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Abbiamo visto com’è la struttura del processo davanti alle commissioni tributarie. Passiamo oggi ad
esaminare qualcuno tra gli istituti speciali che ritroviamo all’interno del processo tributario. A me interessa
soprattutto che voi vi soffermiate su alcune figure che rivestono una certa rilevanza e di cui probabilmente
avete sentito parlare, perché sono degli istituti che troviamo anche in gran parte nell’ambito del processo
amministrativo.
Nello specifico, vorrei iniziare con l’individuare l’istituto della sospensione cautelare, disciplinato dall’art.
47 del d.lgs. n. 546/92. Qual è la funzione primaria e fondamentale che scaturisce dalla richiesta della
sospensione cautelare che può essere formulata da parte del contribuente? Normalmente, nel momento in cui
il contribuente propone ricorso e quindi impugna un atto tra quelli che sappiamo essere indicati
espressamente all’interno dell’art. 19 (e dunque riconducendoci a tutto quel discorso sugli atti impugnabili
che abbiamo analizzato), nel momento in cui il contribuente volesse proporre l’impugnativa verso uno di
questi atti, ad es. un avviso di accertamento, l’avviso di accertamento è un atto immediatamente esecutivo.
Questo vuol dire che pur nelle more del procedimento, cioè pur in pendenza del procedimento,
l’amministrazione finanziaria attraverso il concessionario della riscossione (cioè attraverso l’Agenzia delle
Entrate–Riscossione) ha il potere di iscrivere a ruolo 1/3 delle somme richieste nel corpo dell’atto impositivo
impugnato da parte del contribuente. Questo è l’iter normale procedurale. Al contribuente viene consentita la
possibilità di chiedere alla commissione tributaria di sospendere l’esecuzione dell’atto impositivo che ha
formato oggetto di impugnativa ritenendo che sussistano a supporto di questa istanza due precisi e distinti
presupposti, che sono rappresentati:
Sono gli stessi identici presupposti che si trovano nei procedimenti cautelari anche nell’ambito del processo
civile. Dal punto di vista del primo presupposto, cioè del fumus boni iuris, il ricorso predisposto dal
contribuente avverso quel determinato atto impositivo deve avere una sorta di parvenza di fondatezza. Ad
una prima lettura, il ricorso deve apparire fondato nel merito. Il secondo elemento viene valutato dalla
commissione tributaria per decidere se concedere o meno la richiesta di sospensione cautelare formulata dal
contribuente è rappresentato dal periculum in mora, cioè il contribuente deve dare la prova che dalla
provvisoria esecuzione del provvedimento impugnato potrà derivare in capo al medesimo un danno grave e
irreparabile. Nel corso del procedimento sia di primo grado che, in base ad una recente modifica, anche
nell’ambito del procedimento d’appello (e quindi nell’ambito del procedimento di secondo grado, che si
radica davanti alla commissione tributaria regionale), le parti hanno la possibilità di chiedere che nelle more
della decisione la commissione tributaria disponga la sospensione degli effetti esecutivi dell’atto che ha
formato oggetto di impugnazione. Perché possa essere formulata questa richiesta, questa istanza per poter
essere accolta dalla commissione tributaria (sia provinciale se si tratta del giudizio di primo grado, sia
regionale), è necessario che sussistano due presupposti diversi: il presupposto della fondatezza del ricorso,
quindi del fumus boni iuris, nel senso che i motivi del ricorso ad una prima disamina devono apparire
fondati. Il secondo elemento è rappresentato dal periculum in mora, cioè il contribuente deve dare la prova
che dall’esecuzione dell’atto impugnato potrebbe derivare al medesimo contribuente un danno grave ed
irreparabile. L’irreparabilità, la gravità del danno, come si valuta? Noi siamo di fronte ad un procedimento in
cui sostanzialmente vi sono in questione soprattutto degli aspetti che attengono al denaro. Quindi, il
contribuente che deve dare la prova che non sarà in grado, qualora anche dovesse vincere la causa (e quindi
se dovesse risultare soccombente l’amministrazione finanziaria e vittorioso il contribuente), deve dimostrare
che sarebbe notevolmente difficile ripristinare la situazione economica che vigeva antecedentemente
all’esecuzione posta in essere dall’amministrazione finanziaria nelle more del procedimento. Per es., il
contribuente deve dimostrare che è titolare di un’azienda, quindi ha della manodopera che deve remunerare
che, se dovesse provvedere al pagamento nelle more del giudizio della quota richiesta dall’amministrazione
finanziaria, difficilmente riuscirebbe a ripristinare questa situazione economica e non solo, ma avrebbe gravi
difficoltà a poter adempiere in maniera corretta al pagamento di altre posizioni, che possono essere gli
emolumenti per i propri dipendenti, oppure nel caso in cui si tratti di un contribuente che ha acceso anche
diversi mutui può dimostrare di avere già dei mutui pregressi che se dovesse pagare questa quota non
riuscirebbe più a saldare, e così via. Quindi, è una nozione sicuramente relativa, non è un criterio che può
avere una specificazione assoluta e applicabile nei confronti di tutti i contribuenti, ma sono dei criteri che
sono assolutamente relativi e che vanno studiati, dimostrati e proprio cuciti addosso a quel singolo
contribuente. Dunque ciascun contribuente, in base alla sua vita fiscale e alle sue caratteristiche, dovrà essere
in grado di dare la prova del danno grave e irreparabile che potrebbe derivarne da un’eventuale esecuzione in
corso di causa che dovesse essere portata avanti da parte dell’amministrazione pur per il tramite dell’agente
della riscossione. I presupposti fondamentali sono questi.
Dal punto di vista del procedimento, noi tutti questi elementi li ricaviamo esaminando l’art. 47, il quale è
molto chiaro e dice nella prima parte fin dall’apertura del testo che “il ricorrente, se dall’atto impugnato può
derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la
sospensione dell’esecuzione dell’atto”. Come può essere richiesta? “Tale istanza può essere o inserita
all’interno dello stesso ricorso”. Quindi, io predispongo il ricorso con tutti quegli elementi che abbiamo visto
e che risultano essere contemplati dall’art. 18 del d.lgs. n. 546, all’interno del ricorso posso anche inserire
un’istanza definita come “istanza di sospensione cautelare”, all’interno della quale io contribuente
evidenzierò all’amministrazione finanziaria le argomentazioni per sostenere la mia richiesta di sospensione
dell’atto impugnato. Quindi è un procedimento incidentale che presuppone necessariamente la pendenza del
ricorso. Dunque, io posso presentarla sia insieme, all’interno dello schema di ricorso ed in calce posso
inserire un’istanza di sospensione cautelare, sia potrò presentarla con un’istanza separata. Però, nell’ipotesi
in cui dovesse essere formulata l’istanza di sospensione cautelare attraverso una istanza separata (cioè non
incardinata all’interno dello stesso ricorso), in questo caso il ricorrente dovrà eseguire un ulteriore
adempimento rappresentato dalla notificazione dell’istanza di sospensione alla controparte (e quindi alla
parte pubblica) a cui dovrà fare seguito il deposito di questa istanza ritualmente notificata all’altra parte
presso la commissione tributaria. Questo è anche logico se ci riflettete, perché nel momento in cui io formulo
l’istanza all’interno dello stesso ricorso, allora chiaramente nulla quaestio nel senso che la parte pubblica è
già in grado, ricevendo il ricorso, di ben individuare anche la parte relativa all’istanza di sospensione
cautelare. Nell’ipotesi contraria invece in cui l’istanza dovesse essere presentata separatamente, allora in
questo caso la parte pubblica non ne ha avuto cognizione direttamente per cui dovrà essere resa edotta
ricevendo l’apposito atto separato con cui il contribuente formula questa istanza e quindi abbia anche la
possibilità di contraddire e di controbattere su questa richiesta presentata dal contribuente. Dal punto di vista
del procedimento, è un procedimento abbastanza semplice ed è caratterizzato dalla velocità, perché anche
questo è normale, è insito nella tipologia di richiesta che viene formulata attraverso l’istanza di sospensione
cautelare perché chiaramente ci vuole una decisione immediata da parte della commissione tributaria per
evitare che, se la commissione tributaria non provvede immediatamente, l’agente della riscossione ha la
possibilità di agire esecutivamente perché abbiamo visto che l’atto impositivo può formare immediatamente
oggetto di esecuzione, seppur per una porzione delle imposte che vengono richieste da parte
dell’amministrazione finanziaria. L’art. 47 precisa, circa il procedimento di sospensione cautelare, che “il
presidente fissa con decreto la trattazione dell’istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile”,
cioè questo vuol dire che la trattazione dell’istanza di sospensione avviene, siccome le camere di consiglio (e
quindi le date delle udienze in cui sono discusse le cause sono previste, calendarizzate ogni 15 gg.),
normalmente nelle varie commissioni si fa in modo che, qualora un ricorso contenga anche la richiesta della
sospensione cautelare si fa in modo che l’udienza per la discussione della sospensione cautelare avvenga in
tempi piuttosto brevi, piuttosto ridotti, e quindi viene individuata la prima camera di consiglio utile.
Diversamente, se così non fosse, è evidente che questo istituto perderebbe un po’ di significato. Se io
riprendo il primo comma, che cosa manca secondo voi? Non sfugge qualcosa? Il fumus boni iuris, perché
nella prima parte dell’art. 47 primo comma non viene inserito, tanto è vero che parte della dottrina aveva
ritenuto che tale secondo requisito (che in pratica è il requisito che prevede che il giudice prima di concedere
la sospensione cautelare debba compiere una valutazione circa la fondatezza dal punto di vista del merito
della richiesta formulata dal contribuente) una parte della dottrina aveva ritenuto che, poiché il primo comma
non valorizzava in maniera sufficientemente chiara il presupposto del fumus boni iuris, evidentemente
questo presupposto non doveva considerarsi necessario. La risposta però non è corretta, perché depongono a
sostegno del fatto che questa risposta non sia corretta due elementi fondamentali:
1. da una parte un elemento di ordine sistematico, nel senso che questo è un istituto che risente e deriva
da istituti cautelari tipici previsti negli altri tipi di procedimento civile ed amministrativo. Questi
presuppongono in entrambi i casi per la loro validità la sussistenza di entrambi i requisiti, cioè sia la
sussistenza del periculum in mora, sia la sussistenza del fumus boni iuris. Quindi, se così non fosse
(cioè se anche nel processo tributario non fosse richiesto questo secondo requisito), questo
rappresenterebbe una vera e propria deroga seria rispetto a quello che invece viene previsto
nell’ambito delle altre tipologie di processo. E questa è la ragione sistematica.
2. La seconda ragione che milita a riconoscere come necessari la sussistenza di entrambi i requisiti è
una ragione di carattere letterale, perché se noi continuiamo nella lettura della norma l’art. 47 dice al
c. 3 che “in caso di eccezionale urgenza, il presidente previa delibazione del merito può disporre con
decreto motivato la provvisoria sospensione dell’esecuzione fino alla pronuncia del collegio”. Ora,
questa ipotesi prevista nel terzo comma è una eccezione procedurale, cioè il c. 3 fa riferimento ai
casi in cui il contribuente chieda alla commissione tributaria di decidere sull’accoglimento o meno
della sospensione cautelare richiesta inaudita altera parte, cioè senza che le parti in un primo
momento vengano sentite e quindi senza la fissazione dell’udienza in camera di consiglio in cui si
deve discutere della ricorrenza o meno di questi presupposti. Questo vuol dire che all’interno di
questa fattispecie eccezionale inserita nell’art. 47 (e quindi che riguarda sempre la sospensione
cautelare) il legislatore chiarisce e meglio precisa che ci debba essere anche un altro presupposto, e
cioè il presupposto della delibazione del merito, che sarebbe il fumus boni iuris.
Questi sono gli elementi più importanti di questo istituto. La sospensione poi può anche essere parziale o
essere subordinata ad una apposita cauzione (alla prestazione di una fideiussione, di una garanzia bancaria,
etc.).
Poi, un altro elemento fondamentale che merita di essere evidenziato è che, nel caso in cui venga accolta
l’istanza di sospensione cautelare, normalmente la trattazione del merito, e quindi la discussione vera e
propria sul merito della causa, deve avvenire non oltre 90 gg. dalla pronuncia. Questo vuol dire che tale
procedimento di sospensione cautelare ha anche il potere differente di fare in modo che il procedimento si
chiuda in tempi brevi e ragionevoli.
Gli effetti della sospensione cessano dalla data di pubblicazione della sentenza di primo grado. Questo è
normale, perché chiaramente la sospensione cautelare, nel caso in cui venga accolta da parte della
commissione tributaria, avrà una valenza assolutamente circoscritta temporalmente fino a quando viene
emessa la sentenza. Questo perché se la sentenza è di accoglimento, e quindi risulterà soccombente
l’amministrazione finanziaria, non ci sarà nessun problema perché ovviamente a quel punto viene meno
anche l’esigenza di una sospensione cautelare. Invece, nel caso in cui sia il contribuente a risultare
soccombente con una sentenza favorevole all’amministrazione, l’amministrazione potrà mettere in
esecuzione la sentenza nei confronti del contribuente, il quale se vuole bloccare l’esecuzione potrà
semplicemente:
La norma si chiude al c. 8 evidenziando il fatto che l’ordinanza è motivata come nel civile, ma non è
impugnabile (al contrario di ciò che avviene nel processo civile, nel quale l’ordinanza sul cautelare può
essere impugnata). Tuttavia, è anche vero che qualora le condizioni economiche del contribuente mutino nel
corso del procedimento, il contribuente può reiterare l’istanza inizialmente non accolta. Infatti, in caso di
mutamento delle circostanze, sempre su istanza di parte, la commissione può revocare o modificare il
provvedimento cautelare prima della sentenza (e questa è un’opzione che viene riconosciuta in capo
all’amministrazione finanziaria).
Il comma 8bis è stato aggiunto nel 2015 con decorrenza dal 2016, ed è stato previsto che durante il periodo
della sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa.
Questo vuol dire che se la commissione tributaria accoglie l’istanza di sospensione su un terzo della quota
che l’amministrazione finanziaria avrebbe potuto richiedere al contribuente nelle more del procedimento di
primo grado, in caso di accoglimento è prevista la possibilità di richiedere tramite cartella di pagamento gli
interessi maturati su quella quota di un terzo di imposte non richieste perché formanti oggetto di sospensione
accolta dalla commissione tributaria. Questo istituto è molto simile rispetto ai procedimenti cautelari nel
processo civile e nel processo amministrativo, ed ha una certa importanza perché chiaramente è uno
strumento che il contribuente può ottenere così da non essere costretto immediatamente a dover pagare delle
quote, anche se questa possibilità è prevista per un terzo. Quindi, l’amministrazione nella pendenza del
giudizio può chiedere e può agire esecutivamente solamente per una quota, ma è anche vero che questa quota
in caso di procedimenti anche molto importanti dal punto di vista della richiesta delle imposte può essere
anche piuttosto pesante per il contribuente. Dunque, la possibilità di poter chiedere la sospensione cautelare
tutela il contribuente nel corso del giudizio, per cui se è palesemente fondata l’istanza viene accolta, mentre
diversamente no. Un elemento che ha formato oggetto di recente modifica è che, mentre in passato non era
prevista, adesso è stata inserita la possibilità di condannare alle spese il ricorrente che ha formulato l’istanza
di sospensione cautelare, nel senso che l’istanza non viene accolta e in più il ricorrente riceve anche l’altra
mazzata della condanna alle spese. È un procedimento che è stato aggiornato e la cui applicazione è stata
estesa anche in grado d’appello, e quindi il contribuente nonostante risulti soccombente in primo grado e
proponga appello, può anche riformulare l’istanza di sospensione cautelare in grado d’appello (come nel
procedimento amministrativo).
Passiamo adesso ad un altro argomento. Prendiamo l’art. 17 bis del d.lgs n. 546/92. Tra i vari istituti che di
recente hanno trovato ingresso nel processo tributario per una finalità particolarmente importante che è
quella di deflazionare il contenzioso amministrativo, nell’iter previsto dal legislatore che è finalizzato a
questo scopo, tra i tanti strumenti che perseguono questo scopo di alleggerire il carico delle commissioni
tributarie (e quindi di ridurre il carico dei contenziosi pendenti e di prevenire la nascita di contenziosi
tributari) possiamo annoverare l’istituto del reclamo e della mediazione. Sicuramente voi avete sentito
parlare del reclamo nell’ambito del processo civile, però se ne differenzia. La nomenclatura utilizzata è
assolutamente identica ma si differenzia: nel processo civile si parla di mediazione, nel processo
amministrativo si parla di reclamo e mediazione. Come lo possiamo qualificare? Possiamo considerarlo una
sorta di filtro amministrativo, un “imbuto” che è stato creato dal legislatore per fare in modo di verificare,
prima che il procedimento giunga di fronte alle commissioni tributarie, se ci sono gli estremi di mediare o di
definire la lite senza arrivare di fronte ai giudici della commissione tributaria. Questo è il senso del
procedimento. E' un procedimento di recente introduzione, e lo trovate ben disciplinato nel vostro testo da
pagina 444 e seguenti (che non dà tante pagine però riesce ad evidenziare i profili più importanti di questo
istituto). E' stato introdotto a seguito del d.l. 98/2011 all'art. 39. Questo è il decreto legge che poi è stato
convertito in legge che ha inserito l'istituto del reclamo e mediazione all'interno del processo tributario. Dopo
di che è stato di recente modificato, perchè nella sua prima versione l'istituto del reclamo e della mediazione
presentava veramente tante criticità che hanno reso necessario un ulteriore intervento da parte del legislatore
che ha cercato di rivedere le criticità.
La norma individua due diversi presupposti che consentono di meglio qualificare questo istituto, e sono dei
presupposti sia di carattere oggettivo che di carattere soggettivo. Intanto per quanto riguarda i requisiti di
carattere soggettivo è intervenuto il legislatore del 2015, perchè nella sua prima versione l'istituto del
reclamo e della mediazione ammetteva che potessero formare oggetto di reclamo soltanto gli atti emessi
dall'Agenzia delle Entrate. Invece, se noi esaminiamo l'art.17 bis vediamo che in apertura la norma non
contiene più questa distinzione (che ovviamente voi non conoscevate). Nella prima versione l'art. 17 bis
richiamava proprio gli atti emessi dall'Agenzia delle Entrate, quindi in pratica era un istituto circoscritto solo
agli atti emessi dall'Agenzia delle Entrate quindi escludendo tutti gli atti impositivi emessi dall'altra parte
pubblica che potessero essere le Agenzie delle dogane, i concessionari della riscossione, etc.: in generale
venivano assolutamente tagliati fuori tutti gli altri soggetti attivi ed era circoscritta esclusivamente agli atti
emessi dall'Agenzia delle Entrate. Oggi questo limite è stato eliminato per cui c'è una generalizzazione di atti
nei cui confronti può essere utilizzato questo istituto del reclamo e della mediazione che non ha più nessuna
limitazione specifica. Nel vostro testo viene ben chiarito quali sono tutti gli atti che possono formare oggetto
di reclamo, cioè sostanzialmente gli atti emessi da tutti i soggetti impositori.
Un altro requisito che ha formato oggetto di modifica riguarda quello oggettivo legato al valore del
procedimento, perchè in passato le uniche cause che potessero formare oggetto di reclamo e di mediazione
erano quelle cause che non avessero un valore superiore a 20.000 euro, perchè in realtà da una disamina che
si era effettuata si era arrivati alla conclusione che gli atti impositivi con valori inferiori sulla base di 20.000
euro erano gli atti più numerosi, per cui il legislatore nella sua prima versione aveva ritenuto opportuno che
questo istituto venisse indirizzato: 1) solo agli atti emessi dall'agenzia delle entrate, 2) e solo agli atti che non
avessero un valore superiore a 20.000 euro. Anche questo secondo requisito è stato rettificato dal legislatore
successivamente nel 2015, e il limite di valore che presuppone la possibilità di poter agire con il reclamo e la
mediazione è un valore di 50.000 euro.
Come si valuta, in che modo si arriva ad individuare il valore della lite? Perchè chiaramente 50.000 euro è il
valore della lite. Quando si parla di valore della lite si deve fare sempre e solo riferimento al valore
dell'imposta che viene richiesta nell'atto impositivo. Quindi, non si deve tener conto nè al valore inserito
nell'atto impositivo relativo agli interessi, nè al valore inserito nell'atto impositivo relativo alla voce delle
sanzioni. Per cui un atto impositivo che ha un valore di imposte di 50.000 euro può essere un atto impositivo
che complessivamente, cioè inserendo anche l'importo delle sanzioni e inserendo anche l'importo degli
interessi, sia anche un atto che ha un valore complessivo di 120.000 euro. Però, l'unico faro che deve guidare
il contribuente per individuare in maniera corretta qual è il presupposto oggettivo per poter utilizzare questo
tipo di procedimento, è rappresentato dal valore della lite individuato dal valore delle imposte richieste
dall'amministrazione con l'atto impositivo. Tenete presente che questo è un procedimento che avviene in una
prima fase, in via amministrativa, per eliminare dal mondo giuridico quelle liti che venivano considerate liti
bagatellari perché avevano ad oggetto un valore economico non particolarmente elevato.
Come funziona proceduralmente? Per quanto riguarda l'istanza di reclamo e di mediazione, il contribuente
deve redigere un ricorso seguendo i criteri che noi abbiamo visto e che sono ben specificati all'interno
dell'art. 18 del d.lgs 546/92. Quindi redige il ricorso e all'interno di questo, qualora l'atto impositivo che il
contribuente sta impugnando sia un atto impositivo che riveste quei caratteri che abbiamo visto (soprattutto,
dal punto di vista oggettivo, che riveste il carattere del valore previsto per legge) il contribuente può inserire
anche una proposta di mediazione che viene formulata all'amministrazione finanziaria. Questo ricorso, al cui
interno è inserita la proposta di mediazione, viene notificato da parte del contribuente all'amministrazione
finanziaria, cioè alla parte resistente, che può essere l'Agenzia delle Entrate oppure può essere l'Agenzia
delle dogane, dipende da quello che è l'atto impositivo che il contribuente ha intenzione di mediare e nei cui
confronti vorrebbe proporre ricorso. Nel momento in cui viene proposta questa istanza, il procedimento è
come se rimanesse sospeso e si applica automaticamente una sospensione dei termini di 90 giorni. Questo
per consentire che le parti (cioè il contribuente da un lato che ha formulato questa istanza per mediare la
controversia, e l'amministrazione resistente dall'altra) possano valutare congiuntamente se effettivamente
sussistono i presupposti perché la causa possa essere definita con una mediazione. Se però il procedimento
non viene definito con la mediazione, quindi se la mediazione non va a buon fine perché l'amministrazione
non ritiene che le ragioni formulate siano delle ragioni valide e quindi non ritiene assolutamente di voler
definire questo procedimento, oppure ancora ritiene di volerlo definire solo parzialmente, in questo caso il
contribuente, a seguito di un rigetto della mediazione espresso da parte dell'amministrazione oppure a fronte
di un silenzio per 90 giorni dell'amministrazione che equivale ad un rigetto dell'istanza di mediazione, si
costituisce in giudizio. Cioè, il contribuente ha già notificato il ricorso al cui interno era inserita la proposta
di mediazione, dopo di che, all'esito di una risposta negativa o all'esito di una risposta solo parzialmente
positiva, il contribuente si potrà costituire in giudizio seguendo quelle procedure che noi abbiamo già visto e
che sono previste per legge. Tant'è che l'art. 17 bis, in proposito, non fa altro che richiamare tutte le norme
previste per la costituzione in giudizio che abbiamo esaminato in questi giorni. Infatti, il 3° comma dice
espressamente che il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine
di cui al comma 2 (quindi dalla scadenza di questo termine di 90 giorni). Se la commissione rileva che la
costituzione avviene da parte del contribuente anteriormente a questo termine di 90 giorni, rinvia l'udienza
per consentire che vengano consumati tutti i 90 giorni previsti per legge perché le parti possano mediare.
Allora che cosa vi sembra strano in questo procedimento? Quindi, io ricorrente faccio questa istanza e la
propongo direttamente nei confronti della parte pubblica che ha emesso l'atto impugnato, faccio un'istanza di
mediazione. In questo procedimento c'è di particolare che avviene solo tra le parti e non c'è la figura
dell'arbitro: è questa la differenza enorme rispetto alla mediazione civilistica. Ecco perchè l'istituto della
mediazione fiscale è stato ampiamente criticato, perchè in realtà io ricevo un atto impositivo da parte
dell'amministrazione finanziaria. Dopodiché, la legge mi impone di inserire all’interno del ricorso un’istanza
di mediazione, ma non è che c'è un terzo “arbitro”, un terzo soggetto esterno super partes sia rispetto al
contribuente e che all'amministrazione finanziaria che prende una decisione. La decisione circa
l'accoglimento di una istanza di mediazione che il contribuente presenta in teoria dovrebbe essere decisa
dallo stesso ente che ha già emesso l’atto impugnato. Quindi la percentuale di successo, soprattutto all'inizio,
sarebbe bassissima. Se l'amministrazione ravvisava degli elementi incongrui sarebbe dovuta correre ai ripari
immediatamente già nella redazione dell'atto impositivo. È difficile accettare il fatto che funga da organo
decidente lo stesso ente che ha emesso l’atto impugnato. Allora si è cercato di sistemare questa grave
discrasia che esiste all'interno di questo istituto, e questo si può vedere leggendo la norma: all’interno del
comma 4 si dice che l’Agenzia delle Entrate, delle dogane, e così via, provvedono all’esame del reclamo e
della proposta di mediazione mediante delle apposite strutture diverse e autonome da quelle che curano
l’istruttoria degli atti reclamabili. Questo significa che è vero che l’ente è lo stesso, però non si curerà di
decidere sulla mediazione proposta dal contribuente la stessa figura che ha provveduto ad emanare l'atto
impositivo curandone l’istruttoria, ma questo ruolo verrà svolto da un ufficio diverso rispetto a quello che ha
curato l’istruttoria che ha condotto all’emanazione dell’atto impositivo. Questo è l'escamotage che è stato
utilizzato per dare una parvenza di legittimità a questo istituto, anche se continua ad avere dei profili di
notevole criticità.
La norma poi continua nel comma 5 evidenziando che l’organo destinatario (e quindi l'amministrazione), se
non intende accogliere il reclamo totalmente o parzialmente, lo stesso ufficio può formulare una proposta di
mediazione. Dunque, lo stesso ufficio può dire “non ritengo che la tua istanza di reclamo sia idonea e che
possa essere accettata, però posso fare una controproposta”, cioè può fare una proposta di mediazione
quando si rende conto che sussistono tre elementi fondamentali (oppure uno di questi tre) quando non è in
grado di sostenere la pretesa. Infatti, l’amministrazione può anche emettere un atto impositivo, ma può
rendersi conto che nel corso del tempo c’è stato un mutamento, o perché è cambiata la giurisprudenza, o per
qualunque altro motivo che porta a dei dubbi circa la reale fondatezza del contenuto dell’atto impositivo
emanato. Questi casi possono spingere la stessa amministrazione finanziaria a proporre essa stessa una
proposta di mediazione al contribuente.
Poniamo che al contrario la proposta di reclamo o l’eventuale mediazione formulata dall’amministrazione
finanziaria trovi accoglimento. In questo caso, in queste controversie le parti si accordano, viene redatto un
apposito processo verbale all’interno del quale vengono inseriti gli elementi circa l’accoglimento o meno
dell’istanza formulata da parte del contribuente (per cui sostanzialmente viene riassunta la vicenda), vengono
individuate le somme che a seguito del reclamo o della proposta di mediazione risultano essere dovute dal
contribuente, e in questo caso il contribuente sarà tenuto, perché l’accordo si perfezioni, a provvedere al
versamento della somma entro 20 giorni data di sottoscrizione dell’accordo. Quindi si formula la proposta,
questa va bene, si redige un accordo scritto, questo viene sottoscritto dalle parti, però questo accordo non si
perfeziona con la semplice sottoscrizione ma con il versamento o dell’intera somma concordata, o di una
quota qualora il contribuente ritenga di poter pagare quelle somme su cui è stato raggiunto l’accordo
ratealmente. Tant’è vero che, in ordine alla possibilità di provvedere al pagamento delle somme ratealmente,
ci si riferisce alle regole che vengono dettate in tema di conciliazione.
Quando vi guarderete anche l’istituto della conciliazione, che oggi non facciamo in tempo a delineare [ma è
DA FARE DAL LIBRO], voi vedrete in corso di causa la conciliazione raggiunta dalle parti, e normalmente
nella conciliazione le parti raggiungono un accordo, redigono un processo verbale, questo processo verbale
viene sottoscritto, e all’interno di esso devono essere inserite le somme dovute dal contribuente, il quale
anche nel caso della conciliazione così pure nell’ambito dell’istituto del reclamo e della mediazione può
provvedere a versare le somme o in un’unica soluzione nell’arco dei 20 giorni, oppure nel rispetto dei 20
giorni si dovrà provvedere quanto meno a pagare la prima rata delle somme di cui si è chiesta la
rateizzazione e che sono state inserite all’interno dell’accordo raggiunto tra le parti quando questo supera un
determinato importo ratealmente. L’art. 48ter, che si occupa della fase del pagamento delle somme nello
stesso decreto legislativo, ammette la possibilità che possano essere rateizzate se non sbaglio fino a 16 rate. A
questo punto addirittura richiama le regole stabilite in materia di accertamento con adesione.
Perché è importante chiudere il procedimento in questa fase amministrativa? Questo perché innanzitutto si
evita il procedimento. Nel momento in cui le parti si accordano nella fase della mediazione non si arriva
davanti alle commissioni tributarie, quindi è una fase prettamente amministrativa. Quindi questo è
un’economicità dell’azione per l’amministrazione finanziaria e anche per il contribuente, che evita di
instaurare una lite davanti alle commissioni tributarie. Il secondo elemento, vantaggiosissimo per il
contribuente, è che se il contribuente raggiunge un accordo con l’amministrazione finanziaria avrà un
abbattimento della misura delle sanzioni e pagherà le sanzioni nella misura del 35% rispetto a quelle
applicate.
Queste sono le cose più importanti dell’istituto del reclamo. Non abbiamo fatto in tempo a rivedere la parte
sulla conciliazione, per cui GUARDATEVI CON ATTENZIONE IL 48, 48 BIS, 48 TER; GUARDARE LA
CONCILIAZIONE NEL MELIS, PAGINA 448 IN POI ULTIMA VERSIONE, in più dovete assolutamente
GUARDAVI IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA: partite con l’ARTICOLO 67BIS, 68, 69 e 70. Sono tutte
le norme che disciplinano la fase della provvisoria esecuzione della sentenza, e l’art. 70 individua l’istituto
dell’ottemperanza, messo a disposizione del contribuente e ricostruito assolutamente in modo identico a
quello che noi ritroviamo nell’ambito del processo amministrativo, che viene utilizzato in presenza di
sentenza favorevole al contribuente ma di inerzia da parte dell’amministrazione finanziaria, la quale non
ottempera a ciò che le viene imposto nella sentenza da cui è risultata la soccombenza della stessa.