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I DIRITTI REALI

I diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti e tradizionalmente si ritiene
che siano caratterizzati da:
- immediatezza: il titolare realizza il diritto direttamente senza che sia necessaria la
collaborazione di soggetti terzi, come accade nei diritti di credito;
- assolutezza: i diritti reali possono essere fatti valere nei confronti di tutti i consociati
sui quali incombe un generico dovere di astensione (efficacia erga omnes del diritto
reale);
- tipicità: i diritti reali sono solo quelli previsti dalla legge. E’, quindi, precluso ai
privati creare diritti reali diversi da quelli espressamente disciplinati dalla legge;
- inerenza: i diritti reali sono opponibili a chiunque possieda o vanti diritti sulla cosa
(così, ad esempio, la servitù di passaggio continua a gravare sul fondo, anche quando la
proprietà di quest’ultimo passi a terzi: c.d. diritto di sequela).
Nell’ambito dei diritti reali occorre distinguere tra la proprietà, ius in re propria, e i c.d.
<< iura in re aliena>>, ovverosia, diritti reali che gravano sui beni di proprietà altrui e
che sono destinati a coesistere, comprimendolo, con il diritto del proprietario. I diritti
reali in re aliena, a loro volta, si distinguono in diritti reali di godimento (superficie,
enfiteusi, servitù, usufrutto etc.) e diritti reali di garanzia (pegno e ipoteca per i quali si
rimanda alla relativa dispensa).
LA PROPRIETA’
L’art. 832 c.c. enuncia il principio generale secondo cui al proprietario spetta il diritto
di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo. Dall’esame della norma
emerge, quindi, che il proprietario è titolare del a) potere di godimento del bene,
ovverosia, il potere di trarre dalla cosa le utilità che la stessa è in grado di fornire; b) il
potere di disposizione del bene, per tale intendendosi il potere di cedere ad altri, in tutto
o in parte diritti sulla cosa (il proprietario può, ad esempio, decidere di vendere
l’appartamento, locarlo o donarlo).
L'art. 832 specificando il contenuto del diritto di proprietà, ne indica le principali
caratteristiche:
-pienezza: è un diritto che consente al suo titolare ogni utilizzazione lecita del bene che
si esplica principalmente nel potere di godimento e di disposizione così come sopra
descritto;
- esclusività: il rapporto che si instaura tra proprietario e bene è esclusivo, nel senso che
non sono ammesse interferenze di altri soggetti nel rapporto con il bene;
- elasticità: i poteri (di godimento e di disposizione) del proprietario possono essere
limitati dalla esistenza di altri diritti, come l'usufrutto o la servitù, sullo stesso bene. In
questi casi, però, tali poteri sono destinati a riespandersi automaticamente alla
cessazione del diritto che lo comprime;
- perpetuità: non possono essere imposti limiti temporali alla proprietà, non è ammessa
una proprietà temporanea. Un'eccezione a questo principio può essere costituita dall'art.
953 c.c. in relazione alla scadenza del termine del diritto di superficie;
- imprescrittibilità: la proprietà non si perde per il non uso, potendo solo essere
usucapita dall'uso che altri ne faccia.
MODI DI ACQUISTO DELLA PROPRIETA’
La proprietà si acquista per occupazione, per invenzione, per accessione, per
specificazione, per unione o commistione, per usucapione, per effetto di contratti, per
successione a causa di morte e negli altri modi stabiliti dalla legge (art. 922 c.c.)
Nell’ambito dei modi di acquisto della proprietà si distingue tra:
- modi di acquisto a titolo derivativo, che comportano una successione nel diritto che è
trasmesso da un soggetto ad un altro, per cui gli eventuali vizi che inficiavano il titolo
del precedente proprietario si riverberano anche sul successore. Modi di acquisto a titolo
derivativo sono, ad esempio, il contratto e la successione a causa di morte (vedi relativa
dispensa).
- modi di acquisto a titolo originario, che comportano la nascita di un diritto nuovo.
I modi di acquisto a titolo originario della proprietà sono analiticamente indicati nell’art.
922 c.c., il quale, tuttavia, fornisce un’elencazione non tassativa, rinviando ad altre
disposizioni previste dalla legge.
Nel dettaglio, secondo l’art. 922 c.c., la proprietà può essere acquistata a titolo
originario: per “occupazione”, relativamente ai beni mobili abbandonati o alle res
nullius con la presa di possesso (art. 923 c.c.); per “invenzione”, relativamente alle cose
smarrite o dimenticate (art. 927 c.c.); per “accessione”, a favore del proprietario del
suolo e fatte salve le eccezioni di legge, ove sopra o sotto lo stesso sorgano altre opere
(artt. 934 e ss. c.c.); per “specificazione”, a seguito della trasformazione della materia
in cosa nuova che acquista quindi un valore notevolmente maggiore (art. 940 c.c.), per
“unione o commistione”, quando due cose mobili si uniscono per formare una cosa
composta che conserva la propria identità pur rendendoli inseparabili (unione) ovvero la
perda completamente (commistione) (art. 939 c.c.); per “usucapione”, a seguito del
possesso continuo e ininterrotto per venti anni della cosa (art. 1158 e ss. c.c.); attraverso
“il possesso in buona fede di beni mobili” (art. 1153 c.c.). Questi ultimi due istituti
verranno analizzati nell’ambito della dispensa relativa al possesso.
AZIONI A DIFESA DELLA PROPRIETA’
Gli articoli 948-951 del Codice civile disciplinano le azioni c.d. “petitorie”, esercitabili
nei confronti di chiunque ponga in essere atti diretti a contestare la titolarità del diritto
di proprietà ovvero ad incidere sul suo contenuto. Dette anche “actiones in rem”, le
azioni a tutela della proprietà sono: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria,
l’azione di regolamento di confini e l’azione di apposizione di termini.
A) L’azione di rivendicazione: Ex art. 948 c.c. “il proprietario può rivendicare la
cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l'esercizio dell'azione anche se
costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la
cosa”.
L’azione di rivendicazione è quindi concessa a chi si afferma proprietario del bene, ma
non ha il possesso, al fine di ottenere, sia l’accertamento della proprietà sul bene stesso,
sia la condanna di chi lo possiede o detiene alla sua restituzione.
A differenza delle azioni possessorie, l’onere della prova ricade sul proprietario: l’attore
è, dunque, tenuto a dimostrare il suo titolo di proprietà ed è questa una delle prove che
può risultare più difficili da fornire in giudizio, specie quando la res è giunta all’attuale
proprietario a seguito di una serie di trasferimenti, tanto che si parla di c.d. “probatio
diabolica”. Tale onere, secondo la giurisprudenza, “può essere assolto con la
dimostrazione dell’acquisto del bene a titolo derivativo e della titolarità del diritto di
proprietà in capo ai precedenti danti causa, fino a risalire ad un acquisto a titolo
originario, o dell’avvenuto compimento in suo favore dell’usucapione” (Cass. n.
27296/2013). Soccorrono, pertanto, i due istituti:
- rispetto ai beni mobili opera la regola del possesso vale titolo in base alla quale "colui
al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la
proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e
sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà" (art. 1153 c.c.). Sarà, quindi,
sufficiente che l’attore provi di aver ricevuto il bene in buona fede ed in base ad un
titolo idoneo al trasferimento della proprietà.
- rispetto ai beni immobili occorrerà, invece, che l’attore provi che, quand’anche avesse
acquistato a non domino, avrebbe comunque acquisito la proprietà per usucapione (artt.
1158 c.c.)
Legittimato attivamente all’azione di rivendica è, sia colui il quale afferma di essere
proprietario del bene, sia il nudo proprietario che il comproprietario.
Legittimato passivamente all'azione di rivendicazione è chiunque abbia il possesso o la
detenzione della cosa ovvero chi, prima della proposizione della domanda giudiziale,
abbia consapevolmente ceduto il bene a terzi. In quest’ultima evenienza, il soggetto che
ha sottratto la cosa al proprietario sarà tenuto a recuperala e restituirla allo stesso ovvero
a corrispondergli l'equivalente in denaro qualora il bene non possa essere reperito, oltre
a risarcirgli il danno (art. 948, 2° comma, c.c.). Il proprietario, se consegue direttamente
dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al
precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa (art. 948, 3°
comma, c.c.).
L'azione di rivendicazione, quale diretta conseguenza della perpetuità del diritto di
proprietà, è imprescrittibile, fatti salvi gli effetti dell'acquisto della proprietà da parte di
altri per usucapione.
B) L’azione negatoria
Il fondamento normativo dell’azione negatoria è rinvenibile nell’art. 949 c.c. ai sensi del
quale “il proprietario può agire per far dichiarare l'inesistenza di diritti affermati da
altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio. Se sussistono anche turbative
o molestie, il proprietario può chiedere che se ne ordini la cessazione, oltre la
condanna al risarcimento del danno”.
L'actio negatoria può essere, quindi, promossa dal proprietario che abbia timore di
subire un pregiudizio da terzi che vantino sulla medesima cosa diritti reali minori (ad
esempio diritto di usufrutto o servitù); da ciò deriva che unico legittimato passivo è chi
si dichiari titolare di un diritto reale di godimento e, in conseguenza di tale
affermazione, costituisca per il proprietario un concreto pericolo di molestia. Finalità
dell’azione negatoria non è infatti l’accertamento dell’esistenza della titolarità della
proprietà, ma la cessazione dell’attività turbativa lesiva, per cui incombe sul convenuto
l’onere di provare l’esistenza del diritto di compiere tali attività (Cass. n. 1409/2007).
In tema di onere della prova, poiché la titolarità del bene si pone come requisito di
legittimazione attiva e non come oggetto della controversia, la parte che agisce in
giudizio non ha l'onere di fornire la prova rigorosa della proprietà, come accade
nell'azione di rivendica, essendo sufficiente la dimostrazione con ogni mezzo, anche in
via presuntiva, del possesso del fondo in forza di un titolo valido, mentre incombe sul
convenuto l'onere di provare l'esistenza del diritto di compiere l'attività lamentata come
lesiva dall'attore.
Condizione necessaria per l’esperibilità dell’azione è l’interesse ad agire del
proprietario, ravvisabile laddove venga posta in essere da terzi un’attività implicante in
concreto un pregiudizio; ovvero quando pur non denunciando l’esercizio di atti
materialmente lesivi alla proprietà, a fronte di pretese reali affermate da terzi sulla
stessa, il titolare del diritto intenda accertare l’infondatezza di tali pretese.
L’actio negatoria è imprescrittibile, fatti salvi gli effetti dell’intervenuta usucapione.
C) L’ azione di regolamento di confini
Mentre con l'azione di rivendicazione il proprietario di uno dei fondi limitrofi tende ad
ottenere il possesso esclusivo di una zona, certa nell'an e nel quantum, della quale la
linea di confine sia, almeno nella pretesa dell'attore, ben precisata, con l'azione di
regolamento di confini, che è caratterizzata dalla incertezza obiettiva dei confini stessi,
derivante dalla promiscuità del possesso, si tende, invece, principalmente
all'accertamento della linea che separa i due fondi contigui.
La legittimazione attiva spetta ad entrambi i titolari dei fondi.
La legittimazione passiva compete invece al possessore del fondo limitrofo.
Nell’azione di regolamento dei confini è ammesso ogni mezzo di prova e in mancanza
di altri elementi, nel caso in cui anche a seguito della opportuna consulenza tecnica
permanga l’incertezza, avranno efficacia probatoria i certificati catastali.
Data la natura reale e petitoria, anche tale azione è imprescrittibile, a meno che non
venga eccepita l’usucapione.
D) Azione per apposizione di termini.
Nell’azione di apposizione di termini, ex art. 951 c.c., invece, a differenza dell’azione di
regolamento dei confini, non vi è un dubbio circa l’esatta delimitazione del confine,
dato che l'unico scopo di tale strumento è quello di ripristinare i termini mancanti o
divenuti irriconoscibili, ripartendo equamente la spesa tra i proprietari finitimi. La
legittimazione spetta a ciascuno dei proprietari dei fondi confinanti, mentre legittimato
passivo è il possessore del fondo limitrofo.
LE SERVITU’ PREDIALI
La servitù prediale è un diritto reale di godimento che consiste nel peso imposto sopra
un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario (art. 1027
c.c.). Il fondamento della stessa è ravvisabile nel principio della cooperazione fondiaria:
la servitù è diretta a realizzare l’utilizzazione di un fondo, c.d. servente, per il servizio di
un altro fondo, c.d. dominante.
Requisiti fondamentali delle servitù sono:
1. la vicinanza tra i fondi: i due fondi non devono essere necessariamente confinanti, ma
sufficientemente vicini da consentire l’esercizio della servitù a favore dell’uno e a
carico dell’altro;
2. l’utilità e cioè qualunque vantaggio anche non economico che si traduca in una
migliore utilizzazione del fondo da intendersi in senso ampio;
3. la predialità o realità: la servitù è posta a vantaggio di un fondo e non può mai
costituirsi a vantaggio di una persona e cioè del proprietario del fondo dominante. Non
basta, quindi, il solo vantaggio del proprietario che non sia strettamente inerente al
vantaggio del fondo.
- modi di costituzione delle servitù, soffermarsi in particolare sull’usucapione: possono
acquistarsi per usucapione ex art. 1061 c.c. solo le servitù apparenti, cioè quelle
caratterizzate dalla presenza sul fondo di opere visibili e permanenti destinate al loro
esercizio, con esclusione dell’usucapibilità, quindi, delle servitù non apparenti (es.
servitù di non edificare). Per l’acquisto per usucapione della servitù sono necessari i
requisiti generali: a) il possesso continuato per venti anni di un immobile per l’esercizio
di un potere di fatto corrispondente ad un tipo di servitù apparente (es. servitù di
passaggio, di acquedotto, di stillicidio) ovvero il possesso per dieci anni da parte di chi
ha acquistato in buona fede il diritto reale su un immobile da chi non ne è proprietario,
in forza di un titolo astrattamente idoneo debitamente trascritto; b) la presenza di opere
visibili e permanenti destinate al loro esercizio.

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