impugnativa negoziale. Il problema si pone nell’ipotesi in cui siamo di fronte a contratti a parti
collettive, cioè sono contratti stipulati fra due parti, ma una o entrambe le parti sono composte da
più soggetti.
La giurisprudenza tradizionale sembra ancora oggi richiamare l’insegnamento di Chiovenda,
perché si legge nei repertori che si ha litisconsorzio necessario se viene esercitata l’azione di
annullamento del contratto, l’azione di rescissione del contratto, l’azione di risoluzione del
contratto; mentre invece non si ha litisconsorzio necessario laddove viene esercitata l’azione di
nullità. La spiegazione di questa diversità di soluzione risiede nella circostanza secondo cui mentre
annullamento, rescissione, risoluzione sono ritenute tradizionalmente forme di tutela costitutiva,
è pacifico che la nullità sia un’azione di tipo dichiarativo, un’azione di mero accertamento. Diciamo
subito che questi orientamenti non sono affatto lineari.
Se noi prendiamo, ad esempio, la giurisprudenza in tema di risoluzione del contratto, si nota che il
litisconsorzio necessario viene applicato non soltanto nell’ipotesi in cui venga esercitata la classica
azione di risoluzione per grave inadempimento, ma la giurisprudenza applica l’art 102 anche nel
caso in cui la risoluzione sia stata fatta valere in via stragiudiziale (per esempio perché c’era una
clausola risolutiva espressa o c’era una diffida ad adempiere oppure una parte semplicemente ha
esercitato il diritto di recesso) e quindi il processo venga aperto al solo scopo di ottenere da parte
del giudice una sentenza che accerta la non esistenza degli effetti del contratto, che ormai si è già
risolto perché l’effetto risolutivo è scaturito in via stragiudiziale prima e fuori del processo, e
quindi si chiede al giudice, non soltanto l’accertamento di non esistenza degli effetti del contratto,
ma si chiede la restituzione di quanto eventualmente prestato in esecuzione del contratto che
ormai è stato risolto.
Inoltre, il litisconsorzio necessario viene anche applicato con riferimento all’azione di
simulazione, la cui natura costitutiva non è affatto scontata, bensì è stata sempre oggetto di
discussioni nella dottrina processual-civilistica (diciamo che è un’azione per il cui tramite si vuole
rimuovere l’apparenza giuridica e quindi le tesi migliori tendono a ricondurla piuttosto alla tutela
dichiarativa, ma non andiamo oltre). Limitiamoci a dire che questi orientamenti non sono affatto
lineari.
Questi orientamenti, che fanno leva sul carattere costitutivo dell’azione, devono a questo punto
essere rivisti alla luce delle famose sentenze Travaglino. Queste famose sentenze (12 dicembre
2014 n.26242-26243) hanno affermato che in tutti i casi in cui venga esercitata un’azione di
impugnativa negoziale, l’oggetto del processo e del giudicato non è il diritto potestativo a
necessario esercizio giudiziale (cioè il diritto ad ottenere il mutamento giuridico, per riprendere le
parole di Chiovenda), ma la Suprema Corte ci ha detto che l’oggetto del processo e del giudicato è
la rilevanza giuridica del negozio impugnato, è il rapporto cornice, il rapporto complesso, è la
validità, non nullità, efficacia del contratto. Vi ricordate nella motivazione le Sezione Unite ci
hanno detto anche che lo stesso rapporto complesso costituisce l’oggetto dell’azione di esatto
adempimento, perché il giudice è sempre tenuto ad accertare con autorità di cosa giudicata
l’esistenza, non nullità, ed efficacia del contratto. Questo principio calato nei contratti a parti
collettive apre uno scenario inesplorato fino a questo momento, nel senso che è vero che le
Sezioni Unite hanno elaborato questo principio con riferimento ad una fattispecie semplice, di un
contratto a parti semplici, ma gli operatori e soprattutto i giuristi devono inevitabilmente chiedersi
se questo principio può avere un impatto, può delle ricadute sul tema trattato del litisconsorzio
necessario a fronte di azioni che riguardano contratti a parti collettive. Si tratta di stabilire cioè se
anche in ipotesi in cui una o entrambe le parti del contratto siano collettive, vale quanto affermato
dalle Sezioni Unite. Questo è uno scenario inesplorato, non troviamo niente su questo, ma è una
riflessione che ad un certo punto dovrà aprirsi. E diciamo che le soluzioni sono evidentemente
due: se si vuole rimanere in linea con quanto affermato dalle Sezioni Unite e quindi si vuole
ritenere che anche nel caso in cui una o entrambe le parti siano collettive, il giudice deve accertare
con autorità di cosa giudicata la validità, non nullità ed efficacia del contratto (quindi deve
accertare l’esistenza del rapporto giuridico complesso), se le parti di questo contratto sono
collettive, la conseguenza è inevitabile, cioè si deve applicare il litisconsorzio necessario (perché
l’accertamento con piena autorità di cosa giudicata può avvenire solo nella misura in cui tutti
coloro che sono titolari del rapporto sono presenti nel processo). Questa è la soluzione in linea
con quanto affermato dalle Sezione Unite, che sono state mosse soprattutto dalla fondamentale
esigenza della ragionevole durata del processo ed evitare la moltiplicazione delle liti; quindi se
questo è l’obbiettivo primario e probabilmente lo è in questo momento storico (evitare la
moltiplicazione delle liti con riferimento ad una vicenda sostanziale unitaria) e se si vuole
perseguire questo obbiettivo anche nell’ambito delle vicende che interessano più soggetti, la
soluzione è imporre il litisconsorzio necessario, perciò imporre l’applicazione dell’articolo 102.
Questo ha delle conseguenze pesanti, perché abbiamo visto quanto è pesante questa disciplina,
però è l’unica soluzione in grado di soddisfare questo obbiettivo.

La soluzione opposta è ritenere che laddove i contratti siano a parti collettive, il giudice non può,
non deve necessariamente accertare l’esistenza e la validità del rapporto giuridico complesso con
autorità di cosa giudicata, ma lo potrà fare incidenter tantum, cioè è accertamento che il giudice
svolge con riferimento, in maniera vincolante, solo per coloro che prendono parte al processo.
Questa soluzione ci consentirebbe di allinearci con quanto previsto negli altri paesi europei,
perché in Francia il litisconsorzio necessario non esiste e non è mai esistito, in Germania c’è ma è
soggetto ad una ricostruzione, un’interpretazione molto restrittiva; quindi, si tratta di paesi in cui il
litisconsorzio necessario non viene applicato. È una soluzione che soddisfa maggiormente
l’esigenza di alleggerire il processo in corso, quindi un’esigenza di economia processuale, di
ragionevole durata del processo in una prospettiva endoprocessuale (perché alleggerisce il
processo). Certamente è una ricostruzione che risponde maggiormente al principio dispositivo,
perché rimette alle parti la scelta in ordine al se coinvolgere nel processo tutte le parti o soltanto
alcune. Qual è il rischio? Il rischio è evidentemente quello che con riferimento alla stessa vicenda
si aprano più processi, perché se il processo si svolge soltanto fra alcune delle parti coinvolte nel
rapporto plurisoggettivo, coloro che rimangono estranei a questo processo non possono essere
soggetti agli effetti della sentenza finale e quindi potranno a loro volta aprire un ulteriore
processo. Bisogna però ricordare che anche se questo rischio evidentemente si apre, non è detto
che questo ogni volta si apra (il secondo, terzo, quarto processo), cioè ci sono degli strumenti che
possono quantomeno arginare questo rischio. Intanto ricordiamoci che la scelta di aprire il
processo nei confronti di alcuni soltanto, di coloro che sono parti del rapporto, potrebbe trovare
anche una valida spiegazione ragionevole, cioè nel senso che l’attore sa di poter contare
sull’acquiescenza dei contitolari nei cui confronti non ha posto domanda, sa che può stipulare un
accordo con queste altre parti e quindi non ritiene di doverle coinvolgerle nel processo. D’altra
parte, non si deve tralasciare che il giudice ha comunque nelle sue mani uno strumento che gli
consente di estendere il processo a questi altri terzi ed è l’intervento per ordine del giudice ex art
107, che è un istituto completamente diverso dal litisconsorzio necessario. Infatti, è una forma di
intervento coatto del terzo su ordine del giudice, che passa attraverso una valutazione di
opportunità da parte del giudice. E’ uno strumento che, vedremo, è nelle mani del solo giudice di
primo grado e che è subordinato ad una valutazione discrezionale del giudice di primo grado, che
indipendentemente dalla decisione che prende, cioè sia che decida di ordinare la chiamata del
terzo sia che decida di non farlo, non è soggetta a controllo da parte del giudice
dell’impugnazione. Per cui vedremo che il giudice dell’appello e della Cassazione non possono
andare a sindacare la legittimità o meno dell’ordine o del mancato ordine del giudice di primo
gradoQuindi, anche se il processo viene aperto fra alcuni soltanto dei contitolari, niente toglie
che il giudice nel momento in cui si rende conto che c’è qualcosa che non va e nel momento in cui
ha la percezione che potrebbero successivamente aprirsi ulteriori processi, possa essere lui ad
ordinare la chiamata dei terzi, dei contitolari che sono rimasti estranei al processo.

Se si decidesse di aderire a questa seconda prospettiva e quindi si decide con riferimento ai


contratti a più parti di aderire ad una nozione ristretta dei limiti oggettivi del giudicato, allora
sarebbe inevitabile riaprire la riflessione anche sugli orientamenti che la giurisprudenza ha portato
avanti nell’ambito dei diritti reali in comunione (si dovrebbero rivedere anche quegli orientamenti
che vi ho riportato, ad esempio in tema di actio negatoria e actio confessoria servitutis, oppure di
azione volta alla costituzione di servitù coattive ex art 1032 su fondo in comproprietà).
Voglio riportare alla vostra attenzione che proprio in riferimento a quest’ultima fattispecie, quindi
l’azione di costituzione di servitù coattiva su fondo in comproprietà, che è l’ipotesi classica di
litisconsorzio necessario su cui ha lavorato Enrico Redenti, nella disciplina sostanziale si rinviene
una disposizione molto interessante, che probabilmente giustamente non è stata valorizzata, che
è l’art 1059. Questo articolo prevede che “la servitù concessa da uno solo dei comproprietari di un
fondo indiviso, non è costituita se non quando gli altri l’hanno anch’essi concessa unitamente o
separatamente”. Ma poi al comma 2, stabilisce che “la concessione però fatta da uno dei
comproprietari indipendentemente dagli altri, obbliga il concedente e i suoi eredi ed aventi causa a
non porre impedimento all’esercizio del diritto concesso”.
Da questa disposizione si può desumere che è vero che come regola generale se il fondo servente
è un fondo in comunione, la servitù può essere costituita solo previo accordo di tutti i
comproprietari; ma il comma 2 prevede che se la concessione viene da uno soltanto dei
comproprietari, è vero che non si costituisce la servitù (in quanto questa è un diritto reale e
inscindibile), ma ci dice questa disposizione che questo accordo produce comunque un effetto, che
è un effetto obbligatorio (vincola il concedente e i suoi eredi o aventi causa a non porre
impedimento all’esercizio del diritto di servitù). Se questa previsione noi la riportiamo sul piano
processuale, si apre la possibilità di ritenere che anche la domanda costitutiva di un diritto di
servitù su un fondo in comproprietà, viene esercitata nei confronti di alcuni soltanto dei
comproprietari, la sentenza emessa non è una sentenza inutiliter data, cioè che non produce
nessun effetto neppure fra coloro che nel processo hanno preso parte, perché in base all’art 1059
un effetto lo produce: non è l’effetto servitù, ma è comunque un effetto vincolante un effetto
obbligatorio. Quindi vedete che è un tema che non possiamo dire essere esaurito, ma è un tema
su cui probabilmente ancora c’è spazio per una riflessione ed una evoluzione.

Domanda Studentessa: scusi professoressa potrebbe ripetere quest’ultimo passaggio?

Risposta Professoressa: Stavo dicendo che se vogliamo, con riferimento al settore delle azioni di
impugnativa nell’ambito di contratti o negozi a parti collettive, accedere alla interpretazione
restrittiva e cioè si accetta che queste azioni possano essere esercitate nei confronti anche di
alcuni soltanto delle parti coinvolte nel contratto e quindi il rapporto giuridico complesso possa
essere accertato con effetto limitato a coloro che prendono parte al processo; si apre lo spazio
diciamo per riaprire la riflessione anche con riferimento agli orientamenti che la giurisprudenza da
sempre porta avanti in tema di diritti reali in regime di comunione. La giurisprudenza afferma che
nelle ipotesi che vi ho richiamato come ad esempio l’azione di costituzione di servitù coattiva su
fondo in comproprietà, o all’ipotesi dell’actio confessoria servitutis esercitata nei confronti dei
comproprietari del fondo servente cui viene cumulata la domanda di distruzione dell’opera che
impedisce l’esercizio della servitù; si apre la possibilità e lo spazio per una riflessione anche su
queste ipotesi (perché forse anche in queste ipotesi potrebbe immaginabile la possibilità di
un’azione esercitata nei confronti di alcuni soltanto dei comproprietari del fondo servente). Anche
perché, vi dicevo, proprio in riferimento alla servitù coattiva che storicamente parlando è l’istituto
su cui è stato elaborato il litisconsorzio necessario, c’è una disposizione che è l’art 1059 c.c. che
dopo aver affermato la regola generale secondo cui la servitù deve essere concessa da tutti i
comproprietari trattandosi di un diritto reale; al secondo comma prevede che se la servitù viene
concessa da alcuni soltanto dei comproprietari, questo accordo è un accordo che comunque
produce degli effetti, perché vincola il concedente, i suoi eredi e aventi causa a non porre
impedimento all’esercizio concesso. Ciò vuol dire che, portando questo principio a livello
processuale, laddove l’azione di costituzione della servitù coattiva viene esercitata nei confronti di
alcuni soltanto dei comproprietari del fondo servente, probabilmente si può cominciare a riflettere
sul fatto che questa sentenza non è una sentenza inutiliter data, non è una sentenza che non
produce alcun effetto fra le parti del processo, ma è una sentenza che potrà comunque produrre
un effetto quantomeno obbligatorio nei confronti delle parti (attenzione, non è la servitù in quanto
questa è un diritto reale, ma ammettere che questa sentenza produca un effetto obbligatorio
significa che non è inutiliter data perché un effetto ce l’ha anche se diverso). E’ un terreno
inesplorato, è un istituto su cui periodicamente bisogna tornare a riflettere e su cui il dibattito non
è sicuramente esaurito e certamente queste sentenze Travaglino sono destinate ad avere un
impatto in una direzione o nell’altra.

Un ultimo punto su cui vorrei riflettere è certamente quello della sentenza inutiliter data. Anche
questo è un principio che la giurisprudenza da per pacifico ed assodato e che non rimette in
discussione. La riflessione sulla sentenza inutiliter data è particolarmente importante laddove si
aderisca alla concezione più ampia del litisconsorzio necessario, alla concezione in linea con il
principio elaborato dalle Sezioni Unite nel 2014. Sicuramente la sentenza che viene messa a
contraddittorio non integro è una sentenza che non può produrre effetti nei confronti del
litisconsorte pretermesso e su questo non ci possono essere dubbi infatti il litisconsorte
pretermesso ha a sua disposizione un istituto che è L’opposizione di terzo ordinaria ex art 404.c1
che gli può consentire di eliminare dal mondo giuridico l’altrui sentenza (sentenza che è vero che
non produce effetto nei suoi confronti, ma che certamente lo danneggia, lo pregiudica
quantomeno a livello di fatto perché crea incertezza a livello delle relazioni giuridiche). Il profilo
invece su cui occorrerebbe riflettere è quello dell’efficacia della sentenza emessa a contraddittorio
non integro tra coloro che hanno preso parte al processo. Abbiamo già ripetuto più volte che
stando all’orientamento della giurisprudenza, la sentenza emanata a contraddittorio non integro
sarebbe del tutto priva di efficacia inter-partes. Tale affermazione sicuramente ha un senso con
riferimento al secondo gruppo che ho richiamato, cioè con riferimento alle ipotesi di
legittimazione straordinaria ad agire: se la domanda avente ad oggetto il rapporto giuridico
controverso è proposta dal legittimato straordinario e il legittimato ordinario che è il titolare non
viene chiamato in causa, è ragionevole ritenere che la sentenza sia inutiliter data (cioè che non
produca nessun effetto, neppure fra le parti del processo che sono il legittimato straordinario e il
convenuto), ma calata nelle ipotesi di rapporti plurisoggettivi, la soluzione non è altrettanto
soddisfacente. Questo perché dire che questa sentenza è inutiliter data (cioè non produce effetto
neppure tra le parti che al processo hanno preso parte), significa ammettere che tutte queste parti
possano, in via assolutamente indiscriminata, aprire un secondo processo e tentare di ottenere un
risultato favorevole. Questa soluzione non è affatto soddisfacente. Pensate all’ipotesi su cui
abbiamo riflettuto. Abbiamo visto che il più delle volte si ha litisconsorzio necessario nelle ipotesi
in cui la domanda viene proposta nei confronti di una parte collettiva; quindi dire che la sentenza è
inutiliter data, significa affermare che l’attore (colui che ha esercitato l’azione) si trova con niente
in mano, e i convenuti, che sono usciti dal processo soccombente, sono liberi di aprire un secondo
processo tentando di ribaltare il risultato a cui ha approdato il primo  c’è qualcosa che non torna,
perciò gli ultimi studi che sono stati svolti su questo tema, hanno evidenziato la necessità di
rivedere questa posizione: affermando che la parte collettiva non deve essere ritenuta legittimata
ad aprire il secondo processo, utilizzando questo vizio soltanto per ribaltare un risultato
sfavorevole; mentre invece si deve ammettere che sia l’attore, cioè la controparte della parte
collettiva, che è uscito vittorioso a poter aprire il secondo processo per estendere questa vittoria
nei confronti del litisconsorte pretermesso, nei confronti del contitolare del rapporto giuridico che
era rimasto estraneo a questo processo. Vedete che sotto anche questo profilo il terreno è
scivoloso, ed è assolutamente necessario riaprire la riflessione.

Per completare il quadro che abbiamo delineato, vorrei tornare su un quarto settore di
applicazione di questo istituto, che ho tenuto da parte perché è molto diverso da quelli trattati
fino a questo momento. Si tratta di una serie di ipotesi, che non rientrano negli schemi fino ad ora
richiamati, perché si tratta di ipotesi in cui è il legislatore a imporre la necessaria partecipazione
al processo di più parti, quindi ad imporre il litisconsorzio necessario, ma che devono essere
collocate nell’ambito dei rapporti tra parti diverse connessi per pregiudizialità-dipendenza. Si
parla in questi casi di un litisconsorzio necessario propter opportunitatem: cioè scelto, imposto
dal legislatore sulla base di valutazioni di convenienza e di opportunità pratica (esempio tipico lo
ritroviamo innanzitutto nell’art 784 c.p.c, laddove con riferimento ai giudizi di divisione ereditaria
o scioglimento delle comunioni, richiama fra i litisconsorti necessari anche i creditori opponendi,
che sono classici terzi titolari di rapporti giuridicamente dipendenti. Ma l’esempio sicuramente più
importante si ritrova nell’art 144 comma 3 del Codice delle Assicurazioni Private, si tratta del d.lgs
n.209/2005, che nel giudizio promosso dal danneggiato nei confronti dell’impresa
dell’assicurazioni, impone la partecipazione necessaria del responsabile del danno. Vedremo che
questa è una tipica ipotesi di azione c.d diretta, e il legislatore ha imposto la partecipazione del
responsabile del danno). Trattandosi di ipotesi in cui il litisconsorzio necessario si basa su una
valutazione discrezionale svolta dal legislatore, è pacifico che si tratti di ipotesi tassative, quindi
non suscettibili di essere ampliate sul piano interpretativo.
Per quanto riguarda le regole di svolgimento del processo soggetto a litisconsorzio necessario, è
un litisconsorzio necessario quanto ad instaurazione, trattazione e decisione. Quindi è un
litisconsorzio necessario che deve chiudersi con una sentenza, che per definizione, deve essere
una ed unica, cioè uguale ed emanata nei confronti di tutte le parti necessarie del processo. Quindi
il litisconsorzio necessario deve permanere in tutti i gradi di giudizio, il giudice non potrà mai
disporre la separazione delle domande, ne in fase istruttoria ne in fase decisoria, quindi non trova
applicazione l’art 103. c2 e neppure l’art 279.2 n.5. la sentenza deve essere emanata nei confronti
di tutti i litisconsorti necessari. Nel passaggio di fronte al giudice dell’impugnazione (sia esso la
corte d’appello sia esso la corte di cassazione) trova applicazione la disciplina delle cause
inscindibili ex art 331 c.p.c e quindi ai gradi di impugnazione devono partecipare le stesse parti dei
gradi precedenti, non c’è alcuno spazio per una semplificazione in corso di causa. Naturalmente
tutte le parti potranno esercitare i propri poteri processuali, ma nella misura in cui il processo si
deve chiudere con una sentenza una ed unica, è indispensabile coordinare l’esercizio di questi
poteri. Con riferimento specifico alle prove legali, vi ricordo che il legislatore ha espressamente
previsto che la confessione e il giuramento resi da alcuni soltanto dei litisconsorti necessari, non
hanno efficacia di prova legale, ma sono soggetti al libero apprezzamento del giudice (questa
regola la ritroviamo con riferimento alla confessione nell’art 2733.c3 c.c, con riferimento al
giuramento 2738.c3 c.c). Quindi la confessione e il giuramento resi da alcuni soltanto dei
litisconsorti necessari, sono soggetti al libero apprezzamento del giudice, come condizione per
assicurare l’accertamento unitario del fatto (questa è una scelta che il legislatore ha dovuto
compiere per tutelare il diritto di difesa di tutte le parti e assicurare la possibilità che la sentenza
sia unitaria)

[[***Una ragazza, nella lezione del giorno dopo (del 10/3) richiede alla professoressa di rispiegare
questo pezzetto perché è andata via la connessione e quindi la registrazione si è bloccata:

Domanda: si applica l’art 102 se è esercitata l’actio negatoria servitutis insieme alla domanda di
distruzione delle opere?

Risposta: Si. La giurisprudenza sia con riferimento alla actio negatoria servitutis, che quindi è
esercitata dal proprietario del preteso fondo servente, sia con riferimento alla actio confessoria
servitutits che invece è esercitata dal proprietario del preteso fondo dominante. Distinguiamo i
due casi che è più semplice.
Actio negatoria servitutis: la giurisprudenza ritiene che se viene esercitata nei confronti dei
proprietari di un fondo che è in comproprietà allora si applica l’art 102 nella misura in cui alla actio
negatoria serviutis si cumula la domanda di condanna alla distruzione delle opere, oppure la
domanda di condanna alla realizzazione di una serie di opere materiali, quindi non nel caso in cui
venga proposta l’azione di mero accertamento (vi ricordate che queste sono proprio le ipotesi art
949 e 1079 di previsioni espresse di azioni di mero accertamento). La giurisprudenza applica l’art
102 nella misura in cui alla domanda di accertamento di esistenza o non esistenza della servitù
viene cumulata la domanda di distruzione dell’opera o la domanda di costruzione o esecuzione di
una serie di opere funzionali alla servitù non esistente o esistente a seconda del caso. Quindi non è
l’azione di mero accertamento, ma è la condanna a questo facere o a questa distruzione che incide
sulla comproprietà perché lo va a comprimere, o comunque va ad incidere sul suo modo d’essere
o sul bene che ne costituisce l’oggetto e per questo la giurisprudenza afferma che c’è il
litisconsorzio necessario perché se non viene accertato questo rapporto uno ed unico nei confronti
di tutti la sentenza è inutiliter data, perché non potrà essere messa in esecuzione]].

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