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Art. 276. c.p.c. (Deliberazione).

La decisione è deliberata in segreto nella camera di consiglio. Ad essa possono partecipare soltanto i
giudici che hanno assistito alla discussione.
Il collegio, sotto la direzione del presidente, decide gradatamente le questioni pregiudiziali
proposte dalle parti o rilevabili d'ufficio e quindi il merito della causa.
La giurisprudenza, tuttavia, è diventata più lassista sulla questione fino ad ammettere il
principio di primato della questione più liquida anche nel rapporto tra merito e rito,
invocando ragioni di economia processuale e il principio della ragionevole durata del
processo.
Questi ragionamenti sui limiti oggettivi del giudicato, a partire dall’applicazione della norma
ex art. 34 c.p.c., e la pregiudizialità dipendenza in senso tecnico e in senso logico hanno
permesso di andare oltre al dictum del giudice ed estendere l’efficacia vincolante del
giudicato anche ai motivi della decisione. La giurisprudenza muove sempre di più verso
una rivisitazione di questa ortodossia della disciplina dei limiti oggettivi del giudicato, da
solo il dictum del giudice, a quanto accertato in via incidentale d’ufficio, a quanto accertato
in via incidentale su domanda di parte, fino ad estendere il vincolo della cosa giudicata fino
a quanto oggetto nella motivazione del giudice.
Ad esempio, nella sentenza 11754/2018, l’efficacia del giudicato sostanziale copre, in ogni
caso, non soltanto la pronuncia finale (dictum del giudice) ma anche l’accertamento che si
pone come premessa necessaria o come presupposto logico giuridico della pronuncia.
Perché il giudicato copra questo presupposto logico non è necessario che sia oggetto di
una domanda incidentale o accertamento incidentale di specie come sembra evincersi
dall’art. 34 c.p.c.
Questa logica espansiva ha effetto anche sulla questione dei limiti temporali entro i quali
presentare le questioni incidentali perché siano coperte dal giudicato e non possano
essere oggetto di pronunce successive, anche con segno diverso, di altri giudici.
La questione ha conseguenze anche per quanto riguarda l’efficacia implicita del
giudicato: un giudicato che si forma in modo implicito, ovvero senza che la sentenza dica
nulla sul suo oggetto. La dottrina è fortemente critica: la cosa giudicata sostanziale
consiste infatti nell’accertamento incontrovertibile sulla sussistenza di un diritto, status,
rapporto giuridico sulla base dell’applicazione di una norma generale ed astratta al caso
concreto; con il giudicato sostanziale abbiamo una regola di condotta vincolante da
applicare la situazione giuridica sostanziale che può solo essere espressa nella sentenza.
Per di più, come si può accettare l’efficacia implicita nel nostro ordinamento che ammette il
primato della questione più liquida? Se la sentenza non dice nulla su una questione è
perché questa non è stata considerata dal giudice in favore di quella di più facile soluzione
che l’ha assorbita e non può esserci alcuna efficacia rispetto alla questione che non è
stata considerata.
Un’efficacia implicita del giudicato potrebbe essere ammessa solo se si negasse
completamente il primato della questione più liquida e il giudice fosse obbligato a seguire
l’iter logico previsto all’art, 276 c.p.c.: solo in quel caso si potrebbe sostenere che il giudice
abbia valutato tutte le questioni di rito e merito nel suo percorso obbligato. Ma la
giurisprudenza ammette la valenza del principio del primato della regione più liquida anche
nel rapporto tra le questioni di rito e nel merito.
Analizziamo l’argomento servendoci delle sentenze gemelle n. 26242 e n. 26243 del 2014
sulla rilevabilità ufficiosa delle eccezioni di nullità del contratto (art. 1921 c.c.): la Sezioni
unite dispongono che in qualsiasi causa di impugnativa o di esecuzione del contratto, il
giudice ha sempre il potere/dovere di rivelare d’ufficio la nullità del contratto ove questa
emerga dagli atti di causa. Quando il giudice rileva questa eccezione di nullità del
contratto, egli deve sottometterla all’attenzione delle parti e si trova ad un bivio. Una delle
parti decide di fare una domanda di accertamento incidentale della nullità del contratto,

ovvero una domanda di accertamento incidentale della validità del contratto. Se una delle
parti pone una domanda di accertamento incidentale sulla validità del contratto, il giudice
si trova nell’ortodossia dell’art. 276 ed è obbligato a decidere su quella questione
incidentale e ne dovrà dire nel dictum della sentenza, perché è sopravvenuto un cumulo di
cause a seguito della domanda incidentale. Quel dictum sulla validità del contratto ha
vocazione di giudicato sostanziale di cui all’art. 2909 c.c.
Diversamente, se le parti rimangono inerti davanti alla questione sollevata d’ufficio dal
giudice, sorge comunque in capo a quest’ultimo l’obbligo di risolvere la questione
incidentale e lo farà in motivazione. Se il giudice dovesse concludere per la validità del
contratto, si avrà una sentenza di accoglimento nel merito che nella parte motiva reca
l’accertamento accidentale del giudice. Se quella sentenza non viene impugnata e passa
in giudicato, l’effetto di giudicato sostanziale si ha per quanto riguarda il dictum e sulla
parte riguardante la validità del contratto cade un giudicato, in quanto motivo portante
della decisione, ma è un vincolo di giudicato diverso da quello del 2909 c.c., perché non
c’è stata alcuna domanda di accertamento incidentale. Su quella validità del contratto c’è
un effetto vincolante particolare, solo tra le parti del processo, non opponibile a terzi e non
può godere degli stessi effetti del dictum del giudice a seguito della trascrizione perché
non c’è domanda incidentale da trascrivere. Il vincolo non può essere lo stesso del
giudicato ex 2909 c.c., che può solo seguire ad una domanda di parte trascrivibile, ma
crea semplicemente un’efficacia preclusiva extra processuale tra quelle specifiche parte
del processo.
Efficacia preclusiva extra processuale tra le parti del processo: quelle parti non
potranno più mettere in discussione fra loro quella non nullità del contratto (neanche in un
successivo processo a parti invertite) per frustrare il dictum di quel primo processo. La
questione sarà capire in quali altri casi, al di fuori di questo considerato dalle Sezioni unite,
il motivo è portante ed esplicherà questa efficacia preclusiva extra processuale.
La giurisprudenza sta prendendo una tendenza ad ammettere sempre di più una forma di
efficacia delle questioni risolte nella parte motiva della sentenza. Sebbene questa
tendenza sia giustificata da ragioni di economia processuale, sorge il rischio che il
perimetro del giudicato diventi sempre meno chiaro e prevedibile, con la conseguenza che
le parti che hanno meno certezza saranno tentate a discutere di tutto, portando una
varietà eccessiva di questioni all’interno di uno stesso processo.

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