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LITISCONSORZIO NECESSARIO

Si tratta di un istituto la cui complessità risiede fondamentalmente nella delimitazione


dell’ambito di applicazione.
- Disciplina processuale

- Art. 102 c.p.c.


“Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o
essere convenute nello stesso processo.
Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina
l’integrazione del contradittorio in un termine perentorio da lui stabilito.”
L’art. 102 viene considerato una norma in bianco perché omette di precisare quando la
decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti e dunque in quali ipotesi possa
configurarsi il litisconsorzio necessario (ci dice cos’è il litisconsorzio, non quando si ha).
La risposta deve ricercarsi in altre norme, da cui problema della delimitazione ambito di
applicazione dell’istituto - vi sono alcune ipotesi in cui la necessità del litisconsorzio
necessario è previsto espressamente dalla legge.
Art 784 c.p.c.: Le domande di divisione ereditaria o di scioglimento di qualsiasi altra
comunione debbono proporsi nei confronti di tutti gli eredi o condomini e dei creditori
opponenti se vi sono.
Art 247 c.c. “Azione di disconoscimento di paternità”: madre, padre e figlio devono
necessariamente partecipare al giudizio.
Art 2900 c.c. “Azione surrogatoria”: il creditore, qualora agisca giudizialmente, deve citare
anche il debitore al quale intende surrogarsi (il debitore deve partecipare al giudizio)
Il problema è stabilire se e in quale misura è configurabile l’ipotesi di litisconsorzio
necessario in assenza di previsione normativa espressa.

Art. 102 c.2: “se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice
ordina l’integrazione del contradittorio in un termine perentorio da lui stabilito.”
Art 307 c.3 - comprendiamo ancora meglio meccanismo di sanatoria dell’eventuale
instaurazione del processo solo nei riguardi di taluni dei soggetti legittimati.
È rubricato “estinzione per inattività delle parte”: la sanzione per la mancata ottemperanza
all’ordine del giudice di integrazione del contraddittorio entro il termine perentorio
prescritto è l'estinzione del processo.
Lo scopo del processo è arrivare a decisione di merito, quindi se il processo viene promosso
solo nei confronti di alcune parti, mentre doveva essere promosso nei confronti di tutte, non
c’è chiusura in rito del processo ma si attiva un meccanismo per integrare il contraddittorio,
meccanismo di sanatoria anche retroattiva nel caso di specie. Dalle norme segnalate
desumiamo che l’ottemperanza tempestiva all’ordine del giudice fa sì che il processo non
solo può andare avanti perché si sana il vizio, ma il processo verrà considerato
correttamente instaurato ab origine nei confronti di tutti i soggetti.
Quindi, la proposizione della domanda nei confronti di alcuni soltanto dei litisconsorti
necessari è idonea a produrre tutti gli effetti sostanziali e processuali, se si ottempera alla
sanatoria, ab origine nei confronti di tutti, anche nei confronti dei soggetti che non erano
stati tempestivamente e regolarmente citati.
Il vizio della mancata integrità del contraddittorio è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado
del processo, quindi si ritiene sia vizio gravissimo.
Se il giudice non se ne accorge tempestivamente, durante tutto lo svolgimento del processo
di primo grado o in sede di impugnazione, anche d’ufficio può essere rilevato questo vizio.
Se il giudice se ne accorge nel giudizio di appello, ci troviamo di fronte a una delle ipotesi
eccezionali di regressione del giudizio di appello al giudizio di primo grado (la regola è che
il giudice sana invalidità nel giudizio d’appello e decide).
Se non dovesse accorgersene né in primo grado né in appello e dovesse emettere una
sentenza, il codice non lo dice espressamente ma è pacifico almeno in linea di principio che
sia un vizio così grave tale da ritenere che la sentenza sia inutiliter data, cioè non produce
effetti né nei confronti delle parti che hanno effettivamente partecipato al giudizio né nei
confronti del terzo che avrebbe dovuto partecipare al giudizio e non ha partecipato.
Conseguenza fondamentale che possiamo trarre dalle norme processuali che disciplinano il
litisconsorzio necessario è che questo viene trattato come vizio gravissimo (= o si fa nei
confronti di tutti o non si può fare).
A fronte di un regime processuale di questo tipo diventa importantissimo delimitare
l’ambito di applicazione del litisconsorzio necessario, ossia le ipotesi in cui ricorre e si deve
applicare questa disciplina processuale.
Dottrina e giurisprudenza hanno individuato 3 categorie di ipotesi:
1- Legittimazione straordinaria;
2- Rapporti giuridici plurisoggettivi;
3- Litisconsorzio “propter opportunitatem” (cioè legato ad una valutazione di
opportunità da parte del legislatore e non nel giudice).
1) In caso di legittimazione straordinaria ci si chiede se il processo possa svolgersi solo tra
legittimato straordinario e terzo o deve necessariamente partecipare anche il legittimato
ordinario.
{ESEMPIO} Art. 1012 c.2 c.c: “L’usufruttuario può far riconoscere l’esistenza delle servitù
a favore del fondo o l’inesistenza di quelle che si pretende di esercitare sul fondo medesimo;
egli deve in questi casi chiamare in giudizio il proprietario.”
(Usufruttuario=legittimato straordinario / Proprietario=legittimato ordinario / Terzo).
In questo caso il problema è risolto direttamente dal legislatore che ci dice che
l’usufruttuario deve chiamare in giudizio il proprietario: in questo caso il proprietario è
litisconsorte necessario.
Problema: in tutte le ipotesi di legittimazione straordinaria si ha litisconsorzio necessario?
La dottrina largamente prevalente ritiene che queste norme siano espressione di un principio
di carattere generale.
Quindi, di regola, quando si ha legittimazione straordinaria si ha litisconsorzio necessario.
(ricordare quando si parlerà di effetti del giudicato)
3) Si parla di litisconsorzio propter opportunitatem per indicare le ipotesi in cui il
legislatore, per motivi di opportunità, tratta come ipotesi di litisconsorzio necessario delle
ipotesi che non lo sarebbero.
{ESEMPIO} Art 23 l. n.990/1969 (sui sinistri automobilistici): “Nel giudizio promosso dal
danneggiato in sinistro automobilistico contro la società assicuratrice, deve essere chiamato
nel processo anche il responsabile del danno.”
Questa sarebbe un’ipotesi di connessione per pregiudizialità-dipendenza (la garanzia
dipende dal rapporto principale, intanto l’assicuratore è tenuto a tenere indenne il
danneggiante dalle conseguenze negative del danno, in quanto il danneggiante risulti
soccombente nei confronti del danneggiato).
Il legislatore la tratta come ipotesi di litisconsorzio necessario perché l’assicurazione per
responsabilità civile è obbligatoria e si ha interesse a che si faccia il giudizio anche nei
confronti dell’assicuratore, vuole che il giudizio si svolga contemporaneamente nei
confronti di assicurazione/danneggiante/danneggiato e che il giudicato si estenda nei
confronti di tutti.
In assenza di una previsione come art 23 il simultaneus processus si potrebbe realizzare solo
alle condizioni che abbiamo visto.
Per buona parte della dottrina questa sarebbe l’unica ipotesi sicura in cui non si applica la
regola in forza della quale se non partecipano al giudizio tutti i soggetti la sentenza è
inutiliter data.
Il litisconsorzio necessario non deriva dal diritto sostanziale, ma da una valutazione del
legislatore: quindi è ben possibile ritenere che se il giudizio si è svolto solo tra il soggetto
danneggiato e l’assicurazione, la sentenza mantenga effetti tra queste parti e non vincoli il
terzo anche se il terzo non ha partecipato al giudizio, perché a dover pagare il danno è
l’assicurazione.
A garanzia del danneggiante però quella sentenza non potrà vincolarlo, soprattutto
nell’eventuale giudizio di rivalsa che l’assicurazione propone nei confronti del danneggiato.
Quindi soluzione più confacente al singolo caso di specie: la sentenza rimane in piedi ma
non produce effetti verso terzo, altrimenti violato principio del contraddittorio.
2) Da sempre quella dei rapporti giuridici plurisoggettivi è l’ipotesi più discussa.
Innanzitutto, vengono sostenute due ipotesi diametralmente opposte:
- si ha litisconsorzio nei soli casi previsti dalla legge: questa ipotesi è stata fortemente
contrastata da altra dottrina e soprattutto dalla giurisprudenza prevalente, che da tempo
individua pacificamente delle ipotesi di litisconsorzio necessario non espressamente previste
dalla legge;
- si ha litisconsorzio necessario in tutte le ipotesi di rapporto giuridico plurisoggettivo:
questa soluzione è smentita dal dettato normativo, in particolar modo dall’art. 1306 c.c.
(nell’ambito delle obbligazioni solidali, che sono un’ipotesi di rapporti giuridici
plurisoggettivi), che assume rilevanza sistematica: “La sentenza pronunziata tra il creditore
e uno dei debitori in solido, o tra il debitore e uno dei creditori in solido, non ha effetto
contro gli altri debitori o contro gli altri creditori”.
Principi fondamentali ricavabili da questo primo comma:
1. Il processo può svolgersi anche se non partecipano al giudizio tutti gli obbligati in solido,
e quindi solo tra taluni dei contitolari del rapporto giuridico plurisoggettivo.
Ne consegue che non è possibile ritenere che ogni qualvolta si ha un rapporto
plurisoggettivo ci sia un litisconsorzio necessario.
c.2: “Gli altri debitori possono opporla al creditore, salvo che sia fondata sopra ragioni
personali al condebitore; gli altri creditori possono farla valere contro il debitore, salve le
eccezioni personali che questi può opporre a ciascuno di essi.”
2. Al terzo possono estendersi effetti favorevoli, ma mai gli effetti sfavorevoli.
Non c’è una lesione del diritto di difesa o del principio del contraddittorio, tale soluzione è
conforme al dettato costituzionale perché vengono fatti salvi solo gli effetti favorevoli, ed il
terzo può decidere se avvalersene o meno.
Si tratta di un’alternativa al litisconsorzio necessario.
A questo punto quand’è che si ha litisconsorzio necessario?
L’opinione più diffusa, che affonda le radici nelle teorie elaborate dalla dottrina (Chiovenda
e Redenti), fa leva sul criterio dell’oggettiva utilità della sentenza: si ha litisconsorzio
necessario quando la sentenza dà un risultato oggettivamente utile solo se partecipano al
processo tutti i contitolari del rapporto giuridico plurisoggettivo (quando l’avente diritto non
ottiene risultato utile se non partecipano tutti i contitolari).
Perciò viene coniata anche la categoria della sentenza inutiliter data, pronunciata solo nei
confronti di alcuni litisconsorti necessari: non serve a nulla, è inutile, perché per produrre un
risultato utile avrebbero dovuto necessariamente partecipare tutti i contitolari del diritto.
Sorge così il problema di stabilire quand’è che la sentenza sia oggettivamente utile.
Per cercare di concretizzare il criterio dell’oggettiva utilità della sentenza, la dottrina ha
seguito due strade:
- PRIMA STRADA: si è lavorato sulle diverse tipologie di sentenza (mero accertamento /
condanna / costitutive);
- SECONDA STRADA: si è cercato di valorizzare al massimo la previsione di cui all’art.
1306 c.c.
PRIMA STRADA:
- Azioni costitutive
Si è affermato che ogniqualvolta c’è un’azione costitutiva, c’è litisconsorzio necessario,
perché quando si produce un effetto costitutivo, modificativo o estintivo di una situazione
giuridica plurisoggettiva è difficile immaginare che possa prodursi solo nei confronti di
alcuni e non di altri.
{ESEMPIO: art. 2932 c.c. - esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto tra
più soggetti.
La sentenza è utile solo nel caso in cui vincoli tutte le parti.}
- Azioni di condanna
In linea di principio, si ritiene che non si ha litisconsorzio necessario, ma anche in questo
ambito ricorrono ipotesi in cui la sentenza dà un risultato utile solo se partecipano al
processo tutti i contitolari del rapporto, ad esempio nei casi in cui l’esecuzione del
provvedimento dovrebbe inevitabilmente operare in pregiudizio di un diritto reale
inscindibilmente comune a più soggetti.
{ESEMPIO: condanna a demolizione di un manufatto edificato su un suolo in comunione.}
- Azioni di mero accertamento
È l’ipotesi più discussa. In linea di massima non vi è motivo per escludere la possibilità che
la domanda, anche quando riguardi un rapporto giuridico plurisoggettivo, si rivolga
esclusivamente nei confronti dell’autore di un’indebita contestazione - quindi in linea di
massima non si avrebbe litisconsorzio necessario, perché la sentenza di mero accertamento
può comunque conseguire risultato utile se si rivolge solo nei confronti dell’autore della
contestazione.

SECONDA STRADA:
L’art. 1306 c.c. assumerebbe una rilevanza sistematica in quanto norma fondamentale per
stabilire quando c’è o non c’è litisconsorzio necessario, delineandone l’ambito di
applicazione.
Proto Pisani sostiene che si ha litisconsorzio ogni qualvolta non può operare il meccanismo
individuato dall’art.1306.
La regola necessaria sarebbe l’art. 1306 e l’eccezione sarebbe il litisconsorzio necessario;
quando è consentito svolgere il giudizio solo nei confronti di alcuni soggetti, gli effetti
favorevoli si estendono a tutti.
Successivamente, individua serie di ipotesi in cui si avrebbe litisconsorzio necessario
(buona parte coincidono con i risultati della prima strada):
- azioni reali dirette ad ottenere la costituzione di un diritto reale di godimento contro più
soggetti;
- azioni contrattuali da contratto bilaterale a parte collettiva, ove dedotto in giudizio un
rapporto contrattuale plurisoggettivo a prestazioni corrispettive, sia richiesta l’emanazione
di un provvedimento che esplichi efficacia reale contro più soggetti (non un’efficacia
meramente obbligatoria);
- azioni dirette ad ottenere la costituzione, modificazione o estinzione di status familiari
(vale per entrambe le strade).
La giurisprudenza tende ad individuare caso per caso le ipotesi in cui ricorre o meno il
litisconsorzio necessario e tende ad estendere ambito di applicazione del 102 anche al di là
delle sole azioni costitutive.
INTERVENTO VOLONTARIO E INTERVENTO COATTO
- Intervento volontario
– Art. 105 c.p.c.:
“Ciascuno può intervenire in un processo tra altre persone per far valere, in confronto di
tutte le parti o di alcune di esse, un diritto relativo all'oggetto o dipendente dal titolo dedotto
nel processo medesimo”.
Può altresì intervenire per sostenere le ragioni di alcuna delle parti, quando vi ha un proprio
interesse.”
Questo articolo ha a monte la grossa problematica di carattere sostanziale di delimitare i
confini dell’interesse che legittima il terzo ad intervenire nel processo tra altre parti: questo
terzo intanto può intervenire in quanto la situazione giuridica di cui è portatore sia connessa
con quella delle parti.

Questo articolo trova il suo referente storico nell’art. 201 c.p.c. del 1865.
Il problema sotteso all’intervento volontario è l’individuazione dell’interesse di cui è
portatore il terzo che lo legittima ad intervenire. Questo interesse si individua guardando
alla connessione esistente tra la situazione giuridica di cui è titolare il terzo e quelle le
situazioni oggetto del processo.
A questo problema l’antecedente del 105, cioè l’art 201 c.p.c 1865 dava una risposta
estremamente generica: si limitava a dire che chiunque abbia interesse in causa vertente tra
altre persone può intervenirvi, richiamando genericamente questo interesse.
Sotto il codice del ’65 la dottrina si era affannata a cercare di individuare il significato
dell’espressione “interesse”. Individua varie categorie di intervento:
- in base alla nozione di legittimazione ordinaria o meno del terzo;
- in forza della situazione sostanziale legittimante il terzo a intervenire;
- in base al manifestarsi o meno della natura degli effetti che la sentenza emanata tra le parti
originarie poteva produrre nei confronti del terzo.
Tuttavia, nessuna di queste classificazioni è stata recepita dal codice del ’42 che però ci dà
indicazioni maggiori rispetto al cpc 1865.
Sulla base dell’art. 105 la dottrina individua varie tipologie di intervento volontario:
Due ipotesi alla luce del primo comma: intervento principale e intervento adesivo-autonomo
(rispetto al quale taluno distingue anche l’intervento litisconsortile); una ipotesi alla luce del
secondo comma: l’intervento adesivo-dipendente.
Primo comma: si propone una autonoma domanda giudiziale (si fa cioè valere un diritto in
giudizio), la domanda è connessa con quella originaria per identità dell’oggetto o del titolo o
di entrambi (connessione oggettiva). La domanda può essere proposta nei confronti di
entrambe le parti del processo originario o di una sola di esse.
Seconda comma: non propone un’autonoma domanda giudiziale ma si limita a sostenere le
ragioni delle parti. L’ipotesi di connessione che viene in rilievo è qui di connessione per
pregiudizialità-dipendenza: il terzo sostiene le ragioni di una delle parti perché la sua
posizione dipende da quella di una di quelle parti (quindi gli conviene se vince la parte da
cui il suo diritto dipende).
Non fa valere un autonomo diritto.
- Intervento principale (ad opponendum o ad excludendum) – art. 105 c.1
Il terzo propone una vera e propria domanda giudiziale contro tutte le parti originarie,
facendo valere un diritto autonomo e incompatibile.
Siamo nell’ambito della connessione oggettiva propria.
Questo interesse è autonomo perché prescinde sul piano sostanziale dall’esistenza del diritto
vantato da ciascuna delle parti ed è incompatibile perché sempre sul piano del diritto
sostanziale non può coesistere con esso, riguardando lo stesso bene della vita.
{ESEMPIO} Causa pendente tra due soggetti in ordine a chi sia il proprietario di un
determinato bene immobile, interviene il terzo che propone domande verso entrambe le parti
affermando di essere il proprietario perché ha usucapito il bene.
La funzione dell’istituto va ricavata dalla risposta da dare a ulteriore domanda:
Se il terzo non interviene nel processo subisce l’efficacia del giudicato?
Il terzo non subisce l’efficacia del giudicato, in quanto titolare di diritto autonomo e
incompatibile, non può subirla (ex art. 24 e 111 Cost.)
In realtà il terzo subisce un pregiudizio, ma in via di fatto, perché la sentenza determinerà
incertezza nell’ordinamento.
Perciò l’ordinamento prevede un intervento volontario preventivo (e perciò ex post si può
utilizzare come rimedio l’opposizione di terzo, che vedremo in seguito).
L’intervento principale è un rimedio facoltativo per il terzo, che interviene solo per ragioni
di economia processuale o per evitare che l’accoglimento della domanda tra le parti possa
rendergli di fatto più difficoltosa la successiva realizzazione del suo diritto.
L’ordinamento gli assicura due rimedi per tutelare questo suo diritto:
- un rimedio preventivo per evitare proprio che la sentenza venga in essere: l’intervento
volontario;
- un mezzo di impugnazione eccezionale: l’opposizione di terzo, per rimuovere ex post dal
mondo giuridico quella sentenza.
L’intervento volontario è un rimedio che comporta un allargamento dell’oggetto della
domanda (nell’esempio fatto in precedenza, il giudice dovrà anche conoscere la domanda di
usucapione del terzo).
Il terzo sarà titolare di tutti i poteri delle parti perché titolare di diritto autonomo e
incompatibile.
- Intervento adesivo-autonomo (ed intervento litisconsortile) – art. 105 c.1
Siamo sempre nell’ambito dell’art. 105 c.1 e quindi delle ipotesi di connessione oggettiva
propria.
- In caso di connessione per identità del titolo (causa petendi o fatto costitutivo) si parla di
intervento adesivo-autonomo in senso proprio;
- Quando la domanda è connessa a quella originaria sia per identità dell’oggetto che del
titolo si parla di intervento litisconcortile.
{ESEMPIO intervento adesivo-autonomo in senso proprio} Il terzo interviene per far valere
il suo diritto (autonomo) al risarcimento dei danni basato sullo stesso fatto illecito su cui si
basa domanda originaria proposta da altro danneggiato (quindi si tratta di due domande in
parallelo poste nei confronti dello stesso danneggiante).
Non vi è alcun rapporto di pregiudizialità dipendenza: le due domande sono connesse per il
titolo, ed il terzo può intervenire perché il suo diritto origina dallo stesso fatto costitutivo.
Il terzo non subisce l’efficacia del giudicato.
Può avere interesse ad intervenire per motivi di economia processuale, ma potrà sempre
instaurare successivamente un autonomo giudizio per ottenere il risarcimento del danno.
Anche in questo caso l’intervento è un rimedio meramente facoltativo per esigenze di
economia processuale e per prevenire il formarsi di precedenti giurisprudenziali contrari,
perché la stessa questione giuridica potrebbe essere decisa differentemente o in modo
pregiudizievole.
Ancora una volta questo intervento determina l’allargamento oggettivo del processo ed il
terzo sarà depositario di tutti i poteri processuali delle parti.
{ESEMPIO intervento litisconsortile} Rapporti giuridici plurisoggettivi - il socio assente o
dissenziente che interviene in giudizio relativo ad azione di nullità delibera assembleare
iniziata da altro socio.

Si tratta di ipotesi di rapporti giuridici plurisoggettivi che non rientrano nelle ipotesi di
litisconsorzio necessario, ma nessuno può impedire a questi soggetti di intervenire. Se i
contitolari del rapporto giuridico plurisoggettivo sono litisconsorti necessari devono
necessariamente partecipare, altrimenti possono partecipare con l’intervento volontario
(intervento litisconsortile).
Il terzo subisce efficacia del giudicato se non interviene? Stavolta c’è una peculiarità: al
terzo, in determinate ipotesi, potranno essere estesi gli effetti favorevoli ex art. 1306 c.c., ma
mai gli effetti sfavorevoli.
Anche in questo caso si tratta di un rimedio meramente facoltativo, non necessario.
Il terzo può intervenire per evitare che venga emessa che possa pregiudicarlo in qualche
modo in via di fatto.
Non determina un vero e proprio allargamento dell’oggetto del processo perché oggetto del
giudizio è il rapporto giuridico plurisoggettivo – c’è un allargamento solo dal punto di vista
soggettivo.

Se il terzo interviene potrà subire gli effetti favorevoli o sfavorevoli e gli spetteranno tutti i
poteri processuali delle parti in quanto portatore di un’autonoma situazione giuridica
soggettiva, anche se in contitolarità rispetto agli altri.
- Intervento adesivo-dipendente
È discussa la stessa funzione di questo istituto perché in questa ipotesi non è pacifico se il
terzo subisca o no l’efficacia del giudicato.
Se si ritiene che li subisce allora sarebbe rimedio necessario (unico caso in cui lo sarebbe),
sennò sarebbe come gli altri un rimedio facoltativo.
Ciò è discusso perché si tratta dell’ipotesi in cui il rapporto di connessione è più stringente a
livello di diritto sostanziale.
Per comprendere a pieno questo argomento, è necessario anticipare qualche nozione sull’
efficacia del giudicato, che può essere:
- diretta (quando riguarda un diritto o uno status oggetto immediato della decisione);
- riflessa (può investire quantomeno in astratto tutti i diversi rapporti giuridici lato sensu
dipendenti dal primo).

Nelle ipotesi di connessione per pregiudizialità-dipendenza, il titolare del diritto dipendente


può subire l’efficacia riflessa del giudicato anche qualora non partecipi al processo?
Domanda legittima perché in questo caso la posizione del terzo sul piano del diritto
sostanziale già nasce come dipendente da un altro diritto.
Da sempre si contendono il campo una pluralità di tesi:
- Tesi di Liebman - parla di efficacia naturale della sentenza / efficacia riflessa debole: il
terzo subisce l’efficacia riflessa del giudicato ma debole, potrebbe sempre rimettere in
discussione i risultati del primo processo in un successivo processo a cognizione piena.
Allora non sono gli effetti propri di un giudicato, che preclude che i risultati possano essere
fatti oggetto di futuro giudizio. Per questo motivo la tesi è stata superata.
- Altre posizioni dottrinali si muovono tutte nell’ambito dell’efficacia riflessa forte (quindi
di vera e propria efficacia del giudicato).
Tale efficacia può essere messa in discussione solo nei circoscritti confini dei mezzi di
impugnazione straordinari (come l’opposizione di terzo revocatoria).
Per parte della dottrina il terzo subisce efficacia riflessa forte nei soli casi previsti dalla
legge, per altri la subisce sempre (efficacia riflessa generalizzata).
- La tesi prevalente adotta una soluzione intermedia: l’efficacia riflessa forte si realizzerebbe
solo nei casi di dipendenza permanente, e fa discendere la soluzione processuale dalla
tipologia di rapporto che viene in rilievo sul piano del diritto sostanziale.
Quindi per questa tesi ci sono ipotesi di connessione per pregiudizialità dipendenza piò o
meno forti: più forti sono quelle dove civilisticamente un rapporto subisce tutte le sorti di un
altro rapporto durante tutta la sua vita (dipendenza permamente) {Es.
subcontratti/sublocazione}; altre ipotesi non sono di dipendenza permanente {Es.
fideiussione} perché un rapporto esplica efficacia su un altro rapporto solo in fase genetica,
non durante tutta la sua vita.
Così come sul piano sostanziale un rapporto subisce le sorti di un altro, le deve subire anche
sul piano processuale.
Dietro la ricostruzione dell’intervento adesivo-dipendente vi è anzitutto la ricostruzione dei
confini dei limiti soggettivi del giudicato: è pacifico che l’interesse dell’art. 105 si riferisce
all’interesse che legittima il terzo a spiegare l’intervento, è pacifico che la situazione
legittimante all’intervento è data dalla titolarità da parte del terzo di un rapporto
giuridicamente dipendente, però non è pacifico se l’intervento sia limitato alle sole ipotesi in
cui il terzo subisca l’efficacia riflessa del giudicato o invece a tutte le ipotesi di connessione
per pregiudizialità-dipendenza (come ritiene buona parte di dottrina e giurisprudenza).
La conseguenza che ne discende a livello di ricostruzione limiti soggettivi del giudicato è
che cambia fortemente la funzione dell’istituto: se il terzo subisce efficacia diretta del
giudicato, questa è l’unica ipotesi di intervento dove l’intervento è un rimedio necessario,
perché la parte o interviene in giudizio o rimane pregiudicata perché subisce gli effetti del
giudicato; se si ritiene (come altra parte della dottrina) che rientrano tra i soggetti legittimati
a proporre intervento adesivo-dipendente anche terzi che non subiscono efficacia diretta del
giudicato: anche in questo caso l’intervento è meramente facoltativo.
Per questo motivo è anche l’ipotesi più discussa sotto il profilo dei poteri dell’interveniente:
in questo caso si ritiene che il terzo proprio perché non propone un’autonoma domanda ma
si limita a sostenere la posizione delle parti non è depositario di tutti i poteri delle parti.
In particolare si tende a ritenere che non sia legittimato ad impugnare autonomamente la
sentenza. (come sicuramente può farsi nelle altre ipotesi di intervento).
Ma la risposta a questo quesito è tutt’altro che pacifica perché in realtà la categoria dei
soggetti legittimati a proporre intervento adesivo dipendente è molto eterogenea, perciò la
dottrina attacca fortemente la giurisprudenza quando esclude de plano che l’intervento
adesivo dipendente possa sempre e comunque portare a ritenere che il terzo non è
legittimato a impugnare la sentenza, perché:
- talvolta l’interventore adesivo dipendente è terzo legittimato in via straordinaria, per cui
sarebbe assurdo che come legittimato in via straordinario può instaurare un processo in
nome e per conto di altro soggetto e poi non può impugnare la sentenza;
- talvolta il terzo sarebbe cmq soggetto all’efficacia riflessa della sentenza.

- Intervento coatto
L’intervento coatto è disciplinato dall’art. 106 (intervento su istanza di parte) e dall’art. 107
(intervento per ordine del giudice).
Si differenzia dall’intervento volontario perché vi è una chiamata a partecipare al processo o
su istanza di parte o per ordine del giudice.
- Art. 106 c.p.c.
“Ciascuna parte può chiamare nel processo un terzo al quale ritiene comune la causa o dal
quale pretende essere garantita.”
Si richiama espressamente fenomeno della garanzia e si fa riferimento generico alla
comunanza della causa.
- Art. 107 c.p.c.
“Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al
quale la causa è comune, ne ordina l’intervento.”
In questo caso c’è valutazione di opportunità del giudice sulla base della comunanza della
causa.
Il collegamento sia tra il 106 che il 107, ma anche di entrambe le norme con il 105, è quello
della comunanza della causa, dietro la quale c’è fenomeno della connessione che può
legittimare terzo a intervenire volontariamente, ma può anche legittimare una delle parti o il
giudice a chiamare un terzo in causa.
È dibattuto se vi rientrino tutte le ipotesi di connessione o solo alcune, se il concetto di
comunanza di cause sia da intendere negli stessi termini sia nel 106 che nel 107.
Con riferimento all’art.106 prevale in dottrina la soluzione più estensiva secondo la quale ci
sarebbe un’identità di ambito di applicazione tra il 105 e il 106: le ipotesi di connessione in
cui un soggetto può intervenire volontariamente sono le stesse in cui le parti possono
chiedere intervento del terzo.
Quindi vi rientrerebbero le ipotesi di connessione per elementi oggettivi del petitum, per la
causa petendi, per entrambi o per pregiudizialità-dipendenza.
Per effetto della chiamata in causa del terzo si ha un automatico allargamento dell’ambito
del processo e del giudicato oppure ciò è subordinato a una domanda in delle parti originarie
o del terzo?
Per lo più si ritiene che nel caso di mero accertamento si ha un accertamento nei confronti di
tutti, anche del terzo chiamato, indipendentemente dalla proposizione di una domanda delle
parti o del terzo, invece in caso di sentenza di condanna questa può pronunciarsi nei
confronti del terzo in quanto sia proposta autonoma domanda nei suoi confronti, non basta
la chiamata in causa.
La delimitazione dell’ambito di applicazione dell’art. 107 è più discussa perché c’è il rischio
che per effetto dell’ordine del giudice si possa avere una compressione del principio della
domanda.
Una parte della dottrina ritiene che si giustifichi nelle ipotesi in cui venga in rilievo un
rischio di conflitto tra giudicati, non solo di economia dei giudizi, nel qual caso questa
limitazione sarebbe eccessiva.
Per parte della dottrina (come Balena) l’art. 107 ha lo stesso ambito di applicazione del 106;
per altra dottrina (come Proto Pisani) il 107 ha ambito di applicazione più circoscritto del
106, in particolare non vi rientrerebbe la mera connessione per identità del titolo / del fatto
costitutivo (ipotesi dove vengono in rilievo solo esigenze di economia processuale).
A livello processuale nel 107 si discorre di “chiamata in causa per ordine del giudice” ma il
giudice non chiama mai nessuno materialmente in causa, lui ordina alle parti di chiamare in
causa un terzo e poi sono le parti a dover materialmente chiamare in giudizio il terzo tramite
la citazione in giudizio del terzo.
Se le parti non ottemperano all’ordine del giudice, la sanzione è l’estinzione del processo.
Si potrebbe riscontrare una similitudine con il litisconsorzio necessario, ma in quel caso le
parti devono necessariamente partecipare al giudizio (e tale obbligo deriva da una
previsione legislativa), qui invece la chiamata in causa del terzo è subordinata a preventiva
valutazione di opportunità da parte del giudice, in base ad esigenze lato sensu istruttorie –
quindi per assicurare un miglior accertamento dei fatti di causa, una più adeguata
conoscenza del rapporto originariamente dedotto in giudizio.
Per parte di giurisprudenza e dottrina la funzione sarebbe di evitare che la complessità delle
situazioni sostanziali determini un cattivo funzionamento del processo in danno del cittadino
che chiede giustizia, nonché assicurare il corretto funzionamento del principio del
contraddittorio ove si renda necessario un aumento delle parti del processo.
La giurisprudenza tende a ritenere che questo sia potere discrezionale del giudice
insindacabile in sede di impugnazione, da cui importanza di andare ad individuare il metro
di giudizio.

LITISCONSORZIO QUASI NECESSARIO O UNITARIO


Anche questo è un istituto assai dibattuto in dottrina.
Norma di riferimento per l’individuazione della categoria è l’art. 2378 c.c. in tema di
impugnazione delle delibere di società di capitali: “tutte le impugnazioni relative alla
medesima deliberazione, anche se separatamente proposte, devono essere istruite
congiuntamente e decise con un’unica sentenza”.
Problema: la stessa deliberazione può essere contemporaneamente impugnata da pluralità di
soci e quindi possono essere contemporaneamente attivati una pluralità di giudizi.
Questa ipotesi è qualificata così perché il legislatore non pone quale condizione che il
giudizio si svolga necessariamente nei confronti di una pluralità di soggetti, ma impone che
se contemporaneamente vengono prese più iniziative questi giudizi devono essere tutti
riuniti e si realizzi il simultaneus processus.
Non si impone che partecipino tutti i soci, però se più soci prendono contemporaneamente la
stessa iniziativa, non si possono svolgere contemporaneamente più giudizi aventi ad oggetto
l’impugnazione della stessa delibera, devono essere riuniti.
L’esigenza che sottostà al 2378 è di evitare giudicati contrastanti. Il legislatore tollera la
contraddittorietà a livello diacronico, cioè accetta a tale livello il rischio che possano aversi
giudicati contraddittori (per evitarla dovrebbe applicare la regola litisconsorzio necessario)
permettendo l’instaurazione giudizio non nei confronti di tutti; ma non anche la
contraddittorietà a livello sincronico (quando i contitolari deducono in giudizio
separatamente ma contestualmente il rapporto giuridico plurisoggettivo).
Parte della dottrina ritiene che questa norma sarebbe espressione di una regola di carattere
generale, andando a il prototipo di una disciplina applicabile a tutte le ipotesi analoghe di
rapporti giuridici plurisoggettivi che fuoriescono dalle ipotesi di litisconsorzio necessario.
Se si condivide questa impostazione dottrinale è assicurata maggiormente la realizzazione
simultaneus processus in queste ipotesi rispetto alla disciplina generale della connessione
(altrimenti sarebbero ipotesi di connessioni per oggetto e per il titolo).
Se non si condivide questa ipotesi, allora si applicano le regole di carattere generale.

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