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DELITTI CONTRO IL PATRIMONIO

ART.649 I RAPPORTI DI FAMIGLIA COME CAUSA DI NON PUNIBILITÀ

“Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti da questo titolo in danno:

1) del coniuge non legalmente separato;


2) di un ascendente o discendente o di un affine in linea retta, ovvero dell'adottante o dell'adottato;
3) di un fratello o di una sorella che con lui convivano.

I fatti preveduti da questo titolo sono puniti a querela della persona offesa, se commessi a danno del coniuge legalmente separato
ovvero del fratello o della sorella che non convivano con l'autore del fatto, ovvero dello zio del nipote o dell’affine in secondo
grado con lui conviventi.

Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai delitti preveduti dagli articoli 628, 629 e 630 e ad ogni altro delitto contro il
patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.”

Nei delitti contro il patrimonio giocano un ruolo particolare i rapporti familiari. Già nel codice Zanardelli e quindi nel codice del
1930 è prevista una disciplina peculiare per alcuni delitti contro il patrimonio, qualora siano commessi in danno di congiunti,
operando quindi una distinzione tra immoralità e illiceità penale.

A giustificare questa scelta ci sono due motivi:

1. nei rapporti fra i più stretti congiunti spesso sussiste una confusione di sostanze, una comune destinazione dei beni;
2. la punibilità di questi fatti produrrebbe, nell'ambito della famiglia, delle conseguenze che ne turberebbero le relazioni e
l'onore.

L’art.642 prevede un doppio regime giuridico, uno di non punibilità e un altro di punibilità a querela. Ciò ha sollevato alcuni
problemi:

- è controverso il momento di rilevanza dell'esistenza del rapporto familiare: ci si chiede se bisogna guardare al momento
in cui è commesso il fatto o al momento del giudizio, in cui interviene il potere punitivo? La prima soluzione risponde
meglio alla ratio della disposizione.
- la punibilità non è esclusa nell'ipotesi di convivenza MORE UXORIO, ipotesi nella quale l'affectio maritalis può essere
revocata e lo è, tutte le volte in cui si commette un fatto rilevante ai sensi dell'articolo 649.
- c’è disparità di trattamento fra i coniugi separati di fatto e separati legalmente: i primi non sono punibili, i secondi sono
perseguibili a querela.
- non si applica l'art.649 quando il fatto è commesso in danno di un prossimo congiunto e di un terzo (quindi quando
sussiste una comproprietà).

L'ultimo comma dell'art,649 prevede un limite espresso: la disposizione non si applica ai delitti di rapina, estorsione, sequestro
di persona a scopo di estorsione ed ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alle persone.

Questa formula ha fatto sorgere due ordini di problemi:

- vi rientra anche l'ipotesi del tentativo di reato? La giurisprudenza è oscillante perché ora ammette l'applicabilità della
causa di non punibilità, ora afferma che l'esclusione deve ricomprendere anche il tentativo.
- il concetto di violenza alle persone ricomprende sia la violenza fisica che quella morale? La tesi maggioritaria è quella
affermativa ma, tuttavia, non convince, perché sarebbe come ammettere un'abrogazione di fatto della distinzione tra
la violenza e la minaccia (che la legge menziona autonomamente).

Sussistono problemi anche in relazione all’individuazione della natura giuridica di tale causa di non punibilità:

a questo proposito ci sono tre filoni di pensiero:

a. causa di inesistenza del reato, in quanto è inscindibile il precetto dalla sanzione;


b. causa di giustificazione del fatto;
c. causa personale di esenzione dalla pena, cioè quelle circostanze che non tolgono al fatto il suo disvalore penale
(quindi non è esclusa l'illiceità), ma impediscono l'applicazione della sanzione per ragioni di politica criminale e
ciò rimanda al concetto iniziale di evitare il maggior danno che la famiglia potrebbe ricevere dall'intervento della
giurisdizione penale.
FURTO

ART.624: “Chiunque s'impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per
altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516.

Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l'energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore
economico [c.c. 814].

Il delitto è punibile a querela della persona offesa, salvo che ricorra una o più delle circostanze di cui agli articoli 61, n. 7 e 625.”

Il furto è un reato aggressivo del bene della proprietà, considerata storicamente come il valore più importante.
Progressivamente, questo valore si è ridimensionato in un processo che si può definire di relativizzazione o di socializzazione,
testimoniato dall’art.42 Cost., il quale assicura la “funzione sociale” del diritto di proprietà. Questo vuol dire che la sua tutela
giuridica non può essere assoluta, ma incontra dei limiti nell’interesse pubblico e nell’interesse degli altri privati.

BENE GIURIDICO: ci sono 2 orientamenti:

1. il bene giuridico è il POTERE DI FATTO (possesso o detenzione) che il soggetto derubato aveva sulla res. Questa
concezione è più fedele alla lettera del 624, per cui il ladro deve sottrarre la cosa a chi la DETIENE, intendendo la
detenzione come potere di fatto, a prescindere dal titolo giuridico o dal carattere lecito/illecito della detenzione. Questo
orientamento ritiene configurabile il furtum rei propriae (sottrazione della cosa ai danni del detentore materiale dal
PROPRIETARIO);
2. il bene giuridico è lo STATO DI DIRITTO (proprietà o altri diritti reali in una interpretazione restrittiva; anche diritti
personali di godimento con interpretazione estensiva). Questo orientamento non considera punibile il furtum rei
propriae, facendo leva sul requisito della “altruità” della cosa, oppure poggiando sul fatto che il furto di cosa “comune”
è punito molto meno gravemente e, comparativamente, dovrebbe esserlo anche chi commette furto di cosa propria
perché appunto il bene giuridico tutelato è la proprietà.

La scelta a favore di uno di questi due orientamenti è influenzata dal significato che si dà al concetto di ALTRUITÀ → questa è
un requisito fondamentale nella fattispecie, in quanto la res non deve essere nullius, né communis omnium, né rientrare nella
sfera esclusiva di appartenenza dell’agente.

Invece, deve trovarsi in una relazione giuridica di interesse rilevante con il terzo che ne subisce la sottrazione. Il problema è
stabilire il contenuto di questa relazione: rileva solo il diritto di proprietà o anche diritti di altra natura?

Il diritto penale tutela le relazioni giuridiche non in sé stesse, ma in quanto strumentali a garantire il potere di fatto degli uomini
sui beni della vita: quindi, il soggetto passivo del furto sarà chi possiede la cosa per un titolo che implichi l’esercizio di un potere
immediato di detenzione, godimento o uso della cosa → il concetto di altruità PUÒ BEN COMPRENDERE i diritti di godimento e
uso, sia a carattere reale che personale.

SOGGETTO PASSIVO: è il titolare del diritto o della relazione di interesse con la cosa sottratta.

Se il soggetto che viene spogliato della cosa non coincide con il titolare del diritto, avrà il ruolo di semplice punto di incidenza,
ma non di soggetto passivo.

Questa impostazione non impedisce di configurare il furto nei confronti del ladro, ma il vero soggetto passivo rimane sempre il
titolare del diritto sulla cosa, il cui interesse è pregiudicato ulteriormente dal fatto che il passaggio della cosa a soggetti diversi
ne rende più difficile la riacquisizione.

SOGGETTO ATTIVO: può essere chiunque.

La questione più controversa consiste nella configurabilità del furtum rei proprie → sottrazione commessa dal proprietario ai
danni di chi esercita un diritto di godimento sulla cosa. Gli orientamenti sono diversi ma nel nostro sistema costituzionale la
proprietà, avendo una forte funzione sociale, NON è tutelata fino al punto di consentire che il nudo proprietario, sulla base di
un titolo astratto, si reimpossessi abusivamente di cose che si trovano in una relazione di interesse con altri.

Tuttavia, ci sono degli indici normativi che suggeriscono che il furtum rei propriae non sia punibile:

1. non c’è una fattispecie ad hoc;


2. il 627 punisce il comproprietario che si impossessa della cosa comune con una sanzione ben più mite;
3. chi esercita il suo (presunto) diritto di proprietà sulla cosa, commettendo violenza per sottrarla al possessore,
commetterebbe il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, punto con pena più blanda del furto.
CONDOTTA INCRIMINATA: il fatto punibile è descritto con la formula CHIUNQUE SI IMPOSSESSA DELLA COSA MOBILE ALTRUI,
SOTTRAENDOLA A CHI LA DETIENE. Quindi abbiamo nell’ordine:

-detenzione (che è il presupposto)

-sottrazione

-impossessamento.

Si pone il problema se l’impossessamento e la sottrazione siano due aspetti correlativi di un’unica condotta o due momenti
autonomi e separati.

Il codice Zanardelli descriveva il fatto punibile così: “chiunque si impossessa della cosa mobile altrui rimuovendola dal luogo in
cui si trova”, prediligendo un criterio spaziale ossia la rimozione dal luogo, che poi venne modificato dal legislatore del ‘30 con
un criterio personale quale la sottrazione al detentore, per superare le incertezze che la teoria dell’amotio creava rispetto al
momento consumativo del furto.

Il requisito della DETENZIONE è suscettivo di definizioni diverse, che ne stringono o ampliano i limiti:

- esiste una nozione civilistica di detenzione che consiste in un semplice potere fisico sulla cosa e si distingue dal possesso
in base all'animus del detentore o del possessore: il detentore ha un potere di fatto sulla cosa accompagnato dalla mera
intenzione di tenerla presso di sé (animus detinendi), mentre il possessore vuole esercitare sulla cosa i poteri
corrispondenti al diritto di proprietà o altro diritto reale (animus rem sibi habendi), quindi comportarsi UTI DOMINUS.
- nella materia penalistica, la detenzione è interpretata in modo conforme alle esigenze repressive e agli obiettivi di tutela:
alcuni autori la vedono come l'incontro di un potere di fatto sulla cosa e un corrispondente animus detinendi,
concependo il potere di fatto non come relazione fisica in senso stretto ma come possibilità di stabilire il contatto con
essa; altri autori si accontentano di identificare la detenzione con una relazione materiale.
- altra dottrina nega che la detenzione abbia una funzione essenziale nella fattispecie perché essa non ricomprende alcuni
casi limite, quali il furto su cosa che non è detenuta da alcuno e il furto di cosa materialmente detenuta dallo stesso
soggetto agente.

Per cogliere il vero significato della detenzione bisogna tener presente il legame con il concetto di sottrazione.

In questo senso, la detenzione non è un concetto naturalistico-descrittivo ma NORMATIVO-SOCIALE, perché per definirlo
bisogna ricorrere ai punti di vista socialmente dominanti che la qualificano: la detenzione comprende tutte le situazioni di fatto
che, secondo la valutazione sociale, attribuiscono l'appartenenza della cosa a un terzo (quindi è un potere di disponibilità, purché
questa sia socialmente riconoscibile).

Nei casi in cui la cosa sottratta si trovi provvisoriamente nelle mani dello stesso autore che attua la condotta di sottrazione, il
detentore materiale degrada a longa manus del proprietario o comunque di chi esercita un potere di signoria sulla cosa e questo
spiega perché in alcuni casi anche il detentore apparente possa essere responsabile di sottrazione furtiva.

Naturalmente, questo è un concetto molto elastico e dai confini fluidi; quindi, il compito di individuare le situazioni di detenzione
altrui che fanno da presupposto all'azione furtiva rimane affidato alla giurisprudenza in base alle circostanze del caso singolo.

SOTTRAZIONE E IMPOSSESSAMENTO: sono le modalità aggressive della condotta furtiva. NON sono aspetti correlativi dello
stesso comportamento, ma due momenti autonomi che vanno accertati separatamente

Entrambe presuppongono l'assenza di violenza o minaccia, altrimenti si configura la rapina.

È implicita la necessità del dissenso del derubato: la lesione deve essere arrecata senza la collaborazione, bensì contro la volontà
del soggetto passivo.

La sottrazione determina l'uscita della cosa dalla Signoria di fatto del precedente possessore, quindi, equivale a
spossessamento ed è il presupposto di un nuovo impossessamento. Questa è finalizzata alla perdita della disponibilità della cosa
da parte del soggetto che la deteneva. Non è necessario che ci sia un'apprensione manuale o il dispiego di energie fisiche
personali da parte del reo.

Alla sottrazione succede l'impossessamento, quando la cosa entra nella sfera possessoria di un soggetto diverso dalla vittima.
L'effetto dello spossessamento consiste nell'acquisizione, da parte del reo, di un personale potere di Signoria sulla cosa sottratta:
quindi, egli potrà autonomamente disporne al di fuori della sfera di vigilanza del precedente possessore.

I due fenomeni possono essere contestuali oppure verificarsi in tempi diversi.

OGGETTO MATERIALE: è la COSA MOBILE ALTRUI.


Per cosa mobile si intende ogni entità materiale che abbia una dimensione fisica.

La nozione penalistica di “cosa” ha una portata molto più ristretta, ma allo stesso tempo più ampia, della nozione civilistica di
“beni”: sono definibili “cose” tutti gli oggetti suscettibili di sottrazione da parte del ladro → non vi rientrano i beni immateriali
(come ad es. i prodotti dell'ingegno o i diritti soggettivi) ma vi rientrano i beni immobili mobilizzabili.
Non può costituire cosa sottraibile il corpo umano considerato nella sua interezza, il furto però può avere ad oggetto parti del
corpo già staccate.

Ci si chiede se possa configurarsi furto anche rispetto a cose che soddisfino interessi di natura extra-economica, che non abbiano
un valore economico → la dottrina opta per una soluzione estensiva, includendo tra le cose suscettibili di furto anche quelle che
hanno un semplice valore affettivo.

Tuttavia, c'è un'altra tesi più restrittiva che considera “cose” solo quelle con un valore economico. Questa tesi trova sostegno
nel comma 2 dello stesso articolo 624, che fa rientrare nel concetto di cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia
che abbia un valore economico.

DOLO → volontarietà della sottrazione e dell'impossessamento; consapevolezza dell'altruità della cosa sottratta. Il dolo esula
se l’agente ritiene per un errore di fatto o per un'erronea interpretazione della legge penale che la cosa sia propria.

C'è anche un dolo specifico che sta nel fine di trarre profitto, ma non è necessario ai fini della consumazione del reato che questo
sia conseguito: è sufficiente che l’agente miri a conseguirlo.

Qui si pone il problema sul profitto, se vada inteso in senso prettamente economico o, nel più generico concetto di vantaggio.

In dottrina e in giurisprudenza prevale una concezione estensiva, onnicomprensiva del profitto, per cui sarebbe tale qualsiasi
utilità o godimento o vantaggio che il colpevole si ripromette dall'azione furtiva, compresa la soddisfazione di ordine morale.

Tuttavia, una concezione così estensiva va a neutralizzare la funzione selettiva della punibilità che assolve il dolo specifico: infatti
se per profitto si intendesse ogni possibile soddisfazione materiale o morale, questo fine verrebbe integrato sempre e il dolo
specifico degrada in dolo generico. Volendo interpretare il profitto in una concezione più restrittiva, tra i possibili vantaggi
bisogna selezionare quelli che rappresentano lo scopo tipico verso cui è proiettata l'aggressione furtiva, a prescindere dal
movente psicologico del ladro.

Il furto provoca una rottura delle regole che presiedono allo scambio dei beni nel mercato; quindi, lo scopo sarebbe quello di
evitare l'esborso patrimoniale normalmente necessario per acquisire beni nel libero mercato. Da questa concezione deriva che
per configurarsi il furto le cose debbano avere un valore economico.

La norma non specifica se il profitto debba essere ingiusto o illegittimo → una parte della dottrina dice che l'ingiustizia e
l'illegittimità siano implicite nel profitto, ma la dottrina maggioritaria sostiene la tesi contraria perché ci sono casi in cui il profitto
può essere qualificato come giusto anche in assenza di scriminanti. Quindi il furto è escluso in tutti i casi in cui il profitto
perseguito con l'azione sottrattiva trovi fondamento in una pretesa giuridicamente riconosciuta dall’ordinamento. Rispetto a
questa ipotesi la tutela penale sarà azionabile se ricorrono i presupposti del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

MOMENTO CONSUMATIVO: anche qui sono sorte diverse teorie:

➢ Teoria della contrectatio: la consumazione coincide con il momento in cui si tocca la cosa con mano;
➢ Teoria dell’amotio: richiede la rimozione della cosa dal luogo in cui si trova;
➢ Teoria dell’ablatio: richiede che la cosa sia spostata in un luogo diverso da quello in cui si trova;
➢ Teoria dell’illatio: implica che la cosa sia trasportata in un luogo sicuro precedentemente identificato;

l'attuale codice ha eliminato il riferimento al criterio spaziale, sostituendolo con un criterio personale della sottrazione della
cosa a chi la detiene, ma questo cambiamento non risolve il problema di identificare il momento consumativo.

Secondo Fiandaca-Musco la soluzione preferibile consiste nel far coincidere la consumazione con l'impossessamento, concepito
come momento più pregnante della mera sottrazione → il furto si consuma nel momento in cui l’agente, dopo aver sottratto
la cosa, ne consegua la disponibilità autonoma al di fuori della sfera di sorveglianza della vittima.
APPROPRIAZIONE INDEBITA

Art.646: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria il denaro o la cosa mobile altrui di cui abbia, a
qualsiasi titolo, il possesso, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da
euro 1.000 a euro 3.000.

Se il fatto è commesso su cose possedute a titolo di deposito necessario, la pena è aumentata.”

Il furto si differenzia dall'appropriazione indebita, perché nel furto il ladro, per far propria la cosa altrui, deve prima sottrarla a
chi la detiene; invece, l'autore dell'appropriazione indebita già possiede le cose di cui si impadronisce illecitamente.

Questa differenza spiega la minore gravità attribuita all'appropriazione indebita, perché in questa manca l'attacco alla pace
sociale: anzi, sotto il profilo della vittima c'è una sua corresponsabilità nei casi in cui sia stato lo stesso soggetto passivo, titolare
del diritto di proprietà o di altro diritto, a trasferire il possesso della cosa al soggetto che poi sarà l’autore dell’appropriazione.

La stessa vittima dovrebbe assicurarsi che la persona a cui consegnare cose di sua proprietà sia meritevole di affidamento.

Secondo una tesi risalente, ancorata al codice Zanardelli, il bene protetto è il rapporto di fiducia tra il proprietario e il soggetto
sul quale incombe l'onere di restituzione della cosa posseduta; ma la descrizione normativa odierna, che ha eliminato il requisito
dell'affidamento, fa sì che il bene protetto si identifichi nel diritto di proprietà, ossia l'interesse al rispetto dell'originario vincolo
di destinazione della cosa.

La struttura del reato è caratterizzata da un presupposto possessorio sulla cosa: si richiede che il soggetto attivo ne abbia, a
qualsiasi titolo, il possesso.

Nel diritto penale, a differenza che nel diritto civile, possono essere considerati possessori quelli che hanno un autonomo potere
di fatto sulla cosa e, quindi, che vi esercitano un potere che esula dalla diretta sfera di controllo di chi vanti sulla cosa un potere
giuridico maggiore. Il possesso può fondarsi su qualsiasi titolo che non sia un titolo di trasferimento della proprietà. È da
escludere che il possesso possa avere una provenienza illecita, per cui sarebbe privo di titolo un possesso acquisito mediante
una condotta criminosa.

È proprio la richiesta di un titolo qualunque l'elemento che innova rispetto al codice Zanardelli, nel quale invece si richiedeva
che la cosa oggetto di appropriazione fosse stata affidata o consegnata al reo.

Occorre che il possesso preceda e perduri durante la realizzazione dell'atto di appropriazione.

La condotta incriminata consiste nell'appropriazione. L’agente deve comportarsi nei confronti della cosa uti dominus = come se
ne fosse il proprietario. Si parla anche di “interversione del possesso”, quando il possesso tramuta in proprietà e si viene a creare
una situazione di fatto analoga alla posizione giuridica di proprietario.

Il problema sta nel determinare le forme di manifestazione e i limiti della condotta appropriativa penalmente rilevante: le forme
tipiche di manifestazione del reato sono:

▪ consumazione
▪ alienazione
▪ ritenzione=comportamento omissivo di chi viola l'obbligo di restituire cose possedute. È necessaria una condotta che
manifesti positivamente il rifiuto di restituire, come ad esempio negare di avere la cosa o nasconderlo;
▪ distrazione = consiste nel dare alla cosa una destinazione diversa da quella originaria, incompatibile con il titolo e le
ragioni del possesso.

Limiti: quando si fa un uso indebito della cosa posseduta, perché questo rilevi come appropriazione indebita, occorre un quid
pluris che si ha quando si eccedono i limiti del titolo in virtù del quale l'agente deteneva in custodia la cosa, di modo che l'atto
compiuto comporti un impossessamento, sia pur temporaneo, del bene.

Oggetto materiale: la cosa mobile o il denaro.

Quando la condotta ha ad oggetto cose fungibili come il denaro il soggetto è tenuto a restituire il tandundem (stessa quantità e
valore), quindi l’appropriazione e la alienazione delle banconote non rileva come appropriazione indebita, purché sussistano
l’intenzione e la possibilità di restituzione.

ALTRUITÀ del denaro/cosa: l’orientamento più tradizionale considera “altrui” la cosa che fa parte del diritto di proprietà di un
altro soggetto alla stregua del diritto civile; la giurisprudenza però rifiuta di ancorare il concetto di altruità alle norme civilistiche.
Il delitto di appropriazione indebita si configura quando, chi dispone di una cosa/somma di denaro, dia loro una destinazione
incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso, a prescindere dalla titolarità formale del diritto di proprietà.
DOLO: è specifico → coscienza e volontà di appropriarsi definitivamente della cosa; fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto
profitto. L’intenzione di restituire la cosa, se sussiste dal principio, esclude il dolo. L’errore sull’altruità scusa ex art.47 co.3 (error
juris che si traduce in error facti).

Il profitto va inteso in un’accezione economico-patrimoniale. In questo caso è espressamente richiesto che il profitto sia
INGIUSTO, cioè che non sia fondato su una pretesa.

CONSUMAZIONE: si ha quando si realizza all’esterno uno dei comportamenti idonei.

AGGRAVANTE SPECIALE: aver commesso il fatto su cose possedute a titolo di deposito necessario → art.1864 cc del 1865,
deposito a cui si è costretti da incidenti, incendi, saccheggio, o altro avvenimento non previsto.
RAPINA

ART.628 “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, mediante violenza alla persona o minaccia, s'impossessa
della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro
927 a euro 2.500.

Alla stessa pena soggiace chi adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il
possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l'impunità.”

La rapina è una figura di reato autonoma, che ha una definizione essenzialmente unitaria ma si distingue in rapina propria ed
impropria, a seconda del diverso momento cronologico e della diversa direzione della violenza o della minaccia posta in essere
dall’agente.

Dottrina e giurisprudenza qualificano la rapina come reato complesso, i cui elementi costitutivo sono il furto e la violenza privata
ma questo assunto si espone a obiezioni:

- il concorso tra furto e violenza privata non giustifica l’essenza dell’illecito, che ha un disvalore più intenso, maggiore in
termini di allarme collettivo e rottura della sicurezza sociale;
- non è vero che la violenza della rapina sia sempre riconducibile alla violenza privata;
- ai sensi del 581 co.2, nella rapina rimane assorbita solo la violenza che si manifesta come percosse, mentre altre violenze
con un disvalore superiore concorrono con la rapina.

RAPINA PROPRIA

È un reato plurioffensivo: oltre a tutelare il pacifico possesso delle cose mobili, tutela anche la libertà di autodeterminazione e
l’integrità fisica del soggetto passivo.

Essendo la violenza e la minaccia strumentali rispetto all’aggressione del patrimonio, non assumono lo stesso valore gerarchico
in termini di tutela di quest’ultimo, per cui è prevalente il profilo patrimoniale della tutela; tuttavia, ultimamente il disvalore
della rapina viene percepito socialmente come una delle più temibili aggressioni alla persona, così si spiega la propensione a
ritenerlo comunque un reato plurioffensivo.

SOGGETTO ATTIVO: chiunque, purché diverso da chi possiede la cosa. Il peculiare disvalore del reato fa includere tra i papabili
soggetti attivi anche il proprietario della cosa, qualora questa sia posseduta da altri a titolo di diritto reale o obbligatorio.

CONDOTTA INCRIMINATA: violenza o minaccia finalizzate all’impossessamento della cosa, allo scopo di trarne profitto. La
violenza o la minaccia sono lo strumento per impossessarsi della cosa.

Violenza→forma di coazione del volere che ricomprende tutto quanto è idoneo a costringere. Essa priva l'aggredito della
capacità di formare e attuare liberamente la propria volontà; non si limita solo alla vis corpori data ma si estende a qualsiasi
mezzo fisico (ad esempio narcosi, uso di lacrimogeni). Deve essere rivolta contro la persona (la rapina non è configurabile se la
violenza viene rivolta alle cose) ma non è necessario che sia indirizzata al detentore della cosa: può essere anche un terzo, purché
ci sia un legame tale da proiettare gli effetti coercitivi sul detentore.

Minaccia→mezzo di coartazione della volontà, mediante la prospettazione di un male ingiusto e futuro, che consiste nella
lesione o messa in pericolo di beni giuridici del soggetto passivo o di terzi a lui legati. Anche questa può essere diretta contro
una persona diversa dal soggetto passivo.

Secondo il legislatore, l’impossessamento e la sottrazione vanno considerati in maniera distinta fra di loro: la sottrazione è il
primo momento dell'iter criminis che progredisce e si conclude con l’impossessamento, ossia la fase dell'instaurazione
dell'autonomo potere di disposizione sulla cosa.

La sottrazione implica l'eliminazione dell'altro possesso e presuppone il dissenso di colui che la subisce.

L'impossessamento è il momento consumativo del delitto e coincide con l'acquisizione di un autonomo potere di Signoria sulla
cosa al di fuori dell'altrui di vigilanza.

Se nel furto la costituzione di un autonomo possesso presuppone la fuoriuscita della cosa mobile dalla sfera di sorveglianza del
detentore (in modo che egli non possa recuperarla), nella rapina l'effetto coercitivo prodotto dalla violenza/minaccia rende
superfluo il riferimento all'altrui sfera di sorveglianza, presupponendo che la vittima non sia capace di reazione perché
pregiudicata nelle sue capacità psicofisiche.

Il concetto di detenzione nella rapina ha una sua peculiarità perché, dato che la sottrazione e l'impossessamento devono essere
compiuti con violenza o minaccia, c'è bisogno che le cose si trovino nell'immediata vicinanza o disponibilità della vittima.
L'OGGETTO MATERIALE della rapina è la cosa mobile.

DOLO: dolo specifico→rileva il fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto. Interpretazione del termine profitto → questo
viene de-economicizzato e de-patrimonializzato: coincide con qualsiasi vantaggio/piacere, sia morale che sentimentale e questo
è suggerito dalla descrizione normativa della rapina che non collega necessariamente il profitto alla cosa, ma utilizza una
locuzione più ampia, essendo sufficiente che l'azione sia svolta per procurare a sé o ad altri un vantaggio. Tuttavia, bisogna pur
delimitare la nozione di profitto: così, il delitto di rapina dovrebbe esulare tutte le volte in cui il fatto è commesso per una finalità
extra-economica come guastare, distruggere e disarmare. Il profitto DEVE essere ingiusto per espressa previsione normativa (è
giusto il profitto se si fonda su un diritto soggettivo o su una pretesa che viene tutelata dall'ordinamento giuridico).

Il tentativo è ammissibile e ricorre quando l'autore, nonostante l'uso della violenza o della minaccia non riesca a sottrarre o ad
impossessarsi della cosa mobile.

Circostanze aggravanti:

o la violenza o minaccia è commessa con armi o da persona travisata o da più persone riunite;
o la violenza consiste nel porre taluno in stato di incapacità di volere o di agire;
o la violenza o la minaccia sono poste in essere da persona che fa parte di associazione di stampo mafioso;

nel 2013 sono state aggiunte altre 5 nuove circostanze aggravanti, tra cui il fatto commesso all'interno di mezzi di pubblico
trasporto o fatto commesso ai danni di persona ultrasessantenne ecc.

RAPINA IMPROPRIA

La rapina impropria ha un disvalore penalistico autonomo rispetto alla rapina propria e si caratterizza per l'uso della violenza o
della minaccia immediatamente dopo la sottrazione della cosa, finalizzata ad assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa
sottratta o di procurare a sé o ad altri l'impunità.

Quindi, l'attività di coercizione deve essere esercitata immediatamente dopo la sottrazione.

L'orientamento dottrinale e giurisprudenziale maggioritario, per specificare il requisito dell'immediatezza, fa ricorso al


parametro della “flagranza” o “quasi flagranza”; questa tesi è in accoglibile, perché la situazione di flagranza richiederebbe un
rapporto di attualità tra il furto e l'uso della violenza, mentre utilizzando il concetto di quasi flagranza sarebbe configurabile la
rapina impropria anche in casi in cui la violenza o la minaccia siano adoperate a distanza rilevante di tempo e in un luogo distante
da quello in cui si realizza la sottrazione.

Perché l'uso di violenza di minaccia sia immediatamente successivo alla sottrazione, l'azione esecutiva deve trovarsi in un
momento temporale successivo all'apprensione materiale della cosa ma in cui il reo non sia ancora riuscito ad instaurare un
autonomo potere di disponibilità sulla cosa: l'immediatezza si inserisce proprio in questa fase interinale.

La rapina impropria è punita a titolo di DOLO SPECIFICO→la violenza e la minaccia devono essere usate per assicurare a sé o ad
altri il possesso della cosa sottratta, ovvero l'impunità.

Assicurare il possesso significa che il soggetto attivo tenta di instaurare un autonomo possesso sulla cosa sottratta, al di fuori
della sfera di sorveglianza della vittima; alcuni sostengono che procurare l'impunità equivale a sottrarsi all'arresto, tuttavia, una
separazione tra questi due concetti si può riscontrare in sede di disciplina delle aggravanti dell'omicidio, in cui “commettere il
reato per procurarsi l'impunità di un altro reato” e “aver commesso il fatto per sottrarsi all'arresto” sono due aggravanti distinte.

D'altra parte, il soggetto che dopo la sottrazione usa violenza o minaccia per sottrarsi all'arresto risponde ad un istinto di
conservazione che rivela una minore pericolosità sociale di chi invece usa mezzi di coercizione [non perché sia esposto ad un
rischio ma] per evitare le conseguenze penali e processuali del fatto commesso.

È configurabile il tentativo però bisogna operare una distinzione:

- se il soggetto dopo la sottrazione della cosa altrui tenta di usare (senza riuscirvi) violenza o minaccia nei confronti di chi
vuole impedirgli di assicurarsi il possesso della cosa o procurarsi l'impunità;
- se l'autore usi violenza minaccia dopo aver tentato di sottrarre senza esservi riuscito la cosa mobile altrui;

è la seconda ipotesi che ammette il tentativo.


ESTORSIONE

ART.629: “Chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad
altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro
4.000.”

L'estorsione è un delitto di cooperazione con la vittima, la cui attività è indispensabile per l'integrazione della fattispecie.

Il codice Zanardelli prevedeva due diverse ipotesi di reato: l'estorsione vera e propria, consistente nel costringere qualcuno a
mandare, depositare o mettere a disposizione del colpevole denaro, cose o atti, e la pseudo-estorsione, ossia la costrizione a
consegnare, sottoscrivere o distruggere un atto.

Il codice Rocco ha fuso queste ipotesi criminose e ha concepito l'estorsione come forma di violenza privata, qualificata
dall'estremo del trarre profitto con altrui danno.

C'è una summa divisio da fare tra estorsioni che servono a comprare il silenzio (in cui l'autore mira a conseguire un profitto
patrimoniale illecito dalla conoscenza di fatti illeciti commessi dalle vittime, minacciandole di portare alla luce la conoscenza di
questi fatti) e le estorsioni che si autogiustificano, che sono una forma classica di criminalità violenta.

Il bene giuridico tutelato è il patrimonio nel suo complesso contro le aggressioni che pregiudicano, al tempo stesso, la libertà di
autodeterminazione della vittima.

Il delitto può essere commesso da chiunque, perché se fosse commesso da pubblico ufficiale si configurerebbe una concussione.

La condotta incriminata consiste nell'uso di violenza o minaccia, diretto a creare uno stato di costrizione psichica e ad ottenere
un profitto ingiusto per sé o altri con altrui danno. La violenza o la minaccia sono lo strumento necessario per causare un doppio
evento: la coartazione della volontà e la disposizione patrimoniale lesiva.

Per violenza si intende la vis compulsiva, nozione ampia, che indica un tipo di violenza che lascia al soggetto un minimo di
possibilità di volere e di agire (a differenza della violenza usata nella rapina, che pone la vittima in uno stato totale di incapacità).
Questa può essere esercitata sulle cose o sulle persone.

La minaccia è il mezzo più comune di realizzazione dell'estorsione: consiste nella prospettazione di un male futuro, la cui
verificazione dipende dalla volontà dell'autore; la minaccia deve essere seria, idonea a coartare la volontà del soggetto passivo,
ma non è necessario che sia ingiusta (rileva soltanto che sia finalizzata ad ottenere un profitto ingiusto con altri danno). Può
avere qualsiasi forma, sia esplicita che larvata (anzi, la giurisprudenza la rileva anche nelle esortazioni o nei consigli).

Può avvenire che uno strumento giuridico teoricamente legittimo venga usato per scopi diversi da quelli per cui è stato
apprestato e possa integrare una minaccia ingiusta, perché ingiusto è il fine a cui essa tende. La minaccia può avere come
contenuto anche un comportamento omissivo, a condizione che sul soggetto minacciante gravi un obbligo giuridico di compiere
l'azione la cui omissione viene minacciata. La minaccia può anche consistere nel prospettare il mantenimento di una situazione
dannosa, in atto esistente e che si è contribuito a determinare. La minaccia è integrata anche da quei comportamenti che, in
apparenza sono diretti alla realizzazione del contenuto di un diritto, ma in realtà mirano a perseguire un obiettivo diverso e
confliggente con quello tipico (ad es. la presentazione di una querela quando essa persegue una finalità illegittima).

Violenza e minaccia possono essere esercitate anche nei confronti di un soggetto diverso dalla vittima, purché queste siano
idonee a riflettersi su questo soggetto a causa dei legami tra lui e la vittima.

Lo scopo della violenza e della minaccia deve essere quello di produrre un effetto di costrizione sulla vittima: occorre un nesso
causale tra la condotta e la situazione di coazione psicologica, che costituisce l'evento intermedio tra la condotta e l'atto di
disposizione patrimoniale effettuato dalla vittima, il quale arreca l'ingiusto profitto con altrui danno. Questo evento psicologico
deve essere causato direttamente dalla condotta del soggetto attivo.

La disposizione patrimoniale consiste in un fare o omettere qualcosa, che sono termini molto generici e permettono di coprire
un ampio spettro di comportamenti quali l'alienazione di un bene, la remissione di un debito, la consegna di un bene, l'estinzione
di un'obbligazione. L'estorsione può aggredire qualsiasi parte del patrimonio della vittima, comprese le aspettative di diritto (ad
es. è estorsione costringere qualcuno a rinunciare all'eredità per rimanere l'unico erede). Questi atti di disposizione devono
essere atti giuridici validi, produttivi di conseguenze giuridiche; quindi, è esclusa l'estorsione in presenza di atti inesistenti o nulli,
mentre si configura in presenza di atti annullabili.

Il comportamento del soggetto passivo deve procurare al reo o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno: la presenza del
danno non implica l'esistenza del profitto; infatti, sono due requisiti autonomi l'uno dall'altro.
Il danno ha contenuto esclusivamente patrimoniale e comprende ogni depauperazione del patrimonio, sia sotto il profilo di
danno emergente che di lucro cessante.
Il profitto, anch’esso da intendere termini esclusivamente patrimoniali, ricomprende ogni forma di arricchimento o di evitato
depauperamento del patrimonio del soggetto attivo o del terzo beneficiario. Il profitto deve anche essere ingiusto: manca
quando si fonda su una pretesa tutelata dall’ordinamento; invece, è ingiusto il profitto che scaturisce da un abuso del diritto
(inteso come uso dei mezzi giuridici per fini diversi da quelli tipici).

DOLO→è controverso. L’opinione tradizionale propende per il dolo specifico, sul presupposto che la fattispecie incriminatrice
richiede la coscienza e la volontà di costringere un terzo a fare una donazione e lo scopo di conseguire un profitto ingiusto con
altrui danno. Tuttavia, questa tesi è infondata perché il conseguimento dell'ingiusto profitto con altrui danno non sta fuori dal
fatto di reato ma ne costituisce l’evento voluto dall’agente. È rilevante l'errore sull'ingiustizia del profitto, ove si traduca in errore
sul fatto.

CONSUMAZIONE: c’è un orientamento giurisprudenziale che vuole anticipare il momento consumativo a quando il reo acquista
la MERA DISPONIBILITÀ del prodotto dell’attività criminosa, anche per un breve periodo di tempo; questa tesi è inaccettabile
perché trasforma il reato da reato di evento a reato di mera condotta. È necessario, invece, che l’agente consegua la disponibilità
effettiva e autonoma nel tempo e nello spazio del bene o del denaro, oggetto della lesione patrimoniale patita dalla vittima.

❖ DIFFERENZA CON LA RAPINA: il discrimine è l’elemento dell’autonoma collaborazione della vittima→ nella rapina non
c’è nessun contributo; nell’estorsione è un elemento ESSENZIALE.
❖ DIFFERENZA CON L’ESERCIZIO ARBITRARIO DELLE PROPRIE RAGIONI: il discrimine è il fine perseguito dall’agente →
nell’esercizio arbitrario il soggetto suppone di essere titolare di un diritto e agisce con lo scopo di esercitarlo;
nell’estorsione il fine è quello di conseguire un ingiusto profitto.
❖ DIFFERENZA CON VIOLENZA PRIVATA: l’estorsione non prevede la tolleranza come condotta passiva, ma richiede che il
soggetto attivo realizzi un ingiusto profitto patrimoniale con altrui danno.

SEQUESTRO A SCOPO DI ESTORSIONE

ART.630: “Chiunque sequestra una persona allo scopo di conseguire, per sé o per altri, un ingiusto profitto come prezzo della
liberazione, é punito con la reclusione da venticinque a trenta anni.”

Il sequestro a scopo di estorsione rientra nel novero dei reati tipici della criminalità organizzata, che ha alimentato reazioni
legislative emergenziali, tendenti per un verso a rendere più rigoroso il trattamento punitivo e per altro verso favorire forme di
ravvedimento funzionalizzate alla liberazione dell'ostaggio.

Nell’impostazione codicistica originaria il sequestro a scopo di estorsione era concepito come una speciale forma di estorsione
caratterizzata dal mezzo oppure come un sequestro di persona qualificato dal fine di estorcere.

La collocazione nel Titolo 13 ne accentuava la connotazione patrimonialistica, attribuendo prevalenza al profilo patrimoniale.
Questa originaria impostazione sembrava mettere in secondo piano il bene giuridico della libertà, motivo per cui la fattispecie
ha subito diverse modifiche

- 1974 → inasprì il trattamento sanzionatorio e previde un’attenuazione per l’agente che si adoperasse per far riacquisire
la libertà al sequestrato;
- 1978→a seguito del sequestro dell’On. Moro ci fu un ulteriore inasprimento delle pene edittali e un potenziamento
della prospettiva premiale per il concorrente che si adoperasse per la liberazione dell’ostaggio. Inoltre, inserisce il
289bis, scorporando la fattispecie di sequestro politico e facendola rientrare nei delitti contro la personalità dello Stato;
- 1980→rivede solo la parte premiale introducendo un’ipotesi di ravvedimento attivo a favore del concorrente che si
adopera affinché il delitto non sfoci in conseguenze ulteriori o aiuti l’autorità di polizia o giudiziaria;
- 1991 → attuale. Altre attenuazioni di pena per chi appresti un contributo di eccezionale rilevanza.

La Corte Costituzionale con sent. 19 marzo 2012 n.68 ha dichiarato l’illegittimità del 630 nella parte in cui non prevede che le
pene siano diminuite quando il fatto risulti di lieve entità, attenuante che è prevista invece per il sequestro di persona a scopo
di terrorismo o eversione.

Oggetto della tutela: libertà personale è messa in primo piano, lasciando sullo sfondo la componente patrimonialistica.

CONDOTTA TIPICA: sequestrare una persona → privarla della libertà personale ossia possibilità di libero movimento nello spazio.
È sufficiente anche una impossibilità relativa ed è indifferente il modo con cui il sequestro è eseguito, se con violenza morale,
mezzi ingannatori o coercizione fisica.
Si pone il problema della DURATA MINIMA della compressione della libertà: la giurisprudenza talvolta si accontenta di un tempo
di un certo rilievo, talaltra esige un tempo giuridicamente apprezzabile. Alcune pronunce considerano sufficiente anche un lasso
di tempo breve o brevissimo. Trattandosi di reato permanente è necessario un periodo più o meno lungo per aversi un sequestro
consumato, altrimenti si è ancora nel tentativo.

I commi 2 e 3 del 630 prevedono una IPOTESI DI EVENTO AGGRAVANTE costituita dalla MORTE, voluta o non voluta→questa
ipotesi configura un delitto aggravato dall’evento (morte), imputabile sulla base del solo nesso causale (quindi a titolo di
responsabilità oggettiva) al reo. La pena è di reclusione di 30 anni. Se l’evento morte è volontariamente provocato si tratta di
omicidio volontario, che secondo la giurisprudenza integra un reato complesso (sequestro + omicidio) e non un concorso di
reati. La pena è dell’ergastolo.

DOLO→ è specifico: scopo di conseguire per sé o per altri un ingiusto profitto come prezzo della liberazione. Conferisce
autonomia alla fattispecie, differenziandola dalla fattispecie base di sequestro di persona ex art.605.
TRUFFA

ART.640: “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno,
è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032.”

Il bene giuridico tutelato è il patrimonio, offendibile con il ricorso alla frode.

È un reato di evento, anzi di eventi perché di ne richiede parecchi: consiste nel fatto di chiunque, mediante artifizi o raggiri,
inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno. Oltre all'induzione in errore, la
realizzazione del profitto e del danno richiede un “elemento implicito di fattispecie” (perché tutti hanno ritenuto sempre che
fosse necessario) rappresentato dall'atto di disposizione patrimoniale. Quindi nell’ordine ci sono:

artifici/raggiri → induzione in errore → atto dispositivo → danno patrimoniale e profitto ingiusto.

Il nucleo centrale della condotta incriminata è l’attività diretta a PERSUADERE, MEDIANTE ARTIFIZI O RAGGIRI, che deve
determinare nella vittima (nei modi della causalità psicologica) un ERRORE (evento intermedio) produttivo del DANNO
PATRIMONIALE. Generalmente si considera la truffa un reato a condotta vincolata, perché l’induzione deve essere realizzata
mediante gli artifici/raggiri.

ARTIFIZI O RAGGIRI: gli artifizi sono qualunque modificazione della realtà esterna; il raggiro, invece, non necessariamente deve
passare attraverso una modificazione della realtà esterna, potendo direttamente incidere sulla psiche del soggetto passivo. Una
persona, quindi, viene raggirata quando viene manipolata, quando le si fa credere in qualsiasi modo una cosa diversa da quella
reale.

Un problema classico della fattispecie di truffa è sempre stato la configurabilità della truffa mediante delle semplici bugie: la
dottrina ha cercato di opporsi a una conclusione di questo tipo, dicendo che occorre qualcosa di più di una semplice menzogna,
ma la giurisprudenza, sebbene a fasi alterne, ha avuto la meglio, affermando che in realtà ciò che si deve verificare è anche un
danno in rapporto causale rispetto alla menzogna, quindi la menzogna da sola non è sufficiente: questa deve aver cagionato un
danno e nella verificazione del danno si condensa il disvalore penale del fatto. Occorre, inoltre, un giudizio di evitabilità-
inevitabilità dell’errore in cui cade la vittima e un giudizio sulla legittimità dell’affidamento.

→ anche con le menzogne, se hanno determinato un’induzione in errore e se questa ha portato il soggetto a compiere l'atto di
disposizione patrimoniale, e se dall'atto di disposizione patrimoniale è derivato un danno per la persona e il vantaggio per l'altro,
anche in questo caso si può configurare truffa. 

Inoltre, ci si è chiesti se si potesse configurare truffa a seguito di una semplice omissione [pensate al caso di Tizio che vende un
appartamento a Caio, tacendo che questo appartamento e ha dei problemi strutturali] o silenzio o reticenza: secondo la
dottrina, questa non sarebbe truffa perché non ci sono artifizi o raggiri; invece la giurisprudenza, sempre in base a
un'interpretazione di carattere estensivo, ritiene che comunque in questo caso il soggetto sia stato indotto in errore e allora,
ove ci sia un obbligo di affermare la verità e quest'obbligo sia stato violato, è configurabile la truffa. Il punto è che, dato che la
truffa solitamente si realizza nella stipulazione di un contratto, un obbligo giuridico di dire il vero lo troverò sempre.

Quindi, la truffa cessa di essere un reato a condotta vincolata e diventa un reato a condotta libera, perché ciò che alla fine rileva
è solo ed esclusivamente che si sia indotto in errore il soggetto passivo e che si sia cagionato un errore.

L’attività induttiva deve cagionare un ERRORE: falsa o distorta rappresentazione di circostanze di fatto capaci di incidere sul
processo di formazione della volontà. Bisogna distinguere tra errore e DUBBIO: chi versa in uno stato di dubbio è meno
vulnerabile di chi ha una convinzione erronea → distinguere tra dubbio rilevante e irrilevante: se il dubbio della vittima è sorretto
da elementi concreti sui quali potrebbe indagare e prevenire la caduta in errore, non si applica la truffa; se la vittima nutre un
dubbio “indefinito” che da sola non sarebbe in grado di fugare, si applica la truffa.

Il REQUISITO IMPLICITO DI FATTISPECIE è l’atto di disposizione patrimoniale da parte dell’ingannato. Questo elemento riflette
la concezione di truffa come reato modellato sulla cooperazione della vittima. La disposizione patrimoniale può avere ad oggetto
qualsiasi elemento costitutivo del patrimonio → beni mobili, immobili, diritti, obbligazioni, prestazioni e servizi, oneri.

Un ruolo centrale gioca il DANNO altrui, quale ulteriore evento provocato dall’induzione in errore. Esso non ha più un’impronta
prettamente economica/patrimoniale, ma la dottrina propende per una concezione OBIETTIVO-ECONOMICA del danno: ossia
lo identifica con un danno patrimoniale effettivo, sotto forma di danno emergente e lucro cessante, accertabile sulla base di
valutazioni di mercato. Tuttavia, si fa ricorso anche a parametri soggettivi.

Oltre alla causazione di un danno, la truffa presuppone anche il conseguimento di un profitto ingiusto. Quest’ultimo non è
sempre implicito nel danno: sono due elementi che vanno accertati autonomamente l’uno dall’altro. Il profitto non deve
necessariamente essere economico, può anche consistere nel soddisfacimento di un interesse psicologico morale.
DOLO → è generico: coscienza e volontà riferite a TUTTI GLI ELEMENTI DELLA FATTISPECIE, compresi il danno e il profitto. È
escluso dalla falsa convinzione della giustizia del profitto conseguito.

MOMENTO OCNSUMATIVO: appena si verifica l’ultimo evento conseguente dalla condotta ingannatrice (danno o evento).
Artifici o raggiri idonei possono integrare un tentativo.

A partire dagli anni ’90, l'Unione Europea erogava delle sovvenzioni, dei finanziamenti notevoli agli Stati, chiedendo loro delle
rassicurazioni e, quindi, che introducessero delle ipotesi di responsabilità penale che omologassero la tutela degli interessi
finanziari dell'unione europea alla tutela degli interessi finanziari degli Stati nazionali. Questo si chiama principio di assimilazione
cioè tu devi garantire una identica tutela all'uno e all'altro interesse, in contrapposizione con il principio di armonizzazione che
è quello che richiede tutele analoghe (non identiche).

Allora il legislatore ha introdotto, nel 1990, l'articolo 640-bis Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e
l'articolo 316-bis che è la malversazione ai danni dello Stato, con due provvedimenti legislativi differenti. Poi nel 2000 il
legislatore è andato oltre e, nel dare adempimento alla convenzione OCSE, ha introdotto l'articolo 316-ter.

Il 640-bis richiama il 640 e il 640 è una truffa.

Com'è interpretabile l'articolo 640-bis: noi potremmo ritenere che gli elementi costitutivi dell'articolo 640-bis siano suscettibili
di interpretazione autonoma ed eventualmente divergente rispetto all'articolo 640, laddove pensassimo che l'articolo 640-bis
sia un'ipotesi autonoma di reato (e qualche ragione per pensarlo ci sarebbe, perché il 640-bis è stato introdotto per dare seguito
alle indicazioni europee di rafforzare la tutela). Tuttavia, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in una pronuncia risalente,
hanno ritenuto trattarsi di una circostanza che, in quanto tale, si trova in rapporto di specialità rispetto all’ipotesi autonoma.
Ma la specialità non è sufficiente, quindi le Sezioni Unite ritennero che, in considerazione della rubrica, della tecnica di
descrizione, il 640-bis fosse un'ipotesi aggravata rispetto all'articolo 640, con la conseguenza che gli elementi dell'articolo 640-
bis devono essere gli stessi del 640.

Dunque, la truffa è configurabile mediante dichiarazioni false e anche mediante l'omissione di informazioni vere, laddove ci sia
un obbligo di riferirle.

Dal punto di vista temporale, il 640-bis si colloca in uno spazio che è antecedente all'ipotesi di malversazione (che è quella in cui
io utilizzo gli artifizi o raggiri e ottengo i finanziamenti), però il momento in cui si realizza la fattispecie di truffa aggravata è
diverso rispetto all'omessa destinazione delle somme. Possono darsi diverse ipotesi: quello in cui faccio carte false e ottengo un
finanziamento che poi destino effettivamente all'uso che è prescritto, quello in cui faccio carte false e non destino questo
finanziamento, quello in cui io invece ho dichiarato il vero ma poi non lo destino. sono tutte ipotesi diverse che hanno un diverso
disvalore, quindi non c’è ragione per escludere la possibilità di un concorso tra fattispecie. La giurisprudenza ritiene che questi
reati siano diversi, quindi non c’è concorso di reati, per cui si applicherà il regime più favorevole del cumulo delle pene e non del
tot crimina tot pena.

Abbiamo sia la truffa sia la malversazione e questa ha avuto pochissime applicazioni giurisprudenziali, perché da un lato spazi
per realizzare la malversazione quando si tratta di opere materiali ce ne sono poche; per altro verso, invece, la malversazione in
rapporto alla realizzazione di servizi è sempre stata molto più insidiosa perché gli spazi di manovra illecita sono maggiori.

Il legislatore ha voluto introdurre una disposizione ulteriore, l'articolo 316-ter, la cui struttura è perfettamente coincidente con
la struttura della truffa. Ci sono delle differenze di carattere terminologico, perché si richiede la produzione materiale di
documenti falsi, ma questa non è una divergenza apprezzabile, posto che nella truffa si richiedono gli artifizi, quali la
falsificazione di materiale documentale, la dichiarazione mendace e la giurisprudenza fa rientrare nel concetto di raggiro le
bugie, oppure si prevede l'omessa dichiarazione di informazioni richieste.

Quali altre differenze si ravvisano nella struttura della fattispecie dell'articolo 316-ter rispetto al 640-bis? Manca l'induzione in
errore! L'art. 316-ter non parla di induzione in errore (ci deve essere una persona fisica che viene ingannata) invece la prassi
dell'erogazione dei finanziamenti in sede europea quand'è che presume che il soggetto la persona fisica sia stata ingannata
perché in realtà è una prassi standardizzata tu fai presente una certa documentazione fai una certa dichiarazione io ti assegno
il finanziamento poi controlli li faccio dopo e li faccio a campione quindi hanno detto alle sezioni unite apparentemente le
fattispecie sono identiche ma in realtà, mentre la truffa si calibra su una situazione in cui c'è una persona che viene fisicamente
tratta in inganno, nel caso invece di procedure standardizzate, con la realizzazione di verifiche a campione, richiede che qualcuno
sia stato tratto in inganno quindi l'articolo 316-ter serve perché copre questa tipologia di comportamenti che diversamente non
sarebbero rientrati. Tra il 316-ter e del 640-bis è più gravemente punito l’ultimo… Ora io voglio rinforzare la tutela dell'UE, evinco
che la maggior parte delle ipotesi rientrano nell'articolo 316-ter e predispongo una tutela diminuita per gli interessi dell'unione
europea nell'adempimento degli obblighi della convenzione? È paradossale, ma è così.
INSOLVENZA FRAUDOLENTA

Art.641: “Chiunque, dissimulando il proprio stato d'insolvenza, contrae un'obbligazione col proposito di non adempierla è punito,
a querela della persona offesa, qualora l'obbligazione non sia adempiuta, con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a
euro 516.

L'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima della condanna estingue il reato.”

Questa fattispecie è stata inserita per la prima volta nel codice Rocco del 1930 allo scopo di ricomprendere alcune situazioni non
riconducibili alla truffa per la mancanza dell'artifizio e del raggiro; più in particolare, si volle creare una figura autonoma di reato
per estendere la tutela penale a quei tipi di inadempimento rispetto ai quali la tutela civile sarebbe apparsa inadeguata.

Si tratta di un'ipotesi peculiare di frode, caratterizzata da una minore lesività, perché il soggetto viene ingannato circa il leale
adempimento della prestazione ad opera della controparte.

Il bene giuridico tutelato è il patrimonio della vittima, ma anche la buona fede contrattuale.

L'insolvenza fraudolenta, sebbene orientata a incriminare fatti bagatellari, è anche capace di reprimere comportamenti di
maggior gravità come, ad esempio, quelli del mondo imprenditoriale e societario.

SOGGETTO ATTIVO: il reato può essere commesso da chiunque.

CONDOTTA INCRIMINATA: si articola in tre momenti:

1) dissimulazione dello stato di insolvenza = alterare la situazione di buona fede, impedendo ad una parte di cogliere la
reale posizione economica dell'altra. Si inserisce in una relazione a prestazioni corrispettive, andando ad inficiare il
processo motivazionale che induce alla conclusione del negozio.

La differenza con l'artificio/raggiro tipici della truffa è che questi inducono in errore, mentre la dissimulazione consiste nel
mantenere la controparte in uno stato di ignoranza rispetto alle circostanze del patrimonio dell’agente; è anche vero che è la
dissimulazione produce l'effetto di far apparire una situazione diversa da quella reale, quindi anche qui in realtà la controparte
adempie sul presupposto di un erroneo convincimento…per risolvere questo punto bisogna vedere se la condotta sia tale da
stimolare la controparte a riflettere su fatti specifici o incoraggi un affidamento definitivo.

La dissimulazione non si concretizza in un comportamento positivo, bensì in una condotta negativa: quindi è escluso il reato
qualora la condotta della controparte riveli manifestamente l'indisponibilità ad adempiere l'obbligazione.

Oggetto della dissimulazione è proprio lo stato di insolvenza, cioè l'impossibilità economico-finanziaria di adempiere
l'obbligazione assunta. Tale stato di insolvenza deve esistere al momento della nascita dell'obbligazione si deve protrarre fino al
momento dell'adempimento. L'adempimento dell'obbligazione, in seguito al miglioramento delle condizioni economiche,
esclude la configurabilità del reato.

2) Contrazione;
3) inadempimento dell'obbligazione.

Le obbligazioni rilevanti ai fini della configurabilità del reato sono quelle a prestazioni corrispettive (l'esempio tipico è il
contratto a titolo oneroso) che hanno ad oggetto una prestazione di DARE → non rilevano quelle che hanno come contenuto
un facere di carattere personale, le obbligazioni a titolo gratuito e quelle che consistono in un semplice omettere (ad es.
l'obbligazione di restituire una cosa di cui si sia acquisito il possesso - qui si configura l'appropriazione indebita).

L’obbligazione deve essere valida e produttiva di effetti giuridici perché nasca l’obbligo di adempimento: sono tutelate le
obbligazioni ANNULLABILI, mentre non ricevono tutela quelle invalide e usurarie.

L’INADEMPIMENTO è un elemento costitutivo del fatto, in quanto costituisce il proposito, l’intenzione dell’agente che sorregge
tutta la condotta.

Il DOLO risente della disputa creatasi sull’elemento dell’inadempimento:

- vi è chi ritiene sia GENERICO perché l’inadempimento è elemento costitutivo del reato;
- vi è chi ritiene sia SPECIFICO, argomentando che l’inadempimento sia una CONDIZIONE OBIETTIVA DI NON PUNIBILITÀ
e quindi il proposito di non adempiere si risolve nel fine di conseguire un profitto.
MOMENTO CONSUMATIVO risente degli stessi problemi:

- per chi ritiene che l’inadempimento sia una condizione di non punibilità, il reato si consuma nel momento e nel luogo in
cui viene contratta l’obbligazione;
- per chi ritiene che sia un elemento costitutivo, nel momento e nel luogo dell’inadempimento.

Nell’ipotesi di prestazioni a rate o comunque scaglionate nel tempo, l’inadempimento si determina a partire dall’ultima scadenza
inutilmente verificatasi.

Una CAUSA DI NON PUNIBILITÀ SPECIALE è prevista dall’ultimo capoverso → l'adempimento dell'obbligazione avvenuto prima
della condanna estingue il reato. Con questa disposizione il legislatore vuole salvaguardare il bene tutelato fino al momento
precedente la condanna, sollecitando l'autore a realizzare l'azione per mezzo della quale può essere ottenuta la piena tutela del
bene protetto.
CIRCONVENZIONE D’INCAPACI

Art. 643: “Chiunque, per procurare a sé o ad altri un profitto, abusando dei bisogni, delle passioni o della inesperienza di una
persona minore, ovvero abusando dello stato d'infermità o deficienza psichica di una persona, anche se non interdetta o
inabilitata, la induce a compiere un atto, che importi qualsiasi effetto giuridico per lei o per altri dannoso, è punito con la
reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 206 a euro 2.065.”

Questa fattispecie punisce un comportamento fraudolento diretto ad approfittare della vulnerabilità di soggetti che si trovano
in una situazione di inferiorità psichica.

Il bene giuridico tutelato è ravvisato nel patrimonio del minorato o comunque nella sua libertà di autodeterminazione in ordine
agli interessi patrimoniali.

Ci sono 3 categorie di soggetti passivi:

- minori di età: infradiciottenni. Il limite di 18 anni è inderogabile. La loro vulnerabilità sta nei bisogni, nelle passioni,
nell’inesperienza. Sono elementi descritti dallo stesso legislatore, che riconosce quanto il minore sia facilmente
suggestionabile, perché incapace di controllare i suoi impulsi o perché inesperto della vita;
- infermi psichici: coloro che versano in uno stato di diminuzione della capacità di intendere e di volere come effetto di
una condizione anche non patologica. La possibilità di circuire o abbindolare comunque presuppone un minimo di
capacità psicologiche; quindi, il reato non si configura in quei casi-limite in cui il soggetto passivo è totalmente privo
delle sue facoltà intellettuali, da operare come puro strumento materiale dell’agente;
- deficienti psichici: soggetti affetti da una menomazione del potere di critica e indebolimento della volizione tale da
impedire al soggetto di reagire alle manovre manipolatrici dell’agente.

La valutazione giudiziale va fatta considerando il rapporto interattivo tra succube e incube, ponendo a confronto le due
personalità.

La condotta incriminata consiste in un'attività di induzione, mediante abuso della condizione di minorità psichica. Se si parla di
minori, l'attività persuasiva si deve tradurre in un approfittamento dei loro bisogni, passioni o inesperienza; se si tratta di infermi
o deficienti psichici, l'abuso deve avere ad oggetto questa specifica condizione di incapacità.

L'induzione è una forma di interferenza psichica mediante persuasione o suggestione; l'abuso si traduce in uno sfruttamento
delle condizioni di vulnerabilità della vittima, di cui il reo si giova per carpire un consenso che, in situazioni normali, non
riceverebbe.

Si pone il problema della sovrapposizione tra la circonvenzione di incapace e la truffa:

➔ bisogna verificare se l’uso degli artifizi o raggiri, nella situazione concreta, era idoneo a trarre in inganno anche un
soggetto normalmente dotato (truffa), oppure si sia risolto in uno sfruttamento dell'inesperienza dell'incapacità del
soggetto passivo (circonvenzione).

Questo reato rientra tra quelli caratterizzati dalla cooperazione della vittima, perché questa, per effetto dell’induzione, dovrà
compiere un atto con effetti giuridici per lei dannosi. Bisogna accertare il nesso causale tra l'atto e la condotta abusiva.

L'atto si intende nella sua accezione più ampia: comprensivo di qualsiasi comportamento idoneo a produrre effetti giuridici; non
occorre che questo abbia natura patrimoniale. Il reato esula se l'atto compiuto è inesistente o inficiato da nullità insanabile.

Per quanto riguarda l'effetto giuridico che causa il danno, ci si chiede se questo danno debba avere carattere patrimoniale:
sebbene un orientamento lo escluda, in realtà non si può prescindere dal dare un'accezione patrimoniale all'effetto
pregiudizievole. Tuttavia, possono aversi atti non patrimoniali che provocano indirettamente effetti di natura patrimoniale,
quindi, non è necessario che la patrimonialità afferisca anche all'atto.

DOLO → è generico: consapevolezza della condizione di minorità, infermità o deficienza; intenzione di strumentalizzarla.

→ c'è anche un dolo specifico: il fine di procurare a sé o ad altri un profitto.

MOMENTO CONSUMATIVO: c’è una tesi che definisce la circonvenzione un reato di pericolo. Questa va intesa nel senso che
basta, perché si consumi il reato, che ci siano i presupposti per un danno giuridicamente rilevante, mentre non è necessario che
il danno in senso economico si verifichi concretamente.
DANNEGGIAMENTO

ART.635: “Chiunque distrugge, disperde, deteriora o rende, in tutto o in parte, inservibili cose mobili o immobili altrui con violenza
alla persona o con minaccia ovvero in occasione del delitto previsto dall'articolo 331, è punito con la reclusione da sei mesi a tre
anni.”

È un reato di aggressione unilaterale, in quanto ha come effetto la distruzione delle cose altrui.

Il bene giuridico è costituito dal diritto di proprietà, che si espande fino al diritto all'integrità della cosa nella sua sostanza o
comunque nella sua utilizzabilità, di cui è titolare il proprietario o chi ne esercita un diritto di godimento/uso.

Il soggetto attivo è chiunque: può rendersi responsabile del reato anche il proprietario che danneggi la cosa su cui altri esercitano
un diritto di godimento.

Il fatto tipico consta di quattro modalità di aggressione alternative (è sufficiente soltanto una):

- distruggere: completo annientamento della cosa


- disperdere: riguarda solo le cose mobili o mobilizzate e consiste nel far uscire la cosa dalla disponibilità dell'avente diritto
in modo che costui non possa più recuperarla o possa farlo con molta difficoltà
- deteriorare: modificazione in peggio della cosa che ne pregiudica la sua funzione strumentale
- rendere inservibile: equivale alla inutilizzabilità totale o parziale della cosa in rapporto alla sua funzione strumentale non
è necessario che la cosa venga materialmente distrutta dispersa o deteriorata si pensi alla scomposizione delle parti di
un insieme composto come il motore di un'automobile il pregiudizio si deve protrarre per un periodo di tempo
giuridicamente apprezzabile

è esclusa la configurabilità del reato nei casi di danno particolarmente esiguo.

Non è del tutto pacifica la configurabilità del reato mediante omissione, perché alcune delle condotte tipizzate presuppongono
un intervento attivo dell'agente sulla cosa. Tuttavia, dottrina e giurisprudenza dominanti ammettono che il danneggiamento
possa avvenire tramite omissione, a condizione che l'autore rivesta una posizione di garanzia che genera l'obbligo giuridico di
impedire l'evento.

Oggetto materiale dell'azione è l'altrui cosa mobile o immobile.

DOLO → costituito dalla coscienza e volontà di distruggere, disperdere, deteriorare o rendere inservibili le cose altrui prese di
mira. Non è necessaria la presenza di un fine specifico di nuocere come componente psicologica aggiuntiva.
Il contenuto della volontà colpevole serve a distinguere il delitto di danneggiamento da quello di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni mediante violenza sulle cose: per quest'ultimo è necessario il fine specifico di esercitare un preteso diritto.

CONSUMAZIONE: si realizza il reato nel momento in cui si verifica l'effetto dannoso collegato ad una delle condotte.

Il TENTATIVO è configurabile.

DIFFERENZA CON IL FURTO: nel furto la distruzione della cosa rappresenta il mezzo per il conseguimento del profitto che è il
passaggio di valori patrimoniali dal patrimonio della vittima a quello del reo;

nel danneggiamento si cagiona la perdita di altrui elementi del patrimonio, senza alcuna forma di trasferimento nel patrimonio
dell’agente.
USUSRA

Art.644: “Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 643, si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, in
corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità, interessi o altri vantaggi usurari, è punito con la reclusione da due a
dieci anni e con la multa da euro 5.000 a euro 30.000.

Alla stessa pena soggiace chi, fuori del caso di concorso nel delitto previsto dal primo comma, procura a taluno una somma di
denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, per la mediazione, un compenso usurario.

La legge stabilisce il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari. Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale
limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per
operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all'opera di
mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria.

Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle
spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito.”

La fattispecie di usura fu eliminata dal codice Zanardelli per poi essere introdotta nel codice Rocco e subire diverse modifiche
normative nel ‘92, nel ‘96 e nel 2005. La formulazione originaria prevedeva due l'usura e la mediazione usuraria.

la fattispecie principale faceva leva su 2 requisiti:

- approfittamento (da parte dell’usuraio) dello stato di bisogno della vittima


- la dazione o la promessa da parte della vittima di interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di una prestazione di
denaro o di altra cosa mobile.

si ponevano problemi di trattamento processuale, perché la determinazione dello stato di bisogno e il concetto di interesse
usurario erano affidati alla discrezionalità interpretativa del giudice → si intendeva una situazione di disagio del singolo,
connesso alla mancanza di mezzi atti a soddisfare i bisogni della vita essenziali. Era esclusa una necessità economica di carattere
aziendale o la momentanea difficoltà economica di un imprenditore; quindi, si creava un vuoto di tutela in tutti quei casi, sempre
più frequenti negli ultimi anni, in cui è proprio il medio o piccolo imprenditore a ricorrere al prestito usurario.

Per colmare questo vuoto di tutela e fronteggiare la tendenza dei racket mafiosi nel ‘92 il legislatore introdusse la nuova
fattispecie di usura impropria di cui al 644-bis, che punisce chiunque, fuori dai casi del 644, approfittando delle condizioni di
difficoltà economico-finanziaria di un imprenditore si fa dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari in corrispettivo di
una prestazione di denaro altra cosa mobile. L'elemento caratterizzante di questa nuova fattispecie era la sostituzione dello
stato di bisogno con le condizioni di difficoltà economica e imprenditoriale. Tuttavia, questa figura è stata abrogata nel ’96.

La riforma del 92 aveva mantenuto invariato il riferimento generico a “interessi e altri vantaggi usurari”, quindi, per eliminare le
incertezze relative nel ‘94 si propose di introdurre un parametro legale di riferimento, in modo da fissare per legge la soglia oltre
la quale l’interesse si qualifica usurario. Venne anche istituito un Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e
dell'usura, con l'obiettivo di stimolare una reazione difensiva degli imprenditori alle richieste usurarie, accordando loro un
sostegno economico.

L'identificazione del bene tutelato è controversa: secondo un punto di vista risalente alla prima fase di vigenza del codice, il
delitto offenderebbe due beni giuridici → patrimonio e libertà morale della vittima. Rigettata.

Un'altra tesi, sempre plurioffensiva, sostiene che i beni tutelati dalla fattispecie incriminatrice sono l'interesse all'autonoma
determinazione del contenuto del contratto e gli interessi attinenti al patrimonio o alla sfera personale del soggetto passivo che
viene sia lesa, che messa in pericolo. Questa tesi fa leva sull'articolo 41 della Costituzione, che fissa i limiti all'autonomia privata
delle parti nella mancanza di contrasto con l'utilità sociale e nella tutela della sicurezza, della libertà e della dignità umana.

Considerando la conformazione odierna della fattispecie, che non prevede più lo stati di bisogno della vittima ma fa riferimento
a un tasso soglia predeterminato in base al quale considerare usurari gli interessi, ci sono tre possibilità:

- la prima sostiene che il bene giuridico tutelato rimane la regolarità del mercato del credito;
- la seconda ritiene che il bene giuridico protetto si diversifichi in relazione alle due ipotesi prese in considerazione: nel
caso di interessi usurari predeterminati dalla legge la tutela è l'ordinamento del credito; nell'ipotesi di usurarietà
determinata dal giudice in base alle circostanze concrete del fatto, il bene protetto è il patrimonio del soggetto.
- una terza tesi vede il bene protetto nel patrimonio del soggetto che versa in stato di difficoltà, difficoltà che viene
presunta juris et de jure nell'ipotesi di tasso usurario fissato dalla legge; mentre, la difficoltà viene accertata dal giudice
nel caso di usurarietà determinata in concreto.
Il soggetto attivo può essere chiunque.

Condotta incriminata: il soggetto attivo si fa dare o promettere dal soggetto passivo interessi o altri vantaggi usurari, in
corrispettivo di una prestazione di denaro o altra utilità. C’è uno scambio di prestazioni che risulta sproporzionato per eccesso
da parte del soggetto passivo. L’usura può esserci in qualsiasi contratto a prestazioni corrispettive.

DENARO: comprensivo anche di titoli relativi ad obbligazioni.

ALTRA UTILITÀ: nella formulazione attuale sostituisce “altra cosa mobile”, facendo rientrare nella fattispecie anche la c.d. “usura
reale”, avente ad oggetto la prestazione di un servizio o attività professionale.

La prestazione della vittima deve consistere nella dazione o promessa di denaro o altri vantaggi usurari.

Nel ‘96 è stato fissato un tasso legale (tasso - soglia) oltre il quale gli interessi sono da considerare usurari. → Art.644 c3: sono
sempre usurari gli interessi che superano il tasso soglia, il quale è determinato aumentando di 1/4 + 4 punti percentuali, il tasso
medio relativo al tipo di operazioni prese in considerazione. Ai fini della consumazione del reato è sufficiente che questo tasso
venga superato, senza bisogno di accertare che la vittima versi in stato di difficoltà di cui l’agente si sia approfittato.

Sempre nel ’96, il legislatore ha previsto l’ipotesi di USURARIETÀ IN CONCRETO (c3 parte seconda) che si ha quando gli interessi
sono inferiori al tasso soglia, ma risultano comunque sproporzionati rispetto alla situazione concreta e la vittima versi in stato
di difficoltà economica o finanziaria.

In questa seconda fattispecie, occorre che il giudice accerti che vi sia stata la sproporzione tra gli interessi pattuiti e il valore
della prestazione, avendo riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni dello stesso tipo.

Bisogna poi che si accerti anche lo stato di difficoltà economica o finanziaria in cui versava la vittima:

➢ DIFFICOLTÀ FINANZIARIA: carenza di liquidità.


➢ DIFFICOLTÀ ECONOMICA: riguarda l’insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo.

Ci si chiede se tale difficoltà vada valutata in senso soggettivo o oggettivo: nel primo caso si guarderà alla situazione della vittima;
nel secondo ai parametri di mercato.

DOLO → generico: coscienza e volontà di concludere un contratto sinallagmatico con interessi o vantaggi usurari e
consapevolezza della difficoltà finanziaria / economica della vittima. Il dolo è escluso da errore di fatto circa l’interpretazione
del contenuto dei decreti ministeriali che fissano il tasso medio d’interesse.

CONSUMAZIONE: si ha nel momento della pattuizione, sebbene ci sia una disputa sul fatto che il reato possa essere permanente
o istantaneo a condotta frazionata.

È prevista la CONFISCA dei beni che costituiscono il prezzo del profitto del reato o delle somme di denaro/altra utilità.

MEDIAZIONE USURARIA

È un titolo autonomo di reato, che incrimina chi si intromette tra usuraio e vittima facendosi promettere o dare un compenso
usurario per la mediazione prestata.
RICETTAZIONE

ART.648: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro
o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la
reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329.”

Il codice Rocco ha portato a compimento il processo di automatizzazione di questa figura delittuosa dal DELITTO PRESUPPOSTO.

Le forme più ricorrenti di ricettazione sono l'acquisto di merce proveniente da furto o da rapina. La ricettazione rappresenta la
forma più diffusa di sostegno al reo dopo la commissione del fatto. I ricettatori fungono da punto di collegamento tra criminalità
patrimoniale e consumo di droga perché essi servono a monetizzare il prodotto dell'attività criminosa e a rendere più agevole
l’acquisto degli stupefacenti.

La ricettazione cresce nei periodi di penuria sul mercato illegale di beni particolarmente appetibili: il desiderio di ottenerli rende
i cittadini sempre più disponibili all'acquisto di questi di natura illegale.

La ragione dell'incriminazione sta nell'esigenza di evitare la dispersione degli oggetti un delitto e la loro circolazione. Il fatto
curioso è che spesso è proprio grazie alla circolazione di tali beni che gli organi della repressione penale riescono ad individuare
e scoprire gli autori del delitto presupposto.

Essendo difficile identificare con precisione l’oggetto della tutela, ci sono alcune tesi che vedono del delitto di ricettazione una
figura di reato senza offesa, cioè di un reato privo di un vero e proprio oggetto giuridico; poi ci sono concezioni che ipotizzano
una natura plurioffensiva del reato → il collegamento con la COSA acquisita attraverso il reato presupposto suggerisce che
l’oggetto principale della tutela sia un interesse patrimoniale e lo dimostrano 2 cose: l’oggetto materiale che è il denaro o una
cosa; e la circostanza che l’agente operi al fine di trarre profitto, arricchendo (illecitamente) il proprio patrimonio.

È un reato di pericolo astratto e non di danno.

Il soggetto attivo può essere chiunque acquisti, riceva, occulti o si intrometta per fare acquistare, ricevere od occultare le cose
provenienti da un delitto. Dal numero dei soggetti attivi sono esclusi i concorrenti nel reato presupposto, nonché il danneggiato
dal reato ed il proprietario della cosa che ne conserva la disponibilità anche se da altri legittimamente posseduta.

La condotta incriminata è descritta come: acquistare, ricevere, occultare denaro o cose provenienti da delitto oppure
intromettersi nel farli acquistare, ricevere od occultare. Si configurano due tipi di delitto → ricettazione vera e propria e
intermediazione nella ricettazione.

- nozione di acquisto→si profilano due tesi: una vede nell'acquisto ogni attività negoziale, sia a titolo oneroso che
gratuito, il cui effetto giuridico consiste nel far entrare la cosa nella sfera giuridico-patrimoniale dell’agente,
attribuendogli il possesso uti dominus;
un'altra tesi vede nell'acquisto un sinonimo di compravendita e quindi ogni negozio a titolo oneroso.

- significato del termine ricevere→secondo l'opinione maggioritaria, questo ricomprendere tutte le forme di
conseguimento dal possesso, anche solo temporaneo, della cosa NON uti dominus;

- per occultamento→si intende il nascondimento della cosa, anche temporaneo, e presuppone sempre il precedente
acquisto o la precedente ricezione;

- per intromissione→si intende lo svolgimento dell'attività di mediazione, svolta con qualsiasi attività di messa in contatto
dell'autore con un terzo possibile acquirente.

La ricettazione richiede l'esistenza di un delitto presupposto: non c'è ricettazione se in precedenza non sia stato commesso un
altro delitto dal quale provengono il denaro o le cose. Si deve trattare di delitto (sia doloso che colposo, sia consumato che
tentato) e non di contravvenzione/illecito amministrativo/civile. Non è necessario che si tratti di delitto contro il patrimonio,
perché il denaro o la cosa mobile potrebbero provenire da qualsiasi altro delitto.

Il concetto di provenienza ricomprende tutto ciò che si collega al fatto criminoso; quindi, ciò che ne costituisce il profitto, il
prezzo, il prodotto, ogni cosa che è servita o è stata destinata a commettere il fatto.

Non è necessario che le cose il denaro provengano direttamente dal delitto, perché il legislatore non ha posto dei limiti
temporali; non è necessario neanche che le cose non subiscano alterazioni o trasformazioni.

Esiste un rapporto di accessorietà tra la ricettazione e il reato presupposto, che si esprime nel far dipendere la punibilità della
ricettazione dalla punibilità del reato presupposto: lo dice l'ultimo comma del 648: “le disposizioni di questo articolo si applicano
anche quando l'autore del delitto da cui il denaro o le cose provengono non è imputabile o non è punibile”→ quindi è esclusa la
ricettazione quando il fatto presupposto non è qualificabile in termine di illecito, invece, le situazioni soggettive (come le cause
personali di esclusione dalla pena) non possono escludere l'esistenza del reato presupposto e dunque sarà punibile anche la
ricettazione.

Se il reato presupposto è punibile a querela, e questa non sia stata presentata, la ricettazione è ugualmente configurabile.
Invece, è esclusa la ricettazione in presenza di cause oggettive o soggettive di esclusione del reato presupposto, come l’errore
sul fatto o le esimenti.

Per potersi configurare ricettazione, è necessario che il soggetto attivo abbia agito fuori dai casi di concorso nel reato: la
distinzione tra attività di ricettazione e attività di concorso nel reato presupposto è la seguente:

- nel concorso rientrano tutti i comportamenti tenuti prima della consumazione del delitto presupposto;
- nella ricettazione rientra tutto ciò che si compie dopo la consumazione del delitto presupposto.

DOLO→ è generico: volontà di acquistare, ricevere, occultare o di intromettersi; consapevolezza che il denaro o la cosa mobile
provengono da un delitto. È necessario un ulteriore dolo specifico: il fine di procurare a sé o ad altri un profitto.

Quanto al DUBBIO circa la provenienza criminosa si profilano due tesi:

- dottrina e giurisprudenza maggioritaria dicono che il dubbio equivale alla consapevolezza della provenienza illegittima
e si attribuisce il dolo eventuale ogni volta che il soggetto abbia agito accettando il rischio di incorrere in sanzioni penali;
- tuttavia, è preferibile la tesi che equipara dubbio e ignoranza, con la conseguenza che il dolo nella ricettazione sia solo
quello DIRETTO.
- La Cassazione in una pronuncia del 2009 ha stabilito che si configura il dolo eventuale, in applicazione della prima
formula di Frank, non solo con la semplice accettazione del rischio ma anche con la rappresentazione di una eventuale
provenienza delittuosa (pur se ne avesse avuto la certezza, non avrebbe agito diversamente). Giudizio contrafattuale
ripreso da Sent. Tissencup 2012.

MOMENTO CONSUMATIVO: momento in cui si raggiunge l'accordo tra colui che trasferisce e colui che acquisisce la cosa
proveniente da delitto, ma non è necessaria la traditio né il pagamento del prezzo. Il tentativo è configurabile.

È prevista una circostanza attenuante speciale data dalla particolare tenuità del fatto, che presuppone una valutazione
complessiva dell'episodio criminoso in tutte le sue componenti, sia oggettive che soggettive; quindi, tenuità del valore
economico delle cose, modalità e motivi dell'azione, condotta antecedente, contemporanea e susseguente reato.

CRITERIO DISTINTIVO TRA RICETTAZIONE E INCAUTO ACQUISTO (712). [BUONA FEDE?]

▪ nella ricettazione occorre un dolo diretto → conoscenza certa della provenienza delittuosa della cosa;
▪ nell’incauto acquisto il soggetto non deve avere accertato la provenienza colposamente, quindi, non deve avere
utilizzato la diligenza propria dell'uomo comune.

CRITERIO DISTINTIVO TRA RICETTAZIONE E FAVOREGGIAMENTO REALE poggia sul fine perseguito dal soggetto attivo:

▪ nella ricettazione l’agente persegue la realizzazione di un profitto;


▪ nel favoreggiamento reale vuole far conseguire all'autore del reato presupposto dei vantaggi economici

se questi fini si sovrappongono prevarrà la ricettazione.


RICICLAGGIO

ART.648-bis: “Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da
delitto non colposo, ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro
provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.”

Questo delitto è stato inserito nel codice per la prima volta nel ’78, rubricato “Sostituzione di denaro o valori provenienti da
rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione.”

La legge 55/90 ha riformato il delitto, intitolandolo “Riciclaggio” e ha introdotto il 648-ter, che configura la fattispecie di
impiego di denaro beni o utilità di provenienza illecita-

Successivamente, il 648-bis è stato riformulato nel ’93, quando ne è stata riscritta la condotta, in conformità alle previsioni della
Convenzione del Consiglio d'Europa e della direttiva sul riciclaggio dei proventi di reato → il legislatore ha eliminato la tassativa
indicazione dei reati che potevano costituire il presupposto del riciclaggio e l'ha sostituita con “qualsiasi delitto non colposo”;
poi, ha introdotto una clausola generale, descritta con la formula “altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della
loro provenienza delittuosa”. Queste modifiche normative avevano come obiettivo quello di rafforzare l'attività di contrasto dei
comportamenti illeciti della criminalità organizzata.

Il termine “riciclaggio” indica il complesso delle operazioni tendenti a ripulire il denaro sporco, facendo perdere le tracce della
sua provenienza delittuosa. Lo scopo dell'incriminazione è quello di impedire che gli autori di fatti di reato possano far fruttare
i capitali illegalmente acquisiti, rimettendoli in circolazione come capitali depurati e quindi investibili in attività economiche. La
norma incriminatrice vuole anche scoraggiare la stessa commissione dei reati principali, mettendo una barriera alla possibilità
di sfruttarne poi i proventi.

Il soggetto attivo può essere chiunque, ad eccezione dei concorrenti nella commissione del reato presupposto. Se l'accordo
avente ad oggetto la ripulitura del denaro sporco interviene prima della consumazione del reato principale, si configura il
concorso; se, invece, l'accordo interviene successivamente, è riciclaggio. Bisogna verificare caso per caso se la preventiva
assicurazione di lavare il denaro abbia realmente influenzato rafforzato, negli autori dei reati principali, la decisione di compierli.

Nel ‘93 il legislatore ha modificato la descrizione del fatto di reato, sia con riferimento reati presupposto, sia in relazione alle
modalità di condotta incriminata:

- estese i reati presupposto a tutti i delitti non colposi previsti dal codice penale;
- ha differenziato soltanto il trattamento sanzionatorio, a seconda della pena per essi prevista;
- ha previsto una circostanza attenuante, qualora il delitto principale sia punibile con la reclusione inferiore a 5 anni;

La condotta incriminata si articola in due forme: sostituire o trasferire denaro, beni o altre attività di provenienza illecita;
compiere altre operazioni in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza illecita (ingloba le prime).

- sostituire = rimpiazzare denaro o valori sporchi con denaro o valori puliti;


- trasferire = ripulire servendosi di strumenti negoziali o forme giuridiche.

L'oggetto materiale è costituito da denaro, beni o altre utilità, comprensivi anche di diritti di credito o qualsiasi altra entità
economicamente apprezzabile.

- compiere altre operazioni in modo da ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa dell’oggetto materiale:
qui si pone un problema ermeneutico, perché “compiere operazioni in modo da” evoca una finalità che sta al di fuori
del fatto e quindi il reato sarebbe punibile a dolo specifico; tuttavia, questo dato linguistico potrebbe anche significare
che l'attività dell'autore si deve risolvere in un ostacolo all'identificazione della provenienza illecita in ogni caso e, quindi,
questa condotta sarebbe onnicomprensiva, abbracciando anche l'ipotesi di sostituzione o trasferimento.

DIFFERENZA FRA RICETTAZIONE/RICICLAGGIO=peculiare finalità del riciclaggio di far perdere le tracce della provenienza illecita.

DOLO → è generico: la formula “in modo da ostacolare” non può essere interpretata come dolo specifico e ricomprende la
volontà di compiere l'attività di sostituzione, trasferimento, ostacolo e la consapevolezza che i capitali provengono da delitto
non colposo.

MOMENTO CONSUMATIVO: momento in cui l'agente realizza l'attività di sostituzione o trasferimento dei capitali; il compimento
di atti idonei integra gli estremi del TENTATIVO

circostanza aggravante = fatto commesso nell'esercizio di attività professionale; circostanza attenuante = i beni o le altre utilità
provengono da delitto per il quale è stabilita una pena inferiore nel massimo a 5 anni di reclusione.
per contrastare la criminalità organizzata di stampo mafioso il legislatore ha improntato degli strumenti che agevolino
l'accertamento processuale dei reati di riciclaggio impiego di capitali illeciti configurando una causa di non punibilità per l'agente
provocatore che stabilisce che non sono punibili ufficiali di polizia giudiziaria della dia o dei servizi centrali, i quali commettono
questi delitti per acquisire elementi di prova.

IMPIEGO DI CAPITALI ILLECITI

ART.648-ter: “Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648bis, impiega in attività
economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e
con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.”

AUTORICICLAGGIO

ART.648-ter.1: “Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque,
avendo commesso o concorso a commettere un delitto, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie,
imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da
ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.”

Questa fattispecie è stata introdotta allo scopo di sanzionare le condotte di riciclaggio realizzate dallo stesso autore o
concorrente del reato presupposto.

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