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Note
(1) La dottrina ritiene che la norma trovi applicazione solo nei casi di garanzia propria, ovvero
quando causa principale e causa di garanzia hanno in comune lo stesso titolo, anche se la
giurisprudenza ha esteso l'ambito di applicazione alle ipotesi di garanzia impropria, in cui la
connessione fra le cause è di mero fatto (art.32). L'estromissione deve essere chiesta dal
garantito ed accettata dall'attore. Una volta estromesso il garantito, il processo è proseguito da
chi è tenuto a garantirlo, in qualità però di sostituto processuale (art.81). L'estromesso, infatti,
rimanendo titolare del diritto sostanziale di cui si controverte, può di nuovo intervenire nel
processo nonché impugnare la sentenza che spiegherà effetti anche nei suoi confronti.
(2) L'estromissione viene dichiarata dal giudice con ordinanza irrevocabile, anche se non
mancano alcune voci in dottrina secondo le quali tale ordinanza sarebbe impugnabile innanzi al
collegio (art.178), mentre per altri sarebbe solo modificabile o revocabile dallo stesso giudice
che l'ha emessa (art.177).
(3) La norma si riferisce alla sentenza di merito, ma non è escluso che anche gli effetti di una
sentenza processuale possano essere estesi anche al garantito.
Ratio Legis
La norma disciplina l'istituto dell'estromissione che consiste nell'uscita di una parte dal
processo per ordine del giudice. Tale istituto trova applicazione nei casi
espressamente stabiliti e si giustifica ogni qualvolta il giudice riscontri il difetto dei
presupposti di legittimazione, originario o sopravvenuto, per stare in giudizio nelle
parti costituite.
Brocardi
“ Nominatio auctoris
”
Indicazione del nome del titolare
Spiegazione
Due sono i presupposti che la dottrina ha elaborato per l’operatività di tale istituto,
ovvero:
a. la carenza di legittimazione attiva o passiva della parte in riferimento alla quale
viene pronunciato il provvedimento di estromissione;
b. la pendenza di un processo litisconsortile.
Parte della dottrina ritiene che l'estromissione debba configurarsi come un istituto di
portata generale, e che le fattispecie di cui agli artt. 108, 109 e 111 c.p.c. si pongano
come mere figure esemplificative, e non già esaustive.
Più in particolare, si afferma che le ipotesi previste dalle suddette norme siano ascrivibili
alla categoria della c.d. “estromissione propria” (si caratterizzano tutte per la
sopravvenuta carenza di legittimazione ad agire della parte) e che come tali debbano
contrapporsi alla fattispecie della c.d. “estromissione impropria”, la quale sarebbe
determinata da una originaria carenza della legittimazione ad agire in capo al
soggetto (il provvedimento con il quale è possibile disporre l'estromissione impropria
dovrebbe assumere la forma della sentenza di rito).
In contrario si fa osservare che non può avvisarsi in questa norma una disposizione di
carattere generale disciplinante l'istituto, anche in considerazione del fatto che, se
l'estromissione viene pronunciata mediante sentenza, la sua portata coincide, di fatto,
con una pronuncia di assoluzione nel merito della parte estromessa, mentre se
l'estromissione viene disposta con ordinanza, essa non provoca una vera e propria
uscita della parte dal processo, essendo la parte medesima destinataria dell'efficacia
del provvedimento conclusivo del giudizio cui ha preso parte, seppur non sino al suo
esito.
Questa norma, inoltre, deve ricollegarsi alla disposizione di cui al precedente art. 106
del c.p.c. (di cui ne viene chiarito il contenuto precettivo), regolando una particolare
forma di estromissione del garantito, la quale si attua qualora il garante, comparendo
nel giudizio di cui è parte il garantito, accetti di assumere la causa in vece di
quest'ultimo, salvo la facoltà per le altre parti di opporvisi.
In tal senso, la dottrina dominante ritiene che questa norma sia applicabile alle sole
fattispecie che sottendano una garanzia propria, la quale ricorre in ipotesi di identità o di
connessione oggettiva dei titoli, mentre è da ritenere inapplicabile con riguardo alla
garanzia impropria, la quale ultima non si fonda sul medesimo rapporto giuridico
sostanziale dedotto in giudizio, ma sorge da un rapporto giuridico collegato solo «di
fatto» a quello oggetto del processo, giuridicamente del tutto autonomo e distinto
rispetto a quello controverso (è questo il caso tipico della vendita a catena).
Sulla base di tale ragionamento, deve escludersi che l’art. 108 possa operare con
riguardo alle garanzie personali, le quali trovano la loro fonte in un rapporto obbligatorio
e sono preordinate alla realizzazione dello stesso interesse che il creditore ha dedotto
in una diversa obbligazione. Da ciò ne consegue la necessità che il garantito resti in
causa ai fini della trattazione del rapporto di garanzia, non potendo il garante sostituirsi
a lui.
Contraria alla suesposta tesi restrittiva è quella della Suprema Corte di legittimità, la
quale consente l'applicazione dell'art. 108 anche a casi rientranti nella figura della
garanzia impropria (un esempio ricorre nel caso del rapporto di assicurazione per
responsabilità civile di cui all'art. 1917 del c.c.).
Per quanto concerne le modalità dell'estromissione, può dirsi che, affinché tale
istituto possa operare devono ricorrere congiuntamente due presupposti, ossia la
costituzione in giudizio del garante e l'accettazione da parte dello stesso di condurre la
causa in vece del garantito.
Tali presupposti si desumono in via interpretativa, sulla scorta della considerazione che
la norma si riferisce alla mera comparizione del garante, e che se lo stesso non
adempie all'onere di costituzione, non potrà indubbiamente assumere il processo in
luogo del soggetto con cui costui è legato da un rapporto di garanzia, né quest’ultimo
può ritenersi legittimato ad uscire dal giudizio.
Oltre alla sua costituzione in giudizio, l'assunzione della causa da parte del garante
comporta anche il riconoscimento implicito, da parte del medesimo, dell'esistenza di un
rapporto di garanzia valido ed efficace con una delle parti del giudizio.
Dalla formulazione della norma, inoltre, si ricava che l'istanza di estromissione non deve
essere accettata dalle altre parti, e che ai fini della pronuncia del provvedimento de quo,
è sufficiente la mera non contestazione.
Secondo un filone interpretativo, essa può essere modificata e revocata da parte dello
stesso giudice che l’ha emessa; altri, invece, assimilandola ai provvedimenti pronunciati
sulla base di un accordo raggiunto tra le parti, ne affermano l'irrevocabilità.
Con riferimento ancora alla sua forma si è affermato che, qualora taluna delle parti si
opponga all’estromissione, con rifiuto che il giudice ritenga immotivato, il provvedimento
di estromissione deve essere contenuto in una sentenza.
Tale forma, infatti, consentirebbe l’impugnazione di quel provvedimento da parte del
soggetto il cui rifiuto all'uscita dal processo di una parte sia stato qualificato come
ingiustificato (la forma dell'ordinanza, invece, pregiudicherebbe il diritto all'impugnazione
della parte dissenziente).
Occupandoci adesso degli effetti della estromissione e della sentenza che conclude il
giudizio, si afferma che il garante, a seguito dell'estromissione del garantito, assume la
veste di sostituto processuale, ed è in quanto tale dotato di una legittimazione
straordinaria, che gli consente di partecipare al processo in nome proprio per tutelare
un diritto altrui; in capo al soggetto sostituito, invece, continua a permanere la veste di
parte in senso sostanziale e, in quanto tale, sarà destinataria degli effetti della
sentenza.
Altra parte della dottrina, invece, ritiene che il garante non parteciperebbe al giudizio per
far valere in nome proprio un diritto altrui, ma adempirebbe al suo obbligo di manlevare
il convenuto in un'azione proposta nei confronti di quest'ultimo.
Per quanto concerne la sorte degli atti processuali compiuti prima del provvedimento
estromissivo, può affermarsi che essi conservano la loro efficacia; tale regola, però,
deve essere coordinata con il principio generale secondo cui il garante, in ogni caso,
non può essere pregiudicato dall'attività processuale posta in essere dal garantito,
ancor più nel caso in cui il suo intervento nel processo si collochi in un momento
successivo alla sua instaurazione.
Va, infine, evidenziato che l'estromesso deve anche ritenersi legittimato a dispiegare
intervento in giudizio, acquisendo in questo modo, nuovamente, la veste di parte in
senso processuale.
Massime
di una condizione dell'azione. Ne consegue che il giudice di appello, che ritenga non
corretta detta pronuncia, deve trattenere la causa e giudicare nel merito, non ricorrendo
ipotesi di rimessione al primo giudice, ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 13766 del 22 luglio 2004)