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Articolo 109 Codice di procedura civile

Estromissione dell'obbligato

Dispositivo

Dispositivo dell'art. 109 Codice di procedura civile


Fonti » Codice di procedura civile » LIBRO PRIMO - Disposizioni generali » Titolo IV - Dell'esercizio dell'azione (artt. 99-111)

Se si contende a quale di più parti spetta una prestazione e l'obbligato si dichiara


pronto a eseguirla a favore di chi ne ha diritto (1), il giudice può ordinare il deposito della
cosa o della somma dovuta e, dopo il deposito, può estromettere l'obbligato dal
processo (2).

Note
(1) La norma trova applicazione nel caso in cui le parti del giudizio si contendano la titolarità
della prestazione, ovvero il diritto ad ottenere la prestazione da parte del debitore, il quale può
dichiararsi pronto ad eseguirla effettuando il deposito liberatorio della somma dovuta evitando
così le conseguenze della mora debendi.

(2) In dottrina manca l'uniformità di vedute in ordine alla natura del provvedimento con cui
viene disposta l'estromissione. Secondo alcuni autori ha la forma dell'ordinanza, in analogia
con quanto disposto dall'art. precedente (art.108); secondo altri con sentenza, in quanto
definisce il giudizio nei confronti dell'obbligato.
E' bene precisare che il terzo estromesso, diventando estraneo al processo, può
eventualmente essere sentito come testimone nella causa dalla quale è uscito.

Ratio Legis
La norma indica l'ipotesi in cui, in un giudizio tra più pretendenti quando vi sia
circa la persona dell'avente diritto alla
l'incertezza
prestazione, viene riconosciuta al debitore pronto ad eseguire la
prestazione stessa la possibilità di evitare le conseguenze di una mora debendi e la
conseguente responsabilità per inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c.
effettuando il deposito liberatorio del quantum debeatur.

Brocardi

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Articolo 109 Codice di procedura civile

“ Nominatio auctoris


Indicazione del nome del titolare

Spiegazione

Spiegazione dell'articolo 109 Codice di procedura civile


Due sono i presupposti che devono concorrere perché possa operare questa particolare
forma di espromissione, ossia:
a. la presenza nel processo di due o più soggetti che pretendono l'adempimento di
un'obbligazione;
b. il deposito della somma o della cosa richiesta da parte del debitore.

Essa trova applicazione quando l'attore proponga ab origine un'azione di condanna nei
confronti del convenuto e, contestualmente, un'azione di accertamento del suo diritto
nei confronti dell'altro pretendente ovvero quando il terzo ha compiuto un intervento
volontario principale ai sensi dell'art. 105 del c.p.c., o ancora quando il terzo
pretendente è chiamato in causa dal convenuto o dal giudice.
La partecipazione del terzo pretendente può essere disposta dal giudice soltanto nel
caso in cui, superati i termini previsti dall'art. 269 del c.p.c., la parte legittimata ad
effettuare la chiamata, ex art. 106 del c.p.c., solleciti il giudice a provvedere ex officio,
sopperendo così alla sua inerzia.

Dall'applicazione della norma esula il caso in cui il convenuto obbligato, svolgendo


un'attività difensiva volta al rigetto della domanda attorea, indichi il terzo pretendente
come il vero creditore dell'obbligazione dedotta in giudizio dall'attore (si afferma che con
tale condotta il convenuto perde l'atteggiamento di neutralità nei riguardi dei due
pretendenti, richiesto dall'art. 109 del c.p.c.).
Secondo l'opinione comune e nonostante il tenore letterale della norma si riferisca alla
“prestazione dell'obbligato”, il giudizio può avere ad oggetto anche un diritto reale .

In ordine agli effetti del deposito della cosa o della somma da parte del debitore, parte
della dottrina ritiene che tale deposito sottende la non contestazione del dovere di
adempiere la prestazione, assumendo, così, carattere liberatorio, con la conseguenza
che l'obbligato viene privato della legittimazione ad agire o a resistere nel giudizio.
In tale ottica, ci si è spinti ad equiparare i presupposti e l'efficacia del deposito
disciplinato dall'art. 109 a quelli del deposito liberatorio disciplinato dall'art. 1210 del
c.c., considerato che in entrambe le ipotesi la liberazione del debitore presuppone un
accertamento vero e proprio della validità della sua offerta.

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La fattispecie prevista da questa norma deve intendersi ricompresa anche nel disposto
di cui al secondo comma dell’art. 1777 del c.c. in tema di deposito, in virtù del quale il
depositario può liberarsi dall'obbligo di restituire la cosa effettuandone deposito secondo
le modalità stabilite dal giudice.
L'adesione al suddetto orientamento interpretativo induce a ritenere che, a seguito
dell’estromissione dell’obbligato, l’oggetto del giudizio non consiste più nella condanna
del debitore all'adempimento della prestazione, bensì nell'accertamento della titolarità
attiva del diritto alla prestazione, ovvero nell'individuazione del soggetto titolare del
diritto reale sul bene depositato.

Altra parte della dottrina definisce il deposito qui previsto diverso da quello regolato
dall'art. 1210 c.c., perché privo della natura liberatoria, in quanto la liberazione del
debitore ha come presupposto l'individuazione del vero creditore.
Di conseguenza, detto deposito non implica né la rinuncia da parte del debitore del suo
diritto, né il riconoscimento del suo debito, né, tanto meno, la perdita di proprietà della
res depositata, costituendo un mero espediente per liberare tale soggetto dalla
responsabilità prevista dall'art. 1218 del c.c., nonché dal rischio della mora debendi di
cui all’art. 1222 del c.c.(detta attività, dunque, assume connotazione meramente
cautelare).

La questione degli effetti del deposito non è indubbiamente fine a se stessa, in quanto
influisce sulla risoluzione dell'ulteriore problema della sorte della res depositata a
seguito di un giudizio, ove nessuno dei pretendenti sia stato in grado di dimostrarne la
titolarità attiva.
A tal proposito, secondo parte della dottrina l'inosservanza dell'onere di cui all'art. 2697
del c.c. da parte dei contendenti deve ritenersi inidoneo a comportare la restituzione del
bene all'obbligato, il quale ultimo, mediante il deposito, vi avrebbe rinunciato
definitivamente, al punto che il giudice dovrebbe necessariamente eleggere uno dei
pretendenti e disporre in favore di quest’ultimo la consegna del bene.

Secondo un'altra teoria, invece, l'inadempimento all'onere probatorio potrebbe


provocare la riconsegna del bene all'obbligato non nella sua qualità di proprietario, ma
quale ultimo possessore del bene medesimo.
Qualora si volesse aderire alla teoria del deposito non liberatorio, in caso di mancata
prova della titolarità attiva del diritto da parte dei pretendenti, il bene potrebbe essere
rimesso nella disponibilità dell'obbligato-proprietario.

Nessun riferimento contiene questa norma in ordine alla forma del provvedimento di
estromissione.
Parte della dottrina, applicando analogicamente la norma che regola l'estromissione del
garantito, opta per la forma dell'ordinanza; altra tesi, invece, ritiene che, nel silenzio
della legge, il provvedimento debba essere adottato con sentenza, al pari della
decisione in tema di intervento.
Una terza tesi afferma che il provvedimento di estromissione può assumere forma
diversa a seconda della sussistenza, o meno, di un contenzioso tra le parti in ordine ai
presupposti di applicabilità di tale istituto (in caso di controversia il giudice emette una
sentenza, altrimenti l'atto deve assumere la veste di ordinanza).
A seguito dell'estromissione dell'obbligato, nel processo proseguito tra i due pretendenti
l'onere della prova incombe su entrambe le parti del giudizio.

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Da una parte della dottrina viene affermato che l'obbligato estromesso può essere
sentito come testimone in quanto, a seguito dell'uscita dal processo, diviene soggetto
terzo rispetto alla lite, titolare di una situazione sostanziale del tutto autonoma da quella
oggetto di causa; questa tesi è in linea con quella che conferisce al deposito effettuato
dall'obbligato valore liberatorio, ritenendo, per l'effetto, che l'accertamento del suo
debito esuli dall'oggetto del giudizio proseguito in sua assenza (qualora, invece, si
continui ancora a discutere dell'obbligo dell'estromesso, l'obbligato non potrà essere
considerato terzo e non potrà essere escusso come teste).

La dottrina che afferma la natura liberatoria del deposito ritiene che la sentenza
conclusiva del processo tra gli asseriti creditori non esplichi alcun effetto diretto nei
confronti dell'obbligato, il quale ultimo, con il provvedimento estromissivo, si è spogliato
definitivamente della lite.
Tale sentenza, dovendo qualificarsi come di mero accertamento della titolarità attiva del
diritto, e non di condanna dell'obbligato, costituisce titolo esecutivo nei confronti del
depositario.
Va segnalata la tesi secondo cui, riconosciuta natura liberatoria al deposito compiuto
dall'obbligato, deve ritenersi inammissibile l'impugnazione proposta da costui avverso la
sentenza resa tra i due contendenti, e ciò non in quanto va negata l'efficacia di tale
provvedimento nei riguardi dell'estromesso, bensì perché deve attribuirsi alla
dichiarazione resa da quest'ultimo (relativa alla sua disponibilità ad eseguire la
prestazione), nonché al successivo deposito, il valore di preventiva volontaria
accettazione della sentenza medesima.

I sostenitori dell'efficacia non liberatoria del deposito, al contrario, affermano che


l'obbligato è destinatario degli effetti della sentenza di merito conclusiva del giudizio tra i
pretendenti il cui oggetto va individuato, oltre che nella titolarità attiva della prestazione,
anche nell'accertamento del correlato obbligo a carico del debitore.
Si evidenzia, da ultimo, la tesi dottrinale che ammette la possibilità per il debitore di
agire per la ripetizione dell'indebito, avvalendosi o di un intervento nella lite pendente
tra i contendenti, ovvero della proposizione di un'autonoma azione nei confronti del
vincitore.

Massime

Massime relative all'109 Codice di procedura civile

Cass. civ. n. 18740/2003


Qualora l'originario attore riconosca il fondamento dell'eccezione di difetto di
legittimazione attiva, dedotta parte della convenuta, e chieda di essere estromesso dal
giudizio, si ha una rinunzia all'azione, disciplinata dall'art. 306 c.p.c., che può dar luogo
non ad estromissione dal giudizio, ma all'estinzione del giudizio stesso in caso di
accettazione da parte del convenuto e previa offerta di rimborso delle spese di giudizio.
L'estromissione, ex art. 109 c.p.c., ricorre invece nella diversa ipotesi in cui due o più

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soggetti richiedano l'adempimento di una stessa obbligazione nei confronti di una


medesima persona, che non contesti di dovere la prestazione, ma si dichiari disponibile
ad eseguirla in favore di chi risulterà averne diritto all'esito del giudizio.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 18740 del 9 dicembre 2003)

Cass. civ. n. 745/2000


In caso di estromissione da parte del giudice di primo grado dell'obbligato solidale a
titolo autonomo, l'attore che non abbia proposto appello nei suoi confronti non può
dolersi in sede di giudizio di cassazione della mancata pronuncia sul punto da parte del
giudice di appello essendo la questione anzidetta coperta da giudicato.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 745 del 24 gennaio 2000)

Cass. civ. n. 596/1980


La domanda di revindica proposta con la connessa declaratoria di inefficacia nei
confronti del rivendicante di un contratto di compravendita del bene rivendicato
intercorso tra il convenuto ed un terzo, non importa un litisconsorzio necessario nei
confronti di quest'ultimo ove questi non sia più nel possesso o nella detenzione del
bene. E, pertanto, ove tale terzo sia stato estromesso dal giudizio di primo grado, il
contraddittorio non deve essere integrato nei suoi confronti a norma dell'art. 331 c.p.c.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 596 del 24 gennaio 1980)

Cass. civ. n. 3502/1978


Allorché in sede di opposizione all'esecuzione sia chiamata in giudizio l'amministrazione
dello Stato per comunanza di causa, il giudice superiore, cui l'intera causa sia stata
trasferita secondo le regole del Foro dello Stato, ove si verta in materia tributaria, resta
investito della originaria controversia anche se in prosieguo sia disposta la sua
separazione dalla causa in cui è parte l'amministrazione.
(Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 3502 del 11 luglio 1978)

Cass. civ. n. 1690/1978


Il provvedimento giudiziale ex artt. 8 e 9 della L. n. 898 del 1970, con il quale viene
ordinato agli enti previdenziali o ad altri terzi, tenuti a corrispondere somme all'obbligato
per l'assegno di divorzio, di versare parte di dette somme direttamente ad altre persone,
deve essere adempiuto nel momento in cui tale provvedimento, divenuto esecutivo, sia
notificato ai predetti enti o terzi, o sia stato da essi accettato o conosciuto; prima di tale
momento il terzo debitore è tenuto a pagare a persone diverse dal titolare del diritto
solo se nel corso del giudizio sia emesso al riguardo un provvedimento
provvisoriamente esecutivo, con il quale — analogamente a quanto stabilito dall'art. 109
c.p.c. — può anche ordinarsi il deposito delle somme fino a che non sia stabilito a quali
parti e in che proporzione spettino le somme stesse.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 1690 del 11 aprile 1978)

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Cass. civ. n. 252/1978


La competenza del foro erariale, una volta chiamata in causa la pubblica
amministrazione, rimane ferma anche in caso di estromissione della stessa.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 252 del 20 gennaio 1978)

Cass. civ. n. 3771/1977


All'ipotesi di rimessione della causa dal giudice d'appello al primo giudice, che si
realizza per essere stata illegittimamente estromessa dal giudizio di primo grado una
parte necessaria del processo, è assimilabile l'ipotesi in cui il primo giudice abbia, con
sentenza non definitiva, respinto la domanda di una parte ritenendone erroneamente la
carenza di legittimazione ed abbia poi proseguito il giudizio di merito nei confronti delle
altre parti in condizioni di contraddittorio non integro. Anche in questa seconda ipotesi,
pertanto, il giudice d'appello deve rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell'art.
354 c.p.c.
(Cassazione civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 3771 del 17 agosto 1977)

Cass. civ. n. 1833/1976


La pronuncia con la quale il giudice di primo grado «estrometta dal giudizio» uno dei
convenuti, ritenendolo privo di legittimazione passiva, configura, nonostante
l'improprietà della formula adottata, una statuizione di rigetto della domanda, per difetto
di una condizione dell'azione; ne consegue che il giudice di appello, che ritenga non
corretta detta pronuncia, deve trattenere la causa e giudicare nel merito, non ricorrendo
ipotesi di rimessione al primo giudice, ai sensi degli artt. 353 e 354 c.p.c.
(Cassazione civile, Sez. II, sentenza n. 1833 del 21 maggio 1976)

Cass. civ. n. 338/1974


A differenza dell'estromissione disposta dall'istruttore con ordinanza ai sensi degli artt.
108, 109 e 111 c.p.c., quella disposta con la sentenza, relativamente ad una parte, nel
presupposto che nei suoi confronti mancano le condizioni dell'azione ex adverso
proposta, equivale ad una pronunzia assolutoria di merito.
(Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 338 del 7 febbraio 1974)

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