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Consulenza legale i 22/02/2017

La soluzione del caso va fondata essenzialmente sulla trattazione dell’istituto giuridico della compensazionee
sulle sue modalità operative.
La compensazione viene disciplinata dagli articoli 1241-1252 del codice civile ed è un modo di estinzione
dell’obbligazione diverso dall’adempimento per effetto del quale, quando due soggetti sono al contempo
creditore e debitore l’uno dell’altro, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti.

Trattasi di un meccanismo che risponde non solo ad un criterio di economia degli atti giuridici (appare inutile
dar luogo a due adempimenti reciproci quando entrambi possono essere evitati), ma anche ad un criterio di
garanzia della realizzazione del credito.
Se infatti la compensazione non potesse essere opposta, il debitore non potrebbe rifiutare il pagamento pur in
presenza di un inadempimento da parte del proprio creditore di altra prestazionedovuta nei suoi confronti.

La compensazione, tuttavia, non opera sempre ed automaticamente, ma secondo modalità fissate dalla legge
in relazione a tre diverse ipotesi a cui corrispondono la compensazione legale, la compensazione giudiziale e
la compensazione volontaria.
La compensazione legale si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto una somma di denaro o una
quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono ugualmente liquidi ed esigibili (art. 1243c.c.);
costituisce suo presupposto, dunque, la omogeneità, liquidità ed esigibilità dei crediti, in presenza dei
quali l’estinzione dei due debiti opera fin dal giorno della loro coesistenza.

Circa il modo di operare della stessa, mentre la giurisprudenza ne ammette la sua automatica
operatività, cioè a prescindere da qualsivoglia manifestazione di volontà della parte interessata, la dottrina
ritiene al contrario che sia necessario esercitare il potere di opporre la compensazione da parte del
debitore a cui sia stato richiesto di adempiere.
A tal fine è configurabile un esercizio stragiudiziale del potere, che si concretizza in unatto
unilaterale recettizio, i cui effetti retroagiscono al momento della coesistenza dei due debiti.
Si ritiene più prudente seguire la tesi dottrinaria, anche in considerazione del fatto che la compensazione non
può essere rilevata d’ufficio dal Giudice in giudizio, ma deve essere comunque eccepita dalla parte
interessata, la quale avrà così anche facoltà di valutare l’interesse al proprio adempimento.
Pertanto, ammesso l’esercizio stragiudiziale del potere di opporre la compensazione, il giudice sarebbe
legittimato a rilevare l’avvenuta compensazione a prescindere da una rituale eccezione sollevata in giudizio
dalla parte, purché la prova dell’atto di esercizio suddetto risulti acquisita al processo.
La sentenza con cui il giudice rileva l’avvenuta compensazione legale è una sentenza dichiarativa, che si
limita all’accertamento di un evento già verificatosi e dunque opera ex tunc.

Diverso, invece, è il caso della compensazione giudiziale, nella quale il giudice non si limita ad accertare un
fatto, ma lo determina, cosicché la sentenza opererà ex nunc. Ad essa si fa ricorso quando quella legale non
abbia potuto operare perché uno dei debiti (o entrambi) non è liquido, purché sia di facile e pronta
liquidazione.

L’art. 1252 c.c. detta, infine, una sorta di norma di chiusura in base alla quale può darsi luogo
a compensazione, sull’accordo delle parti e dunque mediante un contratto di natura estintiva, qualora non
ricorrano i requisiti per darsi luogo a compensazione legale o giudiziale.
Essa, tuttavia, non può superare la mancata ricorrenza di qualsivoglia presupposto (primo fra tutti la
reciprocità del rapporto debito-credito), ma solo l’eventuale difetto di omogeneità, liquidità, ed esigibilità del
credito.

A questo punto, delineato il quadro generale dell’istituto giuridico della compensazione, vediamo come esso
può trovare concreta applicazione nel caso che ci occupa.
Escluso che si versi in una delle ipotesi previste espressamente dall’art. 1246c.c. ed in cui la compensazione
non è ammessa, si ritiene che ricorrano tutti i presupposti per l’operatività della compensazione legale,
trattandosi di crediti:

a. omogenei, entrambi hanno ad oggetto una somma di denaro;


b. liquidi, entrambi sono certi e determinati con precisione nel loro ammontare;
c. esigibili, poiché possono essere fatti valere in giudizio al fine di ottenere una sentenza di condanna per
il caso di inadempimento.

Ciò che difetta, invece, almeno conformemente alla più prudente tesi dottrinaria sopra riportata, è l’esercizio
stragiudiziale del potere, che si concretizza in un atto unilaterale recettizio.
Non si può, infatti, pretendere che la volontà di compensare una reciproca partita di crediti possa farsi
discendere da una manifestazione tacita di volontà risultante da un comportamento concludente, ossia il
pagamento parziale del proprio debito a cui è stato ab initio detratto per decisione unilaterale e non condivisa
ne chiaramente comunicata, l’ammontare del proprio credito.
E’ indispensabile, pertanto, che nel momento in cui il debitore adempie il proprio debito manifesti
espressamente la volontà di compensare una parte di quel debito con il credito da lui a sua volta vantato,
dovendo tale volontà rivestire il carattere di atto unilaterale (da lui proveniente e senza necessità di
accettazione dell’altra parte) e recettizio (deve giungere nella sfera di conoscenza dell’altra parte e di ciò si
deve essere in grado di darne prova).
In difetto di ciò il pagamento in misura ridotta del canone di locazione configura un adempimento parziale e
correttamente legittima l’esercizio del potere di cui all’art. 1456 c.c. (se espressamente previsto in contratto).

A questo punto, non essendo stato mai quel pagamento parziale del primo semestre configurato come
esercizio del potere di compensazione per assenza di espressa manifestazione di volontà in tal senso, il
locatore si è visto costretto ad intimare sfratto per morosità, e qui entra in gioco il meccanismo della
operatività della eccezione di compensazione di cui all’art. 1242co. 1 seconda parte del codice civile.

Viene chiesto se, nell’ipotesi in cui il canone di locazione commerciale venga pagato prima dell’intimazione,
lo sfratto si convalidi lo stesso.
Ebbene, precisato che l’intimazione può solo seguire al mancato pagamento, va detto che all’udienza di
convalida possono verificarsi le seguenti ipotesi:

a. il conduttore si presenta e si oppone alla convalida: in questo caso il giudice potrà rinviare al
giudizio ordinario l’esame delle ragioni di opposizione e decidere se pronunciare o meno subito in
favore del proprietario ordinanza di rilascio dell’immobile;
b. il conduttore si presenta e salda la morosità (non è possibile chiedere un termine c.d. “di grazia”,
ossia per adempiere, perché previsto solo per le locazioni ad uso abitativo).

Nell’ipotesi sub lettera b), che è poi quella prevista nella domanda, il giudice non potrà convalidare lo
sfratto.

Nulla esclude, comunque, sulla base di tutto quanto detto prima, che il conduttore intimato si opponga alla
convalida, eccependo ex art. 1242 co. 1 c.c. la compensazione della residua somma dovuta con il credito a
sua volta vantato nei confronti del suo creditore, di modo così da ottenere una pronuncia dichiarativa di
compensazione e sanare la morosità (è questa l’ipotesi prevista alla precedente lettera a).

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