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non intenda ricevere la prestazione: si parla al riguardo di mora del creditore, ART .
1206C.C..
È inoltre tutelato, sempre in questa prospettiva, l’interesse del debitore ad estinguere
l’obbligazione mediante il proprio personale adempimento, sia per motivi di prestigio e
di onere, sia per dimostrare ai terzi la propria solubilità ed affidabilità, anche
patrimoniale. Così si spiega la norma che permette al debitore di rifiutare la
remissione del debito, ART.1236C.C..
LA PRESTAZIONE: oggetto dell’obbligazione è la prestazione dovuta,
ART.1174C.C., cioè il comportamento che il debitore deve tener in funzione della
realizzazione del diritto del creditore e del sotteso suo interesse a conseguire il
risultato finale cui conduce il comportamento stesso.
CONTENUTO: il comportamento può avere ad oggetto, cioè può consistere in un
fare, in un non fare, e in un dare.
In ogni caso tratto comune ad ogni tipo di prestazione, a prescindere cioè dal suo
contenuto, è costituito dalla necessaria patrimonialità che la deve caratterizzare.
La ratio della norma va dunque ravvisata nel fatto che le vicende relative ai beni a
carattere non economico (quelli che investono problemi e valori non patrimoniali ma
latamente morali) sono ritenute dall’ordinamento rilevanti solo in particolari casi (in
materia di diritti della personalità, di famiglia e delle successioni) mentre di regola
esse sono irrilevanti.
Al contrario, la rilevanza delle vicende relative ai beni patrimoniali è generalizzata,
occupandosi il diritto privato essenzialmente della regolamentazione dei traffici e della
circolazione di questi beni, laddove i beni a carattere non economico, essendo
essenzialmente collegati alla persona, non sono investiti del problema della
circolazione ed anzi sono qualificati proprio all’opposta caratteristica delle
indisponibilità.
L’opinione prevalente valuta la patrimonialità in maniera soggettiva osservando
che anche una prestazione a carattere non patrimoniale potrebbe divenire
patrimoniale se le parti hanno dimostrato di volerla così intendere. In particolare si
ritiene che la fissazione di una controprestazione in denaro avvero di una penale per
l’ipotesi di inadempimento attribuisca autonomamente il carattere patrimoniale alla
prestazione, perché ciò permetterebbe di valutare il danno (patrimoniale) derivante
dall’eventuale mancato adempimento.
GIURIDICITA’ DEL VINCOLO: cioè intenzione di assoggettare il rapporto alle
regole del diritto, prima tra tutte quella che sanziona mediante risarcimento dei danni
l’inadempimento.
Ma la valutazione della patrimonialità va condotta ad una stregua oggettiva
inquadrando la prestazione nel più ampio contesto sociale temporalmente circoscritto,
al fine di giudicare di volta in volta se, da questo punto di vista ed in base a quanto
dettano gli usi di quella determinata collettività, i vantaggi derivanti da una certa
prestazione sono valutati in termini economici, e quindi giustificano l’assunzione di un
onere a carattere patrimoniale.
VINCOLI NON GIURIDICI:
-norma sociale
-norma morale
-norma religiosa
Es. il soccorso economico del prossimo è di sicuro un dovere religioso o sociale per
chiunque mentre sul piano giuridico l’obbligo sussiste solo in funzione del vincolo di
parentela o di affinità.
Può affermarsi la possibilità che le stesse parti assumano un obbligo con espressa e
non equivoca intesa che il conseguente rapporto dovrà essere mantenuto nell’ambito
della socialità e non della giuridicità.
Si parla al riguardo di patto tra gentiluomini, vicenda caratterizzata appunto da un
contenuto patrimoniale della prestazione nonché da un interesse economico del
creditore ma dalla dichiarata volontà di non giuridicizzare il rapporto, perché le parti
affidano a sanzioni extragiuridiche (discredito commerciale, cessazione dei rapporti di
affari) l’affidabilità dell’impegno.
I vincoli non giuridici non sono dunque tutelati dall’ordinamento, nel senso che
l’eventuale inadempienza non dà luogo se non a sanzioni di carattere sociali quali il
discredito, la rottura di rapporti di frequentazione, l’amicizia. Ciò significa che tali
vincoli non attribuiscono azione giudiziaria, perché, dal punto di vista sostanziale, non
generano diritti.
La totale irrilevanza giuridica dal punto di vista dell’azione non significa però che, in
particolari circostanze, gli obblighi di carattere sociale e morale non possano
acquistare una qualche rilevanza per il diritto.
L’ART.2034C.C. statuisce infatti che non è ammessa la ripetizione di quanto è stato
spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali e sociali, salvo che la
prestazione sia stata eseguita da un incapace. Si statuisce così la soluti retentio.
L’OBBLIGAZIONE NATURALE: sorge da semplici doveri morali o sociali. Chi
adempie un’obbligazione naturale lo fa con la convinzione di esservi tenuto (non per
compiere una liberalità).
CARATTERISTICHE:
-incoercibilità: nessuno può essere giudizialmente costretto ad adempiere.
-irripetibilità: non è possibile ottenere la restituzione di quanto spontaneamente
prestato (c.d. soluti retentio).
CASI PREVISTI:
-spontanea esecuzione di una disposizione fiduciaria, ART.627C.C..
-pagamento di debito di gioco o scommessa, ART.1933C.C..
-pagamento del debito prescritto, ART.2940C.C..
ELEMENTI:
-esistenza di un dovere morale o sociale.
-prestazione di contenuto patrimoniale.
-spontaneità dell’adempimento (senza coazione).
-capacità di agire della persona che adempie.
La non giuridicità di tali doveri emerge dal fatto che la prestazione deve essere
eseguita spontaneamente, e ciò significa che il solvens stesso abbia eseguito la
prestazione sapendo di non essere vincolato.
L’obbligazione naturala non acquista rilevanza giuridica se non è adempiuta.
L’adempimento dell’obbligazione naturale è un atto negoziale: precisamente un
negozio unilaterale mediante il quale un soggetto attribuisce ad un altro un beneficio
patrimoniale moralmente o socialmente diverso.
LE VICENDE DELL’OBBLIGAZIONE
LE FONTI:
Il libro 4 del Codice Civile regolamenta la materia delle obbligazioni dettando
innanzi tutto una disciplina comune di carattere generale agli ART.1173-
1320C.C.
L’ART.1173C.C. recita che le obbligazioni derivano:
-da contratto: è una fonte volontaria tipica delle obbligazioni, ART.1321CC.;
-da fatto illecito: fonte non volontaria. L’obbligazione nasce come conseguenza del
fatto illecito: colui che ha commesso il fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un
danno ingiusto è obbligato al risarcimento del danno, ART.2043C.C.;
-da ogni altro fatto od atto idoneo a produrre obbligazioni in conformità
dell’ordinamento giuridico: tale categoria, di carattere residuale, comprende ipotesi
diverse dal contratto o dal fatto illecito, in cui dal comportamento del soggetto
scaturisce, quale conseguenza disciplinata dall’ordinamento, un vincolo obbligatorio.
Rispetto al Codice del 1865 la più importante novità è costituita dalla costruzione
di un sistema delle fonti aperto e non più chiuso. Ogni atto o fatto è idoneo a
produrre un’obbligazione purchè ciò appaia possibile alla luce di una più vasta
valutazione operata sulla base dei principi propri dell’ordinamento giuridico. Il rinvio
all’ordinamento giuridico non significa dunque rinvio alla legge perché altrimenti si
tratterebbe di un sistema chiuso che vedrebbe solo nella legge la fonte
dell’obbligazione, infatti anche il contratto e il fatto illecito sono regolati dalla legge.
Il sistema aperto sta invece a significare un’atipicità delle fonti nel senso che anche
atti o fatti non previsti in norme puntuali possono produrre obbligazioni nei limiti in cu
vi sia conformità all’ordinamento giuridico. Il sistema aperto permette di giustificare
ampiamente la nascita di obbligazioni legate in qualche modo alla volontà dei soggetti
pur al di fuori dello schema contrattuale (es. quelle che discendono da deliberazioni di
organi collegiali, le quali vincolano anche la minoranza).
Le fonti dell’obbligazione possono distinguersi in 2 gruppi:
1.FONTI NEGOZIALI: sono atti di autonomia privata che costituiscono il rapporto e
che normalmente concorrano a regolarlo (testamento, promessa al pubblico…);
2.FONTI LEGALI: sono le fattispecie che producono il rapporto obbligatorio in virtù di
legge. Comprendono gli atti giuridici in senso stretto: comportamenti umani che
rilevano come semplici presupposti di effetti giuridici. Essi sono fonti dell’obbligazione
quando realizzano le condizioni necessarie per la loro produzione.
-leciti: può essere fonte dell’obbligazione quando crea un vantaggio economico per il
quale l’ordinamento avverte l’esigenza di una restituzione, di una compensazione o di
una contribuzione;
-illeciti: lesione di un interesse giuridicamente protetto che obbliga a risarcire tale
interesse. Fondamento dell’obbligazione derivante da fatto illecito è l’esigenza di
riparazione del danno ingiusto.
ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE:
L’ADEMPIMENTO: Le obbligazioni hanno durata temporanea: il rapporto
obbligatorio, infatti, esiste in funzione della soddisfazione dell’interesse del creditore e
di conseguenza si estinguono quando questo viene realizzato.
L’adempimento è l’esatta esecuzione della prestazione dedotta nel rapporto
obbligatorio, da cui consegue l’estinzione diretta dell’obbligazione e la liberazione del
debitore.
Esso deve essere esatto, inoltre il debitore nell’adempiere deve usare la diligenza
del buon padre di famiglia.
L’ART.1176C.C. modificando l’orientamento vigente sotto il Codice del 1865, ha
fissato un criterio di valutazione da un lato obiettivo, proprio cioè dell’uomo medio
(il c.d. buon padre di famiglia) e, dall’altro, relativo perché l’indagine del giudice, in
caso di contrasto, dovrà essere condotta con riferimento al singolo caso di specie
variando la portata della diligenza a seconda delle diverse situazioni: si tratta in
sostanza di una clausola generale.
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la
diligenza deve misurarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
La regola della diligenza è decisiva al fine di valutare l’esattezza della esecuzione della
prestazione e dunque la presenza di un inadempimento nel caso di impossibilità
oggettiva di adempiere ex ART.1218C.C., perché si tratta di verificare fino a che punto
lo sforzo del debitore avrebbe potuto evitare l’impossibilità sopravvenuta.
Va poi detto che il comportamento del debitore oltre che diligente deve anche essere
improntato a correttezza, secondo i principi che vincolano in realtà entrambe le parti
del rapporto obbligatorio.
Discussa è la natura giuridica dell’atto di adempimento. L’opinione dominante
sostiene che l’adempimento non è un atto libero ma un atto necessitato: il debitore
deve adempiere e l’inadempimento è sanzionato con il risarcimento dei danni,
costituendo esso un illecito. Pertanto l’adempimento è un atto dovuto.
REQUISITI:
-oggettivi: di conformità della prestazione eseguita alle varie determinazioni legali e
contrattuali.
-soggettivi: sono la legittimazione di chi esegue la prestazione (legittimazione ad
adempiere) e di chi la riceve (legittimazione a ricevere). Altro requisito soggettivo è la
capacità d’agire: essa è richiesta per il creditore.
Sul piano dei presupposti oggettivi il Codice detta talune norme. Innanzitutto
l’adempimento, salvo accordi con il creditore, deve essere esatto nel senso che non vi
può essere difformità tra oggetto dell’obbligazione e oggetto della concreta
prestazione.
L’adempimento, poi, deve essere integrale, potendo il creditore rifiutare
l’adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile, salvo diversa disposizione
della legge o degli usi.
Importante è quanto detta l’ART.1192C.C.: il debitore non può impugnare il
pagamento eseguito con cose di cui non poteva disporre salvo che offra di eseguire la
prestazione dovuta con cose di cui può disporre. Il creditore che ha ricevuto il
pagamento in buona fede può invece impugnarlo, restituendo quanto fatto oggetto di
comportamento del creditore si configura come un onere, perché costui deve accettare
l’adempimento del terzo in vista della realizzazione di un proprio interesse, ma la
figure dell’onere implica sempre una situazione sostanzialmente libera come del resto
sarebbe confermato dal fatto che la norma attribuirebbe al creditore in buona sostanza
un potere discrezionale di rifiuto quando sussista un interesse (che deve essere certo,
concreto ed attuale) a che il debitore esegua personalmente la prestazione.
Nel rapporto interno, rapporto di provvista, con il debitore, il terzo può avere
assunto l’obbligo di adempiere a fronte dell’estinzione di un proprio debito nei
confronti del debitore stesso oppure con surroga nei diritti del creditore,
configurandosi così una datio in solutum o un mutuo. In difetto di ciò il pagamento è a
titolo gratuito o di donazione indiretta, salvo che il terzo sia surrogato dal creditore nei
diritti e non rifiuti o sussistano i presupposti della gestione di affari altrui.
LUOGO DELL’ADEMPIMENTO: dal punto di vista spaziale l’ART.1182C.C.
statuisce che se il luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita non è
determinato dalla convenzione o dagli usi e non può desumersi dalla natura della
prestazione o da altre circostanze, si applicano le regole fissate dallo stesso
ART.1182C.C..
Si tratta di una norma suppletiva, nel senso che mira a porre rimedio ad una lacuna
regolamentare, tenendosi presente che il patto può anche formarsi tacitamente
attraverso il continuo, perdurante sistema adottato ed accettato dalle parti. Si parla in
tal caso di usi negoziali individuali, mentre gli usi indicati nell’ART.1182C.CCO.1.
sono usi normativi.
REGOLE SUPPLETIVE:
-l’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve essere adempiuta nel
luogo in cui si trovava la cosa quando l’obbligazione è sorta.
-l’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta nel
domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza. Da qui l’espressione portables
riferita a tali debiti, volendosi con ciò sottolineare che spetta al debitore di recarsi per
il pagamento, dal creditore. Tuttavia se il domicilio alla scadenza è diverso da quello
che il creditore aveva quando è sorta l’obbligazione e ciò rende più gravoso
l’adempimento, il debitore, previa dichiarazione al creditore, ha diritto di eseguire il
pagamento al proprio domicilio (questa regola vige in ipotesi di cessione del credito).
La giurisprudenza ha chiarito che detta normativa si applica solo alle obbligazioni
che fin dal loro sorgere hanno ad oggetto il pagamento di somme di denaro. Si tratta,
dunque, di debiti di valuta che devono derivare da titolo giudiziale ovvero da titolo
convenzionale, che ne abbia stabilito contenuto e scadenza. Quando invece la somma
richiede una liquidazione, ad es. risarcimento da fatto illecito o inadempimento, il
pagamento deve essere fatto al domicilio del debitore.
TEMPO DELL’ADEMPIMENTO: L’ART.1183C.C. detta una disciplina del tempo
dell’adempimento. La regola base è che se non è determinato il tempo in cui la
prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente, salvo
però quel minimo tempo materiale, necessario secondo correttezza. In mancanza di
accordo tra le parti è stabilito dal giudice.
Il debitore è, in ogni caso, ritenuto inadempiente anche prima e indipendentemente
dalla fissazione giudiziale del termine, ove il ritardo sia considerato incompatibile con
la natura della prestazione, rivelando, così l’intenzione di non adempiere.
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rifiuto del pagamento stesso. È indispensabile che il pubblico ufficiale rechi con sé
l’oggetto dell’offerta.
-L’OFFERTA PER INTIMAZIONE: è invece prevista quando si tratta di cose mobili
da consegnare in luogo diverso dal domicilio del creditore, ovvero di cose immobili, o
ancora quando l’obbligazione consiste in un facere. In questi casi il procedimento di
offerta si scinde in due fasi: innanzi tutto è necessaria una intimazione del debitore al
creditore di ricevere il bene dovuto ovvero, in caso di beni immobili, di immettersi nel
possesso ovvero ancora, in caso di obbligazioni di facere, di ricevere la prestazione o
di compiere gli atti che sono necessari al fine di renderla possibile, intimazione
contenuta in un atto, notificato mediante ufficiale giudiziario, indicante giorno, ora e
luogo in cui il debitore intende procedere alla consegna delle cose mobili o al rilascio
dell’immobile a favore del creditore ovvero intende eseguire la prestazione. E’ poi
necessaria la successiva esibizione del bene dovuto nel giorno, ora e luogo indicati, da
parte di ufficiale giudiziario o notaio che provvederanno a verbalizzare l’eventuale
mancata comparizione del creditore o il suo rifiuto di accettare l’offerta.
ART.1207C.C.: fissa gli effetti dell’avvenuta costituzione in mora:
1.innanzi tutto l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile
al debitore è a carico del creditore.
2.inoltre non sono più dovuti gli interessi, né i frutti della cosa che non siano stati
percepiti dal debitore.
3.Infine il creditore è tenuto a risarcire i danni derivanti dalla sua mora (ad es.
impossibilità per il debitore di usare i locali in cui sono depositati i beni oggetto
dell’offerta) e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa
dovuta.
Detti effetti si verificano solo se l’offerta, in caso di contestazione da parte del
creditore, è dichiarata valida con sentenza passata in cosa giudicata al termine di un
regolare processo di cognizione; o se non vi è stata contestazione, nel senso che il
creditore, pur rifiutando il pagamento o non presentandosi nel luogo, giorno e ora
intimati, riconosca che l’offerta è stata ritualmente effettuata.
DEPOSITO LIBERATORIO: se il creditore rifiuta l’offerta, il debitore, per liberarsi dal
vincolo, deve peraltro osservare l’ulteriore formalità del deposito, che si esegue
presso la cassa depositi e prestiti o istituti di credito, e per quanto riguarda beni
immobili al sequestratario nominato dal giudice.
Se tuttavia le cose non possono essere conservate o sono deteriorabili oppure se le
spese della loro custodia sono eccessive, il debitore, dopo l’offerta reale o l’intimazione
di ritirarle, può farsi autorizzare dal tribunale a venderle nei modi stabiliti per le cose
pignorate e a depositarne il prezzo.
L’effetto che ad esso consegue, ossia la liberazione dal vincolo, presuppone o
l’accettazione del deposito da parte del creditore (cioè la dichiarazione di non aver
nulla da eccepire al riguardo), o, in caso di contestazione, una sentenza definitiva che
dichiari il deposito stesso validamente effettuato.
Il deposito non produce effetto se il debitore lo ritira prima che sia stato accettato dal
creditore o prima che, in caso di contestazione, sia stato riconosciuto valido con
sentenza passata in cosa giudicata, salvo che il creditore consenta il ritiro successivo,
ma in tal caso egli non solo non può più esigere dal debitore l’adempimento dell’obbl,
oramai estinta, ma non può nemmeno rivolgersi contro gli eventuali condebitori o
fideiussori, né avvalersi dei privilegi di pegno o delle ipoteche che eventualmente
garantivano il credito.
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che la novazione sarebbe efficace se la parte conosceva, al momento della stipula del
contratto di novazione, il fatto che avrebbe legittimato l’esercizio per parte sua
dell’azione di risoluzione.
-RESCINDIBILITA’: per quanto riguarda il titolo rescindibile, si determina la stessa
situazione vista pe il titolo annullabile, con l’unica importante differenza della
inapplicabilità dell’ART.1234C.C., perché il contratto rescindibile non può essere
convalidato.
-REVOCABILITA’: poiché all’azione revocatoria consegue solo l’inopponibilità dell’atto
nei confronti dei creditori che hanno agito in giudizio, l’obbligazione originaria
permane in vita e dunque l’ART.1234C.C. non può trovare applicazione.
L’ART.1232C.C. dispone poi che i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario
si estinguono, se le parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo
credito.
2)REMISSIONE DEL DEBITO: si tratta dell’atto con il quale il creditore
rinunzia ad esigere il proprio credito nei confronti del proprio debitore. La
dichiarazione del creditore di rimettere il debito ha carattere recettizio in quanto per
produrre l’estinzione dell’obbligazione essa deve essere comunicata al debitore.
Quest’ultimo può rifiutare la remissione del debito, ma ha l’onere di comunicare il
rifiuto al creditore entro un congruo termine. Il negozio di rimessione ha struttura
unilaterale in quanto si perfeziona con la sola volontà del creditore. Il consenso del
debitore non è necessario poiché la remissione produce un effetto a lui favorevole.
La remissione è un atto di rinunzia. Con essa il creditore dismette il suo diritto senza
averne ottenuto l’attuazione e senza un corrispettivo.
Ha ad oggetto la dismissione del diritto ed è essenzialmente unilaterale.
La causa della remissione è essenzialmente gratuita: il creditore che rimette il debito
vi rinunzia senza una controprestazione.
Essendo un atto del creditore, essa richiede la sua capacità di agire. Se fatta dal
rappresentante legale, dev’essere autorizzata come atto di straordinaria
amministrazione.
Il creditore può rinunziare anche a crediti futuri, semprechè si tratti di diritti
determinati o determinabili.
La remissione del debito comporta il venir meno delle garanzie prestate da terzi o dal
debitore sia reali che personali, mentre, la rinunzia delle garanzie non fa presumere la
remissione del debito. La rinunzia dietro corrispettivo alla garanzia prestata da un
terzo implica che il creditore rinunziante deve imputare al debito principale quanto ha
ricevuto, a beneficio del debitore e di coloro che hanno prestato garanzia per
l’adempimento dell’obbligazione.
IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA DELLA PRESTAZIONE:
ART.1265C.C.: l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al
debitore, la prestazione diventa definitivamente impossibile.
Se tale impossibilità è solo parziale, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo
la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
L’impossibilità deve essere sopravvenuta (una prestazione impossibile ad origine
renderebbe parimenti impossibile il sorgere del rapporto obbligatorio) e deve essere
qualificata dai caratteri della imprevedibilità, obiettività e assolutezza.
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Altre volte l’obbligazione pone a carico del debitore una pluralità di prestazioni, che
dovranno essere integralmente adempiute (obbligazioni cumulative).
È invece alternativa l’obbligazione che prevede due o più prestazioni ma permette al
debitore di liberarsi eseguendone una a propria scelta.
Esula da tale figure l’obbligazione che preveda una data prestazione in caso di
inadempienza o di impossibilità sopravvenuta di un’altra, ovvero l’ipotesi di scelta
alternativa da parte del creditore tra due diritti sopravvenuti.
In seguito alla scelta avviene la c.d. concentrazione, termine con il quale si indica la
definitiva individuazione della prestazione dovuta.
La scelta spetta al debitore, se non è stata attribuita al creditore o ad un terzo.
L’atto di scelta è certamente unilaterale e recettizio.
Se la scelta deve essere fatta da più persone, il giudice può fissare loro un termine. Se
non è fatta nel termine stabilito, viene fatta dal giudice.
Dalla scelta si decade se non tempestivamente esercitata.
Si deve distinguere tra termine della scelta e termine dell’adempimento. Le parti
possono infatti aver stabilito al riguardo due termini distinti e successivi nel tempo. Se
invece è fissato solo il termine per l’adempimento, esso si intenderà coincidente con
quello per la scelta, mentre, in difetto di fissazione, il creditore potrà adire il giudice, il
quale fisserà al debitore un termine per l’esecuzione: ciò significa che entro detto
termine il debitore non potrà limitarsi a comunicare la scelta ma dovrà eseguire una
delle prestazioni. In difetto la scelta spetterà al creditore.
Viceversa se la scelta spetta al creditore e questi non la esercita nel termine stabilito o
in quello fissato dal debitore, il diritto di scelta passerà a quest’ultimo.
Secondo l’ART.1288C.C. l’obbligazione alternativa si considera semplice se una delle
due prestazioni non poteva formare oggetto di obbligazione o se è divenuta
impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti.
Nel caso invece in cui l’impossibilità di una delle prestazioni sia imputabile ad una delle
parti, l’ART.1289C.C. detta una disciplina improntata a logica ed equità.
Quando la scelta spetta al debitore e l’impossibilità dipende da causa a lui imputabile
l’obbligazione diviene semplice; se invece l’impossibilità è imputabile al creditore, il
debitore è liberato dall’obbligazione, a meno che egli preferisca adempiere l’altra
prestazione e chiedere il risarcimento dei danni.
Se viceversa la scelta spetta al creditore, il debitore è liberato dalla obbligazione se
una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, salvo che questi
preferisca esigere l’altra prestazione e risarcire il danno. Se dell’impossibilità deve
invece rispondere il debitore, il creditore può scegliere l’altra prestazione o esigere il
risarcimento del danno.
Infine, l’ART.1290C.C. prevede l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta di entrambe le
prestazioni.
Se la scelta spetta al debitore e una prestazione diviene impossibile per causa a lui
imputabile e l’altra per caso fortuito, egli deve pagare l’equivalente di quella che è
divenuta impossibile per ultima.
Se l’impossibilità imputabile riguarda entrambe le prestazioni, e l’evento
dell’impossibilità è unico il debitore dovrà pagare l’equivalente dell’una o dell’altra a
sua scelta.
Diversa è l’OBBLIGAZIONE FACOLTATIVA che si configura quando la prestazione
permane unica ma il debitore ha facoltà di liberarsi eseguendo una diversa
prestazione.
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per la sua parte e ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua
parte.
Se invece l’obbligazione è indivisibile si applicano le norme relative alle obbligazioni
solidali. L’obbligazione è tale quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto
che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo con cui è stato
considerato dalle parti contraenti.
L’indivisibilità può essere pertanto:
-oggettiva: l’oggetto della prestazione non può essere diviso senza fargli perdere il
suo valore o comunque senza diminuirlo;
-soggettiva: l’oggetto è di per sé divisibile ma se è diviso non potrebbe più
soddisfare l’interesse del o dei creditori.
L’indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o di quelli del
creditore.
Secondo le regole della solidarietà ciascuno dei creditori può esigere l’esecuzione
dell’intera prestazione indivisibile. Ma l’erede del creditore, che agisce per il
soddisfacimento dell’intero credito, deve dare cauzione a garanzia dei coeredi.
Infine, l’ART.1320C.C. statuisce che se uno dei creditori ha rimesso il debito o ha
consentito a ricevere un’altra prestazione in luogo di quella dovuta, il debitore non è
liberato verso gli altri creditori. Costoro tuttavia non possono domandare la
prestazione indivisibile se non addebitando a se stessi ovvero rimborsando il valore
della parte di colui che ha operato la remissione o che ha ricevuto la prestazione
diversa.
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Con la cessione del credito si attua, per volontà del creditore, una successione a titolo
particolare dal lato attivo nel rapporto obbligatorio.
La cessione si realizza mediante un accordo tra creditore cedente e terzo cessionario.
Si è dunque in presenza di un contratto ad effetti reali cui è del tutto estraneo il
debitore ceduto: trattasi pertanto di un contratto bilaterale.
ACCETTAZIONE: è un atto unilaterale recettizio a forma libera, la cui natura è
discussa.
L’ART.1260C.C. pone in evidenza il dato dinamico dell’attività del creditore,
specificando che la cessione può essere a titolo oneroso o gratuito: così se il credito è
ceduto dietro pagamento di un prezzo si avrà una vera e propria compravendita,
secondo quanto dispone l’ART.1470C.C. che ricomprende in tale schema tipico anche il
trasferimento di un diritto diverso da quello di proprietà.
Se il credito è ceduto a titolo gratuito si tratterà di una donazione che richiederà la
forma dell’atto pubblico, o di una negozio ex ART.1333C.C. qualificato da un interesse
patrimoniale del cedente.
La cessione può avvenire poi solvendi causa, secondo lo schema dell’ART.1198C.C., se
è mezzo per estinguere, a prescindere dall’adempimento, un’obbligazione tra cedente
e cessionario, oppure allo scopo di garantire l’adempimento di un’obbligazione del
cedente nei confronti del cessionario.
L’ambito oggettivo della cessione abbraccia ogni situazione giuridica soggettiva
suscettibile di costituire titolo per una prestazione.
Per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie
personali e reali e gli altri accessori, quali ad es. il diritto al risarcimento del maggior
danno da inadempimento. Il cedente non può poi trasferire al cessionario, senza il
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consenso del costituente, il possesso della cosa ricevuta in pegno; in ogni caso di
dissenso il cedente rimane custode del pegno.
Per quanto riguarda invece l’ipoteca non può dirsi che vi sia un automatico
trasferimento in quanto l’ART.2843C.C. pretende che, in tal caso, la cessione sia, a fini
di opponibilità ai terzi, annotata a margine della iscrizione sui registri immobiliari.
Infine è escluso l’automatico trasferimento dei frutti.
Si trasferiscono al cessionario anche le azioni con cui il credito può essere tutelato ad
eccezione di quelle che riguardano la fonte da cui esso scaturisce (quali l’azione di
nullità, annullabilità, rescissione, risoluzione).
Il cedente deve consegnare al cessionario i documenti probatori del credito che sono in
suo possesso ovvero copia autentica degli stessi se la cessione è parziale.
Se la cessione è a titolo oneroso il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del
credito al tempo della cessione.
Se invece la cessione è a titolo gratuito la garanzia è dovuta solo nei casi e nei
limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per l’evizione.
La cessione di un credito inesistente è in ogni caso perfettamente valida e il
cessionario può, a sua scelta, avvalersi della garanzia chiedendo il risarcimento
dell’intero danno subito ovvero agire in giudizio per la risoluzione del rapporto in tal
modo sottraendosi alla propria prestazione ma ottenendo un risarcimento del danno
ridotto.
Nel caso di cessione a titolo gratuito, dovrà invece dirsi che la cessione di credito
inesistente è nulla ogniqualvolta tali condizioni non operino.
Sempre in materia di garanzie, l’ART.1267C.C. statuisce che il cedente non risponde
della solvibilità del debitore, salvo che abbia assunto la relativa garanzia. In tal caso la
cessione sarà pro solvendo, nell’altro caso sarà invece pro soluto.
In caso di cessione pro solvendo il cedente risponde nei limiti di quanto abbia
eventualmente ricevuto; deve inoltre corrispondere gli interessi, rimborsare le spese
della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportato per escutere il debitore,
risarcire il danno.
La garanzia comunque cessa se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del
debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell’iniziare o nel proseguire le istanze
contro il debitore stesso, istanze sempre necessarie sul concreto piano processuale
potendo il cessionario rivolgersi al cedente nei limiti in cui dimostri di avere escusso
inutilmente il patrimonio del debitore ceduto.
RAPPORTO TRA CESSIONARIO E CEDUTO: il ceduto può opporre al cessionario
tutte le eccezioni di carattere oggettivo basate sul titolo (invalidità) o sul rapporto
(prescrizione, inadempimento del cedente, avvenuto pagamento), se relative a fatti,
anteriori alla cessione o anche successivi, se vi è retroattività, come nel caso di
cessione di credito futuro e successiva risoluzione del rapporto tra cedente e ceduto.
Anche in materia di cessione possono sorgere conflitti tra più cessionari dello stesso
credito. Al riguardo l’ART.1265C.C. dispone che se il medesimo credito ha formato
oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al
debitore o quella che costui ha accettato per prima con data certa ancorchè essa sia
posteriore.
Deve ritenersi equivalente alla accettazione il pagamento che il debitore esegua nei
confronti di un cessionario, pur se di data successiva, cosicchè a nulla varrà
l’eventuale successiva notificazione effettuata da altro cessionario di data precedente.
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Tale fattispecie, se non nella forma, negli effetti ha un'efficacia pari a quello della
successione liberatoria (subentro) nel debito, che si realizza mediante delegazione
(assunzione di un terzo, c.d. delegante, dell'impegno da parte del debitore di pagare
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L’INADEMPIMENTO
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terzo era suo dipendente dovrà risarcire in via extracontrattuale anche i danni
derivanti dall’incidente).
MORA DEL DEBITORE: il tempo in cui la prestazione va eseguita deve essere
determinato. Pertanto al fine di poter considerare inadempiente il debitore è
necessario che la prestazione sia esigibile dal punto di vista temporale. A quel
momento, in difetto di adempimento spontaneo, il creditore si trova di fronte ad una
alternativa, a seconda che non abbia più o abbia ancora interesse a conseguire la
prestazione dovuta tutt’ora possibile:
-nella 1° ipotesi egli chiederà la risoluzione per inadempimento se si tratta di contratto
a prestazioni corrispettive, ovvero, in ogni caso, il risarcimento del danno.
-nella 2° ipotesi invece, insisterà nel pretendere un adempimento sia pure tardivo,
costituendo in mora il debitore (c.d. mora debendi).
Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per
iscritto (che è atto giuridico in senso stretto, recettizio, a carattere non personale,
onde potrà essere compiuto anche da un rappresentante).
La costituzione in mora non è richiesta:
-quando il debito deriva da fatto illecito;
-quando il debitore ha dichiarato per iscritto al creditore di non volere eseguire
l’obbligazione;
-quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del
creditore. Se il termine scade dopo la morte del debitore, il creditore deve invece
costituire in mora gli eredi, ma gli effetti della morosità decorreranno a partire dal
nono giorno;
-nel caso di obbligazione di non fare;
-nei contratti di subfornitura.
L’atto di costituzione in mora determina vari effetti:
-innanzi tutto il debitore deve risarcire il danno.
-in secondo luogo il debitore che è in mora non è liberato per la sopravenuta
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, se non prova
che l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore.
-in terzo luogo l’atto di costituzione in mora vale ad interrompere la prestazione.
RISARCIMENTO DEL DANNO: il diritto al risarcimento presuppone l’effettiva
esistenza del danno e si atteggia diversamente a seconda che sia configurabile un
illecito in senso stretto c.d. aquiliano o extracontrattuale ex ART.2043C.C.,
ovvero inadempimento ex ART.1218C.C..
Nel primo caso il problema che si pone è essenzialmente quello della c.d.
reintegrazione, che si risolve innanzi tutto, se il danno prodotto è permanente,
nell’evitare che le conseguenze dannose già prodottesi continuino a prodursi anche per
il futuro (così in caso di lesione del diritto di proprietà il ladro sarà tenuto alla
restituzione della cosa).
Si dovranno poi eliminare i danni già prodotti. Ciò avviene o mediante un
risarcimento in forma specifica secondo quanto previsto dall’ART.2058C.C. (ad
es. con il trasferimento in proprietà al danneggiato di una cosa uguale a quella andata
distrutta), oppure se tale tipo di risarcimento è in tutto o in parte impossibile o
eccessivamente oneroso per il danneggiante, mediante un risarcimento per
equivalente, con corresponsione di una somma di denaro. Nasce così un diritto di
credito, strumentale alla reintegrazione del diritto assoluto.
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RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE
L’ESECUZIONE FORZATA: il sistema volta a permettere al creditore la
realizzazione coattiva del diritto e il risarcimento del danno, ruota intorno al
principio della responsabilità patrimoniale del debitore. Abolita la sanzione penale,
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il debitore inadempiente non è privato della propria libertà per i debiti assunti, ma
piuttosto risponde con il proprio patrimonio.
Non è concepibile un debito che non comporti una responsabiltà, tanto ciò vero che
non appartiene alla categoria delle obbligazioni giuridiche, l’obbligazione naturale, la
quale, una volta inadempiuta, non dà diritto ad alcuna forma di risarcimento del
danno.
Il rapporto che in tal modo si instaura tra creditore e patrimonio del debitore non fa
peraltro nascere a vantaggio del primo un diritto soggettivo, ma piuttosto un potere di
natura processuale che si esprime nell’azione esecutiva, che suppone un titolo
esecutivo.
L’esecuzione forzata è un complesso procedimento volto a permettere la realizzazione
coattiva del diritto di credito nei suoi due aspetti:
1)conseguimento della prestazione
2)risarcimento del danno.
A)ESECUZIONE FORZATA IN FORMA SPECIFICA: viene in questione
ogniqualvolta sia configurabile una identità tra il bene dovuto, il bene aggredito nel
patrimonio del debitore e il bene conseguito.
A seconda dunque che l’obbligazione abbia ad oggetto un dare, fare, non fare,
prestare il consenso, i presupposti per agire in forma specifica saranno diversi. Così in
caso di obbligo di dare una cosa è necessario che essa sia determinata non solo nel
genere, sicchè dovrà essere già intervenuta la specificazione o individuazione; inoltre
la cosa deve essere ancora presente nel patrimonio del debitore.
Se invece l’obbligazione ha ad oggetto un fare poiché non è concepibile una
costrizione nei confronti del debitore, il creditore potrà ottenere che il fare sia eseguito
da un terzo a spese dell’obbligato. Se poi non è adempiuto un obbligo di non fare, il
creditore può ottenere che sia distrutto, a spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto in
violazione dell’obbligo.
B)ESECUZIONE FORZATA PER ESPROPRIAZIONE: se non ricorrono le
predette condizioni o l’obbligazione è pecuniaria, il creditore dovrà agire con
l’esecuzione forzata per espropriazione che è una forma esecutiva diversa, perché non
presuppone identità tra bene dovuto, bene aggredito e bene conseguito.
Con essa il creditore conseguirà quindi sempre e solo una somma di denaro. È
pertanto questa la forma con cui si realizza coattivamente anche il diritto al
risarcimento del danno, nascente da inadempimento o da illecito extracontrattuale,
sempre che non sia possibile un risarcimento in forma specifica.
Il procedimento consta di 3 fasi:
1)la prima è quella del PIGNORAMENTO, atto di parte con cui il creditore, tramite
l’ufficiale giudiziario, ingiunge al debitore di non disporre dei beni pignorati. Gli atti di
disposizione compiuti in violazione di tale ingiunzione sono inefficaci nei confronti del
creditore, salvo gli effetti della buona fede del terzo in caso di mobili non registrati.
Per quanto riguarda i beni immobili e mobili registrati il pignoramento si attua con la
trascrizione.
2)la seconda fase è quella della VENDITA ALL’ASTA, che attua un trasferimento
coattivo del bene e dunque una vendita forzata, che il debitore deve solo subire.
3)la terza fase riguarda l’ATTRIBUZIONE AI CREDITORI DEL PREZZO RICAVATO
DALLA VENDITA. Se i creditori sono una pluralità e non raggiungono un accordo sul
riparto, provvederà il giudice dell’esecuzione stabilendo l’ordine di graduazione che
terrà conto delle cause legittime di prelazione.
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Il creditore munito di causa di prelazione su uno specifico bene può aggredirlo anche
se acquistato da terzi (c.d. diritto di sequela) mentre il creditore chirografario deve
aver prima esperito vittoriosamente l’azione revocatoria.
L’ART.2741C.C. prevede le cause di prelazione tipiche che sono:
-PRIVILEGIO: (speciale, su dati beni, o generale su tutti i beni mobili o immobili
del debitore) è stabilito dalla legge in ragione della natura del credito;
-PEGNO: è contrattuale e si perfeziona con la consegna al creditore, da parte del
debitore o di un terzo, di una cosa mobile, sul cui ricavato, in caso di esecuzione
forzata, il creditore si rivarrà con prelazione, purchè sussista una scrittura di data
certa, che contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa.
-per gli immobili la prelazione nasce invece con l’iscrizione nei registri immobiliari
dell’IPOTECA, in base o a atto pubblico o scrittura autenticata di concessione da parte
del debitore o di un terzo, o a sentenza di condanna al pagamento di somme o alla
stessa legge.
L’ipoteca deve essere iscritta su beni specialmente indicati nell’atto di concessione,
dalla legge o dal creditore, in caso di sentenza, e per una somma determinata indicata
nell’atto di concessione o corrispondente alla condanna giudiziale o fissata dalla legge.
Le cause di prelazione costituiscono una valida garanzia per il creditore.
Tale garanzia deve peraltro essere sempre mantenuta nell’ambito dei principi posti a
tutela del debitore e degli altri creditori. Pertanto l’ART.2744C.C. prevede la nullità
del c.d. patto commissorio, con il quale debitore e creditore convengono che, in
mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa
ipotecata o data in pegno, anche da un terzo passi al creditore.
Non urta contro il divieto il pegno irregolare e il c.d. patto marciano in base al
quale il creditore può in caso di inadempimento rivalersi sulla cosa procedendo
mediante assegnazione a prezzo di stima, in tal modo facendo propria la cosa stessa
ma a condizione di versare al debitore la eventuale differenza tra importo del credito e
valore stimato. La stima deve essere successiva all’inadempimento.
1)PRIVILEGIO: le parti non sono mai libere di dar vita a privilegi perché è
comunque necessaria una previsione di legge di carattere autorizzatorio.
Il privilegio può essere generale o speciale.
Esso presenta caratteristiche peculiari: innanzitutto è sempre direttamente o
indirettamente previsto dalla legge. Di conseguenza esso non è pubblicizzato, cosicchè
non è sempre conoscibile dai terzi creditori che possono anche ignorare l’esistenza di
ulteriori crediti per loro natura privilegiati e quindi vedersi inaspettatamente
pretermessi rispetto ad altri (ad es. l’albergatore che vanti un credito nei confronti del
cliente avrà privilegio sulle cose portate da costui nell’albergo ma deve cedere di
fronte all’avvocato che voglia aggredire le cose vantando un credito per prestazioni
professionali rese in favore del cliente stesso nell’ultimo biennio).
Se i crediti hanno pari privilegio (ad es. il credito di due distinti professionisti nei
confronti dello stesso cliente) concorreranno tra loro in proporzione del rispettivo
importo.
Un altro tipo di conflitto è ipotizzabile tra creditore privilegiato e creditore pignoratizio
o creditore ipotecario. Se la legge non dispone altrimenti il privilegio speciale sui beni
mobili non può esercitarsi in pregiudizio del credito pignoratizio, mentre quello sugli
immobili prevale rispetto all’ipoteca, salvo nel caso in cui l’ipoteca iscritta prima della
trascrizione del preliminare prevale sul privilegio immobiliare speciale nato dopo.
L’ART.2748C.C. va poi posto in relazione con l’ART.2781C.C.: se un dato privilegio
prevale sul pegno, prevarrà anche su altri privilegi posposti invece al pegno, pur se
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oggetto danaro o altre cose fungibili, deve, a richiesta del debitore, effettuarne il
deposito nel luogo stabilito d’accordo o altrimenti determinato dall’autorità giudiziaria.
Se poi il credito garantito è scaduto, il creditore può ritenere, del denaro ricevuto, la
quantità sufficiente per il soddisfacimento delle sue ragioni, restituendo il residuo al
costituente; se invece si tratta di cose diverse dal denaro, egli può farle vendere.
Il debitore del credito può opporre al creditore pignoratizio le eccezioni relative alla
validità ed efficacia del pegno mentre non può opporgli, in compensazione, un
eventuale credito nei suoi confronti perché mancherebbe la reciprocità del rapporto
obbligatorio pretesa dall’ART.1241C.C..
3)IPOTECA: sono suscettibili di essere ipotecati, secondo l’ART.2810C.C., i beni
immobili che sono in commercio (non dunque quelli demaniali) unitamente alle loro
pertinenza, nonché i diritti dell’usufruttuario di beni immobili, del superficiario,
dell’enfiteuta e del concedente sul fondo enfiteutico, con particolari garanzie per il
creditore, in caso di loro cessazione.
Sono anche capaci di ipoteca le rendite dello Stato nonché le navi gli aeromobili e gli
autoveicoli, e cioè un particolare diritto di credito e particolari cose mobili.
L’ipoteca immobiliare si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari.
Per il principio di specialità, l’iscrizione deve avvenire per ogni singolo bene presso
le singole conservatorie e deve indicare la somma per cui essa è eseguita.
Inoltre, per il principio di indivisibilità, l’ipoteca sussiste per intero sopra tutti i beni
vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro para.
Un conflitto tra più creditori ipotecari non è nemmeno teoricamente ipotizzabile,
perché ogni iscrizione prende un numero d’ordine progressivo, che ne determina il
grado, cosicchè su uno stesso bene potranno, ad es, essere iscritte anche tre ipoteche
(di primo, secondo, terzo grado) per importi diversi e i tre creditori dovranno
soddisfarsi, fino a concorrenza del dovuto, secondo questo ordine.
I crediti con iscrizione ipotecaria dello stesso grado sugli stessi beni (ciò che accade
quando più persone presentano contemporaneamente la nota per ottenere l’iscrizione)
concorreranno tra loto in proporzione dell’importo relativo.
Le ipoteche possono essere ridotte, o riducendo la somma per la quale è stata presa
l’iscrizione o restringendo l’iscrizione ad una parte solo dei beni.
IPOTECA VOLONTARIA: può essere concessa con contratto, ovvero anche mediante
dichiarazione unilaterale da parte del costituente che può essere il debitore o un terzo.
La dichiarazione unilaterale, essendo recettizia, è irrevocabile una volta giunta a
conoscenza del creditore ovvero nel momento in cui il debitore chiede l’iscrizione.
Dall’atto di concessione nasce per il creditore non già il diritto di ipoteca (che nasce
con l’iscrizione) ma piuttosto il diritto di chiedere l’iscrizione ipotecaria che
presupporrà, dal punto di vista formale, un atto pubblico ovvero una scrittura privata
con firma autenticata da notaio.
È inammissibile la costituzione di una ipoteca per crediti futuri che non si inseriscano
in rapporti presenti al momento dell’iscrizione costitutiva e, qualora si tratti di rapporti
negoziali, che traggano fonte da negozi già validamente instaurati al momento
dell’iscrizione.
IPOTECA LEGALE: è disposta ex lege (e cioè a prescindere da un atto di
concessione) in favore:
-dell’alienante sopra gli immobili alienati, per l’adempimento degli obblighi che
derivano dall’atto di alienazione;
-dei coeredi, soci ed altri condividenti per il pagamento dei conguagli sopra gli
immobili assegnati ai condividenti per il pagamento dei conguagli sopra gli immobili
assegnati ai condividenti ai quali incombe tale obbligo;
-dello Stato sopra i beni dell’imputato e della persona civilmente responsabile,
secondo le disposizioni del codice penale e di procedura penale.
IPOTECA GIUDIZIALE: deriva da ogni sentenza che condanni al pagamento di una
somma o all’adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da
liquidarsi in un secondo tempo nello stesso giudizio o in giudizio separato.
Effetto dell’iscrizione ipotecaria è in ogni caso il diritto per il creditore espropriare,
anche nei confronti del terzo acquirente, i singoli beni vincolati a garanzia del suo
credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione in
caso di pluralità di creditori ipotecari, nei limiti della priorità dell’iscrizione e quindi nel
rispetto dei gradi.
Se peraltro, il terzo acquirente vuole evitare l’espropriazione senza dover pagare
integralmente i creditori e sempre che non sia personalmente obbligato, può rilasciare
il bene ai creditori ovvero liberarlo dalle ipoteche ricorrendo alla c.d. PURGAZIONE.
Questa consiste nell’offerta (stragiudiziale) di pagamento di una somma
corrispondente non già a tutti i crediti ipotecari iscritti ma al prezzo stipulato per
l’acquisto o al valore dichiarato dallo stesso terzo acquirente, a seconda che si tratti di
bene pervenutogli a titolo oneroso o di cui non sia stato determinato il prezzo.
Il prezzo o il valore non può comunque essere inferiore a quello stabilito come base
degli incanti in caso di espropriazione
L’OFFERTA è un negozio unilaterale recettizio (è infatti prevista la notifica a tutti i
creditori). Essa però non produce immediatamente effetti obbligatori perché è
revocabile finchè i creditori non si siano pronunciati. L’obbligo di depositare la somma
nasce infatti trascorsi 60 giorni ed in assenza di opposizioni, che devono intervenire
entro 40 giorni dalla notifica.
L’inadempienza eventuale all’obbligo di depositare la somma impedisce che si produca
l’effetto di purgazione e obbliga il terzo a risarcire il danno subito dai creditori in
conseguenza del ritardo nell’azione esecutiva, che è sospesa durante i predetti 60 gg.
Proprio perché questa offerta può non essere in grado di soddisfare tutti i creditori,
qualunque di essi può opporsi chiedendo la vendita, purchè adempia a taluni oneri
procedurali e sostanziali di cui il più importante è quello di offrire a sua volta un
aumento di 1/10 del prezzo stipulato o del valore dichiarato dal terzo, ciò che significa
obbligo di acquistare al prezzo così aumentato il bene all’asta, nei limiti in cui
ovviamente nessuno offra in quella sede un prezzo ancora più alto.
In tal modo si tutela il creditore contro offerte di purgazione eccessivamente basse
rispetto al prezzo che potrà ricavarsi dalla vendita all’asta, ma anche si tutelano i
creditori che avrebbero accettato la purgazione contro i rischi derivanti da
un’eventuale asta deserta, perché il creditore opponente assicura l’acquisizione di un
prezzo di 1/10 superiore a quello offerto dal terzo.
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Al terzo spetta l’azione di regresso nei confronti del debitore per aver pagato i
creditori o rilasciato l’immobile ovvero ancora subito l’espropriazione.
Inoltre il terzo ha diritto di subingresso nelle ipoteche costituite a favore del creditore
soddisfatto sugli altri beni del debitore e se tali beni sono stati nel frattempo alienati
egli prevale nei limiti in cui la trascrizione del suo titolo sia anteriore a quella relativa
all’acquisto da parte dei terzi acquirenti.
L’ipoteca si estingue:
-con la cancellazione dell’iscrizione;
-con la mancata rinnovazione dopo 20 anni;
-con l’estinzione dell’obbligazione;
-col perimento del bene ipotecato, verificandosi in tal caso la surrogazione
dell’indennità alla cosa;
-con la rinunzia del creditore che deve rivestire ad substantiam la forma scritta;
-con la scadenza del termine di efficacia o con il verificarsi della condizione risolutiva;
-con la pronuncia del provvedimento del giudice, che trasferisce all’acquirente all’asta
il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche.
Titolo per ottenere dal conservatore dei registri immobiliari la cancellazione è o il
consenso delle parti o una sentenza definitiva.
CESSIONE E ALIENAZIONE A SCOPO DI GARANZIA: la cessione
del credito è un negozio dispositivo con cui si trasmette un diritto ad un altro soggetto
che subentra nel rapporto obbligatorio; in forza di esso avviene una modificazione
soggettiva del rapporto obbligatorio dal lato attivo.
Si presta allo scopo di garanzia potendo le parti inserire un insieme di pattuizioni che
ne indirizzano gli effetti nella direzione voluta.
La cessione comporta un effetto traslativo in favore del cessionario, il quale acquista
una sorta di diritto di prelazione o di privilegio che gli assicura, in caso di
inadempimento del cedente, la preferenza rispetto agli altri creditori in ordine al
soddisfacimento sul credito ceduto.
GARANZIE DI CARATTERE PERSONALE: la forma più efficace di garanzia è
di certo quella reale, ma il debitore può anche non voler ipotecare o dare in pegno i
propri beni così come può anche non averne o non poterne liberamente disporre, ad
es perché già pignorati o ipotecati. È possibile allora ricorrere alle garanzie personali
che presuppongono l’intervento di un terzo garante.
Le garanzie personali offrono al creditore un altro patrimonio su cui rivalersi oltre a
quello del debitore eventualmente inadempiente. Classica è l’ipotesi del contratto di
fideiussione: in caso di inadempienza da parte del debitore il creditore potrà
aggredire i beni del terzo fideiussore. Sono contratti di garanzia anche il mandato di
credito, l’avvallo (con cui si garantisce il pagamento di una cambiale o di un
assegno). Nella prassi bancaria si è affermata la lettera di patronage (di
gradimento) con la quale il dichiarante, di regola una società controllante, presenta ad
una banca un aspirante cliente (di regola una propria società controllata) al fine di
rafforzare il convincimento della banca stessa che costui farà fronte ai propri impegni.
DIRITTO DI RITENZIONE: di fronte al mancato tempestivo adempimento
dell’obbligazione il creditore che detenga in ragione del rapporto obbligatorio una cosa
di proprietà del debitore può rifiutarsi di restituirla fino a quando l’obbligazione non sia
adempiuta.
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Tale rifiuto è peraltro legittimato solo se poggia su un diritto del creditore, il c.d.
diritto di ritenzione, attribuito dalla legge o dalla volontà privata da cui
l’obbligazione è sorta.
In tal modo il creditore non realizza il proprio credito ma solo è in grado di indurre il
debitore ad adempiere, al fine di rientrare nella disponibilità della cosa.
Una delle ipotesi più notevoli di autotutela è costituita dal diritto di ritenzione che
consiste nella facoltà di trattenere un bene altrui.
Caratteri essenziali del diritto di ritenzione possono essere considerati:
Il pegno gordiano è il caso in cui il creditore pignoratizio dopo essere stato pagato
del credito garantito (da pegno) può esercitare il diritto di ritenzione sulla cosa già
ricevuta in pegno a protezione di un nuovo credito verso lo stesso debitore.
rapporto obbligatorio, sarà cura del creditore verificare che il debitore abbia beni
sufficienti a garantire se del caso la realizzazione coattiva.
La garanzia patrimoniale è tuttavia generica nel senso che il patrimonio del debitore è
potenzialmente a disposizione del creditore ma solo dal momento in cui interviene
l’inadempimento ed in concreto solo dal momento in cui i singoli beni sono pignorati.
Solo allora si crea infatti un vincolo di indisponibilità che determina l’inopponibilità
degli atti di disposizione compiuti dal debitore.
Può capitare però, che il patrimonio del debitore può diminuire per altre cause
direttamente o indirettamente dipendenti dalla sua volontà, e in questi casi, in favore
del creditore, vi è un rimedio offerto dall’ordinamento che egli può tempestivamente
utilizzare allo scopo di non trovarsi, in caso di inadempimento, privo della garanzia
costituita dal patrimonio del debitore.
Si tratta di mezzi di tutela preventiva e solo indiretta del credito, dal momento
che la tutela finale e diretta è legata alla realizzazione coattiva e dunque all’esecuzione
forzata.
SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE DELLA PRESTAZIONE: il
potere di sospendere la propria prestazione si configura in sostanza come una forma
di eccezione ed infatti l’ART.1461C.C. deve essere collegato a quella che lo precede,
il quale disciplina l’eccezione di inadempimento: nei contratti con prestazioni
corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la propria
obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la
sua, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti alle parti o
risultino dalla natura del contratto, perché, in tal caso, sarà applicabile
l’ART.1461C.C..
È una forma di autotutela che può peraltro ipotizzarsi solo quando il creditore è
contemporaneamente debitore e dunque le prestazioni dedotte nel rapporto
obbligatorio sono sinallagmatiche.
DECADENZA DEL TERMINE: in questa ipotesi, a differenza della sospensione
dell’esecuzione della prestazione, è necessario che il debitore sia divenuto insolvente
ovvero che abbia diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato o non abbia
dato le garanzie che aveva promesso.
Es. se il debitore non offre in garanzia altri beni in sostituzione di quelli periti o
deteriorati, il creditore pignoratizio o ipotecario può chiedere l’immediato pagamento
del suo credito.
In questi casi il creditore, potendo pretendere l’immediato adempimento, può anche
agire in via esecutiva ove lo stato di insolvenza impedisca al debitore di adempiere
spontaneamente ed allora egli concorrerà con i creditori di debiti già scaduti
avvantaggiandosi della par condicio (sempre che non vi siano creditori privilegiati) in
sede di riparto del prezzo ricavato dalla alienazione del patrimonio residuo, ciò che
non avrebbe potuto fare se avesse dovuto attendere la scadenza naturale del termine
di adempimento, con il rischio, a quel momento, di non trovare più beni da aggredire
nel patrimonio del debitore.
SEQUESTRO CONSERVATIVO: Esso può essere richiesto ogniqualvolta il
creditore abbia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito.
Il sequestro comporta la sottrazione (materiale e giuridica) del bene sequestrato alla
disponibilità del debitore proprietario per l’intera fase del processo, fino al suo esito.
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Sul piano materiale è nominato un custode (che può essere lo stesso debitore) a cui il
bene è affidato per l’ordinaria amministrazione.
Dal punto di vista giuridico, poi, il debitore proprietario non perde la legittimazione
a disporre. Il sequestro infatti non incide sulla titolarità del diritto per il principio
del consenso traslativo.
Al termine del giudizio, se il debitore è condannato al pagamento con sentenza
esecutiva, il sequestro si converte, ad iniziativa del creditore, in pignoramento, che è il
primo atto della fase della realizzazione coattiva del diritto. In caso contrario il
sequestro viene meno e il debitore ha diritto al risarcimento dei danni patiti in
conseguenza della indisponibilità del bene sequestrato.
Il sequestro conservativo è dunque un mezzo di garanzia efficace e soprattutto molto
rapido nei confronti di possibili celamenti materiali o giuridici dei beni, o distruzioni o
alienazioni.
Del tutto diverso è il SEQUESTRO GIUDIZIARIO, dove il giudice può autorizzare il
sequestro in due casi:
1)se è controversa la proprietà o il possesso dei beni mobili o immobili ed è opportuno
provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea
2)quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione di libri, registri,
documenti o di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova ed è
opportuno provvedere allo loro custodia temporanea.
Il sequestro conservativo rende inefficaci nei confronti del creditore sequestrante gli
eventuali atti di disposizione dei beni compiuti dal debitore. In assenza di sequestro gli
atti di disposizione possono tuttavia egualmente essere resi inefficaci agendo a
seconda dei casi con l’azione di simulazione o con l’azione revocatoria:
SIMULAZIONE: il debitore può indursi ad alienare fittiziamente i beni ad un proprio
prestanome al fine di sottrarli all’azione esecutiva del creditore.
Si tratterà di simulazione assoluta e il relativo atto non produrrà effetti tra le parti,
cosicchè il creditore, una volta ottenuto una sentenza che tale simulazione accerti, ben
potrà aggredire i beni essendo essi ancora nel patrimonio del proprio debitore.
Se il creditore ignora la simulazione o comunque non è in grado di provarla, potrà
agire, se ne ricorrono le condizioni, con la revocatoria, essendo l’atto simulato, nei
confronti dei terzi, efficace fino a sentenza contraria.
AZIONE REVOCATORIA: è attribuita al creditore contro ogni atto di
disposizione del patrimonio compiuto dal debitore, che sia in grado di recare
pregiudizio alle sue ragioni. La sentenza di revoca ha come effetto di rendere
inefficace, nei soli confronti del creditore che ha agito, l’atto di disposizione con la
conseguenza che, in caso di successiva inadempimento da parte del debitore, il
creditore potrà agire con l’azione esecutiva anche nei confronti del bene entrato nel
patrimonio del terzo, ovvero, preventivamente, ottenere un sequestro conservativo.
L’azione revocatoria non ha effetto restitutorio perché l’atto di disposizione è valido ed
efficace erga omnes con l’unica eccezione del creditore che agisce in giudizio.
I creditori che sono rimasti inerti non potranno aggredire il bene presso il terzo, né
intervenire nel procedimento esecutivo iniziato dal creditore revocante.
Il creditore può agire contro il terzo acquirente del bene del creditore, anziché in
revocatoria, con l’azione risarcitoria ex ART.2043C.C., qualora lo scopo perseguibile
con la revocatoria stessa non sia realizzabile per fatto illecito successivo del terzo
stesso, consistente in un atto elusivo in modo totale o parziale della garanzia
patrimoniale, sempre che egli dimostri che sussistevano le condizioni previste
dall’ART.2901C.C..
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Tale promessa vincola il promittente dal momento in cui la promessa stessa è resa
pubblica. Da ciò si desume la distinzione con l'offerta al pubblico, che è una
proposta contrattuale che vincola il proponente solo in presenza dell'accettazione della
controparte. Esempio di offerta al pubblico può ravvisarsi nell'esposizione in una
vetrina di capi di abbigliamento con il relativo prezzo.
Colui che riceve il pagamento non dovuto deve restituirlo: il pagamento d’indebito è
dunque fattispecie idonea a generare obbligazione ex ART.1173C.C..
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norma qualifica come ingiusto. Non ogni danno è dunque risarcibile ma solo quello che
possa essere considerato tale alla luce dei principi giuridici propri dell'ordinamento in un
dato momento storico.
Infine, tra il fatto, cioè comportamento, e l'evento, cioè danno ingiusto, deve sussistere
un nesso di causalità materiale. Il fatto, dunque, deve essere stato causa efficiente
dell'effetto laddove esso non si sarebbe prodotto a prescindere da quel dato
comportamento. Peraltro, se nella causazione dell'evento dannoso interviene un altro
comportamento di per sé solo idoneo a produrlo, si avrà interruzione del nesso di causalità
per il principio di causalità efficiente. Inoltre, il nesso è escluso se, al momento dell'azione
o omissione, l'evento di danno, poi verificatosi, era imprevedibile e inverosimile in termini
probabilistici (causalità adeguata).
Non ogni effetto dannoso sarà però risarcibile ma solo quelli che direttamente e
indirettamente scaturiscono dall'evento di danno per il nesso di causalità giuridica.
INGIUSTIZIA DEL DANNO: con un capovolgimento rispetto al passato,
l'ART.2043C.C. non è più considerate norma secondaria, sanzionatoria della violazione di
una norma primaria, ma norma primaria essa stessa, perché contiene la clausola generale
dell'ingiustizia del danno, in virtù della quale il dovere del neminem ledere offre una
protezione atipica, riferita cioè a tutti gli interessi giuridicamente rilevanti. Spetta poi al
giudice di individuati, e selezionarli, stabilendo così se il danno debba essere trasferito dal
danneggiato al danneggiante, mediante un giudizio di comparazione degli interessi in
conflitto, comparazione da condursi non tanto con riferimento alle leggi ordinarie quanto
alla luce del principio costituzionale di solidarietà.
E’ dunque risarcibile anche il danno derivante da lesione del diritto di credito ad opera di
un terzo, purché inevitabile e irreparabile. Ipotesi tipica è quella dell'uccisione del debitore
il una prestazione di fare a carattere personale o infungibile, anche nel senso che il
creditore non possa procurarsela altrove allo stesso costo. Al contrario, in caso di dare o di
fare fungibile non legato alla persona del de cuius, il relativo obbligo si trasferisce agli
eredi. È risarcibile inoltre il danno derivante dalla sospensione del vigore del contratto per
ferimento del lavoratore, se la prestazione è infungibile il datore di lavoro abbia dovuto
continuare a corrispondere, per contratto, lo stipendio o il salario, pur in presenza di una
prestazione fungibile. Il risarcimento infine è anche dovuto nel caso di danneggiamento o
ostruzione della cosa determinata oggetto della prestazione dovuta, con conseguente
estinzione dell'obbligazione per impossibilità sopravvenuta.
Nei predetti casi il fatto del terzo causa l'estinzione dell'obbligazione o impedisce
l'adempimento. Ma è illecito anche il comportamento di un terzo il quale, con dolo o colpa,
collabori o comunque induca un contraente a rendersi inadempiente: questo è il caso dello
storno di dipendenti, cioè assunzione di un dipendente altrui, sanzionato come
concorrenza sleale. Tale sottrazione dovrà andare a vantaggio per la propria azienda e a
svantaggio per l'altra. Non è induzione all'inadempimento l'azione invece di chi istighi a
commettere adulterio. Coopera all'inadempimento chi acquista dolosamente un bene già
promesso in vendita.
A sé stante invece è l'ipotesi della doppia alienazione immobiliare, quando un soggetto, a
conoscenza della prima alienazione a cui non è ancora seguita la trascrizione, acquista a
sua volta trascrivendo per primo e prevalendo. Il primo acquirente potrà agire anche ai
sensi dell'ART.2043C.C. contro il secondo avente causa in mala fede. Sono tutelati anche i
diritti personali di godimento in cui può agire per il risarcimento del danno, ad esempio, il
locatario per le spese di ripristino dell'immobile danneggiato da infiltrazioni di acqua
proveniente dalla terrazza sovrastante.
- la giurisprudenza ha teorizzato che per danno ingiusto risarcibile deve intendersi
anche il danno inferto al diritto all'integrità del proprio patrimonio e più specificamente al
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costituiscono solo uno dei vari criteri giuridici mediante i quali le conseguenze dannose
vengono trasferite dal danneggiato al danneggiante.
RESPONSABILITA’ OGGETTIVA: in alcuni casi, previsti dalla legge, un
soggetto risponde per i danni a prescindere dal fatto che essi derivino causalmente da un
suo personale comportamento e dunque a prescindere dalla colpa o dal dolo. In ciò si
ravvisa un ulteriore differenza rispetto al regime dell'illecito penale, è in ogni caso
personale.
Lo svolgimento di determinate attività o il compimento di determinate azioni comportano
che il danno eventualmente prodotto sia risarcito non sono dal singolo autore dell'illecito
ma anche da chi si è assunto il rischio collegato all'attività o all'azione. Ciò vale
essenzialmente per il caso dl attività imprenditoriali, pure al di fuori di iniziative già di per
sé programmaticamente rischiose, perché il rischio è in re ipsa nel fatto di utilizzare
macchinari complessi tali da impedire un effettivo controllo sulle attitudini e capacità o sul
risultato del lavoro svolto. Non a caso la legge speciale stabilisce come oggettiva la
responsabilità del produttore. In tal caso il legislatore non ha concesso la facoltà di
provare la non colpevolezza ma solo, se del caso, circostanze diverse di carattere
aggettivo che finiscono per dare spazio al solo caso fortuito, purché non si tratti di
responsabilità derivante da comportamento di un terzo, perché allora il caso fortuito è
escluso e la prova contraria o non è ammessa o è difficilmente configurabile.
FATTISPECIE TIPICHE:
A)RESPONSABILITA’ DEI PADRONI E DEI COMMITTENTI: I padroni e i committenti
sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici, commessi
nell'esercizio delle loro incombenze a cui sono adibiti, con successiva azione di regresso
per l'intera somma pagata. La responsabilità si giustifica non con la culpa in vigilando, ma
con il rischio imprenditoriale o in base ali' utilizzazione delle altrui energie per ampliare la
propria sfera di azione. Ci deve essere un nesso di causalità tra le incombenze svolte e il
compimento dell'illecito. Anche nel caso di nesso di occasionalità, purché necessaria, c'è
responsabilità. La causazione del danno deve essere facilitata dalle attribuzioni (il
dipendente che uccide durante la lite successiva all'incidente sparando con la pistola che
ha in dotazione in quanto portavalori), o il danno deve essere collegabile in via dl
connessione o è stato causato in occasione di attività rientranti nelle incombenze, ma
svolte spontaneamente fuori orario. E' sufficiente un rapporto anche solo di collaborazione
che attribuisca un potere di vigilanza e di direzione al c.d. padrone.
B)RESPONSABILITA’ PER L’ESERCIZIO DI ATTIVITA’ PERICOLOSE: chiunque
cagiona danno ad altri nello svolgimento dl un'attività pericolosa, per sua natura o per la
natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova dl avere adottato tutte
le misure idonee ad evitare il danno.
Sono attività pericolose, ad esempio, la messa in commercio di prodotti del tabacco,
l'organizzazione di gare motociclistiche su circuito aperto al traffico, la caccia, l'esercizio di
seggiovie, la produzione e distribuzione di gas in bombole; la pericolosità della gestione di
un maneggio invece va valutata in relazione a se il cavaliere è principiante o no.
La prova liberatoria consiste nel dimostrare dl aver adottato ogni cautela e di essersi
avvalso delle tecniche di prevenzione più moderne. In realtà, poiché si tratta di
responsabilità oggettiva, la vera prova liberatoria sarà data dal caso fortuito, quanto
imprevedibile, e tale non sarebbe ad esempio un fulmine, potendo essere installato un
parafulmine.
In particolari casi la materia è regolata da leggi speciali che escludono anche il caso
fortuito o configurano la prova liberatoria in modo atipico. Ad esempio, l'ART.965C.VAV.,
disciplinando la navigazione aerea, pone a carico dell'esercente l'obbligo dl risarcire ogni e
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qualsiasi danno derivante da forza maggiore, con la sola esclusione del danni dovuti dal
fatto doloso di terzo.
C)DANNO CAGIONATO DA COSE IN CUSTODIA: ciascuno è responsabile
oggettivamente del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso
fortuito, cioè imprevedibile e inevitabile, quale interruzione del nesso causale, cui è
equiparata la colpa del danneggiato non solo colposa, ma anche inevitabile e
imprevedibile, cioè eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima e quindi inattesa o, se la
cosa è inerte, la sua non pericolosità, in relazione allo stato e salvo che il danno sia stato
arrecato non dalla cosa, ma con la cosa, perché allora vale l'ART.2043C.C..
Custode è chi ha la disponibilità non già solo materiale, ma giuridica ed è in condizione di
controllare i rischi inerenti alla cosa. Quindi non solo il proprietario ma anche il possessore
e il detentore. In caso di locazione, il proprietario è responsabile dei danni provocati da
strutture murarie o da impianti in essi conglobati, il locatario invece dei danni provocati
dalle cose nella sua disponibilità.
D)DANNO CAGIONATO DA ANIMALI: il proprietario di un animale o chi se ne serve per
il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, domestico o
mansuefatto, sia che fosse sotto la sua custodia, anche temporanea, sia che fosse
smarrito o fuggito salvo che provi il caso fortuito, consistente in un fatto esterno, o nella
colpa del danneggiato, imprevedibile, inevitabile eccezionale.
Usa dell'animale chi ha un potere di governarlo pur senza avere necessariamente quello di
sfruttarlo e purché tale potere non sia esercitato sotto il controllo del proprietario, come
nel caso di chi custodisca l'animale per il pascolo. Quando l'animale è lo strumento per
l'esercizio di un'attività pericoiosa si applica l'ART.2050C.C.; se esso è il mezzo motore di
un veicolo, si applica l'ART.2054C.C..
E)RESPONSABILITA’ DA ROVINA DA EDIFICIO: il proprietario di un edificio o di altra
costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa
non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. La norma si applica anche
al titolare di un diritto reale di godimento che comporto l'obbligo di manutenzione, mentre
per il locatario la responsabilità sussiste solo nei rapporti interni con il proprietario,
qualora la sua negligenza abbia aggravato il danno.
La prova liberatoria consiste nel dimostrare il caso fortuito o la forza maggiore, laddove la
responsabilità è oggettiva e sussiste pure nel caso in cui nessun sintomo obiettivo
lasciasse solo dubitare del possibile crollo e perfino se la cattiva manutenzione sia
conseguenza dell'opera negligente un appaltatore.
F)RESPONSABILITA’ DA CIRCOLAZIONE DI VEICOLI: il conducente di un veicolo è
obbligato a risarcire il danno prodotto, anche dolosamente, a persona o a cose, dalla
circolazione stradale del veicolo se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il
danno. Nel caso di scontro tra veicoli si presume poi fino a prova contraria che ciascuno
dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre i danni, pur se uno solo di essi li
abbia subito.
Il proprietario del veicolo è responsabile in solido con il conducente se non prova che la
circolazione è avvenuta contro la sua volontà. Queste stesse persone sono responsabili dei
danni ricollegabili a vizi di costruzione o a difetti di manutenzione del veicolo. Salvo caso
fortuito o consapevolezza della circolazione illegale dell'autoveicolo, il terzo trasportato
può agire direttamente per il risarcimento del danno nei confronti dell'impressa che ha
assicurato il veicolo stesso, anche quando l'altro autoveicolo coinvolto non sia assicurato.
Dal punto di vista oggettivo, per veicolo si deve intendere qualsivoglia mezzo di
locomozione terrestre, anche spinto con la forza delle braccia. Esso deve trovarsi, anche
fermo, su una strada pubblica o in un'area privata dove il traffico veicolare e pedonale sia
paragonabile a quello stradale. L'elencazione è tassativa, così che in caso di locaziore,
noleggio risponderà il proprietario e non già il locatario o noleggiatore. Inoltre, è
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indipendentemente dalla natura delle azioni, nonché anche agli estranei che partecipano
all'esercizio della funzione giudiziaria. Il danno risarcibile è patrimoniale e non
patrimoniale. Esso deve essere ingiusto e cagionato per effetto di un comportamento
doloso o gravemente colposo o per effetto di diniego di giustizia. Resta l'irresponsabilità
per l'interpretazione della legge e la valutazione del fatto e delle Prove. Il termine di
decadenza dell'azione è di tre anni, che decorre dal momento in cui l'azione è esperibile e
cioè una volta che siano stati esperiti mezzi ordinari di impugnazione e comunque non sia
più possibile la modifica o la revoca del provvedimento fonte del danno. Convenuto in
giudizio è lo Stato in persona del presidente del Consiglio dei Ministri, mentre il magistrato
non può essere chiamato in causa ma può intervenire. Lo Stato in persona del Presidente
del Consiglio una volta risarcito il danno deve esercitare entro due annl, l'azione di rivalsa
nei confronti del magistrato non dissenziente. Se il fatto costituisce reato l'azione civile
può essere esperita nei confronti sia dello Stato che del magistrato. L'ingiusta
carcerazione e l'errore giudiziario costituiscono poi atti illeciti dannosi, con equa
riparazione.
RISARCIMENTO DEL DANNO: se il fatto dannoso è imputabile a più soggetti,
tutti sono obbligati in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha
regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva
colpa.
Il codice prevede, come regola, il risarcimento del danno potrimoniale ex
ART.2043C.C. e, come eccezione prevista di volta in volta dalla legge, il risarcimento
del danno non potrimoniale ex ART.2059C.C..
DANNO PATRIMONIALE: riguarda la lesione di un bene (es. occupazione abusiva) o se il
danno alla persona riguarda la diminuzione dei vantaggi e delle utilità che la persona trae
da se stessa, purchè siano suscettibili di valutazione economica, nonché la diminuzione
della sua capacità lavorativa riferita al reddito effettivamente prodotto.
DANNO NON PATRIMONIALE: è quello determinato dalla lesione di interessi inerenti
alla persona, non connotati da rilevanza economica. Questo danno è unitario, nel senso
che è ricomprensivo di una pluralità di pregiudizi che la legge prevede, quale ad esempio il
c.d. danno morale e il c.d. danno biologico, che non sono sottocategorie autonome di
danno non patrimoniale, ma pregiudizi diversi del danno stesso.
DANNO MORALE DA REATO: Con la formula "danno morale" (ART.185C.P.) si
intende la sofferenza, non necessariamente protratta nel tempo che subisce la vittima, in
presenza di un reato che offende la persona (es. violenza sessuale, omicidio, lesioni
ecc...). La sofferenza è la conseguenza soggettiva della lesione del bene protetto che, in
termini oggettivi, è la dignità umana. Il risarcimento è dovuto anche quando ìl reato è
plurioffensivo come nel caso di disturbo della quiete pubblica o del turbamento psichico
per la paura di aver contratto una malattia, a seguito di disastro ambientale, con
immissioni tossiche.
In caso di violenza sessuale, lesioni o uccisione, legittimato ad agire per il risarcimento in
proprio, oltre alla vittima e ai prossimi congiunti, è anche il titolare di una situazione di
contatto con la vittima al di la dunque dei rapporti familiari, occorrendo verificare in che
cosa sia consistito il legame affettivo e se esso sia meritevole di tutela e in quale misura
sia stato inciso (es. stabile rapporto amoroso). Il risarcimento ex ART.185C.P., sia
patrimoniale che non patrimoniale, è dunque diverso da quello ex ART.2043C.C., perché
nel primo non si richiede l'ingiustizia del danno, né la colpa o il dolo (la colpa è presunta
infatti), essendo sufficiente la sussistenza di un reato.
Altre ipotesi tipiche: la legge prevede altre ipotesi di danno non patrimoniale risarcibile, ad
es. in caso di lesione del diritto al nome o all'immagine, all'onore, al decoro, di
diffamazione a mezzo stampa.
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avere un carattere indefinito e atipico che viene giustificato con "l'essere la dimensione
della sofferenza umana a sua volta indefinita e atipica. I veri limiti sono quelli volti ad
impedire le liti bagatellari in cui 'interesse esistenziale o è futile o non è inciso oltre la
soglia minima della tolleranza che la convivenza impone. In conclusione, considerato che,
salvo le ipotesi di cui all'ART.2087C.C., le ipotesi di lesioni di diritti inviolabili coincidono
con quelle di reato, il danno non patrimoniale va risarcito solo quando la legge lo prevede
senza nessuna apertura alla realtà sociale, fonte inevitabile di atipicità e confusione.
Il risarcimento del danno non patrimoniale avviene secondo equità con pagamento di una
somma di denaro non in grado di annullare le sofferenze; pertanto, si tratta di ura fictio
idonea a restituire o a compensare Per il quantum debeatur dovrà aversi riguardo dunque
alle circostanze del caso e all’intensità del dolo o della colpa, alla gravità della condona
illecita e alle modalità secondo le quali si è consumata la lesione, nonché alla condizione
della vittima valutata in termini oggettivi ad esempio l'età o la sua notorietà. Ciò spiega
perché, dovendosi aver riguardo non alla soggettiva sofferenza ma a dati oggettivi, il
danno all’incapace o a chi è in coma vegetativo o è interdetto, il quale non può avvertire
l’offesa e quindi soffrire, va risarcito comunque. Si può quindi ammettere che il
risarcimento del danno non patrimoniale ha funzione compensativa, in relazione alla
diminuzione personale e non patrimoniale del valore uomo, per come egli si realizza. Se
non che potrebbe ricorrersi alle presunzioni, spettando al danneggiato solo di allegare gli
elementi o a fornire la serie concatenata di fatti noti per risalire a quello ignoto, cioè i
esistenza del danno. Secondo altra teoria, essendoci un collegamento con l'ART.1223C.C.,
la prova dovrebbe essere accertata mediante CTU in chiave compensativa, dovrebbe
applicarsi quindi una compensazione lucri cum damno con danno biologico o morale.
La tipicità dell'ART.2059C.C. si può quindi spiegare con detta funzione sanzionatone in
perfetta analogia con l'ART.25 secondo cui nullum crimen sine lege dal momento che il
risarcimento del danno non patrimoniale è intrinsecamente incerto a differenza di quello
patrimoniale. Il primo è l’esito dell'antigiuridicità e il secondo dell'ingiustizia del danno. La
funzione compensativa e ipotizzabile per il solo pregiudizio alla salute, laddove l'an
debeatur è accertato mediante perizie mediche e il quantum è liquidato avendo riguardo
alle tabe e elaborate dal radunale di Milano. In chiave compensativa si dovrebbero evitare
duplicazioni risarcitone, poiché l'esito del danno non patrimoniale è sempre quello della
sofferenza interiore. Così in caso di diffamazione sarà risarcite il pregiudizio morale, ma se
la sofferenza degenera in depressione sarà risarcito, con eventuale e personalizzazione, il
solo danno alla salute, più grave. Il danno può essere risarcito anche in forma
specifica qualora sia in tutto o in parte possibile e purché il giudice non ritenga che la
reintegrazione sia eccessivamente onerosa per il debitore. I due rimedi risarcitori forma
specifica e per equivalente, se del caso, possono concorrere. La prescrizione dell'azione
risarcitoria è quinquiennale.
DANNO DA DURATA IRRAGIONEVOLE DEL PROCESSO: ci può essere
un equa riparazione del pregiudizio, anche non patrimoniale, causata dalla durata del
processo. La parte, purché abbia esperito i rimedi preventivi, deve agire entro sei mesi e il
pregiudizio non patrimoniale è in re ipsa, salvo prova contraria, mentre quello
patrimoniale va provato.
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posizione in merito alla possibilità di dar vita alla categoria negoziale. Atto è pertanto
sinonimo di negozio unilaterale.
La disciplina del contratto ha una forza espansiva che va al di là dell’Art. 1324 c.c.:
-la P.A. può scegliere il modello convenzionale per realizzare i propri interessi pubblici: può
concludere con l’interessato accordi al fine di determinare il contenuto discrezionale del
provvedimento amministrativo o, nei casi previsti dalla legge, di sostituirlo.
-la forza espansiva della disciplina contrattuale si manifesta anche sul patteggiamento della
pena, in particolare con riferimento all’applicazione dei principi sulla conclusione del
contratto (la revoca unilaterale è impossibile dunque una volta raggiunto l’accordo e anche
sulla natura di actus legitimus che non tollera l’apposizione di condizioni una volta.
DISCIPLINA DEL NEGOZIO UNILATERALE:
Il codice civile disciplina il negozio unilaterale in alcune norme di carattere generale:
l’ART.1334C.C. stabilisce che gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui
giungono a conoscenza del destinatario (negozi recettizi).
La recezione da parte del terzo destinatario secondo la dottrina è essenziale:
1) secondo alcuni per la stessa perfezione della dichiarazione
2) secondo altri (è solo un coelemento) è necessaria per la mera efficacia dell’atto.
Quest’ultima(2) è la concezione più corretta poiché il negozio unilaterale, sul piano del
perfezionamento della fattispecie, dipende in ogni caso dall’emissione della dichiarazione,
mentre la RECEZIONE da parte del terzo si pone sul piano degli effetti costituendone la
condizione essenziale (per far produrre effetti).
La dichiarazione solo se recettizia può essere revocata, purché la revoca giunga (pervenga)
al destinatario prima della dichiarazione stessa.
La conoscenza della dichiarazione, costituisce un mero fatto giuridico, per cui sarà del tutto
irrilevante che essa sia acquisita in seguito a violenza o frode esercitata dal dichiarante, così
come non potrà dirsi conosciuta, una dichiarazione ricevuta da un soggetto che dimostri di
essere stato in quel momento incapace di intendere e di volere.
ART.1335C.C.: fissa una presunzione relativa di conoscenza per il fatto che la
dichiarazione pervenga all’indirizzo del destinatario, salvo che questi provi di essere stato,
senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
ART.1414C.C.: estende la disciplina della simulazione anche agli atti unilaterali recettizi
destinati a persona determinata, che siano simulati per accordo tra dichiarante e
destinatario.
ART.428C.C: che disciplina l’incapacità naturale con riguardo ad i negozi unilaterali,
stabilendo l’invalidità solo in caso di grave pregiudizio.
NORMATIVA SPECIALE: poiché però la normativa speciale che disciplina il negozio
unilaterale è tendenzialmente lacunosa, si ricorre all’applicazione diretta, e non analogica o
estensiva, della disciplina generale del contratto, tale applicazione diretta è però temperata
dal criterio di compatibilità stabilito all’ART.1324C.C. (la compatibilità si riferisce alla
diversa struttura e al fatto che il contratto sia il risultato di un incontro di consensi)
(compatibilità strutturale). Si discute, inoltre, sulla necessità della FORMA SCRITTA del
negozio unilaterale, nel caso in cui il negozio unilaterale sia collegato ad una vicenda che
rientri nella previsione dell’ART.1350C.C. (atti che debbono farsi per iscritto). Qui il dubbio
sussiste e, nel silenzio della legge, può essere sciolto solo guardando al negozio unilaterale
sul piano funzionale.
ES: il negozio unilaterale che convalida un contratto annullabile, non richiederebbe la forma
scritta:
1)se la sua funzione è quella di rinunciare all’azione di annullamento.
2)se ha una funzione integrativa della fattispecie cioè sostituisce quella parte del contenuto
viziata dovrebbe avere la forma scritta.
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1. AUTONOMIA CONTRATTUALE:
Autonomia significa facoltà di autoregolamentare i propri interessi. In termini giuridici, il
problema è quello di verificare il rapporto che sussiste tra autonomia ed ordinamento, cioè a
dire tra volontà del privato e volontà della legge (nel senso di accertare come ed a quali
condizioni i privati possono giuridicizzare una data operazione economica e far si che essa
assuma rilevanza sul piano giuridico). Bisogna inoltre individuare se gli effetti giuridici sono
effetto della volontà delle parti o si producono soltanto in seguito al comando normativo.
TESI RISALENTE DOTTRINA: non c’è dialettica tra volontà della legge e la volontà del
privato, è la volontà privata a dar vita agli effetti giuridici. Il ruolo svolto dall’ordinamento è
unicamente quello di porre dei limiti esterni all’autonomia contrattuale, limiti costituiti dalla
contrarietà a norme imperative, ordine pubblico o buon costume. All’interno del perimetro
delineato dall’ordinamento, la volontà del privato può spaziare, dando vita, essa stessa, ad
effetti pienamente vincolanti, che l’ordinamento si incarica di proteggere e tutelare.
Tale impostazione confonde, però, un’idea naturalistica di volontà con il concetto giuridico
dell’autonomia contrattuale. La volontà è la causa psichica dell’atto ma in tal modo non si
dimostra che essa sia anche la causa giuridica dell’effetto. Tale dottrina proposta nel secondo
dopoguerra risente dell’impostazione liberista che propendeva per una netta separazione tra
pubblico e privato. Secondo tale impostazione l’economia era riservata esclusivamente
all’iniziativa dei privati, mentre invece lo stato aveva il compito di perseguire e regolare le
vicende di interesse collettivo.
ALTRE DOTTRINE: hanno tentato di dimostrare la medesima tesi ricorrendo ad una più
complessa costruzione che investe gli stessi rapporti esistenti tra l’area del diritto privato e la
posizione ed il ruolo assunto dallo Stato:
A) TEORIA DELLA PLURALITA’ DEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI: costruisce il
contratto come un ordinamento a sé stante, disciplinato dalla regola posta dai contraenti.
Tale ordinamento è caratterizzato da elementi propri ed autonomi, ma cede all’ordinamento
statuale attraverso la potestà giurisdizionale e sanzionatorie di pertinenza esclusiva di
quest’ultima. Tutto ciò implica che l’esistenza dell’ordinamento costituito dal contratto e
l’efficacia della regola privata possono essere affermate solo prescindendo dal momento
autoritativo, proprio dell’ordinamento statuale. All’ordinamento statuale è quindi affidato il
compito precipuo di tutelare l’accordo e finisce così per dettare, esso stesso, le condizioni
alle quali una data operazione economica può divenire giuridica.
B) TEORIA DELLA COSTRUZIONE PER GRADI: l’ordinamento risulterebbe la risultante di
una sorta di scala costruita in ordine decrescente dalla Costituzione, dalle leggi, dalla
giurisdizione etc. con il contratto, le parti pongono norme concrete per regolare il
comportamento reciproco in attuazione delle regole statuali con attuazione del diritto di
grado superiore e creazione di una nuova regola atta, però, a disciplinare il solo rapporto
intersoggettivo. Il giudice dovrà accertare l’osservanza o l’infrazione ed in tal caso c’è
l’esecuzione forzata. Tale concezione risente di una impostazione filosofica pessimistica
(Kelsen) in quanto vede la coazione un male necessario per indurre l’uomo ad un
comportamento corretto e dunque considerare il diritto soggettivo come diritto di azione in
giudizio, al fine di mettere in moto la sanzione.
C) ALTRE TEORIE: invece, attribuiscono all’ordinamento giuridico in via esclusiva il potere
di fissare gli effetti negoziali. L’iniziativa privata viene è ridotta ad un mero schema di fatto.
Il contatto apparterrebbe al privato solo per il tempo della sua realizzazione, ma una volta
raggiunto il necessario sviluppo, esso rientrerebbe nel dominio della legge a cui spetterebbe
di fissare, in via esclusiva, gli effetti giuridici.
Tra queste teorie la più accreditata è la TEORIA PRECETTIVA(Betti): secondo cui è
l’ordinamento che fissa gli effetti del contratto ma all’autonomia privata spetta il ruolo di
fissare il regolamento vincolante. Si assiste, così, ad una netta separazione tra i due
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momenti sociale e giuridico. Il primo è caratterizzato dal fatto che il vincolo tra i privati già
nasce ed è riconosciuto come rilevante ed è l’ordinamento statale a divenire ordinamento
giuridico, in quanto conforme al dettato della socialità. Si ribalta cioè l’ottica della precedente
teoria.
L’autoregolamento dei privati è in grado di dar vita ad un precetto, cioè ad un ordine, il
quale, però sarebbe originario ed indipendente rispetto alla statualità, non si porrebbe in
alternativa ai poteri ed alle funzioni statali, né darebbe vita ad un ordinamento in senso
tecnico. È dato un valore sociale all’autoregolamento. Solo l’ordinamento stabilisce quali
effetti, nel campo giuridico, possono essere prodotti dall’autoregolamento.
2. CONTENUTO ED EFFETTI
ART.1374C.C.: ” Il contratto obbliga le parti, non a quanto nel medesimo è espresso, ma
anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli usi e l’equità. “
La tesi tradizionale ritiene che dal contratto non possono derivare conseguenze che non si
riallacciano alla volontà delle parti, salvo che sia presente nella pattuizione privata una
lacuna che la legge, gli usi e l’equità hanno la funzione di colmare con un intervento,
dunque, di carattere esclusivamente suppletivo; tipico il caso di mancata previsione del
luogo o del tempo dell’adempimento (ART.1182-1183C.C.), ovvero di attribuzione ad un
terzo del potere di determinare l’oggetto del contratto (ART.1349C.C.).
Si riafferma così il principio secondo cui il contenuto del contratto non potrebbe che essere
frutto della volontà dei privati, mentre la legge e le altre fonti di integrazione, operando solo
in presenza di pattuizioni lacunose, non potrebbero giammai porsi in contrasto con
l’autoregolamento, fissato in base al solo consenso .Si spiega così perché la norma sarebbe
destinata ,in questa visione ad operare solo sugli effetti del contratto.
E’ però errato relegare l’intervento della legge e degli usi nella zona degli effetti, infatti molte
norme positive dimostrano che spesso il contenuto del contratto è frutto anche
dell’intervento normativo. (Es. contratto di locazione e contratti agrari).
Da questo punto di vista l’ART.1374C.C. assume un diverso significato: quello di indicare
quali sono nel nostro ordinamento le fonti che disciplinano il regolamento contrattuale,
intendendo con tale espressione l’insieme dei precetti che vincolano i contraenti, non solo in
base a ciò che essi hanno pattuito, ma anche in base a ciò che detta la legge o, se del caso,
l’usi o l’equità. Accanto alla fonte autonoma si pongono dunque le fonti eteronome. Da ciò
consegue che è stato sottratto alla volontà dei privati il monopolio nella costruzione della
regola contrattuale. Il fatto che il contratto non esprime più l’esclusiva volontà privata non
significa che il contratto non sia più un atto di autonomia. Significa infatti che il contratto ha
più funzioni, dunque non solo di autonomia privata e di autoregolamentazione ma anche la
funzione di mezzo per perseguire interessi superindividuali.
3. LA LEGGE E I LIMITI DELL’AUTONOMIA CONTRATTUALE:
Sul piano concreto, l’autonomia contrattuale ha modo di esplicarsi pienamente da più punti
di vista:
a) libertà di concludere o meno il contratto;
b) libertà di fissarne il contenuto;
c) libertà di scegliere la persona del contraente;
d) libertà di dar vita a contratti atipici.
A fronte di queste libertà, il legislatore ha posto delle limitazioni:
a) LIBERTA’ DI CONCLUDERE O MENO IL CONTRATTO: talvolta il soggetto è
OBBLIGATO A CONTRARRE o per legge o per stessa volontà privata.
In caso di inadempimento all’obbligo di contrarre per volontà privata (es. contratto
preliminare) consegue non il mero obbligo di risarcire il danno, ma la possibilità per la parte
adempiente di ottenere una sentenza costitutiva che sostituisca il contratto non concluso.
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Trovano disciplina nell'ART.1341C.C., il quale dispone che esse hanno efficacia nei confronti
dell'altra parte contrattuale se questi, nel momento della conclusione del contratto, le
conosceva o avrebbe dovuto conoscerle usando la normale diligenza.
L’ART.1342C.C. prevede i contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o
formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali.
In tal caso dunque viene meno la fase delle trattative che è garanzia di autodeterminazione.
Ciò fa comprendere perché a tutela del consumatore sia prevista una particolare disciplina,
qualora le condizioni generali o i moduli e formulari predisposti dall’imprenditore contengano
clausole vessatorie.
c) LIBERTA’ DI SCELTA DEL CONTRAENTE:
La legge, talvolta, interviene, non già obbligando il soggetto a contrarre, ma obbligandolo
qualora intenda addivenire al contratto, a stipulare con una data persona.
ES: prelazione legale: il coerede che vuole alienare la sua quota di eredità è tenuto
prima a notificare la proposta nei confronti degl’altri coeredi e poi eventualmente può
alienare a terzi.
ES: assicurazione obbligatoria: la legge indica una serie di soggetti con cui il
proprietario del veicolo può contrarre, ma questi dovrà scegliere una sola delle compagnie
con cui concludere il contratto.
d) LIBERTA’ DI CONTRARRE PER SCHEMI ATIPICI:
Le limitazioni a tale libertà non derivano da norme puntuali, ma da ricostruzioni dell’intero
sistema ad opera della giurisprudenza e dottrina.
4. COSTITUZIONE ED AUTONOMIA CONTRATTUALE
L’autonomia contrattuale è tutelata, rispetto ai limiti posti dalla legge, dalla Costituzione. In
tale ottica consideriamo gli ART.41-42COST., infatti l’autonomia privata è uno strumento
dell’iniziativa economica e da ciò consegue che ogni limite imposto dal legislatore
all’autonomia contrattuale determina anche un limite alla iniziativa economica e quest’ultimo
limite è legittimo solo se in armonia con quanto previsto dall’ART.41CO.2-3COST.. I limiti
imposti dalla legge devono rispondere a ben precise esigenze di carattere contingente e non
arbitrario e devono essere finalizzati al raggiungimento degli scopi costituzionali in
particolare l’utilità sociale. L’interesse individuale (autonomia contrattuale) dunque può
essere limitata per tutelare e garantire interessi più vasti e rendere possibile l’adempimento
di quella funzione sociale da cui non ci si può discostare nell’esercizio di ogni attività
produttiva, sempre che la limitazione risponda al principio di ragionevolezza cioè sia congrua
e proporzionata allo scopo e sia posta con legge (principio riserva di legge).
La lettura dell’ART.41COST., nel punto in cui prevede tale riserva di legge per perseguire i
fini sociali, si è modificata con il passaggio da uno Stato imprenditore interventista ad uno
Stato regolatore del mercato più liberale. Questa riserva di legge resta però attuale in
materia contrattuale, anche se spetta al giudice stabilire quando l’autonomia contrattuale sia
in contrasto con l’utilità sociale. La riserva di legge si impone nel caso di obbligo a
concludere il contratto o se ne modifica il contenuto o la causa. Come è stato osservato in
dottrina non coincidendo l’iniziativa privata con l’autonomia contrattuale, ci sono numerose
limitazioni poste dal codice o da leggi speciali che non sono suscettibili di controllo
costituzionale. Infatti anche se sono elastiche le disposizioni degli ART.41-42COST.,
l’autonomia contrattuale può esprimersi anche in via non strumentale rispetto alla iniziativa
economica privata.
Es: sarebbe costituzionale ex ART.41COST. una legge che abolisse la libertà di stipulare
contratti atipici, non incidendo tale divieto in modo irreversibile sulla iniziativa economica,
ma sarebbe incostituzionale per violazione dell’ART.42COST.
5. USI NORMATIVI ED USI NEGOZIALI:
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ART.1374C.C.: INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO: “il contratto obbliga le parti non solo a
quanto e nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo
la legge o in mancanza, secondo gli usi e l'equità.”
L’ART.1374C.C. espressamente richiama gli USI e potrebbe apparire come una inutile
ripetizione dell’ART.8DISP.PREL.C.C. il quale afferma che gli usi hanno efficacia nelle materie
regolate da leggi e regolamenti solo in quanto da essi richiamati.
Scindiamo due aspetti del problema:
1. EFFICACIA DELL’USO NORMATIVO: non è l’ART.1374C.C. che attribuisce agli usi un
valore vincolante, che gli deriva dall’essere previsti tra le fonti del diritto (ex
ART.1DISP.PREL.C.C.).
2. AMBITO DI TALE EFFICACIA: se si prescindesse dall’ART.1374C.C, si dovrebbe
affermare che l’efficacia degli usi in materia contrattuale sarebbe limitata ai singoli richiami
agli usi operati da singole clausole. La parola in “mancanza” dimostra invece che il
legislatore ha voluto attribuire all’uso un ruolo di fonte generale di regolamentazione del
contratto ma conforme all’ART.8DISP.PREL.C.C., il quale subordina l’efficacia dell’uso ad un
espresso richiamo della legge. Un richiamo è proprio l’ART.1374C.C., pertanto se
l’ART.1374C.C. non avesse richiamato gli usi, l’integrazione del contratto sarebbe potuta
avvenire solo:
- secondo legge o equità, in presenza del richiamo è invece possibile anche una integrazione
-secondo gli usi pur in difetto di una legge puntuale che ad essi rinvii.
L’ART.1374C.C assolve anche ad un'altra funzione, quella di affiancare all’uso negoziale
(ART.1340C.C.) e a quello interpretativo (ART.1368C.C.), l’uso normativo
(ART.1374C.C.)
USI NEGOZIALI: ART.1340C.C: si intendono inseriti in modo automatico nel contratto “se
non risulta che non sono stati voluti dalle parti”. L’uso negoziale ha una funzione integrativa
dell’accordo e dovrebbe prevalere sulle disposizioni legali suppletive e derogare alle norme di
legge dispositive, nonostante la giurisprudenza sia contraria. La differenza rispetto agli usi
normativi è che essi non hanno carattere generale ed obbligatorio, di conseguenza integrano
il contenuto del contratto solo quando siano esplicitamente o implicitamente richiamati dalle
parti.
È possibile dunque l’applicazione di usi normativi anche là dove la legge non dispone il rinvio,
purché non siano contra legem. I singoli usi possono non essere applicati dalla volontà dei
privati in concreto perché gli usi sono regole sociali di comportamento non scritte, anche se
in astratto l’ART.1374C.C., che è una norma imperativa inderogabile, prevede tra le fonti di
integrazione del contratto anche gli usi normativi.
Nel contratto concluso tra professionisti e consumatori la clausola che recepisce usi vessatori
è inefficacie salvo trattativa individuale.
6.L’EQUITA’
Il richiamo all’equità, secondo alcuni sarebbe possibile solo in funzione suppletiva, cioè come
ausilio dell’autonomia privata allo scopo di ricercare la volontà dei contraenti. Per questo
motivo l’intervento del giudice sembra avere una funzione del tutto marginale ed eventuale.
Quindi il problema è comprendere se e come può intervenire il giudice. Ci sono casi in cui il
giudice è autorizzato espressamente dalla legge pensiamo, ad esempio, all’ART.1384C.C. che
impone al giudice di ridurre ad equità la clausola penale manifestamente eccessiva.
Altre volte, invece, non è previsto dalla legge, indi per cui bisogna procedere con cautela
visto che si tratta di ampliare il potere giudiziale al di là del mero intervento di tipo residuale
o suppletivo. È possibile tale apertura, ad esempio, nel caso in cui il giudice debba
intervenire al fine di determinare l’oggetto della prestazione, sempre che le parti abbiano
indicato i criteri per la determinazione o sussistano dei criteri obiettivi di mercato.
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La definizione dei criteri è necessaria perché non può esserci un intervento del giudice
autonomo così come il giudice non potrà prevedere un assetto regolamentare diverso da
quello delle parti, sostituendo clausole che appaiono inique con clausole eque allo scopo di
garantire la parità nello scambio, in quanto il contratto giusto è quello frutto della libertà
delle parti. In realtà, l’intervento del giudice di questo tipo è ammesso in alcuni casi dalla
legge solo quando si tratta di eliminare le condizioni più svantaggiose per una parte, dovute
a discriminazioni razziali, religiose, etniche.
Gazzoni, esponente di una dottrina isolata, ha da tempo posto il problema del se il giudice
possa comminare la nullità ex ART.1374C.C. di una singola clausola o dell’interno contratto
quando una singola operazione economica appaia contraria al principio d’equità. Qui è
evidente la differenza con la precedente ipotesi, infatti in caso di nullità i privati, invece di
dover adempiere un regolamento contrattuale frutto anche della volontà del giudice (ipotesi
da escludere), non devono adempiere il contratto iniquo.
Se così fosse, l’equità si porrebbe al pari del buon costume e dell’ordine pubblico e delle
norme imperative a presidio di principi superindividuali anche se, non opererebbe a priori,
cioè in ogni caso ma, a posteriori solo quando il giudice, anche d’ufficio, ritenga esserci in
concreto un grave squilibrio regolamentare a danno di una parte.
Quindi mentre l’illiceità consegue a violazioni di regole predeterminate ed opera in astratto,
l’iniquità dipenderebbe dal regolamento contrattuale e da come questo regolamento, seppure
di per sé lecito, è costruito ed opera in concreto. Di conseguenza, l’iniquità non può
considerarsi come clausola generale.
Quindi, sia l’illiceità che l’iniquità comportano la caducazione dell’elemento illecito o iniquo
ma, la differenza è proprio nella concretezza della iniquità e astrattezza dell’illiceità. Questa
tecnica cioè la nullità come conseguenza della iniquità è prevista nel caso di clausole abusive
che determinano uno squilibrio significativo a danno del consumatore, il cd. contraente
debole. Anche in questo caso, però, la loro nullità non è comminata in astratto cioè con
riguardo a qualsiasi contratto ma, in concreto dipendendo dalle condizioni esistenti al
momento della conclusione del contratto o delle altre clausole del contratto.
In realtà secondo la giurisprudenza e dottrina maggioritaria la violazione della equità ex
ART.1375C.C. comporta la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno e non
l’invalidità (nullità).
L’equità ex ART.1374C.C. deve essere intesa comunque non come richiamo a norme
extragiuridiche su cui basare un giudizio libero ed alternativo al giudizio di stretto diritti
(stricti iuris), ma come criterio da applicare in un giudizio di diritto. La decisione va dunque
motivata nel rispetto dei principi costituzionali e comunitari in special modo.
7. LA BUONA FEDE ESECUTIVA:
Secondo la dottrina tedesca, la buona fede esecutiva sarebbe un’ulteriore fonte di
integrazione del contratto occupando il posto dell’equità. Invece, secondo il diritto romano,
che la distacca dall’equità, la buona fede esecutiva è un criterio di valutazione del
comportamento tenuto dalle parti al momento dell’adempimento.
La differenza tra equità e buona fede esiste ed è anche netta:
- EQUITA’: attiene al profilo regolamentare e obbiettivo e si rivolge alla regola come tale;
- BUONA FEDE: attiene al profilo attuativo e comportamentale, e si rivolge ai soggetti che
hanno concorso a porre in essere tale regola, in modo esclusivo o determinato.
Di sicuro però è necessario un nesso tra attuazione del rapporto obbligatorio e principio di
buona fede dal momento che nel dare attuazione al rapporto obbligatorio bisogna rispettare
il principio di buona fede, il quale è essenziale per adeguare, in sede esecutiva, il rapporto
obbligatorio alle circostanze mutevoli dell’attuazione, nel rispetto di ciò che è stato pattuito.
ES: l’abuso del diritto è collegato alla buona fede dal momento che è sanzionata con
l’inammissibilità la domanda del creditore di una somma di denaro da parte del debitore, nel
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caso in cui sia stato egli stesso con il proprio comportamento a determinare indirettamente
l’insolvenza del debitore.
Non è però, contrario a buona fede l’ipotesi in cui il soggetto decida di stipulare rapporti di
lavoro con trattamento retributivo migliore rispetto ad altri all’interno di un’impresa perché
l’ART.1375C.C. opera nell’ambito dei rapporto singoli e non in relazione a comportamenti
esterni.
In base all’ART.1375C.C. si teorizza l’exceptio doli generalis che, oggi si ritiene essere
consistente in un comportamento malizioso e scorretto. Tale exceptio paralizza l’efficacia
dell’atto o giustifica il rigetto della domanda di escussione.
Si ricollega alla buona fede anche il principio secondo cui non si può esercitare il diritto in
contrasto con un precedente comportamento affidante.
La buona fede è dunque un criterio di controllo dell’attività dei contraenti e quindi anche del
creditore, distinguendosi così dalla diligenza che è il criterio per valutare il comportamento
del solo debitore in sede di adempimento.
Dalla buona fede esecutiva nascono doveri ed obblighi di protezione, i quali non sono
integrativi della regola contrattuale perché non la arrochiscono ma, servono solo ad attuarla
correttamente e a preservare la sfera giuridica dei contraenti da fatti lesivi. Spesso, tali
doveri sono previsti dalla legge ma, possono anche considerarsi inseriti di volta in volta a
seconda delle circostanze nei singoli contratti tipici. (ES: obblighi di informazione e di avviso
etc…)
8. ILLICEITA’: ORDINE PUBBLICO E BUON COSTUME:
Secondo quanto disposto dall’ART.1343C.C. la regola contrattuale è illecita se contraria a
norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. L’ordine pubblico ed il buon
costume sono contenuti oggettivamente desumibili, a differenza di quanto accade con
riguardo ad equità e buona fede, dove, invece il margine discrezionale del giudice è piuttosto
ampio. Nel caso in cui il giudice ritenga che una determinata norma sia contraria all’ordine
pubblico ed al buon costume, il giudice seppure sempre obbligato a motivare, non dovrà
esprimere opinioni ma dovrà limitarsi semplicemente ad applicare i principi e le clausole al
riguardo.
Un’altra differenza che esiste tra ordine pubblico, buon costume ed equità è che l’ordine
pubblico e buon costume prescindono dal giudizio concreto, invece l’equità lo presuppone.
- ORDINE PUBBLICO:
La nozione di ordine pubblico compare la prima volta, nel codice Napoleonico. Inizialmente,
esso si configurava come manifestazione della volontà della classe dirigente di assicurare la
stabilità del regime contro ogni attività condotta sul piano giuridico e diretta a porre in
discussione le fondamenta su cui la società si basa. L’ordine pubblico opera come ultima
ratio quando una determinata operazione non è vietata di per sé da specifiche norme
imperativa, ma si presenta in opposizione o è reputata eversiva rispetto alle strutture sociali.
Il pericolo, però, insito in questa definizione tendente a legittimare ogni soluzione politica, ha
condotto la dottrina a ridimensionare l’ampiezza di tale nozione fino ad identificarla
direttamente con le norme imperative o con i principi da essa deducibili. Ma questa soluzione
non è apparsa convincente ed è per questo che si è optato per una soluzione del problema
alla luce dell’ingresso nel nostro ordinamento di una costituzione che indicasse in modo
chiaro le direttive, i principi, i valori da seguire e da difendere. Infatti, la funzione attuale
dell’ordine pubblico non è più politica ma è quella di impedire che i privati possano darsi un
assetto di interessi non conforme a quelle direttive e a veri principi costituzionali.
ES: patto di buona entrata, al pagamento cioè di una somma di denaro, al fine di poter
concludere un contratto di locazione o di lavoro dipendente, patti questi in contrasto con il
diritto all’abitazione costituzionalmente tutelato e con il diritto al lavoro tutelato ex ART.3-
4COST.. Ovviamente è necessario che il contratto non risulti già nullo per violazione di
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ART.1325C.C.: i requisiti del contratto (elementi essenziali del contratto) sono l’accordo
delle parti, la causa, l’oggetto, la forma (quando risulta che è prescritta dalla legge sotto
pena di nullità).
Storicamente, la CAUSA fu inizialmente riferita all’obbligazione, secondo quanto era stabilito
dal Codice Napoleone nel quale il contratto era concepito esclusivamente come fonte
dell’obbligazione: secondo questa concezione era inammissibile concepire una causa del
contratto che non fosse causa dell’obbligazione. La possibilità di stipulare contratti che
avessero come effetto esclusivo l’immediato trasferimento del diritto, senza la nascita di una
obbligazione, era in tal prospettiva (ed è ancora oggi) inconcepibile così, la causa del
contratto finiva sempre per identificarsi solo con lo scopo perseguito dal contraente nel
momento in cui assumeva un certo obbligo: per cui la causa si riferiva non al contratto ma
alla volontà del contraente, assumendo una connotazione soggettiva data dall’utilità
perseguita dal singolo individuo.
Gradualmente si iniziò a superare la concezione soggettiva della causa a favore del dato
oggettivo: si cominciò a sostituire all’obbligazione, la PRESTAZIONE (di derivazione
tedesca), che si prestava maggiormente ad indicare e ricomprendere vicende non
necessariamente obbligatorie, ma immediatamente traslative. L’abbandono del riferimento
all’obbligazione favorì l’abbandono dell’idea soggettivistica della causa a vantaggio della
prospettiva oggettiva della causa incentrata sull’unità del contratto: la causa si
identificava quindi con la funzione stessa cui assolve il contratto dal punto di vista
economico–sociale ed era legata anche ad un’analisi della socialità e del ruolo svolto
dall’autonomia contrattuale. Secondo questa impostazione, la causa sarebbe l’astratta
tipica ragione economico-giuridica del contratto, intesa come strumento di controllo
dell’operare dei singoli soggetti all’interno dell’ordinamento giuridico. Secondo un’altra
prospettiva oggettiva, invece, la causa sarebbe la sintesi degli effetti giuridici essenziali del
contratto.
Il Codice del 1942 ha utilizzato il termine causa come sinonimo di tipo contrattuale, ma
ciò ha determinato notevoli equivoci, al punto che la dottrina del dopoguerra è giunta a
negare la rilevanza della causa come elemento autonomo, sostenendo alcuni autori che
questa finirebbe per confondersi con lo stesso atto di autonomia.
Più fondato è invece il tentativo di recuperare l’impostazione soggettivistica della causa, non
più identificando la causa con lo scopo soggettivo perseguito dai singoli contraenti, bensì
evidenziando la funzione economico–individuale, e quindi l’identificazione tra causa e
tipo. Questa impostazione, pertanto, è l’unica che consente di intendere la causa come
ragione dell’affare(Bianca), ossia come giustificazione dei movimenti dei beni da un
soggetto ad un altro.
2. CAUSA E TIPO:
Il legislatore si è preoccupato di predisporre una regolamentazione uniforme dei contratti,
che nel suo contenuto disciplinare può essere derogabile o inderogabile, a seconda che
l’ordinamento ritenga necessario tutelare taluni aspetti anche contro la volontà dei privati, o
in caso contrario ammetta la possibilità che i contraenti dettino una regola difforme.
I tipi contrattuali sono la continuazione dei tipi di diritto romano, cui si sono aggiunti nuovi
tipi nati dalla pratica commerciale. Il tipo legale, quindi, corrisponde all’id quod plerumque
accidit, ossia ciò che di regola accade. Alla tipicità legale si giunge attraverso la tipicità
sociale, rappresentata dalla tipicità giurisprudenziale, perché è a livello giudiziario che si
manifestano le reali esigenze dei traffici e i reali problemi che il legislatore è tenuto a
risolvere con una disciplina uniforma. Il tipo giurisprudenziale per diventare tipo legale è
necessario che sia reiterato.
Il tipo legale è uno schema regolamentare astratto che rappresenta una operazione
economica ricorrente nella pratica commerciale. Tale norma delinea dunque la nozione
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di contratto, ossia descrive il tipo contrattuale: ciò al fine di verificare se l’operazione privata
rientra o meno in quel tipo contrattuale, o se debba essere ricompresa nell’ambito
dell’atipicità.
Questa attività di confronto tra l’operazione concreta dei contraenti ed il tipo astratto
elaborato dal legislatore, è detta qualificazione, e va condotta oggettivamente e a
prescindere dalla volontà privata: ad esempio, i contraenti non possono pretendere di dar
vita ad una compravendita che non corrisponda allo schema definito dal legislatore.
Definito l’ambito di rilevanza del tipo legale, può dirsi che la causa va identificata con la
funzione economico–sociale del contratto e quindi con il tipo?
Il legislatore sembra aver confuso causa con tipo nel momento in cui, ad esempio, stabilisce
la nullità del contratto per assenza di causa (attraverso il rinvio da parte dell’ART.1418C.C. e
all’ART.1325C.C.): in realtà, in tal caso si tratterebbe non di assenza di causa, quanto
piuttosto di assenza di tipo. Infatti, gli esempi che comunemente vengono fatti per l’assenza
di causa, costituiscono ipotesi di inconfigurabilità del tipo e quindi di impossibilità di
qualificare l’operazione dei contraenti: ES. consenso a titolo oneroso alla cancellazione
dell’ipoteca dopo l’integrale pagamento, qui non si configura il tipo del contratto a prestazioni
corrispettive perchè una parte riceve nulla in più di quanto le spetterebbe per legge, non è
ipotizzabile dunque lo scambio.
I problemi posti dal tipo legale:
- bisogna verificare se la pattuizione risponde in astratto ai requisiti posti da uno degli
schemi tipici, per stabilire la normativa da applicare;
- si dovrà, quindi, verificare se quello schema tipico esiste in concreto
- infine, occorre verificare la presenza o l’assenza dell’accordo: ad esempio, nel caso del
dissenso circa il contenuto tipico del contratto (ES. proposta di acquisto di 3 maiali,
accettazione di vendita di 3 vitelli), il quale riguarda proprio l’inesistenza dello schema
vincolante, nonostante sia astrattamente chiaro quale tipo contrattuale le parti volessero
utilizzare, cioè la compravendita.
Questi problemi, nulla hanno a che vedere con la causa del contratto, che invece riguarda i
concreti interessi dei contraenti.
Quindi causa e tipo non possono identificarsi, in quanto:
- con riguardo al tipo contrattuale rileva lo schema astratto delineato dal legislatore:
l’indagine è essenzialmente astratta e statica; si pone il problema di configurabilità
dell’operazione, per cui si opera un raffronto statico tra lo schema costruito dai privati e
quello disciplinato dal legislatore;
- mentre riguardo alla causa l’indagine è concreta e sempre dinamica, e un problema di
liceità degli interessi perseguiti, quindi si opera un raffronto dinamico tra gli interessi
perseguiti dai privati e gli interessi ritenuti leciti e protetti dall’ordinamento; con la causa si
deve quindi indagare sui concreti risvolti dell’operazione economica nel suo complesso,
comprendendo sia gli aspetti soggettivi che oggettivi, che non rilevano invece ai fini
dell’indagine condotta per schemi o tipi.
3. ILLEICITA’:
Oggi, trova un seguito sempre maggiore sia in Dottrina che in Giurisprudenza la teoria della
causa in concreto, secondo la quale la causa del contratto non coincide con la funzione
economico–sociale che il contratto è astrattamente in grado di perseguire, bensì si identifica
con la funzione pratica che le parti concretamente perseguono attraverso l’accordo
contrattuale.
Coloro che invece identificano la causa con la funzione economico–sociale, cioè con il tipo,
devono negare che si possa porre un problema di liceità della causa in presenza di contratti
tipici (ponendosi riguardo al tipo contrattuale solo un problema di configurabilità) poiché non
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nonostante la liceità astratta del mezzo prescelto. Per cui, non potendosi ammettere che la
causa è illecita, si dirà che la causa si reputa illecita.
Secondo un’altra impostazione, invece, ciò che rileva ai fini della nullità è proprio lo scopo
della complessiva operazione economica, e quindi è ammissibile che un contratto tipico sia
illecito sul piano causale. In questo modo l’ipotesi di frode alla legge rientrerebbe nell’illiceità
della causa, con la quale ha in comune la sanzione della nullità predisposta dell’ordinamento.
10. IL PRINCIPIO DELLA CAUSALITA’ NEGOZIALE. IL PAGAMENTO
TRASLATIVO:
Ai sensi dell’ART.1325C.C., la causa è uno degli elementi essenziali del contratto e come
tale non può mai mancare. Fa eccezione l’ipotesi singolare dei titoli di credito astratti,
dove l’astrattezza è legata alla circolazione del documento o della consegna: si può parlare in
tal caso non di astrazione materiale intesa come irrilevanza della giustificazione causale del
negozio, bensì di astrazione processuale, che opera nel senso di invertire l’onere della
prova in ordine all’esistenza del rapporto sottostante, che giustifica la promessa di
pagamento o la ricognizione del debito.
Il principio di causalità rileva in modo più o meno incisivo a seconda che si tratti di :
- si parla di causa dichiarata, quando le parti stipulano un contratto ad effetti reali avente
ad oggetto un bene immobile: non solo è richiesta la forma scritta, ma si ritiene che il
contratto sia nullo se dal suo contesto non sia desumibile la giustificazione causale
dell’operazione;
- in materia di obbligazioni, invece, si parla di causa presunta: ad esempio si presume la
causa solvendi negli atti esecutivi, in ordine ai quali spetta al solvens la prova contraria in
sede di ripetizione dell’indebito.
- causa simulata: il principio di causalità può facilmente essere aggirato con un accordo
simulatorio che faccia apparire esistente una causa in realtà inesistente. È il caso del
contratto di transazione con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad
una lite già iniziata o prevengono una lite che può sorgere: le reciproche concessioni
possono consistere anche nel trasferimento della proprietà, che trova la sua giustificazione
causale nella composizione della lite; se però, in realtà, la lite non esiste, il trasferimento
risulta senza causa, quindi si parla di causa simulata .Tale transazione potrebbe essere
impugnata in ogni momento da ciascuna delle parti.
La giustificazione della causa si atteggia in modo particolare quando non è desumibile dal
contesto dell’atto ma da elementi esterni: si parla in tal caso di negozio astratto, in cui
appunto la causa esiste ed è rilevante anche se esterna. In realtà piuttosto che astrattezza si
dovrebbe parlare di neutralità della causa, nel senso che l’atto di per sé potrebbe essere
giustificato da una o da altra causa, in specie solvendi o donandi. Ciò accade nell’ipotesi di
pagamento traslativo, che si configura quando il trasferimento di proprietà avviene
solvendi causa, cioè in adempimento di un obbligo preesistente. L’obbligo di dare si risolve
nell’obbligo di porre in essere un atto consensuale e non reale, idoneo a trasferire la
proprietà inter partes: ecco perché tale atto è traslativo è concluso solvendi causa del
precedente obbligo. Si utilizza l’espressione pagamento traslativo in riferimento ad un
adempimento diretto a trasferire il diritto di proprietà di un bene.
In generale, i contraenti possono scindere la fase obbligatoria da quella traslativa, derogando
all’ART.1376C.C. (contratto con effetti reali), quando il trasferimento è senza corrispettivo,
più precisamente quando è esso stesso corrispettivo di una prestazione già ricevuta: Tizio si
obbliga a trasferire gratuitamente la proprietà di un bene a Caio, il quale aveva acquistato un
bene dalla moglie di Tizio pagando un prezzo più alto del suo valore commerciale. In questi
casi vi è scissione tra fase obbligatoria e fase traslativa: dall’atto di trasferimento, infatti,
non si desume la causa in quanto non è interna bensì esterna (causa solvendi). Quindi è
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necessario che dalla dichiarazione attributiva del solvens sia desumibile lo scopo per il quale
si adempie.
Allora è importante distinguere tra negozi fondamentali e negozi di attribuzione
patrimoniale, perché a seconda che la causa sia interna o esterna, c’è un diverso modo di
reagire dei vizi e dell’assenza della causa stessa:
- nei negozi fondamentali, la conseguenza dell’assenza di causa è la nullità dell’atto
(essendo colpita la struttura stessa che è qualificata dalla causa) in quanto interna.
- nei negozi di attribuzione patrimoniale, invece, l’atto di per sé non è strutturalmente
inidoneo a produrre effetti in quanto la causa esiste, anche se esterna ad esso; la validità
dell’atto è subordinata alla presenza dello scopo, (momento soggettivo), il quale è
necessario per individuare la giustificazione causale dell’operazione. La mancata
individuazione dello scopo determina la nullità perché il negozio sarebbe astratto. L’assenza
o l’invalidità o il venir meno del rapporto esterno (c.d. fondamento) incide sul momento della
conservazione degli effetti. In altre parole l’attribuzione sarà indebita e il solvens potrà agire
con l’azione di ripetizione ma non con quella di rivendicazione. Sull’argomento ci sono
opinioni discordanti in dottrina, anche se tale conclusione sembra da accogliere in quanto,
nel caso delle prestazioni isolate, ciò che può difettare non è la causa interna del contratto,
bensì quella esterna dell’attribuzione patrimoniale, la cui mancanza costituisce il presupposto
per l’azione di ripetizione per il pagamento indebito.
La conseguenza di tale impostazione è che l’azione di ripetizione in quanto azione personale
non è esperibile nei confronti dei terzi, che comunque fanno salvo il proprio acquisto.
Nel caso invece del contratto di compravendita, l’illiceità della causa (essendo interna)
comporta invece la nullità, cosicchè il venditore una volta che la nullità viene dichiarata in
giudizio potrà agire con l’azione di ripetizione , ma anche con l’azione reale di rivendica
(esperibile erga omnes).
Talvolta, anche i negozi fondamentali (con causa interna) presentano un collegamento con
un rapporto pregresso, ad essi esterno: si tratta però di un collegamento complesso e non
semplice, nel senso che il rapporto pregresso fa parte della causa del negozio successivo,
che è quindi la risultante delle due operazioni. Ciò avviene ad esempio nelle ipotesi di negozi
estintivi, modificati e risolutivi (novazione). L’assenza del rapporto pregresso o la sua nullità
si ripercuoterà di conseguenza sulla validità del negozio successivo, e non determina la
semplice ripetibilità della prestazione. In questi casi, non si è in presenza di negozi di
attribuzione meramente esecutivi, quanto piuttosto di ipotesi di collegamento negoziale per
volontà di legge.
11. I MOTIVI:
La causa costituisce lo scopo oggettivo concreto e immediato che le parti perseguono
stipulando il contratto; mentre il motivo è l’elemento soggettivo che induce le parti a
concludere il contratto, ossia costituisce uno scopo ulteriore irrilevante.
Es.: lo scopo immediato del mutuo concesso dal casinò al giocatore che perde, è quello
di permettere che questi continui a giocare, mentre il motivo ulteriore è quello, per il
giocatore di recuperare la perdita pregressa, e per il casinò di guadagnare ancora: in tal
caso il contratto avrà una causa illecita, per contrarietà al buon costume, ma il motivo del
gioco è di per sé lecito.
Per la Dottrina che identifica la causa con il tipo contrattuale, è facile distinguere la
causa dal motivo, in quanto tutto ciò che non rientra nella funzione economico – sociale del
contratto è causalmente irrilevante. Quindi si tratterà solo di verificare se il motivo si sia
risolto in una clausola accessoria del contratto, e come tale rilevante, o se sia rimasto del
tutto estraneo allo schema contrattuale, non rilevando ai fini della nullità del contratto, salvo
in caso di illiceità.
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Per coloro che, invece, sostengono la tesi della causa in concreto, i motivi possono
penetrare all’interno dello schema causale, proprio perché la causa va dedotta dalla concreta
operazione economica realizzata dai privati, e caratterizzata sia da circostanze oggettive che
soggettive. Così, il mutuo al giocatore sarebbe lecito se concesso, anziché dal casinò, da un
terzo non giocatore, pur conoscendo questi quale sarà il suo impiego: infatti l’immoralità
deriva dalla posizione soggettiva del mutuante, in quanto interessato alla continuazione del
gioco; quindi l’interesse del casinò, inteso come motivo, rientra nello schema contrattuale
qualificando la causa del contratto.
Diverso discorso si pone nel caso di motivo illecito, il quale rileva ai fini della nullità del
contratto, anche se non entra a far parte della struttura negoziale. È però necessario che il
motivo illecito sia esclusivo, ossia determinante ai fini della contrattazione, comune alle
parti, nel senso che lo stesso abbia spinto entrambe a contrarre, e infine sia attuale e
oggettivamente realizzabile, in quanto l’ordinamento non colpisce il mero intento, per cui
il negozio non sarà nullo in caso di motivo illecito ma non attuale e oggettivamente
irrealizzabile. Inoltre, il motivo illecito è irrilevante ai fini della nullità, quando il contratto sia
in contrasto diretto con una norma imperativa e la legge preveda una sanzione diversa.
12. TIPOLOGIA DEI CONTRATTI:
Nell’ambito del tipo contrattuale, si può fare una classificazione accanto alla distinzione
classica tra contratti tipici e atipici.
1) In relazione al modo in cui le prestazioni si intrecciano, si distingue tra:
- contratti a prestazioni corrispettive: il contratto svolge la funzione di scambio, in
quanto una prestazione è in funzione dell’altra, e il vizio o difetto che colpisce una, ricade di
conseguenza anche sull’altra; si parla in tal caso di prestazioni sinallagmatiche, per cui il
vizio del sinallagma comporta la rescissione o risoluzione del contratto.
- contratti unilaterali: in cui le prestazioni sono a carico di una sola parte, quindi non
sussistendo scambio non si parla di sinallagma; il contratto unilaterale segue una disciplina
speciale non solo riguardo alla conclusione (ART.1333C.C.: proposta irrevocabile una volta
giunta a conoscenza del destinatario; conclusione del contratto in mancanza di rifiuto della
proposta), ma anche relativamente ai vizi funzionali, in particolare per la risoluzione per
eccessiva onerosità (ART.1468C.C.).
- lo scambio non sussiste nemmeno nei contratti associativi o di collaborazione, in cui le
prestazioni non si incrociano bensì mirano a perseguire lo stesso scopo comune ai
contraenti, come nel caso del contratto con cui si costituisce una società o associazione.
Nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, si distingue tra:
- contratti commutativi: sono caratterizzati da un nesso di corrispettività non solo tra le
prestazioni, ma anche tra il loro valore economico, ed hanno la funzione di attuare uno
scambio tra prestazioni economicamente equivalenti (entrambe le parti conoscono l’entità
del vantaggio o svantaggio che riceverà dal contratto).
- contratti aleatori: in cui alla prestazione certa di una parte corrisponde la prestazione
incerta dell’altra (l’incertezza può riguardare sia la prestazione sia la parte contraente); le
parti quindi non sono in grado di prevedere il vantaggio/svantaggio che deriverà dal
contratto. L’elemento del rischio qualifica la stessa operazione economica sul piano della
giustificazione causale. I contratti possono essere aleatori per loro natura (es:
assicurazione) o per volontà delle parti, che possono rendere aleatorio un contratto che tale
non è (es. il caso dell’acquirente che paga un prezzo fisso per la vendita dell’intero futuro
raccolto, che potrà essere più o meno ricco). Qui proprio perché lo scambio non è basato su
un equilibrio predeterminato non sono rilevanti gli squilibri tra le prestazioni sono irrilevanti
pertanto non sarà applicabile la risoluzione per eccessiva onerosità.
2) Sul piano dei vantaggi che si ricavano dalla contrattazione, si distingue tra:
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- contratto a titolo oneroso: in cui i vantaggi sono reciproci al pari dei benefici; non sono
necessariamente a prestazioni corrispettive, nel senso che non sempre sussiste un
sinallagma (es. il caso del mandato in cui la prestazione del mandatario è collegata alla
fiducia, che è alla base del rapporto, e non al compenso: infatti il mandato può anche essere
gratuito).
- contratto a titolo gratuito: in cui il sacrificio è supportato da un solo contraente a
vantaggio dell’altro; in realtà, tale contratto non è privo di utilità per chi sopporta il
sacrificio, in quanto è sorretto da un interesse economico che non si esprime né consegue ad
una prestazione dell’altro contraente. Pertanto occorre distinguere tra gratuità (negozio
gratuito) e liberalità (donazione).
13. NEGOZIO GRATUITO:
Il legislatore ha tipizzato alcuni contratti ad effetti obbligatori gratuiti come il comodato, o
che si presumono gratuiti come il deposito, o contratti che le parti possono configurare
gratuiti come il mutuo, ma sono possibili anche contratti gratuiti atipici. E’ vero poi che tutti
gli atti di liberalità sono gratuiti, non è vero il contrario.
E’ pertanto necessario distinguere il contratto di donazione dal negozio gratuito, il quale è
sempre caratterizzato da un interesse patrimoniale anche mediato di chi si obbliga o
trasferisce, che sia giuridicamente rilevante (es. il caso di un giovane pianista che si
obbliga ad esibirsi gratuitamente per farsi conoscere dal pubblico, qui il ritorno pubblicitario
non costituisce certo una controprestazione idonea a qualificare il contratto come oneroso,
ma esclude certamente il carattere liberale).
Il negozio gratuito può essere, come la donazione, ad effetti reali o ad effetti
obbligatori. In quest’ultimo caso, si tratta di promessa unilaterale interessata, che si
conclude con un negozio unilaterale rifiutabile (ART.1333C.C.), qui è necessario il contratto
solo ove ,nell’esempio del pianista , quest’ultimo voglia vincolare l’impresario ad organizzare
il concerto; mentre nel caso sia ad effetti reali, è necessario il contratto ad esempio nel caso
in cui l’università conceda gratuitamente alla diocesi un diritto di superficie su un terreno,
vincolando il superficiario a costruire la cappella dell’università.
- la donazione, invece, eccetto quella obnuziale, è sempre un contratto, in cui il donatario
accettando espressamente l’attribuzione, ne condivide il carattere liberale e quindi si
sottopone alla disciplina della donazione (es. revoca per indegnità);
- il negozio gratuito si distingue anche dal rapporto di cortesia, in quanto non è ravvisabile
un interesse né patrimoniale né non patrimoniale giuridicamente rilevante di colui che opera
l’attribuzione. Il comportamento di cortesia trova la sua motivazione e giustificazione in
considerazioni di carattere sociale, di per sé irrilevanti.
Non è sempre facile distinguere la gratuità dalla liberalità o dalla cortesia, soprattutto in
presenza di un contratto gratuito tipico. Ad esempio, il comodato può essere:
- di cortesia, nel caso di prestito di un libro ad un amico;
- a titolo gratuito, quando si dà in godimento un bene per risparmiare i costi di
manutenzione, che saranno a carico del comodatario;
- può configurarsi come una donazione indiretta, se il proprietario di una villa al mare,
anziché locarla, la dà in comodato per un’estate al parente.
La qualificazione del negozio come liberalità o gratuità, e la stessa giuridicità del vincolo,
risulta da una valutazione dell’interesse sotteso all’operazione economica, così come
emerge dall’entità dell’attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti, dalla
prospettiva di subire un depauperamento collegato o meno ad un guadagno o risparmio di
spesa, sia pure indiretto.
Il negozio gratuito è a forma libera, salvo quando produce gli effetti previsti
all’ART.1350C.C, per i quali è prevista la forma scritta, come nel caso di costituzione di un
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diritto di superficie.
14. ATTI DI DESTINAZIONE:
Con l’atto di destinazione, un soggetto (definito “conferente”) può sottrarre uno o più beni
immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri appartenenti al suo patrimonio alla garanzia
patrimoniale di cui all’ART.2740C.C., imprimendo su di essi un vincolo di destinazione
funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela riguardanti beneficiari
determinati, a favore dei quali sia tali beni che i loro frutti devono essere impiegati. Il
vincolo non può avere durata superiore a novanta anni. Esso deve risultare da atto avente
forma pubblica e può essere trascritto ai fini dell’opponibilità nei confronti dei terzi. Per la
realizzazione dello scopo può agire, oltre al disponente, anche qualsiasi altro interessato.
La conseguenza dell’apposizione del vincolo è che i beni destinati alla finalità ed i loro frutti
possono essere oggetto di esecuzione per i soli debiti contratti per tale scopo.
- secondo un orientamento minoritario la norma introduce nel nostro ordinamento solo
un particolare tipo di effetto negoziale (quello di destinazione) e non una nuova figura
negoziale
- secondo la dottrina assolutamente prevalente (Bianca), l’ART.2645TERC.C. ha invece
sdoganato nel nostro sistema giuridico la figura generale del negozio di destinazione.
Punto centrale dell’atto di destinazione è il suo scopo, che deve essere volto alla
realizzazione di interessi meritevoli di tutela ex ART.1322C.C..
La norma evidenzia gli interessi riferibili a persone con disabilità, a Pubbliche
Amministrazioni, ed infine genericamente ad altri enti o persone fisiche.
Lo scopo deve essere indicato nell’atto, in quanto inerisce alla causa negoziale. Il
requisito della meritevolezza è richiesto come contropartita del fatto che il vincolo
imposto priva il conferente – per un periodo anche molto lungo – della pienezza delle
facoltà insite nel diritto di proprietà nonché del fatto che i beni in oggetto sono sottratti
alla garanzia generica rappresentata per i creditori del disponente dal suo intero
patrimonio. La meritevolezza degli interessi condiziona la separazione del patrimonio
destinato.
Il requisito della meritevolezza è stato valutato diversamente dalla dottrina che se ne è
occupata:
- secondo la tesi di Gazzoni, che è abbastanza restrittiva, il vincolo si giustifica solo se
viene perseguito un fine di utilità sociale, a carattere superindividuale e socialmente utile,
come per le fondazioni.
Secondo questa ricostruzione, se non viene perseguito un fine di pubblica utilità l’atto è nullo
e non può essere “salvato” dalla trascrizione, i cui effetti si producono solo se il titolo è
valido.
- secondo la tesi opposta, che vanta attualmente il maggior numero di sostenitori, il
requisito della meritevolezza è soddisfatto ogniqualvolta lo scopo perseguito sia lecito,
ovvero non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
- secondo la tesi di De Nova, Gambaro, non è richiesto il perseguimento di fini di utilità
sociale, ma correlativamente – a fronte del sacrificio dei creditori derivante dalla
separazione patrimoniale – non è sufficiente prevedere uno scopo lecito bensì futile: nel
controllo sulla meritevolezza bisogna valutare comparativamente gli interessi che vengono
sacrificati (in primis quelli dei creditori del disponente) e la finalità perseguita.
Gli effetti sull’atto di destinazione del difetto di meritevolezza degli interessi perseguiti,
determina per dottrina dominante la nullità dello stesso per mancanza o insufficienza della
causa.
FORMA: L’ART.2645TERC.C. richiede la redazione in forma pubblica ad substantiam
dell’atto di destinazione non solo per la trascrizione poiché viene omessa la forma della
scrittura privata autenticata, che costituisce altra forma idonea alla trascrizione.
STRUTTURA: L’atto di destinazione richiede:
- un disponente;
–uno o più soggetti beneficiari determinati o determinabili;
–uno o più beni che ne costituiscono l’oggetto;
–una finalità;
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–una durata;
–eventualmente e preferibilmente un soggetto attuatore della finalità (fiduciario).
–è necessario che il beneficiario accetti.
I beni destinati sono gestiti a seconda di quel che le parti prevedano nell’atto, dal
disponente, dal beneficiario o da un terzo mandatario. Si è dunque fuori dallo schema del
trust dove al trustee è trasferita la proprietà da disponente poi da ritrasferire al beneficiario
o ad un terzo, mentre nella destinazione la proprietà resta del disponente. I beni destinati
ovviamente rispondono solo dei debiti funzionali, sorti cioè per la realizzazione della
destinazione.
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1. SOGGETTO E PARTE:
L’ART.1321C.C.: stabilisce che “il contratto è l’accordo tra due o più parti per costituire,
modificare o estinguere un rapporto giuridico”.
PARTI DEL CONTRATTO: autori del regolamento negoziale ed anche i destinatari delle
conseguenze che ne derivano, di regola in via esclusiva. Infatti il contratto, ex ART.1372C.C.
ha forza di legge tra le parti e non produce effetti rispetto ai terzi se non nei casi previsti
dalla legge. Si distingue tra:
- parte in senso formale: autore dell’atto.
- parte in senso sostanziale: destinatario degli effetti.
La parte può inoltre essere: monosoggettiva o plurisoggettiva, cioè formata da più
soggetti ciò che rileva infatti non è l’unicità del soggetto, ma l’unicità dell’interesse. Parte
plurisoggettiva è dunque un centro di interessi.
E’ possibile che la parte sostanziale non coincida con quella formale. La parte formale deve
essere determinata al momento della conclusione dell’accordo, mentre quella sostanziale può
anche essere determinata in un momento successivo alla conclusione dell’accordo.
(ES: rappresentanza in incertam personam cioè quando si compiono atti di gestione di
un patrimonio allo stato privo di titolare come in caso di eredità giacente, o conclusione di
un contratto per conto di chi spetta cioè in favore di un soggetto ancora indeterminato
come nel contratto di assicurazione).
L’identificazione della parte è sempre necessaria nei contratti intuitu personae, là dove la
persona del contraente rileva sotto il profilo delle qualità personali (es. il contratto di
mandato). L’importanza della personalità della prestazione si ravvisa soprattutto nella
intrasmissibilità del rapporto salvo diversa disposizione di legge. Altra caratteristica della
personalità della prestazione è la possibilità di agire per l’annullamento in caso di error in
persona.
Il nome falso con cui si contrae non rileva in nessun caso quindi non impedisce la
conclusione del contratto, perché le parti sono determinate nella loro identità fisica, non
essendo ravvisabile nè divergenza tra voluto e dichiarato, né error in persona che non
riguarda il nome ma le qualità o le capacità del contraente in base alla prestazione dovuta.
Se c’è autorizzazione ad usare il nome altrui, gli effetti si produrranno regolarmente, se
invece c’è l’utilizzo del nome altrui, senza autorizzazione, il contratto non produce effetti per
il soggetto il cui nome è stato usurpato, salvo sua tolleranza, mentre si discute se esso
produca effetti per l’usurpatore.
2.PROPOSTA E ACCETTAZIONE:
L’ART.1321C.C. pone in primo piano l’accordo. Per accordo si intende il c.d. consensus
idem placitum, cioè l’incontro di due atti di volontà, proposta e accettazione. All’accordo
si perviene tramite: trattativa, oppure senza nessuna discussione, perché il contenuto del
contratto è già prefissato. La formazione del consenso può inoltre essere istantanea o
progressiva, a seconda che le parti si impegnino in via preliminare, prima del raggiungimento
di un accordo.
PROPOSTA: La proposta è la predisposizione di un programma negoziale destinato ad un
altro soggetto, l’oblato, il quale può:
- accettare: conclusione del contratto.
- rifiutare: la conclusione del contratto è impedita.
- controproporre: si ha una nuova proposta, fatta pervenire dall’oblato al proponente e si
invertono le loro posizioni.
La proposta e l’accettazione sono manifestate di regola attraverso dichiarazione, scritta o
orale. Solo eccezionalmente la volontà può essere manifestata mediante comportamento
esecutivo. Proposta ed accettazione non sono negozi unilaterali con propria autonomia, ma
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atti prenegoziali, che si fondono dando vita al contratto. Essi da soli non producono effetto
alcuno.
Lo schema tipico è quello della proposta ed accettazione ed è previsto dall’ART.1326C.C.
ma ci sono anche ipotesi di conclusione del contratto ad iniziativa dei terzi.
La proposta è una dichiarazione recettizia e sul piano oggettivo deve essere completa
cioè contenere tutti gli elementi del contratto che si vuole concludere. Sul piano
soggettivo, poi, dal contesto della dichiarazione deve desumersi l’intenzione di volersi
vincolare incondizionatamente a quel dato assetto di interessi. La forma della proposta è
per relationem, ovvero quella del contratto che si andrà a concludere. La posizione del
proponente è più vantaggiosa, potendo revocare la proposta; ovvero, imporre oneri
temporali (es. puoi accettare entro 30 giorni) e formali all’oblato per l’accettazione. Non si
può imporre però all’oblato di non pronunciarsi prima di un certo termine. Un termine iniziale
può dunque essere apposto al contratto ma non alla proposta.
ACCETTAZIONE: L’accettazione è l’atto di adesione al programma e deve essere conforme
alla proposta sul piano sostanziale e non formale, un’accettazione non conforme equivale
come una nuova proposta (ART.1326C.C.). L’accetazione deve essere anche definitiva. Tale
non è ad esempio se l’oblato accetta per telegrafo con la clausola segue lettera perché la
lettera può contenere anche riserve o condizioni limitative.
Ove nella proposta sia richiesta una particolare forma dell'accettazione ad substantiam,
questa non ha effetto se è fatta in una forma diversa. Sempre sotto il profilo formale, ove il
contratto richieda una determinata forma, proposta e accettazione dovranno rivestire la
medesima forma.
La forma della accettazione può anche essere libera, esempio nella vendita mobiliare può
anche accettarsi oralmente una proposta per iscritto.
Si discute se il silenzio di una parte di fronte ad una proposta abbia valore positivo o
negativo. Generalmente il silenzio non ha nessun valore giuridico. Si ritiene, però, che il
silenzio valga come accettazione della proposta, quando sia accompagnato da particolari
circostanze, oggettive e soggettive, che portino ad escludere una volontà diversa
dall’accettazione della proposta (c.d. silenzio circostanziato). La dottrina sostiene che il
silenzio esprime una positiva volontà negoziale quando la legge, il contratto o la
consuetudine impone alla parte il dovere di parlare nel caso in cui voglia esprimere una
volontà diversa da quella dell’accettazione della proposta.
L’accettazione deve giungere al proponente, entro il termine da lui stabilito, altrimenti entro
il termine normalmente necessario in base alla natura dell’affare o secondo gli usi perché
non è lecito vincolarsi a tempo indeterminato.
L’accettazione se tempestiva cioè se giunge entro il termine determina la conclusione del
contratto.
Nel caso il proponente riceva una accettazione tardiva potrà ritenerla irrilevante, ma potrà
anche ritenerla efficace, in entrambi i casi però deve darne immediato avviso all’accettante,
anche se per motivi diversi.
Se accetta perché lo impone la legge, questo è un onere il cui mancato adempimento
impedisce la conclusione del contratto, tale onere si considera adempiuto con la semplice
spedizione dell’avviso a prescindere dalla ricezione
Se invece non accetta perché sussiste un obbligo di informazione derivante dall’obbligo di
buona fede.
La dichiarazione di rifiuto da parte dell’oblato impedisce una successiva accettazione facendo
venire meno l’efficacia della proposta pur a prescindere da una sua revoca.
Proposta e accettazione si caducano nel caso in cui il proponente o l’oblato muoiano o
diventino legalmente incapaci prima della conclusione del contratto, salvo che esse siano
state fatte dall’imprenditore nell’esercizio della sua impresa e purché non si tratti di piccoli
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imprenditori o che diversamente non risulti dalla natura dell’affare o da altre circostanze
(ART.1330C.C.).
Di regola, i contratti si perfezionano nel momento in cui si forma l’accordo tra le parti
(principio consensualistico: sono dichiarazioni recettizie proposta ed accettazione),
cioè quando chi ha fatto la proposta viene a conoscenza della accettazione dell’altra parte.
Dunque quando le parti non si trovano nello stesso luogo, l’accordo si raggiunge nel
momento in cui la parte che ha fatto la proposta viene a conoscenza dell’accettazione.
L’ART1335C.C., in considerazione della difficoltà di provare l’effettiva conoscenza, il
legislatore ha previsto una presunzione legale di conoscenza, in base alla quale,
l’accettazione si reputa conosciuta nel momento in cui perviene all’indirizzo del destinatario,
a meno che quest’ultimo non dimostri di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di
averne notizia (superamento della presunzione iuris tantum). Tale presunzione vige anche
per la proposta, per la sua revoca e per ogni altra dichiarazione recettizia.
Vige dunque il principio della cognizione. Ma la conoscenza non può essere valutata in
termini soggettivi cioè con riguardo alle condizione del destinatario altrimenti ad esempio il
fatto che sia in vacanza all’estero impedirebbe alla dichiarazione di produrre i propri effetti.
In realtà la dichiarazione è efficace quando entra in termini oggettivi nella sfera di
conoscibilità del destinatario, quando cioè egli è posto nelle condizioni di conoscerla, cosicché
la presunzione è vinta solo da un evento eccezionale ed estraneo alla sua volontà come la
dichiarazione pervenuta in modo irregolare ad esempio consegnata dal postino al figlio di 5
anni in un giorno festivo.
In realtà una attenta dottrina (Sacco) ha messo in evidenza come sia la teoria della
ricezione personale sia la teoria oggettiva non hanno molto senso quando il contratto si
conclude tra persone presenti:
- ES.1: se il destinatario della dichiarazione è sordo non sembra di certo sostenibile che tale
circostanza è irrilevante inquinato è una sua condizione soggettiva.
- ES.2: non può di certo ritenersi concluso un contratto solo perché chi intende accettare
una proposta entra nell’ufficio del proponente in sua assenza e manifesta la volontà parlando
con il muro.
In effetti la regola dell’ART.1335C.C. vale solo per le dichiarazioni incorporate in un
documento, e solo se le dichiarazioni sono scambiate tra persone lontane. Resta comunque il
dubbio di quale sia la sorte delle dichiarazioni se le parti stanno al telefono (in tal caso
l’annullamento della distanza è solo dal punto di vista temporale e non spaziale). Ma
soprattutto se non opera la presunzione ex ART.1335C.C. sarebbe inefficace la dichiarazione
fatta a chi allontana un attimo dall’orecchio il telefono o comunque è distratto.
Si è concluso dunque che la presunzione legale, secondo tale dottrina, con cui Gazzoni
concorda, opera ogni qual volta deve essere tutelata l’aspettativa del dichiarante. Tale
aspettativa non c’è e dunque non opera la presunzione quindi quando il dichiarante sia a
conoscenza del fatto che la dichiarazione sebbene pervenuta non sia stata conosciuta dal
destinatario per circostanze incolpevoli. Al contrario c’è l’aspettativa dunque opera tale
presunzione nel caso in qui il destinatario rifiuti di ricevere la dichiarazione.
Il luogo della conclusione del contratto è quello in cui si trova il proponente. Da questo
punto di vista assume importanza decisiva il c.d. indirizzo del destinatario, che è il luogo in
cui inviare la dichiarazione da parte del proponente (ART.1335C.C.). Tale luogo può essere
concordato tra le parti, fissato dallo stesso proponente, oppure in mancanza può essere
scelto dal dichiarante purchè in modo non arbitrario. Pertanto può valere come indirizzo ad
es. il domicilio o la residenza della persona fisica.
REVOCA: ART1328C.C.:
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La revoca è un atto non formale e nemmeno per relationem, cioè non deve rivestire la
forma della proposta e della accettazione. L’ART1328C.C. pone regole diverse tra proposta
ed accettazione:
- la proposta può essere revocata fino a che il contratto non sia concluso, cioè deve essere
inviata la revoca prima che l’accettazione giunga al proponente. La revoca è un atto
indirizzato ma non recettizio.
- la revoca della accettazione deve giungere al proponente prima della accettazione
stessa. La revoca parziale dell’accettazione vale come controproposta. La revocda deve
essere espressa.
È previsto in ogni caso che, sebbene la revoca della proposta avvenga prima della
conclusione del contratto, qualora l’accettante abbia intrapreso l’esecuzione del contratto
prima che la revoca gli venga trasmessa e non ne sia venuto altrimenti a conoscenza (buona
fede), il proponente sarà tenuto a rimborsarlo delle spese e delle perdite subite per l’iniziata
esecuzione. Questa è una responsabilità per atto lecito, ed infatti il legislatore parla di
indennità e non di risarcimento del danno. Sono risarcibili sole le spese e le perdite
verificatesi dopo il momento in cui l’accettante poteva ragionevolmente ritenere concluso il
contratto.
La proposta può essere revocata in corso di trattative e in presenza di un affidamento, il
revocante deve però rispondere di responsabilità precontrattuale quando cioè l’oblato, pur
non avendo ancora intrapreso l’esecuzione del contratto, aveva ragionevolmente fatto
affidamento sulla conclusione dello stesso. Eccezioni alla revocabilità della proposta sono: la
proposta irrevocabile, l’opzione, la proposta con obbligazioni del solo proponente.
Parte della dottrina a cui si accoda anche Gazzoni sostiene che la revoca della proposta non
ha carattere recettizio, per cui si applica la regola della spedizione, in base alla quale si
reputa sufficiente che la revoca della proposta venga inviata all’accettante (e non
necessariamente ricevuta) prima della conclusione del contratto. In ogni caso, il proponente
ha l’onere di comunicare direttamente la revoca all’oblato, cioè di curare, con diligenza, la
spedizione di una dichiarazione. La diligenza andrà misurata in relazione ai mezzi idonei
secondo le consuetudini.
La revoca della revoca è ammessa nel casi di accettazione, trattandosi di un atto
recettizio.
Mentre nel caso della proposta dipende dalla soluzione che si sceglie: se la revoca si
considera un atto indirizzato non recettizio, essa produce effetti immediati, a prescindere
dall’effettiva recezione, quindi non potrà essere revocata, nel caso contrario sarà possibile.
3.PROPOSTA IRREVOCABILE:
L’ART.1329C.C. prevede che se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta
per un certo tempo, la revoca è senza effetto, cioè il proponente perde il potere di revoca. In
caso di proposta irrevocabile la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie
efficacia alla proposta, salvo altre circostanze non escludano tale efficacia.
In DOTTRINA sono stata elaborate due teorie riguardanti la struttura della proposta
irrevocabile:
- Teoria dualistica o atomistica: secondo tale teoria la figura di cui all’ART.1329C.C. può
essere sezionata, perché fusione di due atti, proposta semplice e dichiarazione di rinuncia al
potere di revoca da parte del proponente.
- Teoria unitaria: un negozio unitario dalle caratteristiche peculiari che lo distinguono dalla
proposta semplice, al punto tale che, mentre la proposta semplice è atto prenegoziale, la
proposta irrevocabile sarebbe negozio giuridico unilaterale di per sé capace di produrre
effetti.
Gazzoni preferisce la teoria unitaria perché l’altra ha difficoltà a spiegare come mai alla
morte o sopravvenuta incapacità non consegue il decadimento della proposta irrevocabile,
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poichè la proposta ex ART.1326C.C. non può sopravvivere alla morte o alla incapacità
sopravvenuta del proponente.
Il nodo centrale della disciplina della proposta irrevocabile riguarda il termine. Ci si chiede
infatti che cosa accade se il proponente non lo fissa:
- un tempo la giurisprudenza riteneva potesse essere applicato l’ART.1183C.C. (che
riguarda il termine di adempimento), ma il richiamo è erroneo perché questa norma intende
risolvere un problema di esecuzione della prestazione che presuppone una obbligazione già
in vita da eseguire, che ovviamente nella proposta irrevocabile una obbligazione da adempire
non è ancora venuta in vita.
- secondo altra impostazione non sarebbe invece mai necessario il termine, poiché dovrebbe
direttamente applicarsi l’ART.1326C.C., cioè in mancanza di determinazione del termine da
parte del proponente, questo viene fissato in base alla natura dell’affare o dagli usi. In tal
modo si confonde però il termine di efficacia e termine di irrevocabilità della proposta. Che
anche se di regola il proponente non li distingue, non per questo sono la stessa cosa.
Il termine di irrevocabilità: entro tale termine la proposta non può essere revocata .
Il termine di efficacia: alla scadenza di tale termine viene meno la proposta.
Il termine previsto dall’ART.1329C.C. è il termine di irrevocabilità che deve essere
necessariamente fissato dal proponente, mentre quello di efficacia in mancanza è fissato
dall’ART.1326C.C.
Cosa accade se le parti non hanno stabilito un termine?
- per la teoria unitaria, se il proponente non fissa un termine, il negozio unilaterale
dovrebbe considerarsi nullo, poiché manca uno dei suoi elementi essenziali, salvo convertirsi
in proposta semplice con fissazione del termine semplice (ex ART.1326C.C.)
- Per la teoria dualistica (della doppia dichiarazione) si ritiene che il termine di
irrevocabilità riguarda la dichiarazione di rinunzia al potere di revoca, quindi se il proponente
non fissa il termine la rinunzia è nulla e la proposta potrà essere revocata.
Cosa accede se scade il termine? Ipotizziamo una proposta di vendita della villa a Capri e
decido di mantenere ferma la proposta fino al 31/12/2009, l’accettazione arriva il 1/1/2010:
il contratto è concluso?
- secondo la teoria unitaria l’unico termine sarà sia termine di efficacia che di irrevocabilità
e quindi, scaduto tale termine, la proposta perderà effetto.
- secondo la teoria dualistica non è detto, poiché sarebbe astrattamente possibile
ipotizzare due diversi termini: termine di efficacia, termine entro il quale la proposta può
essere accettata e termine di irrevocabilità, termine entro il quale il proponente si
impegna a non revocare.
4. OFFERTA AL PUBBLICO:
È una proposta contrattuale che si caratterizza per il fatto di essere rivolta ad una
generalità di destinatari. Ovviamente l’offerta la pubblico deve contenere tutti gli elementi
essenziali del contratto a cui la proposta si riferisce.
Questa non va confusa con la promessa al pubblico, con la quale ha in comune solo
l’indeterminatezza del destinatario:
- offerta: si ha riguardo a comportamenti negoziabili, cioè a prestazioni in senso tecnico; in
più il vincolo è successivo ad un atto di accettazione.
- promessa: è un negozio unilaterale, quindi l’obbligazione nasce ed è vincolante non
appena è portata a conoscenza del pubblico (ART.1989C.C.).
L’offerta deve anche essere distinta dall’invito ad offrire (ART.1336C.C.), il quale è
contenuto nei prezzari, nei listini ed in generale nei materiali pubblicitari; questo non è un
atto giuridico rilevante, ma solo un atto lecito, nei limiti in cui non divenga un atto di
concorrenza sleale o non violi i diritti della personalità, soprattutto il diritto di immagine o di
reputazione. Si tratta di notizie portate all’attenzione del pubblico senza vincolo per le parti e
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senza possibilità di un’accettazione. Chi risponde all’invito, non accetta, bensì propone la
conclusione di un contratto.
L’offerta, a differenza dell’invito, deve contenere gli elementi necessari per la conclusione del
contratto (deve essere completa).
Si ritiene che il bando di concorso per l’assunzione di lavoro sia offerta e non promessa,
però. Se chi bandisce si riserva insindacabilmente l’assunzione si ha invito.
È invito, secondo un giurista, l’esposizione di merci in vetrina, perché il negoziante è libero di
decidere a chi vendere. In realtà questo è un classico caso di offerta al pubblico, perché il
rilascio della licenza si accompagna all’obbligo a contrarre.
In caso di offerta al pubblico, qualora sopravvenga un numero esuberante di accettazioni,
si applica il criterio temporale. Se c’è contemporaneità, se non c’è una riserva in sede di
offerta, non è possibile attribuire all’offerente il potere di scelta, quindi, o ci si orienta verso
l’attribuzione pro-quota, in ipotesi di divisibilità (es. titoli di Stato), o si ipotizza la
costruzione di un diritto comune.
La stessa forma di pubblicità prevista per l’offerta è richiesta per la sua revoca, la quale, ove
è assolto quest’onere di pubblicità, è efficace anche nei confronti di chi non ne abbia avuto
notizia (è una forma per relationem).
Secondo una parte della giurisprudenza, la prenotazione di una stanza d’albergo vale come
accettazione di un’offerta al pubblico e concluderebbe il contratto alberghiero. In realtà, la
prenotazione, se accordata, crea un vincolo unilaterale per l’albergatore, contrattuale
(opzione o preliminare unilaterale) o precontrattuale (proposta irrevocabile) a seconda dei
punti di vista. Se il cliente paga la somma al momento della prenotazione questa può valere
come:
- caparra, confirmatoria o penitenziale, se consideriamo la prenotazione come vincolo
unilaterale precontrattule .
- corrispettivo dell’opzione, eventualmente da imputare a prezzo o come parziale
anticipazione del prezzo, se consideriamo la prenotazione come vincolo precontrattuale.
5.CONTRATTO PLURILATERALE:
Qualora le parti del contratto siano più di due, il contratto si qualifica plurilaterale e si
conclude con l’incontro dei consensi di tutte le parti interessate (ART.1420C.C.). Qualora
l’interesse sia riferibile a due soli contraenti, che prevedano che terzi si aggiungano a uno di
essi, non si avrà contratto plurilaterale, perché l’intervento del terzo varrà come
cooperazione all’adempimento. Esso si configura quando è ravvisabile una pluralità di
interessi diversi e contrapposti che confluiscono verso il conseguimento di uno scopo comune
(es. contratti associativi. Esempio tipo contratto di costituzione di una società).
Altri ritengono che questo contratto sussiste anche quando non sia ravvisabile uno scopo
comune, come nel caso di un contratto di divisione, al quale non si può applicare
l’ART.1332C.C., o quando è la legge a fissare il numero dei contraenti, come nel caso di
cessione del contratto (ART.1406C.C.).
Il problema è di stabilire quali regole del bilaterale si applicano al plurilaterale. Non si può
ritenere che il contratto si perfezioni solo quando tutte le parti hanno manifestato la loro
volontà, perché talvolta solo la loro partecipazione è condizionante per la nascita del
contratto.
Quando si tratta di contratti in cui non c’è uno scopo comune è indispensabile la
partecipazione di tutti gli interessati, i quali devono manifestare la conforme volontà (Es. nel
contratto di divisione, qui per procedere alla divisione convenzionale è necessaria la
partecipazione di tutti i comunisti).
Nei contratti con unicità di scopo, invece, è possibile che si pervenga alla conclusione
anche se una di esse resti esclusa, anche avendo partecipato alle trattative. (Es. nei contratti
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associativi è possibile che si pervenga alla conclusione pur se ne resta esclusa una parte che
aveva partecipato alle trattative.).
Bisogna stabilire:
- se l’accettazione di ogni parte deve essere portata a conoscenza delle altre
- se chi ha accettato è in qualche modo già vincolato ed eventualmente entro quali limiti,
prima che il contratto si perfezioni con l’accettazione di tutte le altre parti, la cui
partecipazione è essenziale.
La revoca è possibile se perviene al proponente prima dell’accettazione ex ART.1328C.C.
, ma il punto è accertare se la revoca può pervenire al proponente fino al momento della
conclusione del contratto (che si verifica quando gli oblati la cui partecipazione è essenziale
hanno a loro volta comunicato al proponente la loro accettazione). La risposta è negativa
perchè il potere di revoca non può dilatarsi temporalmente fino ad occupare lo spazio
deliberandi degli altri oblati, una volta consumato il proprio con la spedizione e recezione
della accettazione.
La proposta deve essere indirizzata agli interessati con la precisa indicazione di tutti gli
oblati e ciascuno di essi, a loro volta, deve indirizzare l’accettazione non solo al proponente,
ma anche agli altri oblati.
L’unico dubbio riguarda la possibilità che l’accettazione non sia notificata personalmente
dall’interessato, ma sia portata a conoscenza degli altri oblati da uno di questi, a cui è stata
indirizzata l’accettazione. Secondo la dottrina, in questo caso, il contratto ugualmente si
perfeziona, perché si deve distinguere tra indirizzamento e recezione.
L’irrevocabilità dell’accettazione, anche prima della conclusione del contratto, vale anche
per la proposta, con la conseguenza che proponente ed oblato, che hanno accettato,
potrebbero revocare solo raggiungendo un accordo tra di loro per poi notificarlo agli altri
oblati.
Se, invece, si ritiene che la proposta sia revocabile fino a quando non giunga l’ultima
accettazione, la revoca impedirà la conclusione del contratto, se è fatta da una parte la cui
partecipazione era essenziale. Se la proposta è revocata solo nei confronti di un oblato, la cui
partecipazione era essenziale, il contratto non si concluderà, ma se la sua partecipazione non
era essenziale, la revoca non impedisca la conclusione del contratto. Ai sensi
dell’ART.1328C.C., il proponente dovrà indennizzare gli oblati che hanno già iniziato
l’esecuzione, per le spese sostenute e le perdite subite.
Queste regole valgono anche in caso di dichiarazioni plurisoggettive, qualora esse
provengano dai singoli soggetti che formano la stessa parte. Per la proposta e l’accettazione,
tutti i soggetti devono esprimere una volontà conforme, perché la partecipazione di ognuno è
essenziale. Anche la revoca opererà solo se tutti i soggetti manifestano una volontà
conforme in tal senso.
6. IL CONTRATTO APERTO:
Se ad un contratto possono aderire altre parti e non sono determinate le modalità
dell’adesione, l’adesione deve essere diretta all’organo che è stato costituito per l’attuazione
del contratto o, in mancanza, a tutti i contraenti originari (Art. 1332C.C.).Questi sono i c.d.
contratti aperti a cui appartengono i contratti associativi. Non è possibile concludere in tal
modo i contratti di scambio, perché il contratto aperto riguarda i contratti plurilaterali in cui
le parti perseguono uno scopo comune.
Con l’adesione, una nuova parte aderisce ad un contratto già nato. La clausola di adesione è
dunque apposta ad un contratto già plurilaterale o inizialmente bilaterale ma che diviene
plurilaterale inseguito alla adesione senza la necessità di formare un nuovo contratto.
La clausola di adesione è tipica dei contratti con comunione di scopo, dove le parti del
contratto perseguono un interesse comune.
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riguardo. Si sostiene così la nascita di obblighi ricollegati al contratto sociale e dunque non
condizionati dal consenso.
Non si comprende però come un soggetto potrebbe essere maggiormente garantito da un
obbligo che nasce da un comportamento socialmente tipizzato piuttosto che da un accordo.
La verità è che la rilevanza dell’intuizione del contratto sociale si è apprezzato nel momento
in cui si è liberata dai condizionamenti ideologici e si e collegata a quei rapporti che
quotidianamente si instaurano seguendo uno schema spersonalizzato che non è quello
tradizionale di proposta ed accettazione precedute da trattative. (Es. distributore automatico
di sigarette o bibite)
- contratto nullo di lavoro: in base all’ART.2126C.C., la nullità del contratto non produce
effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi da
illiceità dell’oggetto o della causa.
-società di persone invalida: qui si può palare di parziale fattispecie societaria, ove sia stata
fatta realmente l’attività societaria.
In queste ipotesi si è in presenza di uno scambio di dichiarazioni (giuridicamente invalido)
ma socialmente rilevante. Può anche però crearsi un rapporto che determina effetti
corrispondenti a quelli contrattuali, pur in assenza di un accordo, con conseguente
svalutazione dello strumento contrattuale.
Pure chi segue la dottrina contrattualistica, avverte che, rispetto alla disciplina generale,
ci sono delle eccezioni in relazione ai rapporti contrattuali di fatto. Ad es. il requisito della
capacità di agire non è ritenuto indispensabile e quello della volontarietà è sostituito
dall’effettiva e consapevole esecuzione.
Secondo un’altra dottrina definita da Gazzoni stravagante, l’accordo è solo l’esito di un
dialogo linguistico, quindi di trattative, quindi, nelle vendite ad es. nei grandi magazzini
l’accordo è costituito da una coppia di atti unilaterali distinti e distanti, che non si fondono,
ma si trovano nell’identità della merce, che li combina e ne fa una decisione di scambio.
Quindi sarà necessaria solo la capacità naturale.
9.CONTRATTO CON OBBLIGAZIONI DEL SOLO PROPONENTE:
Il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente è disciplinato
dall'ART.1333C.C. che stabilisce che:
"la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il
proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata. Il
destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi.
In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso".
L’accettazione si identifica qui con un mero comportamento di astensione ciò è una
eccezione alla regola secondo cui l’accettazione si ricollega sempre ad un comportamento
positivo.
Si discute se sia un negozio unilaterale o un contratto a formazione atipica. Il contrasto di
opinioni riguarda soprattutto un elemento cioè se sia necessario il consenso ogni volta che si
modifica l’altrui sfera giuridica.
Da questo punto di vista va tenuto conto del fatto che esistono negozi unilaterali che
producono una modifica dell’altrui sfera a prescindere dal consenso. (es. donazione obnuziale
che si perfeziona senza la necessità di accettazione o l’abbandono del fondo servente). Più in
generale è il contratto a favore di terzo che dimostra tale possibilità. Ciò dimostra che il
principio della relatività e del valore inter partes della regola negoziale è dunque un principio
non assoluto ma relativo, nel senso che il legislatore può derogarvi.
Questa fattispecie si situa a metà strada tra il contratto bilaterale ed il negozio giuridico
unilaterale; infatti esso è definito negozio unilaterale a rilievo bilaterale.
L’ART.1333C.C. prevede un potere di rifiutare la proposta per il destinatario, che tuttavia non
avrebbe alcun senso se la proposta fosse una comune proposta contrattuale perché nessun
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effetto si sarebbe ancora prodotto. Si può infatti rifiutare solo una situazione che ha già
prodotto i suoi effetti. In tale ottica bisogna distinguere tra:
- rinunzia: è un negozio unilaterale che produce effetto abdicativo. La rinunzia di un diritto
reale su cosa altrui non incrementa l’altrui patrimonio, ma solo depaupera quello del
rinunziante.
Ad es. se si rinunzia ad un bene mobile cioè vi è una (derelictio) ossia bene abbandonato il
terzo lo acquista a titolo originario invece se è un bene immobile questo viene acquisito ex
lege dallo Stato.
- rifiuto: non consuma il diritto, che ritorna nel patrimonio del dichiarante o perviene nel
patrimonio di un terzo. In ogni caso, deve distinguersi tra due tipi di rifiuto:
impeditivo: il soggetto impedisce un acquisto al proprio patrimonio (es. rinuncia
all’eredità);
eliminativo :il soggetto rimuove con effetto retroattivo effetti che si sono già prodotti, ma
non si sono ancora stabilizzati (es. rinunzia al legato).
L’effetto tipico del rifiuto è quello eliminativo, che presuppone una situazione già operante.
In tale ottica, secondo alcuni tra cui Gazzoni, nel contratto con obbligazioni a carico del solo
proponente, gli effetti della proposta si sono già prodotti altrimenti non potrebbe esserci
rifiuto e dunque la proposta è un negozio unilaterale recettizio e perciò pienamente efficace
non appena giunto a conoscenza dell’oblato e per questo irrevocabile .
Secondo altri, il mancato rifiuto è un’accettazione presunta o tacita. E che lo schema
proposta accettazione non è l’unico possibile ed in tal caso si sarebbe in presenza di un
contratto a formazione unilaterale, cioè frutto della volontà di un solo soggetto, tesi
discutibile, perché, in questo modo (con formazione unilaterale), si approda al negozio
unilaterale.
Secondo altra tesi, il comportamento omissivo non è dichiarazione tacita, ma un
comportamento con valore e un significato legalmente tipico, cioè è la legge ad attribuirgli
valore di accettazione. Ciò però errato poichè non ci sono norme che lo prevedono.
Da queste contrapposte posizioni derivano conseguenze diverse relative al momento in cui si
producono gli effetti della proposta:
- negozio unilaterale: si avranno nel momento in cui l’oblato ne viene a conoscenza.
- contratto: dopo che è decorso il tempo utile all’esercizio del potere di rifiuto.
Altra conseguenza riguarda il comportamento omissivo, bisogna fare una distinzione:
- se viene valutato come un’accettazione, allora saranno applicabili le regole sulla capacità,
sui vizi del consenso, sulla rilevanza dell’intento, con possibile protestatio.
- se si considera come negozio unilaterale, la non intenzionalità del contegno(silenzio) da
parte dell’oblato non si sostanzia in un mancato rifiuto, ma non vale nemmeno come
accettazione, esso non ha nessun valore, restando irrilevante la volontarietà o meno di
tale. Senonchè è corretto ritenere che in caso di violenza o dolo ai danni dell’oblato, il
termine per rifiutare decorre dal momento in cui la violenza è cessata o i raggiri sono stati
scoperti. Naturalmente i vizi della volontà sono sempre rilevanti.
Altra conseguenza è sul piano della forma.
La ricostruzione della fattispecie di cui all'ART1333C.C. in termini di contratto o in termini di
negozio unilaterale ha conseguenze anche in ordine ai requisiti formali in quanto, ove il
contratto richieda particolari requisiti di forma, nessun problema sussiste ove si ricostruisca
la fattispecie in termini di negozio unilaterale a rilievo bilaterale mentre più problematica
risulta l'ammissibilità di questa forma di perfezionamento del contratto ove il
contegno(silenzio) dell'oblato sia interpretato come un'accettazione presunta o implicita.
10. CONTRATTI CONSENSUALI E REALI:
Il contratto è di regola consensuale cioè il mero accordo è atto a produrre gli effetti voluti
dalle parti.
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Il contratto reale può essere sia ad effetti obbligatori (il comodato, il deposito) sia ad
effetti reali (il pegno, il contratto di riporto, il mutuo).
Il senso della consegna in tale fattispecie si ritrova nella particolare rilevanza sul piano
sociale della datio con conseguente spossessamento, nonché nella particolare funzione che
ad essa può ricollegarsi.
EFFICACIA REALE E OBBLIGATORIA:
- CONTRATTI A EFFETTI REALI (CONTRATTI A EFFICACIA REALE)(CONTRATTI
TRASLATIVI): sono i contratti aventi per oggetto la costituzione o la trasmissione di un diritto
reale (es. compravendita, riporto)
- CONTRATTI A EFFETTI OBBLIGATORI: sono i contratti che pongono a carico delle parti
l’obbligo di eseguire una prestazione (es. mandato).
11. AUTONOMIA PRIVATA:
I contraenti non possono configurare come reale un contratto consensuale. In tal caso si
violerebbe il principio della sufficienza del consenso, principio derogabile solo da norme di
legge. Dunque l’effetto traslativo che consegue al semplice accordo nella compravendita, non
può essere ricollegato dai contraenti alla consegna della cosa.
Viceversa non si basa su norma inderogabile il principio del consenso traslativo
(ART.1376C.C.). In tal caso c’è la possibilità di far precedere il trasferimento da un accordo,
ritornando alla scissione romana tra titolus e modus adquirendi.
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Taluni ritengono che i privati abbiano il potere di raggiungere un accordo sul modo in cui
dovrebbero concludersi tra di loro, gli eventuali futuri contratti, fermo restando la libertà di
contrarre. Si parla al riguardo di contratti o accordi configurativi.
12. CONTRATTO A DISTANZA:
Molto spesso il procedimento di conclusione del contratto tra un professionista ed un
consumatore può iniziare con tecniche di comunicazione a distanza. Gli
ART.50SS.D.LGS.05/2006 hanno disciplinato la materia con norme inderogabili,
attribuendo al consumatore alcuni diritti, tra i quali:
- il diritto di ricevere dal fornitore in tempo utile e per iscritto complete informazioni sui
termini soggettivi ed oggettivi del contratto prima della sua conclusione.
- diritto di recesso con comunicazione scritta entro 10 giorni, variamente decorrenti e salvo
talune eccezioni.
- esecuzione del contratto entro 30 giorni successivi a quello in cui il consumatore ha
trasmesso l’ordine al fornitore, salvo indisponibilità del bene o servizi richiesto,
tempestivamente comunicata.
- divieto di fornitura di beni o servizi al consumatore in mancanza di sua previa ordinazione,
qualora la fornitura comporti un pagamento.
Questa disciplina non si applica ad alcuni contratti quali ad es.:
- quelli relativi a servizi finanziari
- quelli conclusi tramite distributori automatici
- quelli conclusi con operatori delle telecomunicazioni, impiegando telefoni pubblici
- quelli relativi alla costituzione o alla vendita o altri diritti relativi a beni immobili, con
esclusione della locazione
- quelli conclusi in occasione di vendita all’asta.
Il consumatore può liberamente recedere, secondo modalità speciali, garanzie, in caso di
vendita tramite televisione o altri mezzi audiovisivi. Per il commercio elettronico, salvo per i
contratti conclusi solo mediante lo scambio di messaggi di posta elettronica, il prestatore del
servizio deve fornire alcune informazioni e mettere a disposizione le clausole e le condizioni
generali del contratto proposte, in modo che sia consentita la loro memorizzazione e la
riproduzione dal parte del destinatario, il quale inoltra il proprio ordine per via telematica e il
prestatore deve accusarne ricevuta, riepilogando i termini del contratto.
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In questi casi sembra, dunque, preferibile, più che richiedere la pronuncia di una sentenza
costitutiva, chiedere la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, con la
condanna dell’inadempiente al risarcimento del danno.
Precedentemente si sosteneva che la sentenza non potesse modificare il preliminare,
recentemente c’è stata un’inversione dell’orientamento. Si ritiene ad es. che il preliminare
di vendita con riserva di usufrutto se, nelle more della stipula del definitivo, il promittente
venditore muore, il promittente acquirente della nuda proprietà, se gli eredi si rifiutino di
concludere il definitivo di vendita della piena proprietà, può ottenere una sentenza costitutiva
con automatica variante, rispetto al preliminare, che comporti la riunione dell’usufrutto e
della nuda proprietà.
La morte, però, deve intervenire dopo la scadenza del termine, perché solo così potrà
operare la perpetuatio obligationis che giustifica la fictio della riunione. Se la morte
interviene prima, la soluzione sarà quella della risoluzione per impossibilità
sopravvenuta.
Nel caso in cui ci siano vizi o difformità della cosa o di oneri, il promittente acquirente può
ottenere una sentenza che diminuisca il prezzo pattuito nel preliminare o che condanni il
promittente alienante ad eliminare i vizi o le difformità. Il regime dei vizi del preliminare è
quello ordinario, ma possono sorgere dei problemi nei rapporti con il contratto definitivo. Si
deve ritenere che il preliminare può fornire elementi, non solo per identificare la natura e
l’oggetto del contratto definitivo, ma anche per la ricerca del contenuto dei singoli patti e
quindi per l’interpretazione dell’intero assetto di interessi emergente dal contratto definitivo.
Senonchè è dubbio se tale funzione possa essere svolta da un contratto preliminare invalido.
Allora importante è stabilire se, l’eventuale invalidità del preliminare, possa considerarsi
superata nel caso in cui il contratto definitivo nasca, di per sé, validamente.
Gazzoni propone due teorie:
- il contratto definitivo ha causa interna, quindi la sua giustificazione causale va
ravvisata avendo riguardo della produzione dei suoi effetti tipici. Di conseguenza, i vizi del
preliminare saranno irrilevanti per il definitivo, qualora questo sia validamente concluso. C’è
autonomia tra i due contratti.
- il contratto definitivo trova la sua giustificazione causale nell’adempimento dell’obbligo
di contrarre sorto con il preliminare, quindi ha causa esterna. Di conseguenza, se il
preliminare è invalido, viene meno la giustificazione esterna dello spostamento patrimoniale
operato con il contratto definitivo, l’invalidità dunque legittimerà la ripetizione di quanto
prestato, perché oggettivamente indebito.
Es.: preliminare di vendita, la causa della vendita sarebbe già nel contratto preliminare. Il
definitivo è, quindi, un atto solutorio sorto dal preliminare. Questo si ricollega al
pagamento traslativo, che si ha quando la proprietà di un bene viene trasferita a titolo
solutorio, cioè in adempimento di un obbligo preesistente. Il trasferimento della proprietà è
quindi un atto di adempimento.
Nel caso di contratto definitivo, il trasferimento della proprietà sarebbe posto in essere non
venditoris causa, ma solutionis causa, cioè a titolo solutorio.
Il collegamento tra pagamento traslativo ed i negozi che generano l’obbligazione, è dato
dall’expressio causae. La causa del contratto definitivo non è una compravendita, ma la
causa solutoria, poiché, con il definitivo, viene trasferita la proprietà del bene a titolo di
adempimento di un obbligo che sorge con il preliminare.
Ciò crea un legame tra preliminare e definitivo, in quanto entrambi realizzano un’operazione
economica unitaria, con la conseguenza che, aderendo a questa teoria, i vizi, che
eventualmente inficiano il preliminare, si riverseranno sul definitivo.
Bisogna però fare alcune considerazioni:
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TIPI DI PRELIMINARE:
- unilaterale: è quel preliminare che comporta l’obbligo di addivenire alla stipula di un
contratto definitivo per una sola delle parti;
- bilaterale;
- ad effetti anticipati: le parti, non solo determinano l’obbligo del definitivo, ma iniziano ad
anticiparne gli effetti. Nel senso che ad es. l’acquirente paga una parte del prezzo e
l’alienante ad es. per qualche periodo da le chiavi di casa per esempio per prendere le
misure.
PRELIMINARE DI VENDITA DI COSA ALTRUI:
Si ha quando il promittente venditore stipula un preliminare di vendita avente ad oggetto un
bene altrui. Tale preliminare determina, in capo al promettente non l’obbligo di concludere il
contratto definitivo di vendita di cosa altrui ma un obbligo di dare, ovvero quello di procurare
al promittente acquirente l’acquisto della proprietà della cosa:
- sia acquistando a sua volta, previamente, il bene dal terzo proprietario per poi rivenderlo
alla controparte;
- sia inducendo il proprietario a dare il proprio consenso alla vendita in sede di stipula del
definitivo;
- sia inducendo il proprietario a vendere direttamente al promittente acquirente, così che
non si procederà alla stipula del definitivo.
Nella terza ipotesi, il promittente alienante risponde per l’evizione, per i vizi e gli oneri che
dovessero gravare sul bene, perché il promittente acquirente non può rifiutarsi di acquistare
direttamente dal terzo.
Ciò vale anche se il promittente acquirente ignorava l’altruità del bene perché l’ART.1479C.C.
che prevede la risoluzione del contratto si applica solo in caso di vendita quando l’effetto
traslativo deve prodursi immediatamente, mentre nel preliminare tale effetto è differito
(quindi nel frattempo il promettente alienante può far acquistare al promettente acquirente il
bene).
Questo tipo di preliminare non genera l’obbligo di prestare il consenso, bensì genera l’obbligo
di dare, con scissione del titulus (preliminare) dal modus acquirendi (definitivo).
Secondo Gazzoni, il preliminare di vendita di cosa altrui è una vendita obbligatoria, in cui
l’obbligo è quello di far acquistare al promittente acquirente la proprietà. La stipula del
definitivo costituisce solo adempimento delle obbligazioni assunte con il preliminare, con la
conseguenza che esso, e non il definitivo, è l’unica fonte degli obblighi e dei diritti tra le
parti.
TRASCRIZIONE DEL PRELIMINARE: ART.2645BISC.C.:
ART.2645BISN.1C.C.: “I contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei
contratti di cui ai numeri 1), 2), 3) 4) dell'articolo 2643, anche se sottoposti a condizione o
relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione, possono essere trascritti se risultano
da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autentica o accertata
giudizialmente”.
ART.2645BISN.2C.C.: “La trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca
comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che
accoglie la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dei contratti
preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente
alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare”.
ART.2645BISN.3C.C.: “Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si
considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la
conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta,
non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca
comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all'articolo
2652, primo comma, numero 2)”.
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in ogni caso, è garantita la libertà in ordine all’an e al quomodo del contratto, perché nel
patto di prelazione non viene fissato il contenuto del futuro (eventuale) contratto; infatti
concedente è libero di trattare come meglio crederà.
L’assoluta libertà di cui gode chi concede la prelazione, induce a ritenere possibile
qualsivoglia comportamento da cui derivi l’impossibilità di addivenire alla conclusione del
contratto, come la trasformazione o la distruzione del bene. Così, ad esempio,
l’appartamento oggetto della vendita, potrebbe essere diviso in due o il suolo edificatorio
edificato, con conseguente libera vendita a terzi degli appartamenti.
Dal patto di prelazione non nasce, dunque, per il promittente un obbligo a contrarre, ma
nascono due obblighi diversi:
- di carattere positivo (facere), di rendere nota al prelazionario l’intenzione di concludere
il contratto a certe condizioni, c.d. DENUNTIATIO.
- di carattere negativo (non facere), di non stipulare il contratto stesso con terzi, prima o
in pendenza della denuntiatio.
Secondo altra, meno attendibile, impostazione, il patto di prelazione, ad esempio di
vendita, sarebbe un contratto preliminare unilaterale purché il promittente decida di vendere
e quindi se c’è tale volontà (si volam).
DISCIPLINA:
Il concedente, quando decide di concludere il contratto, dovrà notificarlo al prelazionario
informandolo sul contenuto dell’accordo eventualmente raggiunto con il terzo. Qualora il
prelazionario possa offrire la stessa condizione del terzo, il concedente dovrà concludere con
il prelazionario.
DENUNTIATIO: è quell’atto con il quale il concedente mette a conoscenza il prelazionario
della propria volontà di contrarre.
Si discute sulla natura giuridica della denuntiatio:
- secondo alcuni, che ricostruiscono la prelazione con un preliminare unilaterale
sottoposto a condizione sospensiva potestativa si volam (se vorrà). Tale teoria che
non ha avuto seguito, considera la DENUNTIATIO come elemento che fa avverare la
condizione sospensiva in quanto rappresenta la comunicazione dell’intenzione di vendere,
ma nel contempo la considera come proposta irrevocabile di concludere il contratto di
compravendita, proposta che il prelazionario può accettare o rifiutare.
Sul piano formale ove si segue tale impostazione cioè si ritiene la prelazione come un
contratto preliminare deve applicarsi l’ART.1351C.C. (secondo cui il contratto preliminare, a
pena di nullità, deve rivestire la stessa forma richiesta per il contratto definitivo) ed è
l’offerta da parte di un terzo che fissa il contenuto del contratto.
- secondo altri ancora, è un invito ad offrire, cioè un atto di adempimento dell’obbligo di
comunicazione delle condizioni per la vendita offerte dai terzi o comunque fissate dallo stesso
concedente e contiene anche l’indicazione di un congruo termine.
Se il prelazionario risponde positivamente, non per questo il contratto è già concluso
automaticamente. La volontà del prelazionario non sarà accettazione, ma proposta, per cui,
per la conclusione, è necessaria l’accettazione del concedente.
Se il prelazionario risponde negativamente, il concedente potrà vendere a terzi a quella
condizioni.
In caso di vendita senza denuntiatio il prelazionario avrà diritto al risarcimento dei danni da
inadempimento.
In tale ottica dunque si nega l’esistenza di un obbligo a contrarre, la forma del patto è
dunque libera cosi come libero è il contenuto del contratto che può essere fissato
direttamente dal promettente anche in assenza di offerte di terzi. (teoria dominante).
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TERMINE DI EFFICACIA:
Il rifiuto di contrarre da parte del prelazionario non consuma il diritto di essere preferito ove
alla denuntiatio non segua la vendita al terzo, ovvero se la vendita si verifica dopo un certo
lasso di tempo che fa sì che le condizioni di vendita risultino sostanzialmente modificate.
L’estinzione del diritto, invece, consegue alla scadenza del termine fissato
convenzionalmente dalle parti nel patto di prelazione, dovendosi quindi distinguere tra il
termine di efficacia del patto e termine per l’adesione alla denuntiatio.
La differenza tra i due termini sta nel fatto che, se il termine per la risposta del
prelazionario non è stato fissato dal promittente, esso sarà fissato avendo riguardo alla
natura dell’affare o agli usi; al contrario il termine di efficacia può essere omesso, senza
necessità di interventi giudiziali, dal momento che con il patto di prelazione non si limita, ma
semplicemente si disciplina la libera disposizione del diritto, quindi non si viola la regola
posta dall’ART.1379C.C.. Il promittente, infatti, resta libero di disporre e di fissare le
condizioni dell’alienazione, con l’unico limite della scelta non libera della persona del
contraente, che si verifica, però, solo se vi è parità di condizioni.
DIFFERENZA TRA PRELAZIONE E PRELIMINARE: sta nel fatto che:
- PRELAZIONE: devo scegliere, se vendo devo vendere a te a parità di condizioni.
- PRELIMINARE: sono obbligato a vendere a te.
5. CONTRATTO NORMATIVO:
Il contratto normativo si ha quando due soggetti raggiungono un accordo nel senso di
fissare il contenuto dei futuri contratti che essi saranno poi liberi di concludere tra loro. Si
dovrebbe dunque parlare di accordo normativo. L’accordo può riguardare:
- singole clausole;
- l’intero contratto, es. contratto-tipo, quando tra le parti si instaurano rapporti contrattuali
sempre identici (es. impresa e fornitori abituali).
Qualora una delle parti non rispetti l’accordo, non si potrà agire ex ART.2932C.C., ma solo
per il risarcimento del danno precontrattuale, perché non vi è l’obbligo di contrarre.
L’accordo, infatti, è un pactum de modo contrahendi, e non un pactum de contraendo.
L’accordo normativo fa, dunque, venir meno, non la libertà di contrarre, ma in tutto o in
parte, le trattative per i successivi contratti (salvo che mutino le condizioni di mercato,
essendo in tal caso contrario alla buona fede pretendere l’esecuzione dell’accordo stesso
senza rinegoziare i contenuti , oppure quando le parti d’intesa inseriscono nel contratto
clausole difformi).
6.LE IMPOSIZIONI LEGISLATIVE:
La legge interviene i diversi modi nel procedimento di formazione del consenso, la forma più
evidente è l’obbligo a contrarre, ad esempio in materia di monopolio legale. Il
monopolista legale deve osservare la parità di trattamento, contraendo alle stesse condizioni
nell’ambito della stessa categoria. In caso di rifiuto a contrarre, il richiedente ha come
rimedio il risarcimento del danno exART.1218C.C. e non ex ART.2043C.C.; inoltre, in
caso di situazioni abnormi, la P.A. potrebbe revocare la concessione all’imprenditore
inadempiente.
Secondo la giurisprudenza, l’ENEL potrebbe rifiutarsi di contrarre nel caso in cui i costi da
sopportare nel singolo caso siano eccessivi, dovendo tale ente operare secondo criteri di
economicità. Il rifiuto potrebbe anche conseguire al fatto che l’utente occupa abusivamente
l’immobile sul quale l’ENEL è chiamato ad operare.
In caso di inadempimento da parte dell’utente, per esempio mancato pagamento del canone
o manomissione del contatore, l’ENEL non può chiedere la risoluzione del contratto, perché
successivamente potrebbe essere obbligato a contrarre di nuovo, ma può sospendere
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Esempio: qualora uno dei coeredi vende una quota ereditaria ad un terzo, senza prima
averla offerta agli altri coeredi, questi ultimi potranno rimborsare il terzo della somma che ha
speso per riprendersi la quota. In questo caso si avrà una tutela molto forte.
- efficacia: nella volontaria è obbligatoria, nella legale ha efficacia reale.
IL REGOLAMENTO CONTRATTUALE
1. OGGETTO:
La dottrina ha elaborato la più ampia nozione di CONTENUTO CONTRATTUALE, che
assorbe in sé quella di oggetto. L’ART.1346C.C. stabilisce che “l’oggetto del contratto
deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”.
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vero che il predisponente ha questo onere deve cioè esternare il contenuto delle clausole
(ad esempio con cartelli affissi nei locali frequentati dai clienti). Ma tra questo onere di
pubblicità e l’onere di diligenza c’è differenza. Il primo onere non ha nulla a che vedere con
la diligenza, ma è necessario tale onere per far assumere rilevanza alla clausola la quale se
non è esternata è irrilevante.
Lo stesso incontro dei consensi è discutibile in caso di condizioni generali del contratto poiché
la determinazione del regolamento è in parte realizzata al di fuori dell’accordo, dunque
’accordo in relazione alle clausole non menzionate esplicitamente ha la solo funzione di
sancire la nascita del vincolo. Di conseguenza la concezione negoziale non può essere
accettata se non con questa precisazione. Quindi non sempre c’è armonia tra voluto e
realizzato come sostiene la dottrina tradizionale che considera la corrispondenza tra voluto e
realizzato come motore della negozialità.
In caso di dubbio nella interpretazione della condizione generale del contratto ,questa deve
essere interpretata in maniera favorevole al non predisponente.
4.CONTRATTO CONCLUSO MEDIANTE MODULI O FORMULARI:
In caso di condizioni generali, parte del contratto è predeterminata unilateralmente. Quando
a contrarre sono imprese che stipulano contratti sempre identici con una massa di clienti, il
contenuto del contratto è predisposto, sempre unilateralmente, mediante moduli o formulari
prestampati, come nel caso di contratti bancari o assicurativi. Il contratto si conclude, in ogni
caso, con la sottoscrizione da parte dell’aderente.
5.CLAUSOLE VESSATORIE:
Un pericolo comune alle condizioni generali del contratto e ai contratti per adesione è che, in
assenza di trattative, al non predisponente potrebbero essere imposte clausole vessatorie.
Bisogna distinguere tra:
Professionista: persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che contrae esercitando la sua
attività professionale o imprenditoriale.
Consumatore: che contrae per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale
svolta.
Distinguiamo in tale ottica :
A)Contratti tra professionisti o tra consumatori: cioè tra soggetti che si presumono di
pari forza, le clausole vessatorie contenute in condizioni generali o moduli o formulari,
devono essere approvate per iscritto. Sono vessatorie, e tale elencazione è tassativa,
quelle clausole che:
1)stabiliscono a favore di colui che le ha predisposte limitazioni di responsabilità ovvero
facoltà di recedere dal contratto o di sospendere l’esecuzione.
2)sanciscono a carico del non predisponente ,decadenze ,limitazioni , alla facoltà di opporre
eccezioni ovvero restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.
(es. patto di non concorrenza o divieto di alienazione).
3)stabiliscono la proroga tacita o la rinnovazione del contratto.
4)deferiscono ad arbitri rituali la risoluzione delle controversie oppure stabiliscono deroghe
alla competenza territoriale dell’autorità giudiziaria che è sempre quella del foro del
consumatore.
L’approvazione scritta del contraente non predisponente è richiesta ad substantiam, deve
essere specifica, ma può essere anche cumulativa. Nell’ipotesi in cui la clausola vessatoria
non sia approvata per iscritto dal contraente cioè non venga rispettato tale requisito, ci
sono due pareri:
1)secondo una tesi, la clausola vessatoria non approvata se conoscibile, sarebbe nulla per
difetto di forma ad substantiam e si applicherebbe l’ART.1419C.C.. Tale articolo afferma
che a nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i
contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla
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nullità. La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole
nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
2)secondo altra tesi vi è soltanto l’inefficacia della clausola che non va ad inficiare la
validità del contratto.
L’approvazione scritta non è pretesa se la clausola vessatoria è prevista da un decreto
ministeriale o riproduce un uso normativo, o se il contratto ha la forma dell’atto pubblico in
tal caso è il notaio che accerta che essa sia frutto della volontà di entrambi i contraenti.
B)Contratto tra professionista e consumatore:
Se costoro concludono un contratto è fortemente tutelata la posizione del consumatore
considerato soggetto debole; infatti, si ritengono vessatorie tutte quelle clausole che pur non
contrarie a buona fede, in quanto giustificate da apprezzabili interessi del professionista,
determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio tra diritti e degli obblighi
derivanti dal contratto.
Il giudizio di vessatorietà va fatto in relazione al singolo contratto. Infatti la vessatorietà
va valutata tenuto conto:
1)della natura del bene o del servizio.
2)dalle circostanze esistenti al momento della conclusione.
3)dall’insieme delle clausole del contratto.
La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione
dell'oggetto del contratto, ne all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purche'
tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile.
Non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano
riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle
quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell'Unione europea o l'Unione europea.
Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa
individuale.
Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per
disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista
l'onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo
unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
D.LGS.206/2005ART.33: elenca 20 clausole che si presumono vessatorie salvo
assenza di significativi squilibri o talune deroghe, esse prevedono :
A)in favore del professionista:
1)escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danni alla
persona del consumatore.
2)riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal
contratto, nonche' consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma
versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute,
quando sia il professionista a recedere dal contratto.
3)consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero
le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato
nel contratto stesso.
4)consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il
consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello
originariamente convenuto.
5)riservare al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del
servizio prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d'interpretare
una clausola qualsiasi del contratto.
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6)consentire al professionista di sostituire a se' un terzo nei rapporti derivanti dal contratto,
anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei
diritti di quest'ultimo.
B)a danno del consumatore:
1)escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di
un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte
del professionista.
2)escludere o limitare l'opportunità da parte del consumatore della compensazione di un
debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest'ultimo.
3)restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.
4)stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di
residenza o domicilio elettivo del consumatore.
5)imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il
pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo
equivalente d'importo manifestamente eccessivo.
6)prevedere l'estensione dell'adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la
possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.
7)stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per
comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione.
NULLITA’ DI PROTEZIONE:
- Le clausole considerate vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto.
Non si applica l’ART.1419C.C.
- La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal
giudice.
- Il venditore ha diritto di regresso nei confronti del fornitore (ex ART.2043C.C.) per i danni
che ha subito in conseguenza della declaratoria di nullità delle clausole dichiarate abusive.
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LA FORMA
La forma è il modo con cui la volontà negoziale è manifestata. La forma è quindi il modo con
cui la volontà negoziale si esteriorizza, è, infatti, giuridicamente rilevante soltanto la volontà
che viene portata all’esterno attraverso o la dichiarazione o comportamenti concludenti. Non
ha infatti valore la riserva mentale.
Secondo altri invece è la rappresentazione (aspetto) esteriore dell’atto.
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Talvolta la forma svolge funzione diversa non riconducibile sempre e solo ad un problema di
esteriorizzazione dell’atto, come nel caso della forma vincolata dove c’è la necessità di
adottare la forma scritta (e può avere la forma della scrittura privata o dell’atto pubblico).
La forma assolve esigenze particolari dell’ordinamento:
- Certezza: richiama l’attenzione dell’autore dell’atto sulla portata giuridica e sulle
conseguenze economiche che da esso discendono.
- Pubblicità: offre l’opportunità di rendere pubblici certi atti a causa degli effetti prodotti,
specie ad es. quando si tratta di diritti reali immobiliari. Pertanto, attraverso la pubblicità
l’atto, che ha efficacia tra le parti, può essere opponibile anche ai terzi. Talvolta è lo stesso
legislatore che riferisce la necessità della forma alla pubblicità e non alla conclusione del
contratto. Es. in caso di trasferimenti di autoveicoli il contratto si perfeziona anche
oralmente, ma è pretesa una dichiarazione scritta del venditore con firma autenticata ai fini
della trascrizione al PRA, anche le società di persone nascono da un accordo orale, ma l’atto
costitutivo deve avere la forma dell’atto pubblico per poter essere inserito nel registro delle
imprese.
- Certificazione: la forma è in questi casi collegata all’attività di certificazione di un fatto
storico già accaduto. Es. verbalizzazioni di assemblea.
- Opponibilità: rendere opponibile al terzo gli effetti dell’atto concluso dalle parti come ad
es. per la vendita di beni.
- Notificazione: dirime le controversie tra i terzi, come nel caso di pluralità di cessione del
credito, là dove prevale il creditore che per primo ha notificato al debitore la propria cessione
nelle forme e nei modi previsti dalla legge.
2. FORMA AD SUBSTANTIAM:
La legge talvolta prevede la forma scritta a pena di invalidità dell’atto, forma scritta ad
substantiam.
La forma ad substantiam è imposta dalla legge al fine di giuridicizzare l’operazione
sottraendo così ai privati la libertà di scelta in materia. In tal caso la forma assurge, quindi,
ad elemento essenziale del contratto, ex ART.1418CO.2C.C. si avrà nullità dell’atto in
caso di mancata osservanza di tale forma, proprio perché assurge ad elemento essenziale
del contratto previsto dall’ART.1325C.C..
La conseguenza è che i privati non potranno convalidare l’atto carente di forma perché, in
base all’ART.1423C.C., l’atto nullo non può essere convalidato. Si potrà avere rinnovazione
dell’atto con efficacia ex nunc.
Il documento dovrà, però, contenere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle
parti di concludere quel determinato negozio. Non è possibile, pur osservando la forma
dovuta, un accertamento, una confessione, una ricognizione, una ripetizione, perché il
negozio da riconoscere, accertare, ripetere non è viziato, ma inesistente.
- Secondo una parte della dottrina, dal contratto nullo per vizio formale nasce
un’obbligazione naturale con un’eccezione in base alla quale non si può pretendere
l’adempimento, ma neppure si deve restituire ciò che si è ricevuto a titolo di pagamento.
- Secondo Gazzoni tale obbligazione risulterebbe contra legem, quindi non protetta
dall’ordinamento, onde è sempre prevista l’azione di ripetizione nei limiti fissati dalla legge.
- La giurisprudenza tende comunque ad attenuare il rigore formale (ridurre il formalismo),
infatti è ammessa la conferma della donazione orale e pertanto anche in questo caso la
nullità della donazione non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa del donante
che, conoscendo la causa della nullità, hanno, dopo la morte di lui, confermato la donazione
o vi hanno dato volontariamente esecuzione.
Si ha, invece, un’accentuazione del rigore formale (formalismo) se si segue l’orientamento
favorevole all’estensione delle norme dettate in materia di forma ad substantiam ad ipotesi
non espressamente previste in virtù dell’espressione “la forma è elemento essenziale del
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contratto, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”. In particolare
per quei negozi che risolvono, revocano o comunque vengono ad incidere sui diritti nati da
un precedente contratto con forma scritta ad substantiam, oppure che ad esso si collegano
come nella cessione del contratto o in caso convalida espressa.
- Perlingieri dice invece che bisogna procedere caso per caso, e che non si può fare
coincidere le norme sulla forma vincolata con quelle inderogabili e di ordine pubblico.
Bisogna però sempre tener conto che il principio che permea la disciplina della forma è quello
della libertà della forma. L’eccezionalità della forma ad substantiam non può non condurre
ad una interpretazione restrittiva delle singole norme, anche perché il limite formale si
atteggia, a ben vedere, come un vero limite all’autonomia delle parti.
- Secondo Natalino Irti, non è valido il principio della libertà delle forme e quindi
dall’ART.1325C.C. si desumerebbe l’esistenza di due categorie di contratti:
1) a struttura debole, in cui la forma sarebbe assorbita dall’accordo.
2) a struttura forte, dove la forma sarebbe pretesa dalla legge.
Non è, quindi, possibile stabilire qual è la regola e qual è l’eccezione. Secondo Grasso,
invece, si può osservare che l’ART.1325C.C. contempla due ipotesi:
1) prevede quale requisito del contratto la forma quando essa è prevista a pena di nullità.
2) non prevede tale requisito, implicitamente lo esclude in tutti gli altri casi, essendo così la
regola laddove l’altra è l’eccezione.
Bisogna sicuramente sottolineare che quando si fa riferimento alla forma non si intende
esclusivamente la forma scritta, in quanto anche l’oralità, il comportamento omissivo o
commissivo rilevano sul piano della forma. Può invece sostenersi che la forma scritta ha
carattere eccezionale.
Stranamente liberale è la giurisprudenza quando afferma che il consenso relativamente ad
un certo contenuto racchiuso nella scrittura potrebbe essere manifestato con una
dichiarazione non esplicita.
La scrittura è forma della dichiarazione espressa, ma non può esserlo nel contempo forma
della dichiarazione tacita o indiretta. Quando è richiesta la forma scritta è necessario che vi
sia tra volontà e scritto una corrispondenza immediata e diretta, se non altro per esigenze di
certezza. È necessario che lo scritto esprima la volontà negoziale. Es. volontà di disporre.
Bisogna inoltre distinguere:
- Contenuto minimo del contratto: è connesso agli effetti tipici che le parti intendono
produrre ed è quel atto da cui rivela l’intento di conseguire il risultato corrispondente a quel
tipo di effetto e quindi allo schema tipico dell’atto. Es. in caso di compravendita immobiliare
dall’atto scritto deve risultare chiaramente l’intento dispositivo e l’oggetto. Non è ad es.
necessaria l’indicazione delle clausole accessorie di carattere esecutivo, quali quelle che
fissano il tempo o il luogo dell’adempimento, in quanto non sono rilevanti per l’individuazione
del tipo contrattuale.
- Contenuto effettivo del contratto: l’insieme delle pattuizioni concluse concretamente, di
volta in volta dai privati, in base al potere di autonomia riconosciuto alle parti mediante
l’aggiunta di clausole allo schema tipico previsto dalla legge cioè il contenuto minimo.
Ovviamente tale distinzione rileva solo sul piano della forma, poiché ad es. sul piano
sostanziale una clausola accidentale può risultare essenziale in concreto. Tale distinzione ha
una sua rilevanza quando si tratta di risolvere il problema dei limiti della relatio nei negozi
formali. La relatio è quel richiamo, nel corpo del contratto, ad un dato esterno già esistente
in rerum natura, dunque è una integrazione ab extra del contenuto del contratto.
In dottrina si ammette (seppur entro certi limiti), la relatio, perché solo il contenuto minimo
deve risultare dal documento, cosicché quello ulteriore può anche essere fissato con riguardo
ad una fonte esterna.
Bisogna distinguere:
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- quando la fonte esterna consiste in un accordo formale già raggiunto dalle parti, nulla
quaestio.
- quando si tratta di un contratto stipulato da terzi in un giornale o modulo, la dottrina
risolve questo problema in chiave probatoria osservando che, ferma restando la validità della
relatio, se il contenuto de relato si è inserito automaticamente, in virtù della relatio, nel
contenuto documentale, valendo anche come pattizio, dovrà sottostare alle limitazioni
probatorie (prevista dall’ART.2725C.C. pure se proveniente da fonte esterna alle parti) che
prevedono l’esclusione della prova per testi e quella presuntiva al fine di garantire l’esigenza
di certezza che è alla base della prescrizione sulla forma.
Per quanto riguarda le modalità dell’atto scritto, esso può anche non essere redatto dalle
parti, che devono però in ogni caso sottoscriverlo, es. contratto concluso mediante moduli o
formulari, contratto redatto dal notaio. Un’ipotesi particolare è quella del bianco segno.
Se le parti controvertono su di una determinata questione ed intendono raggiungere un
accordo di carattere transattivo, possono deferire ad arbitri irrituali il compito di comporre la
lite. Essi fisseranno il contenuto dell’accordo che sarà riprodotto in un foglio consegnatogli
previamente sottoscritto dalle parti stesse. È questa un’eccezionalità poiché non è
ammissibile una dichiarazione in bianco non sorretta da un’adeguata volontà, non potendosi
ritenere tale quella di accettare previamente ogni regolamento degli interessi disposto da
terzi.
Il Telegramma: non ha l’efficacia probatoria della scrittura privata se non è stato
sottoscritto in originale, salvo che sia stato consegnato o fatto consegnare dal mittente.
Il Telefax: è mezzo idoneo per la conclusione di contratti formali; infatti è idoneo per la
trasmissione di copia della dichiarazione sottoscritta in originale. Le parti possono prevedere
che l’efficacia del contratto sia condizionata dallo scambio, sempre mediante fax, degli
originali. Sul piano probatorio, il fax potrebbe essere disconosciuto trattandosi di copia
fotografica di scrittura.
3.FORMA AD PROBATIONEM:
La legge può prevedere che la forma scritta non vada a rilevare sulla validità del contratto,
ma a fini probatori. Es. transazione, patto di non concorrenza. Non è pertanto ammessa la
prova per testi, salvo che il documento sia smarrito senza colpa poiché in questo caso la
prova per testimoni è ammessa in ogni caso, né di conseguenza quella per presunzioni,
cosicché residua solamente la possibilità della confessione e del giuramento.
La dottrina sostiene che il legislatore, richiamandosi alla forma ad probationem, in realtà ha
voluto introdurre taluni limiti probatori e nulla ha, dunque, a che fare tale forma con la forma
vincolata che mira ad esteriorizzare la volontà. Bisogna quindi sottolineare:
- che al pari della forma ad substantiam è una forma vincolata.
- che opera esclusivamente sul piano processuale.
Essa è una forma della prova, non forma dell’atto; si tratta di un ulteriore funzione della
forma che non può dirsi sempre e solo necessaria ai fini dell’esteriorizzazione; pertanto, al di
fuori del piano processuale, il contratto sarà efficace in qualsiasi forma realizzato, non
andando ad incidere la forma ad probationem sul piano sostanziale.
4.LA SOTTOSCRIZIONE:
Quando si stipula per iscritto un contratto, assume carattere essenziale la sottoscrizione ad
opera dei contraenti. Ha una duplice funzione:
1)individuare gli autori della scrittura.
2)attesta circa l’assunzione degli impegni risultanti dal testo scritto.
Pertanto, la sottoscrizione deve essere autografa e idonea ad individuare
inequivocabilmente il soggetto, può essere apposta anche con uno pseudonimo etc., purché
non generi incertezza circa il sottoscrittore (il crocesegno non è ammesso). La sottoscrizione
(si trova in calce o a margine dell’atto) è il momento finale della sequenza di
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perfezionamento del contratto formale e la sua mancanza impedisce che l’accordo possa
ritenersi raggiunto se la forma scritta è richiesta ad substantiam, ovvero possa essere
provato se la forma scritta è richiesta ad probationem. Essendo un elemento a sé stante, non
facente parte del contenuto del contratto, si discute in dottrina se essa debba osservare le
forme pretese dalla legge per gli atti rigidamente formali. Ciò va tenuto presente per stabilire
se alla mancata sottoscrizione di una scrittura privata può sostituirsi la produzione in giudizio
della scrittura stessa ad opera della parte che non l’ha sottoscritta, la quale voglia concludere
il contratto per avvalersene.
L’assenza di sottoscrizione impedisce la conclusione del contratto, pertanto un soggetto, sia
per ottenere la conclusione del contratto, sia per dimostrare che esso è stato concluso, non
può produrre in giudizio una copia del contratto non sottoscritta da tutte le parti, in quanto
esibisce una proposta contrattuale ancora non accettata.
Il problema sta nello stabilire se l’accettazione può derivare dell’esibizione in giudizio anziché
della sottoscrizione.
Non si ammettono equipollenti in caso di forma ad substantiam cosicché l’esibizione in
giudizio, collegata alla domanda di esecuzione, potrà avere solo valore confessorio con
riguardo all’esistenza ed al contenuto del contratto, ma non può costituire titolo per
l’esecuzione del contratto.
L’equipollenza è ammessa dalla giurisprudenza in caso di forma ad probationem se la parte
che non ha sottoscritto chiede l’esecuzione. Ciò è possibile poiché:
- le sottoscrizioni non devono essere contestuali;
- equivarrebbe a sottoscrizione manifestazione di volontà l’inequivocabile di avvalersi del
negozio documentato dalla scrittura incompleta, anche perché varrebbe la sottoscrizione
della procura rilasciata al difensore, essendo la domanda giudiziale inscindibilmente legata e
dipendente dalla scrittura prodotta. Allora il contratto si dovrebbe concludere al momento
della notifica e non dell’esibizione.
Esistono dei limiti a tale equipollenza, infatti l’esibizione deve avvenire nei confronti di chi ha
sottoscritto ad opera del legale della parte che non ha sottoscritto e non di un terzo, anche
se erede. Infatti, poiché qui si ha accettazione, la morte della parte fa venir meno la facoltà
di accettare la proposta.
La produzione non vale accettazione quando la controparte che ha sottoscritto abbia nel
frattempo manifestato in modo non equivoco la volontà di non eseguire il contratto,
revocando il proprio consenso, o vi sia stata morte della parte o incapacità sopravvenuta
dello stesso.
La giurisprudenza ammette anche un’accettazione stragiudiziale che può essere operata dalla
parte che non ha sottoscritto il contratto, qualora costei manifesti anche implicitamente il
consenso, purché tale manifestazione risulta da uno scritto indirizzato alla controparte che
ha sottoscritto, quale, ad esempio, una lettera con cui si sollecita l’adempimento degli
obblighi previsti nella scrittura , anche in tal caso, opera il limite della revoca, della morte e
della sopravvenuta incapacità della controparte. Tale limite non opera se la seconda
sottoscrizione è espressa in un documento separato, ma coevo, purché inscindibilmente
collegato al primo. Es. preliminare sottoscritto dal solo promittente venditore, ma con
dichiarazione che il promittente compratore ha consegnato un assegno in conto del prezzo;
l’assegno infatti racchiude in sé la seconda sottoscrizione atta ad integrare l’accordo formale.
Gazzoni non concorda con questi orientamenti giurisprudenziali, in quanto l’accettazione
deve sempre giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente
necessario, secondo la natura degli affari o degli usi, sicché la produzione in giudizio
risulterebbe sempre tardiva. Sembra, quindi, più corretto fissare la conclusione del contratto,
non al momento dell’esibizione, ma della stipulazione, cioè non già ex nunc, ma ex tunc, pur
mancando agli atti del giudizio la prova documentale dell’intervenuta conclusione.
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5.DOCUMENTO INFORMATICO:
Il documento informatico è la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente
rilevanti.
La firma elettronica è l'insieme dei dati in forma elettronica utilizzati come metodo di
identificazione informatica. E’ quindi la forma più debole di firma in ambito informatico, in
quanto non prevede meccanismi di autenticazione del firmatario o di integrità del dato
firmato.
Una firma elettronica qualificata è definita come "la firma elettronica ottenuta attraverso
una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario, creata con
mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali
si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente
modificati, è quindi una forma di firma sicura, che esaudisce le richieste della Direttiva
Europea 1999/93/CE.
In ultimo, ma più importante di tutte, almeno nell'ordinamento italiano, c'è la firma digitale
definita come "un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di
chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare
tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di
rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o
di un insieme di documenti informatici": la norma introduce quindi l'uso di algoritmi di
crittografia a chiave pubblica.
Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è
liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e
sicurezza. Il documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma
elettronica qualificata ha valore di scrittura privata se autenticata.
6.FORMA VOLONTARIA:
L’ART.1352C.C. stabilisce che se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una
determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia
stata voluta per la validità di questo. La forma è quindi richiesta ad substantiam. La norma
è estendibile anche agli atti unilaterali che seguono alla conclusione di un contratto, es.
recesso dal rapporto di lavoro.
In dottrina si discute se questa norma pone:
- una vera e propria presunzione iuris tantum di invalidità;
- detta una regola di interpretazione oggettiva da utilizzarsi subordinatamente alle regole di
interpretazione soggettiva.
Il patto ha carattere configurativo e non dispositivo poiché con esso le parti fissano le regole
che esse stesse dovranno osservare sulla forma nella futura contrattazione. È solo poi con la
contrattazione che dispongono dei loro interessi, si ha quindi tra le parti un accordo, non un
contratto. Il vincolo, comportando un limite all’autonomia privata ed alla libertà formale,
nasce solo se il patto riveste la forma scritta.
Se vi è inosservanza della forma volontaria: secondo la dottrina dominante la nullità è
rilevabile ex officio, altri parlano di inefficacia.
Gazzoni afferma che in questo caso pur trattandosi di nullità, non si ha violazione di norme
inderogabili, infatti la fissazione della forma ad substantiam è frutto di un accordo privato.
Pertanto la nullità secondo Gazzoni potrebbe essere fatta valere sola dalla parte interessata,
la quale potrebbe anche rinunciarvi mediante esecuzione spontanea o altrimenti rinunciarvi
(senza la necessita la forma scritta).
E’ invalido il contratto che al momento della sua conclusione, presenta uno o più difetti
“gravi” che riguardano la struttura del contratto, il quale non potrà produrre gli effetti che le
parti intendevano raggiungere (un contratto invalido è anche inefficacie).
Le cause di invalidità di un contratto sono:
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- la nullità;
- l’annullabilità;
- la rescissione.
E’ inefficace quel contratto che, anche se perfettamente valido, non può ancora produrre i
suoi effetti per via della mancanza di un elemento, che deve attuarsi in un momento
successivo (es. un contratto di compravendita sottoposto a condizione sospensiva o a
termine iniziale; finché la condizione o il termine non si avvereranno, il contratto non
produrrà effetti).
7.LA RIPETIZIONE DEL CONTRATTO:
La ripetizione si ha quando le parti si vincolano alla futura ripetizione in altra forma del
contratto già concluso, come nel "caso di un contratto orale di compravendita di bene mobile
registrato (ad es. autoveicolo), che debba essere ripetuto per atto pubblico ai fini della
trascrizione". Si ha, dunque, un contratto già concluso in forma invalida, da ripetere perché i
medesimi effetti pattuiti siano validi.
Da questa si deve distinguere la riproduzione, con la quale le parti riproducono
integralmente il testo di un contratto già concluso per sostituire il documento andato
smarrito o per disporre altre copie originali da poter utilizzare, per esempio, per la
registrazione del contratto o per depositarlo presso una banca.
Altra cosa ancora è la ricognizione, con la quale le parti operano un mero accertamento
dell’esistenza e del contenuto di un contratto, come nel caso di ricognizione operata dal
concedente enfiteutico nei confronti di chi si trova nel possesso del fondo, per evitare il
maturarsi dell’usucapione. L’atto di ricognizione ha una funzione meramente probatoria, così
come la riproduzione, però, mentre quest’ultimo non fa sorgere problemi di difformità poiché
l’atto sarà identico a quello riprodotto, questo problema sorge, invece, per la ricognizione,
risolto, però, dall’ART.2720C.C. in chiave di errore, con la produzione dell’originale.
L’ART.2720C.C. accomuna, sul piano disciplinare, l’atto di ricognizione a quello di
rinnovazione. In realtà sono diversi:
- La rinnovazione si verifica quando le parti hanno posto in essere un contratto nullo ed
intendono rinnovarlo.
In tal caso non ci sono problemi probatori o di possibile divergenza dovuta ad errore, perchè
il contratto successivo sostituisce ad ogni effetto quello precedente rinnovato.
- Al contrario l’atto di ricognizione non sostituisce l’atto originario qualora esso sia stato fin
dall’origine invalido.
Di rinnovazione si parla anche nel caso in cui il primo contratto sia valido, ma venga
sostituito, con efficacia ex nunc, da altro contratto di contenuto identico, in tal caso si più
vicini alla ripetizione.
La ripetizione si distingue dalla ricognizione, perché non ha funzione meramente
probatoria, si distingue dalla rinnovazione perché il contratto ripetuto è di se per se valido
ed efficace.
Quanto alla natura giuridica, il negozio successivo non ha valore di esecuzione del
precedente, né è una mera integrazione formale, quindi si nega l’esistenza di un’autonoma
volontà e di un’autonoma causa; il negozio successivo è identico al primo, quindi non si può
manifestare di nuovo un identico consenso.
Secondo altri, il negozio successivo costituirebbe un ulteriore fonte del rapporto. La
ripetizione dimostrerebbe la possibilità di ipotizzare la pluralità di fonti contrattuali
equivalenti, con la conseguenza che uno steso rapporto potrebbe anche avere titolo in più
manifestazioni di consenso.
Se i privati possono dar vita ad una pluralità di documenti che rappresentano lo stesso titolo
(riproduzione) non si comprende perché essi dovrebbero dar vita ad una pluralità di fonti
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equivalenti. Bisogna distinguere pero caso per caso a volte infatti ipotesi di ripetizione
apparente racchiudono in se una giustificazione diversa. Così i contraenti possono ripetere
per rimuovere dubbi o incertezze, avendosi così un negozio di accertamento, oppure per
interpretare o per superare un vizio che avrebbe comportato annullabilità del primo
contratto, essendo così in presenza di convalida.
Al di fuori di questi casi, i contraenti potrebbero operare una rinnovazione per rinnovare il
rapporto o mantenerlo in vita, o per rendere il contratto opponibile a terzi:
1)Il primo caso si verifica, ad esempio, quando essi, per evitare ogni discussione sul potere
di rappresentanza e sulla procura, stipulano di nuovo, ma questa volta personalmente, un
contratto già precedentemente concluso tramite i propri rappresentanti. Il secondo contratto
estinguerà il primo e si sostituirà con effetto ex nunc.
2)Il secondo caso si verifica quando le parti hanno concluso per scrittura privata un
contratto soggetto a trascrizione ai sensi dell’ART.2643C.C., obbligandosi a ripeterlo per atto
pubblico al fine di renderlo opponibile ai terzi. Il successivo contratto notarile varrà come
autenticazione della precedente scrittura privata. Se una delle parti si rifiuta di stipulare il
successivo atto pubblico ripetitivo, la parte adempiente non potrà invocare l’ART.2932C.C.,
come se l’obbligo venisse da un preliminare. La parte dovrà agire in giudizio per
l’accertamento dell’autenticità delle sottoscrizioni, e questa domanda è trascrivibile, se la
scrittura privata contiene uno degli atti di cui all’ART.2643C.C..
L’azione è imprescrittibile (nel caso in cui si tratti di vendita) perché è di accertamento e non
perché è un atto di esercizio di una facoltà del diritto di proprietà già acquisito per scrittura
privata, come ritiene la giurisprudenza. L’obbligo che le parti assumono con la scrittura
privata di presentarsi alla ripetizione notarile, non si prescrive, nemmeno in 10 anni. È un
obbligo che non attiene al profilo dispositivo del contratto, ma accertativo dell’autenticità
delle sottoscrizioni.
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2. CONDIZIONE:
La condizione incide sull’an (se contrarre o meno) non può essere apposta ai negozi puri
(detti anche actus legitimi) es. matrimonio, adozione riconoscimento figlio naturale. La
condizione, così come il termine, sono clausole accidentali solo in astratto nel senso che
possono o no essere inserite nel contratto, ma una volta apposti sono elementi essenziali,
sempre che siano poste nell’interesse di entrambe le parti. Altrimenti se poste nell’interesse
di una solo, solo costui se ne potrà avvalere.
In base all’ART.1353C.C., le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del
contratto ad un avvenimento futuro ed incerto.
CONDIZIONE SOSPENSIVA: la condizione alla quale le parti subordinano l’efficacia del
negozio; finché l’evento dedotto in condizione non si verifica c’è pendenza della condizione,
ed il negozio giuridico non produce effetti. Quando l’evento si avvera, gli effetti si
considerano prodotti ex tunc, cioè dal momento della formazione del negozio e non da
quello del verificarsi della condizione, cioè il contratto si considera come se fosse nato
incondizionato. C’è retroattività a carattere reale perché opponibile erga omnes e non solo
inter partes. Se l’evento non si verifica, il negozio resta privo di effetti.
CONDIZIONE RISOLUTIVA: la condizione alla quale le parti subordinano la risoluzione del
negozio; finché l’evento dedotto in condizione non si verifica, il negozio produce effetti.
Quando l’evento si avvera, cessano gli effetti negoziali ex tunc, cioè dal momento della
formazione del negozio, cioè il diritto si considera come se non fosse mai sorto. C’è
retroattività a carattere reale perché opponibile erga omnes e non solo inter partes. Se
l’evento non si verifica gli effetti diventano definitivi.
La retroattività manca se è esclusa dalle parti o dalla natura del rapporto. Nei contratti ad
esecuzione continuata o periodica sottoposti a condizione risolutiva, per le prestazioni già
eseguite. Ad es. in un contratto di lavoro sottoposto a condizione risolutiva del ritorno di un
dipendente malato, l’avveramento di questa condizione, non fa cadere gli effetti delle
prestazioni di lavoro già eseguite, per cui il lavoratore “supplente” avrà diritto alla
retribuzione di queste.
L’avvenimento previsto dalla condizione deve essere futuro ed incerto. Proprio l’incertezza
distingue la condizione dal termine, che invece è collegato ad un evento certo (es. morte)
anche se è incerto il momento di verificazione del evento.
L’avvenimento previsto dalla condizione oltre a dover essere incerto e futuro, deve essere
anche:
- lecito: cioè conforme alle norma imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. Se la
condizione è illecita, il contratto sul quale è apposta si considera nullo, questo però se ci si
riferisce agli atti tra vivi, mentre nel caso di atti di ultima volontà la condizione illecita è
nulla, ma l’atto resta valido, purchè la condizione non sia stata l’unico motivo che ha indotto
il testatore a disporre.
- possibile: l’impossibilità può essere: fisica (es. toccare il cielo con un dito),o
giuridica (es. vendita di un bene demaniale). La condizione impossibile rende nullo il
contratto se è sospensiva, invece se è risolutiva si considera come non apposta.
Il contratto sottoposto a condizione sospensiva è valido, se la prestazione inizialmente
impossibile diviene possibile prima dell'avveramento della condizione, mentre l’impossibilità
sopravvenuta alla conclusione si risolve in un mancato avveramento della condizione.
Dal punto di vista del fatto dedotto in condizione si distingue a seconda che l’evento dipenda
o non dipenda dalla volontà del contraente:
- Condizione causale: se il suo avveramento dipende dal caso o dalla volontà di terzi, ad
es. se scoppierà la guerra.
- Condizione potestativa: se il suo verificarsi dipende dalla volontà di una delle parti che
ha un apprezzabile interesse al suo compimento. (es. contratto di locazione di una casa al
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mare è condizionata al fatto che il locatario decida di annullare la vacanza per impegni di
lavoro)
- Condizione mista: se il suo verificarsi dipende in parte dalla volontà di un terzo o dal caso
ed in parte dalla volontà di una delle parti. (es. donazione condizionata dal superamento di
un concorso).
- Condizione meramente potestativa: ART.1355C.C.: in base a questa norma, è nulla la
alienazione di un diritto che è subordinato alla mera scelta del soggetto che trasferisce il
diritto, così come è nulla l’assunzione di un obbligo subordinato alla mera scelta del debitore.
La ratio della norma è evidente: non si può ritenere seriamente vincolante un contratto la cui
efficacia dipende dal mero arbitrio di una parte, per carenza di animus obligandi, che è
irreversibile e definitivo. Nella condizione potestativa invece l’avveramento dipende da un
comportamento della parte, la quale è però spinta ad agire sulla base di motivi oggettivi e
non per mero capriccio.
E’ valida invece la condizione meramente potestativa risolutiva, in quanto l’ART1355C.C. si
riferisce solo alla condizione sospensiva. A favore di ciò taluno dice che in sostanza si tratta
di recesso oppure di mutuo dissenso. In contrasto con tale ottica si sottolinea che la
condizione è retroattiva mentre il recesso si può esercitare finchè il contratto non abbia
avuto un principio di esecuzione.
Con il muto dissenso è evidente la differenza poiché c’è l’accordo che deve essere raggiunto
successivamente alla stipulazione del contratto, mentre la condizione è parte del contratto.
- Condizione unilaterale: cioè apposta nell’interesse di una sola parte, senza necessità di
una espressa pattuizione, potendosi l’unilateralità desumersi anche in via interpretativa
dall’assetto contrattuale. La condizione secondo l’orientamento dominante sarebbe
rinunziabile dall’interessato in ogni momento senza formalità, producendo cosi il contratto
divenuto puro i propri effetti ex tunc.
Tuttavia afferma Gazzoni non si può ipotizzare una rinunzia successiva al non avverarsi
della condizione sospensiva o all’avverarsi della condizione risolutiva, perché la volontà non
può disporre di fatti giuridici che causano l’inefficacia definitiva del contratto. Semmai qui la
c.d. rinuncia potrebbe operare come rinnovazione unilaterale del contratto con efficacia ex
nunc.
Durante invece la pendenza la rinuncia invece opera come fatto potestativo che fa avverare
la condizione sospensiva o impedisce che si avveri quella risolutiva, in entrambi i casi con
efficacia ex tunc.
- Condizione volontaria: se apposta dalle parti.
- Condizione legale: che è prevista dal legislatore ed è un requisito necessario di efficacia
del negozio. Es. la donazione fatta in riguardo di un futuro matrimonio (c.d. donazione
obnunziale) non produrrà effetto finché non ci sarà il matrimonio, quest’ultimo è la
condizione legale del negozio. Non è condicio iuris ogni evento da cui dipende non l’efficacia
dell’atto ma il suo perfezionarsi. Si ritiene che la condicio iuris abbia efficacia retroattiva e
che sia soggetta alle norme che riguardano la condizione volontaria ove compatibili.
PENDENZA DELLA CONDIZIONE: è l’intervallo di tempo che decorre dalla formazione del
contratto sino al momento in cui si verificherà o non si verificherà l’evento dedotto in
condizione. Durante tale fase, anche se gli effetti tipici non si sono ancora prodotti o possono
essere posti nel nulla, dal contratto condizionato scaturiscono alcuni effetti preliminari. Le
parti si trovano in una condizione di aspettativa, in forza della quale hanno diritto a che la
situazione non venga modificata durante la pendenza della condizione. Dunque:
1)chi ha acquistato un diritto sotto condizione sospensiva può compiere atti conservativi
(diretti alla conservazione materiale e giuridica del diritto, ma anche la conservazione delle
condizioni che rendono possibile l’adempimento);
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2)in caso di condizione risolutiva lo stesso potere di compiere atti conservativi spetta
all’alienante, mentre l’acquirente ha il diritto di esercitare il diritto sottoposto a condizione
risolutiva.
Entrambe le parti devono comportarsi secondo le regole della buona fede, ossia osservare un
comportamento corretto, tale da non danneggiare e conservare integre le ragioni dell’altra
parte (se ovviamente è una condizione potestativa semplice). Se non c’è buona fede ci sarà
risarcimento del danno ex contractu, ove la condizione non si sia avverata per circostanze
obbiettive e comunque non imputabili alla parte inadempiente .
E’ prevista ex ART.1359C.C la sanzione specifica della finzione di avveramento della
condizione, se la condizione sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva
interesse contrario al suo avveramento e che ha quindi impedito che si realizzasse, in tal
caso dunque la condizione si considera verificata lo stesso.
Gazzoni ritiene che la condizione riguarda fatti esterni e quindi estranei al contratto, quindi
l’adempimento delle prestazioni (es.pagamento del prezzo nella vendia) non potrebbe essere
dedotto come evento che condiziona l’efficacia del contratto, c.d. condizione di
adempimento. Una parte della dottrina ritiene che sia ammissibile.
Se il contratto è soggetto a trascrizione,l’esistenza della condizione va menzionata nella
relativa nota di trascrizione.
Si ritiene che in difetto il terzo subacquirente può opporre il proprio acquisto all’alienante,
ove non si verificasse quella sospensiva o si verificasse la condizione risolutiva. In poche
parole la menzione svolgerebbe la stessa funzione della trascrizione.
Più correttamene altri ritengono invece che il subacquirente ha solo il titolo per chiedere
risarcimento dei danni, in quanto non si può applicare l’ART.2644C.C. al di fuori delle ipotesi
tassativamente previste.
3.PRESUPPOSIZIONE:
In diritto civile si parla di presupposizione quando le parti, nel concludere un negozio
giuridico, fanno riferimento ad una circostanza esterna, attuale o futura, che, senza essere
espressamente menzionata nel negozio, ne costituisce il presupposto oggettivo.
Si differenzia dalla condizione, perché quest'ultima è un avvenimento futuro ed incerto dal
quale dipendono l'inizio (condizione sospensiva) o la cessazione (condizione risolutiva) del
contratto e dev'essere menzionata espressamente nel negozio, mentre la presupposizione
è una circostanza esterna che non dev'essere espressa. L’esempio tradizionale è quello di chi
prende in locazione un balcone che affaccia sulla strada dove si verificherà una
manifestazione per assistervi. Anche se le parti non hanno esplicitamente pattuito al
riguardo, lo spettacolo si presenta come evento condizionante la pattuizione, avendo esse
concluso il contratto in vista di quel evento, che dunque costituisce il presupposto della
pattuizione. Nel caso la manifestazione viene annullata, viene dunque meno il presupposto
contrattuale e dunque il contratto stesso.
Lo strumento normativo per dare rilevanza alla presupposizione sono:
- ART.1374C.C.: il contratto obbliga le parti non solo a quanto e nel medesimo espresso,
ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo
gli usi e l'equità.
- ART.1467C.C.: la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta è accordata per il
verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili, dovendosi così ritenere presente in
ogni programma contrattuale la clausola rebus sic stanti bus, in base alla quale l’efficacia del
contratto per il futuro è subordinata al fatto che le posizioni contrattuali di partenza non si
modifichino.
Il venir meno o il non verificarsi del fatto presupposto, sposta gli equilibri contrattuali e
determina una distribuzione del rischio contrattuale, difforme da quella prevista e voluta
dalle parti con la conseguente possibilità di risolvere il rapporto.
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4.TERMINE:
Incide sul quando si producono gli effetti contrattuali. È un evento futuro e certo a partire
dal quale (dies a quo)(termine iniziale) o fino al quale (termine finale) il negozio produrrà
effetti. Mentre è sempre certo che l’evento si verificherà, può essere incerto il momento del
suo verificarsi.Possiamo così distinguere:
- dies certus et certus quando (es. il 1° gennaio 2010)
- dies certus te incertus quando (es. il giorno della morte di Tizio).
A differenza della condizione, il termine esplica la sua efficacia ex nunc, per cui, una volta
verificatosi l’evento, restano salvi gli effetti prodotti prima della scadenza del termine finale.
Il termine come elemento accidentale del contratto si distingue dal termine di adempimento
che riguarda il momento in cui va esaurita la prestazione o altro adempimento.
Se il contratto è soggetto a trascrizione, il termine deve essere menzionato nella nota. Il
termine va cancellato se il termine iniziale è scaduto.
5.MODUS O ONERE:
Per il modus il legislatore non ha dettato una disciplina organica. Il modus o onere è una
clausola accessoria che la legge prevede espressamente possa apporsi a tutti i negozi a titolo
gratuito, inter vivos o mortis causa, allo scopo di limitarli. È un elemento accidentale e
rappresenta un peso o una limitazione dell’attribuzione a titolo gratuito: es. ti dono un
immobile con l’onere di costruire un ospedale.
L’onere quindi può definirsi come un peso gravante sulla cosa, avente la forma dell’obbligo,
ma non del corrispettivo, e si costituisce mediante un atto volitivo realizzando una vera e
propria obbligazione accessoria; tuttavia, almeno in materia di donazioni, il beneficiario è
tenuto all’adempimento solo entro i limiti del valore della cosa donata.
Mentre la condizione sospende l’efficacia ma non obbliga, l’onere obbliga ma non sospende
l’efficacia.
Il modus impossibile o illecito si considera come non apposto, salvo che sia stato l’unico
motivo determinante, in tal caso il contratto è nullo. L’inadempimento del modus è causa di
risarcimento del danno ed anche di risoluzione del contratto, ove espressamente prevista.
IL CONTRATTO E I TERZI
1.GLI EFFETTI INTER PARTES. EFFETTI REALI E OBBLIGATORI:
Secondo l’ART.1372C.C. il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto se
non per mutuo consenso (nuovo contratto a carattere risolutorio) o per cause ammesse
dalla legge. Per forza di legge si intende l’immodificabilità e l’irrevocabilità unilaterale
salvo i casi previsti dalla legge o dall’autonomia privata. L’effetto immediato e
imprescindibile che scaturisce dall’accordo è la nascita di un vincolo, cioè di un rapporto
obbligatorio.
L’effetto di irretrattabilità (o irrevocabilità) è sempre presente, così come lo è, sul piano
sostanziale, la nascita di una nuova situazione giuridica atta a modificare il patrimonio dei
contraenti, costituendo, modificando o estinguendo rapporti giuridici patrimoniali.
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Tale affermazione non è però pacifica con riguardo alla categoria del contratto ad effetti
reali ex ART.1376C.C., il cui ambito coincide con quello dei contratti traslativi.
- parte della dottrina sostiene che poiché il trasferimento del diritto è effetto immediato
del consenso, non sarebbe ravvisabile l’intermediazione di un effetto obbligatorio.
- altra parte invece sostiene che anche in caso di contratto traslativo nasce tra alienante ed
acquirente un rapporto obbligatorio avente ad oggetto l’obbligo per l’alienante di far
acquistare il diritto all’acquirente, sia nelle ipotesi in cui ciò non è effetto immediato del
contratto, sia nel senso di assicurare all’acquirente stesso la titolarità del diritto rispetto alla
rivendicazione altrui. Di qui la disciplina della garanzia per l’evizione in caso di trasferimento
della proprietà, e l’obbligo della garanzia ex ART.1266C.C. in caso di cessione del credito.
Resta però vero che, in ogni caso, nei contratti traslativi l’effetto finale, quello perseguito
dalle parti, non è di carattere obbligatorio ma di carattere reale, identificandosi esso non
tanto in una prestazione a carico del debitore, ma nel trasferimento di un diritto che si
ricollega al mero consenso legittimamente manifestato.
L’obbligo di far acquistare il diritto si configura come mero obbligo strumentale.
In caso di contratto ad effetti reali l’obbligo di far acquistare il bene all’acquirente si presenta
particolarmente articolato quando, l’effetto traslativo non si produce immediatamente,
perché presuppone l’adempimento di una prestazione di volta in volta mutevole a seconda
della fattispecie concreta, come nel caso di vendita di cosa altrui, di cosa futura e di cosa
generica. In questi casi l’effetto reale non può mai prodursi immediatamente per inesistenza
del bene, in assoluto, perché futuro o nel patrimonio dell’alienante, perché altrui, ovvero per
indeterminatezza. Altre volte invece sono le parti che impediscono il prodursi immediato
dell’effetto apponendo una condizione sospensiva o un termine di differimento.
Ai fini della disciplina dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione ex. ART.1465C.C. è
essenziale stabilire il momento in cui si produce l’effetto reale:
- se la cosa trasferita è determinata e perisce per una causa non imputabile all’alienante,
l’acquirente non è liberato dall’obbligo della controprestazione anche se la cosa non gli è
stata consegnata, perché l’effetto reale si è immediatamente prodotto e sul proprietario
grava il rischio del perimento del bene.
- se invece la cosa trasferita è generica l’acquirente non è liberato dall’obbligo di eseguire la
controprestazione solo se l’alienante ha eseguito la consegna o se la cose è stata
individuata.
Il passaggio del rischio è un evento fondamentale, poiché esso è collegato al prodursi
dell’effetto reale per il principio res perit domino, si determinano complicazioni in caso di
vendita internazionale di cose mobili, attesa la diversa rilevanza che assume a tal fine il
consenso nei vari ordinamenti, essendo esso talvolta, come in quello italiano, sufficiente a
trasferire il diritto mentre altre volte è meramente prodromico, perché collegato alla
successiva fase della consegna.
La convenzione di Vienna del 1980 ha fissato il momento del passaggio del rischio con
riguardo alla consegna del bene che può avvenire o nei confronti dell’acquirente o del
vettore. Inoltre il rischio è a carico dell’acquirente anche quando l’alienante gli abbia messo a
disposizione il bene e egli non l’abbia ritirato.
CONTRATTO DERIVATIVO-COSTITUTIVO: la categoria del contratto ad effetti reali
non prevede solo l’ipotesi del trasferimento di diritti, ma anche quella della costituzione di un
diritto reale, si parla di contratto derivativo costitutivo atteso che non sussiste un rapporto di
perfetta derivatività non esistendo nel patrimonio dell’alienante il diritto trasferito ma un
diritto più ampio. E il caso di diritti reali di godimento sul cosa altrui. Si pensi ad esempio
all’usufrutto che può essere costituito dal proprietario del fondo ma può anche essere
trasferito dall’usufruttuario.
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atto pubblico ovvero iniziare il giudizio di accertamento della sottoscrizione della scrittura
privata, trascrivendo la relativa domanda ex ART.2652N.3C.C.. Lo stesso dicasi se con
l’opzione il concedente trasferisce ad un terzo il bene questo prevarrà purché trascriva prima
della trascrizione dell’eventuale acquisto dell’opzionario conseguente all’accettazione.
- in caso di duplicità di contratti preliminari prevarrà chi trascriverà per primo il preliminare,
o in difetto, o venuta meno l’opponibilità, il contratto definitivo ovvero la domanda ART.2652
N.3C.C..
Se il bene è mobile: in base all’ART.1155C.C. prevarrà l’acquirente che in buona fede avrà
conseguito per primo il possesso, pur se si sarà avvalso per secondo del diritto di opzione o
per secondo avrà stipulato il contratto definitivo o ottenuto la sentenza ex ART.2932C.C..
Peraltro il primo acquirente potrà agire finché l’alienante mantiene il possesso ex
ART.2930C.C.. Il comune autore e il terzo, se di malafede, deve comunque risarcire il danno
contrattuale, se pretermesso è un promettente acquirente, precontrattuale, se pretermesso
è un opzionario (pretermesso=omesso, tralasciato). È inoltre esperibile l’azione revocatoria
se ne ricorrono gli estremi. Al riguardo la giurisprudenza ha statuito che in caso di duplicità
di preliminari non può ravvisarsi consilium fraudis ex Art.2901N.2C.C. del secondo
promittente acquirente che stipula il contratto definitivo ignorando l’esistenza del precedente
preliminare ovvero essendone venuti a conoscenza nelle more della stipula del definitivo
(cioè dopo aver concluso il preliminare), perché tale stipula si configura come atto dovuto a
cui il promittente acquirente non può sottrarsi. Il consilium fraudis va dunque valutato con
riferimento al momento della conclusione del contratto preliminare e non del contratto
definitivo (Gazzoni).
Per quanto riguarda il quadro dei potenziali conflitti tutelati dalla legge avente ad oggetto i
contratti traslativi, può essere così sintetizzato:
- acquisto a non domino: in questo caso il conflitto è tra chi acquista mediante un
contratto a non domino e il dominus. L’acquirente acquista il diritto da chi non è proprietario
e che dunque non può vantare nemmeno un titolo di proprietà inefficace o invalido, come nel
caso di alienazione ad opera di un ladro o di un omonimo del proprietario. Il conflitto è
risolto:
a)in caso di trasferimento di diritti reali mobiliari mediante applicazione del principio
possesso vale titolo (ART.1153C.C.).
b)in caso di d trasferimento di diritti reali immobiliari, l’acquirente potrà solo opporre
eventualmente l’avvenuta usucapione magari decennale .
In ipotesi di trasferimento di diritto di credito, invece l’acquisto da chi non è creditore non è
mai opponibile né al vero creditore né al debitore.
- il conflitto tra un avente causa dell’acquirente e l’alienante: l’avente causa è in
sostanza un successore a titolo particolare nella posizione giuridica del dante causa, il quale
opera il trasferimento. Es. subacquirente.
a)in base al principio resoluto iure dantis resolvintur et ius accipientis, l’invalidità o la
inefficacia del primo contratto si ripercuote necessariamente sull’efficacia del secondo: in
sostanza se il primo contratto di trasferimento cade, l’acquirente verrà a trovarsi nella
condizione di aver acquistato da chi era o appariva, ma ora non è più titolare del diritto
trasferito, si avrà un acquisto a non domino, con la particolarità che il non dominus, al
momento del trasferimento, era o appariva dominus. In caso di bene mobile c’è quindi il
principio possesso vale titolo, mentre per i beni immobili è salvo l’acquisto del sub acquirente
nei confronti dell’alienante se ricorrono le condizioni previste dall’ART.2652C.C.
b)nel caso invece di trasferimento di diritti di credito -in particolare in caso di cessione-, vale
la disciplina generale, ad esempio per quanto riguarda la salvezza dei diritti dei terzi materia
di annullamento, rescissione e risoluzione.
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- il conflitto tra più aventi causa dello stesso autore: se il diritto si collega uno degli
atti menzionati dall’ART.2643C.C. vale il principio fissato dall’ART.2644C.C.. In caso di
doppia o plurima alienazione mobiliare vale invece la regola fissata dall’ART.1155C.C..
a)in caso di conflitto tra più diritti personali di godimento prevale chi per prima abbia
conseguito il godimento stesso e non chi al momento in cui il conflitto nasce godrà della
cosa non essendo necessaria l’attualità del godimento.
b)in caso di conflitto tra cessionari dello stesso diritto di credito prevale chi per primo ha
notificato la cessione al debitore ovvero ha conseguito l’accettazione, con atto di data certa
(ART.1265CO.1C.C.).
- il conflitto tra l’acquirente o i suoi aventi causa e i creditori dell’alienante: i quali
hanno interesse a salvaguardare la propria garanzia patrimoniale in funzione dell’azione
esecutiva da esperire in ipotesi di inadempimento. In tal caso si applicano le regole dettate
per l’azione revocatoria dagli ART.2901SS.C.C.. In particolare acquirente farà salvo il proprio
acquisto, se in caso di alienazioni mobiliari, potrà invocare l’ART.1153C.C., mentre in caso di
alienazione immobiliari potrà invocare l’ART.2652N.5C.C. valendo da questo punto di vista
quanto osservato con riguardo al conflitto tra il subacquirente e l’alienante.
Se invece l’azione esecutiva è già iniziata varranno, in caso di alienazione mobiliare, le
regole in materia di trascrizione del pignoramento, mentre in caso di alienazione mobiliare il
possesso vale titolo. La stessa regola vale in caso di cessione dei beni ai creditori.
4.CONTRATTO A FAVORE DI TERZO:
Le parti possono concludere un contratto, anche preliminare o di opzione, inserendo una
clausola (c.d. stipulazione) in virtù della quale gli effetti si producono in via diretta ed
immediata nel patrimonio di un terzo, che è estraneo non parte del contratto .
Il contratto a favore di terzo non è pertanto un contratto tipico a sé stante, ma un modo
d’essere del contratto di volta in volta concluso. La disciplina del contratto a favore di terzo
risulta dalla fusione della normativa di cui agli ART.1411SS.C.C. con quella dettata per il
singolo contratto concluso.
Le parti contraenti sono:
- il promittente, che si obbliga alla prestazione in favore del terzo.
- lo stipulante, che designa la persona del terzo e nel cui patrimonio (stipulante) di regola si
sarebbero dovuti produrre gli effetti ove non fosse stata conclusa la c.d. stipulazione, con
conseguente deviazione degli effetti stessi verso il patrimonio del terzo designato.
Non è sufficiente che il terzo riceva un vantaggio economico, essendo necessario che la
prestazione in suo favore sia stata prevista dai contraenti come elemento del sinallagma. Il
terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della sola stipulazione conclusa tra
promittente e stipulante (ART.1411CO.2C.C.).
È errato, allora, affermare che l’adesione del terzo si configurerebbe come condicio iuris
sospensiva dell’acquisto del diritto, quando essa sarebbe un autonomo negozio acquisitivo,
esercizio del potere di consolidare gli effetti instabili. L’effetto acquisitivo è infatti immediato,
pur se può venire meno ex tunc in caso di revoca o di rifiuto, che opera quindi alla stregua di
una condicio iuris risolutiva. Per questo motivo il terzo deve esistere è possedere i requisiti di
legge ab initio, anche se può essere solo determinabile in un secondo momento in base a
criteri fissati o anche a discrezione dello stipulante.
Il terzo può dichiarare di voler profittare della stipulazione in proprio favore ma tale
dichiarazione non è un’accettazione in senso tecnico (cioè di una proposta contrattuale non
avendo il contratto a favore del terzo una struttura trilaterale e può risultare anche per facta
concludentia), ed ha una duplice la funzione:
1)di impedire la modifica o la revoca della stipulazione stessa da parte dello stipulante
(ART.1411CO.2);
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2)di consumare il potere di rifiutare in capo al terzo che può essere esercitato solo fino al
momento in cui egli ha aderito o prima della revoca dello stipulante.
In caso di revoca della stipulazione o rifiuto del terzo di voler profittare, la prestazione
(operando rifiuto e revoca ex tunc ) rimane a beneficio dello stipulante, con effetto fin dalla
conclusione del contratto , salvo che non risulti diversamente dalla volontà delle porti o dalla
natura del contratto.
La vicenda che origina dal contratto a favore di terzo si sviluppa attraverso fasi successive:
innanzitutto le parti devono comunicare al terzo la stipulazione al fine di permettergli
l’esercizio eventuale del potere di rifiuto. La comunicazione - che non richiede particolari
formalità – è di regola successiva alla conclusione del contratto. Ciò accade necessariamente
quando l’individuazione del terzo dipende da un evento successivo o quando lo stipulante si
sia riservato di indicarlo.
E’ addirittura possibile che la stipulazione sia in via alternativa e solo eventuale a favore del
terzo non ancora designato. In tal caso la vicenda sembra analoga a quella del contratto per
persona da nominare ma in realtà non è così.
Per parte sua, il terzo deve comunicare l’adesione o il rifiuto ad entrambi i contraenti. Si
tratta di negozi unilaterali recettizi.
Il rifiuto come quello ex ART.1333C.C. ha carattere eliminativo ex tunc di diritti già acquisiti
a momento della conclusione del contratto. Se la prestazione non resta a beneficio dello
stipulante, per accordo delle parti o per la natura del contratto, il contratto si scioglie per
impossibilità sopravvenuta dell’adempimento.
L’adesione alla stipulazione attribuisce al terzo definitivamente la titolarità del diritto ma
non del rapporto contrattuale che fa sempre capo ai contraenti (stipulante e promittente) a
differenza del caso di riserva di nomina laddove il nominato diviene parte del contratto.
Pertanto i contraenti non potranno disporre del diritto stesso mediante novazione, mutuo
dissenso o cessione a terzi, ma potranno far valere l’invalidità e la risoluzione che invece è
preclusa al terzo.
Il terzo in quanto titolare di diritto, ma non del rapporto, potrà agire contro il promittente
per l’adempimento della prestazione e per il risarcimento danni. Di comportamenti illeciti del
terzo non può invece rispondere lo stipulante.
In sede di adempimento il promittente può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto
dal quale il terzo deriva il proprio diritto (es. invalidità) ma non quelle fondate su altri
rapporti con lo stipulante (ad esempio compensazione) (ART.1413C.C.).
Giurisprudenza e dottrina dominanti affermano che non esistono limiti riguardanti la qualità e
il contenuto dell’attribuzione al terzo ,pertanto è anche concepibile un contratto traslativo
a favore di terzo al riguardo si è però obiettato che il contratto a favore di terzo non tollera
oneri e obblighi a carico del terzo, cosicché non è possibile a prescindere da una espressa
accettazione, trasferire nel suo patrimonio diritti reali quali quelli di proprietà e di usufrutto
che comportano oneri di gestione e di custodia.
TRASCRIZIONE: se il trasferimento ha ad oggetto beni immobili o mobili registrati, il
contratto sarà suscettibile di trascrizione, con eventuale annotazione o della revoca o di
rifiuto.
L’adesione non è invece suscettibile di trascrizione perché non viene incidere sulla
produzione degli effetti reali ma solo sulla possibilità di revoca da parte dello stipulante o di
rifiuto da parte del terzo, non più possibile dopo l’adesione, per consumazione del relativo
potere (Gazzoni).
FORMA: ovviamente in caso di trasferimento immobiliare il contratto, la revoca, il rifiuto (ma
non l’adesione) dovranno rivestire la forma scritta in particolare ai fini della trascrizione.
Le obiezioni all’efficacia reale riguardano le attribuzioni di beni immobili, infatti a differenza di
questi, i beni mobili non solo non comportano obblighi e costi di gestione, custodia e
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manutenzione, ma il loro acquisto può essere senza formalità e comunque la loro proprietà
può essere dimessa con semplice abbandono.
Dal contratto in favore di terzo originano due diversi spostamenti patrimoniali che pongono il
problema della giustificazione causale:
1)da un lato deve giustificarsi il fatto che beneficiario della prestazione sia un terzo
che non è parte del contratto: l’ART.1411C.C. stabilisce che intanto la stipulazione è
valida in quanto lo stipulante vi abbia un interesse, anche di natura esclusivamente morale o
affettivo. L’interesse non può mai mancare, la sua assenza determina la nullità della
stipulazione in favore del terzo.
L’interesse dello stipulante si spiega con il fatto che tramite il contratto in favore di terzo,
egli può estinguere una preesistente obbligazione nei confronti del terzo stesso ovvero può
eseguire una controprestazione a fronte di una prestazione che il terzo compie nei suoi
confronti sulla base di un altro contratto. Infine lo stipulante può operare una liberalità in
questo caso il contratto a favore di terzo non deve rivestire la forma della donazione ma
quella propria del contratto concluso in quanto con esso si realizza una donazione indiretta
ex ART.809C.C., quindi per accertare l’esistenza della portata dell’interesse dello stipulante
deve dunque aversi riguardo al cosiddetto rapporto di valuta che intercorre con il terzo.
Anche il terzo deve avere un interesse in termini oggettivi all’attribuzione in proprio favore,
quindi interesse dello stipulante e interesse del terzo finiscono per coincidere sul piano
funzionale nel senso che entrambi sono soddisfatti dalla prestazione eseguita dal
promittente, infatti entrambi possono agire contro il promittente per l’esecuzione della
prestazione.
2)dall’altro si deve giustificare il rapporto che nasce tra promittente e stipulante cioè
i contraenti: deve sussistere un interesse del promittente con riguardo all’eventuale rapporto
di provvista che lo lega allo stipulante. Il promittente con la stipulazione può infatti
estinguere un’obbligazione che preesisteva nei confronti dello stipulante assumere
obbligazione dietro corrispettivo, ma può anche compiere un atto di liberalità.
In tal caso si discute circa la necessità o meno della forma dell’atto pubblico, tipica della
donazione:
- la dottrina è generalmente favorevole perché la forma forte sostituirebbe la causa debole
garantendo l’attribuzione contro il rischio dell’astrattezza causale che renderebbe nullo il
contratto.
- in senso contrario va sottolineato che non ricorre nella fattispecie una delle caratteristiche
tipiche della donazione e cioè l’arricchimento in senso tecnico del donatario dal momento che
il contratto a favore di terzo non arricchisce il patrimonio dello stipulante ma di un terzo
estraneo al rapporto. In tale ottica anche in tal caso c’è donazione indiretta che non prevede
l’osservanza di una forma solenne.
Se la prestazione deve essere fatta al terzo post mortem dello stipulante - tipico il caso
dell’assicurazione sulla vita - questi può revocare il beneficio anche con una disposizione
testamentaria pure se il terzo abbia dichiarato di volerne profittare ,salvo che in quest’ultimo
caso lo stipulante abbia rinunziato per iscritto al potere di revoca, con atto unilaterale che
deve essere comunicato al promittente o, secondo un’altra impostazione, con un accordo
bilaterale con il terzo non necessariamente a titolo gratuito e comunque esterno ed
autonomo rispetto al contratto. La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del
terzo se questi pre muore allo stipulante, salvo che sia diversamente disposto dallo
stipulante.
Il contratto a favore di terzo presenta un meccanismo analogo a quello di alcune fattispecie
legali tra cui l’accollo esterno, in cui l’adesione del creditore determina l’irrevocabilità della
stipulazione in suo favore. Ci sono però non lievi diversità infatti l’accollo nasce come interno
e solo eventualmente è portato a conoscenza del creditore, là dove il contratto a favore di
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terzo produce immediatamente effetti per costui, e solo in caso di revoca o di rifiuto può
avere efficacia interna.
Diverso dal contratto a favore di terzo è il contratto con prestazioni da eseguire ad un
terzo, che non produce effetti immediati nel patrimonio di questo e non gli attribuisce la
qualità di creditore. E’ il caso della delegatio solvendi con divieto per il delegato di adempiere
obbligandosi verso il creditore.
Va infine segnalato che il contratto può avere ad oggetto una pluralità di prestazioni, in cui
accanto ed oltre al diritto alla prestazione principale è garantito rimane esigibili un ulteriore
diritto, di carattere accessorio e derivante dai doveri di protezione, a che non siano arrecati
danni ai terzi estranei al contratto. Si parla in tal caso di contratti con effetti protettivi a
favore di terzi, nell’ambito dei quali, in caso di inadempimento della prestazione accessoria,
può agire non solo la controparte, nella quale permanga un interesse attuale, ma anche
soprattutto il soggetto a protezione del quale è posta quella regola pattizia, ad esempio i
familiari di fatto conviventi con il portiere hanno azione contrattuale di danni contro il
condominio che aveva fornito al portiere stesso un alloggio umido e malsano.
5.LA PROMESSA DEL FATTO AL TERZO:
ART.1381C.C.: “colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto del terzo è tenuto ad
indennizzare l’altro contraente se il terzo si rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto
promesso”. Questa è in sostanza un’ipotesi esattamente opposta a quella del contratto a
favore di terzo. In questo caso, infatti il terzo non è destinatario di vantaggi ma
dovrebbe assumere obbligazioni o tenere comunque un dato comportamento.
E’ evidente che il terzo non è vincolato dalla promessa (che è res inter alio acta).
La promessa essendo contenuta in un contratto si distingue dalla promessa unilaterale, che
attiene ad una prestazione che deve essere compiuta dallo stesso promittente e non da un
terzo.
Si è quindi in presenza di un fenomeno analogo a quello che la dottrina ha individuato con
l’espressione contratto sul patrimonio del terzo, tra cui vi rientra tipicamente la vendita
di cosa altrui e la concessione di ipoteca su beni altrui, in entrambi i casi infatti il contratto
produce effetti solo se il terzo liberamente decide di alienare il bene o di ipotecarlo.
La dottrina inquadra in chiave oggettivistica la fattispecie nell’ambito dei contratti di
garanzia. L’obbligazione del promettente-garante sarebbe condizionata al mancato
comportamento del terzo, ponendosi in primo piano la prestazione di indennità piuttosto che
la prestazione del terzo. E’ evidente la differenza rispetto alla fideiussione, dove
l’obbligazione del terzo debitore quella assunta dal fideiussore hanno identico contenuto e la
prima preesiste alla seconda.
Secondo altra impostazione, si è in presenza di una autonoma obbligazione-non di garanzia
vista l’assoluta estraneità del terzo avente ad oggetto un facere, più precisamente il
comportamento volto a favorire l’assunzione dell’obbligazione o il compimento del fatto da
parte del terzo. Si tratterebbe di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in realtà
la responsabilità del promittente sorge per il semplice rifiuto del terzo, a prescindere dallo
sforzo di diligenza, pertanto l’obbligazione del promittente deve configurarsi quale
obbligazione di risultato.
La tesi che spiega perché la promessa si estingue in caso di impossibilità sopravvenuta della
prestazione del terzo, distingue tra risarcimento e indennità:
- il promittente risponde per inadempimento dell’obbligo di fare, cioè di adoperarsi affinché il
terzo non rifiuti, e quindi deve risarcire il danno, se l’inesecuzione da parte del terzo sia lui
imputabile secondo i criteri comuni, compreso un nesso di causalità.
- gli dovrà solo corrispondere l’indennizzo, se l’inesecuzione non è a lui imputabile.
La promessa può essere isolata, configurandosi quindi come promessa unilaterale ex
ART.1333C.C, ed è giustificata solo se risponde all’interesse patrimoniale del promittente
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dovendo altrimenti rivestire la forma donativa. Può anche essere contrattuale se è previsto
un corrispettivo o se essa si inserisce nel contenuto di un altro contratto a prestazioni
corrispettive. La forma, se non donativa, è sempre libera.
Il fatto del terzo, contenuto nella promessa può essere vario, può infatti consistere
nell’assunzione di una qualsivoglia obbligazione, nella stipulazione di un negozio, in un
comportamento materiale che ha in sé la propria giustificazione causale. Inoltre se la
promessa ha ad oggetto l’adempimento di un’obbligazione già assunta dal terzo nei confronti
del promissario non rientra nell’ipotesi ex ART.1381C.C, potrà configurarsi una fideiussione,
se è ravvisabile una funzione di garanzia.
L’indennità che il promittente deve al promissario in caso di rifiuto del terzo consiste nel
pagamento di una somma pari al valore dell’utilità non conseguita dal promissario
stesso ed è liquidata equitativamente. Si esclude che il promittente debba adempiere la
prestazione luogo del terzo. L’indennità può essere fissata pattiziamente senza possibilità di
ridurla ex ART.1384C.C..
Se la promessa si inserisce nel contesto di un contratto a prestazioni corrispettive,
condizionandolo funzionalmente, l’autonomia dei negozi viene meno, cosicché eventuale
inadempimento del terzo è inadempimento del promittente con risarcimento del dovuto.
La promessa non è valida, per vizio della causa, se il terzo non è identificato o se essa ha
ad oggetto la funzione di un’obbligazione invalida per illiceità, impossibilità o
indeterminatezza. Se il terzo è incapace, la promessa è valida se questa incapacità era nota
alle parti, altrimenti sarà impugnabile per errore. Se invece l’incapacità del terzo sopravviene
non potrà assumere rilievo il rifiuto e quindi la promessa sarà caducata.
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- dolo omissivo: consiste nella menzogna, ossia l’induzione in errore attraverso una falsa
affermazione, o nella reticenza, cioè la omissione della comunicazione di una cosa vera;
infatti costituisce dolo, sempre che si accompagni ai raggiri, la reticenza, che consiste nel
tacere circostanze che avrebbero indotto la controparte a non contrattare e che dovevano
essere chiarite in base al dovere di agire secondo buona fede.
- dolo determinante: è quello senza il quale il negozio non si sarebbe concluso e determina
l’annullabilità del contratto con annessa la responsabilità precontrattuale dell’autore del dolo
a risarcire il danno;
- dolo incidente: è quello senza il quale il negozio sarebbe stato ugualmente concluso ma a
condizioni diverse, per cui il contratto resta valido ma il contraente in mala fede è tenuto a
risarcire il danno (responsabilità precontrattuale).
Nel caso del dolo, rilevano anche i motivi, che invece non portano all’annullamento in casi di
errore perché non determinanti: i motivi costituiscono nel dolo la spinta alla contrattazione,
su cui incide il raggiro, con nesso di causalità. Pertanto, la tutela del deceptus è più intensa
rispetto all’errante, tant’è vero che alcuni negozi sono impugnabili per dolo e non anche per
errore: il comportamento del deceptor è di per sé un illecito che obbliga a risarcire il danno,
a prescindere dall’azione di annullamento.
Ai fini del risarcimento rileva anche il dolo del terzo, che usi raggiri per indurre una parte a
contrarre con un altro soggetto, ma l’annullamento può essere chiesto solo se i raggiri erano
noti all’altro contraente.
3.VIOLENZA:
La violenza, intesa come violenza morale, consiste nella minaccia di un male ingiusto e
notevole, posta in essere per indurre un soggetto a stipulare un contratto. Il male
minacciato deve essere:
- notevole: nel senso che la gravità del male deve essere valutata in astratto con
riferimento ad una persona sensata, allo scopo di evitare che un soggetto ragionevolmente
equilibrato determinare un vizio del consenso anche sotto minaccia irrisoria;
- ingiusto: nel senso che generalmente l’ingiustizia attiene al mezzo utilizzato per la
minaccia e può essere determinata secondo i criteri generali sull’individuazione dell’illecito;
ma deve anche essere diretto alla persona o ai beni dello stesso contraente.
La violenza come vizio del volere si identifica nella coazione psicologica: si parla di vis
compulsiva, di violenza morale, per distinguerla dalla violenza fisica, che impedisce la
stessa imputabilità dell’atto al suo apparente autore, determinandone la nullità.
La violenza è causa di annullamento anche se esercitata da un terzo: in tal caso, a
differenza del dolo del terzo, è irrilevante se il contraente ne sia stato informato, mentre ciò
che conta è esclusivamente il nesso di causalità che deve sussistere tra violenza e
conclusione del contratto.
Secondo l’ART.1436C.C. la violenza è causa di annullamento anche quando il male
minacciato riguarda la persona o i beni del coniuge del contraente, di un suo discendente o
ascendente; se invece, il male minacciato riguarda altre persone, l’annullamento del
contratto è rimesso alla prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice.
Non costituisce causa di annullamento il solo timore reverenziale, ossia quello che incute
una persona a causa della sua età, fama o per particolari rapporti personali.
L’ART.1438C.C. prevede l’annullamento del contratto anche nel caso in cui un soggetto
minaccia di far valere un proprio diritto, mirando a conseguire un vantaggio
ingiusto, che si configura quando il fine ultimo perseguito consiste nella realizzazione di un
risultato diverso da quello conseguibile con l’esercizio del diritto: l’ordinamento intende
colpire la strumentalizzazione dell’esercizio del diritto, e non l’esercizio in sé. Es. per
recuperare somma data a mutuo il creditore può minacciando il fallimento del debitore
imprenditore, stipulare un contratto di datio in solutum.
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LA SIMULAZIONE
1.GLI EFFETTI TRA LE PARTI:
La simulazione del contratto è la fattispecie giuridica caratterizzata dal contrasto tra un
contratto apparente e l’effettiva volontà delle parti. Con la simulazione del contratto, cioè, le
parti ostentano un negozio giuridico al quale, con accordo simulatorio contestuale, decidono
di non attribuire effetto alcuno (simulazione assoluta) o di attribuire effetti diversi rispetto
a quelli tipici del contratto apparente (simulazione relativa).
La dottrina ha elaborato varie ricostruzioni sulla simulazione:
- secondo una prima impostazione, il fenomeno simulatorio consisterebbe in una
divergenza tra volontà e dichiarazione: le parti non vogliono produrre alcun effetto,
oppure vogliono produrre effetti diversi rispetto a quelli derivanti dalla dichiarazione.
- in senso opposto, invece, si è sottolineato che la volontà delle parti mira a porre in essere
l’intero congegno simulatorio: non può dirsi che il negozio simulato non sia voluto, avendo la
funzione di creare l’apparenza, sussistono due volontà, distinte ma collegate, per cui gli
effetti interni ed esterni del regolamento contrattuale, essendo difformi sono disciplinati
separatamente.
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ART.1426C.C.: la simulazione non può essere opposta dalle parti del contratto ai creditori
del titolare apparente che in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni che sono
stati oggetto del negozio simulato.
I creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione che pregiudica i loro
diritti, e, nel conflitto con i creditori chirografari del simulato acquirente, sono preferiti a
questi, se il loro credito è anteriore all'atto simulato.
Infatti in caso di conflitto tra due creditori chirografari, un creditore del simulato alienante,
ed un creditore del simulato acquirente, prevarrà il creditore del simulato alienante se il
credito è precedente all’atto simulato perché questi, al momento della nascita del rapporto
obbligatorio, poteva far affidamento sull’esistenza del bene nel patrimonio del debitore. Fa
eccezione il caso dei beni immobili e beni registrati, per i quali si segue il criterio della
trascrizione (ART.2652C.C.). In tal caso infatti il creditore del simulato alienante prevarrà sul
creditore del simulato acquirente (anche se il credito è nato dopo l’alienazione simulata del
bene), se la trascrizione della domanda di simulazione ad opera del creditore del simulato
alienante precede la trascrizione del pignoramento da parte del creditore del simulato
acquirente.
Se il creditore del simulato acquirente ha un privilegio speciale, prevarrà sempre nei
confronti del creditore chirografario del simulato alienante, avendo acquistato un diritto
specifico sul bene, salvo il caso in cui ricorrano gli estremi dell’ART.1415C.C. (es. ipoteca
costituita in favore di creditore in mala fede).
Si discute, invece, sul caso del creditore avente privilegio generale, che nasce ex lege in
favore di certe categorie di creditori sull’insieme del patrimonio mobiliare del debitore,
quando uno di tali beni sia stato acquisito al patrimonio del debitore stesso simulatamente,
in tal caso infatti il creditore del simulato acquirente non è né chirografario, né è titolare di
un diritto su uno specifico bene.
4.AMBITO DI APPLICAZIONE:
La simulazione può essere applicata nei contratti e nei negozi unilaterali, ma
limitatamente agli atti unilaterali recettizi destinati ad una determinata persona (ART.
1414CO.3C.C.) e che siano simulati per accordo tra dichiarante e destinatario. In dottrina si
sostiene che la norma si riferisca anche ai negozi non recettizi, qualora esista un
controinteressato ben individuato, potendo tra questi e l’autore del negozio intercorrere un
accordo simulatorio.
Altri, invece, restringono l’ambito di applicazione della norma ai soli negozi unilaterali
recettizi, in cui l’interessato (cioè colui nel cui patrimonio incidono gli effetti finali del
negozio) sia non l’autore del negozio bensì il destinatario.
Non è configurabile la simulazione della cambiale, per irrilevanza del rapporto sottostante
per i terzi, né di una società di capitali, in quanto si dà vita ad una autonoma persona
giuridica, attraverso la quale conseguire determinati risultati voluti.
Anche per quanto riguarda gli atti giuridici in senso stretto, deve escludersi la possibilità
della simulazione, perché in tal caso gli effetti sono ricollegati dalla legge automaticamente e
immediatamente al verificarsi dell’atto. Tuttavia, in alcuni casi la portata dell’atto, pur
essendo non negoziale, dipende dall’autore e quindi si ammette la simulazione (es. quietanza
e confessione).
5.AZIONE DI SIMULAZIONE:
L’azione di simulazione ha natura di accertamento (negativo) dell’inefficacia assoluta
del contratto simulato:
- in caso di simulazione assoluta: è imprescrittibile;
- in caso di simulazione relativa, occorre distinguere:
a)se c’è interposizione fittizia, poiché si mira ad accertare il vero contraente l’azione è
imprescrittibile;
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INVALIDITA’
INVALIDITA’ E INEFFICACIA:
Il codice disciplina due ipotesi di invalidità: nullità ed annullabilità.
Il negozio nullo è del tutto inefficacie, mentre il negozio annullabile produce effetti
che possono essere rimossi con sentenza costitutiva avente tra le parti efficacia ex
tunc. Può dunque dirsi che l’invalidità è collegata alla inefficacia in senso lato, se si
considera che la sanzione che colpisce il negozio invalido è la mancata produzione di effetti o
la possibilità di rimuoverli. L’inefficacia in senso lato non è però autonoma categoria, è
cioè un modo di essere del contratto quando non si producono effetti negoziali.
E’ invece autonoma la categoria dell’inefficacia in senso stretto, che deve essere distinta
dalla invalidità. Infatti il negozio inefficace è pur sempre un negozio valido e dotato di una
propria rilevanza di fronte al diritto. L’inefficacia per questo non può identificarsi nemmeno
con l’irrilevanza.
Dunque l’inefficacia del contratto è distinta in due categorie:
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1)inefficacia in senso ampio: riguarda tutti i casi in cui la mancanza di effetti deriva da un
fattore intrinseco come un vizio, che a sua volta può derivare dal fatto che il negozio pur
essendo giuridicamente esistente, è manchevole o viziato nei suoi elementi o requisiti
essenziali: in tal caso si ha la figura dell’invalidità.
2)inefficacia in senso stretto: che comprende tutte le ipotesi in cui la mancanza degli
effetti derivi da un fattore estrinseco, ovvero quando si verifica un’inettitudine transitoria del
contratto a produrre i suoi effetti (es. un contratto valido non produce i suoi effetti giacché è
sottoposto a condizione sospensiva non ancora verificatasi), il negozio è valido ma per un
fatto esterno non produce i suoi effetti.
Il collegamento tra la fattispecie ed il fatto ulteriore che determina l’inefficacia, può essere:
-collegamento strutturale: qui il fatto ulteriore è meramente impeditivo, si parla in tal
caso di inefficacia originaria del negozio, essendo gli effetti impediti fin dall’inizio. Il
collegamento può essere:
a)necessario: quando la fattispecie non è intrinsecamente idonea alla produzione degli
effetti (esempio è oggetto determinabile o indicato genericamente o rimesso all’arbitrio del
terzo)
b)accidentale: quando la fattispecie è intrinsecamente idonea alla produzione degli effetti,
come nel caso del negozio condizionato sospensivamente.
-collegamento funzionale: quando il fatto è sopravvenuto e non è meramente impeditivo
perché trae con sé conseguenze giuridiche proprie, che eliminano quelle già prodotte dalla
fattispecie (non si tratta di un fatto meramente impeditivo), in tal caso l’inefficacia è
successiva. Anche il collegamento funzionale può essere necessario (es. risoluzione,
rescissione, revoca dell’atto di disposizione) o accidentale (es. condizione risolutiva o
termine finale).
Diversa è l’inesigibilità che si configura quando il creditore non può efficacemente
pretendere l’adempimento di un’obbligazione anche se nata da un contratto valido ed
efficace. L’inesigibilità si atteggia alla stessa stregua della prescrizione.
1.NULLITA’:
Nel codice civile manca una definizione ma il libro 4 prevede il regime ad essa applicabile.
L’atto nullo è improduttivo di effetti per un vizio strutturale. Si discute se questa
regola tolleri eccezioni.
In caso di risposta positiva si parla di qualificazione negativa, in caso di risposta
negativa si parla di inqualificazione perché non c’è nulla di giuridicamente rilevante:
1)l’ espressione qualificazione negativa è contraddittoria perché il termine qualificazione
rimanda alla recezione dell’atto dal piano sociale al piano giuridico (perciò espressione di
qualificazione positiva). Avendo il negozio giuridico rilevanza sociale nel momento in cui è
dichiarato nullo, quindi in realtà il negozio non perde la sua rilevanza ma si nega la sua
realizzazione.
2)In realtà un negozio nullo, secondo Gazzoni, è inqualificato e dunque irrilevante sul
piano giuridico, mentre nessuna importanza può essere attribuita al fatto che tale negozio
possieda una rilevanza sociale.
Tali caratteristiche di irrilevanza e di inqualificazione sono attribuite dalla dottrina che
considera la nullità come qualificazione negativa al negozio inesistente. Si ha inesistenza
quando il negozio non ha nemmeno rilevanza sociale ed quindi è inidoneo a produrre effetti.
L’inesistenza dunque è categoria sociale e non giuridica.
CAUSE DI NULLITA’: ART.1418C.C.: dispone che il contratto è nullo quando:
1)sia contrario a norme imperative ,salvo che la legge disponga diversamente.
2)se presenti un difetto strutturale o funzionale (producono nullità del contratto la mancanza
di uno dei requisiti indicati dall'ART.1325C.C., l'illiceità della causa ART.1343C.C., l'illiceità
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dei motivi nel caso indicato dall'ART.1345C.C. e la mancanza nell'oggetto dei requisiti
stabiliti dall'ART.1346C.C..
3)il contratto è nullo anche in altri casi espressamente previsti dalla legge
ART.1418CO.3C.C..
Nel caso di difetto strutturale, ART.1418CO.2C.C., i contraenti non osservano il disposto
dell’ART.1325C.C. cosicchè non è ravvisabile un accordo (es. violenza fisica) oppure una
causa che giustifichi lo spostamento patrimoniale ovvero un oggetto possibile, determinato,
determinabile o la forma ad substantiam, se richiesta dalla legge.
Per quanto riguarda il difetto causale, ciò che può far difetto non è la causa ma il tipo
contrattuale.
L’illiceità discende da un giudizio di disfavore normativo: ossia se un operazione privata è in
contrasto con una norma imperativa, l’ordine pubblico o il buon costume.
L’ipotesi di illiceità va distinta dalla generica illegalità, che si ha quando il contratto viola
norme imperative secondo quanto previsto dall’ART.1418CO.1C.C. (nullità virtuale). In effetti
vige una distinzione tra nullità testuale, quella prevista dalla norma, e nullità virtuale,
appunto quella che si ricava dalla ratio della norma imperativa violata pur non essendoci
espressa previsione.
Tale distinzione porta alla contrapposizione tra generica illegalità e specifica illiceità.
L’illiceità porta sempre alla nullità, al contrario della illegalità.
L’ART.1418CO.1C.C. va interpretato però in maniera non restrittiva, perché la nullità va
esclusa in caso di espressa disposizione di legge, ma anche se implicitamente espressa tale
esclusione della nullità dalla ratio legis. Dalla violazione di una norma imperativa deriva
dunque la nullità quando la norma tutela interessi generali e non settoriali oppure quando è
inderogabile in senso assoluto per tutti i soggetti di diritto.
Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto nullo, a tutela della salute, il contratto di vendita
di caffè, senza indicazione della scadenza, ed al contrario valido, il contratto con cui si
pongono in commercio uova da cova senza i dati indicati dalla L.356/1966 (tale norma
benché imperativa non è volta alla tutela generale della salute pubblica, ma solamente al
razionale e controllato svolgimento della produzione e del commercio delle uova).
Non si ricorre alla nullità quando la legge assicura l’effettività della norma imperativa con la
previsione di rimedi diversi di natura tributaria o penale.
Le clausole contrattuali nulle per contrarietà a norme imperative, in caso di successiva
abrogazione delle norme stesse, non sono suscettibili di reviviscenza, salvo che la legge
non operi retroattivamente incidendo sulla qualificazione degli atti compiuti.
Si ritiene, invece, possibile la nullità sopravvenuta che consegue ad una mutata
valutazione normativa, relativa ai negozi ad effetti differiti o sospesi da una parte e di durata
dall’altra, operando ex nunc, e dunque sugli effetti futuri. Nel primo caso perché gli effetti
non si sono ancora prodotti, nel secondo caso per via analogica. Però parlare di nullità
sopravvenuta è una contraddizione perché la nullità, riguardando l’atto, non può che essere
originaria.
La disciplina della nullità mira ad assicurare l’effettiva tutela agli interessi generali.
L’ART.1421C.C. prevede che, salvo diversa disposizione di legge, può far valere la nullità
chiunque vi abbia interesse (legittimazione assoluta), essendo tutelati interessi
superindividuali, e il giudice al quale i privati si siano rivolti per far valere quanto pattuito. Il
giudice può rilevarla d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche contro la volontà delle
parti.
Ciò deve avvenire nella controversia promossa per far valere i diritti che presuppongono la
validità del contratto, nel rispetto di quel potere-dovere del giudice di verificare la
sussistenza delle condizioni dell’azione. Il giudice dovrà decidere nei limiti della domanda
delle parti e sulla base dei fatti dalle stesse allegate. Il giudice può rilevarla di ufficio in via
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Sia la conversione che la sostituzione trovano la loro ragion d’essere nel principio di
conservazione del contratto secondo il quale occorre sempre cercare di bilanciare l’invalidità
del contratto con regole che, per quanto possibile, assicurino la stabilità delle situazioni
giuridiche che si sono create e sulle quale i terzi abbiano fatto affidamento.
La giurisprudenza non pone limiti alla conversione sulla base dei tipi negoziali ma solo sulla
base della struttura, escludendo la possibilità di una conversione di un contratto in un
negozio unilaterale.
2. ANNULLABILITA’:
Il contratto può nascere privo di vizi strutturali ma nel contempo presentare diversi vizi che
attengono alla consapevolezza e volontarietà dell’atto. L’annullabilità è prevista in ipotesi
tassative:
-per mancanza della capacità di agire delle parti;
-per presenza di vizi della volontà (dolo, errore e violenza);
-in altre ipotesi previste dalla legge (es: conflitto di interessi nella rappresentanza, la
contrattazione del rappresentato con se stesso).
L’ annullabilità presuppone l’inconsapevolezza rispetto ai vizi dell’atto al momento della
conclusione.
Al contrario della nullità, l’annullabilità è prevista al fine di tutelare interessi
individuali.NRisponde a tale ratio l’ART.1426C.C. che afferma che il contratto non è
annullabile qualora il minore abbia con raggiro occultato la propria età. Infatti se
l’ART.1425C.C. (che prevede l’annullabilità del contratto nel caso in cui una delle parti sia
incapace legalmente di contrarre) fosse posta a tutela di interessi superindividuali non
sarebbe ammissibile nessuna eccezione tantomeno l’ART.1426C.C..
L’annullabilità può essere domandata solo dalla parte interessata all’eliminazione
degli effetti del contratto prodottisi (legittimazione relativa che è la regola). Il giudice non
può intervenire ex officio.
Vi sono ipotesi normative di legittimazione assoluta con l’attribuzione del potere di
impugnare l’atto a chiunque abbia interesse. Ad esempio l’interdizione legale (ART.1441
CO.2C.C.), che non è un istituto posto a tutela dell’incapace ma è una sanzione prevista
dall’ordinamento che perciò allarga la legittimazione parlando così di annullabilità assoluta.
Può il destinatario di una dichiarazione annullabile respingerla per impedire che si producano
i suoi effetti?
Es. Si pensi alla situazione i cui si trova il proponente che è venuto a conoscenza che l’oblato
ha subito violenza da parte di un terzo, e non ha avuto il tempo di revocare la proposta
prima dell’arrivo della accettazione:
1)chi propende per la soluzione positiva ritiene sia inevitabile, perché se non rifiuta il
destinatario dovrà subire l’attesa dell’azione di annullamento.
2)chi invece propende per la soluzione negativa ritiene che, essendo il giudice ad
esercitare il potere di annullamento con sentenza costitutiva, il destinatario non può
eliminare la dichiarazione. Il destinatario non può neanche ridurre il periodo di incertezza
con una interpellatio al dichiarante, ossia con la richiesta all’oblato consapevole
dell’annullabilità dell’atto, e considerando il suo silenzio come causa della perdita dell’azione
di annullamento ,perché la perdita dell’azione può derivare solo da convalida (che può essere
espressa o per fatti concludenti ma mai con silenzio) .Tuttavia taluni ritengono che il potere
di interpello potrebbe creare una situazione di apparenza e di affidamento che legittima, in
caso di esercizio successivo dell’azione, una eccezione basata sull’abuso del diritto.
PRESCRIZIONE: ART.1442C.C.: l'azione di annullamento si prescrive in cinque anni.
Quando l'annullabilità dipende da vizio del consenso o da incapacità legale il termine decorre
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dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l'errore o il dolo, è cessato lo stato
d'interdizione o d'inabilitazione ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età. Negli altri casi
il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto. L'annullabilità può essere
opposta dalla parte convenuta per l'esecuzione del contratto, anche se è prescritta l'azione
per farla valere.
Altro elemento di differenziazione tra la nullità e l’annullabilità è rappresentato dalla
prescrizione, infatti mentre l’azione di nullità è imprescrittibile, l’azione di annullamento si
prescrive in 5 anni che decorrono, di regola, dalla conclusione del contratto. In caso di vizio
della volontà o di incapacità legale il termine risulta più lungo perché inizia a decorrere dal
giorno in cui viene scoperto l’errore o il dolo, è cessata la violenza o è cessato lo stato di
interdizione o di inabilitazione o il minore ha raggiunto la maggiore età.
La giurisprudenza riconosce effetto interruttivo solo alla domanda giudiziale e non a qualsiasi
atto stragiudiziale di messa in mora perché il diritto all’annullamento è un diritto potestativo,
con conseguente inesistenza dal lato passivo di un obbligato cui possa richiedersi
l’adempimento di una prestazione. Qualora il contratto non abbia ricevuto esecuzione oltre 5
anni dalla sua conclusione l’annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per
l’esecuzione del contratto anche quando è prescritta l’azione per farla valere.
SENTENZA DI ANNULLAMENTO: la sentenza di annullamento è costitutiva perché
elimina ex tunc gli effetti del contratto prodottisi a differenza della nullità che è meramente
dichiarativa. Data la retroattività della sentenza vi è identità funzionale almeno inter partes
tra il contratto nullo e il contratto annullato. Se il contratto annullato ha avuto esecuzione
viene riconosciuta l’azione di ripetizione poiché viene meno ex tunc la giustificazione degli
spostamenti patrimoniali verificatisi.
L’azione di ripetizione incontra un limite nei confronti del contraente incapace di agire, questi
non è tenuto a restituire la prestazione ricevuta salvo che la prestazione sia a proprio
vantaggio.
L’annullamento, che non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti dei terzi di
buona fede acquistati a titolo oneroso, salvi gli effetti di trascrizione della domanda di
annullamento (ART.1445C.C.). Il regime della trascrizione della domanda di annullamento è
in linea generale quello della trascrizione della domanda di nullità. L’unica differenza sta nel
caso in cui l’acquisto del terzo è avvenuto a titolo oneroso e il motivo dell’annullabilità non
sia l’incapacità legale. In questo caso il terzo di buona fede fa salvo il proprio diritto se
trascrive l’atto di acquisto prima della trascrizione della domanda di annullamento.
CONVALIDA: ART.1444C.C.: la parte cui spetta l’azione di annullamento potrebbe
preferire la conservazione del contratto. Il legislatore ha perciò previsto la convalida. La
convalida può essere espressa o tacita. La convalida espressa è un negozio giuridico,
unilaterale e non recettizio, a carattere accessorio con contenuto tipico. La legge prevede
che esso deve contenere la menzione del contratto, l’indicazione del motivo di annullabilità e
la dichiarazione che si intende convalidarlo. La convalida presuppone che il negozio viziato
sia già venuto ad esistenza.
Si discute sulla recettizietà dell’atto. L’atto è una rinunzia all’azione perché non si
producono nuovi effetti, ma si stabilizzano quelli già prodottisi e la rinunzia ha carattere
abdicativo.
Per quanto riguarda la forma vi è una contrapposizione tra chi ritiene sia la stessa del
contratto da convalidare, per relationem (Gazzoni), altri (Bianca) ritengono sia libera, altri
ancora sempre scritta (Santoro – Passarelli). Bisogna perciò distinguere se l’atto è
integrativo, volto a sostituire l’elemento viziato del contratto dovrà avere la forma di
questo. Se invece l’atto è in realtà una rinunzia all’azione di annullamento allora la forma
sarà libera. Se invece si fa attenzione alla dizione normativa secondo cui la convalida dovrà
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RESCISSIONE
La natura del rimedio rescissorio è controversa in dottrina. Ci si chiede se il contratto
rescindibile sia invalido, quindi se la rescissione sia una forma di invalidità, analoga
all’annullabilità per vizio del consenso (come la violenza morale).
Gazzoni sostiene che la disciplina della rescissione è diversa dall’annullabilità, la base
comune si riscontra solo un due caratteristiche di fondo:
-prescrittibilità, peraltro con termini diversi.
-legittimazione relativa.
Inoltre è da notare che la rescissione è un rimedio eccezionale, infatti come principio
generale l’ordinamento non si preoccupa del contenuto squilibrato di un contratto, se non c’è
vizio della volontà.
Inoltre la rescissione riguarda solo i contratti sinallagmatici. Il rimedio della rescissione si
applica, inoltre, a due sole ipotesi: stato di pericolo e stato di bisogno:
1)STATO DI PERICOLO:
L’ART.1447C.C. stabilisce che: “il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a
condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona può essere rescisso su domanda della
parte che si è obbligata”.
Il rimedio della rescissione è posto a tutela dell’equilibrio della contrattazione, attesa la
condizione di menomazione in cui si trova un contraente. I requisiti richiesti sono:
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Non è ammessa la rescissione nei contratti aleatori, essendo connaturata a tali contratti la
possibilità, legata alla sorte, che nasca un vantaggio sproporzionato a favore di una parte.
I presupposti per l’azione di rescissione sono:
-la lesione ultra dimidium, cioè il valore della prestazione deve essere oltre il doppio del
valore della controprestazione.
-lo stato di bisogno della parte danneggiata, che va inteso non come assoluta indigenza o
incapacità patrimoniale, ma come situazione di difficoltà economica, anche transitoria.
-l’approfittamento dello stato di bisogno, che non consiste necessariamente in un
comportamento attivo, ovvero in un’iniziativa fraudolenta della parte, infatti, è sufficiente la
consapevolezza del vantaggio patrimoniale che si trae dalla situazione di bisogno della
controparte.
Esempio: Tizio, trovandosi in gravi difficoltà economiche, svende i propri beni per realizzare
denaro e Caio, consapevole della condizione di bisogno di Tizio, ne approfitta offrendo un
prezzo irrisorio (inferiore di oltre la metà rispetto al valore di mercato:
“ultra dimidium”).
Nonostante sia l’ART.1447C.C. e l’ART.1448C.C. menzionino solo la persona del contraente,
lo stato di bisogno e lo stato di pericolo possono riguardare anche i familiari o altre persone.
Contraente può anche essere una società o l’eredità giacente, perché è rilevante, nello stato
di bisogno, non lo stato psicologico del curatore, ma l’assenza di liquidità patrimoniale.
Lo stato di bisogno può consistere anche in una semplice difficoltà economica o nella
carenza di liquidità transitoria e può essere stato causato dallo stesso contraente, purché sia
effettivo o non soltanto putativo, infine deve essere stato determinante per la
contrattazione, nel senso dell’esistenza di un nesso di causalità psicologica tra stato di
bisogno e decisione di contrarre, che a sua volta deve presentarsi come necessaria.
Lo stato di bisogno e quello di pericolo si distinguono in base alla natura degli interessi, il
primo riguarda interessi patrimoniali, il secondo attiene ad interessi personali. In merito al
concetto di approfittamento:
-Alcuni ritengono che sia sufficiente la conoscenza dello stato di bisogno.
-Altri sostengono che sia necessaria l’intenzione specifica di avvantaggiarsi a spese dell’altro
contraente.
-La giurisprudenza ritiene che sufficiente il contegno passivo di chi si limita a mantenere
ferma un’offerta lesiva.
Lo squilibrio tra le prestazioni va verificato sulla base di accertamenti oggettivi, facendo
riferimento al valore delle prestazioni al momento della conclusione del contratto e riguarda
sia la prestazione principale che quelle accessorie e le varie modalità. I valori presi in
considerazione saranno quelli di mercato, escludendo qualsiasi rilevanza del valore personale
ed affettivo.
La lesione ultra dimidium deve perdurare fino a quando la domanda di rescissione è
proposta, quindi, potrebbe venire meno successivamente alla conclusione del contratto in
seguito ad un incremento del valore del bene ricevuto dal leso o da un decremento del valore
di quello ceduto, in termini reali e non per sopravvenuta svalutazione monetaria.
DISCIPLINA DELLA RESCISSIONE: la disciplina della rescissione è del tutto peculiare,
anche se per alcuni versi è analoga a quella dell’annullabilità. Il contratto rescindibile produce
effetti provvisori, i quali, però, si consolidano a seguito della prescrizione dell’azione,
essendo inammissibile un atto di convalida, al contrario dell’annullamento.
Il divieto di convalida è importante per distinguere le due figure. La differenza trova il suo
fondamento nel fatto che la rescissione è un mezzo di tutela dell’equilibrio oggettivo del
contratto sotto il profilo dell’equità. A differenza della annullablità che è indirizzata alla tutela
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della libertà del volere del contraente leso. L’inammissibilità della convalida comporta anche
l’inammissibilità della rinunzia all’azione di rescissione.
Si discute invece sulla possibilità di transazione che è:
-secondo la dottrina vietata, perché comporterebbe comunque una rinuncia.
-secondo la giurisprudenza è ammissibile, perchè questa comporta un contratto del tutto
autonomo rispetto a quello rescindibile.
Gli opposti punti di vista sembrano comporsi se si considera che il contratto rescindibile può
essere modificato dal contraente non leso con una sua offerta, finalizzata a ricondurre il
contratto ad equità. Pertanto la transazione non in senso tecnico ma considerata come
riconduzione convenzionale del contratto ad equità, sembra ammissibile.
Mentre la rescissione si prescrive in 1 anno dalla conclusione del contratto o in caso di
vendita dalla determinazione del prezzo se successiva, l’annullamento si prescrive in 5 anni.
La brevità del termine di prescrizione della rescissione può essere superato quando il
comportamento dell’altro contraente integra gli estremi del reato, ciò accade con riferimento
all’usura. La rescissione e l’usura differiscono in base ai presupposti, infatti, l’usura si
configura a prescindere dallo stato di bisogno e dell’approfittamento, che costituisce solo
un’aggravante quando, in presenza di condizioni di difficoltà economica e finanziaria, c’è,
sotto qualsiasi forma, uno scambio di danaro o altra utilità con interessi o altri vantaggi
usurai.
Il contraente contro cui è domandata la rescissione la può evitare offrendo una
modificazione, non necessariamente pecuniaria, del contratto che sia sufficiente a
riequilibrare il sinallagma, senza che sia rilevante la volontà dell’altro contraente
(recondutio ad equitatem).
L’offerta di riduzione ad equità è, infatti, un atto unilaterale recettizio che, però, ha
dubbia natura:
-Processuale: eccezione in senso sostanziale, con cui il convenuto blocca l’azione dell’attore
(offerta di modificazione proposta solo nel processo).
-Sostanziale: la proposta può essere fatta sia nel processo sia in sede stragiudiziale.
L’offerta deve essere puntuale, l’offerente deve indicare esattamente le clausole da
modificare ed in quali termini. Il giudice dovrà solo accertare se l’offerta ha ristabilito
l’equità, cioè l’equilibrio oggettivo tra le prestazioni senza nessuna discrezionalità.
La sentenza che pronuncia la rescissione del contratto è una sentenza ad iniziativa del
solo contraente leso che si trovava in stato di bisogno o di pericolo ed ha carattere
costitutivo ed elimina gli effetti ex tunc. Le parti dovranno procedere alle indebite
restituzioni, garantite sul piano processuale dalla condictio indebiti, o, se la restituzione è
impossibile, dovranno procedere al pagamento del valore di stima del bene.
La rescissione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, anche se l’acquisto è
avvenuto in mala fede, e sia che siano a titolo oneroso o gratuito (anche in mala fede e
gratuito a differenza della annulabilità).
Quando la domanda di rescissione è soggetta a trascrizione, l’acquisto dei terzi è fatto salvo
a condizione che sia stato trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale di
rescissione, in caso contrario, la sentenza di rescissione farà stato anche nei confronti dei
terzi, che perderanno il loro diritto acquisito.
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RISOLUZIONE
1. FONDAMENTO:
La validità del contratto attiene al momento della conclusione, però un contratto concluso
validamente può anche non produrre effetti per circostanze sopravvenute e in quest’ ultimo
caso abbiamo la risoluzione. La risoluzione si verifica quando il contratto non assicura più il
soddisfacimento degli interessi dei contraenti e tale inidoneità può essere causata dal
comportamento delle parti ma può anche dipendere da eventi non prevedibili e non
imputabili.
Sia nel caso della rescissione come della risoluzione, ad essere colpito è il sinallagma, cioè
l’equilibrio delle prestazioni però mentre nella rescissione il difetto è genetico ossia
originario, in caso di risoluzione è funzionale, cioè sopravvenuto; in entrambi i casi il vizio
del sinallagma può colpire i contratti a prestazioni corrispettive, dove le prestazioni sono
legate da un nesso di interdipendenza funzionale.
La risoluzione mira a riequilibrare la posizione economico-patrimoniale dei contraenti
eliminando con efficacia ex tunc gli effetti del contratto e dunque essa incide sul rapporto e
non sull’atto. Vi sono una pluralità di fattispecie della risoluzione che però non sono
ricondotte ad unità sul piano disciplinare.
2. L’INADEMPIMENTO:
Di fronte all’inadempimento di una delle parti, l’altra ha la possibilità di fare 2 scelte:
1)se non ha ancora adempiuto può opporre l’eccezione di inadempimento e così rifiutarsi di
adempiere a sua volta;
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2)se invece la parte ha adempiuto può costituire in mora la controparte debitrice in vista di
un adempimento tardivo o per iniziare un giudizio volto ad ottenere la condanna ed agire, in
caso di inosservanza della condanna, con l’esecuzione forzata; nel caso in cui però la parte
possiede titolo esecutivo, come una cambiale, allora può agire senza aspettare la previa
condanna.
Nel caso in cui la parte adempiente non abbia interesse all’adempimento tardivo o alla
realizzazione coattiva del proprio credito potrà scegliere la strada della risoluzione del
contratto.
Le due strade hanno in comune: l’obbligo risarcitorio che grava sulla parte inadempiente
per l’illecito contrattuale commesso (a tale proposito la dottrina ritiene che la domanda di
risarcimento possa essere chiesta anche autonomamente rispetto alla domanda di
adempimento o di risoluzione. Pertanto la condanna a risarcire il danno può essere
pronunciata a che se la domanda di risoluzione è stata respinta).
Per quanto riguarda l’onere della prova: il creditore deve provare la fonte del suo diritto,
al debitore spetta provare il fatto estintivo del diritto stesso.
Il danno risarcibile è quello derivante dal c.d. interesse positivo, però nel caso di
pronuncia di risoluzione per quantificare il danno risarcibile si dovrà tenere conto di ciò che il
creditore lucra per non dover più adempiere la propria prestazione e della utilità che ha
ricavato dall’operazione economica effettuata prima della risoluzione.
L’ART.1453C.C. detta delle regole di tutela sia per la parte adempiente che per quella
inadempiente in relazione sia all’adempimento che alla risoluzione:
1)l’azione di adempimento interrompe la prescrizione dell’azione di risoluzione, essendo
entrambe rivolte a tutelare il diritto alla prestazione.
La risoluzione può essere chiesta anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere
l’adempimento, questo succede perché l’interesse del creditore all’adempimento può sempre
venir meno con il tempo e dunque egli deve sempre poter avvalersi della risoluzione.
La giurisprudenza ammette questo mutamento di domanda in corso di giudizio che
sopravvive anche alla sentenza di condanna ad adempiere (ovviamente fino al momento
precedente all’adempimento).
2)non è possibile chiedere l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione perché la
parte inadempiente può trovarsi nella condizione di non poter più adempiere alla propria
obbligazione nemmeno volendo a causa della scelta della risoluzione. (Per questo è esclusa
la preclusione ove il creditore dimostra che il debitore non ha interessi ad opporsi alla
domanda di adempimento. E’ esclusa la preclusione, secondo la giurisprudenza maggioritaria
se viene meno, successivamente alla domanda ,l’interesse del creditore alla risoluzione. In
tal modo però il debitore non può ritenersi libero dall’adempimento, pur se il creditore inizi il
giudizio di risoluzione, ma ciò contraddice la ratio della norma).
3)si disciplina l’ipotesi di adempimento successivo alla domanda di risoluzione; in linea di
massima il debitore non può più adempiere, una volta iniziato il giudizio di risoluzione,
perché il creditore ha manifestato di non aver interesse ad un adempimento tardivo.
Prima di iniziare l’azione di risoluzione, il creditore deve mettere in mora il debitore?
La dottrina ritiene che il creditore non debba costituire in mora il debitore nell’ipotesi di
inadempimento grave e definitivo, mentre diversa è la situazione nel caso in cui
l’inadempimento è grave ma la prestazione è ancora possibile. Perché in tal caso la
costituzione in mora prima del inizio del giudizio di risoluzione deriverebbe dal fatto che il
mancato adempimento potrebbe generare nel debitore l’affidamento circa la tolleranza del
ritardo. La messa in mora però non è dovuta perché la tolleranza presuppone circostanze
ulteriori rispetto alla semplice inerzia, perché anche se il debitore offrisse l’adempimento, il
debitore potrebbe comunque rifiutarlo se è venuto meno il suo interesse e agire per
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colpa al debitore ma non deve essere necessariamente grave, per cui in questo caso non
trova applicazione l’ART.1455C.C. circa l’importanza dell’inadempimento, ove appunto ci sia
una clausola risolutiva espressa.
La risoluzione non è automatica, cioè non consegue de iure al mancato adempimento
dell’obbligazione perché la parte interessata deve dichiarare all’altra parte che intende
avvalersi della clausola risolutiva; infatti rispetto al momento in cui la clausola è stata
pattuita potrebbe sopravvenire un interesse del creditore all’adempimento tardivo e questo
interesse verrebbe frustrato se la risoluzione fosse automatica.
La dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva ha natura negoziale, cioè si
tratta di un negozio unilaterale recettizio non formale che può essere contenuto in un
atto di citazione con cui si chiede la condanna del debitore a restituire quanto ricevuto. E’
possibile che il creditore rinunzi alla facoltà di avvalersi della clausola e questa rinunzia può
essere espressa ma anche conseguente ad un comportamento in equivoco incompatibile con
la volontà di risolvere il contratto.
3)termine essenziale: se si considera essenziale il termine fissato per la prestazione di una
delle parti, questa se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine deve
darne notizia all’altra parte entro 3 giorni, in caso contrario il contratto si intende risolto di
diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione (salvo patto o uso
contrario).
Questa terza ipotesi di risoluzione di diritto presenta analogie ma anche diversità con quella
della clausola risolutiva espressa; in entrambi i casi la risoluzione consegue al modo con cui
è stato fissato il regolamento contrattuale o perché c’è una clausola espressa o perché c’è un
termine essenziale, ne consegue che anche nel caso del termine essenziale non si applica
l’ART.1455C.C. cioè l’indagine sull’importanza dell’inadempimento purchè sia imputabile al
debitore.
Il termine essenziale, a differenza della clausola, opera automaticamente ma l’effetto
risolutorio può essere evitato da una espressa dichiarazione del creditore, che deve avere
carattere negoziale e forma libera, con la quale il creditore dichiara, entro 3 giorni, di avere
interesse ad un adempimento tardivo.
Circa il momento in cui il contratto deve ritenersi risolto ci sono 2 teorie:
1)secondo taluni allo scadere dei tre giorni successivi all’inadempimento.
2)secondo altri al momento dell’inadempimento.
Secondo la dottrina l’essenzialità del termine potrebbe desumersi dalla volontà dei
contraenti (in questo caso si parla di essenzialità soggettiva che risulta da una
dichiarazione espressa o tacita dei contraenti), o dalla natura del contratto o dalle modalità
della prestazione (in questo caso si parla di essenzialità oggettiva .Es. torta matrimoniale
per il giorno del matrimonio).
Nell’essenzialità soggettiva il termine deve essere indicato in modo preciso e rigoroso e le
dichiarazioni sulla inderogabilità devono essere inequivoche. Anche in tal caso il termine
essenziale può essere rinnovato dalla parte interessata.
RISOLUZIONE GIUDIZIALE: se il creditore vuole risolvere il contratto ma non ha pattuito
una clausola risolutiva espressa o un termine essenziale oppure non vuole assegnare un
termine per l’adempimento al debitore, deve agire giudizialmente e la sentenza che
concluderà il procedimento ha carattere costitutivo.
Il giudice può anche essere chiamato a risolvere una controversia in ordine all’avvenuta
risoluzione di diritto del contratto la sua sentenza sarà di mero accertamento dell’intervenuta
risoluzione, esempio il debitore che contesta l’essenzialità del termine oppure la validità della
clausola risolutiva.
Nel contratto con prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere
la prestazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la
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propria, a meno che le parti abbiano stabilito termini diversi per l’adempimento. Il contrasto
tra i contraenti può essere risolto con una sentenza che condanni il convenuto ad adempiere,
subordinatamente all’adempimento dell’attore.
Si tratta di una forma di autotutela definita eccezione di inadempimento, però può anche
accadere che entrambe le parti oppongano l’eccezione sostenendo di non aver adempiuto in
quanto la controparte a sua volta non ha adempiuto, in tal caso spetterà al giudice accertare
quale dei due inadempimenti sia più grave e tale da legittimare l’eccezione.
L’eccezione di inadempimento può anche paralizzare una domanda di risoluzione, che può
essere giudiziale o stragiudiziale, tuttavia il contraente non può rifiutare l’esecuzione se il
rifiuto è contrario alla buona fede, e questa impone che la fondatezza dell’eccezione vada
valutata secondo un criterio di equivalenza e di proporzionalità tra l’adempimento che viene
richiesto e quello che non è stato eseguito.
ART.1461C.C.: prevede inoltre la possibilità che il contraente sospenda l’esecuzione della
propria prestazione se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in
evidente pericolo il conseguimento della controprestazione a meno che non sia presentata
idonea garanzia. La sospensione può invocarsi quando la controparte deve eseguire la
propria prestazione in un secondo momento mentre l’eccezione di inadempimento può
opporsi quando le prestazioni devono essere eseguite meno contro mano. Questa diversità
non impedisce l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento anche quando la prestazione va
eseguita in un secondo momento.
La sospensione può essere invocata se le prestazioni devono essere eseguite mano contro
mano ma non possono essere contemporanee da un punto di vista concreto.
Le parti possono stabilire l’inopponibilità di eccezioni per evitare o ritardare la prestazione
dovuta; questa clausola, detta solve et repete, non ha effetto per le eccezioni di nullità, di
annullabilità e di rescissione del contratto come sancito dall’ART.1462C.C. che, al CO.2,
stabilisce anche che se concorrono gravi motivi il giudice può decidere di sospendere la
condanna all’adempimento imponendo, se del caso, una cauzione.
La giurisprudenza limita notevolmente la portata della clausola, negando che possa bloccare
l’eccezione di inadempimento.
3.IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA:
E’ un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento.
L’obbligazione si estingue quando la prestazione diventa oggettivamente impossibile per
causa non imputabile al debitore; lo scioglimento del contratto opera di diritto. Nel caso di
impossibilità totale la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione
non imputabile non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già
ricevuto; però si ha estinzione anche nel caso di impossibilità temporanea quando il creditore
non ha più interesse a ricevere la prestazione.
Al contrario nell’impossibilità parziale, l’obbligazione non si estingue e il debitore è liberato
se esegue la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
In caso di contratto a prestazioni corrispettive non si può applicare questa disciplina perché
creerebbe un grave squilibrio del sinallagma e quindi l’ART.1464C.C. introduce un correttivo
legittimando la controparte o a pretendere una riduzione della propria prestazione o a
recedere dal contratto se non ha interesse all’adempimento parziale.
In caso di impossibilità totale della prestazione di una delle parti di un contratto plurilaterale
non si ha scioglimento del contratto a meno che la prestazione mancata sia da considerarsi
essenziale (ART.1466C.C.).
L’ART.1465C.C. detta una disciplina particolare per l’impossibilità sopravvenuta nei contratti
che trasferiscono o costituiscono diritti reali (contratto traslativo)(è una norma derogabile):
1)se l’impossibilità sopravviene al trasferimento l’acquirente non è liberato dall’obbligo di
eseguire la controprestazione anche se la cosa non gli è stata consegnata (questo vuol dire
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dunque che la custodia della cosa non costituisce una controprestazione e non fa parte del
sinallagma);
2)La stessa disposizione si applica nel caso in cui l'effetto traslativo o costitutivo sia differito
fino allo scadere di un termine;
3)se il trasferimento ha ad oggetto una cosa generica l’acquirente non è liberato dall’obbligo
di eseguire la controprestazione se l’alienante ha operato la consegna o la cosa è stata
individuata (applicazione del principio res perit domino);
4)comunque l’acquirente è liberato dalla propria obbligazione se il trasferimento era
sottoposto a condizione sospensiva e l’impossibilità è sopravvenuta prima che si verifichi la
condizione”.
4.ECCESSIVA ONEROSITA’ SOPRAVVENUTA: ART.1467C.C.:
Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica se la prestazione di una delle parti è
divenuta eccessivamente onerosa, e sempre che questa onerosità non rientri nell’alea del
contratto, per il verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili la parte che deve tale
prestazione può chiedere la risoluzione del contratto (e questo succede perché si crea uno
squilibrio patrimoniale che comporta un’alterazione del rapporto di valore tra le due
prestazioni). In questo modo il legislatore ha voluto porre rimedio ad una situazione non
prevista al momento della conclusione del contratto e appunto per ciò il rimedio si applica ai
contratti corrispettivi la cui esecuzione non sia immediata ma protratta nel tempo, mentre
non si applica ai contratti aleatori per loro natura o per volontà delle parti.
Questo rimedio dunque serve per tutelare l’equilibrio delle prestazioni e dunque il sinallagma
e può essere applicato quando la prestazione è differita nel tempo, cioè anche in caso di
contratto ad esecuzione immediata dove però le parti hanno rinviato l’adempimento della
prestazione con accordo tacito o quando la prestazione è divenuta temporaneamente
impossibile e l’obbligazione non si estingue.
Secondo la dottrina tale norma si applica anche al contratto preliminare e questo perché le
conseguenze negative che comporta la stipula del contratto definitivo divenuto
eccessivamente oneroso sono già insite nelle conseguenze negative del preliminare, per lo
stesso motivo è impugnabile per eccessiva onerosità sopravvenuta anche il contratto di
opzione.
La norma però non si applica nei casi in cui esiste una speciale disciplina normativa (come
per l’appalto) o pattizia per porre rimedio alle conseguenze negative derivanti da variazione
di valore sopravvenute alla conclusione del contratto; tuttavia la giurisprudenza ritiene che
anche in questi casi si possa applicare la norma dell’ART.1467C.C. se gli eventi imprevedibili
e straordinari sono stati tali da porre nel nulla i rimedi previsti dalla legge o dai privati.
Il debitore obbligato ad una prestazione eccessivamente onerosa non può liberarsi con una
dichiarazione stragiudiziale, ma deve agire in giudizio, senza potersi limitare ove convenuto
in giudizio a proporre una mera eccezione (per l’eccessiva onerosità). L’eccessiva
onerosità deve essere dedotta e accertata giudizialmente.
La parte alla quale è chiesta la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le
condizioni del contratto. In tal modo il contratto va ricondotto a quell’ equilibrio
sinallagmatico sussistente al momento della stipula.
In caso di contratto con obbligazioni a carico di una sola parte questa può chiedere una
riduzione della sua prestazione sufficiente per ricondurre il contratto ad equità (la norma non
si applica alle obbligazioni che nascono da atto mortis causa). In quest’ ultimo caso la
riconduzione ad equità del contratto è opera del giudice che userà un criterio discrezionale e
non oggettivo in quanto manca l’offerta della parte contro interessata perché stiamo
parlando di un contratto unilaterale.
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5.GLI EFFETTI:
L’ART.1458C.C. oltre che all’ipotesi dell’inadempimento è applicabile anche nel caso di
impossibilità sopravvenuta e di eccessiva onerosità sopravvenuta.
La risoluzione del contratto ha effetto retroattivo tra le parti, (tranne per i contratti ad
esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende
alle prestazioni già eseguite, si parla in tal caso di risoluzione parziale); essa non pregiudica i
diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.
Questo vuol dire che il terzo sarà salvo solo se avrà trascritto il proprio acquisto prima della
trascrizione della domanda di risoluzione o della domanda che mira ad accertare l’avvenuta
risoluzione di diritto.
La risoluzione deve essere annotata ai fini della continuità a margine della trascrizione del
contratto risolto anche quando è il frutto di un atto che accerti il fatto risolutorio (come nel
caso della clausola risolutiva espressa).
Come conseguenza della risoluzione, i contraenti hanno l’obbligo di restituire quanto hanno
ricevuto secondo le regole fissate per la ripetizione dell’indebito, salvo i contratti di durata.
6.LO SCIOGLIMENTO VOLONTARIO:
I privati possono sciogliere il contratto per mutuo consenso o per meglio dire per mutuo
dissenso. Se il contratto traslativo o costitutivo non ha ancora prodotto i suoi effetti è
possibile scioglierlo con mutuo dissenso, in caso contrario si dovrà stipulare un contratto
uguale e contrario a quello che si intende eliminare. In caso di contratti ad effetti obbligatori
il mutuo dissenso ha efficacia ex nunc perché opera sulle prestazioni non ancora eseguite,
però la dottrina sostiene anche la tesi dell’efficacia ex tunc del mutuo dissenso come negozio
eliminativo.
Secondo la giurisprudenza il contratto risolutorio deve avere la stessa forma del contratto
che viene sciolto, mentre se la forma si considera libera lo scioglimento può anche
conseguire ad un comportamento concludente.
L’ART.1373C.C. prevede la possibilità che il contratto sia sciolto ad iniziativa di una delle
parti; il recesso unilaterale è possibile se questo potere è stato attribuito in sede di
contratto con fissazione di un termine e può essere esercitato solo se il contratto non ha
avuto un principio di esecuzione e comunque deve intervenire dopo la conclusione del
contratto.
La dottrina ritiene che il recesso non è possibile in caso di contratti traslativi quando l’effetto
reale si sia prodotto, perché in questo caso non vale nemmeno il patto contrario che è
ammissibile solo per i contratti obbligatori.
Nel caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, il recesso può essere esercitato
anche dopo l’inizio dell’esecuzione, però sono fatte salve le prestazioni già eseguite o in
corso di esecuzione: in questo caso il recesso opera ex nunc.
I contraenti possono stabilire un corrispettivo per il recesso che se viene versato
anticipatamente si chiama caparra penitenziale mentre se viene versato al momento del
recesso prende il nome di multa penitenziale: entrambi non hanno nulla a che vedere con la
clausola penale perché sono corrispettivi del recesso, mentre la clausola penale presuppone
un inadempimento (il quale in questo caso è da escludere perché recedendo si esercita un
diritto potestativo).
La legge a volte attribuisce il recesso ad entrambi i contraenti mentre in altri casi lo
attribuisce ad uno solo dei contraenti. La legge inoltre tutela la posizione dell’altro contraente
e quindi prevede un preavviso, il cui difetto può condizionare l’efficacia stessa del recesso,
cioè può obbligare al pagamento di un’indennità o ad un risarcimento.
Chi recede infatti per il principio di buona fede deve preavvisare l’altro contraente con un
congruo anticipo di tempo, e il più delle volte la legge collega il recesso alla presenza di una
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giusta causa ovvero un grave motivo, il cui difetto è insuperabile e non sostituibile con il
pagamento di un’indennità.
Per il contratto a tempo indeterminato ex ART.1375C.C. si può recedere sempre con
preavviso, a causa della necessaria temporaneità dei vincoli obbligatori.
7.DIRITTO DI PENTIMENTO PER I CONTRATTI CONCLUSI FUORI DEI LOCALI
COMMERCIALI:
La legge detta una disciplina particolare del diritto di recesso nel caso in cui tra un
consumatore ed un operatore commerciale sia stato concluso, fuori dai locali commerciali di
costui, un contratto di fornitura di beni o di prestazione di servizi; la negoziazione del
contratto può anche avvenire sulla base di offerte effettuate al pubblico o mediante mezzi
televisivi. La tutela del consumatore consiste nel fatto che l’operatore deve informare per
iscritto del suo diritto a recedere dal contratto indicando termini, modalità ed eventuali
condizioni per il relativo esercizio, nonché l’indirizzo del soggetto contro cui va esercitato il
recesso. La dichiarazione di recesso deve essere spedita nel termine non inferiore di 10
giorni per lettera raccomandata con avviso di ricevimento. In caso di vendita di beni,
condizione essenziale per l’esercizio del diritto di recesso è l’integrità della merce da
restituire entro il termine minimo di 10 giorni e quindi anche del diritto di riavere entro i
successivi 30 giorni il rimborso delle somme pagate comprese quelle versate a titolo di
caparra. Il diritto di recesso è irrinunciabile e il foro competente per le controversie civili
insorte tra le parti è quello del giudice del luogo di residenza del consumatore. Secondo
Gazzoni questo recesso è avveramento di condizione risolutiva o mancato avveramento di
condizione sospensiva.
LA CESSIONE
1. STRUTTURA:
Si ha cessione del contratto quando un soggetto, cessionario, si sostituisce ad un altro,
cedente, in tutti i rapporti nascenti da un contratto a prestazioni corrispettive non ancora
eseguite purché l’altro contraente, ceduto, vi consenta. La dottrina e la giurisprudenza
ritengono che la cessione del contratto sia un contratto trilaterale e che si concluda con
l’incontro dei consensi del cedente, del cessionario e del ceduto e questa trilateralità si
spiega se si considera che mediante la cessione si viene a modificare la persona del debitore
cosicché non potrà prescindere dal creditore ceduto. Secondo una dottrina minoritaria è un
contratto bilaterale tra cedente e cessionario, ed il consenso del ceduto invece è una mera
condicio iuris.
Trattandosi di contratto trilaterale il perfezionamento del contratto coincide allora con la
conoscenza da parte del contraente proponente, che può essere anche il cessionario,
dell’ultima accettazione e fino a quel momento la proposta è revocabile.
Il consenso del contraente ceduto può essere anche tacito, però deve essere provato da chi
vuole avvalersi della cessione; il consenso deve però risultare da atto scritto se il contratto di
cessione pretende la forma scritta; infatti la dottrina ritiene che la cessione del contratto
pretenda la stessa forma del contratto ceduto in base alla regola secondo cui i negozi
modificativi devono rivestire la stessa forma del negozio a cui si ricollegano (forma per
relationem).
Il consenso può essere manifestato dal contraente ceduto anche prima della cessione
mediante una clausola inserita nel contratto e in questo caso la sostituzione è efficace dal
momento in cui essa viene notificata al ceduto o dal momento in cui egli la ha accettata;
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l’accettazione della sostituzione non ha nulla a che vedere con il consenso che deve
manifestare di regola il contraente ceduto: questo dunque vuol dire che non siamo in
presenza di un atto prenegoziale ma siamo in presenza di una mera dichiarazione di scienza.
La notifica non è necessaria se tutti gli elementi del contratto risultano da un documento nel
quale è inserita la clausola all’ordine perché in queste ipotesi la girata del documento
produce la sostituzione del giratario nella posizione del girante.
La legge prevede spesso casi di cessione del contratto, però se si prescinde dal consenso del
contraente ceduto dovrà parlarsi di successione ex lege che è un fenomeno diverso dalla
cessione volontaria. Esempio di successione ex lege è quella prevista in caso di trasferimento
di azienda.
2.AMBITO:
Con la cessione si attua la successione inter vivos a titolo particolare di un soggetto
nella stessa posizione contrattuale di un altro soggetto, questo vuol dire che tale posizione
ricomprende non solo i meri diritti ed obblighi, ma anche tutti i diritti potestativi, le
aspettative e le azioni che competono ad un soggetto in quanto parte di un contratto.
Contratto a prestazioni corrispettive significa contratto oneroso, e questo vuol dire che non
sono cedibili i contratti gratuiti.
Possono essere ceduti anche i contratti eseguiti da una sola parte ed in particolare i
contratti traslativi, infatti anche se in tal caso il trasferimento del diritto si attua
automaticamente alla conclusione del contratto, è anche vero però che la posizione
contrattuale di chi si rende cessionario è ben diversa dalla posizione di colui il quale si limita
ad acquistare il bene. Per esempio il cessionario di un contratto di compravendita dovrà
pagare il prezzo all’alienante ceduto da cui dovrà essere (fatto salvo) tutelato per tutte le
garanzie dovute per legge (come garanzia dall’evizione).
Limitazioni alla cedibilità possono derivare invece dalla natura stessa del contratto, come nel
caso in cui i contraenti debbano rivestire particolari qualità (cessione contratto di lavoro
sportivo tra una società ed un’altra).
Non sembra logica l’incedibilità dei contratti intuitus personae perché la valutazione di
convenienza deve essere fatta dal contraente ceduto che può anche accordarsi in tal senso
con il cedente che deve eseguire la prestazione e con il cessionario.
La cessione fa subentrare il cessionario nella stessa posizione del cedente e questo significa
che non è possibile una cessione parziale e che il cedente e il cessionario non potranno
modificare in nessun modo il contenuto del contratto oggetto di cessione: si può solo
ipotizzare un accordo novativo tra ceduto e cessionario dopo la cessione.
Si può avere la cessione della proposta contrattuale semplice o irrevocabile e anche la
cessione del diritto di opzione, però la cessione deve essere sempre autorizzata, dal
proponente o dal concedente, e il contratto da concludere deve rientrare tra i contratti
suscettibili di cessione.
3.EFFETTI:
Gli effetti della cessione si inquadrano nell’ambito delle vicende circolatorie; infatti il
contratto di cessione non ha una propria causa e sotto questo aspetto può definirsi come un
contratto di alienazione, così parleremo di vendita se il cessionario corrisponde al cedente un
corrispettivo, mentre parleremo di donazione se oltre al fatto che non vi sia un corrispettivo
il contratto arricchisce il cessionario e per finire parleremo di transazione se la cessione si
inserisce nel contesto di una lite.
L’effetto della cessione è quello di operare una successione a titolo particolare nella qualità di
parte contraente e questo effetto produce delle conseguenze tra le parti.
1)RAPPORTI TRA CEDENTE E CEDUTO: l’ART.1408C.C. regola i rapporti tra cedente e
ceduto e stabilisce che il cedente è liberato dalle sue obbligazioni nel momento in cui la
sostituzione diventa efficace nei confronti del ceduto. Tuttavia il ceduto può evitare questo
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effetto naturale dichiarando di non liberare il cedente, con la conseguenza che in caso di
inadempimento del cessionario potrà poi agire nei suoi confronti: questa disciplina è inversa
a quella dell’espromissione e dell’accollo perché là la regola era la solidarietà e non la
liberazione.
La dottrina ritiene inoltre che quando il ceduto non liberi il cedente, quest’ultimo non
risponde solidalmente, né può essere usato il beneficio di escussione, ma si verifica una
responsabilità del cedente che è subordinata a quella del cessionario.
In caso di mancata liberazione dunque il ceduto dà notizia al cedente dell’inadempimento del
cessionario entro 15 giorni da quando esso si è verificato, però all’omessa comunicazione
non consegue la liberazione del cedente ma solo l’obbligo di risarcire il danno.
2)RAPPORTI TRA CEDUTO E CESSIONARIO: questi rapporti sono disciplinati
dall’ART.1409C.C. in base al quale il ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni
derivanti dal contratto, ma non quelle fondate su altri rapporti con il cedente.
3)RAPPORTI TRA CEDENTE E CESSIONARIO: l’ART.1410C.C. disciplina i rapporti tra
cedente e cessionario.
E’ possibile l’inserimento di obbligazioni aggiuntive purchè non alterino il sinallagma. Il
cedente deve garantire la validità del contratto, ed è irrilevante che egli fosse o non fosse a
conoscenza di eventuali cause di invalidità.
Se il cedente si assume la garanzia dell’adempimento del contratto risponde, come un
fideiussore, per le obbligazioni del contraente ceduto. L’assunzione di garanzia in mancanza
di scrittura può essere provata in qualsiasi modo, anche tramite presunzione.
4.IL SUBCONTRATTO:
Il subcontratto è distinto dal fenomeno della cessione del contratto ed è il contratto stipulato
da un soggetto, che a sua volta è parte di un altro contratto, con un terzo e questo
subcontratto è dello stesso tipo e ha ad oggetto lo stesso oggetto del contratto precedente.
La legge prevede diversi tipi di subcontratto come la sublocazione, la subenfiteusi, il sub
mandato, subappalto, ecc.
Il subcontratto è legato al contratto base da un rapporto di derivatività e di
subordinazione e quindi non può vivere se il contratto base fosse invalido o risolto: questo
dato lo differenzia dalla cessione che determina solo successione nel rapporto.
Nel nostro codice civile l’unica regola desumibile è l’azione diretta che il titolare della
posizione attiva ha nei confronti del titolare della posizione passiva del subcontratto e che si
ricava dall’ART.1595C.C.. In pratica nel caso della sublocazione il locatore ha azione diretta
contro il sub conduttore per esigere il pagamento del prezzo della sublocazione e per
costringerlo ad adempiere a tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione.
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LA RAPPRESENTANZA
Non sempre un soggetto è in grado di manifestare la propria volontà o perché impedito da
malattia o perché assente.
In queste ipotesi si determina la sostituzione di fronte ai terzi di un soggetto,
rappresentante, nell’attività giuridica di un altro soggetto, rappresentato o dominus.
ART.1388C.C.: il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del
rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti
del rappresentato.
Il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato, ed in tal modo rimane
estraneo all’affare nei rapporti con il terzo e non assume la qualità di parte. Gli effetti
dell’atto si producono direttamente nella sfera giuridica del rappresentato. Ciò che conta per
la qualifica dell’istituto è l’altruità dell’interesse. La rappresentanza è dunque caratterizzata
da un incarico attribuito dal rappresentato al rappresentante per la gestione degli interessi
del rappresentato.
Diversa è la rappresentanza indiretta. Essa si ha quando un soggetto agisce per conto
ma non in nome del rappresentato per cui l’altruità dell’interesse non appare all’esterno. In
questo caso gli effetti degli atti conclusi dal rappresentante indiretto si producono nella sfera
giuridico-patrimoniale del rappresentante il quale avrà l’obbligo di ritrasferirli
successivamente in favore del rappresentato. Si avrà modificazione patrimoniale non
immediata, ma mediata e indiretta.
Una parte della dottrina tende ad unificare i due fenomeni, ma secondo Gazzoni ciò non è
possibile, perché nel caso di rappresentanza indiretta non si può propriamente parlare di
rappresentanza in senso stretto, in quanto alla base del rapporto vi è un incarico che nasce
da un mandato. Questo è un accordo contrattuale autonomo rispetto alla rappresentanza,
caratterizzato dall’agire nell’interesse di altri, ma a differenza della rappresentanza senza
spendita del nome.
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Come abbiamo più volte detto, il rappresentante non ha l’obbligo di gestire l’affare in nome e
per conto del rappresentato. Per cui quest’ultimo, per obbligare il rappresentante ad eseguire
il compito affidatogli con procura, potrà stipulare un contratto con il rappresentante. Questo
contratto solitamente è il mandato con il quale una parte, mandatario, si obbliga a compiere
uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte, mandante. Quindi ad un rapporto esterno
che è la procura, con cui si attribuisce il potere di spendere il nome, si somma un rapporto
interno, con cui si obbliga il rappresentante a gestire l’affare. Il mandato può essere con
rappresentanza se accompagnato da procura che autorizzi la spendita del nome del
mandante da parte del mandatario, ovvero senza rappresentanza se non è accompagnato da
procura.
In caso di modificazioni o di revoca della procura, queste dovranno essere portate a
conoscenza dei terzi con mezzi idonei. In caso contrario non sono opponibili ai terzi, salvo
prova della loro conoscenza da parte degli stessi al momento della conclusione del contratto
(ART.1396C.C.). Però piuttosto che di revoca in senso tecnico, dovremo parlare di recesso
unilaterale perché mentre la revoca agisce retroattivamente, in questo caso gli atti compiuti
dal rappresentante prima della revoca sono efficaci. La modificazione invece è una revoca
parziale distinta dalla integrazione con cui il dominus amplia o specifica i termini della
procura. L’atto di revoca o di modificazione è recettizio nei confronti del rappresentante ma
non dei terzi che sono di regola indeterminati che devono comunque poter conoscere tale
atto, che deve essere dunque idoneamente pubblicizzato.
Per la pubblicità si ravvisa un onere a carico del dominus di curare la pubblicità cui
corrisponde un onere di diligenza dei terzi nel venirne a conoscenza. La prova della
conoscibilità spetta al rappresentato.
Per quanto riguarda la forma della revoca e della modificazione, non richiedono la stessa
forma della procura per cui è possibile revocare tacitamente una procura scritta, salvo
diversa pattuizione, anche designando un nuovo rappresentante per lo stesso affare o
concludendolo direttamente.
Il potere di rappresentanza si può estinguere oltre che per revoca della procura, per rinuncia
da parte del rappresentante, per incapacità sopravvenuta del rappresentante o del
rappresentato, per il fallimento del rappresentato, per la scadenza del termine o per il
verificarsi della condizione risolutiva e per l’estinzione del rapporto di gestione. Queste cause
ad esclusione della revoca, non sono opponibili ai terzi che in buona fede, senza colpa, le
hanno ignorate.
Quando i poteri del rappresentante sono cessati egli dovrà consegnare il documento che
attesti l’attribuzione degli stessi. Cosi in caso di procura speciale con forma ad substantiam,
il rappresentato ha un mezzo sicuro per evitare che il rappresentante possa proseguire nella
gestione dei suoi affari, nonostante l’estinzione della procura. Ma il semplice ritiro non fa
salva la responsabilità del rappresentato nei confronti dei terzi e i terzi hanno la facoltà di
prendere visione del documento.
CAPACITA’: il rappresentato deve avere la capacità di agire sia per attribuire la spendita del
nome, sia per l’attività gestoria posta in essere dal rappresentante.
Il rappresentante, parte formale del contratto, non deve necessariamente essere capace di
agire, perché gli effetti dell’atto si produrranno nella sfera patrimoniale del rappresentato,
ma deve essere capace di intendere e di volere. L’incapacità naturale del rappresentante
comporterà pertanto l’annullabilità del negozio, in applicazione dell’ART.428C.C.. L’
incapacità naturale sopravvenuta del rappresentato al momento della conclusione del
contratto sarà irrilevante.
La scissione tra parte formale e sostanziale dell’atto rileva ai fini dei vizi della volontà e degli
stati soggettivi rilevanti. In linea di principio ciò che attiene al momento psicologico dell’atto
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incompleto) si dovrebbe parlare di una sorta di prenotazione. Prevista ai fini della continuità
ART.2650C.C. e non ai fini dell’ART.2644C.C..
Conclusione condivisibile anche se accettiamo l’idea che il contratto è strutturalmente
perfetto, e la ratifica successiva opera come procura a posteriori o come condicio iuris. In
caso di alienazione dello stesso bene da parte del falsus procurator e del falso rappresentato,
chi acquista da quest’ultimo prevale se ha trascritto prima della ratifica, anche se dopo la
trascrizione dell’acquisto dal falsus procurator.
Se il contratto non è ratificato il terzo nulla potrà pretendere dal falso rappresentato, salvo
fraudolenza di costui ed in tal caso c’è responsabilità extracontrattuale, potrà però chiedere
al falsus procurator che è responsabile ex ART.2043C.C., il risarcimento del danno cagionato
al terzo contraente che ha fatto affidamento, senza sua colpa nella validità, del contratto
(ART.1398C.C.).
Il falsus procurator risponde anche in caso di avvenuta ratifica qualora il danno si sia già
verificato a causa del ritardo nel perfezionamento del contratto. Anche in tal caso il terzo
potrà chiedere anche il risarcimento del danno.
La responsabilità del falsus procurator ha natura precontrattuale (o secondo la
giurisprudenza extracontrattuale) , cosicché il danno risarcibile sarà limitato all’ interesse
negativo.
6.IL CONTRATTO PER CONTO DI CHI SPETTA:
Si tratta di un contratto concluso da un soggetto nell’interesse di un altro soggetto di cui si
ignora l’identità c.d. rappresentanza in incertam personam. L’identità sarà manifestata
al contraente soltanto in un momento successivo. Diverso è il contratto per persona da
nominare, poiché nel contratto per persona da nominare l’individuazione della persona
dipende da una scelta soggettiva dello stipulante e non da un fatto oggettivo come nel
contratto per conto di chi spetta.
ART.1690C.C.: se il destinatario irreperibile ovvero rifiuta o ritarda a chiedere la riconsegna
delle cose trasportate, il vettore deve domandare immediatamente istruzioni al mittente. Se
sorge controversia tra i destinatari o circa il diritto del destinatario alla riconsegna ovvero se
il destinatario ritarda a ricevere le cose trasportate, il vettore se sono soggette a rapido
deterioramento, può farle vendere per conto dell’avente diritto.
Chi agisce per conto di chi spetta resta dunque estraneo all’atto, egli non è mai parte in
senso sostanziale.
7.CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE:
ART.1401C.C.: al momento della conclusione del contratto una parte, detta stipulante,
può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare diritti e
assumere gli obblighi nascenti dal contratto stipulato con altra parte, detta promittente.
In difetto di nomina gli effetti si producono tra i contraenti originari, ART.1405C.C., cioè tra
promittente e stipulante.
La formula della riserva può essere indifferentemente quella " per persona da nominare" o "
per sé o per persona da nominare".
La nomina è sempre libera per lo stipulante, mentre il terzo designato può trovarsi in
condizione di non poterla rifiutare, ciò avviene in particolare quando egli abbia
preventivamente autorizzato lo stipulante a nominarlo. La legge parla a riguardo di procura,
ART.1402CO.2C.C., ma si è al di fuori dell’ipotesi di rappresentanza.
Dal punto di vista storico l’istituto nasce come risposta ad una precisa esigenza pratica: le
persone di un certo rango sociale non desideravano apparire acquirenti nelle vendite all’asta
ma ben presto questo strumento si rivelò ottimo mezzo di evasione fiscale (doppio
trasferimento pagando un'unica imposta). Per questo motivo la legislazione impose la
fissazione di un termine brevissimo per sciogliere la riserva, trascorso il quale un’eventuale
nomina equivaleva ad un nuovo trasferimento.
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Il codice del 1942 ha disciplinato l’istituto ma la norma che lascia ai privati la facoltà di
fissare un termine convenzionale derogando ai tre giorni di legge, ART.1402C.C. è
marginale, perché a fronte dei vantaggi di un termine di nomina anche lungo, stanno gli
svantaggi di vedersi tassare doppiamente l’atto, trascorsi solo tre giorni.
Secondo Gazzoni, non è un caso che l’indagine giurisprudenziale dimostra che, in concreto,
questo meccanismo è applicato ai contratti ad effetti obbligatori, in particolare al contratto
preliminare che sfugge facilmente alla registrazione e dunque all’imposizione fiscale. Es (A)
promette di acquistare un bene per se o per persona da nominare a (B), in al modo lucra
sulla differenza tra prezzo pattuito con il promittente alienante e il prezzo pattuito con il
terzo da nominare (C), che si vincola nei suoi confronti ad acquistare con altro preliminare di
vendita di cosa altrui.
In sede di contratto definitivo infatti il terzo, una volta nominato, si troverà a contrarre
direttamente con il promittente proprietario e a dar esecuzione ad entrambi i contratti
preliminari. Lo stipulante, dunque, finisce per svolgere una funzione di semplice
intermediario, in realtà è una vera e propria vendita dell’affare. In ogni caso, quando non è
ravvisabile un intento speculativo dello stipulante, l’istituto mira a tutelare il promittente al
quale garantisce la vincolatività dell’accordo, a prescindere dal vizio o dai difetti di procura
che possono renderlo inefficace qualora la controparte agisca a mezzo di rappresentante.
NATURA GIURIDICA: Il contratto per persona nominare non è un tipo contrattuale a sé
stante, ma presenta uno speciale modo di individuazione di una delle parti: nasce ambiguo
sul piano soggettivo, perché fino alla scadenza del termine utile per la nomina, non si sa chi
acquisterà il diritto e assumerà gli obblighi derivanti dal contratto. Il potere dello
stipulante di procedere alla nomina o di autodesignarsi è effetto immediato e caratteristico
del contratto per persona da nominare.
Il problema centrale resta quello di spiegare l’ambiguità soggettiva: al riguardo sono state
elaborate varie teorie.Gazzoni non condivide né la teoria:
-di surrogazione legale secondo cui lo stipulante con la designiazione, opera un recesso
unilaterale e il terzo subentra per effetto di legge. Due sono gli ostacoli a tale concezione:
1)l’efficacia ex tunc della dichiarazione.
2)il terzo subentra per atto di nomina e non per legge.
-né della fattispecie complessa o a formazione progressiva, secondo cui il contratto
verrebbe ad esistenza con la nomina, ma allora come mai l’ART.1405C.C. afferma che se la
dichiarazione di nomina non è fatta validamente nel termine stabilito dalla legge o dalle
parti, il contratto produce i suoi effetti tra i contraenti originari.
-né la teoria condizionale secondo cui l’atto di designazione fungerebbe da condizione
risolutiva dell’acquisto dello stipulante e da condizione sospensiva dell’acquisto del terzo.
-secondo Gazzoni, la teoria più accreditata è quella secondo cui lo stipulante sarebbe un
rappresentante in incertam personam del designando, il quale in caso di difetto di
preventiva procura, opererà con l’accettazione una vera e propria ratifica.
In senso contrario si può però osservare che lo stipulante è, all’origine, parte del rapporto, a
differenza del rappresentante. Infatti la retroattività è la chiave di volta dell’istituto, infatti
permette di considerare il nominato non terzo ma parte del contratto fin dalla conclusione.
E’ diverso dal contratto per conto di chi spetta: in questo contratto, infatti, l’individuazione
del soggetto, che sarà parte sostanziale del rapporto, non dipende dall’esercizio del potere di
nomina ma da circostanze oggettive.
Un avvicinamento verso la spiegazione del fenomeno è invece operato dalla teoria della
cosiddetta concentrazione soggettiva: la peculiarità del contratto per persona da
nominare sta nella designazione alternativa che spetta allo stipulante la quale costituisce la
fonte stessa dell’imputazione, dal momento che essa fa sì che un terzo diventi destinatario
della situazione effettuale.
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Alcuni per spiegare tale fenomeno richiamano le obbligazioni alternative. In realtà tale teoria
può spiegare l’alternatività per quanto riguarda l’oggetto ma non il soggetto. E’ infatti
pacifico che il contraente deve essere individuato al momento della nascita del vincolo, se il
vincolo è frutto dell’accordo di volontà cioè dell’incontro dei consensi.
Per comprendere appieno tale fenomeno bisogna ricordarsi che il contratto per persona da
nominare produce immediatamente l’effetto di attribuire allo stipulante il potere di nomina,
pertanto non si può scindere la titolarità del diritto di scelta dalla titolarità del contratto: il
primo in capo allo stipulante, il secondo invece in capo alternativamente allo stipulante o al
terzo (che comunque accetta un regolamento già predisposto ed immodificabile). Consegue,
da ciò, che il contratto nasce sempre solo tra promittente e stipulante ed è esclusa ogni
forma di alternatività, e dunque di concentrazione soggettiva.
Per Gazzoni, se non vi è alternatività vi è però facoltà di sostituzione alternativa nel
rapporto, infatti nel campo delle obbligazioni si è soliti distinguere tra obbligazione
alternativa e obbligazione con facoltà alternativa (che si ha quando al debitore è, concessa la
facoltà di liberarsi dell’obbligazione eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta e
dedotta nell’obbligazione.), la clausola di riserva autorizza dunque lo stipulante a modificare
il profilo soggettivo del rapporto, mediante la sostituzione del terzo designato a sé: gli
attribuisce cioè un ius variandi.
8.GLI EFFETTI:
Per lo stipulante, in pendenza del termine di nomina, non si producono effetti per lo
stipulante a prescindere da un suo comportamento che possa valere rinuncia alla nomina, e
quindi autodesignazione, come sostengono i fautori della tesi della rappresentanza. La tesi
opposta ritiene invece che gli effetti si producono immediatamente, ma si risolvano in caso
della nomina, per esigenze di certezza.
Per il promittente non può parlarsi di un semplice vincolo obbligatorio di indisponibilità ma
di una vera e propria opponibilità dell’accordo. Non a caso del resto il contratto per persona
da nominare è suscettibile di immediata trascrizione sempre che produca uno degli effetti
previsti dall’ART.2643C.C. (Gazzoni).
Si discute circa la legittimazione alle azioni giudiziali volte ad impugnare il contratto.
I sostenitori della teoria della condizione risolutiva che ritengono che il contratto produce
effetti immediati anche per lo stipulante, attribuiscono anche in capo allo stipulante tale
legittimazione.
Coloro che, invece, sottolineano che gli effetti sono sospesi per lo stipulante ma non per il
promittente, sostengono che quest’ultimo potrà iniziare immediatamente ogni azione,
avendo come legittimato passivo lo stipulante, il quale viceversa se agisse in giudizio prima
della nomina decadrebbe dal relativo potere, per avere formulato un giudizio di convenienza
che presuppone la titolarità del diritto.
L’ART.2935C.C. stabilisce che la prescrizione non decorre prima della nomina o
dell’autodesignazione né per lo stipulante né per il designato, il quale è legittimato sia
attivamente che passivamente solo dopo la nomina o l’accettazione.
9.POTERE DI NOMINA:
La situazione giuridica soggettiva, di cui è titolare lo stipulante, deve essere valutata in
relazione ai rapporti esterni con il promittente e non già ai rapporti interni che possono
preesistere con il designato nel caso di preventiva autorizzazione
I rapporti interni, invece, rilevano solo in un secondo momento, quando lo stipulante ha
operato una scelta, nei limiti in cui essa non si risolve un’auto designazione o nella
designazione di un terzo diverso da colui che aveva rilasciato l’autorizzazione. In questi casi,
quest’ultimo non ha alcuna possibilità di agire in forma specifica per ottenere la nomina,
avendo solamente il rimedio del risarcimento del danno(Gazzoni).
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La causa donandi (al pari della causa solvendi e di quella di scambio) è invece pienamente
configurabile quando la nomina non è preceduta da autorizzazione ,ma seguita da
accettazione.
La scelta può configurarsi, a seconda delle varie tesi propugnate, come adempimento
dell’obbligo assunto in sede contrattuale o anche come adempimento di un onere. Per
Gazzoni la scelta è esercizio di un diritto potestativo.
Il potere di nomina è trasmissibile mortis causa; mentre la trasmissione inter vivos è
concepibile solo a seguito di cessione del contratto, infatti la cessione del solo potere di
nomina si configurerebbe come una delega, e gli effetti del mancato esercizio ricadrebbero
comunque nella sfera dello stipulante.
Si discute se i creditori dello stipulante possono agire in surrogatoria o revocatoria contro
l’inerzia o contro l’esercizio positivo della scelta. I dubbi nascono dal fatto che:
-nel caso di azione surrogatoria, non sembra possibile parlarsi di mancato esercizio del
diritto verso terzi ai sensi dell’ART.2900C.C., trattandosi piuttosto di un atto di esercizio di
un potere di godimento della propria situazione soggettiva.
-nel caso di revocatoria, invece, può discutersi se si tratti di un atto di disposizione o non
piuttosto come preferibile di una omissio adquirendi, come tale non suscettibile di revoca ai
sensi dell’ART.2901C.C., in quanto prima della autodesignazione non si producono effetti nel
patrimonio dello stipulante.
10.IL PROCEDIMENTO DI NOMINA:
La dichiarazione di nomina è atto unilaterale dello stipulante, non surrogabile da un
accordo con il terzo, fonte di diritti e obblighi autonomi. La dichiarazione di nomina è un
presupposto di legittimazione necessario per poi poter accettare, sembra avere pertanto
natura negoziale, se non altro perché l’electio implica una valutazione di interessi, ed è frutto
di una precisa volontà del soggetto.
Per la validità della nomina, si richiede la piena capacità di agire, tuttavia secondo i fautori
della teoria della rappresentanza sarebbe sufficiente la capacità di intendere e di volere.
La dichiarazione di nomina sarà impugnabile in caso di violenza, errore e dolo. In particolare,
rileverà l’errore ostativo (cioè errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione), mentre vi
sono dubbi riguardo l’errore in persona, perchè interessato all’identità o alle qualità del
designato è il promittente e non lo stipulante. Allo stesso modo il dolo, rileverà in termini di
induzione alla nomina, più che di scelta di un dato soggetto (Gazzoni).
Nel caso di invalidità della dichiarazione, gli effetti si produrranno in capo allo stipulante,
sempre che il termine stabilito dalla legge o dalle parti sia scaduto, altrimenti lo stipulante
potrà procedere ad un’altra nomina.
Il predetto termine convenzionale deve essere certo e non può essere rinnovato prima della
sua scadenza e va osservato a pena di decadenza infatti una eventuale dichiarazione di
scadenza, accettata dal promittente non avrà effetto.
La dichiarazione di nomina deve avere la forma prevista dal contratto e deve essere
comunicata al promittente.
La sequenza perfezionativa del meccanismo di nomina non si realizza sempre
istantaneamente ma può anche proiettarsi nel tempo, purché entro il termine fissato dalla
legge o dal contratto. Ciò accade quando lo stipulante non riceve una preventiva
autorizzazione alla nomina e quindi si assiste a una duplice dichiarazione: da un lato la
nomina, dall’altro l’accettazione del designato. Entrambe le dichiarazioni dovranno essere
comunicate al promettente. Senza la accettazione, la dichiarazione di nomina è inefficace.
Non si discute la natura negoziale dell’accettazione. Il terzo designato può anche venire
a conoscenza della nomina mediante meccanismi della pubblicità di fatto. A differenza della
dichiarazione di nomina, l’accettazione va costruita come negozio recettizio (la nomina,
invece, non è recettizia). Si tratta infatti di un atto non meramente strumentale, come è
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l’atto di nomina, ma di un atto in sé compiuto, che svolge una funzione finale nella
sequenza. Da ciò deriva che lo stipulante potrà sempre revocare la dichiarazione di nomina
prima della notifica dell’accettazione.
Il criterio della priorità della notifica dell’accettazione allo stipulante, vale anche a risolvere il
conflitto tra più nominati.
In realtà l’RT.1403CO.2C.C. richiede la trascrizione anche della dichiarazione di nomina,
con l’indicazione dell’atto di accettazione, ma tale onere deve essere assolto a soli fine di
poter opporre ai terzi aventi causa del promettente l’acquisto dei diritti. Tale possibilità
presuppone che sia stata curata tempestivamente la trascrizione del contratto, senza la
quale non varrebbe a nulla una trascrizione della mera dichiarazione di nomina pure se
precedente a quella dell’acquisto da parte dei terzi. Questa formalità non può valere a
dirimere le controversie tra più nominati.
L’INTERPRETAZIONE
L’interpretazione è un’operazione volta ad accertare il contenuto sostanziale del
contratto, cioè ciò che le parti hanno stabilito in ordine alla vicenda patrimoniale.
Le norme che regolano l’interpretazione si distinguono in due gruppi:
1)quelle che attengono all’interpretazione soggettiva
2)quelle che attengono all’interpretazione oggettiva
In realtà l’interpretazione secondo Gazzoni è sempre oggettiva perché ha come punto di
riferimento l’accordo ma anche perché è condotta con criteri fissati dalla legge. E’ però
corretto distinguere invece i criteri soggettivi di interpretazione (che mirano ad
accertare il senso e la portata dell’accordo e quindi l’intenzione delle parti sulla base delle
loro dichiarazioni e comportamenti) dai criteri oggettivi di interpretazione (che sono
sempre diretti a stabilire il significato del contratto, ma alla luce delle sole norme).
Per quanto riguarda i criteri di interpretazione soggettiva in base all’ART.1362C.C.,
nell’interpretazione del contratto il giudice deve valutare la comune volontà delle parti;
quindi, l’interprete non dovrà limitarsi al senso letterale che emerge dalle parole
adoperate, ma deve valutare anche il comportamento complessivo delle parti, guardando
quello anteriore alla stipulazione, quello al momento della stipulazione e quello successivo
alla stessa. L’interpretazione della volontà contrattuale deve risultare da una valutazione
complessiva delle disposizioni contenute nel contratto, quindi, anche se il testo di una
clausola appare chiaro, questo dovrà essere interpretato alla luce del significato che emerge
dalla lettura coordinata di tutte le altre clausole, sia valide che invalide (interpretazione
sistematica).
Sempre in tema di interpretazione soggettiva, si deve ricordare che, per quanto siano
generali le espressioni usate nel contratto, non bisogna perdere di vista gli interessi che le
parti intendono realizzare con il contratto.
Se nel contratto sono presenti clausole contrattuali che contengono esempi esplicativi, la loro
portata sarà estesa a tutti i casi che, pur se non espressi, rientrano nel patto stesso
(interpretazione estensiva).
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Secondo l’opinione comune, i criteri oggettivi sono sussidiari rispetto a quelli soggettivi. Tra
questi rientra l’interpretazione secondo buona fede, intesa come generale dovere di
correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra le parti. Questa regola
interpretativa esprime l’esigenza di tutelare l’affidamento di ciascuna parte sul significato
dell’accordo, quindi si dovranno escludere quelle interpretazioni cavillose e formalistiche che
ogni parte effettua nel proprio interesse, ma contrarie allo spirito dell’intesa.
Quando il senso del contratto resta oscuro, nonostante l’applicazione delle regole
interpretative menzionate, la legge stabilisce che si dovrà preferire il senso che produce
effetti giuridici. Questa regola oggettiva è espressione del principio generale di
conservazione degli effetti degli atti giuridici, che si applica anche ai contratti invalidi
(ART.1419-1420-1446C.C.).
Sempre in tema di clausole ambigue, l’ART.1368C.C. prevede la possibilità di ricorrere agli
usi interpretativi, cioè quei comportamenti dai quali è possibile ricavare il significato che
gli individui di un certo luogo danno nella pratica a clausole di per sé ambigue, questo perché
normalmente il contratto si adegua al significato che gli viene riconosciuto in un dato
ambiente socio-economico.
In base all’ART.1369C.C., le espressioni polisensi vanno interpretate adeguandole alla
funzione economico-sociale di quel tipo di contratto (interpretazione funzionale). Le
clausole inserite in condizioni generali o moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti,
nel dubbio, si interpretano a favore dell’altro contraente, perché si tutela sempre la parte più
debole.
Se nonostante l’applicazione di queste regole interpretative, il contratto resta oscuro, questo
dovrà essere inteso in senso meno gravoso per l’obbligato. Nei contratti a titolo gratuito si
favorisce l’obbligato, poiché questi non riceve alcuna ricompensa per il suo sacrificio. Nei
contratti a titolo oneroso, invece, si utilizzerà l’interpretazione equitativa, cioè gli interessi
delle parti si considereranno alla stessa stregua, poiché al -vantaggio economico di ognuna
corrisponde un sacrificio economico.
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