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Quindi anche se il debito non è estinto, si presume che lo sia; quindi il

debitore è esonerato dall’onere di fornire in giudizio la prova


dell’estinzione. Le presunzioni sono di 2 specie: – IURIS TANTUM, cioè
quelle che ammettono la prova contraria e – IURIS ET DE IURE, cioè
quelle che non la ammettono (art.2728 c.c.).

C) LA DECADENZA
Nozione e fondamento.
La decadenza produce l’estinzione del diritto in virtù del decorso del
tempo. La decadenza implica, quindi, l’onere di esercitare il diritto
esclusivamente entro il tempo prescritto dalla legge. La decadenza può,
quindi, essere impedita solo dall’esercizio del diritto mediante il
compimento dell’atto previsto (art.2966 c.c.). Con l’esercizio del diritto
cade, infatti, la stessa ragione d’essere della decadenza: l’onere, a cui era
condizionato l’esercizio del diritto, è ormai soddisfatto. La decadenza è
convenzionale, se è stabilita dalle parti o legale, se è prevista dalla legge.

Capitolo 11: LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI


DIRITTI
Cenni sui tipi di azione.
Chi esercita l’azione proponendo la domanda giudiziale si chiama attore
(perché agisce), colui contro il quale l’azione si propone convenuto. Il
diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti non può essere
soppresso o limitato nei confronti di nessuno e per nessuna ragione.
Vi sono:
– un processo di cognizione che ha il compito di individuare il comando
contenuto nella norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto;
– un processo di esecuzione, la cui finalità consiste nel realizzare il
comando contenuto nella sentenza;
– un processo cautelare, la cui finalità è quella di conservare lo stato di
fatto esistente per rendere possibile l’esecuzione della sentenza.
L’azione di cognizione può tendere ad una di queste 3 finalità:
1) all’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza di un rapporto
giuridico incerto e controverso;
2) all’emanazione di un comando, che il giudice rivolgerà alla parte
soccombente di eseguire la prestazione che egli stesso riconosce dovuta
all’attore (azione di condanna);
3) alla costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici, come
per la separazione coniugale (art.2908 c.c.).
La cosa giudicata.
Per accertare la sentenza, le parti possono chiedere il riesame della lite,
impugnando la sentenza. Dopo certe condizioni la sentenza non può più
essere giudicata da nessun giudice. Questo avviene quando si verifica la
cosa giudicata o il passaggio in giudicato della sentenza. La cosa giudicata
è formale, se come indica l’art. 324 c. proc. Civ. la sentenza non è più
soggetta ai mezzi di impugnazione; o sostanziale se consiste nella
definitività dell’accertamento contenuto nella sentenza anche al di fuori
del processo (art. 2909 c.c.).
Il processo esecutivo e il pignoramento.
Se non viene adempiuto il comando contenuto nella sentenza, la parte
vincente può iniziare il processo esecutivo. Solo in alcuni casi tale
processo assicura il risultato voluto dalla sentenza iniziale e questo si
verifica con l’esecuzione forzata in forma specifica. Questo si verifica se
non è stato adempiuta:
– la consegna di una cosa determinata (art.2930 c.c.);
– un obbligo di facere; – un obbligo di non facere, (art.2933 c.c.).
Il processo esecutivo può portare all’espropriazione dei beni del debitore
(espropriazione forzata). L’espropriazione ha inizio con il pignoramento,
che è l’atto con cui si indicano i beni assoggettati all’azione esecutiva.
L’art.2913 c.c. stabilisce che non hanno effetto gli atti di alienazione dei
beni sottoposti a pignoramento. L’espropriazione può essere fatta valere
solo dal creditore pignorante.

Capitolo 12: LA PROVA DEI FATTI GIURIDICI


Nozioni generali.
Il giudice è tenuto, per definire la lite, a scegliere tra le contrapposte
versioni. La scelta deve però essere motivata. Nel giudizio civile, le parti
devono indicare i mezzi di prova. Il giudice deve valutare se i mezzi di
prova sono ammissibili e rilevanti. Dopo, il giudice deve motivare la sua
decisione, spiegando le ragioni del suo convincimento, in relazione al
materiale probatorio.
L’onere della prova.
Può darsi che nel processo manchino del tutto o non siano convincenti i
mezzi di prova. Il giudice non può rifiutarsi di decidere, ma deve trovare
delle soluzioni in base a considerazioni non giuridiche. L’art. 2697 c.c.
prevede l’onere della prova, per cui per ogni fatto grava sempre su una
sola delle parti l’onere di persuadere il giudice, cioè, se il giudice non
considera convincente la versione della parte gravata dall’onere, dovrà
dare ragione alla controparte, anche se la versione data da quest’ultima
non è altrettanto convincente. Solitamente l’onere di provare un fatto
ricade su colui che invoca quel fatto a sostegno della propria tesi.
I mezzi di prova.
Per mezzo di prova s’intende qualsiasi elemento idoneo ad influenzare la
scelta che il giudice deve fare per stabilire quale tra le contrapposte
versioni delle parti sia più convincente. Il giudice deve valutare le prove
secondo il suo libero apprezzamento (art. 116 c.c.); deve però anche
motivare, la scelta delle prove.
I mezzi di prova si distinguono in due specie: prova documentale (atto

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pubblico, scrittura privata), che esiste prima del giudizio; e prova
costituenda (prova testimoniale, confessioni, presunzioni, giuramenti),
che si forma nel corso del giudizio.
La prova documentale.
Per “documento” s’intende ogni cosa idonea a rappresentare un fatto, in
modo da consentirne la presa di conoscenza a distanza di tempo. I
documenti più importanti sono l’atto pubblico e la scrittura privata. L’atto
pubblico è il documento redatto, con particolari formalità stabilite dalla
legge, da un notaio o da altro pubblico ufficiale che possono attribuire
all’atto “pubblica fede” (art.2699 c.c.). L’atto pubblico non attesta la
veridicità del contenuto, ma il giudice è vincolato a considerare senz’altro
vere le circostanze, senza dubbi. La controparte per contrastare tale forza
probatoria deve fare richiesta al giudice che accerti che il documento è
falso, tramite querela di falso. L’atto pubblico, se nullo per difetto di
formalità, può valere come scrittura privata.
Scrittura privata è qualsiasi documento sottoscritto da un privato, che,
con la sua firma, si assume la paternità del testo e, quindi, la
responsabilità in quanto in esso sia dichiarato; non ha la stessa efficacia
probatoria dell’atto pubblico. Essa, infatti, fa prova soltanto contro chi ha
sottoscritto il documento e non a suo favore. Elemento importante della
scrittura privata è la data.
La prova testimoniale.
La testimonianza o prova orale è la narrazione fatta al giudice di una
persona estranea alla causa in relazione a fatti controversi di è a
conoscenza. Secondo l’art.2724 c.c. il giudice deve ammettere la
testimonianza se:
1. c’è una prova scritta;
2. la parte era nell’impossibilità morale o materiale di procurarsi
un’altra prova scritta;
3. la parte ha perso il documento con la prova non per colpa sua.
La prova testimoniale incontra limiti legali di ammissibilità:
a) essa non è ammissibile quando sia invocata per provare il contenuto di
un contratto avente un valore superiore alle 5000 lire, cioè 2,58 euro;
(2721 c.c.);
b) essa non è ammissibile se tende a dimostrare che anteriormente o
contemporaneamente alla stipulazione di un accordo scritto siano stati
stipulati altri patti, non inseriti nel documento (art.2722, 2723); è invece
ammesso un accordo successivo al documento;
c) non è ammissibile se tende a provare un contratto che, deve essere
stipulato (forma ad subsantiam) o provato per iscritto (forma ad
probationem tantum).
Forma ad substantiam e forma ad probationem.
Per l’atto pubblico e la scrittura privata è richiesta la forma ad
substantiam, che è un elemento essenziale del negozio, e se questo
requisito non è rispettato l’atto è nullo.

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Se è richiesta la forma ad probationem tantum, l’atto compiuto senza
l’osservanza della forma stabilita dalla legge non è nullo; l’unica
conseguenza dell’inosservanza della forma è il divieto della forma
testimoniale o presuntiva.
Le presunzioni.
Per presunzione o prova indiretta si intende ogni argomento, illazione,
attraverso cui si giunge a considerare provata anche un'altra circostanza,
senza prova diretta.
Le presunzioni si dicono legali quando è la stessa legge che attribuisce ad
un fatto che quindi viene presunto. Le presunzioni legali, a loro volta,
possono essere assolute (iuris de iure) e non ammettono prova contraria;
o relative (iuris tantum) ed ammettono prova contraria. Le presunzioni si
dicono invece semplici quando non sono prestabilite dalla legge, ma sono
lasciate all’apprezzamento del giudice (art.2729 c.c.).
La confessione.
La confessione è la dichiarazione che la parte fa della verità di fatti a sé
sfavorevoli e favorevoli all’altra parte.
Essa è giudiziale, se resa in giudizio e, in questo caso, fa piena prova e
può essere fatta spontaneamente o con l’interrogatorio della parte.
(artt.2730, 2732, 2733 c.c.).; stragiudiziale, se resa fuori dal giudizio. Se
la confessione stragiudiziale è fatta alla parte o al suo rappresentante, ha
lo stesso valore di quella giudiziale; se è fatta ad un terzo, può essere
apprezzata liberamente dal giudice (art.2735 c.c.). A differenza della
giudiziale, la confessione stragiudiziale deve essere, a sua volta,
dimostrata.
La confessione si dice qualificata quando la parte riconosce la verità dei
fatti a sé sfavorevoli, ma vi aggiunge altri fatti o circostanze tendenti ad
infirmare l’efficacia del fatto confessato ovvero a modificarne o ad
estinguerne gli effetti. In questo caso bisogna distinguere:
a) se l’altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze
aggiunte, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro integrità;
b) se l’altra parte contesta è rimesso al giudice di apprezzare, secondo le
circostanze, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni (art.2734 c.c.).
La confessione può essere revocata solo se si dimostra che è dovuta ad
un errore di fatto o è stata ottenuta con la violenza.
Giuramento.
Il giuramento è un mezzo di prova richiesto dalle parti. Il c.c. prevede
(art.2736) due tipi di giuramento: il decisorio e il suppletorio. Quello
decisorio si chiama così perché riguarda circostanze che hanno valore
decisorio sulla questione su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi, quindi
l’esito del giuramento preclude ogni ulteriore accertamento; esso fa piena
prova. Il giuramento suppletorio può essere richiesto da un giudice
d’ufficio, quando questi si trovi di fronte ad un fatto rimasto incerto,
anche se la parte aveva fornito elementi rilevanti, ma non del tutto
persuasivi.
Capitolo 13: I DIRITTI REALI IN GENERALE E LA

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PROPRIETÀ
I diritti reale: caratteri e categorie.
I diritti reali sono tutti i diritti su cosa materiale determinata (iura in re);
sono caratterizzati da immediatezza, assolutezza e inerenza. Tali
caratteristiche però non coesistono sempre e contemporaneamente in
tutti i diritti reali. I diritti reali hanno un numerus clausus, cioè i privati
non possono creare diritti diversi da quelli disciplinati dalla legge.
Tra i diritti reali si deve distinguere la proprietà (ius in re propria) e i iura
in re aliena, cioè tutti i diritti reali che gravano sui beni di proprietà altrui.
Gli iura in re aliena si distinguono in diritti reali di godimento (superficie,
enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione, servitù prediali) che danno al titolare
il diritto di trarre dal bene delle utilità; e in diritti reali di garanzia (pegno
e ipoteca) che danno al titolare il diritto di farsi assegnare il ricavato
dell’alienazione forzata del bene per il mancato adempimento dell’obbligo
garantito.
La proprietà.
Con lo Statuto Albertino del 1848 la proprietà era considerata un diritto
inviolabile. Nel codice civile l’art. 832 c.c. attribuisce al proprietario il
diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i
limiti e in osservanza degli obblighi posti dall’ordinamento.
Quindi il proprietario ha il potere di godimento del bene direttamente o
indirettamente ed ha il potere di disposizione del bene.
Con la Costituzione repubblicana del 1948 la proprietà non è più
considerata inviolabile o tra i principi fondamentali, ma è inserita in
relazione ai rapporti economici (art. 42-44 cost.).
La proprietà è caratterizzata dall’imprescrittibilità, dall’elasticità e dalla
perpetuità.
Espropriazione e indennizzo.
L’art. 42 Cost. dispone che la proprietà può essere nei casi disposti dalla
legge espropriata. Per la Costituzione la posizione del privato può essere
sacrificata, se c’è:
1) interesse generale;
2) riserva di legge che lo consente;
3) indennizzo che compensi il privato che la subisce.
Per espropriazione si intende:
– trasferimento della titolarità di un bene da un soggetto ad un altro e si
parla di espropriazione traslativa;
– limitazioni del diritto di proprietà riguardo al godimento del bene e si
parla di espropriazione larvata. Si può distinguere tra:
a) interventi di conformazione dei vari statuti proprietari, che non
rientrano nel concetto di espropriazione e non comportano
indennizzo;
b) interventi di espropriazione larvata.

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Riguardo all’indennizzo la corte costituzionale ha stabilito che non è un
integrale risarcimento del pregiudizio economico sofferto dall’espropriato,
ma comunque non può essere stabilito in termini simbolici o irrisori.
Il D.P.R. n.327/2001 prevede in caso di espropriazione di:
a) un’area non edificabile, l’indennizzo è pari al valore agricolo, in base
alle colture presenti sul fondo, o se non già coltivata in base al tipo di
coltura presente nella zona;
b) un’area edificabile, l’indennizzo è pari alla somma del valore di mercato
del bene e il reddito netto del proprietario moltiplicato per 10, il tutto
diviso per 2 e ridotto del 40 %;
c) una costruzione legittimamente edificata, l’indennizzo è pari al valore di
mercato;
d) un vincolo sostanzialmente espropriativo, l’indennizzo è pari al danno
prodotto.
La proprietà dei beni culturali.
A tutela del patrimonio culturale l’art. 839 c.c. stabilisce un particolare
regime dominicale. Sui beni culturali, il D.Lgs n.42/2004 impone al
proprietario dei limiti sul potere di godimento e sul potere di detenzione.
La proprietà edilizia.
Il D.P.R. n.380/2001 dispone che l’attività di trasformazione urbanistica
ed edilizia del territorio è subordinata:
– al rilascio da parte dell’autorità comunale di un permesso di costruire
riguardo agli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione
urbanistica;
– alla denunzia di inizio attività (D.I.A.) presentata all’autorità comunale
dal proprietario dell’immobile 30 giorni prima dell’inizio dei lavori.
1. sono nulli gli atti di trasferimento o costituzione di diritti reali su terreni
senza certificato di destinazione urbanistica;
2. sono nulli gli atti di trasferimento o costituzione di diritti reali su edifici
senza il permesso di costruire;
3. È vietato alle aziende che si occupano di servizi pubblici di dare
forniture per opere prive del permesso di costruire;
4. chi ha violato disposizioni sull’attività edilizia ha l’obbligo di risarcire i
danni sofferti da terzi.
La legge urbanistica del 1942 prevede che la pianificazione del territorio si
basi su 2 strumenti di iniziativa pubblica: il piano generale regolatore
(p.g.r.) e il piano particolareggiato di esecuzione (p.p).
La proprietà fondiaria.
In linea verticale la proprietà fondiaria si estende usque ad sidera usque
ad inferos, cioè all’infinito nello spazio aereo sovrastante e all’infinito nel
sottosuolo. Ma l’art. 840 c.c. dispone che il proprietario del fondo non può
opporsi ad attività di terzi che si svolgono nel sottosuolo o nello spazio
aereo sovrastante che lui non ha interesse ad escludere.
I rapporti di vicinato.
Le proprietà immobiliari convivono fianco a fianco, quindi il codice

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disciplina i rapporti di vicinato in varie materie:
a) atti emulativi;
b) immissioni;
c) distanze e muri;
d) luci e vedute;
f) acque.
Gli atti emulativi.
Il proprietario non può compiere atti emulativi, cioè atti con il solo scopo
di nuocere o arrecare danno o molestie ad altri.
L’atto di godimento del bene è vietato se concorrono 2 elementi:
– uno oggettivo, cioè l’assenza di utilità per il proprietario;
– uno soggettivo, cioè l’intenzione di nuocere ad altri.
Non fanno parte di atti emulativi i comportamenti omissivi del
proprietario, anche se vuole nuocere al vicino.
Le immissioni (844 c.c.).
Il proprietario avendo diritto di godere del bene in modo esclusivo, può
opporsi a qualsiasi attività materiale che si svolga sul suo fondo, cioè le
immissioni materiali. Non può opporsi se:
a) le immissioni sono al di sotto della normale tollerabilità chi le subisce
deve sopportarle;
b) le immissioni sono al di sopra della normale tollerabilità, ma sono
giustificate da esigenze di produzione, chi le subisce non può farle
cessare, ma può ottenere un indennizzo in denaro;
c) le immissioni sono al di sopra della normale tollerabilità, e non sono
giustificate da esigenze di produzione, chi le subisce può farle cessare e
ottenere il risarcimento dei danni.
La tollerabilità di un’immissione è valutata, caso per caso, dal punto di
vista del fondo che la subisce, considerando la condizione dei luoghi.
Le distanze legali (873 c.c.); luci e vedute.
L’art. 873 c.c. dispone che le costruzioni su fondi confinanti devono essere
tenute ad una distanza non inferiore a tre metri tra loro, altrimenti il
vicino può agire per la rimozione dell’opera abusiva e per il risarcimento
del danno. Il codice si occupa anche dei muri (874 c.c.) al confine tra le
proprietà limitrofe.
Le aperture nel muro contiguo al fondo si distinguono in luci e vedute. Le
vedute (o prospetti) consentono di guardare sul fondo del vocino e di
sporgere il capo su di esso per vedere di fronte. Le luci sono aperture che
permettono il passaggio di luce o aria, ma non consentono la vista o
l’affaccio sul fondo del vicino.
Modi e acquisto della proprietà.
I modi d’acquisto della proprietà sono a titolo derivativo e a titolo
originario, a seconda che si fondano o non si fondano sul rapporto con il
precedente proprietario.
I primi sono i più importanti, come il contratto, la successione per causa
di morte, la confisca o la vendita forzata dei beni del debitore.
Quelli a titolo originario sono:

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– l’occupazione (art. 923 c.c.);
– l’invenzione (art. 927 c.c.);
– l’accessione (art. 934 c.c.);
– l’usucapione (art. 1158 c.c.);
– il possesso in buona fede di beni mobili (art. 1153 c.c.).
L’occupazione è la presa di possesso di cose mobili di nessuno o
abbandonate; si possono occupare anche animali selvatici o frutti
spontanei; mentre i beni immobili vacanti spettano allo Stato.
L’invenzione riguarda cose mobili smarrite; esse vanno restituite al
proprietario; se però il proprietario non si conosce vanno consegnate al
sindaco; se dopo un anno il proprietario non si presenta la cosa diventa di
proprietà di chi l’ha trovata.
Il tesoro (art. 932 c.c.) è una cosa mobile di pregio, nascosta o
sotterrata; essa diventa immediatamente di proprietà del titolare del
fondo su cui si trova.
L’accessione è l’incorporazione di beni di proprietari diversi, e può
avvenire tra:
a) mobile e mobile (934 c.c.);
b) immobile e immobile: riguarda l’alluvione (art. 941 c.c.);
c) mobile e immobile: riguarda l’unione (art. 939 c.c.).
Azioni a difesa della proprietà.
A difesa della proprietà sono esperibili le azioni petitorie, cioè l’azione di
rivendicazione (art. 948 c.c.); l’azione di mero accertamento; l’azione
negatoria (art. 949 c.c.); l’azione di regolamento dei confini (art. 950
c.c.); l’azione per apposizione di termini (art. 951 c.c.).
1) L’azione di rivendicazione è concessa a chi si afferma proprietario di
un bene, ma non ne ha il possesso e vuole ottenere l’accertamento del
suo diritto di proprietà sul bene stesso e la condanna di chi lo possiede,
alla sua restituzione. Al contrario dell’azione di rivendicazione, in cui il
proprietario pretende la consegna del bene proprio per il fatto di esserne
proprietario; l’azione di restituzione prevede che l’attore agisca in giudizio
vantando il diritto di restituzione nato da un rapporto contrattuale, dalla
risoluzione e dalla scadenza (diritto alla restituzione dell’autoveicolo
consegnato al meccanico per la riparazione).
2) L’azione di mero accertamento della proprietà è riconosciuta a chi
ha interesse ad una pronuncia giudiziale che affermi il suo diritto di
proprietà su un determinato bene per rimuovere una situazione di
incertezza.
3) L’azione negatoria è concessa al proprietario al fine di ottenere
l’accertamento dell’inesistenza di diritti reali vantati sul bene stesso e di
conseguenza il risarcimento del danno.
4) L’azione di regolamento dei confini presuppone l’incertezza del
confine tra 2 fondi.
5) L’azione di apposizione dei termini presuppone la certezza del
confine, ma serve a far apporre o ristabilire i segni lapidei, simboli del
confine tra i due fondi.

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Capitolo 14: I DIRITTI DI GODIMENTO
Generalità.
I diritti reali su cosa altrui sono una limitazione del diritto di proprietà. Tra
i diritti reali di godimento quelli di superfici, enfiteusi, abitazione e servitù
hanno ad oggetto solo beni immobili, mentre quelli di usufrutto e uso
hanno ad oggetto anche beni mobili.
A) LA SUPERFICIE (952-956 c.c.)
Secondo il principio di accessione, tutto ciò che è sopra o sotto il suolo
appartiene al proprietario dello stesso. Si può però attribuire ad una
persona diversa dal proprietario il diritto di superficie. Il proprietario ha la
concessione ad aedificandum, cioè il diritto di costruire sul suolo altrui
un’opera di cui acquista la proprietà diversa da quella del suolo, che resta
al concedente (nuda proprietà) oppure il superficiario diventa titolare di
una costruzione già esistente (proprietà separata. Lo stesso vale per il
sottosuolo, ma non per le piantagioni. Bisogna anche considerare che se
la costruzione non esiste il diritto di superficie si estingue se il titolare non
costruisce per 20 anni. La superficie può essere perpetua o a termine e in
quest’ultimo caso alla scadenza la proprietà passa al proprietario del
suolo. I modi di acquisto della superficie sono il contratto, il testamento e
l’usucapione.
B) ENFITEUSI (957-977 c.c.)
L’enfiteusi attribuisce all’enfiteuta lo stesso potere di godimento che
spetta al proprietario, però con l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare
al proprietario un canone periodico, in denaro o in natura. Al contrario
dell’usufrutto, l’enfiteuta può mutare la destinazione del fondo, purché
non lo deteriori.
L’enfiteusi può essere perpetua o a termine, non inferiore ai 20 anni e i
modi di acquisto sono il contratto, il testamento e l’usucapione.
C) USOFRUTTO (972-1020 c.c.)
L’usufrutto è il diritto di godere della cosa altrui rispettando la
destinazione economica;ha una durata temporanea perché non darebbe
nessuna utilità la proprietà del concedente; se fatta a favore di una
persona fisica, l’usufrutto dura per tutta la vita dell’usufruttuario o in
presenza di un termine, la morte dell’usufruttuario porterebbe
al’estinzione del diritto; se a favore di una persona giuridica non può
essere superiore ai 30 anni.
Oggetto dell’usufrutto può essere qualunque specie di bene mobile o
immobile, ad esclusione dei beni consumabili, poiché se utilizzati perdono
la loro individualità; riguardo ai beni consumabili si ha il quasi usufrutto
con cui si ha l’obbligo di restituire non gli stessi beni ricevuti, ma il loro
valore o altri beni dello stesso genere. Invece sempre oggetto di usufritto
sono i beni deteriorabili, di cui l’usufruttuario può servirsene secondo l’uso
al quale sono destinati.
I modi di acquisto dell’usufrutto sono: la legge, usucapione,
provvedimento del giudice e la volontà dell’uomo.
L’usufruttuario ha:

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a) il potere di godimento sul bene, che implica il possesso della cosa e
l’acquisto dei frutti naturali e civili della cosa;
b) il potere di disposizione del diritto di usufrutto;
c) il potere di disposizione del godimento del bene.
L’obbligo principale dell’usufruttuario è quello di restituire la cosa al
termine del suo diritto.
L’estinzione dell’usufrutto si verifica:
a) per scadenza del termine o morte dell’usufruttuario;
b) prescrizione estintiva ventennale;
c) consolidazione, cioè riunione dell’usufrutto e della nuda proprietà sulla
stessa persona;
d) perimento totale della cosa;
e) abuso dell’usufruttuario del suo diritto.
D) USO E ABITAZIONE (1021-1022 c.c.)
L’uso e l’abitazione sono due tipi limitati di usufrutto: il primo è il diritto di
servirsi di un bene e se fruttifero, di raccoglierne i frutti, limitatamente ai
propri bisogni; il secondo è il diritto di abitare una casa limitatamente ai
propri bisogni. Tali diritti non si possono cedere, inoltre non si possono
dare in locazione i beni o in godimento a terzi; e si estinguono, come
l’usufrutto, con la morte del titolare.
E) LE SERVITÙ
Nozione.
La servitù prediale consiste nel peso imposto su un fondo servente per
l’utilità di un altro fondo, detto dominante, di un altro proprietario. Il
fondo dominante trae vantaggio dalla limitazione del fondo servente. Le
servitù tipiche sono quelle previste dal codice. Le servitù possono essere
reciproche, se poste a favore o a carico di entrambi i fondi, quindi ogni
fondo è sia dominante che servente.

Principi generali.
I principi generali tipici della servitù sono:
a) sevitus in faciendo consistere nequit: il proprietario del fondo servente
ha il dovere di non facere o pati (sopportare), ma non ha doveri di fare;
b) nemini res sua servit: i fondi devono appartenere a proprietari diversi;
c) praedia vicina esse debent: i fondi devono trovarsi in una posizione tale
da poter dare utilità all’altro.

Costituzione.
La costituzione delle servitù avviene per obbligo di legge (servitù
coattive), per volontà dell’uomo, quindi con contratto o testamento
(servitù volontarie), per usucapione, e per destinazione del buon padre di
famiglia.

Servitù coattive o legali (1032 c.c.).


Per costituirla concretamente serve:
a) un contratto, ossia un obbligo legale;
b) sentenza del giudice;

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c) atto amministrativo.
Se mancano tali presupposti la servitù viene estinta.
Le figure più importanti di servitù legali sono:
– acquedotto coattivo; – elettrodotto coattivo; – passaggio coattivo.
Anche se c’è l’accesso alla via pubblica, la servitù è ammessa se:
1. È necessario l’accesso per il transito dei veicoli;
2. È necessario per esigenze dell’agricoltura e dell’industria o per edifici
abitati, serve per l’accesso per portatori di handicap.

Servitù volontarie (1058 c.c.).


Il contratto va fatto per iscritto ed è soggetto a trascrizione. Le servitù
non apparenti si possono costituire solo per contratto o per testamento;
quelle apparenti si costituiscono con usucapione ventennale o
destinazione del buon padre di famiglia.

Esercizio, estinzione e tutela della servitù.


L’esercizio della servitù è regolato dal titolo (contratto o testamento) e in
difetto dalla legge. La servitù comprende gli adminicula servitutis, le
facoltà accessorie, indispensabili per l’esercizio della servitù.
Il modo d’acquisto della servitù determina come va esercitata la servitù.

La servitù si estingue:
a) per rinuncia, fatta per iscritto;
b) per scadenza del termine;
c) per confusione;
d) per prescrizione estintiva ventennale (non uso). Possono essere:
– negative;
– affermative.
Se l’uso della servitù diviene impossibile o perde di utilità, questa non si
estingue ma si ha una sospensione della servitù, dopo vent’anni cade in
prescrizione.

Se viene contestata l’esistenza della servitù, il titolare può con l’azione


confessoria, chidere una pronuncia giudiziale di accertamento del suo
diritto contro chi contesta l’esistenza della servitù o ne impedisce
l’esercizio (legittimato passivamente).

Capitolo 15: LA COMUNIONE E IL CONDOMINIO


A) LA COMUNIONE
Un diritto soggettivo può appartenere a più persone. La con titolarità di un
diritto reale viene detta comunione pro indiviso, e quindi comproprietà o
cousufrutto. La comunione può essere: – volontaria, se dovuta all’accordo
tra i contitolari; – incidentale, se nasce senza un atto dei contitolari per
costituirlo, ma si acquisisce ad es. per testamento; – o forzosa, se dovuta
ad un esercizio potestativo da parte di uno dei contitolari (comunione del
muro).

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La comunione può essere ordinaria (regolata dagli artt. 1100-1116 c.c.) o
speciale (se prevista autonomamente dalla legge, in cui solo alcune
norme sono compatibili con la comunione ordinaria).
Riguardo ai poteri di godimento:
1) Ogni titolare può godere della cosa comune;
2) Ogni titolare ha il diritto di percepire i frutti della cosa in proporzione
alla quota. Riguardo al potere di disposizione, ogni comproprietario può
disporre della sua quota alienandola, dandola in usufrutto o ipotecandola.
Per i poteri di disposizione della cosa comune serve il consenso di tutti i
contitolari (principio dell’unanimità).
Amministrazione della cosa comune.
Nell’amministrazione della cosa comune non è richiesto il consenso di
tutti, ma della maggioranza che si calcola non sul numero dei
partecipanti, ma in base al valore delle quote.
a) per atti di ordinaria amministrazione, serve il consenso dei contitolari, il
cui valore delle quote è pari a più della metà del valore complessivo;
b) per gli atti di straordinaria amministrazione e per gli atti di innovazione
serve il consenso dei comproprietari il cui valore è pari ai 2/3 del valore
complessivo.
Le spese gravano su ogni compartecipe in proporzione alla quota.
Scioglimento della comunione.
Ogni partecipante può chiedere in ogni momento lo scioglimento e vieta
alle parti di rimanere in uno stato di indivisione convenzionalmente per un
periodo superiore ai 10 anni. Il bene indivisibile può essere alienato a
terzi o assegnato ad uno dei contitolari.

B) CONDOMINIO
Il condominio è uno stesso stabile dove coesistono più porzioni
immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e parti comuni
connesse al complesso delle prime (suolo, muri, scale). Le parti comuni
appartengono in comunione a tutti i proprietari esclusivi delle singole
unità immobiliari site nel condominio pro quota. Il singolo condomino
deve contribuire alle spese necessarie in proporzione alla sua quota.
Assemblea e amministratore di condominio.
Gli organi del condominio sono l’assemblea e l’amministratore, se i
condomini sono più di 4. All’assemblea (art. 1129 c.c.) compete l’adozione
di un regolamento condominiale.
L’assemblea deve essere convocata dall’amministratore con un avviso a
tutti i condomini almeno 5 giorni prima. Il quorum costitutivo si ha con la
partecipazione dei 2/3 del numero e del valore della quota dei condomini.
Se non si raggiunge il quorum l’assemblea, con lo stesso ordine del giorno
può essere nuovamente convocata, ma non oltre 10 giorni e si costituisce
qualunque sia il numero dei presenti. Le deliberazioni assunte sono
vincolanti per i condomini, ma se assenti all’assemblea o dissenzienti su
una deliberazione possono impugnarla, se contraria alla legge o al
regolamento condominiale ed è quindi annullabile. Sono invece nulle le

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delibere prive di elementi essenziali o con oggetto illecito o impossibile.
L’amministratore (art. 1129 c.c.) dura in carica un anno e può essere
revocato in ogni tempo dall’assemblea. Si occupa di eseguire le
deliberazioni dell’assemblea, curare l’osservanza del regolamento,
disciplinare l’uso delle cose comuni ed erogare le spese per la
manutenzione delle parti comuni. I suoi provvedimenti sono obbligatori
per i condomini.

C) LA MULTIPROPRIETÀ
La multiproprietà è un’operazione economica che dà al proprietario un
potere di godimento su un’unità immobiliare, arredata, in un
insediamento turistico, ma solo per un determinato periodo e solitamente
invariabile all’anno; mentre negli altri periodi questo potere spetta agli
altri multiproprietari. Tale istituto si rifà alla comunione.

Capitolo 16: IL POSSESSO


Le situazioni possessorie.
Il codice civile nell’art. 1140 dà una rilevanza giuridica alle situazioni
possessorie, cioè situazioni di fatto. Va fatta una differenza tra:
– ius possessionis, che indica i vantaggi che il possesso genera al
possessore;
– ius possidenti, che indica la situazione di chi ha diritto a possedere il
bene e può rivendicare il bene stesso presso chiunque lo possiede senza
titolo. Il possesso non è un diritto, ma una situazione di fatto che può
avere ad oggetto tutti i beni materiali (art. 1140 c.c.).
Non può avere ad oggetto tutte le cose di cui non si può acquistare la
proprietà, come i beni demaniali o dello Stato (art. 1145 c.c.).

Le distinte situazioni possessorie (1140 c.c).


Il possesso si distingue in:
1) possesso pieno se è costituito da 2 elementi: uno oggettivo (corpus) e
uno soggettivo (animus) [ladro];
2) detenzione se è costituito dall’elemento oggettivo e soggettivo
[inquilino di una casa in locazione];
3) possesso mediato costituito solo dall’elemento soggettivo [colui che
crede di essere il proprietario di una casa data in locazione].

Le qualificazioni del possesso e della detenzione.


Il possesso si distingue in:
– legittimo; – illegittimo (di buona o mala fede); –vizioso.
La detenzione si distingue in:
– qualificata (autonoma o non autonoma); – non qualificata.

Possesso per diritti reali minori.


Le situazioni di fatto, oltre che sul diritto di proprietà possono verificarsi

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sull’esercizio di diritti reali minori, quindi si può avere il possesso
dell’usufrutto o della servitù, se ad esempio si utilizza il fondo altrui senza
il diritto di servitù. Inoltre possono coesistere possessi di diverso tipo.

L’acquisto e la perdita del possesso.


L’acquisto del possesso può avvenire a titolo originario o derivativo.
L’acquisto in modo originario è quando si percepisce la cosa contro o
senza la volontà del precedente possessore e si possono esercitare sulla
cosa i poteri corrispondenti a quelli che spettano al titolare di un diritto
reale. Non si ha possesso se l’acquisto del bene avviene per mera
tolleranza del possessore. L’acquisto in modo derivativo si ha con la
consegna materiale o simbolica dal parte del precedente possessore; si
può verificare la traditio ficta, in cui non cambia la situazione di fatto, ma
si modifica l’animus; le figure di questo istituto sono:
– traditio brevi manu, quando il detentore acquista il possesso del bene;
– il costituto possessorio, quando il possessore acquista la detenzione del
bene.
La perdita del possesso si ha con il venir meno di uno o entrambi gli
elementi del corpus e animus.

Successione e accessione nel/al possesso (1146 c.c.).


Si parla di successione nel possesso quando alla morte del possessore il
possesso passa all’erede, successore a titolo universale, con gli stessi
caratteri di buona o mala fede che spettavano al defunto.
Diversa è l’accessione del possesso che è applicabile al successore a titolo
particolare (legatario o compratore). Il successore a titolo particolare
acquista un possesso nuovo, diverso da quello del dante causa, per cui
non è necessario che siano entrambi in buona o in mala fede. Con
l’accessione del possesso, il successore può sommare al periodo del suo
possesso, anche quello dei danti causa.

Effetti del possesso.


Il possesso è rilevante come:
1) titolo d’acquisto dei frutti del bene e per il rimborso delle spese
effettuate;
2) presupposto dell’acquisto della proprietà del bene posseduto;
3) oggetto di tutela contro le aggressioni altrui.

L’acquisto dei frutti e il rimborso delle spese.


Il possessore illegittimo è tenuto a restituire il bene, ma anche i frutti
prodotti dal bene da quando è iniziato il possesso. In caso di possesso
illegittimo di buona fede, però ha diritto a tutti i frutti percepiti fino alla
proposizione della domanda giudiziale. Le spese si distinguono in:
– ordinarie;
– straordinarie di cui il possessore (in buona o in mala fede) ha sempre
diritto al rimborso;
– per i miglioramenti, di cui il possessore ha diritto al rimborso se
sussistono al momento della restituzione.

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Il possessore ha diritto di ritenzione, cioè di non restituire il bene se non è
stato rimborsato delle spese.
Acquisto della proprietà: regola del “possesso vale titolo”.
Con l’acquisto a non domino, cioè se un acquisto viene fatto da un
soggetto di cui non è proprietario, non si diventa proprietari del bene,
poiché ci l’ha alienato non era legittimato a farlo. Per i beni mobili però
vale la regola del possesso vale titolo, con cui chi acquista un bene a non
domino diventa proprietario, se però sussistono delle condizioni:
1) l’acquisto riguarda beni mobili;
2) l’acquirente può vantare un titolo per il trasferimento della proprietà
come un contratto;
3) l’acquirente ha acquistato il possesso del bene;
4) l’acquirente è in buona fede quando gli viene consegnato il bene;
l’onere di provare la mala fede spetta a chi contesta l’acquisto del
possessore. Con la regola del possesso vale titolo, si ha un acquisto a
titolo originario e la proprietà è libera dai diritti altrui sulla cosa. L’art.
1155 c.c. stabilisce che se il bene viene alienato a più persone, quella che
ne acquista il possesso in buona fede è preferita alle altre anche se
l’acquisto ha una data posteriore.

Acquisto della proprietà: usucapione.


L’usucapione è un modo d’acquisto a titolo originario della proprietà e dei
diritti reali minori che si acquisisce tramite il possesso protratto per un
certo lasso di tempo. L’usucapione al contrario della prescrizione estintiva,
permette tramite il tempo e l’inerzia del titolare, non l’estinzione, ma
l’acquisto di un diritto e si riferisce solo alla proprietà e ai diritti reali
minori, ma non a tutti i diritti come per la prescrizione.
I presupposti dell’usucapione sono:
a) possesso, sia in buona che in mala fede del bene;
b) continuità del possesso per un certo periodo di tempo;
c) non interruzione del possesso;
d) decorso di un certo lasso di tempo, che gli artt. 1158-1160-1161 c.c.
fissano in 20 anni (usucapione ordinaria).
La legge ha inoltre previsto l’usucapione abbreviata: di 10 anni per i beni
immobili (1159 c.c.) e di 3 anni per i beni mobili registrati.
Per le universalità di mobili, l’usucapione è di 10 anni e non è necessaria
la trascrizione; per i fondi rustici è di 15 anni.

La tutela delle situazioni possessorie.


Se l’azione illecita altrui, con l’intenzione di privare un soggetto del
possesso è in atto, si può agire con la legittima difesa. Se l’azione è
invece conclusa si possono usare le azioni possessorie, a tutela del
possesso.

L’azione di reintegrazione o spoglio (1168 c.c.).


L’azione di reintegrazione o spoglio serve per reintegrare nel possesso chi
è rimasto vittima di uno spoglio violento o clandestino. L’azione è
soggetta a decadenza di un anno dallo spoglio o dal giorno della sua

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scoperta.

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