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Ricerche esecuzione civile

https://www.altalex.com/guide/pignoramento-mobiliare
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https://www.altalex.com/guide/pignoramento-immobiliare
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Che cosa significa "Continuità delle trascrizioni"?
Principio che tende alla creazione di situazioni giuridiche stabili relativamente alla titolarità di beni
immobili e mobili registrati. L'art. 2650 del c.c. stabilisce che, nei casi in cui un atto di acquisto è
soggetto a trascrizione, le successive trascrizioni o iscrizioni a carico dell'acquirente non producono
effetto, se non è stato trascritto l'atto anteriore di acquisto.
Quando l'atto anteriore di acquisto è stato trascritto, le successive trascrizioni o iscrizioni producono
effetto secondo il loro ordine rispettivo.
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https://www.dirittobancario.it/art/continuita-delle-trascrizioni-e-procedura-esecutiva-immobiliare-
aspetti-critici/
La norma di cui all’art. 2650 c.c. è chiara nello stabilire che ogni trascrizione contro un soggetto,
per poter essere efficace, deve essere preceduta da una trascrizione in suo favore avente ad
oggetto il medesimo diritto.
In tema di espropriazione immobiliare, la richiamata disciplina assume rilievo in quanto la
trascrizione del decreto di trasferimento, per poter essere considerata produttiva di effetti in favore
dell’aggiudicatario, presuppone che la vendita forzata in danno del debitore sia preceduta, per il
principio della continuità delle trascrizioni, dall’esistenza di un valido titolo di acquisto trascritto in
favore dello stesso esecutato.
Come chiarito dalla Suprema Corte nella nota sentenza n. 11638/2014, nelle esecuzioni
immobiliari spetta al Giudice dell’esecuzione verificare d’ufficio la titolarità, in capo al debitore
esecutato, del diritto reale pignorato sul bene immobile, mediante l’esame della documentazione
depositata dal creditore procedente, ovvero integrata per ordine dello stesso Giudice ai sensi
dell’art. 567 c.p.c. dalla quale deve risultare la trascrizione di un titolo di acquisto in suo
favore.
Chiaramente, tale verifica verrà eseguita sul ventennio anteriore alla data di trascrizione
dell’atto di pignoramento.
La problematica in esame, dunque, sorge nel momento in cui manca la trascrizione dell’atto
di acquisto in favore del soggetto esecutato antecedente alla trascrizione dell’atto di
pignoramento.

Trascrizione degli atti di acquisto mortis causa: accettazione espressa o tacita dell’eredità
Per quel che riguarda la trascrizione degli atti di acquisto mortis causa, norma di riferimento è l’art.
2648 c.c. che prevede l’obbligo di “trascrivere l’accettazione dell’eredità che importi acquisto dei
diritti enunciati nei numeri 1, 2 e 4 dell’articolo 2643”.
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Articolo 2648 Codice Civile: “Accettazione di eredità e acquisto di legato”
Si devono trascrivere l'accettazione dell'eredità [470, 475, 484, 2660] che importi acquisto dei diritti
enunciati nei numeri 1, 2 e 4 dell'articolo 2643 o liberazione dai medesimi e l'acquisto
del legato [649] che abbia lo stesso oggetto [507, 509].
La trascrizione dell'accettazione dell'eredità si opera in base alla dichiarazione del chiamato
all'eredità, contenuta in un atto pubblico [475, 2699] ovvero in una scrittura privata con
sottoscrizione autenticata [2703] o accertata giudizialmente [220 c.p.c.].
Se il chiamato ha compiuto uno degli atti che importano accettazione tacita dell'eredità [476], si può
richiedere la trascrizione sulla base di quell'atto, qualora esso risulti da sentenza, da atto pubblico o
da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente [2650, 2652 n.
6, 2657, 2685; 225 disp. att., 228 disp. att.].
La trascrizione dell'acquisto del legato si opera sulla base di un estratto autentico del testamento.
Nota: La trascrizione degli acquisti mortis causa è stata introdotta dal codice vigente, non essendo
contemplata dal codice del 1865, che lasciava perciò irrisolta una grave lacuna del sistema e delle
vicende giuridiche che avevano interessato un immobile: la trascrizione dell'acquisto a causa di
morte è infatti funzionale alla tutela degli interessi degli aventi causa del successore, attraverso il
principio della continuità.
Ratio Legis
Come già visto all'art. 2646 relativamente alla divisione, la trascrizione degli acquisti mortis causa è
richiesta soltanto in ossequio alla regola di continuità della trascrizione (v. 2650). Non riguarda
quindi gli eventuali conflitti tra l'erede e gli acquirenti del defunto, poiché non sussiste una duplicità
di acquisti, in quanto l'erede subentra nella medesima posizione giuridica del de cuius.
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Art. 2643 c.c.: “Si devono rendere [2645 ss., 2651 ss.] pubblici [1403] col mezzo della trascrizione
[2644, 2648, 2657, 2658, 2663, 2679 n. 1] (si ricorda che L'obbligo di trascrizione grava sui notai e
sugli altri pubblici ufficiali roganti, mentre per le parti rappresenta un mero onere (v. 2671). Il
notaio o altro pubblico ufficiale, che ha ricevuto un atto soggetto a trascrizione, ha l'obbligo di
assicurarsi che questa venga eseguita nel più breve tempo possibile, risultando tenuto al
risarcimento del danno in caso di ritardo)
1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili [769, 812, 1197, 1350 n.
1, 1470, 1472, 1543, 2247, 2556, 2648, 2651, 2914];
2) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano il diritto di usufrutto [978] su
beni immobili, il diritto di superficie [952], i diritti del concedente e dell'enfiteuta [1350 n.
2, 2648, 2651];
2-bis) i contratti che costituiscono, trasferiscono o modificano i diritti edificatori comunque
denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione
territoriale;
3) i contratti [1350 n. 3] che costituiscono la comunione dei diritti menzionati nei numeri
precedenti;
4) i contratti che costituiscono o modificano servitù prediali [1027 ss., 1058], il diritto
di uso [1021] sopra beni immobili, il diritto di abitazione [1022, 1350 n. 4, 2648, 2651];
5) gli atti tra vivi di rinunzia ai diritti menzionati nei numeri precedenti
[507, 1070, 1104, 1350 n. 5];
6) i provvedimenti con i quali nell'esecuzione forzata [952, 965, 980, art. 1021 del
c.c., 1022, 1027, 2019, 555, 574, 586, 590] si trasferiscono la proprietà di beni immobili
[812] o di altri diritti reali immobiliari, eccettuato il caso di vendita seguita nel processo di
liberazione degli immobili dalle ipoteche a favore del terzo acquirente [2889, 2896];
7) gli atti e le sentenze di affrancazione del fondo enfiteutico [971, 1350 n. 6];
8) i contratti di locazione di beni immobili che hanno durata superiore a nove anni [1350 n.
8, 1572, 1599, 1628, 2923];
9) gli atti e le sentenze da cui risulta liberazione o cessione di pigioni o di fitti non ancora
scaduti, per un termine maggiore di tre anni [1605, 2918, 2924];
10) i contratti di società [2247, 2291, 2313, 2325, 2328 n. 6, 2452, 2463 n. 5, 2511, 2521 n.
5] e di associazione con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti
reali immobiliari, quando la durata della società o dell'associazione eccede i nove anni o è
indeterminata [1350 n. 9; 231 disp. att.];
11) gli atti di costituzione dei consorzi [862, 863] che hanno l'effetto indicato dal numero
precedente [2062, 2063, 231 disp. att.];
12) i contratti di anticresi [1350 n. 7, 1960; 231 disp. att.];
12-bis) gli accordi di mediazione che accertano l'usucapione con la sottoscrizione del
processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato;
13) le transazioni che hanno per oggetto controversie sui diritti menzionati nei numeri
precedenti [1350 n. 12, 1965];
14) le sentenze [1032, 2932] che operano la costituzione, il trasferimento o la modificazione
di uno dei diritti menzionati nei numeri precedenti [2945 ss., 2655].
Ratio Legis
La norma elenca le categorie di atti aventi ad oggetto beni immobili, per le quali è previsto l'obbligo
di trascrizione, con l'obiettivo di tutelare l'acquirente. Svolge sostanzialmente la stessa funzione del
principio del possesso di buona fede enunciato dall'art. 1155, secondo cui, nel conflitto tra più
acquirenti dello stesso proprietario, prevale colui che possiede la cosa alienata bona fide, cioè
ignorando di ledere l'altrui diritto.
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La stessa disposizione, al secondo comma, precisa che la trascrizione dell’accettazione dell’eredità
possa eseguirsi in forza di atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata contenenti
la dichiarazione di accettazione (accettazione in forma espressa).
Inoltre, se il chiamato ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità ex
art. 476 c.c., la trascrizione può essere richiesta in forza di tale atto purché esso risulti da sentenza,
atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente.
Nella prassi, sono numerosi i casi in cui il debitore nei cui confronti sarebbe stata incardinata la
procedura esecutiva immobiliare decede – e non vi è da parte dei chiamati all’eredità alcun atto
formale di accettazione dell’eredità – ovvero viene sottoposto a pignoramento un bene immobile di
provenienza ereditaria per cui l’erede/debitore non risulti ancora aver trascritto l’atto di accettazione
dell’eredità.
- Nel primo caso, chiaramente, risulterà necessario dapprima individuare i chiamati all’eredità e,
successivamente, promuovere nei confronti degli stessi le azioni previste dal nostro ordinamento –
che di seguito verranno meglio esaminate – volte a far accertare o meno la qualità di erede del de
cuius. Una volta accertata la qualità di erede, sarà poi possibile procedere con la relativa
trascrizione dell’accettazione d’eredità ed agire esecutivamente nei confronti dello stesso.
- Nel secondo caso, invece, la questione appare maggiormente problematica posto che gli stessi
giudici dell’esecuzione, nei vari uffici giudiziari, sono pervenuti a diverse conclusioni sino alla
sentenza chiarificatrice n. 11638/2014 emessa dalla Corte di Cassazione.
Mancanza della trascrizione dell’accettazione tacita dell’eredità: gli orientamenti
giurisprudenziali
In particolare, quando il bene oggetto di pignoramento si assume essere stato acquistato
dall’esecutato per successione mortis causa a titolo universale, testamentaria o legittima, e dalla
certificazione notarile o documentazione ipocatastale ex art. 567 c.p.c., depositata a corredo
dell’istanza di vendita, non è emersa una valida accettazione espressa o tacita dell’eredità, i
Tribunali in alcuni casi hanno dichiarato l’estinzione della procedura esecutiva, in altri hanno
richiesto al creditore procedente di eseguire la trascrizione prima di ordinare la vendita mentre in
altri casi ancora hanno consentito di sanare il difetto di trascrizione regolarizzando la continuità
anche dopo l’istanza di vendita purché prima dell’emissione del decreto di trasferimento.
A titolo esemplificativo, i G.E. del Tribunale di Roma, nel caso di accettazione espressa o tacita
risultante da atto pubblico o scrittura privata autenticata o da sentenza non trascritte, richiedevano la
trascrizione ai sensi dell’art. 2648 c.c., formalità eseguibile anche dopo la trascrizione pignoramento
posto che la stessa veniva richiesta esclusivamente ai fini della continuità delle trascrizioni che per
legge può essere sanata ex post. Per il medesimo Tribunale, in assenza di atti di accettazione
espressa o tacita dell’eredità, il creditore doveva prima procurarsi il titolo da trascrivere a favore del
debitore esperendo l’actio interrogatoria ex art. 481 c.c., ovvero l’azione volta ad accertare
l’accettazione dell’eredità (vedi giù), e solo dopo avrebbe potuto agire esecutivamente contro
l’erede. Per tale motivo, le procedure esecutive incardinate nei confronti dell’erede in assenza di
trascrizione di un atto di acquisto in suo favore venivano dichiarate improcedibili.
La sentenza n. 11638/2014 della Corte di Cassazione
A dirimere la questione sorta nella giurisprudenza di merito, tuttavia, è intervenuta la Suprema
Corte con la citata sentenza n. 11638/2014 con la quale è stato espressamente affermato che la
trascrizione dell’atto di acquisto mortis causa non è un presupposto processuale che deve
esistere nel momento di avvio dell’azione esecutiva, potendo anche sopravvenire, purché
prima della vendita coattiva.
A fondamento della predetta decisione, la Corte ha osservato che la funzione principale che assolve
la trascrizione dell’acquisto mortis causa in capo all’esecutato nell’espropriazione immobiliare è
quella di tutelare l’acquisto dell’aggiudicatario, garantendone la stabilità in caso di conflitto con gli
aventi causa dall’erede apparente o dall’erede vero. Per tale motivo, in mancanza di trascrizione, la
vendita, a processo esecutivo concluso, deve ritenersi valida ed efficace ma assoggettabile ad
evizione, con gli effetti di cui all’art. 2921 c.c. e fatta sempre salva la possibilità di ripristinare la
continuità delle trascrizioni con effetto retroattivo ai sensi dell’art. 2650, II comma, c.c. senza alcun
limite temporale.
Nell’ambito della procedura esecutiva, quindi, qualora il Giudice dell’esecuzione dovesse
constatare la mancata prova dell’appartenenza del bene al debitore esecutato, dovrà fissare
l’udienza ex art. 485 c.p.c. nell’ambito della quale evidenzia ai creditori il richiamato difetto di
prova. All’esito della stessa, il G.E. concederà un congruo termine affinché il creditore procedente,
in sostituzione di coloro che sono tenuti per legge, proceda alla trascrizione dell’acquisto  mortis
causa ed alla regolarizzazione della continuità delle trascrizioni.

A questo punto si prospettano due diverse ipotesi:


- Qualora infatti sia sottoposto a pignoramento un diritto reale su un bene immobile di provenienza
ereditaria e l’accettazione dell’eredità non sia stata trascritta a cura dell’erede/debitore esecutato, il
creditore procedente, se il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano
accettazione dell’eredità, può richiedere, a sua cura e spese, la trascrizione sulla base di quell’atto,
qualora esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata autenticata od accertata giudizialmente
(con sentenza), anche dopo la trascrizione del pignoramento, ripristinando così la continuità delle
trascrizioni, purché prima dell’autorizzazione alla vendita ex art. 569 c.p.c..
- Se, invece, il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita
dell’eredità ma questo non sia trascrivibile, perché non risulta da sentenza, atto pubblico o da
scrittura privata autenticata, ovvero se si assume che l’acquisto della qualità di erede discenda dai
fatti di cui all’art. 485 c.c. (chiamato all’eredità nel possesso dei beni che non abbia compiuto
l’inventario nel termine di 3 mesi dall’apertura della successione) o 527 c.c. (chiamato all’eredità
che ha sottratto o nascosto beni spettanti all’eredità stessa), non risultando questo acquisto dai
pubblici registri, la vendita coattiva del bene pignorato ai danni del chiamato presuppone che la
qualità di erede del debitore esecutato sia accertata giudizialmente con sentenza.

Risulta necessario, pertanto, soffermarsi sugli strumenti messi a disposizione dal legislatore volti a
far accertare la qualità di erede in capo al chiamato/esecutato onde procedere con la trascrizione del
relativo atto di acquisto mortis causa, per gli effetti di cui all’art. 2650 c.c..
1) Giudizio di accertamento della qualità di erede
In primo luogo, l’accettazione, eventualmente anche tacita, dell’eredità può essere provata
attraverso il vittorioso esperimento di un’azione di accertamento – in sede contenziosa – della
qualità di erede con conseguente pronuncia di una sentenza che, passata in giudicato, sarà
validamente trascritta.
In tal caso, il creditore potrebbe incardinare un procedimento sommario di cognizione ex art.
702 bis c.p.c. ovvero un giudizio ordinario di merito ponendo a fondamento della propria domanda
taluni elementi probatori idonei a far ritenere che il chiamato all’eredità abbia compiuto determinati
atti incompatibili con la volontà di rinunciare o che siano concludenti e significativi della volontà di
accettare l’eredità.
Sotto questo profilo, viene in rilievo la questione inerente la valenza probatoria della denuncia di
successione mortis causa ritualmente trascritta. La consolidata giurisprudenza della Corte di
Cassazione si è espressa nel senso che, avendo tale atto rilevanza ai soli fini fiscali, esso risulta di
per sé inidoneo a comprovare la qualità di eredi dei semplici chiamati all’eredità (tra le altre, Cass.
n. 10796/2009).
Peraltro, è lo stesso Testo Unico delle imposte ipotecarie e catastali a prevedere espressamente che
la trascrizione del certificato di denunciata successione è richiesta ai soli effetti previsti dalla citata
normativa e non costituisce valida trascrizione degli acquisti mortis causa degli immobili e dei
diritti reali immobiliari compresi nella successione.
Si evidenzia, inoltre, che anche il pagamento delle imposte di successione non può ritenersi, per
costante giurisprudenza, idoneo a configurare un atto di accettazione tacita, rientrando tra gli atti di
natura conservativa e di amministrazione temporanea che il chiamato all’eredità può compiere in
base all’art. 460 c.c..
Al contrario, l’accettazione tacita può essere desunta dal compimento di atti che siano al
contempo fiscali e civili, come la voltura catastale.
Ed infatti la Suprema Corte, come anche la recente giurisprudenza di merito, ha espressamente
affermato che la voltura catastale rileva non solo dal punto di vista tributario, per il pagamento
dell’imposta, ma anche dal punto di vista civilistico per l’accertamento, legale o semplicemente
materiale, della proprietà immobiliare e dei relativi passaggi. E’ stato evidenziato, invero, che
soltanto chi intenda accettare l’eredità assume l’onere di effettuare la voltura catastale e di attuare il
passaggio della proprietà dal de cuius a se stesso (Cass. n. 10796/2009; Trib. Milano, n. 1994/2013;
Trib. Varese n. 103/2017).
Sul punto, si richiama nuovamente la fondamentale sentenza n. 11638/2014 che, riportandosi a
precedenti pronunce del medesimo tenore, ha confermato che la voltura catastale rappresenta in
modo univoco un atto comprovante l’avvenuta accettazione tacita di eredità.
Altro elemento probatorio idoneo a far accertare l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità è la
riscossione dei canoni di locazione di un bene ereditario. Anche sotto tale profilo, la giurisprudenza
di legittimità nonché quella di merito ha avuto modo di chiarire che la riscossione dei canoni di
locazione di un bene ereditario, quale atto dispositivo e non meramente conservativo, integra
accettazione tacita dell’eredità (Cass. n. 2743/2014; Trib. Milano n. 294/2017).
Vi sono, infine, una serie di elementi presuntivi idonei ad assumere valore probatorio – non sempre
determinante – quale, a titolo esemplificativo, la residenza del chiamato nell’immobile oggetto di
procedura (rilevante soprattutto ai sensi dell’art. 485 c.c.), il pagamento delle spese condominiali,
delle spese per le utenze ovvero dei debiti del de cuius nonché la stipulazione di contratti inerenti
beni dello stesso (locazione, appalto, mandato).
Quindi, ottenuta la sentenza di accertamento e passata in giudicato la stessa, il creditore potrà
procedere con la relativa trascrizione, ai sensi e per gli effetti di legge.

2) Fissazione del termine per l’accettazione dell’eredità ex art. 481 c.c. (c.d. l’actio
interrogatoria”).
Altro strumento previsto dal legislatore, è il procedimento di cui all’art. 481 c.c., in forza del quale
chiunque ha interesse può chiedere all’autorità giudiziaria di fissare nei confronti dei chiamati un
termine entro il quale accettare l’eredità.
In caso di “ordinanza positiva” – in cui si dà atto che il chiamato abbia dichiarato di voler accettare
l’eredità – non sembrano possano sorgere dubbi sulla possibilità di trascrivere tale provvedimento.
Tuttavia, come prescrive la norma, nel caso in cui decorra il termine fissato dal Tribunale, il
chiamato perde il diritto di accettare l’eredità.
In tale ipotesi, quindi, sarà necessario procedere con l’individuazione di ulteriori chiamati
all’eredità – nei cui confronti esperire le medesime azioni di cui sopra – ovvero depositare ricorso
per la nomina del curatore dell’eredità giacente.

3) Ricorso per la nomina del curatore dell’eredità giacente


Altro strumento previsto dal legislatore è il ricorso per la nomina del curatore dell’eredità giacente.
L’art. 528 c.c. prevede che, nel caso in cui il chiamato non abbia accettato l’eredità e non sia nel
possesso dei beni ereditari, il Tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, su istanza
di chiunque abbia interesse, nomina un curatore dell’eredità.
Il curatore è meramente tenuto ad una serie di obblighi specificati nel codice civile e, in particolare,
all’amministrazione dell’eredità giacente. Tale soggetto, comunque, ben potrà individuare
autonomamente i possibili chiamati all’eredità e procedere nei loro confronti con i necessitati
incombenti al fine di far accettare da questi ultimi l’eredità.
Lo strumento in commento consente di risolvere problematiche dal punto di vista processuale,
permettendo al creditore di procedere esecutivamente nei confronti del curatore dell’eredità
giacente – legittimato passivo.
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Decesso dell’esecutato in pendenza di procedura esecutiva immobiliare
Infine, appare opportuno rilevare come alcun rilievo assuma il decesso del debitore esecutato in
pendenza di procedura esecutiva immobiliare, una volta che il creditore abbia provveduto a
trascrivere l’atto di pignoramento.
Dal punto di vista processuale, incardinata la procedura, non vi è alcun dubbio che alla morte
dell’esecutato non segua la definizione anticipata ed anomala della procedura esecutiva. Come
specificato dalla giurisprudenza, infatti, l’istituto dell’interruzione non può trovare applicazione nel
processo esecutivo posto che “in esso non si svolge un accertamento che richieda la costante
attuazione di un formale contraddittorio” (Cass. n. 5721/1194).
Dal punto di vista del diritto sostanziale, al contempo, trova applicazione la norma di cui all’art.
2913 c.c. in forza della quale “non hanno effetto in pregiudizio al creditore pignorante e ai creditori
intervenuti gli atti di alienazione dei beni sottoposti a pignoramento”.
La disposizione in commento, come precisato dalla consolidata giurisprudenza di legittimità, deve
essere interpretata estensivamente nel senso che non solo gli atti di alienazione ma tutte le
modifiche nella titolarità del bene pignorato sono inefficaci/inopponibili per i creditori procedenti
e/o intervenuti, una volta trascritto l’atto di pignoramento (ex pluribus, Cass. 12080, 10.11.1992).
Inoltre, il disposto di cui all’art. 2919 c.c. tutela altresì l’aggiudicatario prevedendo che nei
confronti di questi debbano considerarsi inefficaci/inopponibili gli stessi atti già considerati tali per
i creditori procedenti/intervenuti.
In tal caso, dunque, l’eventuale decreto di trasferimento emesso dal Giudice dell’esecuzione
trasferirà la titolarità del bene pignorato dal de cuius all’aggiudicatario e potrà essere trascritto
contro lo stesso de cuius nel pieno rispetto della continuità delle trascrizioni.
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Considerazioni generali e conclusive
In ultima analisi, appare comunque opportuno rilevare che la continuità delle trascrizioni può essere
regolarizzata anche dopo il decorso del termine di prescrizione decennale per accettare l’eredità.
Quanto esaminato, in ogni caso, non appare idoneo ad assumere alcun rilievo con riguardo ai legati
in quanto per tali atti, verificandosi il loro acquisto automaticamente per effetto della semplice
disposizione testamentaria senza necessità di alcuna accettazione, sarà agevole in ogni tempo la
regolarizzazione della continuità delle trascrizioni mediante esibizione del testamento o di un
estratto autentico dello stesso ex art. 2648, terzo comma, c.c..
In conclusione, alla luce di tutto quanto sopra esposto, appare evidente come nella prassi il creditore
spesso incontri molteplici difficoltà nel recupero coattivo del credito, dovendo necessariamente
procedere a sanare l’eventuale difetto di continuità delle trascrizioni, all’uopo impiegando i
richiamati strumenti messi a disposizione dal legislatore, allo stato non adeguati.
Si auspica, pertanto, un intervento del legislatore volto a prevedere ulteriori e più efficaci strumenti
idonei a tutelare – in assenza di cooperazione dell’esecutato – il creditore nella celere realizzazione
del credito.
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https://iusletter.com/archivio/la-trascrizione-dellaccettazione-delleredita-e-la-continuita-delle-
trascrizioni/
Cass., sez. III Civile, 26 maggio 2014, n. 11638
Con la sentenza in data 26/05/2014, n. 11638, la Corte di Cassazione, sez. III Civile ha espresso la
seguente massima: “in materia di espropriazione immobiliare, e in particolare in materia di
espropriazione immobiliare esattoriale, qualora sia sottoposto a pignoramento un diritto reale su
un bene immobile di provenienza ereditaria e l’accettazione dell’eredità non sia stata trascritta a
cura dell’erede – debitore esecutato, il creditore procedente, se il chiamato all’eredità ha compiuto
uno degli atti che comportano accettazione tacita dell’eredità, può richiedere, a sua cura e spese,
la trascrizione sulla base di quell’atto, qualora esso risulti da atto pubblico o da scrittura privata
autenticata od accertata giudizialmente, anche dopo la trascrizione del pignoramento,
ripristinando così la continuità delle  trascrizioni ai sensi e per gli effetti dell’art. 2650, comma
secondo, cod. civ., purché prima dell’autorizzazione alla vendita ai sensi dell’art. 569, cod. civ.
Se, invece, il chiamato all’eredità ha compiuto uno degli atti che comportano accettazione tacita
dell’eredità ma questo non sia trascrivibile, perché non risulta da sentenza, da atto pubblico o da
scrittura privata autenticata, ovvero se si assume che l’acquisto della qualità di erede sia seguito ex
lege ai fatti di cui agli artt. 485 o 527 cod. civ., non risultando questo acquisto dai pubblici registri,
la vendita coattiva del bene pignorato ai danni del chiamato presuppone che la qualità di erede del
debitore esecutato sia accertata con sentenza.”
Nel merito, l’Agente della Riscossione aveva promosso esecuzione immobiliare esattoriale,
mediante avviso di vendita ai sensi dell’art. 78 del D.P.R.  n. 602 del 1973, dichiarata
improcedibile, stante la mancata prova dell’accettazione dell’eredità del bene pignorato in capo
all’esecutato.
Equitalia s.p.a. proponeva opposizione, rigettata dal Tribunale, nella quale sosteneva di aver
prodotto in giudizio documentazione attestante il compimento di atti di disposizione del bene
pignorato da parte dell’esecutato e, in quanto tali, comprovanti l’accettazione dell’eredità (nello
specifico, una voltura catastale); la ricorrente sosteneva, conseguentemente, che la continuità nelle
trascrizioni sarebbe stata eseguita con la trascrizione della denuncia di successione da parte
dell’ente preposto.
La Corte di Cassazione, partendo dall’assunto che la trascrizione dell’acquisto mortis causa si opera
in forza dell’art. 2648 cod. civ. e che, perciò, l’accettazione espressa o tacita deve essere contenuta
in un atto pubblico o in una scrittura privata autenticata ovvero in una sentenza, ha chiarito che la
trascrizione, lungi dall’attribuire la qualità di erede, ha l’effetto di assicurare il principio della
continuità delle trascrizioni e conferire efficacia alle successive iscrizioni e trascrizioni, nonché, in
caso di pignoramento, di garantire l’acquisto dell’aggiudicatario dall’evizione e conferirgli stabilità.
Posto che la trascrizione non è un presupposto processuale, ma sostanziale, il creditore pignorante
potrà procedere alla trascrizione dell’accettazione fino all’autorizzazione alla vendita ex art. 569
cod. proc. civ. ovvero, come nel caso di specie, trattandosi di procedura esecutiva immobiliare
esattoriale ai sensi degli artt. 78 e ss D.P.R. 602/1973, finché l’Agente della Riscossione non
disponga la vendita.
Nel caso l’accettazione dell’eredità derivi da fatti concludenti ovvero da quelli di cui agli artt. 485 o
527 cod. civ., i quali non risultino da sentenza,  atto pubblico o scrittura privata autenticata, sarà
previamente necessario l’accertamento della qualità di erede con sentenza, in un giudizio estraneo al
processo esecutivo.
La Corte di Cassazione ha così confermato il prevalente orientamento giurisprudenziale, volto ad
escludere che la dichiarazione di successione corrisponda ad un’accettazione tacita dell’eredità e,
come tale possa essere trascritta; ha ulteriormente chiarito che la voltura catastale, alla quale,
invece, è univocamente riconosciuta valenza di accettazione tacita dell’eredità, non essendo
normalmente recepita in un atto pubblico o una scrittura privata autenticata, non può essere
trascritta. Il ricorso di Equitalia S.p.a. è stato pertanto rigettato.
***
https://www.diritto.it/lespropriazione-del-bene-in-comunione-legale-per-crediti-personali-di-un-
solo-coniuge-evoluzione-della-giurisprudenza-di-merito-e-di-legittimita-a-partire-dalla-sentenza-
della-cass-civ-sez-3-n/
L’espropriazione del bene in comunione legale per crediti personali di un solo coniuge:
evoluzione della giurisprudenza di merito e di legittimità a partire dalla sentenza della Cass.
civ., Sez. 3, n. 6575/2013
Sommario: I. Introduzione; II. La sentenza Cass. civ., Sez. 3, n. 6575 del 14.03.2013; III. Le
interpretazioni e le soluzioni adottate dai Tribunali; IV. L’orientamento dominante della Suprema
Corte; V. Considerazioni finali
I. Introduzione
L’espropriazione del bene facente parte della comunione legale dei coniugi nel caso in cui un solo
coniuge rivesta la qualità di debitore è un tema particolarmente delicato poiché, ad oggi, non è mai
stato oggetto di alcuna specifica disciplina codicistica né di alcun testo di legge.
Il nostro legislatore, infatti, non ha finora regolamentato la predetta questione, lasciando la materia
al dibattito dottrinale ma, soprattutto, alla costruzione giurisprudenziale di merito e di legittimità.
Ciò ha portato e comporta una incertezza circa la corretta modalità di aggredire esecutivamente un
bene ricadente nella comunione legale fra i coniugi di cui un solo debitore, sia per la già dedotta
mancanza di disciplina ad hoc, sia per l’avvertita necessità di contemperare, da un lato, le legittime
pretese dei creditori del coniuge debitore e, dall’altro, di limitare il sacrificio subito, suo malgrado,
dal coniuge non debitore.
La particolarità della questione risiede principalmente nella qualità del bene aggredito, facente parte
della comunione legale tra i coniugi ex artt. 177 c.c. e seguenti, il cui regime non deve confondersi
con quello della comunione ordinaria.
Infatti, la comunione legale non può essere considerata come una fattispecie di contitolarità del
diritto di proprietà, come avviene nel caso della comunione ordinaria, bensì una speciale forma di
comproprietà senza quote, come precisato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 311 del
17.03.1988[1].
Per la Consulta, inoltre, la quota non era un elemento strutturale della comunione legale, ma aveva
soltanto la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione potevano essere aggrediti
dai creditori particolari.
Da tale autorevole interpretazione è derivata, sino al 2013, la possibilità per il creditore particolare
del coniuge di poter procedere al pignoramento del bene in regime comunione legale – solitamente
la casa coniugale – aggredendo soltanto la “quota” di spettanza del coniuge debitore, avendo
quest’ultima la sola funzione di delimitare la quantità di bene aggredibile.
In altre parole, il creditore di un coniuge era legittimato a promuovere l’espropriazione di un bene
in comunione legale soltanto per la metà, quale “quota ideale” di proprietà del debitore.
1
 Cfr. Corte Cost., 17 marzo 1988, n. 331, in Giur. Cost., 1988, I, p. 1299, secondo cui: “Dalla
disciplina della comunione legale risulta una struttura normativa difficilmente riconducibile alla
comunione ordinaria. Questa è una comunione per quote, quella è una comunione senza quote;
nell’una le quote sono oggetto di un diritto individuale dei singoli partecipanti (arg. ex art. 2825
cod.civ.) e delimitano il potere di disposizione di ciascuno sulla cosa comune (art. 1103); nell’altra
i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì solidalmente titolari, in
quanto tali, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione (arg. ex art. 189, secondo
comma). Nella comunione legale la quota non è un elemento strutturale, ma ha soltanto la funzione
di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori
particolari (art. 189), la misura della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i
propri beni personali verso i creditori della comunione (art. 190), e infine la proporzione in cui,
sciolta la comunione, l’attivo e il passivo saranno ripartiti tra i coniugi o i loro eredi (art. 194)“. In
particolare, nel caso in esame, la Consulta ha deciso in merito alla questione di legittimità
costituzionale dell’art. 184, primo comma, cod.civ. per contrasto con gli artt. 3, 24, primo comma,
29, secondo comma, e 42, secondo comma, Cost., e dell’art. 184, secondo comma, per contrasto con
l’art. 24, primo comma, Cost., questione sollevata con ordinanza del 14.01.1987 dal Tribunale di
Bari, il quale riteneva che la predetta norma “non appare inserita razionalmente nel sistema“:
secondo la tesi del Giudice a quo la norma indeboliva il diritto di proprietà del coniuge sul bene
comune e imponeva una diversità di trattamento ingiustificata della comunione legale rispetto alla
comunione ordinaria. La Corte Costituzionale ha ritenuto la questione di legittimità infondata,
precisando nella propria motivazione le profonde differenze tra la comunione legale e la comunione
ordinaria.
II. La sentenza Cass. Civ., Sez. 3, n. 6575 del 14.03.2013
La sentenza in commento (Cass. Civ., Sez. 3, n. 6575 del 14.03.2013) riveste p>
Come noto, la sentenza de qua, ribadendo la natura di comproprietà senza quote della comunione
legale tra i coniugi, ha espressamente stabilito che il creditore personale di uno solo di essi avrebbe
dovuto pignorare l’intero bene e non la sua metà, come sempre avvenuto sino a quel momento, con
conseguente diritto del coniuge non debitore alla metà di quanto ricavato dalla vendita del bene
stesso.
Vale la pena citare la massima della sentenza in commento: “La natura di comunione senza quote
della comunione legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo
dei coniugi, di un bene (o di più beni) in comunione abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e
non per la metà, con scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito all’atto
della sua vendita od assegnazione e diritto del coniuge non debitore alla metà della somma lorda
ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di assegnazione (principio
affermato ai sensi dell’art. 363 cod. proc. civ.)“.
Le ricadute derivanti dall’applicazione di tale principio sulle esecuzioni già in corso al
momento di pubblicazione della predetta sentenza sono state diverse ed hanno avuto
connotati problematici, aggravati dalla pletora di differenti soluzioni adottate – ed in concreto
adottabili – dai giudici di merito italiani.
Si trattava, infatti, di esecuzioni che, in linea al precedente orientamento giurisprudenziale, erano
state promosse solo nei confronti della metà del bene in comunione legale, quindi solo sulla “quota”
astrattamente riferibile al coniuge debitore.
E’ interessante esaminare come i giudici di merito abbiano interpretato ed applicato il nuovo
principio dal 2013 ad oggi, nonché tentare di capire quale sia l’orientamento ad oggi dominante. La
questione, del resto, non può dirsi del tutto esaurita, essendo tuttora pendenti procedimenti esecutivi
iniziati prima del 2013.
III. Le interpretazioni e le soluzioni adottate dai Tribunali
Vi sono essenzialmente due diverse linee interpretative ed applicative del nuovo principio espresso
dalla sentenza n. 6575 del 2013.
Da un lato alcuni tribunali hanno optato per la dichiarazione di improcedibilità e di estinzione dei
procedimenti esecutivi pendenti e promossi solo sulla metà del bene in comunione legale,
sostenendo come in realtà il principio dell’assenza di quote fosse già stato statuito dalla Corte
Costituzionale nella già citata sentenza n. 311/1988 e come, pertanto, avrebbe dovuto già essere
nota ai creditori procedenti l’impossibilità di aggredire esecutivamente solo la metà del bene in
comunione legale; in altre parole, avendo già la Consulta stabilito che la comunione legale fosse
una comunione senza quote, i creditori particolari non avrebbero potuto promuovere il
pignoramento sulla sola “quota” di spettanza di un coniuge nemmeno prima della pronuncia del
2013, con conseguente dichiarazione di improcedibilità delle procedure aventi ad oggetto non
l’intero bene ma solo la sua metà (vedasi Tribunale di Napoli, quinta sezione civile, ordinanza
11.11.2013; Tribunale di Massa Carrara, circolare 20.05.2013, dott. Giampaolo Fabbrizzi;
Tribunale di Piacenza, sentenza 12.10.2011).
Al contrario, altri Tribunali hanno optato per la sopravvivenza dei procedimenti già iniziati prima
della decisione della Suprema Corte, consentendo al creditore che avesse pignorato solo la metà del
bene di promuovere la rinnovazione e/o la estensione del pignoramento anche nei confronti del
coniuge non debitore (Tribunale di Enna, ordinanza 4.05.2015; Tribunale di Campobasso,
circolare 17.05.2013, dott.ssa Elena Quaranta; Tribunale di Cassino, ordinanza 17.03.2014
Tribunale di Pordenone, circolare 30.09.2014, dott. Francesco Petrucco Toffolo; Tribunale di
Crotone, circolare 8.01.2015, dott.ssa Arcangela Stefania Romanelli; Tribunale di Catania,
ordinanza 20.02.2018).
Quest’ultima sembra essere stata la soluzione più seguita, chiaramente in favore delle esigenze di
economia processuale.
In concreto, altresì, diversi Tribunali hanno individuato i punti fermi che devono connotare la
estensione o rinnovazione del pignoramento nei confronti del coniuge non debitore o, ab origine, il
pignoramento dell’intero compendio.
In particolare:
– il pignoramento deve essere notificato e trascritto anche nei confronti del coniuge non debitore, il
quale assume la qualità di parte processuale pur non essendo personalmente obbligato nei confronti
del creditore particolare dell’altro coniuge;
– la documentazione ipocatastale exart. 567 deve essere riferita ad entrambi i coniugi;
– l’avviso di cui all’art. 498 c.p.c. deve essere notificato anche ai creditori particolari del coniuge
non obbligato;
– con il decreto di trasferimento dovranno essere cancellate anche le ipoteche eventualmente iscritte
contro il coniuge non obbligato;
– il 50% del ricavato dalla vendita dovrà essere corrisposto al coniuge non obbligato senza portare
in prededuzione le spese della procedura, che dunque graveranno integralmente sul restante 50%;
– per concorrere alla distribuzione del ricavato il coniuge non obbligato non è onerato dalla
necessità di spiegare un intervento, trovando applicazione l’art. 510, ultimo comma, c.p.c.
IV. L’orientamento dominante della Suprema Corte
La Suprema Corte si è assestata sul principio espresso dalla sentenza n. 6575/2013, in quanto dello
stesso segno è il tenore delle pronunce successive, non registrandosi nella giurisprudenza di
legittimità alcuna pronuncia contraria.
Si cita, sul punto, la sentenza Cass. Civ., Sez. III, 31/03/2016, n. 6230, la quale, pur ribadendo il
medesimo principio della sentenza del 2013 già citata, ne indica anche gli aspetti pur sempre
incoerenti e problematici: “E deve confermarsi che la soluzione prescelta da Cass. n. 6575/2013
continua ad apparire, finché almeno non riterrà di intervenire il legislatore, la meno incoerente con
il sistema, tutelando – mediante la notificazione al coniuge non debitore del pignoramento (ma non
potendosi escludere l’efficacia di un qualsiasi atto ad esso equipollente), poiché anche lui, pur non
essendovi formalmente assoggettato, risente direttamente degli effetti dell’espropriazione in
concreto posta in essere, con diritti e doveri identici a quelli del coniuge debitore esecutato (per
debito suo personale o proprio) – almeno il suo diritto a non vedere uscire dalla comunione legale
(effetto inevitabile della vendita, a sua volta ineliminabile nell’attuale regime dell’articolo 600
c.p.c. per l’impossibilita’ di vendere una quota che non esiste, così oltretutto inserendovi un
estraneo al rapporto di coniugio) un bene, senza percepire quanto meno il controvalore lordo di
esso (salve le regole di attribuzione di cui agli articoli 195 c.c. e ss.), in adeguato contemperamento
della tutela dei creditori del coniuge debitore e della natura peculiare della sua contitolarità di
diritti sui beni aggredibili“
Aldilà di questi aspetti problematici, l’assestamento della Suprema Corte sul principio espresso nel
2013 sembra essere, per il momento, consolidato, come si evince anche da una recentissima
sentenza del gennaio scorso, Cass. Civ., Sez. II, n. 2047 del 24.01.2019, la quale ha ulteriormente
ribadito la natura di comunione senza quote della comunione legale dei coniugi e che
l’espropriazione per crediti personali di uno solo dei coniugi di un bene (o più beni) debba avere ad
oggetto detti cespiti nella loro interezza e non per la metà o per una quota.
V. Considerazioni finali
Preso atto della odierna sostanziale uniformità di orientamento da parte della Suprema Corte,
nonché dell’indubbio favore dimostrato dai giudici di merito per la sopravvivenza dei procedimenti
esecutivi iniziati prima del revirement della Cassazione e promossi solo sulla metà del bene in
comunione legale, non si può tacere la necessità di un intervento normativo che regoli
specificamente la materia.
La fattispecie, infatti, è indubbiamente caratterizzata da una forte indeterminatezza e le diverse
soluzioni adottate, da ultima quella inaugurata dalla nota sentenza n. 6575 del 2013, non sembrano
tutelare adeguatamente ed in pieno né le ragioni dei creditori del coniuge debitore né quelle del
coniuge non debitore, il quale si trova di fatto ad essere assoggettato, sul malgrado, ad una
procedura esecutiva, subendone gli oneri e gli effetti.
La fattispecie, inoltre, è esposta agli eventuali futuri mutamenti della giurisprudenza, che
potrebbero ben intervenire ancora sulla delicata questione.
Sarebbe, in definitiva, auspicabile un intervento del legislatore volto a regolamentare in modo
puntuale e specifico l’espropriazione del bene in comunione legale per debiti personali di un solo
coniuge, fornendo ai creditori strumenti certi per l’aggressione del bene in comunione legale nonché
stabilendo delle garanzie e dei meccanismi di tutela della proprietà più stringenti in favore del
coniuge non debitore.
***
la Suprema Corte (Cass.,  Sez. 3, Ordinanza n. 6576 del 14/03/2013) ha ritenuto valido, anche se
riferito alla proprietà senza altre specificazioni, il pignoramento di un immobile edificato
(compiutamente identificato come tale), anche se esso sia oggetto di sola proprietà superficiaria in
capo al debitore.
***
Corte di Cassazione, sezione terza, con sentenza n. 11272 del 21/05/2014
Testo massima
La mancata espressa indicazione, nel pignoramento e nella nota di trascrizione ed in difetto di
ulteriori altrettanto univoci elementi in senso contrario, dei dati catastali propri, esclusivi ed
univoci di una pertinenza, a fronte della espressa indicazione di quelli diversi e distinti di altri beni
e soprattutto della cosa principale, integra – in applicazione del principio inclusio unius exclusio
alterius – un sicuro elemento contrario all’estensione del pignoramento a quella specifica
pertinenza, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza o meno del vincolo pertinenziale.
Con tale pronuncia, la Cassazione ha affrontato il problema dell’estensione del vincolo pignoratizio
alla pertinenza (non descritta nel pignoramento e dotata di un proprio identificativo catastale),
tenuto conto che, in dipendenza della natura derivativa dell’acquisto in sede di vendita forzata,
l’oggetto del decreto di trasferimento, determinato soltanto dal pignoramento, in dipendenza del
principio generale dell’art. 2912 cc e ss, coincide necessariamente con quello della procedura
esecutiva nel corso della quale esso è pronunziato.
Invero, la disposizione di cui all’art. 2912 cc – ESTENSIONE DEL PIGNORAMENTO – che
prevede che il pignoramento comprende – tra l’altro – le pertinenze della cosa pignorata ex art. 817
cc e, dunque, quelle cose che, pur mantenendo la propria individualità, sono destinate in modo
durevole al servizio di altre, va applicata con le opportune cautele, al fine di evitare il rischio di
ritenere pignorati beni senza che, in relazione ad essi, l’esistenza del vincolo pignoratizio sia resa
opponibile ai terzi mediante la trascrizione. 
E, dunque, se ai fini dell’opponibilità della trascrizione del pignoramento è il dato catastale
risultante dalla nota ad essere rilevante mentre è irrilevante il titolo, allora la mancata espressa
indicazione, nel pignoramento e nella nota di trascrizione ed in difetto di ulteriori altrettanto univoci
elementi in senso contrario,ricavabili da idonee menzioni nel quadro relativo alla descrizione
dell’oggetto o nel quadro “D” della nota meccanizzata, dei dati catastali propri, esclusivi ed univoci
di una pertinenza, a fronte della espressa indicazione di quelli diversi e distinti di altri beni e
soprattutto della cosa principale, integra  un elemento contrario all’estensione del pignoramento alla
pertinenza, a prescindere da ogni indagine sulla sussistenza o meno del vincolo pertinenziale.
In conclusione, la presunzione, di cui all’art. 2912 cc, non opera nel caso in cui il bene,
astrattamente configurabile come una pertinenza, è dotato di per sè solo di univoci ed esclusivi dati
identificativi catastali, se non è indicato nel pignoramento e nella nota, nei quali sono indicati altri
beni compiutamente identificati con loro propri ed esclusivi dati catastali, perché tale situazione
comporta un’obiettiva e diversa risultanza dell’atto di pignoramento e della sua nota di trascrizione.
***
Cassazione Civile, Sentenza n. 15597/2019 dell’11 giugno 2019
Mancata produzione del titolo di proprietà debitore esecutato – Dichiarazione di estinzione della
procedura esecutiva.
Con la sentenza in commento la Suprema Corte è intervenuta in materia di espropriazione
immobiliare, chiarendo le conseguenze della mancata produzione da parte del creditore del titolo
attestante la proprietà del bene in capo al debitore esecutato. In particolare, gli Ermellini hanno
formulato il principio di diritto, secondo cui “in tema di espropriazione forzata immobiliare, è
doverosa la richiesta da parte del giudice dell’esecuzione, ai fini della vendita forzata, della
certificazione attestante che, in base alle risultanze dei registri immobiliari, il bene pignorato
appaia di proprietà del debitore esecutato sulla base di una serie continua di trascrizioni di idonei
atti di acquisto riferibili al periodo che va dalla data di trascrizione del pignoramento fino al primo
atto di acquisto precedente al ventennio a decorrere dalla stessa. All’ordinanza di richiesta del
primo atto di acquisto ultraventennale effettuata dal giudice dell’esecuzione si applica il regime
degli artt. 484, 175, 152 e 145 c.p.c., e alla mancata produzione del suddetto titolo, imputabile al
soggetto richiesto, consegue la dichiarazione di chiusura anticipata del processo esecutivo”.
Benché la verifica spettante al Giudice dell’esecuzione sia di carattere formale, e non sostanziale, lo
scopo prefissato dal Legislatore è quello di garantire “… con un grado di ragionevole
probabilità ...” la effettiva titolarità dei beni da parte del debitore esecutato. Proprio per questo
occorre risalire all’ultimo atto di acquisto anteriore al ventennio, anche quando la trascrizione a
favore dell’esecutato o di un suo dante causa (come nel caso de quo), ricade nel ventennio.
***
Vincoli opponibili alla procedura esecutiva
(cioè al pignoramento)
Si parla di titolo opponibile alla procedura esecutiva quando la registrazione è avvenuta in data
antecedente al pignoramento; di titolo non opponibile se la registrazione è avvenuta in data
successiva.
Un contratto è “opponibile alla procedura esecutiva” - e quindi al successivo acquirente - è un
contratto che “resta valido”, per utilizzare una terminologia semplice. Innanzitutto tale contratto
deve avere data certa prima dell'avvenuto pignoramento, nel caso si tratti di locazioni entro i
nove anni.
L’immobile pignorato può, pertanto, essere “gravato” da un titolo (esempio contratto di locazione)
opponibile alla procedura esecutiva – ove ad esempio tale contratto è stato non solo semplicemente
stipulato ma registrato prima del pignoramento (cioè prima dell’avvio della procedura esecutiva).
Senza la registrazione, infatti, seppur antecedente al pignoramento, il titolo non è opponile al
creditore procedente (ed agli altri eventuali creditori intervenuti) – quindi non è opponibile alla
procedura esecutiva!
Non è, inoltre, opponibile alla procedura esecutiva l’occupazione l’immobile che risulta “occupato”
in forza di un titolo “non opponibile” (ad esempio di un contratto non registrato prima del
pignoramento), ovvero senza alcun titolo legittimo.
Si rileva, inoltre, che in alcune situazioni anche i contratti (titoli) opponibili alla procedura
possono essere annullati, ottenendo la liberazione dell'immobile.
*
Si parla di titolo opponibile per evidenziare la possibilità, nelle vendite forzose, di un vincolo circa
il possesso del bene da parte dell’aggiudicatario.
Nelle vendite forzose sono titoli opponibili all’aggiudicatario tutti gli atti, contratti, sentenze,
trascritti alla Conservatoria dei registri immobiliari con data certa e antecedente alla data di
trascrizione dell’atto di inizio della procedura espropriativa (pignoramento, fallimento, concordato
preventivo) oppure antecedente ad iscrizione di ipoteca a garanzia di mutuo da parte dell’Istituto
mutuante che sia parte della procedura in cui viene espropriato il bene.
A titolo meramente esemplificativo e non esaustivo sono soggetti con “titolo opponibile
all’aggiudicatario”:
1. il conduttore di immobile concessogli con contratto di locazione registrato (o comunque di
data certa) anteriore all’avvenuta notificazione all’esecutato dell’atto di pignoramento
ovvero all’iscrizione di ipoteca a garanzia di mutuo fondiario, qualora l’Istituto mutuante sia
parte della procedura esecutiva in cui viene espropriato il bene;
2. il coniuge assegnatario della casa di abitazione in forza di sentenza di separazione o
divorzio o di verbale di separazione consensuale omologato, in data certa anteriore
all’avvenuta notificazione all’esecutato dell’atto di pignoramento ovvero all’iscrizione di
ipoteca a garanzia di mutuo fondiario, qualora l’Istituto mutuante sia parte della procedura
esecutiva in cui viene espropriato il bene;
3. titolari di diritti reali (quali uso, usufrutto, abitazione) trascritti in data certa anteriore
all’avvenuta notificazione all’esecutato dell’atto di pignoramento ovvero all’iscrizione di
ipoteca a garanzia di mutuo fondiario, qualora l’Istituto mutuante sia parte della procedura
esecutiva in cui viene espropriato il bene;
4.  soggetti che abbiano trascritto domande giudiziarie che possono dispiegare efficacia
sulla titolarità del bene in data certa anteriore all’avvenuta notificazione all’esecutato
dell’atto di pignoramento ovvero all’iscrizione di ipoteca a garanzia di mutuo fondiario,
qualora l’Istituto mutuante sia parte della procedura esecutiva in cui viene espropriato il
bene.
Nel caso l’immobile sia occupato da soggetto con “titolo opponibile all’aggiudicatario” occorre
rispettare i termini degli atti , contratti e sentenze,  o subire le conseguenze giuridiche derivanti
dall’efficacia dei titoli giuridici stessi – per approfondire questi effetti:
https://www.altalex.com/documents/news/2004/12/27/il-regime-di-opponibilita-degli-atti-negoziali
*
Opponibilità dei contratti di godimento dell’immobile messo all’asta a seguito di procedura
esecutiva (c.d. “subastato”)
Nel caso in cui l’immobile pignorato sia goduto da terzi occorre valutare l’opponibilità del contratto
alla procedura esecutiva immobiliare. L’opponibilità rappresenta il presupposto logico e giuridico
per esaminare le azioni per conseguire la disponibilità del bene.
In presenza, infatti, di un contratto non opponibile alla procedura, il G.E. dovrà disporre la
liberazione dell’immobile adottando l’ordine di liberazione ex art. 560 c.p.c..
Tale soluzione, a cui erano pervenute dottrina e giurisprudenza, trova conferma nella riforma
portata con il d.l. 59/2016 - che letteralmente autorizza l’emissione dell’ordine di liberazione anche
in presenza di contratti opponibili, assicurando al terzo il rimedio dell’opposizione agli atti
esecutivi ex art. 617 c.p.c. da proporre entro venti giorni dalla notifica dell’ordine di liberazione.
Prima di esaminare alcune azioni che il custode può esercitare per conseguire il bene, è quindi
opportuno trattare il tema dell’opponibilità (che potrebbe essere oggetto di vaglio processuale in
caso di opposizione ex art. 617 c.p.c. promossa dal detentore minacciato).
L’opponibilità del contratto di godimento alla procedura esecutiva immobiliare deve essere valutata
con i canoni dettati dall’art. 2923 c.c.; il contratto sarà opponibile al custode negli stessi casi in cui
sarebbe opponibile all’aggiudicatario, cioè:
1) se trascritto nei pubblici registri immobiliari in data antecedente al pignoramento (i titoli per la
trascrizione ex art. 2657 c.c. “muniscono” il contratto di data certa), in tal caso sarà opponibile
anche se avente una durata ultranovennale;
2) se avente data certa anteriore al pignoramento (ma in assenza di trascrizione sarà opponibile
solamente nei limiti del novennio dall’inizio);
3) se la detenzione dell’immobile, obbligatoriamente collegata ad un contratto di locazione, sia
anteriore al pignoramento.
Trascrizione nei pubblici registri immobiliari vs data certa
Il contratto di durata superiore alle nove annualità (c.d. “ultranovennale”) sarà opponibile per la
durata pattuita dai contraenti alla procedura esecutiva immobiliare solamente se trascritto nei
pubblici registri immobiliari ai sensi del combinato disposto dell’art. 1350 n. 8 c.c. e art. 2643 n.
8 c.c. Il contratto, ai sensi dell’art. 2657 c.c. dovrà avere la forma dell’atto pubblico ovvero della
scrittura privata con sottoscrizioni autenticate o accertate giudizialmente.
In assenza di trascrizione presso l’Agenzia delle Entrate – Servizio di Pubblicità Immobiliare, il
contratto sarà opponibile se avente data certa nei limiti del novennio decorrente dalla data di
stipula del contratto ai sensi del secondo comma dell’art. 2923 c.c.
La data certa deve essere provata ai sensi dell’art. 2704 c.c.; a questo proposito:
Cassazione Sez. III 3.8.2012 n. 13943 “in tema di data della scrittura privata, qualora manchino le
situazioni tipiche di certezza contemplate dall'art. 2704, primo comma, cod. civ., ai fini
dell'opponibilità della data ai terzi è necessario che sia dedotto e dimostrato un fatto idoneo a
stabilire in modo ugualmente certo l'anteriorità della formazione del documento. Ne consegue che
tale dimostrazione può anche avvalersi di prove per testimoni o presunzioni, ma solo a condizione
che esse evidenzino un fatto munito della specificata attitudine, non anche quando tali prove siano
rivolte, in via indiziaria e induttiva, a provocare un giudizio di mera verosimiglianza della data
apposta sul documento”; Cassazione Sez. I 28.5.2012 n. 8438 “qualora la scrittura privata non
autenticata formi un corpo unico col foglio sul quale è impresso il timbro postale, la data risultante
da quest'ultimo è data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio
equivale ad attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa
è stata eseguita, mentre grava sulla parte che contesti la certezza della data l'onere di provare - pur
senza necessità di querela di falso - che la redazione del contenuto della scrittura è avvenuta in un
momento diverso”; Tribunale di Salerno 24.11.2008 “Nel caso in cui il contratto non è registrato,
né trascritto, e non reca alcuna ulteriore indicazione che possa farne ritenere certa (ai sensi dell'art.
2704 c.c.) la data di stipulazione, da tale carenza non può che discendere la inopponibilità del
contratto medesimo alla curatela fallimentare, in virtù del combinato disposto dell'art. 45 R.D. n.
267/1942 e dell'art. 2923 c.c.. Dispone infatti l'art. 45 cit. che le formalità necessarie per rendere
opponibili gli atti ai terzi, se compiute dopo la data della dichiarazione di fallimento, sono senza
effetto rispetto ai creditori”

L’anteriorità del contratto al pignoramento può essere attestata dalla registrazione del
contratto ovvero da altri elementi che rendano certa la priorità, essendo irrilevanti altre
circostanze di fatto (neppure dando la prova del pagamento del canone, fatto che semmai potrà
essere speso per sostenere una detenzione anteriore).
A tal proposito: Cass. civ. Sez. I, Sent., 01/10/2015, n. 19656, in motivazione “in realtà l'art. 2704
c.c. prescrive che la data della scrittura è certa e computabile riguardo ai terzi solo dal giorno in cui
si verifica un fatto che stabilisca in modo certo l'anteriorità della formazione del documento.
Tuttavia l'art. 2704 c.c. non contiene un'elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una
scrittura privata non autenticata deve ritenersi certa rispetto ai terzi; ma lascia al giudice del merito
la valutazione, caso per caso, della sussistenza di un fatto, diverso dalla registrazione, idoneo
secondo l'allegazione della parte, a dimostrare la data certa (Cass., sez. 1, 28 giugno 1963, n. 1760,
m. 262702). E la giurisprudenza, se esclude l'ammissibilità della prova per testi o per presunzioni
direttamente vertente sulla data (Cass., sez. 1, 4 giugno 1986, n. 3742, m. 446622, Cass., sez. 1, 8
novembre 2001, n. 13813, m.550082), ammette talora che la prova per testimoni o per presunzioni
possa avere per oggetto i fatti idonei a stabilire in modo certo l'anteriorità della formazione del
documento (Cass., sez. 3, 11 ottobre 1985, n. 4945, m. 442318; contra, peraltro, Cass., sez. 3, 30
aprile 1969, n. 1430, m. 340200, Cass., sez. 1, 9 giugno 1972, n. 1806, m. 358791, Cass., sez. 3, 23
gennaio 1976, n. 217, m. 378872). Deve ritenersi comunque che sia ammissibile la prova per
testimoni o per presunzioni di alcuno dei fatti che, secondo quanto l'art. 2704 c.c., comma 1
prevede, possono valere a stabilire l'anteriorità della formazione del documento, perchè il limite
probatorio imposto dalla norma attiene alla natura del fatto idoneo, come la morte o l'impossibilità
fisica del sottoscrittore, a stabilire con certezza tale anteriorità, non attiene assolutamente al modo in
cui i fatti così connotati possano essere provati (Cass., sez. 1, 8 novembre 2001, n. 13813, m.
550082)” ; Cass. civ. Sez. I, 28/05/2012, n. 8438 “qualora la scrittura privata non autenticata formi
un corpo unico col foglio sul quale è impresso il timbro postale, la data risultante da quest'ultimo è
data certa della scrittura, perché la timbratura eseguita in un pubblico ufficio equivale ad
attestazione autentica che il documento è stato inviato nel medesimo giorno in cui essa è stata
eseguita, mentre grava sulla parte che contesti la certezza della data l'onere di provare - pur senza
necessità di querela di falso - che la redazione del contenuto della scrittura è avvenuta in un
momento diverso”.
***
La trascrizione, atti soggetti a trascrizione e domande giudiziali “trascrivibili”
https://www.laleggepertutti.it/376125_la-trascrizione-della-domanda-giudiziale

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