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Dispositivo
Se nel corso del processo si trasferisce il diritto controverso per atto tra vivi a titolo
particolare, il processo prosegue tra le parti originarie (1)(2).
Se il trasferimento a titolo particolare avviene a causa di morte, il processo è
proseguito dal successore universale o in suo confronto (3).
In ogni caso il successore a titolo particolare può intervenire o essere chiamato nel
processo e, se le altre parti vi consentono, l'alienante o il successore universale può
esserne estromesso (4).
La sentenza pronunciata contro questi ultimi spiega sempre i suoi effetti anche contro
il successore a titolo particolare ed è impugnabile anche da lui, salve le norme
sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla trascrizione (5).
Note
(1) Si precisa che in dottrina manca un'opinione unanime relativamente all'ambito di
applicazione della norma in esame. Secondo alcuni autori la norma troverebbe applicazione
solo nel caso in cui vi sia perfetta identità fra diritto controverso e trasferito, mentre altri
estendono l'applicazione anche ai casi in cui il processo verta ad esempio su un'azione di
impugnativa negoziale (nullità, risoluzione etc.) e sia trasferito il bene oggetto del contratto.
(2) Nell'ipotesi della successione a titolo particolare, l'alienante agisce o resiste in giudizio non
più come legittimato ordinario bensì come sostituto processuale (art.81), continuando a stare in
giudizio per un diritto di cui non è più titolare.
(3) Nell'ipotesi della successione a titolo particolare per causa di morte, ovvero del legato, il
legatario acquista il bene al momento della morte del de cuius, ma il giudizio prosegue nei
confronti dell'erede, ovvero il successore universale, che subentra ad una delle parti originarie
venuta a mancare, acquistando così come l'alienante, la posizione di sostituto processuale.
(4) Secondo l'opinione prevalente in dottrina, l'intervento del successore a titolo particolare non
appare riconducibile alle ipotesi di intervento volontario (art.105), trattandosi di fattispecie sui
generis dal momento che il terzo interviene in un giudizio in cui è titolare del diritto sostanziale
controverso e al fine di condizionare una decisione che produrrà tutti i suoi effetti nei suoi
confronti. Il terzo può assumere la qualità di parte anche in quanto chiamato da uno dei
(5) La sentenza che conclude il processo dispiega i suoi effetti anche nei confronti del
successore a titolo particolare, indipendentemente dal fatto che egli sia intervenuto o meno nel
processo. L'inciso dell'ultimo comma della norma in commento circoscrive l'ambito soggettivo di
efficacia della sentenza ai sensi dell'art. 2909 c.c.: se il successore a titolo particolare non
intervenuto nel giudizio ha acquistato un bene mobile in buona fede [v. c.c. 1153] o ha
trascritto l'acquisto in suo favore di un immobile anteriormente alla trascrizione della domanda
giudiziale in cui si controverte [v. c.c. 2652 e 2653], il suo acquisto non potrà essere
pregiudicato dall'eventuale soccombenza nel processo del dante causa.
Inoltre, la legittimazione ad impugnare la sentenza prescinde dall'intervento in giudizio del
successore a titolo particolare. Anzi egli gode di un termine autonomo di impugnativa, non
subendo la decadenza conseguente alla notifica della sentenza al suo dante causa. Qualora il
trasferimento del diritto controverso fosse avvenuto ante causam, la legittimazione ad
impugnare da parte del successore non intervenuto o chiamato nel giudizio di primo grado
sussisterebbe solo nelle ipotesi di intervento in appello ex art. 344 o ex art. 404, ossia in caso
di collusione a suo danno.
Ratio Legis
La norma descrive l'ipotesi della successione a titolo particolare che può avvenire sia
per atto tra vivi che a causa della morte di una delle parti. Nel primo caso il processo
prosegue tra le parti originarie, al fine di evitare l'inconveniente di mettere ciascuna
delle parti in condizione di poter costringere l'altra a subire il continuo cambiamento
del suo contraddittore. Nel secondo caso, il processo continua nei confronti dell'erede
che subentra ad una delle parti originarie venute a mancare e che assume la veste di
sostituto processuale.
Spiegazione
Ciò posto, risulta abbastanza evidente che il trasferimento a titolo particolare del diritto
controverso nel corso del processo non svolge alcun effetto sul rapporto processuale,
che continua a svolgersi tra le parti originarie, dando soltanto luogo ad una sostituzione
processuale del dante causa, consentendo che la sentenza spieghi piena efficacia nei
confronti dell'avente causa sostituito, anche se pronunciata senza la sua partecipazione
al giudizio.
Altro aspetto oggetto di indagine è stato quello relativo al nesso sussistente tra diritto
sostanziale e processo, ciò che richiede di esaminare il tema dell'influenza che il
mutamento della titolarità del diritto controverso può avere nel giudizio in corso.
Al riguardo si sono sviluppate due distinte teorie, ovvero la teoria dell'irrilevanza e la
teoria della rilevanza.
La prima si fonda su una assoluta indipendenza tra il mutamento sostanziale (il
trasferimento della res litigiosa) ed il processo, il che comporta che la successione nel
diritto controverso non esplicherebbe influenza alcuna sul giudizio in corso, il quale
prosegue fra le parti originarie come se nulla fosse mutato.
A tale teoria si contrappone la tesi della rilevanza, secondo cui sussiste un intimo nesso
tra processo e suo contenuto.
Una rigorosa applicazione della tesi dell'irrilevanza dovrebbe indurre a ritenere che il
ruolo ed i poteri spettanti alle parti originarie rimangano immutati e che il successore
particolare debba qualificarsi come terzo, tranne per il caso in cui quest'ultimo decida di
proporre intervento nel giudizio.
La maggior parte degli esponenti della tesi della rilevanza, invece, in conformità al
postulato dell'influenza del fenomeno successorio sul processo, attribuisce all'alienante
ed al successore universale il ruolo di sostituti processuali, riconoscendo in capo ai
medesimi una legittimazione straordinaria a rimanere in giudizio a tutela di un diritto di
cui è divenuto titolare un altro soggetto, ovvero il successore.
In forza del principio secondo cui il processo prosegue per opera dell'alienante o del
successore universale, ne consegue che tali soggetti possono compiere tutti gli atti
necessari per l'emanazione della sentenza (quali, a titolo esemplificativo, la
presentazione al giudice di istanze, memorie e comparse, la precisazione delle
conclusioni, ecc.).
E’ discusso in dottrina se l'alienante possa rinunciare agli atti processuali, o anche
accettare la rinuncia della controparte.
Secondo alcuni Autori deve riconoscersi alla parte originaria la facoltà di compiere tali
attività, in quanto la medesima gode della piena disponibilità del diritto oggetto del
processo (pertanto, tutti gli atti processuali compiuti, compresi quelli che pregiudicano la
posizione del successore particolare, devono ritenersi perfettamente validi).
Secondo altra parte della dottrina l'alienante può rinunciare agli atti ed accettare la
rinuncia avversaria, ma soltanto nel corso del processo di primo grado.
Per quanto riguarda gli atti di disposizione del diritto controverso (esempio la
conciliazione giudiziale, il riconoscimento dell'azione avversaria, la confessione ed il
giuramento), la dottrina maggioritaria ne esclude l'esperibilità da parte dell'alienante;
altri autori, invece, ritengono tali atti validi ed efficaci nel processo, purchè siano stati
posti in essere in epoca anteriore rispetto all'intervento in causa dell'avente causa o del
legatario.
Il quarto comma prevede che, in caso di successione a titolo particolare nel diritto
controverso, il processo prosegue fra le parti originarie e che, anche quando non vi sia
estromissione del convenuto, la sentenza avrà comunque effetto contro il successore a
titolo particolare.
La ratio di tale disposizione deve ricercarsi nell'esigenza di tutelare il soggetto che, non
essendo coinvolto dal fenomeno successorio, rischia di ottenere una pronuncia inutiliter
data, non opponibile al vero titolare del diritto controverso.
In relazione alle modalità con cui la sentenza è in grado di operare nei riguardi
dell'acquirente o del legatario, parte della dottrina parla di efficacia di tale sentenza nei
confronti dell'acquirente o del legatario, essendo questi ultimi soggetti terzi e titolari di
un diritto giuridicamente diverso; altra parte della dottrina, invece, e precisamente gli
esponenti della teoria della rilevanza del mutamento sostanziale nel processo (che
ravvisano l'identità giuridica del diritto dell'autore con quello del successore), qualificano
l'efficacia della sentenza come diretta.
Per quanto concerne il problema della efficacia esecutiva, nei confronti del successore,
della sentenza resa tra le parti originarie, nel silenzio della legge tale problema è stato
positivamente risolto dalla dottrina sulla base del combinato disposto degli artt. 475 e
477 c.p.c., con la conseguenza che, se in pendenza di causa viene trasferito un bene a
titolo particolare, la sentenza, pronunciata tra le parti originarie, è eseguibile anche a
favore, o nei confronti, del successore particolare.
Il quarto comma, inoltre, nel sancire l'efficacia della sentenza nei confronti del
successore particolare, fa salve le norme sull'acquisto in buona fede dei mobili e sulla
trascrizione; proprio da tale parte della norma se ne fa derivare che esula dall'ambito
applicativo dell'art. 111 la fattispecie di acquisto del diritto controverso a titolo originario.
Viene anche stabilito che la sentenza, pronunciata tra le parti originarie, può essere
impugnata dal successore particolare.
In realtà, i sostenitori della tesi dell'irrilevanza del mutamento sostanziale nel processo
(che attribuiscono al successore singolare, non intervenuto in giudizio, il ruolo di terzo)
dovrebbero ammettere che tale soggetto possa solo esperire l'opposizione di terzo di
cui all'art. 404 del c.p.c., essendo questo proprio un rimedio predisposto a tutela di quei
soggetti che sono estranei al processo, ma pregiudicati dalla sentenza resa tra le parti
originarie (pertanto, l'unico legittimato ad impugnare la sentenza con i mezzi propri delle
parti sarebbe l'alienante o il successore universale).
Diversamente, gli Autori che ritengono il successore come parte, anche soltanto dal
punto di vista sostanziale, dovrebbero escludere la proponibilità, ad opera dello stesso,
dell'opposizione di terzo, affermando la sua legittimazione ad avvalersi dei mezzi
d'impugnazione che gli sono propri, quali l'appello, il ricorso in cassazione, la
revocazione ed il regolamento di competenza.
La maggioranza della dottrina, comunque, ammette che il successore, anche se non
intervenuto o non chiamato nella precedente fase di giudizio, possa avvalersi dei mezzi
ordinari d'impugnazione.
Massime
della sentenza di primo grado e prima della scadenza del termine per l'impugnazione, il
dante causa non perde nessun potere processuale, con la conseguenza che
l'impugnazione spetta in ogni caso alla parte originaria, nei cui confronti la sentenza è
stata pronunciata, salva la legittimazione, concorrente e non sostitutiva, del successore.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 30189 del 20 novembre 2019)
meramente sostitutiva e processuale, con la conseguenza che gli effetti sostanziali della
pronuncia si spiegano solo nei confronti dell'effettivo nuovo titolare, sia o meno il
medesimo intervenuto in giudizio.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 22503 del 23 ottobre 2014)
dettata per il caso in cui la successione nel possesso a titolo particolare nei confronti
dell'autore dello spoglio avvenga prima che contro costui sia proposta la domanda di
reintegrazione nel possesso. Allorquando, invece, la successione nel possesso a titolo
particolare avvenga dopo la proposizione della domanda di reintegrazione nei confronti
dell'autore dello spoglio, non rileva la situazione soggettiva da parte dell'avente causa,
perchè, a protezione dell'attore e a garanzia dell'effettività della tutela giurisdizionale,
opera la norma di cui all'art. 111 c.p.c. e in particolare quella di cui al quarto comma,
secondo cui la sentenza ha effetto anche nei confronti dell'avente causa.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 13377 del 27 luglio 2012)
parte (la USL) che doveva, invece, parteciparvi mediante l'apposita gestione.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 12126 del 19 agosto 2003)
decorrere i termini brevi di impugnazione di cui agli artt. 325 e 326 c.p.c., poiché a
norma dell'art. 111 comma 1 e 3 permane la legittimazione del dante causa quale
sostituto processuale del successore fin quando egli, intervenuto in causa quest'ultimo,
non ne sia estromesso con il consenso delle altre parti. I limiti temporali dipendenti da
tale notificazione spiegano effetto anche nei confronti del successore che non è terzo in
senso sostanziale ed assume la stessa posizione del dante causa in relazione alle
impugnazioni che è legittimato a proporre autonomamente ai sensi dell'art. 111 comma
4.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 245 del 13 gennaio 1997)
dall'art. 344 c.p.c. (intervento del terzo) e non ostando alla ammissibilità della sua
chiamata in causa — che non soggiace neppure ai termini ed alle forme prescritti
dall'art. 269 dello stesso codice — la mancata trascrizione della domanda giudiziale.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 2108 del 27 febbraio 1991)