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Parte Generale Obbligazioni (Gazzoni) - Prof. Procida

Diritto civile (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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PARTE GENERALE: OBBLIGAZIONI


STRUTTURA E CARATTERI DELL’OBBLIGAZIONE:
SOGGETTI: Ogniqualvolta nasce un’obbligazione si è in presenza di un vincolo
giuridico che impone ad un determinato soggetto, debitore, di tenere un dato
comportamento, cioè di compiere una data prestazione, al fine di soddisfare un
interesse proprio di altra persona determinata, creditore.
I soggetti del rapporto obbligatorio sono dunque determinati.
Essi sono inoltre portatori di interessi contrapposti che proprio lo strumento
dell’obbligazione mira a comporre.
Non è allora concepibile la nascita di un’obbligazione là dove un soggetto sia in grado
di realizzare un interesse in via autonoma, senza dover ricorrere all’altrui
collaborazione, così come è esclusa la possibilità di dare vita ad un rapporto giuridico
unisoggettivo (un rapporto, cioè, i cui termini soggettivi siano costituiti dalla stessa
persona). Questo è vero con riguardo alla nascita del vincolo ed è anche vero quando
l’unicità del soggetto si determina in seguito a particolari vicende relative al rapporto
obbligatorio. Non a caso, del resto, secondo quanto detta l’ART.1253C.C., quando le
qualità di creditore e di debitore si riuniscono nella stessa persona, l’obbligazione si
estingue per confusione.
Tuttavia la dottrina ha individuato talune ipotesi normative di carattere
eccezionale, in cui la predetta estinzione non si verifica:
-ad es. quando l’erede, creditore o debitore del defunto, accetta l’eredità con beneficio
di inventario;
-nel caso in cui il rapporto societario venga a ridursi al rapporto tra un solo socio e la
società;
-nel caso in cui la cambiale, circolando mediante successive girate, pervenga in mani
dell’emittente, il quale potrà procedere a sua volta, a trasferirla mediante girata.
La spiegazione di questi fenomeni giuridici è data da altra parte della dottrina senza
ricorrere alla teorizzazione di un rapporto unisoggettivo di carattere eccezionale, ma
piuttosto ponendo in luce la peculiarità delle singole fattispecie.
REQUISITI DELL’OBBLIGAZIONE:
-PATRIMONIALITA’
-CORRISPONDENZA DI UN INTERESSE DEL CREDITORE ANCHE NON
PATRIMONIALE
-POSSIBILITA’
-LICEITA’
-DETERMINATEZZA E DETERMINABILITA’: può presentarsi anche l’eventualità che
i soggetti del rapporto obbligatorio non siano determinati al momento della nascita
dell’obbligazione.
Da questo punto di vista è necessario distinguere 2 diverse ipotesi:
1.quella in cui il soggetto è in ogni momento determinabile per relationem;
2.quella in cui esso sarà determinabile solo in un secondo momento, una volta
verificatesi specifiche condizioni poste dalla legge.

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La determinatezza non solo sussiste al momento della nascita del vincolo, ma


permane anche in seguito ad eventuali vicende circolatorie del bene (obbligazione
reale) o del titolo (titolo al portatore). Infatti, in caso di obbligazione reale, la persona
dell’obbligato è sempre individuabile con precisione; parimenti, in caso di credito
racchiuso in un titolo al portatore, sarà creditore chi di volta in volta possiede il
documento.
Più difficile è invece l’inquadramento di altre fattispecie in cui la persona del creditore
può apparire indeterminata al momento della nascita dell’obbligazione, tanto che la
dottrina parla al riguardo di obbligazione in incertam personam:
-disposizione testamentaria rimessa all’arbitrio altrui;
-mandato a donare;
-contratto a favore di terzo;
-contratto per persona da nominare;
-promessa al pubblico.
DOVERE DI CORRETTEZZA: debitore e creditore devono comportarsi secondo le
regole della correttezza nello svolgimento del rapporto obbligatorio.
L’ART.1175C.C. contempla così una clausola generale, ponendosi così come una
norma aperta, specialmente in materia contrattuale, con il mondo dei traffici
commerciali. Quindi, il principio di correttezza, proprio perché clausola generale, non
si esaurisce nei singoli richiami normativi.
La contrapposizione tra correttezza e buona fede non corrisponde ad una
diversità di contenuto, ma piuttosto individua la reazione di una identica regola di
fronte a situazioni diverse e a diversi momenti nel procedimento attraverso il quale
nasce e si sviluppa, attuandosi, il rapporto obbligatorio. Infatti, la regola è quella del
principio di solidarietà previsto dall’ART.2COST, un principio che impronta di sé
non solo la materia delle obbligazioni, ma l’intero campo del diritto privato, inteso
come diritto che regolamenta i rapporti intersoggettivi.
L’INTERESSE: secondo l’ART.1174C.C. la prestazione che forma oggetto
dell’obbligazione deve essere suscettibile di valutazione economica e deve
corrispondere ad un interesse, anche non patrimoniale del creditore.
Non è dunque concepire un’obbligazione che non si ricolleghi all’altrui interesse e non
sia ad esso strumentale in vista della sua realizzazione.
Ciò significa che l’interesse deve sussistere non solo al momento in cui l’obbligazione
nasce ma anche durante l’intero sviluppo del rapporto obbligatorio e segnatamente al
momento dell’adempimento, che è il momento finale del procedimento attraverso il
quale l’interesse si realizza.
L’ART.1174C.C. prevede che l’interesse del creditore possa anche essere di natura non
economica e quindi di carattere morale o culturale o puramente estetico (come
quando il creditore intende ascoltare un concerto).
Parallelamente a quello del creditore, è anche configurabile un interesse del
debitore ad adempiere (che non può essere posto nel nulla da comportamenti
contrari del creditore).
Da un punto di vista generale è senza dubbio tutelato l’interesse del debitore ad
estinguere l’obbligazione perché solo così viene meno il vincolo alla libertà di
comportamento conseguente alla nascita del rapporto obbligatorio. In questa direzione
l’ordinamento appresta un complesso di norme volto proprio a permettere al debitore
di liberarsi a prescindere ed anche eventualmente contro la volontà del creditore che
2

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non intenda ricevere la prestazione: si parla al riguardo di mora del creditore, ART .
1206C.C..
È inoltre tutelato, sempre in questa prospettiva, l’interesse del debitore ad estinguere
l’obbligazione mediante il proprio personale adempimento, sia per motivi di prestigio e
di onere, sia per dimostrare ai terzi la propria solubilità ed affidabilità, anche
patrimoniale. Così si spiega la norma che permette al debitore di rifiutare la
remissione del debito, ART.1236C.C..
LA PRESTAZIONE: oggetto dell’obbligazione è la prestazione dovuta,
ART.1174C.C., cioè il comportamento che il debitore deve tener in funzione della
realizzazione del diritto del creditore e del sotteso suo interesse a conseguire il
risultato finale cui conduce il comportamento stesso.
CONTENUTO: il comportamento può avere ad oggetto, cioè può consistere in un
fare, in un non fare, e in un dare.
In ogni caso tratto comune ad ogni tipo di prestazione, a prescindere cioè dal suo
contenuto, è costituito dalla necessaria patrimonialità che la deve caratterizzare.
La ratio della norma va dunque ravvisata nel fatto che le vicende relative ai beni a
carattere non economico (quelli che investono problemi e valori non patrimoniali ma
latamente morali) sono ritenute dall’ordinamento rilevanti solo in particolari casi (in
materia di diritti della personalità, di famiglia e delle successioni) mentre di regola
esse sono irrilevanti.
Al contrario, la rilevanza delle vicende relative ai beni patrimoniali è generalizzata,
occupandosi il diritto privato essenzialmente della regolamentazione dei traffici e della
circolazione di questi beni, laddove i beni a carattere non economico, essendo
essenzialmente collegati alla persona, non sono investiti del problema della
circolazione ed anzi sono qualificati proprio all’opposta caratteristica delle
indisponibilità.
L’opinione prevalente valuta la patrimonialità in maniera soggettiva osservando
che anche una prestazione a carattere non patrimoniale potrebbe divenire
patrimoniale se le parti hanno dimostrato di volerla così intendere. In particolare si
ritiene che la fissazione di una controprestazione in denaro avvero di una penale per
l’ipotesi di inadempimento attribuisca autonomamente il carattere patrimoniale alla
prestazione, perché ciò permetterebbe di valutare il danno (patrimoniale) derivante
dall’eventuale mancato adempimento.
GIURIDICITA’ DEL VINCOLO: cioè intenzione di assoggettare il rapporto alle
regole del diritto, prima tra tutte quella che sanziona mediante risarcimento dei danni
l’inadempimento.
Ma la valutazione della patrimonialità va condotta ad una stregua oggettiva
inquadrando la prestazione nel più ampio contesto sociale temporalmente circoscritto,
al fine di giudicare di volta in volta se, da questo punto di vista ed in base a quanto
dettano gli usi di quella determinata collettività, i vantaggi derivanti da una certa
prestazione sono valutati in termini economici, e quindi giustificano l’assunzione di un
onere a carattere patrimoniale.
VINCOLI NON GIURIDICI:
-norma sociale
-norma morale
-norma religiosa

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Es. il soccorso economico del prossimo è di sicuro un dovere religioso o sociale per
chiunque mentre sul piano giuridico l’obbligo sussiste solo in funzione del vincolo di
parentela o di affinità.
Può affermarsi la possibilità che le stesse parti assumano un obbligo con espressa e
non equivoca intesa che il conseguente rapporto dovrà essere mantenuto nell’ambito
della socialità e non della giuridicità.
Si parla al riguardo di patto tra gentiluomini, vicenda caratterizzata appunto da un
contenuto patrimoniale della prestazione nonché da un interesse economico del
creditore ma dalla dichiarata volontà di non giuridicizzare il rapporto, perché le parti
affidano a sanzioni extragiuridiche (discredito commerciale, cessazione dei rapporti di
affari) l’affidabilità dell’impegno.
I vincoli non giuridici non sono dunque tutelati dall’ordinamento, nel senso che
l’eventuale inadempienza non dà luogo se non a sanzioni di carattere sociali quali il
discredito, la rottura di rapporti di frequentazione, l’amicizia. Ciò significa che tali
vincoli non attribuiscono azione giudiziaria, perché, dal punto di vista sostanziale, non
generano diritti.
La totale irrilevanza giuridica dal punto di vista dell’azione non significa però che, in
particolari circostanze, gli obblighi di carattere sociale e morale non possano
acquistare una qualche rilevanza per il diritto.
L’ART.2034C.C. statuisce infatti che non è ammessa la ripetizione di quanto è stato
spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali e sociali, salvo che la
prestazione sia stata eseguita da un incapace. Si statuisce così la soluti retentio.
L’OBBLIGAZIONE NATURALE: sorge da semplici doveri morali o sociali. Chi
adempie un’obbligazione naturale lo fa con la convinzione di esservi tenuto (non per
compiere una liberalità).
CARATTERISTICHE:
-incoercibilità: nessuno può essere giudizialmente costretto ad adempiere.
-irripetibilità: non è possibile ottenere la restituzione di quanto spontaneamente
prestato (c.d. soluti retentio).
CASI PREVISTI:
-spontanea esecuzione di una disposizione fiduciaria, ART.627C.C..
-pagamento di debito di gioco o scommessa, ART.1933C.C..
-pagamento del debito prescritto, ART.2940C.C..
ELEMENTI:
-esistenza di un dovere morale o sociale.
-prestazione di contenuto patrimoniale.
-spontaneità dell’adempimento (senza coazione).
-capacità di agire della persona che adempie.
La non giuridicità di tali doveri emerge dal fatto che la prestazione deve essere
eseguita spontaneamente, e ciò significa che il solvens stesso abbia eseguito la
prestazione sapendo di non essere vincolato.
L’obbligazione naturala non acquista rilevanza giuridica se non è adempiuta.
L’adempimento dell’obbligazione naturale è un atto negoziale: precisamente un
negozio unilaterale mediante il quale un soggetto attribuisce ad un altro un beneficio
patrimoniale moralmente o socialmente diverso.

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FORMA: se l’adempimento ha ad oggetto l’attribuzione di un diritto reale immobile


occorre la scrittura privata. Per quanto riguarda i beni mobili la loro attribuzione in
proprietà richiede l’atto scritto o la consegna.
CAPACITA’ DEL SOLVENS: nessun problema sorge per le ipotesi del gioco e della
scommessa, e dell’adempimento della disposizione testamentaria fiduciaria del
momento che entrambe prevedono espressamente il requisito della capacità del
solvens.
Più delicato è il caso del pagamento del debito prescritto, perché l’ART.2940C.C.
tace sul punto. La spiegazione va ritrovata al di fuori dell’obbligazione naturale, se si
tiene presente che la prescrizione (=estinzione del diritto soggettivo conseguente al
mancato esercizio dello stesso da parte del titolare per un lasso di tempo determinato
dalla legge) non estingue il diritto, cosicchè in caso di adempimento varrà la regola
generale che prevede l’irrilevanza della incapacità nell’ipotesi di adempimento di
obbligazioni civili.
Altra parte della dottrina ritiene invece che la prescrizione operi nel senso della
estinzione dell’obbligazione civile con contestuale nascita di un’obbligazione naturale e
pertanto osserva che la capacità può presumersi esistente atteso che, in tal caso,
l’obbligazione naturale deriva da un’obbligazione civile che a sua volta presuppone la
capacità dei soggetti. Consegue a questa impostazione che l’eventuale incapacità
sopravvenuta determinerebbe la ripetibilità di quanto prestato.
L’obbligazione naturale non si trasmette mortis causa. Può però ritenersi che
sorga in capo all’erede un’autonoma obbligazione naturale avente ad oggetto
l’adempimento di quella del de cuius.

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LE VICENDE DELL’OBBLIGAZIONE
LE FONTI:
Il libro 4 del Codice Civile regolamenta la materia delle obbligazioni dettando
innanzi tutto una disciplina comune di carattere generale agli ART.1173-
1320C.C.
L’ART.1173C.C. recita che le obbligazioni derivano:
-da contratto: è una fonte volontaria tipica delle obbligazioni, ART.1321CC.;
-da fatto illecito: fonte non volontaria. L’obbligazione nasce come conseguenza del
fatto illecito: colui che ha commesso il fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un
danno ingiusto è obbligato al risarcimento del danno, ART.2043C.C.;
-da ogni altro fatto od atto idoneo a produrre obbligazioni in conformità
dell’ordinamento giuridico: tale categoria, di carattere residuale, comprende ipotesi
diverse dal contratto o dal fatto illecito, in cui dal comportamento del soggetto
scaturisce, quale conseguenza disciplinata dall’ordinamento, un vincolo obbligatorio.
Rispetto al Codice del 1865 la più importante novità è costituita dalla costruzione
di un sistema delle fonti aperto e non più chiuso. Ogni atto o fatto è idoneo a
produrre un’obbligazione purchè ciò appaia possibile alla luce di una più vasta
valutazione operata sulla base dei principi propri dell’ordinamento giuridico. Il rinvio
all’ordinamento giuridico non significa dunque rinvio alla legge perché altrimenti si
tratterebbe di un sistema chiuso che vedrebbe solo nella legge la fonte
dell’obbligazione, infatti anche il contratto e il fatto illecito sono regolati dalla legge.
Il sistema aperto sta invece a significare un’atipicità delle fonti nel senso che anche
atti o fatti non previsti in norme puntuali possono produrre obbligazioni nei limiti in cu
vi sia conformità all’ordinamento giuridico. Il sistema aperto permette di giustificare
ampiamente la nascita di obbligazioni legate in qualche modo alla volontà dei soggetti
pur al di fuori dello schema contrattuale (es. quelle che discendono da deliberazioni di
organi collegiali, le quali vincolano anche la minoranza).
Le fonti dell’obbligazione possono distinguersi in 2 gruppi:
1.FONTI NEGOZIALI: sono atti di autonomia privata che costituiscono il rapporto e
che normalmente concorrano a regolarlo (testamento, promessa al pubblico…);
2.FONTI LEGALI: sono le fattispecie che producono il rapporto obbligatorio in virtù di
legge. Comprendono gli atti giuridici in senso stretto: comportamenti umani che
rilevano come semplici presupposti di effetti giuridici. Essi sono fonti dell’obbligazione
quando realizzano le condizioni necessarie per la loro produzione.
-leciti: può essere fonte dell’obbligazione quando crea un vantaggio economico per il
quale l’ordinamento avverte l’esigenza di una restituzione, di una compensazione o di
una contribuzione;
-illeciti: lesione di un interesse giuridicamente protetto che obbliga a risarcire tale
interesse. Fondamento dell’obbligazione derivante da fatto illecito è l’esigenza di
riparazione del danno ingiusto.

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ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE:
L’ADEMPIMENTO: Le obbligazioni hanno durata temporanea: il rapporto
obbligatorio, infatti, esiste in funzione della soddisfazione dell’interesse del creditore e
di conseguenza si estinguono quando questo viene realizzato.
L’adempimento è l’esatta esecuzione della prestazione dedotta nel rapporto
obbligatorio, da cui consegue l’estinzione diretta dell’obbligazione e la liberazione del
debitore.
Esso deve essere esatto, inoltre il debitore nell’adempiere deve usare la diligenza
del buon padre di famiglia.
L’ART.1176C.C. modificando l’orientamento vigente sotto il Codice del 1865, ha
fissato un criterio di valutazione da un lato obiettivo, proprio cioè dell’uomo medio
(il c.d. buon padre di famiglia) e, dall’altro, relativo perché l’indagine del giudice, in
caso di contrasto, dovrà essere condotta con riferimento al singolo caso di specie
variando la portata della diligenza a seconda delle diverse situazioni: si tratta in
sostanza di una clausola generale.
Nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, la
diligenza deve misurarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata.
La regola della diligenza è decisiva al fine di valutare l’esattezza della esecuzione della
prestazione e dunque la presenza di un inadempimento nel caso di impossibilità
oggettiva di adempiere ex ART.1218C.C., perché si tratta di verificare fino a che punto
lo sforzo del debitore avrebbe potuto evitare l’impossibilità sopravvenuta.
Va poi detto che il comportamento del debitore oltre che diligente deve anche essere
improntato a correttezza, secondo i principi che vincolano in realtà entrambe le parti
del rapporto obbligatorio.
Discussa è la natura giuridica dell’atto di adempimento. L’opinione dominante
sostiene che l’adempimento non è un atto libero ma un atto necessitato: il debitore
deve adempiere e l’inadempimento è sanzionato con il risarcimento dei danni,
costituendo esso un illecito. Pertanto l’adempimento è un atto dovuto.
REQUISITI:
-oggettivi: di conformità della prestazione eseguita alle varie determinazioni legali e
contrattuali.
-soggettivi: sono la legittimazione di chi esegue la prestazione (legittimazione ad
adempiere) e di chi la riceve (legittimazione a ricevere). Altro requisito soggettivo è la
capacità d’agire: essa è richiesta per il creditore.
Sul piano dei presupposti oggettivi il Codice detta talune norme. Innanzitutto
l’adempimento, salvo accordi con il creditore, deve essere esatto nel senso che non vi
può essere difformità tra oggetto dell’obbligazione e oggetto della concreta
prestazione.
L’adempimento, poi, deve essere integrale, potendo il creditore rifiutare
l’adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile, salvo diversa disposizione
della legge o degli usi.
Importante è quanto detta l’ART.1192C.C.: il debitore non può impugnare il
pagamento eseguito con cose di cui non poteva disporre salvo che offra di eseguire la
prestazione dovuta con cose di cui può disporre. Il creditore che ha ricevuto il
pagamento in buona fede può invece impugnarlo, restituendo quanto fatto oggetto di

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adempimento (sempre che ciò sia possibile) e pretendendo un nuovo adempimento


oltre al risarcimento del danno.
Per parte sua il terzo proprietario può in ogni caso agire con l’azione di rivendica nei
confronti del creditore, salvo la regola possesso vale titolo in caso di cose mobili e il
maturarsi dell’usucapione.
Naturalmente se l’estinzione è vittoriosamente esperita, il creditore potrà sempre
pretendere un nuovo adempimento anche se ha ricevuto la cosa in mala fede: la
conoscenza dell’altruità non è infatti causa di estinzione dell’obbligazione.
Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta,
anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore vi acconsenta,
ART.1197C.C.. In tal caso le parti avranno stipulato un vero e proprio contratto di
carattere solutorio denominato datio in solutum (ovvero dazione in pagamento) con
efficacia estintiva dell’obbligazione.
Integra gli estremi di una dazione quella del pagamento di un assegno bancario
anziché della somma in contanti, oppure la restituzione della merce acquistata e non
pagata; mentre non è configurabile come tale la dazione di una cambiale, che ha
natura di promessa.
Ad ogni effetto di legge (es. azione revocatoria) la dazione in pagamento è un
contratto a titolo oneroso perché comporta l’estinzione dell’obbligazione.
LEGITTIMAZIONE A RICEVERE: ART.1188C.C.:
-creditore.
-rappresentante del creditore: ossia colui che ha il potere di ricevere la prestazione
in nome e per conto del creditore, quale suo sostituto giuridico. Il potere di
rappresentanza può essere conferito appositamente dal creditore mediante una
procura a ricevere la prestazione e, se si tratta di prestazioni pecuniarie, mediante una
procura all’incasso.
-persona indicata dal creditore: ossia i soggetti che il creditore designa quali
destinatari del pagamento al di fuori di un rapporto di rappresentanza. A seguito
dell’indicazione fatta dal creditore il debitore può eseguire il pagamento alla persona
indicata con effetto liberatorio. L’indicato non ha una pretesa all’adempimento né può
agire per l’adempimento. L’indicato non può agire neppure in nome del creditore, in
quanto il potere conferito dall’indicazione non è un potere rappresentativo in senso
proprio, e comunque è limitato al ricevimento della prestazione e degli atti connessi.
L’indicato è persona estranea al rapporto debitore-creditore.
L’indicazione di pagamento è accomunata in dottrina alla delegazione di
pagamento. Nella delegazione di pagamento il debitore delega un terzo ad eseguire il
pagamento (delegazione passiva).
La diversità delle due figure si coglie in primo luogo sul piano strutturale:
l’indicazione è un atto unilaterale del creditore, mentre la delegazione si articola in
un accordo tra creditore e debitore.
Precisamente, l’indicazione di pagamento, al pari della rappresentanza, autorizza il
debitore ad eseguire il pagamento all’indicato, ma non toglie al creditore la sua
legittimazione a ricevere. Se ad es. il creditore indica la banca di cui è correntista, il
debitore potrà eseguire il pagamento a quest’ultima o al creditore stesso.
La delegazione attiva di pagamento è invece lo strumento di cui si avvale il
creditore quando questi ha interesse a che la prestazione sia eseguita al terzo.

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Accettando la delegazione il debitore è tenuto nei confronti del delegante ad eseguire


il pagamento al delegatario.
Il pagamento fatto a chi non era legittimato a riceverlo libera il debitore se il creditore
lo ratifica o se ne ha approfittato (ipotesi, questa, che si realizza quando l’oggetto
della prestazione abbia in ogni caso arricchito il patrimonio del creditore).
L’ART.1190C.C. subordina poi l’estinzione dell’obbligazione qualora l’adempimento sia
stato eseguito nei confronti di un creditore incapace, al fatto che questi ne abbia
conseguito un effettivo vantaggio. Il problema si presenta anche per la capacità
naturale e in questo caso occorre distinguere: per l’obbligazione di fare o non fare che
non pretenda una collaborazione del creditore è evidente che non sarà richiesta la
capacità naturale, che invece si deve ritenere necessaria se una forma di
collaborazione è indispensabile. Per le obbligazioni di dare è invece necessaria ai fini
della liberazione del debitore, la capacità d’agire, salvo che il creditore sia inabilitato o
emancipato e l’atto di adempimento si riferisca ad un negozio rientrante tra quelli di
ordinaria amministrazione.
-persona autorizzata da legge o giudice.
CREDITORE APPARENTE: una particolare regola è dettata nel caso in cui il
debitore adempia nei confronti del creditore apparente: infatti, l’ART.1189C.C. dice
che il debitore che esegue a chi appare legittimato a ricevere il pagamento in base a
circostanze univoche è liberato se prova di essere stato in buona fede.
PRESUPPOSTI:
-uno di carattere soggettivo: la buona fede del debitore;
-uno di carattere oggettivo: l’apparenza della legittimazione in capo al
ricevente.
ADEMPIMENTO DEL TERZO: alla medesima scissione tra estinzione dell’obbligo e
realizzazione del diritto può assistersi in caso di adempimento da parte del terzo.
Secondo quanto detta l’ART.1180C.C., l’obbligazione può essere infatti adempiuta da
un terzo, anche contro la volontà del creditore (se questi non ha interesse a che il
debitore esegua personalmente la prestazione) salvo opposizione del debitore, perché
allora il creditore può rifiutare l’adempimento. Il rifiuto è invece dovuto se
l’opposizione era prevista nel contratto fonte dell’obbligazione da adempiere, concluso
tra debitore e creditore.
Sebbene il Codice utilizzi l’espressione adempimento, in realtà non vi è identità di
natura e di struttura tra adempimento del debitore e adempimento del terzo, ma solo
identità funzionale. L’adempimento del terzo, infatti, non attua in nessun caso
l’obbligo del debitore, posto che l’attuazione non può che discendere da un personale
comportamento tenuto dal debitore stesso ed inoltre non necessariamente comporta
l’estinzione dell’obbligo potendo il terzo che adempie surrogarsi al creditore nel diritto
a pretendere l’adempimento da parte del debitore.
L’adempimento del terzo è atto libero e non dovuto. Non è dunque discutibile la
natura negoziale dell’atto.
Un’autorevole dottrina è nel senso della contrattualità della fattispecie
negoziale, sottolineando che, da un lato, l’adempimento del terzo è diretto proprio al
creditore in funzione della realizzazione del suo diritto mentre giammai si pone in
relazione con il debitore il cui obbligo in nessun caso è attuato ed è sempre necessaria
una dichiarazione del creditore, a prescindere dalla quale il comportamento del terzo
non è idonea a produrre effetti nella sfera patrimoniale del debitore. Quindi, il
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comportamento del creditore si configura come un onere, perché costui deve accettare
l’adempimento del terzo in vista della realizzazione di un proprio interesse, ma la
figure dell’onere implica sempre una situazione sostanzialmente libera come del resto
sarebbe confermato dal fatto che la norma attribuirebbe al creditore in buona sostanza
un potere discrezionale di rifiuto quando sussista un interesse (che deve essere certo,
concreto ed attuale) a che il debitore esegua personalmente la prestazione.
Nel rapporto interno, rapporto di provvista, con il debitore, il terzo può avere
assunto l’obbligo di adempiere a fronte dell’estinzione di un proprio debito nei
confronti del debitore stesso oppure con surroga nei diritti del creditore,
configurandosi così una datio in solutum o un mutuo. In difetto di ciò il pagamento è a
titolo gratuito o di donazione indiretta, salvo che il terzo sia surrogato dal creditore nei
diritti e non rifiuti o sussistano i presupposti della gestione di affari altrui.
LUOGO DELL’ADEMPIMENTO: dal punto di vista spaziale l’ART.1182C.C.
statuisce che se il luogo nel quale la prestazione deve essere eseguita non è
determinato dalla convenzione o dagli usi e non può desumersi dalla natura della
prestazione o da altre circostanze, si applicano le regole fissate dallo stesso
ART.1182C.C..
Si tratta di una norma suppletiva, nel senso che mira a porre rimedio ad una lacuna
regolamentare, tenendosi presente che il patto può anche formarsi tacitamente
attraverso il continuo, perdurante sistema adottato ed accettato dalle parti. Si parla in
tal caso di usi negoziali individuali, mentre gli usi indicati nell’ART.1182C.CCO.1.
sono usi normativi.
REGOLE SUPPLETIVE:
-l’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve essere adempiuta nel
luogo in cui si trovava la cosa quando l’obbligazione è sorta.
-l’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro deve essere adempiuta nel
domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza. Da qui l’espressione portables
riferita a tali debiti, volendosi con ciò sottolineare che spetta al debitore di recarsi per
il pagamento, dal creditore. Tuttavia se il domicilio alla scadenza è diverso da quello
che il creditore aveva quando è sorta l’obbligazione e ciò rende più gravoso
l’adempimento, il debitore, previa dichiarazione al creditore, ha diritto di eseguire il
pagamento al proprio domicilio (questa regola vige in ipotesi di cessione del credito).
La giurisprudenza ha chiarito che detta normativa si applica solo alle obbligazioni
che fin dal loro sorgere hanno ad oggetto il pagamento di somme di denaro. Si tratta,
dunque, di debiti di valuta che devono derivare da titolo giudiziale ovvero da titolo
convenzionale, che ne abbia stabilito contenuto e scadenza. Quando invece la somma
richiede una liquidazione, ad es. risarcimento da fatto illecito o inadempimento, il
pagamento deve essere fatto al domicilio del debitore.
TEMPO DELL’ADEMPIMENTO: L’ART.1183C.C. detta una disciplina del tempo
dell’adempimento. La regola base è che se non è determinato il tempo in cui la
prestazione deve essere eseguita, il creditore può esigerla immediatamente, salvo
però quel minimo tempo materiale, necessario secondo correttezza. In mancanza di
accordo tra le parti è stabilito dal giudice.
Il debitore è, in ogni caso, ritenuto inadempiente anche prima e indipendentemente
dalla fissazione giudiziale del termine, ove il ritardo sia considerato incompatibile con
la natura della prestazione, rivelando, così l’intenzione di non adempiere.

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Le parti possono peraltro fissare convenzionalmente un termine di adempimento, che


si distingue dal termine di efficacia. Questo ha il compito di fissare il momento da cui o
fino a cui vige tra le parti quel certo rapporto contrattuale, mentre nell’altra ipotesi il
termine presuppone un rapporto già nato e pienamente efficace che deve essere solo
eseguito.
Di regola il termine si presume a favore del debitore. Il creditore, se il termine è a suo
favore, può esigere la prestazione anche prima della scadenza (salvo sempre il limite
della correttezza).
Il creditore non può esigere la prestazione prima della scadenza, salvo che il termine
sia stabilito esclusivamente a suo favore.
Del beneficio del termine, pur se stabilito in suo favore, il debitore decade se è
divenuto insolvente o ha diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva date o non
ha dato, benchè richiesto, le garanzie che aveva promesso, con la conseguenza che il
creditore potrà esigere immediatamente la prestazione, salvo patto contrario.
Per insolvenza la giurisprudenza intende una situazione di dissesto economico che
renda verosimile la impossibilità per il debitore di far fronte ai propri impegni.
Il debitore che ha più debiti della medesima specie verso lo stesso creditore può
dichiarare, quando paga, quale debito intende soddisfare, ovviamente quando la
somma è insufficiente ad estinguerli tutti ed essi hanno causa e titoli diversi.
Ove il debitore non eserciti tale sua facoltà, l’eventuale imputazione spetta al
creditore in sede di rilascio della quietanza. L’ART.1195C.C. statuisce infatti che se il
debitore, avendo più debiti, accetta una quietanza nella quale il creditore ha dichiarato
di imputare il pagamento ad uno di essi, non può pretendere una imputazione diversa,
se non vi è stato dolo o sorpresa da parte del creditore stesso. Il debitore può anche
rifiutare la quietanza e pretenderne un’altra relativa ad un debito diverso: l’ultima
parola spetta in ogni caso al debitore e la volontà del creditore ha il valore di una
mera proposta.
MORA DEL CREDITORE E DEPOSITO LIBERATORIO:
ART.1206C.C.: l’adempimento del debitore presuppone di regola la collaborazione del
creditore nel ricevere la prestazione dovuta.
Il pagamento di una somma di denaro o la consegna di una cosa non sono possibili se
il creditore rifiuta di ricevere il denaro o la cosa.
Talvolta poi è il creditore che deve mettere in condizione il debitore di poter eseguire
la prestazione: non è possibile, ad es., ad un elettricista porre in opera un impianto se
il proprietario della casa, creditore della prestazione, non permette l’ingresso.
Il creditore si trova dunque in una situazione di onere dovendo tenere un
comportamento necessitato al fine di realizzare un interesse proprio.
La liberazione coattiva dal vincolo presuppone di necessità il rifiuto di collaborazione
da parte del creditore, rifiuto che deve essere accertato secondo precise modalità che
costituiscono, appunto, il procedimento di costituzione in mora.
Il debitore, al fine di costituire in mora il creditore, deve avanzare l’offerta di
adempimento, la quale, a seconda dei casi, è reale o per intimazione.
-OFFERTA REALE: è prevista quando l’obbligazione ha per oggetto denaro, titoli di
credito ovvero cose mobili da consegnare al domicilio del creditore
(ART.1209C.C.1209). Essa è materialmente compiuta da un notaio o da un ufficiale
giudiziario, i quali procedono a redigere un verbale da cui consti oltre all’oggetto
dell’offerta, l’eventuale accettazione del pagamento da parte del creditore, con
contestuale sua dichiarazione per quietanza e per liberazione dalle garanzie, ovvero il
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rifiuto del pagamento stesso. È indispensabile che il pubblico ufficiale rechi con sé
l’oggetto dell’offerta.
-L’OFFERTA PER INTIMAZIONE: è invece prevista quando si tratta di cose mobili
da consegnare in luogo diverso dal domicilio del creditore, ovvero di cose immobili, o
ancora quando l’obbligazione consiste in un facere. In questi casi il procedimento di
offerta si scinde in due fasi: innanzi tutto è necessaria una intimazione del debitore al
creditore di ricevere il bene dovuto ovvero, in caso di beni immobili, di immettersi nel
possesso ovvero ancora, in caso di obbligazioni di facere, di ricevere la prestazione o
di compiere gli atti che sono necessari al fine di renderla possibile, intimazione
contenuta in un atto, notificato mediante ufficiale giudiziario, indicante giorno, ora e
luogo in cui il debitore intende procedere alla consegna delle cose mobili o al rilascio
dell’immobile a favore del creditore ovvero intende eseguire la prestazione. E’ poi
necessaria la successiva esibizione del bene dovuto nel giorno, ora e luogo indicati, da
parte di ufficiale giudiziario o notaio che provvederanno a verbalizzare l’eventuale
mancata comparizione del creditore o il suo rifiuto di accettare l’offerta.
ART.1207C.C.: fissa gli effetti dell’avvenuta costituzione in mora:
1.innanzi tutto l’impossibilità della prestazione sopravvenuta per causa non imputabile
al debitore è a carico del creditore.
2.inoltre non sono più dovuti gli interessi, né i frutti della cosa che non siano stati
percepiti dal debitore.
3.Infine il creditore è tenuto a risarcire i danni derivanti dalla sua mora (ad es.
impossibilità per il debitore di usare i locali in cui sono depositati i beni oggetto
dell’offerta) e a sostenere le spese per la custodia e la conservazione della cosa
dovuta.
Detti effetti si verificano solo se l’offerta, in caso di contestazione da parte del
creditore, è dichiarata valida con sentenza passata in cosa giudicata al termine di un
regolare processo di cognizione; o se non vi è stata contestazione, nel senso che il
creditore, pur rifiutando il pagamento o non presentandosi nel luogo, giorno e ora
intimati, riconosca che l’offerta è stata ritualmente effettuata.
DEPOSITO LIBERATORIO: se il creditore rifiuta l’offerta, il debitore, per liberarsi dal
vincolo, deve peraltro osservare l’ulteriore formalità del deposito, che si esegue
presso la cassa depositi e prestiti o istituti di credito, e per quanto riguarda beni
immobili al sequestratario nominato dal giudice.
Se tuttavia le cose non possono essere conservate o sono deteriorabili oppure se le
spese della loro custodia sono eccessive, il debitore, dopo l’offerta reale o l’intimazione
di ritirarle, può farsi autorizzare dal tribunale a venderle nei modi stabiliti per le cose
pignorate e a depositarne il prezzo.
L’effetto che ad esso consegue, ossia la liberazione dal vincolo, presuppone o
l’accettazione del deposito da parte del creditore (cioè la dichiarazione di non aver
nulla da eccepire al riguardo), o, in caso di contestazione, una sentenza definitiva che
dichiari il deposito stesso validamente effettuato.
Il deposito non produce effetto se il debitore lo ritira prima che sia stato accettato dal
creditore o prima che, in caso di contestazione, sia stato riconosciuto valido con
sentenza passata in cosa giudicata, salvo che il creditore consenta il ritiro successivo,
ma in tal caso egli non solo non può più esigere dal debitore l’adempimento dell’obbl,
oramai estinta, ma non può nemmeno rivolgersi contro gli eventuali condebitori o
fideiussori, né avvalersi dei privilegi di pegno o delle ipoteche che eventualmente
garantivano il credito.

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MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO


A)MODI SATISFATTORI:
1)COMPENSAZIONE: quando due persone sono obbligate l’una
verso l’altra, i due debiti si estinguono per le quantità corrispondenti. In
tal modo non solo si estinguono le obbligazioni ma si realizzano i crediti.
Devono ovviamente sussistere distinti e autonomi rapporti.
-COMPENSAZIONE LEGALE: si verifica solo tra due debiti che hanno per oggetto
una somma di denaro o una quantità di cose fungibili dello stesso genere e che sono
ugualmente liquidi ed esigibili.
Il presupposto per aversi compensazione legale è pertanto la omogeneità (cose
sostituibili l’una con l’altra), liquidità (credito esistente e determinato con precisione
nel suo ammontare) ed esigibilità dei crediti. È esigibile il credito che può essere
fatto valere in giudizio al fine di ottenere una sentenza di condanna.
In caso di compensazione legale l’estinzione dei due debiti opera fin dal giorno della
loro coesistenza.
La compensazione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice in giudizio ma deve
essere comunque eccepita dalla parte interessata.
La ratio della norma è nel senso che l’eccezione deve essere sollevata dalla parte
perché solo la parte deve valutare l’interesse anche al proprio adempimento, così
come accade, ad es., quando si tratta di paralizzare l’azione del creditore sollevando
l’eccezione di prescrizione. Si esclude l’automaticità dell’estinzione e si ammette
l’esercizio stragiudiziale del potere di opporre la compensazione, con la conseguenza
che il giudice sarebbe legittimato a rilevare l’avvenuta compensazione a prescindere
da una rituale eccezione sollevata in giudizio dalla parte, purchè la prova dell’atto di
esercizio suddetto risulti acquisita al processo.
La prescrizione non impedisce la compensazione, se non era compiuta quando si è
verificata la coesistenza dei due debiti.
La sentenza con cui il giudice rileva l’avvenuta compensazione legale è una sentenza
dichiarativa, che si limita all’accertamento di un evento già verificatosi e dunque
opera ex tunc.
-COMPENSAZIONE GIUDIZIALE: in tal caso la compensazione è effetto della
sentenza del giudice, il quale dunque non si limita ad accertare un fatto (che non si è
prodotto) ma lo determina, cosicchè la sentenza opererà ex nunc, con inapplicabilità
dell’ART.1242C.C..
Si ha compensazione giudiziale quando quella legale non ha potuto operare perché
uno dei debiti (o entrambi) non è liquido, purchè però esso sia di facile e pronta
liquidazione in seguito ad accertamenti anche matematici. In tal caso il giudice può
dichiarare, ma non d’ufficio, la compensazione per la parte del debito che riconosce
esistente e può anche sospendere la condanna per il credito liquido fino
all’accertamento del credito opposto in compensazione.
Gli ART.1250-1251C.C. pongono due regole volte a tutelare i terzi che possono
essere danneggiati dalla vicenda compensativa: l’ART.1250C.C. esclude che la
compensazione possa verificarsi, e quindi operare, in pregiudizio di terzi che abbiano
acquistato diritti di usufrutto o di pegno su uno dei crediti, in periodo anteriore al
momento della coesistenza dei debiti.

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Per l’ART.1251C.C. chi ha pagato un debito mentre poteva invocare la


compensazione non può più valersi, in pregiudizio di terzi, dei privilegi e delle garanzie
a favore del suo credito, salvo che ne abbia ignorato l’esistenza per giusti motivi.
-COMPENSAZIONE VOLONTARIA: sull’accordo delle parti, e dunque mediante
un contratto di natura estintiva, qualora non ricorrano i requisiti per darsi luogo a
compensazione legale e giudiziale, si può avere compensazione volontaria.
Necessario è la reciprocità del rapporto debito-credito, mentre può esservi difetto di
omogeneità, liquidità ed esigibilità del credito.
2)CONFUSIONE: si ha quando le qualità di creditore e debitore si riuniscono nella
stessa persona, e l’obbligazione si estingue e i terzi che hanno prestato garanzia per il
debitore sono liberati.
L’ipotesi più ricorrente di confusione si ha nel caso di successione mortis causa, salvo
che vi sia stata accettazione con beneficio di inventario.
B)MODI NON SATISFATTORI:
1)NOVAZIONE OGGETTIVA: la novazione è il contratto con il quale le parti del
rapporto sostituiscono all’obbligazione originaria, che di conseguenza si estingue, una
nuova obbligazione con oggetto o titolo diverso (ART.1230C.C.).
L’estinzione si produce automaticamente nel momento in cui è raggiunto l’accordo
novativo. Si è in presenza di un contratto consensuale ad un tempo estintivo e
costitutivo di un nuovo rapporto obbligatorio.
La volontà di estinguere l’obbligazione precedente deve risultare in modo non
equivoco, pur se tacito.
Il mutamento dell’oggetto o del titolo non sono incompatibili con il permanere del
rapporto originario modificato, sino al limite dell’alterazione della sua identità.
Dal punto di vista oggettivo la modificazione deve risolversi in un mutamento, che
comporti incompatibilità, quantitativo o qualitativo dell’oggetto dell’obbligazione
ovvero in un mutamento del titolo. Ad es. sostituzione dell’obbligo di consegnare un
certo tipo di autoveicolo con l’obbligo di consegnarne un altro alle stesso o a diverse
condizioni.
La diversità dell’oggetto o del titolo è dunque requisito essenziale della fattispecie
contrattuale. La nuova obbligazione è strettamente collegata a quella originaria che ne
costituisce il presupposto: la novazione, infatti, se l’obbligazione originaria non
esisteva, è senza effetto e, più precisamente, è insanabilmente nulla in quanto viene
meno la stessa giustificazione dell’operazione economica privata perché di certo non si
può estinguere un’obbligazione che non è mai nata.
Inesistente è l’obbligazione con il titolo nullo ed anche quando è annullabile, una volta
intervenuta la sentenza di annullamento, salvo che il debitore abbia assunto
validamente il nuovo debito conoscendo il vizio del titolo originario, secondo il
generale principio della convalida c.d. tacita di cui all’ART.1444C.C..
Problemi sorgono quando il titolo originario sia risolubile, rescindibile o
revocabile:
-RISOLUBILITA’: se la risoluzione del rapporto si è determinata prima della
novazione l’obbligazione originaria non esiste e dunque la novazione non potrà
operare.
Se invece sussistono le condizioni per chiedere in giudizio la risoluzione si ritiene
possibile l’applicazione estensiva del disposto dell’ART.1234C.C. con la conseguenza

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che la novazione sarebbe efficace se la parte conosceva, al momento della stipula del
contratto di novazione, il fatto che avrebbe legittimato l’esercizio per parte sua
dell’azione di risoluzione.
-RESCINDIBILITA’: per quanto riguarda il titolo rescindibile, si determina la stessa
situazione vista pe il titolo annullabile, con l’unica importante differenza della
inapplicabilità dell’ART.1234C.C., perché il contratto rescindibile non può essere
convalidato.
-REVOCABILITA’: poiché all’azione revocatoria consegue solo l’inopponibilità dell’atto
nei confronti dei creditori che hanno agito in giudizio, l’obbligazione originaria
permane in vita e dunque l’ART.1234C.C. non può trovare applicazione.
L’ART.1232C.C. dispone poi che i privilegi, il pegno e le ipoteche del credito originario
si estinguono, se le parti non convengono espressamente di mantenerli per il nuovo
credito.
2)REMISSIONE DEL DEBITO: si tratta dell’atto con il quale il creditore
rinunzia ad esigere il proprio credito nei confronti del proprio debitore. La
dichiarazione del creditore di rimettere il debito ha carattere recettizio in quanto per
produrre l’estinzione dell’obbligazione essa deve essere comunicata al debitore.
Quest’ultimo può rifiutare la remissione del debito, ma ha l’onere di comunicare il
rifiuto al creditore entro un congruo termine. Il negozio di rimessione ha struttura
unilaterale in quanto si perfeziona con la sola volontà del creditore. Il consenso del
debitore non è necessario poiché la remissione produce un effetto a lui favorevole.
La remissione è un atto di rinunzia. Con essa il creditore dismette il suo diritto senza
averne ottenuto l’attuazione e senza un corrispettivo.
Ha ad oggetto la dismissione del diritto ed è essenzialmente unilaterale.
La causa della remissione è essenzialmente gratuita: il creditore che rimette il debito
vi rinunzia senza una controprestazione.
Essendo un atto del creditore, essa richiede la sua capacità di agire. Se fatta dal
rappresentante legale, dev’essere autorizzata come atto di straordinaria
amministrazione.
Il creditore può rinunziare anche a crediti futuri, semprechè si tratti di diritti
determinati o determinabili.
La remissione del debito comporta il venir meno delle garanzie prestate da terzi o dal
debitore sia reali che personali, mentre, la rinunzia delle garanzie non fa presumere la
remissione del debito. La rinunzia dietro corrispettivo alla garanzia prestata da un
terzo implica che il creditore rinunziante deve imputare al debito principale quanto ha
ricevuto, a beneficio del debitore e di coloro che hanno prestato garanzia per
l’adempimento dell’obbligazione.
IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA DELLA PRESTAZIONE:
ART.1265C.C.: l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al
debitore, la prestazione diventa definitivamente impossibile.
Se tale impossibilità è solo parziale, il debitore si libera dall’obbligazione eseguendo
la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
L’impossibilità deve essere sopravvenuta (una prestazione impossibile ad origine
renderebbe parimenti impossibile il sorgere del rapporto obbligatorio) e deve essere
qualificata dai caratteri della imprevedibilità, obiettività e assolutezza.

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Naturalmente è inconfigurabile l’impossibilità in caso di obbligazioni pecuniarie, perché


esse hanno ad oggetto la dazione di un bene che è il denaro ed è sempre reperibile, e
di obbligazioni generiche.
Sussiste uno stretto nesso tra sforzo del debitore volta all’adempimento e impossibilità
della prestazione.
Non vi è pertanto inadempimento quando di per sé la prestazione sarebbe
teoricamente possibile ma a condizioni che non sono umanamente sopportabili.
Solo l’impossibilità definitiva determina l’estinzione. Quella temporanea esonera il
debitore da ogni responsabilità per il ritardo nell’adempimento, salvo che
l’impossibilità stessa perduri fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla
natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la
prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla. Il debitore è tenuto
ad adempiere, una volta cessata la causa di impossibilità temporanea, a prescindere
dal fatto che abbia ancora un interesse al rapporto obbligatorio, salvo che la
prestazione, con il trascorrere del tempo, sia divenuta eccessivamente onerosa. Egli
non può pretendere una rinnovazione del termine di durata, pari a quello perduto.
La prestazione che ha per oggetto una cosa determinata si considera divenuta
impossibile anche quando la cosa è smarrita senza che possa esserne provato il
perimento, ma se essa viene successivamente rinvenuta, si applicano le regole della
impossibilità temporanea.
L’impossibilità parziale o totale della prestazione di una cosa determinata, oltre a
causare l’estinzione dell’obbligazione fa subentrare il creditore nei diritti spettanti al
debitore in dipendenza del fatto che ha causato l’impossibilità.
Il creditore, infatti, vedrebbe leso il proprio diritto di credito nei confronti del debitore
e pertanto potrebbe rivolgersi contro il terzo sia pure facendo valere i diritti del
debitore nei quali egli è subentrato ex lege.
Il creditore inoltre, può esigere dal debitore la prestazione di quanto questi abbia
conseguito a titolo di risarcimento. Si tratta di un’ipotesi di surrogazione reale,
perché si determina la sostituzione di un dato rapporto, con oggetto diverso, a quello
precedente, che si è istinto.

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SPECIE TIPICHE DI OBBLIGAZIONI


1)OBBLIGAZIONI PECUNIARIE: “pecuniario” è il denaro ed esso è senza
dubbio, tra i vari beni mobili, il più utilizzato come oggetto di scambio, o in funzione
risarcitoria.
I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo
del pagamento e per il suo valore nominale (ART.1277C.C.).
La norma accoglie il c.d. principio nominalistico in base al quale se un soggetto dà
a mutuo cento milioni di lire nel 1950 per un periodo di venti anni, ha diritto a
pretendere, nel 1970, solo la restituzione di cento milioni. Pertanto a fronte della
svalutazione monetaria sta l’immutabilità del credito dal punto di vista, appunto,
nominale con conseguente perdita di valore.
In periodi di alto tasso inflattivo l’obbligazione pecuniaria si presenta per il creditore,
gravemente svantaggiosa, mentre il contrario accadrebbe in caso di rivalutazione
monetaria.
Il principio nominalistico si applica anche quando la somma dovuta è determinata in
una moneta non avente corso legale nello Stato, perché il debitore ha facoltà di
pagare in moneta legale, al corso del cambio nel giorno di scadenza e nel luogo
stabilito per il pagamento. Il creditore sopporta il rischio dell’oscillazione del cambio.
Contro i rischi derivanti dalla svalutazione i privati possono utilizzare vari rimedi sul
piano contrattuale, ed altri ne stabilisce la legge.
In particolare è tutelato dalla legge il salario dei lavoratori subordinati, che è credito
pecuniario.
Il debito soggetto al principio nominalistico è denominato DEBITO DI VALUTA,
ma esistono anche debiti aventi ad oggetto la dazione di una somma di denaro che
non risentono del principio nominalistico e sono denominati DEBITI DI VALORE,
perché la somma di denaro esprime, in termini monetari, la valutazione di
convenienza del creditore, con riferimento ad un dato bene o ad una data prestazione
(es. obbligazione alternativa), sicchè la somma di denaro dovuta aumenta, se
aumenta il valore della prestazione, con eliminazione dei rischi monetari svalutativi.
È di valore il debito che nasce da qualsivoglia forma, seppure non diretta e
immediata, di indennizzo o di risarcimento o di conguaglio, perché allora la moneta
costituisce solo la misura economica della lesione subita. Così è da dirsi nel caso di
risarcimento da inadempienza contrattuale o da fatto illecito extracontrattuale.
INTERESSI CORRISPETTIVI: gli interessi, ove richiesti, hanno funzione
remuneratoria, in cambio del vantaggio derivante al debitore dalla disponibilità di
denaro altrui.
Sono dovuti sulla base della naturale produttività del denaro. I crediti liquidi ed
esigibili producono automaticamente interessi, detti corrispettivi perchè rappresentano
il corrispettivo del godimento della somma di denaro.
INTERESSI COMPENSATIVI: devono invece essere corrisposti, per motivi di equità,
a causa del ritardato conseguimento, da parte del creditore, di somme dovute, con
vantaggio per il debitore, che non paga subito.
La particolarità è nel fatto che gli interessi decorrono pur non essendo il credito liquido
o esigibile, né il ritardo imputabile al debitore.

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INTERESSI LEGALI: La misura, o tasso degli interessi è fissata in una percentuale


delle somme dovute su base annua, modificabile in relazione all’andamento dei tassi
dei titoli di Stato e dell’inflazione.
Essi, salvo diversa disposizione di legge o del titolo, sono dovuti di pieno diritto.
INTERESSI CONVENZIONALI: le parti possono anche derogare al saggio legale,
pattuendo una misura inferiore o superiore. In quest’ultimo caso la pattuizione dovrà
rivestire la forma scritta ad substantiam, restando altrimenti, valido il tasso legale.
L’onere della forma è assolto anche quando il tasso è fissato per relationem, con
riferimento però a criteri certi e obiettivi.
Ad evitare approfittamenti da parte del creditore, la legge impone un limite (seppure
non predeterminato) agli interessi convenzionali, il cui tasso non può mai essere a tal
punto elevato da sconfinare nell’usura:
ART.1283C.C.: ANATOCISMO: in mancanza di usi contrari ed in presenza di un
debito di valuta e non di valore, gli interessi scaduti possono produrre a loro volta
interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione scritta
posteriore alla loro scadenza se gli interessi sono dovuti almeno per 6 mesi.
Un indice della particolare attenzione rivolta dal legislatore al problema degli interessi
(a tutela del creditore) è nel disposto dell’ART.1194C.C. in base al quale il debitore
non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi e alle spese
senza il consenso del creditore, mentre il pagamento fatto in conto di capitale e
interessi deve essere imputato prima agli interessi.
Se il debitore ritarda nel pagamento di un debito pecuniario liquido ed esigibile, il
creditore ha diritto di pretendere il pagamento, sulla somma dovuta, dei c.d.
INTERESSI MORATORI, purchè il debitore sia stato debitamente messo in mora.
Gli interessi corrispettivi cessano peraltro di essere dovuti con la mora, sostituiti da
quelli moratori, salvo patto contrario.
Il vantaggio della messa in mora è duplice. Innanzi tutto le parti possono anche
pattuire pur in misura superiore a quella degli interessi corrispettivi, la misura degli
interessi moratori, che sono sottratti al regime degli interessi usurari, applicandosi, se
del caso, l’ART.1284C.C..
Inoltre, in difetto di pattuizione, gli interessi moratori sono bensì dovuti in ogni caso
nella misura legale o, se pattuita, in quella convenzionale degli interessi corrispettivi, a
prescindere peraltro dalla prova del danno, che è presunto, ma, ed ecco il secondo
vantaggio, al creditore che dimostri di aver subito un danno maggiore rispetto a quello
liquidato con gli interessi moratori stessi, al tasso di quelli corrispettivi, legale o
convenzionale, spetta l’ulteriore risarcimento dalla data della messa in mora.
Vi è poi una disciplina speciale per il ritardo di pagamenti nelle transazioni
commerciali: la L.91/97ART.1 vieta il pagamento in denaro contante per importi
superiori a 10.000 euro, salvo che esso sia eseguito per il tramite di intermediari
abilitati (uffici della P.A., compresi uffici postali, enti creditizi). Il pagamento per
contanti tramite l’intermediario abilitato deve essere effettuato mediante disposizione
accettata per iscritto da costui, previa consegna della somma. La comunicazione da
parte del debitore al creditore dell’accettazione predetta estingue il debito.
2)OBBLIGAZIONI ALTERNATIVE: di regola la prestazione a carico del
debitore è unica ed allora il debitore si libererà eseguendo quella prestazione
(obbligazione semplice).

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Altre volte l’obbligazione pone a carico del debitore una pluralità di prestazioni, che
dovranno essere integralmente adempiute (obbligazioni cumulative).
È invece alternativa l’obbligazione che prevede due o più prestazioni ma permette al
debitore di liberarsi eseguendone una a propria scelta.
Esula da tale figure l’obbligazione che preveda una data prestazione in caso di
inadempienza o di impossibilità sopravvenuta di un’altra, ovvero l’ipotesi di scelta
alternativa da parte del creditore tra due diritti sopravvenuti.
In seguito alla scelta avviene la c.d. concentrazione, termine con il quale si indica la
definitiva individuazione della prestazione dovuta.
La scelta spetta al debitore, se non è stata attribuita al creditore o ad un terzo.
L’atto di scelta è certamente unilaterale e recettizio.
Se la scelta deve essere fatta da più persone, il giudice può fissare loro un termine. Se
non è fatta nel termine stabilito, viene fatta dal giudice.
Dalla scelta si decade se non tempestivamente esercitata.
Si deve distinguere tra termine della scelta e termine dell’adempimento. Le parti
possono infatti aver stabilito al riguardo due termini distinti e successivi nel tempo. Se
invece è fissato solo il termine per l’adempimento, esso si intenderà coincidente con
quello per la scelta, mentre, in difetto di fissazione, il creditore potrà adire il giudice, il
quale fisserà al debitore un termine per l’esecuzione: ciò significa che entro detto
termine il debitore non potrà limitarsi a comunicare la scelta ma dovrà eseguire una
delle prestazioni. In difetto la scelta spetterà al creditore.
Viceversa se la scelta spetta al creditore e questi non la esercita nel termine stabilito o
in quello fissato dal debitore, il diritto di scelta passerà a quest’ultimo.
Secondo l’ART.1288C.C. l’obbligazione alternativa si considera semplice se una delle
due prestazioni non poteva formare oggetto di obbligazione o se è divenuta
impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti.
Nel caso invece in cui l’impossibilità di una delle prestazioni sia imputabile ad una delle
parti, l’ART.1289C.C. detta una disciplina improntata a logica ed equità.
Quando la scelta spetta al debitore e l’impossibilità dipende da causa a lui imputabile
l’obbligazione diviene semplice; se invece l’impossibilità è imputabile al creditore, il
debitore è liberato dall’obbligazione, a meno che egli preferisca adempiere l’altra
prestazione e chiedere il risarcimento dei danni.
Se viceversa la scelta spetta al creditore, il debitore è liberato dalla obbligazione se
una delle due prestazioni diviene impossibile per colpa del creditore, salvo che questi
preferisca esigere l’altra prestazione e risarcire il danno. Se dell’impossibilità deve
invece rispondere il debitore, il creditore può scegliere l’altra prestazione o esigere il
risarcimento del danno.
Infine, l’ART.1290C.C. prevede l’ipotesi di impossibilità sopravvenuta di entrambe le
prestazioni.
Se la scelta spetta al debitore e una prestazione diviene impossibile per causa a lui
imputabile e l’altra per caso fortuito, egli deve pagare l’equivalente di quella che è
divenuta impossibile per ultima.
Se l’impossibilità imputabile riguarda entrambe le prestazioni, e l’evento
dell’impossibilità è unico il debitore dovrà pagare l’equivalente dell’una o dell’altra a
sua scelta.
Diversa è l’OBBLIGAZIONE FACOLTATIVA che si configura quando la prestazione
permane unica ma il debitore ha facoltà di liberarsi eseguendo una diversa
prestazione.
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È prevista nell’esclusivo interesse del debitore. Discende da ciò che se la prestazione


principale diviene impossibile, il debitore, nei limiti della non imputabilità secondo le
ordinarie regole, è liberato.
In caso di facoltatività non esiste un problema di scelta in senso tecnico.
3)OBBLIGAZIONI SOLIDALI: l’obbligazione è in solido quando più debitori
sono obbligati tutti per la medesima prestazione, in modo che ciascuno può essere
costretto all’adempimento per la totalità e l’adempimento da parte di uno libera gli
altri (solidarietà passiva); oppure quando tra più creditori ciascuno ha diritto di
chiedere l’adempimento dell’intera obbligazione e l’adempimento conseguito da uno di
essi libera il debitore verso tutti i creditori (solidarietà attiva).
Si parla al riguardo di pluralità di rapporti obbligatori collegati o di comunione di
interessi
È necessario un elemento oggettivo, e cioè la possibilità di rivolgersi per l’intero a
ciascun debitore (in caso di solidarietà passiva) e da parte di ciascun creditore (in
caso di solidarietà attiva).
In caso di solidarietà passiva il creditore può rivolgersi indifferentemente a questo o
a quel debitore, onde non è solidale in senso stretto l’obbligazione sussidiaria, là dove
il debitore sussidiario è tenuto al pagamento solo in quanto il debitore principale non
abbia adempiuto e a volte solo in quanto, in seguito all’esperimento dell’azione
esecutiva, il suo patrimonio sia risultato insufficiente a soddisfare la pretesa creditoria.
Nel primo caso è sufficiente che il creditore rivolga una richiesta al debitore principale.
Altre volte invece il creditore deve escutere il patrimonio del debitore principale e il
debitore sussidiario ha diritto, se richiesto per primo di adempiere, di opporre il c.d.
DIRITTO DI ESCUSSIONE indicando i beni del debitore principale da sottoporre ad
esecuzione. Tale diritto può essere pattuito tra le parti, come nel caso della
fideiussione, o essere statuito dalla legge, come nel caso di responsabilità dei soci
nella società semplice.
Un settore dove la solidarietà attiva opera è quello dei contratti bancari essendo
frequente l’intestazione plurima di cassette di sicurezza o di libretti nominativi di
risparmio a cui si ricollega l’esercizio disgiunto dei relativi diritti.
Nei rapporti esterni tra debitori e creditori, il debitore in caso di solidarietà
attiva ha la scelta di pagare all’uno o all’altro dei creditori, quando non è stato
prevenuto da uno di essi con domanda giudiziale.
Nei rapporti interni, invece, l’obbligazione in solido si divide in parti eguali, se non
risulta diversamente, tra i diversi debitori o tra i diversi creditori, salvo che sia stata
contratta nell’interesse esclusivo di alcuno di essi.
Attraverso l’AZIONE DI REGRESSO il debitore che ha pagato l’intero potrà ripetere
dai condebitori solo la parte di rispettiva spettanza. Se uno dei condebitori è
insolvente la perdita si ripartisce tra tutti gli altri, compreso quello che ha operato il
pagamento, anche se insolvente sia il condebitore nel cui esclusivo interesse
l’obbligazione è stata assunta.
Principi analoghi dovrebbero valere, nel silenzio della legge, per l’azione spettante ai
concreditori nei confronti di quello che ha ricevuto l’adempimento.

4)OBBLIGAZIONI DIVISIBILI E INDIVISIBILI:


se più sono i debitori o i creditori di una prestazione divisibile e l’obbligazione non è
solidale, ciascuno dei creditori non può domandare il soddisfacimento del credito che
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per la sua parte e ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua
parte.
Se invece l’obbligazione è indivisibile si applicano le norme relative alle obbligazioni
solidali. L’obbligazione è tale quando la prestazione ha per oggetto una cosa o un fatto
che non è suscettibile di divisione per sua natura o per il modo con cui è stato
considerato dalle parti contraenti.
L’indivisibilità può essere pertanto:
-oggettiva: l’oggetto della prestazione non può essere diviso senza fargli perdere il
suo valore o comunque senza diminuirlo;
-soggettiva: l’oggetto è di per sé divisibile ma se è diviso non potrebbe più
soddisfare l’interesse del o dei creditori.
L’indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o di quelli del
creditore.
Secondo le regole della solidarietà ciascuno dei creditori può esigere l’esecuzione
dell’intera prestazione indivisibile. Ma l’erede del creditore, che agisce per il
soddisfacimento dell’intero credito, deve dare cauzione a garanzia dei coeredi.
Infine, l’ART.1320C.C. statuisce che se uno dei creditori ha rimesso il debito o ha
consentito a ricevere un’altra prestazione in luogo di quella dovuta, il debitore non è
liberato verso gli altri creditori. Costoro tuttavia non possono domandare la
prestazione indivisibile se non addebitando a se stessi ovvero rimborsando il valore
della parte di colui che ha operato la remissione o che ha ricevuto la prestazione
diversa.

MODIFICAZIONI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO


A)MODIFICAZIONI OGGETTIVE:

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1)SURROGAZIONE REALE: il rapporto obbligatorio può modificarsi così dal


punto di vista oggettivo come da quello soggettivo.
Sotto il primo aspetto il fenomeno può verificarsi con riguardo al titolo e al contenuto.
Le parti, infatti, possono estinguere l’obbl mediante novazione oggettiva, cioè
mediante la sostituzione di una nuova obbl a quella originaria avente titolo o oggetto
diverso.
Una particolare modifica oggettiva è disposta dalla legge in caso di surrogazione reale,
dove ad un oggetto del rapporto se ne sostituisce un altro.

Si pensi ad es all’ipotesi prevista dall’art 2742. In tal caso s le cose soggette a


privilegio, pegno o ipoteca sono perite o deteriorate, il diritto di prelazione del
creditore si eserciterà non più sulla cosa ma sul prezzo della indennità eventualmente
dovuta dall’assicuratore.
B)MODIFICAZIONI SOGGETTIVE NEL LATO ATTIVO:
1)LA CESSIONE DEL CREDITO: la cessione del credito è un negozio
dispositivo con cui si trasmette un diritto ad un altro soggetto che subentra nel
rapporto obbligatorio.
L'ART.1260C.C. dispone: “il creditore può trasferire a titolo oneroso o gratuito il suo
credito, anche senza il consenso del debitore, purché il credito non abbia carattere
strettamente personale, o il trasferimento non sia vietato dalla legge. Le parti possono
escludere la cedibilità del credito, ma il patto non è opponibile al cessionario, se non si
prova che egli lo conosceva al tempo della cessione”.

Con la cessione del credito si attua, per volontà del creditore, una successione a titolo
particolare dal lato attivo nel rapporto obbligatorio.
La cessione si realizza mediante un accordo tra creditore cedente e terzo cessionario.
Si è dunque in presenza di un contratto ad effetti reali cui è del tutto estraneo il
debitore ceduto: trattasi pertanto di un contratto bilaterale.
ACCETTAZIONE: è un atto unilaterale recettizio a forma libera, la cui natura è
discussa.
L’ART.1260C.C. pone in evidenza il dato dinamico dell’attività del creditore,
specificando che la cessione può essere a titolo oneroso o gratuito: così se il credito è
ceduto dietro pagamento di un prezzo si avrà una vera e propria compravendita,
secondo quanto dispone l’ART.1470C.C. che ricomprende in tale schema tipico anche il
trasferimento di un diritto diverso da quello di proprietà.
Se il credito è ceduto a titolo gratuito si tratterà di una donazione che richiederà la
forma dell’atto pubblico, o di una negozio ex ART.1333C.C. qualificato da un interesse
patrimoniale del cedente.
La cessione può avvenire poi solvendi causa, secondo lo schema dell’ART.1198C.C., se
è mezzo per estinguere, a prescindere dall’adempimento, un’obbligazione tra cedente
e cessionario, oppure allo scopo di garantire l’adempimento di un’obbligazione del
cedente nei confronti del cessionario.
L’ambito oggettivo della cessione abbraccia ogni situazione giuridica soggettiva
suscettibile di costituire titolo per una prestazione.
Per effetto della cessione, il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie
personali e reali e gli altri accessori, quali ad es. il diritto al risarcimento del maggior
danno da inadempimento. Il cedente non può poi trasferire al cessionario, senza il

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consenso del costituente, il possesso della cosa ricevuta in pegno; in ogni caso di
dissenso il cedente rimane custode del pegno.
Per quanto riguarda invece l’ipoteca non può dirsi che vi sia un automatico
trasferimento in quanto l’ART.2843C.C. pretende che, in tal caso, la cessione sia, a fini
di opponibilità ai terzi, annotata a margine della iscrizione sui registri immobiliari.
Infine è escluso l’automatico trasferimento dei frutti.
Si trasferiscono al cessionario anche le azioni con cui il credito può essere tutelato ad
eccezione di quelle che riguardano la fonte da cui esso scaturisce (quali l’azione di
nullità, annullabilità, rescissione, risoluzione).
Il cedente deve consegnare al cessionario i documenti probatori del credito che sono in
suo possesso ovvero copia autentica degli stessi se la cessione è parziale.
Se la cessione è a titolo oneroso il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del
credito al tempo della cessione.
Se invece la cessione è a titolo gratuito la garanzia è dovuta solo nei casi e nei
limiti in cui la legge pone a carico del donante la garanzia per l’evizione.
La cessione di un credito inesistente è in ogni caso perfettamente valida e il
cessionario può, a sua scelta, avvalersi della garanzia chiedendo il risarcimento
dell’intero danno subito ovvero agire in giudizio per la risoluzione del rapporto in tal
modo sottraendosi alla propria prestazione ma ottenendo un risarcimento del danno
ridotto.
Nel caso di cessione a titolo gratuito, dovrà invece dirsi che la cessione di credito
inesistente è nulla ogniqualvolta tali condizioni non operino.
Sempre in materia di garanzie, l’ART.1267C.C. statuisce che il cedente non risponde
della solvibilità del debitore, salvo che abbia assunto la relativa garanzia. In tal caso la
cessione sarà pro solvendo, nell’altro caso sarà invece pro soluto.
In caso di cessione pro solvendo il cedente risponde nei limiti di quanto abbia
eventualmente ricevuto; deve inoltre corrispondere gli interessi, rimborsare le spese
della cessione e quelle che il cessionario abbia sopportato per escutere il debitore,
risarcire il danno.
La garanzia comunque cessa se la mancata realizzazione del credito per insolvenza del
debitore è dipesa da negligenza del cessionario nell’iniziare o nel proseguire le istanze
contro il debitore stesso, istanze sempre necessarie sul concreto piano processuale
potendo il cessionario rivolgersi al cedente nei limiti in cui dimostri di avere escusso
inutilmente il patrimonio del debitore ceduto.
RAPPORTO TRA CESSIONARIO E CEDUTO: il ceduto può opporre al cessionario
tutte le eccezioni di carattere oggettivo basate sul titolo (invalidità) o sul rapporto
(prescrizione, inadempimento del cedente, avvenuto pagamento), se relative a fatti,
anteriori alla cessione o anche successivi, se vi è retroattività, come nel caso di
cessione di credito futuro e successiva risoluzione del rapporto tra cedente e ceduto.
Anche in materia di cessione possono sorgere conflitti tra più cessionari dello stesso
credito. Al riguardo l’ART.1265C.C. dispone che se il medesimo credito ha formato
oggetto di più cessioni a persone diverse, prevale la cessione notificata per prima al
debitore o quella che costui ha accettato per prima con data certa ancorchè essa sia
posteriore.
Deve ritenersi equivalente alla accettazione il pagamento che il debitore esegua nei
confronti di un cessionario, pur se di data successiva, cosicchè a nulla varrà
l’eventuale successiva notificazione effettuata da altro cessionario di data precedente.

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2)LA SURROGAZIONE PER PAGAMENTO: la surrogazione è il fenomeno del


subingresso di un terzo nei diritti del creditore verso un debitore, per effetto del
pagamento del debito da parte del terzo stesso.
VOLONTA’ DEL CREDITORE: la surrogazione può avvenire innanzi tutto per volontà
del creditore quando questi riceve il pagamento da un terzo, che paga in proprio e non
quale rappresentante o delegato del debitore. La surrogazione deve allora essere fatta
in modo espresso e contemporaneamente al pagamento, cioè di regola, nella stessa
quietanza.
La dichiarazione di surroga è atto non negoziale di autorizzazione al subingresso del
solvens nel credito.
VOLONTA’ DEL DEBITORE: il debitore che prende a mutuo una somma di denaro o
altra cosa fungibile al fine di pagare il debito può surrogare il mutuante nei diritti del
creditore, anche senza il consenso di costui, sempre che ricorrano talune condizioni
poste dalla legge e cioè data certa del mutuo stipulato con il terzo e della quietanza
rilasciata dal creditore, indicazione nell’atto di mutuo della specifica destinazione della
somma mutuata e menzione nella quietanza della provenienza della somma così
come dichiarato dal debitore.
VOLONTA’ DELLA LEGGE: altre volte, invece, è la legge (e non il creditore o il
debitore) che attribuisce al terzo che paga il diritto a surrogarsi. La surroga non può
avvenire contro la volontà del terzo.
L’ART.1203C.C. prevede la surrogazione ex lege nei seguenti casi:
-a vantaggio di chi, essendo creditore, paga un altro creditore che ha diritto di essergli
preferito in ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche;
-a vantaggio dell’acquirente di un immobile che, fino a concorrenza del prezzo di
acquisto, paga uno o più creditori a favore dei quali l’immobile è ipotecato;
-a vantaggio di colui che, essendo tenuto con altri o per altri al pagamento del debito,
aveva interesse a soddisfarlo. In sostanza si presuppone che il terzo che paga abbia
con il debitore un rapporto tale da legittimare un’azione di regresso (es. fideiussione);
-a vantaggio dell’erede con beneficio di inventario, che paga con denaro proprio i
debiti ereditari;
-negli altri casi stabiliti dalla legge.
Il surrogato, subentrando nella stessa posizione del creditore, può esercitare i diritti, le
azioni e le ragioni che spettano a costui e può avvalersi di tutte le garanzie che
assistevano il credito, ma è anche soggetto a tutte le garanzie che, eventualmente,
assistevano il credito, ma è anche soggetto a tutte le limitazioni, prescrizioni e
decadenze.
C)MODIFICAZIONI SOGGETTIVE NEL LATO PASSIVO:
1)DELEGAZIONE: la delegazione è l'incarico che un soggetto, detto delegante,
conferisce ad un altro soggetto, detto delegato, di pagare o di promettere di pagare
ad un terzo, detto delegatario.
-DELEGANTE: debitore,
-DELEGATARIO: creditore
-DELEGATO: terzo.
Il delegante è in grado di dare un ordine al delegato perché, almeno di regola, è a
sua volta, nei confronti di questi, creditore.
Il credito può anche essere, al momento della stipulazione, futuro o non ancora liquido
o esigibile.

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Dunque nella delegazione si assiste ad una doppia vicenda obbligatoria: da un lato il


delegante è creditore del delegato ma dall’altro egli è debitore del delegatario.
La vicenda delegatoria si diversifica a seconda che il delegato estingua l’obbligazione
con un pagamento o si limiti ad assumere nei confronti del delegatario l’obbligo del
delegante.
In quest’ultimo caso si avrà DELEGAZIONE A PROMETTERE, dove se il debitore
assegna al creditore un nuovo debitore, il quale si obbliga verso il creditore, il debitore
originario non è liberato dalla sua obbligazione, salvo che il creditore dichiari
espressamente di liberarlo. Nel primo caso la delegazione sarà cumulativa, nel
secondo caso liberatoria.
Il creditore che ha accettato l’obbligazione del terzo non può comunque rivolgersi al
delegante se prima non ha richiesto al delegato l’adempimento.
Secondo l’ART.1274C.C. in caso di delegazione liberatoria il creditore non ha azione
contro il debitore originario liberato se il nuovo debitore diviene insolvente.
La delegazione a promettere è costruita come un contratto trilaterale o come
una fattispecie costituita da tre negozi distinti sebbene collegati: i primi due tra
delegante, da un lato, e delegato e delegatario dall’altro, qualificati come negozi
unilaterali recettizi di autorizzazione, e il terzo, tra delegato e delegatario che è un
negozio rifiutabile.
La promessa del delegato al delegatario nasce dal rapporto esistente con il delegante.
Tale rapporto è denominato rapporto di provvista, mentre quello esistente tra
delegante e delegatario è denominato rapporto di valuta.
Ma può anche darsi che il rapporto di provvista non esista, se c’è gratuità tra
delegante e delegato che promette, o non sia stato costituito ed allora si parta di
delegazione allo scoperto.
Nel caso invece di sussistenza del rapporto di provvista, cioè di un preesistente credito
del delegante nei confronti del delegato, si parla di delegazione coperta.
Ogniqualvolta il delegato nel promettere il pagamento al delegatario fa riferimento al
rapporto di valuta o di provvista, o ad entrambi, la delegazione è titolata, là dove
invece egli ne prescinde si ha delegazione pura o astratta.
A fianco della delegazione a promettere il codice prevede la DELEGAZIONE DI
PAGAMENTO o delegatio solvendi. In tal caso il delegante ordina al delegato, che
non è tenuto ad accettare l’incarico, pur se suo debitore, di pagare direttamente al
creditore delegatario. Anche questa può essere pura o titolata, coperta o allo scoperto.
La norma centrale dell’intera disciplina della delegazione è contenuta
all’ART.1271C.C. e riguarda le eccezioni opponibili dal delegato. Innanzi tutto il
delegato può in ogni caso opporre al delegatario le eccezioni relative ai suoi rapporti
con costui.
Se poi la delegazione è titolata si dovrà distinguere a seconda che nel rapporto tra
delegato e delegatario si sia fatto riferimento al rapporto di provvista o di valuta: nel
primo caso il delegato può opporre le eccezioni che avrebbe potuto opporre al
delegante; nell’altro caso potrà opporre le eccezioni che il delegante avrebbe potuto
opporre al delegatario.
In caso di delegazione non titolata la nullità della doppia causa è opponibile dal
delegato al delegatario. Infatti nel caso di nullità di uno solo dei due rapporti, la
delegazione attua cmq l’altro e dunque assolve ad una qualche funzione concreta.

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Per quanto riguarda infine l’ESTINZIONE, l’ART.1270C.C. statuisce che il delegante


può revocare la delegazione fino a quando il delegato abbia assunto l’obbligazione o
abbia eseguito il pagamento in favore del delegatario.
Il delegato può assumere l’obbligazione o eseguire il pagamento a favore del
delegatario anche se il delegante muore o diviene incapace dopo aver dato l’ordine.
2)ESPROMISSIONE: con l’espromissione il terzo, espromittente, promette di
pagare al creditore, espromissario, un debito altrui dell’espromesso.
Vi è un’assenza di ordine, cosicchè l’assunzione dell’obbligazione appare una
spontanea e personale iniziativa del terzo espromittente che non dichiara di agire
quale delegato.
L’espromissione cumulativa è negozio unilaterale dell’espromittente; quella
liberatoria, è contratto bilaterale cui il debitore è estraneo.
L’espromissione è un negozio parzialmente astratto.
L’espromittente può opporre all’espromissario le eccezioni relative al rapporto di
valuta che avrebbe potuto opporre l’espromesso, salvo che si tratti di eccezioni
personali a costui o che derivino da fatti successivi all’espromissione.
Sono in ogni caso opponibili le eccezioni che attengono all’esistenza e alla validità
dell’obbligazione espromessa.
3)ACCOLLO: nell’accollo il terzo si obbliga invece nei confronti del debitore ad
estinguere un debito, anche futuro di costui.
L’accollo è interno tra terzo e debitore, e il creditore non avrà azione diretta verso il
terzo per il pagamento, ma potrà agire contro costui in via surrogatoria del debitore
accollato ovvero a seguito di eventuale cessione dell’azione da parte del debitore
stesso.
L’accollo può essere portato a conoscenza del creditore, che può non aderire, e allora
l’accollo rimane interno, o aderire, senza con ciò divenire parte (accollo esterno).
Egli infatti non già accetta una proposta, ma aderisce al rapporto obbligatorio già nato
tra terzo e debitore. L’adesione permette al creditore di agire direttamente nei
confronti dell’accollante.
Per quanto riguarda invece il debitore, costui potrà essere liberato (accollo
liberatorio) o meno (accollo cumulativo).
La regola è che l’adesione del creditore importa liberazione del debitore originario solo
se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara
espressamente di liberarlo. Altrimenti il debitore rimane obbligato in solido con
l’accollante e il creditore dovrà prima chiedere l’adempimento a costui.
L’accollante è obbligato verso il creditore accollatario che ha aderito alla stipulazione
nei limiti in cui ha assunto il debito e può a lui opporre le eccezioni fondate sul
contratto di accollo e sul rapporto di valuta tra accollato e creditore a prescindere da
apposita previsione in sede di accollo.
Fonte dell’accollo può essere non solo la volontà delle parti ma anche la legge,
ART.965-1408C.C..
4)NOVAZIONE SOGGETTIVA: la novazione soggettiva è il negozio che
estingue l'obbligazione d'origine e ne crea al contempo una nuova avente per soggetto
passivo un nuovo obbligato.

Tale fattispecie, se non nella forma, negli effetti ha un'efficacia pari a quello della
successione liberatoria (subentro) nel debito, che si realizza mediante delegazione
(assunzione di un terzo, c.d. delegante, dell'impegno da parte del debitore di pagare
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un'obbligazione al creditore), dell'accollo (impegno diretto di un terzo con il creditore


per pagare l'obbligazione contratta dal debitore) e dell'espromissione (impegno di un
terzo a pagare un'obbligazione al creditore senza richiesta né incarico da parte del
debitore).

L’INADEMPIMENTO

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L’ART.1218C.C. statuisce che il debitore che non esegue esattamente la prestazione


dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il
ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui
non imputabile, perchè in tal caso l’obbligazione si estingue.
Questa regola deve però essere coordinata con l’ART.1176C.C. in tema di diligenza,
là dove non si tratta solo di valutare l’esattezza dell’adempimento. Se il debitore è
stato diligente e nonostante ciò l’adempimento non sia risultato possibile se ne deve
dedurre che non può egli essere tenuto al risarcimento del danno.
La diligenza va valutata in termini oggettivi, con riguardo al concreto contenuto del
rapporto in questione, e va riferita, secondo la giurisprudenza, allo sforzo che può
essere richiesto in sede di comportamento esecutivo ad un uomo medio (c.d. buon
padre di famiglia).
Sul piano della diligenza si distingue tra le c.d. obbligazioni di mezzi e le
obbligazioni di risultato. In quest’ultimo caso il debitore è tenuto a raggiungere un
certo scopo corrispondente all’interesse del creditore. Si pensi ad es. all’obbligazione
di costruire un immobile.
Nel caso di obbligazione di mezzi, invece, lo sforzo di diligenza viene in rilievo di per
sé, costituendo l’essenza stessa del comportamento esecutivo a prescindere dal
risultato ottenuto, che potrebbe anche non seguire. Si pensi all’incarico professionale
dell’avvocato, che non obbliga di certo a vincere la lite, ma piuttosto a ben difendere.
Lo sforzo di diligenza interferisce con il problema della imputabilità. Talvolta la
prestazione sarebbe possibile, ma a costi economici, fisici o psichici eccessivi, sarebbe
dunque contrario a correttezza e buona fede dal parte del creditore pretendere
egualmente l’adempimento. Si parla al riguardo di inesigibilità della prestazione,
sussistente in presenza di una giusta causa, meritevole di tutela, che rende scusabile
la condotta inadempiente.
Egualmente è da dirsi in caso di sopravvenuta inettitudine fisica o psichica della
persona del debitore, come nel caso di malattia o di grave e improvviso lutto familiare,
dovendosi sempre osservare i principi costituzionali della solidarietà, del diritto alla
salute e del rispetto della dignità umana.
Lo sforzo di diligenza incontra il limite del caso fortuito o della forza maggiore,
derivante da fatto naturale o da fatto dell’uomo.
L’ART.1229C.C. dichiara nullo qualsiasi patto che escluda o limiti preventivamente la
responsabilità del debitore per dolo o colpa grave, che ad esso è, sul piano giuridico,
equiparata.
La colpa rileva, innanzi tutto, nelle obbligazioni di fare essendo esse intimamente
collegate al comportamento del debitore tramite la personalità della prestazione. Essa
poi, è presente anche quando la prestazione si risolve in un obbligo di custodire,
anch’esso legato intimamente al criterio della diligenza, ovvero in un obbligazione di
dare cose determinate, là dove la colpa rileva con riguardo ai vizi della cosa che
influiscono sulla esattezza dell’adempimento.
Va ricordato che secondo l’ART.1228C.C., salva diversa volontà delle parti, il debitore
che nell’adempimento dell’obbligazione si avvale dell’opera di terzi, risponde anche dei
fatti dolosi o colposi di costoro. La responsabilità è una sorta di garanzia che il
debitore assume nei confronti del creditore nel momento in cui decide di non eseguire
personalmente la prestazione, ma di avvalersi di terzi estranei (pertanto se un terzo
non risponda nell’eseguire la prestazione, trasportando ad es. la cosa dovuta al
creditore, cagiona un incidente stradale e non consegna nei termini la cosa stessa, il
debitore risponderà dei soli danni causati dall’inadempimento o dal ritardo, ma se il

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terzo era suo dipendente dovrà risarcire in via extracontrattuale anche i danni
derivanti dall’incidente).
MORA DEL DEBITORE: il tempo in cui la prestazione va eseguita deve essere
determinato. Pertanto al fine di poter considerare inadempiente il debitore è
necessario che la prestazione sia esigibile dal punto di vista temporale. A quel
momento, in difetto di adempimento spontaneo, il creditore si trova di fronte ad una
alternativa, a seconda che non abbia più o abbia ancora interesse a conseguire la
prestazione dovuta tutt’ora possibile:
-nella 1° ipotesi egli chiederà la risoluzione per inadempimento se si tratta di contratto
a prestazioni corrispettive, ovvero, in ogni caso, il risarcimento del danno.
-nella 2° ipotesi invece, insisterà nel pretendere un adempimento sia pure tardivo,
costituendo in mora il debitore (c.d. mora debendi).
Il debitore è costituito in mora mediante intimazione o richiesta fatta per
iscritto (che è atto giuridico in senso stretto, recettizio, a carattere non personale,
onde potrà essere compiuto anche da un rappresentante).
La costituzione in mora non è richiesta:
-quando il debito deriva da fatto illecito;
-quando il debitore ha dichiarato per iscritto al creditore di non volere eseguire
l’obbligazione;
-quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del
creditore. Se il termine scade dopo la morte del debitore, il creditore deve invece
costituire in mora gli eredi, ma gli effetti della morosità decorreranno a partire dal
nono giorno;
-nel caso di obbligazione di non fare;
-nei contratti di subfornitura.
L’atto di costituzione in mora determina vari effetti:
-innanzi tutto il debitore deve risarcire il danno.
-in secondo luogo il debitore che è in mora non è liberato per la sopravenuta
impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile, se non prova
che l’oggetto della prestazione sarebbe ugualmente perito presso il creditore.
-in terzo luogo l’atto di costituzione in mora vale ad interrompere la prestazione.
RISARCIMENTO DEL DANNO: il diritto al risarcimento presuppone l’effettiva
esistenza del danno e si atteggia diversamente a seconda che sia configurabile un
illecito in senso stretto c.d. aquiliano o extracontrattuale ex ART.2043C.C.,
ovvero inadempimento ex ART.1218C.C..
Nel primo caso il problema che si pone è essenzialmente quello della c.d.
reintegrazione, che si risolve innanzi tutto, se il danno prodotto è permanente,
nell’evitare che le conseguenze dannose già prodottesi continuino a prodursi anche per
il futuro (così in caso di lesione del diritto di proprietà il ladro sarà tenuto alla
restituzione della cosa).
Si dovranno poi eliminare i danni già prodotti. Ciò avviene o mediante un
risarcimento in forma specifica secondo quanto previsto dall’ART.2058C.C. (ad
es. con il trasferimento in proprietà al danneggiato di una cosa uguale a quella andata
distrutta), oppure se tale tipo di risarcimento è in tutto o in parte impossibile o
eccessivamente oneroso per il danneggiante, mediante un risarcimento per
equivalente, con corresponsione di una somma di denaro. Nasce così un diritto di
credito, strumentale alla reintegrazione del diritto assoluto.

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In caso di inadempimento, il creditore può, innanzi tutto, mettere in mora il


debitore ed accettare un adempimento tardivo, ovvero, in difetto, conseguire
mediante l’esecuzione in forma specifica, ove possibile.
Se non vuole o non può conseguire tardivamente la prestazione, il creditore risolverà il
contratto. L’eliminazione dei danni comunque prodotti per il ritardato o mancato
adempimento, si attua, invece, mediante l’obbligo risarcitorio, secondario e
strumentale rispetto a quello leso, che è primario e finale.
Esso ha come contenuto il pagamento di una somma di denaro, mentre è
discutibile il risarcimento in forma specifica perché questo è invocabile solo
quando il creditore chiede che siano rimossi danni diversi e ulteriori rispetto al
mancato conseguimento della prestazione. Peraltro, in materia di trasferimento di
proprietà, essendo l’effetto reale puramente giuridico, il risarcimento del danno in
forma specifica potrà consistere nel trasferimento coattivo ex ART.2932C.C..
I danni risarcibili sono solo quelli legati da un nesso di causalità adeguata con
l’illecito. Così se un produttore riceve in ritardo un cospicuo pagamento per la merce
venduta ad un cliente, potrà chiedere il risarcimento del danno derivante dall’aver
dovuto ricorrere al fido bancario, ma non quelli conseguenti all’eventuale fallimento.
Dal punto di vista oggettivo, l’ART.1223C.C. statuisce che il risarcimento deve
comprendere così la perdita subita dal creditore, in specie per le spese sopportate
(DANNO EMERGENTE), come il mancato guadagno (LUCRO CESSANTE), in
quanto siano conseguenza immediata e diretta dell’illecito (c.d. nesso di
causalità).
Il risarcimento riguarda dunque il c.d. interesse positivo, determinandosi la stessa
situazione che si sarebbe determinata se l’illecito non fosse stato commesso.
Il risarcimento è diminuito, secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze
che ne sono derivate, se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno
mentre non è addirittura dovuto per i danni che il creditore danneggiato avrebbe
potuto evitare usando dell’ordinaria diligenza, che è esclusa là dove presupponga
attività comportanti notevoli rischi o spese.
Se poi il danneggiato prova il danno, ma non è in grado di dare la prova del suo
preciso ammontare, pur offrendo elementi probatori e dati di fatto, esso è liquidato dal
giudice.
Va infine precisato che il risarcimento del danno presuppone un illecito e quindi nulla
ha a che vedere con il pagamento di indennità nei casi previsti dalla legge.
L’indennità presuppone bensì un danno, ma derivante da un fatto in sé e per sé lecito
(così nel campo contrattuale nel caso previsto dall’ART.1328C.C.).
L’obbligo di risarcire o di indennizzare il danno dà luogo ad un debito di valore, la cui
quantificazione comporta, in relazione al danno emergente, la rivalutazione monetaria
della somma corrispondente al valore, al momento dell’illecito, del bene o dell’utilità
perduta dal creditore (c.d taxatio), e un’ulteriore somma, a titolo di lucro cessante,
per il mancato godimento della somma originaria liquidata per il danno emergente,
atteso che il relativo credito diviene liquido e esigibile solo dopo l’atto formale di
liquidazione, di regola la sentenza di condanna, onde la somma è pagata in ritardo
rispetto al momento del danno.

Fondamento della responsabilità aquiliana è il principio di convivenza del neminem


laedere che, affermando la responsabilità per qualsiasi attività che si traduce in un
danno per i terzi, individua quale criterio di imputazione la colpevolezza dell’agente
(nessuna responsabilità senza colpa).
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CLAUSOLA PENALE: la clausola penale è una particolare clausola del


contratto, espressione del patto con cui, in via forfettaria e preventiva, si determina
l’ammontare del risarcimento del danno occasionato dall’inadempimento
dell’obbligazione o dal ritardo nell’adempimento.

Secondo l’ART.1382C.C. tale pattuizione ha l’effetto di limitare il risarcimento alla


prestazione promossa, salvo che sia stata convenuta la risarcibilità del danno
ulteriore, perché allora l’intero danno dovrà essere provato nel suo ammontare.
La penale prevista per una ipotesi, salvo espresso accordo, non vale per l’altra. Così se
la penale è per l’inadempimento e, trascorso il relativo termine, il creditore accetta
l’adempimento tardivo, non può poi pretendere la penale per il ritardo.
La funzione della penale sarebbe, secondo taluni, quella di spingere il debitore ad
adempier e quindi essa avrebbe sempre carattere sanzionatorio. Ma è più corretto
parlare di precostituzione pattizia della liquidazione di un danno, peraltro
presunto, che può anche favorire il debitore, salvo nel caso di previsione della
risarcibilità del maggior danno, comunque da provare.
Ecco perché sul piano strutturale, la penale può considerarsi patto a sé stante, seppur
collegato, e non dunque aggiunto, bensì accessorio. La sua forma non è allora
necessariamente quella del contratto cui si riferisce.
Il creditore non può domandare insieme la prestazione principale e la penale, se
questa non è stata stipulata per il semplice ritardo. Possono invece cumularsi penale e
interessi moratori.
CAPARRA CONFIRMATORIA: diversa dalla clausola penale, ma analoga nella
funzione di spingere il debitore ad adempiere correttamente, è la caparra
confirmatoria.
Se al momento della conclusione del contratto una parte dà all’altra, a titolo di
caparra, una somma di denaro o una quantità di altre cose fungibili, la caparra, in
caso di adempimento, deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. Se
invece la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra, con dichiarazione
unilaterale recettizia, può recedere dal contratto ritenendo la caparra; se poi
inadempiente è la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere
il doppio della caparra.
Se la parte che non è inadempiente preferisce domandare l’esecuzione o la risoluzione
del contratto, il risarcimento del danno è regolato dalle norme generali e la caparra
sarà trattenuta in conto dei danni che saranno liquidati, svolgendo sotto questo
aspetto, una funzione di garanzia o secondo altri sanzionatoria.
Essa è un contratto autonomo, ma accessorio a quello principale che intende
sanzionare.
Deve risultare da una specifica volontà e va distinta dall’acconto che costituisce solo
un’anticipazione del prezzo e quindi un adempimento parziale.
Del tutto diversa è la CAPARRA PENITENZIALE che costituisce solo il corrispettivo di
un diritto di recesso pattuito per una o entrambe le parti e versato anticipatamente.

RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE
L’ESECUZIONE FORZATA: il sistema volta a permettere al creditore la
realizzazione coattiva del diritto e il risarcimento del danno, ruota intorno al
principio della responsabilità patrimoniale del debitore. Abolita la sanzione penale,

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il debitore inadempiente non è privato della propria libertà per i debiti assunti, ma
piuttosto risponde con il proprio patrimonio.
Non è concepibile un debito che non comporti una responsabiltà, tanto ciò vero che
non appartiene alla categoria delle obbligazioni giuridiche, l’obbligazione naturale, la
quale, una volta inadempiuta, non dà diritto ad alcuna forma di risarcimento del
danno.
Il rapporto che in tal modo si instaura tra creditore e patrimonio del debitore non fa
peraltro nascere a vantaggio del primo un diritto soggettivo, ma piuttosto un potere di
natura processuale che si esprime nell’azione esecutiva, che suppone un titolo
esecutivo.
L’esecuzione forzata è un complesso procedimento volto a permettere la realizzazione
coattiva del diritto di credito nei suoi due aspetti:
1)conseguimento della prestazione
2)risarcimento del danno.
A)ESECUZIONE FORZATA IN FORMA SPECIFICA: viene in questione
ogniqualvolta sia configurabile una identità tra il bene dovuto, il bene aggredito nel
patrimonio del debitore e il bene conseguito.
A seconda dunque che l’obbligazione abbia ad oggetto un dare, fare, non fare,
prestare il consenso, i presupposti per agire in forma specifica saranno diversi. Così in
caso di obbligo di dare una cosa è necessario che essa sia determinata non solo nel
genere, sicchè dovrà essere già intervenuta la specificazione o individuazione; inoltre
la cosa deve essere ancora presente nel patrimonio del debitore.
Se invece l’obbligazione ha ad oggetto un fare poiché non è concepibile una
costrizione nei confronti del debitore, il creditore potrà ottenere che il fare sia eseguito
da un terzo a spese dell’obbligato. Se poi non è adempiuto un obbligo di non fare, il
creditore può ottenere che sia distrutto, a spese dell’obbligato, ciò che è stato fatto in
violazione dell’obbligo.
B)ESECUZIONE FORZATA PER ESPROPRIAZIONE: se non ricorrono le
predette condizioni o l’obbligazione è pecuniaria, il creditore dovrà agire con
l’esecuzione forzata per espropriazione che è una forma esecutiva diversa, perché non
presuppone identità tra bene dovuto, bene aggredito e bene conseguito.
Con essa il creditore conseguirà quindi sempre e solo una somma di denaro. È
pertanto questa la forma con cui si realizza coattivamente anche il diritto al
risarcimento del danno, nascente da inadempimento o da illecito extracontrattuale,
sempre che non sia possibile un risarcimento in forma specifica.
Il procedimento consta di 3 fasi:
1)la prima è quella del PIGNORAMENTO, atto di parte con cui il creditore, tramite
l’ufficiale giudiziario, ingiunge al debitore di non disporre dei beni pignorati. Gli atti di
disposizione compiuti in violazione di tale ingiunzione sono inefficaci nei confronti del
creditore, salvo gli effetti della buona fede del terzo in caso di mobili non registrati.
Per quanto riguarda i beni immobili e mobili registrati il pignoramento si attua con la
trascrizione.
2)la seconda fase è quella della VENDITA ALL’ASTA, che attua un trasferimento
coattivo del bene e dunque una vendita forzata, che il debitore deve solo subire.
3)la terza fase riguarda l’ATTRIBUZIONE AI CREDITORI DEL PREZZO RICAVATO
DALLA VENDITA. Se i creditori sono una pluralità e non raggiungono un accordo sul
riparto, provvederà il giudice dell’esecuzione stabilendo l’ordine di graduazione che
terrà conto delle cause legittime di prelazione.

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Se il creditore non riuscirà a soddisfare integralmente il proprio credito per carenza di


beni da aggredire, potrà sempre in futuro agire aggredendo ulteriori beni che
sopravvengono nel patrimonio del debitore, fino a concorrenza del dovuto, senza limiti
di tempo.
Dunque, il debitore risponde con tutti i suoi beni, presenti e futuri, salvo limiti posti
dalla legge che determinano l’impignorabilità di taluni beni in modo assoluto o relativo.
In ogni caso il creditore non può sottoporre ad azione esecutiva una quantità di beni il
cui valore sia esuberante rispetto al credito fatto valere, potendo in tal caso il giudice
procedere alla c.d. riduzione del pignoramento, restringendo l’ambito dei beni
pignorati.
PAR CONDICIO CREDITORUM: L’ART.2741C.C. fissa una regola precisa: i
creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore.
Questo principio trova applicazione in ogni caso in cui vi sia una pluralità di creditore
di un unico debitore, cosicchè, essendo unico il patrimonio che garantisce i debiti, si
porrà un problema di assicurare la parità di trattamento tra tutti i creditori.
Se l’azione esecutiva è individuale, qualsiasi creditore può prendere l’iniziativa di
aggredire il patrimonio del debitore per soddisfare il proprio credito ma qualsivoglia
altro creditore potrà intervenire nella procedura esecutiva per far valere anch’egli il
proprio credito sui beni già sottoposti a pignoramento.
L’iniziativa di un creditore va dunque a vantaggio di tutti i creditori o almeno di tutti i
creditori che intervengono nel procedimento. Il ricavato della vendita forzata dei beni,
infatti, sarà ripartito proporzionalmente ai rispettivi crediti tra tutti i creditori presenti
nella procedura. La parità di trattamento si attuerà, quindi, solo nell’ambito dei
creditori che avranno diligentemente tutelato il proprio credito.
Se l’azione esecutiva è collettiva è la legge che assicura la parità di trattamento,
onde è vietato agire con l’azione esecutiva individuale al fine di realizzare
coattivamente il credito e spetterà ad un terzo, che curerà gli interessi di tutti i
creditori, procedere alla liquidazione dell’intero patrimonio del debitore per poi
provvedere al riparto del ricavato tra i creditori stessi sempre in proporzione al credito
vantato. Si parla al riguardo di procedure concorsuali.
Va chiarito che nel caso di procedure esecutive individuali un problema di parità di
trattamento si pone solo all’interno dell’esecuzione forzata per espropriazione che è la
forma più ricorrente di procedure esecutiva. Infatti se un creditore agisce con
l’esecuzione forzata in forma specifica o non è ipotizzabile un concorso di altri creditori
o l’eventuale contrasto si risolverà in base alla prevalenza del titolo sul piano
sostanziale.
Conflitti possono sorgere in caso di obbligo di dare una cosa determinata e di obbligo a
contrarre. Se nella prima ipotesi, il debitore ha alienata due volte la stessa cosa senza
mai consegnarla e sono pertanto due i creditori che possono avanzare la pretesa,
prevarrà il creditore che potrà vantare un titolo opponibile all’altro: la priorità della
trascrizione nel caso si agisca per il rilascio dell’immobile e la priorità temporale
dell’acquisto con atto di data certa se si agisce per la consegna della cosa mobile.
CAUSE LEGITTIME DI PRELAZIONE: il principio della par condicio non è
assoluto prevedendo la legge cause legittime di prelazione, ART.2741C.C. in
presenza delle quali il creditore che ne sia titolare (c.d. creditore privilegiato) è
preferito, nel riparto del prezzo ricavato dalla vendita forzata dei beni del debitore,
rispetto agli altri creditori che non ne possono vantare (c.d. creditori chirografari).

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Il creditore munito di causa di prelazione su uno specifico bene può aggredirlo anche
se acquistato da terzi (c.d. diritto di sequela) mentre il creditore chirografario deve
aver prima esperito vittoriosamente l’azione revocatoria.
L’ART.2741C.C. prevede le cause di prelazione tipiche che sono:
-PRIVILEGIO: (speciale, su dati beni, o generale su tutti i beni mobili o immobili
del debitore) è stabilito dalla legge in ragione della natura del credito;
-PEGNO: è contrattuale e si perfeziona con la consegna al creditore, da parte del
debitore o di un terzo, di una cosa mobile, sul cui ricavato, in caso di esecuzione
forzata, il creditore si rivarrà con prelazione, purchè sussista una scrittura di data
certa, che contenga sufficiente indicazione del credito e della cosa.
-per gli immobili la prelazione nasce invece con l’iscrizione nei registri immobiliari
dell’IPOTECA, in base o a atto pubblico o scrittura autenticata di concessione da parte
del debitore o di un terzo, o a sentenza di condanna al pagamento di somme o alla
stessa legge.
L’ipoteca deve essere iscritta su beni specialmente indicati nell’atto di concessione,
dalla legge o dal creditore, in caso di sentenza, e per una somma determinata indicata
nell’atto di concessione o corrispondente alla condanna giudiziale o fissata dalla legge.
Le cause di prelazione costituiscono una valida garanzia per il creditore.
Tale garanzia deve peraltro essere sempre mantenuta nell’ambito dei principi posti a
tutela del debitore e degli altri creditori. Pertanto l’ART.2744C.C. prevede la nullità
del c.d. patto commissorio, con il quale debitore e creditore convengono che, in
mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa
ipotecata o data in pegno, anche da un terzo passi al creditore.
Non urta contro il divieto il pegno irregolare e il c.d. patto marciano in base al
quale il creditore può in caso di inadempimento rivalersi sulla cosa procedendo
mediante assegnazione a prezzo di stima, in tal modo facendo propria la cosa stessa
ma a condizione di versare al debitore la eventuale differenza tra importo del credito e
valore stimato. La stima deve essere successiva all’inadempimento.
1)PRIVILEGIO: le parti non sono mai libere di dar vita a privilegi perché è
comunque necessaria una previsione di legge di carattere autorizzatorio.
Il privilegio può essere generale o speciale.
Esso presenta caratteristiche peculiari: innanzitutto è sempre direttamente o
indirettamente previsto dalla legge. Di conseguenza esso non è pubblicizzato, cosicchè
non è sempre conoscibile dai terzi creditori che possono anche ignorare l’esistenza di
ulteriori crediti per loro natura privilegiati e quindi vedersi inaspettatamente
pretermessi rispetto ad altri (ad es. l’albergatore che vanti un credito nei confronti del
cliente avrà privilegio sulle cose portate da costui nell’albergo ma deve cedere di
fronte all’avvocato che voglia aggredire le cose vantando un credito per prestazioni
professionali rese in favore del cliente stesso nell’ultimo biennio).
Se i crediti hanno pari privilegio (ad es. il credito di due distinti professionisti nei
confronti dello stesso cliente) concorreranno tra loro in proporzione del rispettivo
importo.
Un altro tipo di conflitto è ipotizzabile tra creditore privilegiato e creditore pignoratizio
o creditore ipotecario. Se la legge non dispone altrimenti il privilegio speciale sui beni
mobili non può esercitarsi in pregiudizio del credito pignoratizio, mentre quello sugli
immobili prevale rispetto all’ipoteca, salvo nel caso in cui l’ipoteca iscritta prima della
trascrizione del preliminare prevale sul privilegio immobiliare speciale nato dopo.
L’ART.2748C.C. va poi posto in relazione con l’ART.2781C.C.: se un dato privilegio
prevale sul pegno, prevarrà anche su altri privilegi posposti invece al pegno, pur se
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essi siano di grado anteriore. In sostanza la prevalenza rispetto al pegno comporta


automaticamente una prevalenza anche rispetto ai privilegi posposti al pegno, pur se
ciò dovesse comportare una inosservanza del principio secondo cui i privilegi sono
graduati secondo un rigoroso ordine progressivo che ne determina anche la
prevalenza dell’uno rispetto all’altro.
Il privilegio generale mobiliare non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti spettanti ai
terzi sui mobili che ne formano oggetto.
Viceversa quello speciale prevale sui diritti acquistati sul bene dai terzi posteriormente
al sorgere del credito, fatto salvo il principio fissato dall’ART.1153C.C.. In tal modo è
fissato il principio del diritto di sequela che si ritiene in verità assista, pur nel silenzio
della norma, anche il privilegio immobiliare.
DIRITTI REALI DI GARANZIA: l’accessorietà determina l’estinzione del diritto di
garanzia in conseguenza dell’estinzione del rapporto obbligatorio, così come
l’inesistenza del diritto garantito o la nullità del negozio fonte del rapporto garantito o
l’inefficacia di quest’ultimo reagiscono automaticamente sul rapporto di garanzia che
sarebbe privo di giustificazione causale.
In caso di pegno o ipoteca si tratta di un diritto reale in quanto caratterizzato
dall’opponibilità erga omnes e quindi dalla possibilità di far valere il diritto anche nei
confronti di terzi cui il bene sia stato alienato dal debitore.
Altra caratteristica del diritto reale di garanzia è la specialità. Laddove il privilegio
può anche essere generale, pegno e ipoteca hanno ad oggetto sempre un singolo,
specifico bene non potendo darsi luogo a pegni o ipoteche collettivi ma a tanti diritti di
pegno o ipoteca per quanti sono i beni che specificamente garantiscono il credito.
Ciò spiega perché qualora la cosa data in pegno o sottoposta a ipoteca perisca o si
deteriori, anche per caso fortuito, in modo da essere insufficiente alla sicurezza del
creditore, questi può chiedere che gli sia prestata idonea garanzia su altri beni e, in
mancanza, può chiedere l’immediato pagamento del credito, facendosi, in tal modo,
applicazione del più generale principio di cui all’ART.1186C.C..
2)PEGNO: il pegno può avere ad oggetto beni mobili, universalità di mobili, crediti
ed altri diritti aventi ad oggetto beni mobili (es. diritto di usufrutto).
Il pegno è costituito a garanzia dell’obbligazione dallo stesso debitore o da un terzo
con un contratto che si perfeziona senza formalità, ma con la consegna materiale al
creditore della cosa o del documento, in caso di titoli al portatore ; consegna che
conferisce l’esclusiva disponibilità della cosa stessa.
È pertanto indispensabile lo spossessamento del debitore e la concreta appropriazione
da parte del creditore o di un terzo designato dalle parti; se poi la cosa o il documento
sono posti nella custodia di entrambe le parti il costituente (debitore o terzo) deve
essere posto nell’impossibilità di disporne senza la cooperazione del creditore.
Si discute circa la possibilità di costituire un pegno su cosa futura. In verità si è in
presenza di una fattispecie a formazione progressiva che si perfeziona solo con la
consegna della cosa, una volta venuta ad esistenza, sulla base dell’accordo già
raggiunto con la conclusione del contratto, il quale, prima della consegna, produce
effetti obbligatori.
Uguale problematica nasce con riguardo al pegno su bene diviso. In tal caso la
fattispecie a formazione progressiva si perfeziona al momento della divisione del bene
e successiva consegna ad opera del debitore della parte assegnatagli. Prima di tale
evento il contratto produrrà quindi solo effetti obbligatori ma il creditore potrà sempre
chiedere la divisione.

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Il creditore pignoratizio è possessore della cosa ed infatti può esperire le azioni


possessorie in caso di perdita del possesso.
Il possesso peraltro non è attribuito ad ogni effetto di legge. Il creditore, infitti, non
può, senza il consenso del costituente, usare della cosa, salvo che l’uso sia necessario
per la sua conservazione, né darla in pegno o concederne ad altri il godimento.
Se egli abusa della cosa il costituente può domandarne il sequestro.
Il creditore è inoltre tenuto alla custodia per la perdita e per il deterioramento, avendo
però diritto al rimborso delle spese.
L’unica norma di favore per il creditore è l’ART.2791C.C. secondo cui se è data in
pegno una cosa fruttifera egli, salvo patto contrario, ha la facoltà di far propri i frutti
secondo una data imputazione.
Il creditore ha diritto di ritenere la cosa fino all’integrale pagamento del capitale, degli
interessi e delle spese relative al debito e al pegno.
Ciò significa che, pur se il pegno è costituito da una cosa divisibile e parimenti
divisibile è il debito, la garanzia permane fino a quando il credito non è integralmente
soddisfatto.
Sul piano del rapporto di garanzia il creditore (una volta che il debito sia venuto a
scadenza ma non sia stato estinto) ha diritto di arsi pagare la somma corrispondente
al capitale e agli interessi, nei limiti previsti dall’ART.2788C.C., con prelazione, rispetto
agli altri creditori, sulla cosa ricevuta in pegno, purchè essa sia rimasta in suo
possesso o presso il terzo designato dalle parti, e il pegno risulti da scrittura con data
certa, contenente un’indicazione sufficiente del credito e della cosa, che dunque
devono essere, rispettivamente, esistente e individuata.
Per il conseguimento di quanto gli è dovuto il creditore può far vendere la cosa
ricevuta in pegno, osservando la procedura fissata dall’ART.2797C.C., e incassare il
ricavato con preferenza rispetto agli altri creditori, salvo che preferisca domandare al
giudice che la cosa stessa gli venga assegnata in pagamento fino a concorrenza del
debito, secondo la stima da farsi con perizia o secondo il prezzo corrente se la cosa ha
un prezzo di mercato.
Se poi la cosa data in pegno si deteriora in modo da far temere che essa divenga
insufficiente alla sicurezza del creditore, questi, previo avviso a colui che ha costituito
il pegno, può in ogni momento chiedere al giudice l’autorizzazione alla vendita, con
accantonamento del ricavato a garanzia del credito.
PEGNO IRREGOLARE: la disciplina è diversa in caso di pegno irregolare, che si
configura ogniqualvolta il debitore costituisca in pegno una cosa fungibile: ad es. titoli
o una somma di denaro, depositata in un conto corrente bancario, o attribuita al
creditore a titolo di deposito cauzionale. In tal caso la proprietà stessa della cosa si
trasferisce al creditore il quale è tenuto a restituire, una volta estinto il debito, una
cosa dello stesso genere e quantità.
PEGNO DI CREDITI: per la costituzione del pegno di crediti è necessario:
-l’accordo scritto tra creditore e proprio debitore;
-notifica dell’accordo al debitore terzo o accettazione dell’accordo stesso con atto di
data certa da parte di costui.
Nei confronti degli altri creditori la notifica o l’accettazione deve rivestire la forma
scritta.
Il creditore pignoratizio deve riscuotere gli interessi del credito e le altre prestazioni
periodiche, imputandone l’ammontare in primo luogo alle spese e agli interessi e poi al
capitale, nonché a compiere gli atti conservativi del credito, come ad es. l’interruzione
della prescrizione. Una volta scaduto, egli deve riscuotere il credito e, se questo ha per
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oggetto danaro o altre cose fungibili, deve, a richiesta del debitore, effettuarne il
deposito nel luogo stabilito d’accordo o altrimenti determinato dall’autorità giudiziaria.
Se poi il credito garantito è scaduto, il creditore può ritenere, del denaro ricevuto, la
quantità sufficiente per il soddisfacimento delle sue ragioni, restituendo il residuo al
costituente; se invece si tratta di cose diverse dal denaro, egli può farle vendere.
Il debitore del credito può opporre al creditore pignoratizio le eccezioni relative alla
validità ed efficacia del pegno mentre non può opporgli, in compensazione, un
eventuale credito nei suoi confronti perché mancherebbe la reciprocità del rapporto
obbligatorio pretesa dall’ART.1241C.C..
3)IPOTECA: sono suscettibili di essere ipotecati, secondo l’ART.2810C.C., i beni
immobili che sono in commercio (non dunque quelli demaniali) unitamente alle loro
pertinenza, nonché i diritti dell’usufruttuario di beni immobili, del superficiario,
dell’enfiteuta e del concedente sul fondo enfiteutico, con particolari garanzie per il
creditore, in caso di loro cessazione.
Sono anche capaci di ipoteca le rendite dello Stato nonché le navi gli aeromobili e gli
autoveicoli, e cioè un particolare diritto di credito e particolari cose mobili.
L’ipoteca immobiliare si costituisce mediante iscrizione nei registri immobiliari.
Per il principio di specialità, l’iscrizione deve avvenire per ogni singolo bene presso
le singole conservatorie e deve indicare la somma per cui essa è eseguita.
Inoltre, per il principio di indivisibilità, l’ipoteca sussiste per intero sopra tutti i beni
vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro para.
Un conflitto tra più creditori ipotecari non è nemmeno teoricamente ipotizzabile,
perché ogni iscrizione prende un numero d’ordine progressivo, che ne determina il
grado, cosicchè su uno stesso bene potranno, ad es, essere iscritte anche tre ipoteche
(di primo, secondo, terzo grado) per importi diversi e i tre creditori dovranno
soddisfarsi, fino a concorrenza del dovuto, secondo questo ordine.
I crediti con iscrizione ipotecaria dello stesso grado sugli stessi beni (ciò che accade
quando più persone presentano contemporaneamente la nota per ottenere l’iscrizione)
concorreranno tra loto in proporzione dell’importo relativo.
Le ipoteche possono essere ridotte, o riducendo la somma per la quale è stata presa
l’iscrizione o restringendo l’iscrizione ad una parte solo dei beni.
IPOTECA VOLONTARIA: può essere concessa con contratto, ovvero anche mediante
dichiarazione unilaterale da parte del costituente che può essere il debitore o un terzo.
La dichiarazione unilaterale, essendo recettizia, è irrevocabile una volta giunta a
conoscenza del creditore ovvero nel momento in cui il debitore chiede l’iscrizione.
Dall’atto di concessione nasce per il creditore non già il diritto di ipoteca (che nasce
con l’iscrizione) ma piuttosto il diritto di chiedere l’iscrizione ipotecaria che
presupporrà, dal punto di vista formale, un atto pubblico ovvero una scrittura privata
con firma autenticata da notaio.

L’atto di concessione richiede sempre la forma scritta ad substantiam. Inoltre esso è


sempre e solo inter vivos essendo esclusa l’ipotesi di ipoteca concessa per testamento.
È valida la concessione di ipoteca su beni altrui o su beni futuri ovvero la
concessione ad opera di un rappresentante senza poteri: in questi casi, però,
l’iscrizione può essere validamente presa solo quando rispettivamente il concedente
acquista la cosa ovvero essa viene ad esistenza ovvero ancora il proprietario ratifica la
concessione.
L’ipoteca può anche essere costituita sulla propria quota da uno dei partecipanti alla
comunione.
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È inammissibile la costituzione di una ipoteca per crediti futuri che non si inseriscano
in rapporti presenti al momento dell’iscrizione costitutiva e, qualora si tratti di rapporti
negoziali, che traggano fonte da negozi già validamente instaurati al momento
dell’iscrizione.
IPOTECA LEGALE: è disposta ex lege (e cioè a prescindere da un atto di
concessione) in favore:
-dell’alienante sopra gli immobili alienati, per l’adempimento degli obblighi che
derivano dall’atto di alienazione;
-dei coeredi, soci ed altri condividenti per il pagamento dei conguagli sopra gli
immobili assegnati ai condividenti per il pagamento dei conguagli sopra gli immobili
assegnati ai condividenti ai quali incombe tale obbligo;
-dello Stato sopra i beni dell’imputato e della persona civilmente responsabile,
secondo le disposizioni del codice penale e di procedura penale.
IPOTECA GIUDIZIALE: deriva da ogni sentenza che condanni al pagamento di una
somma o all’adempimento di altra obbligazione ovvero al risarcimento dei danni da
liquidarsi in un secondo tempo nello stesso giudizio o in giudizio separato.
Effetto dell’iscrizione ipotecaria è in ogni caso il diritto per il creditore espropriare,
anche nei confronti del terzo acquirente, i singoli beni vincolati a garanzia del suo
credito e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione in
caso di pluralità di creditori ipotecari, nei limiti della priorità dell’iscrizione e quindi nel
rispetto dei gradi.
Se peraltro, il terzo acquirente vuole evitare l’espropriazione senza dover pagare
integralmente i creditori e sempre che non sia personalmente obbligato, può rilasciare
il bene ai creditori ovvero liberarlo dalle ipoteche ricorrendo alla c.d. PURGAZIONE.
Questa consiste nell’offerta (stragiudiziale) di pagamento di una somma
corrispondente non già a tutti i crediti ipotecari iscritti ma al prezzo stipulato per
l’acquisto o al valore dichiarato dallo stesso terzo acquirente, a seconda che si tratti di
bene pervenutogli a titolo oneroso o di cui non sia stato determinato il prezzo.
Il prezzo o il valore non può comunque essere inferiore a quello stabilito come base
degli incanti in caso di espropriazione
L’OFFERTA è un negozio unilaterale recettizio (è infatti prevista la notifica a tutti i
creditori). Essa però non produce immediatamente effetti obbligatori perché è
revocabile finchè i creditori non si siano pronunciati. L’obbligo di depositare la somma
nasce infatti trascorsi 60 giorni ed in assenza di opposizioni, che devono intervenire
entro 40 giorni dalla notifica.
L’inadempienza eventuale all’obbligo di depositare la somma impedisce che si produca
l’effetto di purgazione e obbliga il terzo a risarcire il danno subito dai creditori in
conseguenza del ritardo nell’azione esecutiva, che è sospesa durante i predetti 60 gg.
Proprio perché questa offerta può non essere in grado di soddisfare tutti i creditori,
qualunque di essi può opporsi chiedendo la vendita, purchè adempia a taluni oneri
procedurali e sostanziali di cui il più importante è quello di offrire a sua volta un
aumento di 1/10 del prezzo stipulato o del valore dichiarato dal terzo, ciò che significa
obbligo di acquistare al prezzo così aumentato il bene all’asta, nei limiti in cui
ovviamente nessuno offra in quella sede un prezzo ancora più alto.
In tal modo si tutela il creditore contro offerte di purgazione eccessivamente basse
rispetto al prezzo che potrà ricavarsi dalla vendita all’asta, ma anche si tutelano i
creditori che avrebbero accettato la purgazione contro i rischi derivanti da
un’eventuale asta deserta, perché il creditore opponente assicura l’acquisizione di un
prezzo di 1/10 superiore a quello offerto dal terzo.

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Al terzo spetta l’azione di regresso nei confronti del debitore per aver pagato i
creditori o rilasciato l’immobile ovvero ancora subito l’espropriazione.
Inoltre il terzo ha diritto di subingresso nelle ipoteche costituite a favore del creditore
soddisfatto sugli altri beni del debitore e se tali beni sono stati nel frattempo alienati
egli prevale nei limiti in cui la trascrizione del suo titolo sia anteriore a quella relativa
all’acquisto da parte dei terzi acquirenti.
L’ipoteca si estingue:
-con la cancellazione dell’iscrizione;
-con la mancata rinnovazione dopo 20 anni;
-con l’estinzione dell’obbligazione;
-col perimento del bene ipotecato, verificandosi in tal caso la surrogazione
dell’indennità alla cosa;
-con la rinunzia del creditore che deve rivestire ad substantiam la forma scritta;
-con la scadenza del termine di efficacia o con il verificarsi della condizione risolutiva;
-con la pronuncia del provvedimento del giudice, che trasferisce all’acquirente all’asta
il diritto espropriato e ordina la cancellazione delle ipoteche.
Titolo per ottenere dal conservatore dei registri immobiliari la cancellazione è o il
consenso delle parti o una sentenza definitiva.
CESSIONE E ALIENAZIONE A SCOPO DI GARANZIA: la cessione
del credito è un negozio dispositivo con cui si trasmette un diritto ad un altro soggetto
che subentra nel rapporto obbligatorio; in forza di esso avviene una modificazione
soggettiva del rapporto obbligatorio dal lato attivo.
Si presta allo scopo di garanzia potendo le parti inserire un insieme di pattuizioni che
ne indirizzano gli effetti nella direzione voluta.
La cessione comporta un effetto traslativo in favore del cessionario, il quale acquista
una sorta di diritto di prelazione o di privilegio che gli assicura, in caso di
inadempimento del cedente, la preferenza rispetto agli altri creditori in ordine al
soddisfacimento sul credito ceduto.
GARANZIE DI CARATTERE PERSONALE: la forma più efficace di garanzia è
di certo quella reale, ma il debitore può anche non voler ipotecare o dare in pegno i
propri beni così come può anche non averne o non poterne liberamente disporre, ad
es perché già pignorati o ipotecati. È possibile allora ricorrere alle garanzie personali
che presuppongono l’intervento di un terzo garante.
Le garanzie personali offrono al creditore un altro patrimonio su cui rivalersi oltre a
quello del debitore eventualmente inadempiente. Classica è l’ipotesi del contratto di
fideiussione: in caso di inadempienza da parte del debitore il creditore potrà
aggredire i beni del terzo fideiussore. Sono contratti di garanzia anche il mandato di
credito, l’avvallo (con cui si garantisce il pagamento di una cambiale o di un
assegno). Nella prassi bancaria si è affermata la lettera di patronage (di
gradimento) con la quale il dichiarante, di regola una società controllante, presenta ad
una banca un aspirante cliente (di regola una propria società controllata) al fine di
rafforzare il convincimento della banca stessa che costui farà fronte ai propri impegni.
DIRITTO DI RITENZIONE: di fronte al mancato tempestivo adempimento
dell’obbligazione il creditore che detenga in ragione del rapporto obbligatorio una cosa
di proprietà del debitore può rifiutarsi di restituirla fino a quando l’obbligazione non sia
adempiuta.

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Tale rifiuto è peraltro legittimato solo se poggia su un diritto del creditore, il c.d.
diritto di ritenzione, attribuito dalla legge o dalla volontà privata da cui
l’obbligazione è sorta.
In tal modo il creditore non realizza il proprio credito ma solo è in grado di indurre il
debitore ad adempiere, al fine di rientrare nella disponibilità della cosa.
Una delle ipotesi più notevoli di autotutela è costituita dal diritto di ritenzione che
consiste nella facoltà di trattenere un bene altrui.
Caratteri essenziali del diritto di ritenzione possono essere considerati:

1)accessorietà: non è una garanzia autonoma ed esclusiva, spettando sempre in


connessione con un diritto di credito da tutelare;
2)indivisibilità: il soddisfacimento parziale del credito non estingue il diritto di
ritenzione.

Talvolta al diritto di ritenzione si accompagna un privilegio (RITENZIONE


PRIVILEGIATA). È il caso di crediti per le prestazioni e le spese relative alla
conservazione o al miglioramento di beni mobili.

Il pegno gordiano è il caso in cui il creditore pignoratizio dopo essere stato pagato
del credito garantito (da pegno) può esercitare il diritto di ritenzione sulla cosa già
ricevuta in pegno a protezione di un nuovo credito verso lo stesso debitore.

MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA


PATRIMONIALE
Quando danno vita ad un rapporto obbligatorio le parti confidano nell’adempimento
spontaneo ma ben sanno che, in difetto, l’ordinamento prevede un complesso sistema
esecutivo volta a realizzare coattivamente il diritto. Tale sistema presuppone però
l’esistenza di un patrimonio da aggredire, cosicchè al momento della nascita del
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rapporto obbligatorio, sarà cura del creditore verificare che il debitore abbia beni
sufficienti a garantire se del caso la realizzazione coattiva.
La garanzia patrimoniale è tuttavia generica nel senso che il patrimonio del debitore è
potenzialmente a disposizione del creditore ma solo dal momento in cui interviene
l’inadempimento ed in concreto solo dal momento in cui i singoli beni sono pignorati.
Solo allora si crea infatti un vincolo di indisponibilità che determina l’inopponibilità
degli atti di disposizione compiuti dal debitore.
Può capitare però, che il patrimonio del debitore può diminuire per altre cause
direttamente o indirettamente dipendenti dalla sua volontà, e in questi casi, in favore
del creditore, vi è un rimedio offerto dall’ordinamento che egli può tempestivamente
utilizzare allo scopo di non trovarsi, in caso di inadempimento, privo della garanzia
costituita dal patrimonio del debitore.
Si tratta di mezzi di tutela preventiva e solo indiretta del credito, dal momento
che la tutela finale e diretta è legata alla realizzazione coattiva e dunque all’esecuzione
forzata.
SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE DELLA PRESTAZIONE: il
potere di sospendere la propria prestazione si configura in sostanza come una forma
di eccezione ed infatti l’ART.1461C.C. deve essere collegato a quella che lo precede,
il quale disciplina l’eccezione di inadempimento: nei contratti con prestazioni
corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la propria
obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la
sua, salvo che termini diversi per l’adempimento siano stati stabiliti alle parti o
risultino dalla natura del contratto, perché, in tal caso, sarà applicabile
l’ART.1461C.C..
È una forma di autotutela che può peraltro ipotizzarsi solo quando il creditore è
contemporaneamente debitore e dunque le prestazioni dedotte nel rapporto
obbligatorio sono sinallagmatiche.
DECADENZA DEL TERMINE: in questa ipotesi, a differenza della sospensione
dell’esecuzione della prestazione, è necessario che il debitore sia divenuto insolvente
ovvero che abbia diminuito, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato o non abbia
dato le garanzie che aveva promesso.
Es. se il debitore non offre in garanzia altri beni in sostituzione di quelli periti o
deteriorati, il creditore pignoratizio o ipotecario può chiedere l’immediato pagamento
del suo credito.
In questi casi il creditore, potendo pretendere l’immediato adempimento, può anche
agire in via esecutiva ove lo stato di insolvenza impedisca al debitore di adempiere
spontaneamente ed allora egli concorrerà con i creditori di debiti già scaduti
avvantaggiandosi della par condicio (sempre che non vi siano creditori privilegiati) in
sede di riparto del prezzo ricavato dalla alienazione del patrimonio residuo, ciò che
non avrebbe potuto fare se avesse dovuto attendere la scadenza naturale del termine
di adempimento, con il rischio, a quel momento, di non trovare più beni da aggredire
nel patrimonio del debitore.
SEQUESTRO CONSERVATIVO: Esso può essere richiesto ogniqualvolta il
creditore abbia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito.
Il sequestro comporta la sottrazione (materiale e giuridica) del bene sequestrato alla
disponibilità del debitore proprietario per l’intera fase del processo, fino al suo esito.

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Sul piano materiale è nominato un custode (che può essere lo stesso debitore) a cui il
bene è affidato per l’ordinaria amministrazione.
Dal punto di vista giuridico, poi, il debitore proprietario non perde la legittimazione
a disporre. Il sequestro infatti non incide sulla titolarità del diritto per il principio
del consenso traslativo.
Al termine del giudizio, se il debitore è condannato al pagamento con sentenza
esecutiva, il sequestro si converte, ad iniziativa del creditore, in pignoramento, che è il
primo atto della fase della realizzazione coattiva del diritto. In caso contrario il
sequestro viene meno e il debitore ha diritto al risarcimento dei danni patiti in
conseguenza della indisponibilità del bene sequestrato.
Il sequestro conservativo è dunque un mezzo di garanzia efficace e soprattutto molto
rapido nei confronti di possibili celamenti materiali o giuridici dei beni, o distruzioni o
alienazioni.
Del tutto diverso è il SEQUESTRO GIUDIZIARIO, dove il giudice può autorizzare il
sequestro in due casi:
1)se è controversa la proprietà o il possesso dei beni mobili o immobili ed è opportuno
provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea
2)quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione di libri, registri,
documenti o di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova ed è
opportuno provvedere allo loro custodia temporanea.
Il sequestro conservativo rende inefficaci nei confronti del creditore sequestrante gli
eventuali atti di disposizione dei beni compiuti dal debitore. In assenza di sequestro gli
atti di disposizione possono tuttavia egualmente essere resi inefficaci agendo a
seconda dei casi con l’azione di simulazione o con l’azione revocatoria:
SIMULAZIONE: il debitore può indursi ad alienare fittiziamente i beni ad un proprio
prestanome al fine di sottrarli all’azione esecutiva del creditore.
Si tratterà di simulazione assoluta e il relativo atto non produrrà effetti tra le parti,
cosicchè il creditore, una volta ottenuto una sentenza che tale simulazione accerti, ben
potrà aggredire i beni essendo essi ancora nel patrimonio del proprio debitore.
Se il creditore ignora la simulazione o comunque non è in grado di provarla, potrà
agire, se ne ricorrono le condizioni, con la revocatoria, essendo l’atto simulato, nei
confronti dei terzi, efficace fino a sentenza contraria.
AZIONE REVOCATORIA: è attribuita al creditore contro ogni atto di
disposizione del patrimonio compiuto dal debitore, che sia in grado di recare
pregiudizio alle sue ragioni. La sentenza di revoca ha come effetto di rendere
inefficace, nei soli confronti del creditore che ha agito, l’atto di disposizione con la
conseguenza che, in caso di successiva inadempimento da parte del debitore, il
creditore potrà agire con l’azione esecutiva anche nei confronti del bene entrato nel
patrimonio del terzo, ovvero, preventivamente, ottenere un sequestro conservativo.
L’azione revocatoria non ha effetto restitutorio perché l’atto di disposizione è valido ed
efficace erga omnes con l’unica eccezione del creditore che agisce in giudizio.
I creditori che sono rimasti inerti non potranno aggredire il bene presso il terzo, né
intervenire nel procedimento esecutivo iniziato dal creditore revocante.
Il creditore può agire contro il terzo acquirente del bene del creditore, anziché in
revocatoria, con l’azione risarcitoria ex ART.2043C.C., qualora lo scopo perseguibile
con la revocatoria stessa non sia realizzabile per fatto illecito successivo del terzo
stesso, consistente in un atto elusivo in modo totale o parziale della garanzia
patrimoniale, sempre che egli dimostri che sussistevano le condizioni previste
dall’ART.2901C.C..
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La legge pone infatti talune condizioni, soggettive ed oggettive, al fine di poter


vittoriosamente esperire l’azione revocatoria:
-ESISTENZA DI UN CREDITO: il credito può essere non liquido e a termine o
condizionato ed anche eventuale quale è quello nei confronti di un fideiussore prima
della scadenza del debito principale.
-ATTO DI DISPOSIZIONE: è tale non solo l’atto con cui è dismessa la proprietà del
bene ma anche quello con cui si concede una garanzia reale (pegno, ipoteca), o si
attribuisce un diritto reale di godimento o si dà un immobile in locazione, ovvero
ancora si assume una obbligazione nei confronti di un terzo.
In base all’ART.2901C.C. non è soggetto invece a revoca l’adempimento di un debito
scaduto, in quanto atto dovuto. Tale è anche il ritrasferimento del fiduciario al
fiduciante.
È invece revocabile l’ipoteca o il pegno costituito per debito scaduto.
Naturalmente sono sempre revocabili gli atti di estinzione dell’obbligazione diversi
dall’adempimento, quali la datio in solutum, la compensazione volontaria, la
novazione.
-PERICOLO DI DANNO: l’ART.2901C.C. prevede non già il danno in atto ma il
semplice pregiudizio delle ragioni del creditore e cioè il periculum damni. Di
conseguenza sarà revocabile un atto di disposizione che renda più difficile o più
onerosa la realizzazione del diritto come nel caso in cui l’unico immobile in proprietà
venga alienato dal debitore pur se al doppio del suo valore di mercato, posto che il
denaro può essere occultato e quindi sottratto all’azione esecutiva.
Non è invece ipotizzabile una revoca dell’atto di disposizione del bene ipotecato,
perché il creditore ipotecario, in virtù del diritto di sequela, può aggredire il bene
presso il terzo acquirente a prescindere dall’esperimento dell’azione revocatoria e
quindi non subisce alcun pregiudizio.
-CONSILIUM E PARTECIPATIO FRAUDIS: è in ogni caso necessario che il debitore
fosse consapevole di ledere, in conseguenza dell’atto di disposizione, la garanzia del
creditore. In realtà tale consapevolezza è in sostanza presupposta, perché sussisterà
ogniqualvolta è ravvisabile il periculum damni.
Ciò è vero se l’atto di disposizione è successivo all’assunzione della obbligazione. Se
viceversa esso è antecedente spetterà al creditore la prova che l’atto era stato
dolosamente preordinato dal debitore al fine di spogliarsi del patrimonio in vista della
nascita del rapporto obbligatorio.
Se l’atto di disposizione è a titolo gratuito la prova del consilium fraudis, sul piano
soggettivo è sufficiente. Se viceversa l’atto è a titolo oneroso è necessario anche
provare che il terzo contraente (ad es considerando i suoi rapporti personali o di affari
con il debitore alienante), fosse consapevole del pregiudizio che l’atto arrecava alle
ragioni del creditore e, nel caso di atto anteriore al sorgere del credito, fosse partecipe
della dolosa preordinazione.
In ogni caso non si richiede al creditore la prova della conoscenza, da parte del terzo,
dell’esistenza dello specifico credito.
AZIONE SURROGATORIA: è un mezzo di conservazione della garanzia
patrimoniale, che consiste nel potere del creditore, surrogante, di sostituirsi al
debitore, surrogato, nell'esercizio di diritti che quest’ultimo vanta verso terzi e che
trascura di far valere.
La surrogatoria ha i seguenti presupposti:
-esistenza del credito del surrogante,
-inerzia del debitore nell'esercizio dei propri diritti verso i terzi,
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-pericolo d'insolvenza del debitore stesso,


-contenuto patrimoniale e natura non personale dei diritti e delle azioni.
La surrogatoria può avere per oggetto i diritti di credito ed i diritti potestativi del
debitore, di contenuto patrimoniale e non strettamente personali. Essendo un mezzo
di conservazione della garanzia patrimoniale, la surrogatoria mira a mantenere, nel
patrimonio del debitore, beni sufficienti per l'adempimento: a tal fine il creditore può
agire verso i terzi oggetto di pretesa da parte del debitore inerte per acquisire al
patrimonio di costui risultati economicamente utili (mira cioè ad ottenere un risultato
che può essere acquisitivo, rafforzativo, accertativi, preventivo, cautelare).
Ha natura conservativa e cautelare in quanto ha come effetto l’incremento del
patrimonio del debitore con conseguente vantaggio di tutti i creditori e non solo di
quello che ha agito in surroga.
I diritti non surrogabili sono spesso quelli potestativi, il cui esercizio coincide con la
realizzazione.

ATTI E I FATTI LECITI


PROMESSE UNILATERALI: con la promessa unilaterale un soggetto assicura
ad un altro un certo comportamento futuro. La promessa è vincolante se inserita in un
contratto avente valida causa.
L’ART.1987C.C. stabilisce che "una promessa unilaterale non produce effetti
obbligatori, salvo i casi ammessi dalla legge" (ne consegue, allora, che le promesse
unilaterali vincolanti sono ipotesi tipiche e che, quando non rientrano nei “casi
ammessi dalla legge”, possono far nascere, al più, solo un'obbligazione naturale).
PROMESSA DI PAGAMENTO E RICOGNIZIONE DEL DEBITO:
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rientra tra le promesse unilaterali la ricognizione (o riconoscimento) del debito,


con la quale il debitore di un rapporto obbligatorio, rapporto fondamentale o
sottostante, dichiara nei confronti del creditore di riconoscere l’esistenza del debito.
È promessa unilaterale anche la promessa di pagamento, con la quale un soggetto
promette ad un altro l’adempimento di una prestazione, in relazione ad un rapporto
obbligatorio già nato o che potrà nascere, purchè fino al momento in cui il promissario
agisce per l’esecuzione della promessa.
Si sostiene in dottrina che entrambi i suddetti atti pretenderebbero la forma scritta,
in ogni caso o per relationem.
Sembra peraltro più corretto optare per la forma libera, con conseguente libera prova
anche quando il rapporto sottostante origina da un contratto formale, che viene in
questione, sul piano giudiziale, solo come mezzo al fine di consentire alla promessa o
alla ricognizione di dispiegare i propri effetti.
Secondo l’ART.1988C.C. chi promette o riconosce assume non già un’obbligazione,
ma l’onere di dare l’eventuale prova contraria, anche per testi, dell’esistenza, validità,
efficacia, esigibilità o non avvenuta estinzione del rapporto fondamentale, così come
dei suoi limiti e contenuto. Non si tratta di un negozio di accertamento, ma di una
dichiarazione latamente confessoria.
Sia la promessa di pagamento che la ricognizione di debito possono essere PURE o
TITOLATE, a seconda che non sia o sia indicato nella promessa o nell’atto ricognitivo
il rapporto fondamentale.
PROMESSA AL PUBBLICO: la promessa al pubblico è il negozio giuridico
unilaterale, disciplinato dall'ART.1989C.C., tramite il quale un determinato soggetto
si impegna pubblicamente ad eseguire una determinata prestazione nei confronti di chi
si troverà in una determinata situazione o di chi compirà una determinata azione.

Che l’obbligazione nasca quando si verifica la situazione o è compiuta l’azione, è


confermato dall’ART.1990C.C., perché è solo da quel momento che la promessa è in
ogni caso irrevocabile. Prima di tale momento essa è revocabile, al fine di garantire la
serietà dell’intento e l’affidamento dei terzi.
La revoca è possibile, ma solo per giusta causa, e in ogni caso non ha alcun effetto se
la situazione o l'azione prevista nella promessa si sono verificate. Essa dovrà poi
essere resa pubblica nella stessa forma usata per la promessa o in forma equivalente.

Tale promessa vincola il promittente dal momento in cui la promessa stessa è resa
pubblica. Da ciò si desume la distinzione con l'offerta al pubblico, che è una
proposta contrattuale che vincola il proponente solo in presenza dell'accettazione della
controparte. Esempio di offerta al pubblico può ravvisarsi nell'esposizione in una
vetrina di capi di abbigliamento con il relativo prezzo.

La promessa può rispondere ad un interesse patrimoniale (fare pubblicità alla propria


impresa o ritrovare l’oggetto di valore smarrito) o liberale del promittente. In
quest’ultimo caso la situazione o l’azione deve essere meritevole di tutela, cioè non
futile.
La promessa può peraltro essere COMPLESSA, e collegarsi a vicende contrattuali,
come nel caso di promessa di concludere un contratto di appalto per una costruzione,
con chi presenterà il miglior progetto edilizio. L’azione, di per sé non negoziabile,
consiste nella vittoriosa partecipazione alla gare, che fa nascere il diritto a concludere
il contratto, ma a tale scopo il vincitore dovrà dare il proprio consenso.
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GESTIONE DI AFFARI: chi, senza esservi obbligato, assume la gestione di un


affare altrui, è tenuto a continuarla e a condurla a termine finchè l’interessato non sia
in grado di provvedervi da se.
La gestione di affari altrui non è un negozio e nemmeno un atto giuridico in senso
stretto, ma un mero fatto giuridico cui sono ricollegate talune conseguenze di
carattere obbligatorio, prima fra tutte l’obbligo per il gestore di proseguire a condurre
a termine l’iniziativa intrapresa nell’interesse del dominus, pena il risarcimento dei
danni, salvo impossibilità derivante da causa a lui non imputabile, secondo il generale
principio posto dall’ART.1256C.C..
Qualsivoglia affare è suscettibile di essere gestito. Di regola si tratterà di atti di
ordinaria amministrazione, meramente cautelativi, ma si ritiene che, in caso di
urgenza, il gestore possa anche compiere atti di straordinaria amministrazione (ad es
genitore separato che fa operare il figlio in assenza dell’altro genitore a cui carico
erano state poste le spese mediche).
Perché possa assumersi la gestione dell’affare altrui è necessario che l’interessato sia
assente o impedito e quindi effettivamente impossibilitato ad intervenire di persona.
Inoltre, l’assunzione della gestione deve essere consapevole e, soprattutto, deve
essere spontanea, cioè non frutto di un obbligo giuridico. Tale sarebbe la gestione in
presenza di un’obbligazione naturale.
Il gestore, infine, deve avere la capacità di contrarre, cioè la capacità d’agire oltre
ovviamente quella naturale.
Nella gestione di affari altrui il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che
deriverebbero da un mandato e quindi anche all’eventuale risarcimento del danno in
caso di negligenza.
Poiché il codice, nei rapporti tra gestore e interessato, rinvia alle norme sul mandato è
necessario distinguere, anche nei rapporti esterni, tra gestione rappresentativa e
gestione senza rappresentanza, a seconda che il gestore operi o non operi la
spendita del nome (c.d. contemplatio domini) perché nel primo caso, gli effetti si
produrranno direttamente e immediatamente in capo al dominus almeno per quanto
riguarda vicende che non coinvolgono beni immobili e mobili registrati, essendo
altrimenti l’immediatezza difficilmente configurabile in presenza di precisi obblighi
formali legati alla nascita del potere rappresentativo.
L’ART.2032C.C. detta una sorta di norma di chiusura, secondo cui la ratifica
dell’interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati
da un mandato, anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di
gestire un affare proprio.
PAGAMENTO DELL’INDEBITO: è l’esecuzione di una prestazione non
dovuta; si distingue in indebito oggettivo (quando la prestazione è eseguita in forza
di un titolo inesistente o inefficace: ART.2033C.C.) e soggettivo (si adempie un
debito altrui credendo erroneamente di essere il debitore obbligato: ART.2036C.C.).

Colui che riceve il pagamento non dovuto deve restituirlo: il pagamento d’indebito è
dunque fattispecie idonea a generare obbligazione ex ART.1173C.C..

Come l’illecito, anche l’indebito determina la lesione di un interesse protetto: ma le


due figure sono diverse perché nell’indebito è lo stesso danneggiato a dare causa alla
lesione. Ovviamente, si avrà solo un illecito nei casi in cui la prestazione è stata
estorta con dolo o violenza.

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La prescrizione dell’azione di ripetizione matura in un decennio, decorrente dal


pagamento in caso di contratto nullo o quando non sussiste un contratto e dalla
sentenza che elimina il vincolo contrattuale negli altri casi (annullamento, rescissione,
risoluzione) ma non per il pagamento degli interessi, là dove la prescrizione è
quinquennale.
ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA: chi, senza una giusta causa, si è
arricchito a danno di un’altra persona è tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a
indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.
Qualora poi, l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha
ricevuta è tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda, fermo
l’indennizzo per l’eventuale ulteriore arricchimento.
La prima caratteristica dell’azione di arricchimento senza causa è la GENERALITA’,
perché i fatti che la possono legittimare sono atipici e dunque potenzialmente illimitati.
In concreto però, tale azione sarà esperibile raramente se si considera che è escluso
un ingiustificato arricchimento ogniqualvolta esso sia la conseguenza di una
pattuizione, di una sentenza o di una disposizione normativa, cioè a dire di un titolo
giuridico che giustifichi la modificazione patrimoniale.
Se poi il titolo fosse posto nel nulla (contratto dichiarato nullo o annullato, risolto o
rescisso) il relativo spostamento patrimoniale verrebbe eliminato in seguito
all’esperimento dell’azione di ripetizione dell’indebito (oggettivo). Peraltro, si sostiene
anche che la prestazione di fare sarebbe irripetibile e quindi si potrebbe agire per
l’arricchimento, come nel caso di contratto di appalto o di opera, nullo per vizio di
forma, ma eseguito dal solo appaltatore o professionista, il quale potrebbe così
pretendere non già il compenso contrattuale o quello secondo la tariffa professionale,
ma l’indennità che terrà conto del guadagno che avrebbe conseguito se si fosse
dedicato ad altro lavoro.
L’azione è però inammissibile ove la nullità dipenda da violazione del buon costume, in
considerazione della natura dell’azione stessa, basata sull’equità e sull’eticità sociale.
Di qui il carattere residuale dell’azione, che non è proponibile quando il depauperato
può esercitare una qualsivoglia altra azione al fine di ottenere una reintegrazione
patrimoniale.
Altro presupposto pe poter agire è costituito dalla necessaria UNICITA’ DEL FATTO,
generatore, da un lato, del depauperamento e dall’altro dell’arricchimento.
È poi indispensabile che vi sia uno stretto nesso di causalità e di immediatezza tra
fatto e arricchimento, da un lato, e depauperamento dall’altro. In altre parole il fatto
deve essere la causa diretta ed immediata di entrambi gli eventi
Il fatto, inoltre, può essere umano o naturale e deve comunque essere lecito,
applicandosi in caso di atto illecito l’ART.2043C.C.. Ecco perché l’ART.2041C.C.
prevede una indennità e non un risarcimento del danno, che sono accumunati solo dal
fatto di dar vita entrambi ad un debito di valore.
L’indennità infatti, va calcolata fissando i valori, con riferimento al mercato, da un lato
dell’arricchimento che può consistere anche in un risparmio di spese, e dall’altro del
depauperamento patrimoniale o patrimonialmente valutabile, senza possibilità di
applicare l’ART.1227C.C., in caso di inerzia negligente dell’impoverito per poi
procedere alla liquidazione della minor somma.
Il termine decennale di prescrizione dell’azione inizia a decorrere da giorno
dell’arricchimento.

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GLI ATTI ILLECITI


STRUTTURA: ART.2043C.C.: “qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri
un danno ingiusto, obbliga colui che l'ha commesso a risarcire il danno”. Con questa
norma l'ordinamento pone la regola cardine dell'intero sistema della responsabilità
civile o aquiliana. L'illecito civile non è dunque tipizzato, dunque è civilmente illecito
qualunque fatto che cagiona un danno ingiusto, laddove costituisce illecito penale
solamente un fatto previsto dalla legge come reato.
Si parla dunque di clausola generale di responsabilità civile, perché spetta al giudice
stabilire se, nel caso concreto, un dato comportamento violi il principio neminem ledere.
L'opera del giudice non è peraltro libera in senso assoluto dal momento che dallo stesso
ART.2043C.C. si traggono alcuni indici normativi che devono essere tutti tenuti presenti al
fine di pervenire ad una corretta qualificazione della singola vicenda. Si dice che la
fattispecie di illecito è costituita da elementi oggettivi e dall'elemento soggettivo
della colpa o del dolo.
Sotto il profilo oggettivo è necessario un comportamento umano, il quale può essere
commissivo o omissivo. Tale comportamento deve poi aver causato un danno che la

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norma qualifica come ingiusto. Non ogni danno è dunque risarcibile ma solo quello che
possa essere considerato tale alla luce dei principi giuridici propri dell'ordinamento in un
dato momento storico.
Infine, tra il fatto, cioè comportamento, e l'evento, cioè danno ingiusto, deve sussistere
un nesso di causalità materiale. Il fatto, dunque, deve essere stato causa efficiente
dell'effetto laddove esso non si sarebbe prodotto a prescindere da quel dato
comportamento. Peraltro, se nella causazione dell'evento dannoso interviene un altro
comportamento di per sé solo idoneo a produrlo, si avrà interruzione del nesso di causalità
per il principio di causalità efficiente. Inoltre, il nesso è escluso se, al momento dell'azione
o omissione, l'evento di danno, poi verificatosi, era imprevedibile e inverosimile in termini
probabilistici (causalità adeguata).
Non ogni effetto dannoso sarà però risarcibile ma solo quelli che direttamente e
indirettamente scaturiscono dall'evento di danno per il nesso di causalità giuridica.
INGIUSTIZIA DEL DANNO: con un capovolgimento rispetto al passato,
l'ART.2043C.C. non è più considerate norma secondaria, sanzionatoria della violazione di
una norma primaria, ma norma primaria essa stessa, perché contiene la clausola generale
dell'ingiustizia del danno, in virtù della quale il dovere del neminem ledere offre una
protezione atipica, riferita cioè a tutti gli interessi giuridicamente rilevanti. Spetta poi al
giudice di individuati, e selezionarli, stabilendo così se il danno debba essere trasferito dal
danneggiato al danneggiante, mediante un giudizio di comparazione degli interessi in
conflitto, comparazione da condursi non tanto con riferimento alle leggi ordinarie quanto
alla luce del principio costituzionale di solidarietà.
E’ dunque risarcibile anche il danno derivante da lesione del diritto di credito ad opera di
un terzo, purché inevitabile e irreparabile. Ipotesi tipica è quella dell'uccisione del debitore
il una prestazione di fare a carattere personale o infungibile, anche nel senso che il
creditore non possa procurarsela altrove allo stesso costo. Al contrario, in caso di dare o di
fare fungibile non legato alla persona del de cuius, il relativo obbligo si trasferisce agli
eredi. È risarcibile inoltre il danno derivante dalla sospensione del vigore del contratto per
ferimento del lavoratore, se la prestazione è infungibile il datore di lavoro abbia dovuto
continuare a corrispondere, per contratto, lo stipendio o il salario, pur in presenza di una
prestazione fungibile. Il risarcimento infine è anche dovuto nel caso di danneggiamento o
ostruzione della cosa determinata oggetto della prestazione dovuta, con conseguente
estinzione dell'obbligazione per impossibilità sopravvenuta.
Nei predetti casi il fatto del terzo causa l'estinzione dell'obbligazione o impedisce
l'adempimento. Ma è illecito anche il comportamento di un terzo il quale, con dolo o colpa,
collabori o comunque induca un contraente a rendersi inadempiente: questo è il caso dello
storno di dipendenti, cioè assunzione di un dipendente altrui, sanzionato come
concorrenza sleale. Tale sottrazione dovrà andare a vantaggio per la propria azienda e a
svantaggio per l'altra. Non è induzione all'inadempimento l'azione invece di chi istighi a
commettere adulterio. Coopera all'inadempimento chi acquista dolosamente un bene già
promesso in vendita.
A sé stante invece è l'ipotesi della doppia alienazione immobiliare, quando un soggetto, a
conoscenza della prima alienazione a cui non è ancora seguita la trascrizione, acquista a
sua volta trascrivendo per primo e prevalendo. Il primo acquirente potrà agire anche ai
sensi dell'ART.2043C.C. contro il secondo avente causa in mala fede. Sono tutelati anche i
diritti personali di godimento in cui può agire per il risarcimento del danno, ad esempio, il
locatario per le spese di ripristino dell'immobile danneggiato da infiltrazioni di acqua
proveniente dalla terrazza sovrastante.
- la giurisprudenza ha teorizzato che per danno ingiusto risarcibile deve intendersi
anche il danno inferto al diritto all'integrità del proprio patrimonio e più specificamente al

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diritto di determinarsi liberamente nello svolgimento dell'attività negoziale relativa al


patrimonio. (Caso De Chirico).
-vi è anche una responsabilità da informazioni inesatte: tale responsabilità è certa solo se
c'è dolo, còllegato a un interesse di chi ti disinforma. Il semplice consiglio è irrilevante.
Dubbia è la rilevanza delle informazioni-servizio non esistendo un diritto assoluto ad
essere informati; diverso è quando sia leso il diritto all'integrità del patrimonio, o quello
alla salute, o all'avviamento o alla reputazione. Per informazioni inesatte risponde anche
la P.A.
-è risarcibile anche la perdita irreversibile e definitiva di una chance, cioè della possibilità,
già esistente nel patrimonio del danneggiato (tant'è che si parla di danno al patrimonio) di
conseguire vantaggi economici. La chance non è un bene autonomo, perché ha senso solo
se inserita in una sequenza causale, costituendo l'antecedente, in termini di possibilità, del
vantaggio finale, laddove la sua perdita è un danno emergente immediato e non un lucro
cessante, ma non distinto da quello finaie, consistente nel non aver conseguito il
vantaggio. L'an debeatur va valutato in termini di effettività e attualità della chance,
nonché di nesso di causalità tra sua perdita e fatto illecito, mentre il quantum del
risarcimento va liquidato equitativamente, avendo avuto riguardo alla percentuale di
probabilità che il danneggiato aveva di conseguire il vantaggio finale o altro vantaggio
collegato.
-anche un'aspettativa qualificata come legittima, ma in realtà di fatto, come quella dei figli
agli aiuti familiari o all'eredità, è rilevante in caso di morte prematura per omicidio.
Ugualmente è tutelata l'aspettativa dei genitori al contributo futuro economico del figlio
leso o ucciso.
-la lesione del possesso è risarcibile, benché condizione di fatto, nello stesso giudizio
possessorio se è impossibile la reintegrazione o vi è stato danneggiamento.
-c'è infine l'interesse legittimo. Nel caso, ad esempio, di illegittima denegazione di
concessione edilizia il soggetto subisce danni che vanno risarciti dal giudice
amministrativo, perché l'interesse legittimo, sia positivo che pretensivo, ha valenza non
solo processuale, ma anche sostanziale, essendo correlato un bene della vita che si ha e si
intende conservare o che non si ha e si intende conseguire.
CAUSE DI ESCLUSIONE DELL’ANTIGIURIDICITA’: l'ingiustizia del
danno qualifica il fatto in termini di antigiuridicità. Talvolta, tuttavia, particolari situazioni
soggettive e oggettive possono giustificare in concreto una data azione di per se atta a
causare un danno ingiusto, nel senso di ledere una posizione soggettiva astrattamente
tutelata. Tali cause sono regolamentate anche dal diritto penale con riferimento a fatti che
costituiscono reato, ma esse sono rilevanti anche nel diritto privato.
A)è così ad esempio il consenso dell'avente diritto che esime il danneggiante
dall'obbligo risarcitorio. Si pensi agli incidenti in sport violenti, purché la violenza
esercitata sia compatibile con caratteristiche del gioco o dello sport.
B)non è responsabile, inoltre, chi cagiona il danno per legittimo difesa di sé o altri. Il
soggetto di fronte ad un'aggressione ingiusta in termini obiettivi e non evitabile, può
reagire con un comportamento proporzionato all'offesa, e necessario ed inevitabile al fine
di eliminare un pericolo attuale e non ipotetico. Costituisce tuttavia illecito l'eccesso di
legittima difesa, ma non costituisce illecito quella putativa, quando cioè chi ha cagionato il
danno supponeva di trovarsi di fronte a un'aggressione giusta.
C)altra causa di esclusione dell'antigiuridicita e il c.d. stato di necessità che si configura
quando l'agente ha compiuto il fatto dannoso costretto data necessità di salvare se o altri
da pericolo attuale di danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente
causato né altrimenti evitabile, in tal caso egli deve corrispondere al danneggiato
un'indennità fissata equitativamente. Lo stato di necessità non esime dall'obbligo di

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indennizzare il danneggiato, a differenza di quanto avviene nel caso di legittima difesa,


così che si è in presenza di una responsabilità da atto lecito.
D)anche l'esercizio di un diritto può costituire causa di esclusione dell'antigiuridicità, pur
se la giustificazione sia solo supposta e non reale, purché l'errore sulla sua sussistenza
non sia colpevole e che vi sia un rapporto di adeguatezza tra condotta tenuta dal
danneggiante che esercita il diritto e l'evento lesivo.
IMPUTABILITA’ E COLPEVOLEZZA: non risponde delle conseguenze del fatto
dannoso chi non aveva la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha
commesso, a meno che lo stato di incapacità derivi da sua colpa.
È soggetto imputabile chi ha la capacità naturale, dunque, in caso di illecito, l'ordinamento
ritiene che anche un minore di età sia in grado di comprendere le conseguenze dannose
che da un certo comportamento possono derivare.
Detta capacità, per i reati, è fissata al raggiungimento dei 14 anni; in caso di illecito civile
giudice valuta caso per caso: pertanto un bambino di 12 anni che ruba una bicicletta non
è punibile penalmente, ma il fatto dannoso è potenzialmente a lui imputabile. Viceversa se
l'incapace è il danneggiato, il suo eventuale concorso di colpa rileva ai fini del quantum
debeatur.
Qualora il fatto dannoso non sia imputabile, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla
sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto. L'obbligo
della sorveglianza, la quale deve essere costante e ininterrotta, deve derivare o da un
dovere legale, come per i genitori o per i tutori, o da un obbligo volontariamente assunto,
come il caso degli infermieri nelle case di cura psichiatriche, ma anche da iniziativa
spontanea, qual è quella di accogliere in casa l'incapace. La responsabilità dei sorveglianti
è diretta, perché si ricollega alla violazione di un preciso dovere che incombe su di loro, ed
è presunta dall'ordinamento, ammettendosi la prova liberatoria, ad esempio quando
l'incapace ha tenuto un comportamento lesivo imprevedibile.
Se invece il minore non emancipato o l'interdetto, in un momento di lucidità, è capace di
intendere e di volere e quindi è soggetto imputabile, la responsabilità per i fatti illeciti da
lui compiuti si propaga, in via solidale ai genitori o al tutore, ma solo se c'è coabitazione e
salvo la prova di non aver potuto impedire il fatto.
Ciò vale anche per i precettori e per coloro che insegnano un mestiere o un'arte per i fatti
illeciti compiuti dai loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro
sorveglianza. Si parla a tal proposito di responsabilità propria, per culpa in vigilando e in
educando. (In base alla L.312/1980ART.61 si prevede che l'insegnante statale risponde
solo per dolo o colpa grave per la vigilanza sugli alunni, anche se maggiorenni, con
presunzione però del caso fortuito, e che l'amministrazione si surroga al personale nella
responsabilità civile derivante da azioni giudiziali promosse da terzi).
Del tutto distinta dall'imputabilità è la colpevolezza, condizione soggettiva che peraltro la
presuppone. Si può infatti parlare di colpevolezza solo con riferimento a soggetti capaci di
intendere e di volere. L'ART.2043C.C. statuisce la regola generale secondo la quale colpa
e dolo sono i due elementi soggettivi che costituiscono la nozione di fatto illecito
conseguenza di ciò si ritiene più giusto parlare di atto illecito più che di fatto perché non si
potrebbe essere condannati al risarcimento del danno se non in forza di un
comportamento proprio e volontario. Pertanto, i casi di responsabilità oggettiva o per fatto
altrui sarebbero eccezionali.
La norma ha riguardo non tanto alla colpevolezza dell'agente, quanto in termini oggettivi
all'ingiustizia del danno subito dal danneggiato. Il problema è dunque solo quello di
verificare chi debba risarcire il danno e l'ordinamento detta al riguardo vari criteri di
individuazione basati sul concetto di rischio. Pertanto, a questa stregua il dolo e la colpa

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costituiscono solo uno dei vari criteri giuridici mediante i quali le conseguenze dannose
vengono trasferite dal danneggiato al danneggiante.
RESPONSABILITA’ OGGETTIVA: in alcuni casi, previsti dalla legge, un
soggetto risponde per i danni a prescindere dal fatto che essi derivino causalmente da un
suo personale comportamento e dunque a prescindere dalla colpa o dal dolo. In ciò si
ravvisa un ulteriore differenza rispetto al regime dell'illecito penale, è in ogni caso
personale.
Lo svolgimento di determinate attività o il compimento di determinate azioni comportano
che il danno eventualmente prodotto sia risarcito non sono dal singolo autore dell'illecito
ma anche da chi si è assunto il rischio collegato all'attività o all'azione. Ciò vale
essenzialmente per il caso dl attività imprenditoriali, pure al di fuori di iniziative già di per
sé programmaticamente rischiose, perché il rischio è in re ipsa nel fatto di utilizzare
macchinari complessi tali da impedire un effettivo controllo sulle attitudini e capacità o sul
risultato del lavoro svolto. Non a caso la legge speciale stabilisce come oggettiva la
responsabilità del produttore. In tal caso il legislatore non ha concesso la facoltà di
provare la non colpevolezza ma solo, se del caso, circostanze diverse di carattere
aggettivo che finiscono per dare spazio al solo caso fortuito, purché non si tratti di
responsabilità derivante da comportamento di un terzo, perché allora il caso fortuito è
escluso e la prova contraria o non è ammessa o è difficilmente configurabile.
FATTISPECIE TIPICHE:
A)RESPONSABILITA’ DEI PADRONI E DEI COMMITTENTI: I padroni e i committenti
sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici, commessi
nell'esercizio delle loro incombenze a cui sono adibiti, con successiva azione di regresso
per l'intera somma pagata. La responsabilità si giustifica non con la culpa in vigilando, ma
con il rischio imprenditoriale o in base ali' utilizzazione delle altrui energie per ampliare la
propria sfera di azione. Ci deve essere un nesso di causalità tra le incombenze svolte e il
compimento dell'illecito. Anche nel caso di nesso di occasionalità, purché necessaria, c'è
responsabilità. La causazione del danno deve essere facilitata dalle attribuzioni (il
dipendente che uccide durante la lite successiva all'incidente sparando con la pistola che
ha in dotazione in quanto portavalori), o il danno deve essere collegabile in via dl
connessione o è stato causato in occasione di attività rientranti nelle incombenze, ma
svolte spontaneamente fuori orario. E' sufficiente un rapporto anche solo di collaborazione
che attribuisca un potere di vigilanza e di direzione al c.d. padrone.
B)RESPONSABILITA’ PER L’ESERCIZIO DI ATTIVITA’ PERICOLOSE: chiunque
cagiona danno ad altri nello svolgimento dl un'attività pericolosa, per sua natura o per la
natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento se non prova dl avere adottato tutte
le misure idonee ad evitare il danno.
Sono attività pericolose, ad esempio, la messa in commercio di prodotti del tabacco,
l'organizzazione di gare motociclistiche su circuito aperto al traffico, la caccia, l'esercizio di
seggiovie, la produzione e distribuzione di gas in bombole; la pericolosità della gestione di
un maneggio invece va valutata in relazione a se il cavaliere è principiante o no.
La prova liberatoria consiste nel dimostrare dl aver adottato ogni cautela e di essersi
avvalso delle tecniche di prevenzione più moderne. In realtà, poiché si tratta di
responsabilità oggettiva, la vera prova liberatoria sarà data dal caso fortuito, quanto
imprevedibile, e tale non sarebbe ad esempio un fulmine, potendo essere installato un
parafulmine.
In particolari casi la materia è regolata da leggi speciali che escludono anche il caso
fortuito o configurano la prova liberatoria in modo atipico. Ad esempio, l'ART.965C.VAV.,
disciplinando la navigazione aerea, pone a carico dell'esercente l'obbligo dl risarcire ogni e

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qualsiasi danno derivante da forza maggiore, con la sola esclusione del danni dovuti dal
fatto doloso di terzo.
C)DANNO CAGIONATO DA COSE IN CUSTODIA: ciascuno è responsabile
oggettivamente del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso
fortuito, cioè imprevedibile e inevitabile, quale interruzione del nesso causale, cui è
equiparata la colpa del danneggiato non solo colposa, ma anche inevitabile e
imprevedibile, cioè eccezionale, inconsueta, mai avvenuta prima e quindi inattesa o, se la
cosa è inerte, la sua non pericolosità, in relazione allo stato e salvo che il danno sia stato
arrecato non dalla cosa, ma con la cosa, perché allora vale l'ART.2043C.C..
Custode è chi ha la disponibilità non già solo materiale, ma giuridica ed è in condizione di
controllare i rischi inerenti alla cosa. Quindi non solo il proprietario ma anche il possessore
e il detentore. In caso di locazione, il proprietario è responsabile dei danni provocati da
strutture murarie o da impianti in essi conglobati, il locatario invece dei danni provocati
dalle cose nella sua disponibilità.
D)DANNO CAGIONATO DA ANIMALI: il proprietario di un animale o chi se ne serve per
il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall'animale, domestico o
mansuefatto, sia che fosse sotto la sua custodia, anche temporanea, sia che fosse
smarrito o fuggito salvo che provi il caso fortuito, consistente in un fatto esterno, o nella
colpa del danneggiato, imprevedibile, inevitabile eccezionale.
Usa dell'animale chi ha un potere di governarlo pur senza avere necessariamente quello di
sfruttarlo e purché tale potere non sia esercitato sotto il controllo del proprietario, come
nel caso di chi custodisca l'animale per il pascolo. Quando l'animale è lo strumento per
l'esercizio di un'attività pericoiosa si applica l'ART.2050C.C.; se esso è il mezzo motore di
un veicolo, si applica l'ART.2054C.C..
E)RESPONSABILITA’ DA ROVINA DA EDIFICIO: il proprietario di un edificio o di altra
costruzione è responsabile dei danni cagionati dalla loro rovina, salvo che provi che questa
non è dovuta a difetto di manutenzione o a vizio di costruzione. La norma si applica anche
al titolare di un diritto reale di godimento che comporto l'obbligo di manutenzione, mentre
per il locatario la responsabilità sussiste solo nei rapporti interni con il proprietario,
qualora la sua negligenza abbia aggravato il danno.
La prova liberatoria consiste nel dimostrare il caso fortuito o la forza maggiore, laddove la
responsabilità è oggettiva e sussiste pure nel caso in cui nessun sintomo obiettivo
lasciasse solo dubitare del possibile crollo e perfino se la cattiva manutenzione sia
conseguenza dell'opera negligente un appaltatore.
F)RESPONSABILITA’ DA CIRCOLAZIONE DI VEICOLI: il conducente di un veicolo è
obbligato a risarcire il danno prodotto, anche dolosamente, a persona o a cose, dalla
circolazione stradale del veicolo se non prova di aver fatto tutto il possibile per evitare il
danno. Nel caso di scontro tra veicoli si presume poi fino a prova contraria che ciascuno
dei conducenti abbia concorso ugualmente a produrre i danni, pur se uno solo di essi li
abbia subito.
Il proprietario del veicolo è responsabile in solido con il conducente se non prova che la
circolazione è avvenuta contro la sua volontà. Queste stesse persone sono responsabili dei
danni ricollegabili a vizi di costruzione o a difetti di manutenzione del veicolo. Salvo caso
fortuito o consapevolezza della circolazione illegale dell'autoveicolo, il terzo trasportato
può agire direttamente per il risarcimento del danno nei confronti dell'impressa che ha
assicurato il veicolo stesso, anche quando l'altro autoveicolo coinvolto non sia assicurato.
Dal punto di vista oggettivo, per veicolo si deve intendere qualsivoglia mezzo di
locomozione terrestre, anche spinto con la forza delle braccia. Esso deve trovarsi, anche
fermo, su una strada pubblica o in un'area privata dove il traffico veicolare e pedonale sia
paragonabile a quello stradale. L'elencazione è tassativa, così che in caso di locaziore,
noleggio risponderà il proprietario e non già il locatario o noleggiatore. Inoltre, è
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proprietario chi vanta un titolo giuridico di carattere sostanziale. La responsabilità del


proprietario è invece esclusa qualora egli abbia affidato l'autoveicolo per la custodia ad un
parcheggiatore oppure ad un meccanico sempre che costoro diano affidamento per la loro
professionalità. Inoltre, il proprietario non è responsabile se l'autoveicolo ha circolato
contro la sua volontà.
Sul plano della prova liberatoria, il presunto responsabile non deve dare prova
dell'assenza di colpa ma piuttosto che l'incidente si è verificato in forza di un fatto che
impedisce di configurare il danno come conseguenza della circolazione. La responsabilità
oggettiva è innegabile, costituendo la contraria volontà del proprietario solo un fatto
impeditIvo della traslazione delle conseguenze dannose. Infine è innegabile che il
legislatore non ha inteso dare spazio alla colpa, potendo solo rilevare il caso fortuito, la
forza maggiore lo stato di necessità.
G)RESPONSABILITA’ DEL PRODUTTORE: il D.LGS.206/2005ART.102SS disciplinano
la responsabilità del produttore per i danni cagionati dal prodotto messo in circolazione,
come ad esempio nel caso in cui una bottiglia contenente una bevanda gassata esplode
nelle mani del consumatore nel momento in cui viene aperta.
Si tratta di una responsabilità presunta, rispondendo il produttore per il danno cagionato,
a prescindere dalla colpa o dal dolo, ma non dalla prova, a carico del danneggiato, del
collegamento causale tra difetto e danno.
Prodotto è ogni bene mobile, anche se incorporato in altro mobile o immobile, con
esclusione dei prodotti che non abbiano subito trasformazioni, con trattamento che ne
abbia modificato le caratteristiche o abbia aggiunto sostanze.
Produttore è invece il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente, il
produttore di una materia prima e chi si presenta come tale apponendo Il proprio nome,
marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla confezione.
Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore
che ha distribuito il prodotto nell'esercizio di un'attività commerciale, se ha omesso di
comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta di risarcimento,
l'identità e il domicilio del produttore o di chi ha fornito il prodotto. Il prodotto è difettoso
quando non offre la sicurezza che si può legittimamente attendere tenuto conto di talune
circostanze tipizzate.
La responsabilità è esclusa nei seguenti casi:
-se il produttore non ha messo in circolazione il prodotto o non lo ha fabbricato per la
vendita o per qualsiasi altra forma di distribuzione a titolo oneroso.
-se il difetto è dovuto alla obbligatoria conformità ad una norma giuridica imperativa.
-se lo stato delle conoscenze scientifiche-tecniche al momento In cui il produttore ha
messo in circolazione il prodotto non permetteva ancora di considerare il prodotto
difettoso.
-se il difetto non esisteva o è probabile non esistesse al momento in cui il prodotto è stato
messo in circolazione. (per messa in circolazione si intende la consegna del prodotto,
anche in visione o in prova all'acquirente).
Se la causa dell'incidente è ignota il produttore risponde. È a carico del danneggiato la
prova circa il danno, il difetto del prodotto e il nesso di causalità. Il diritto al risarcimento
si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere
conoscenza del danno, del difetto e dell'identità del responsabile; in ogni caso però tale
diritto si estingue alla scadenza di 10 anni dal giorno in cui il prodotto è stato messo in
circolazione; si tratta di una decadenza impedita solo dalla domanda giudiziale e dal
riconoscimento del diritto da parte del responsabile.
H)RESPONSABILITA’ DEL MAGISTRATO: L.117/1988: disciplina la responsabilità
civile dei magistrati: essa si applica a tutti gli appartenenti alla magistratura ordinaria,
amministrativa, contabile, militare e speciale, che esercitano l'attività giudiziaria
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indipendentemente dalla natura delle azioni, nonché anche agli estranei che partecipano
all'esercizio della funzione giudiziaria. Il danno risarcibile è patrimoniale e non
patrimoniale. Esso deve essere ingiusto e cagionato per effetto di un comportamento
doloso o gravemente colposo o per effetto di diniego di giustizia. Resta l'irresponsabilità
per l'interpretazione della legge e la valutazione del fatto e delle Prove. Il termine di
decadenza dell'azione è di tre anni, che decorre dal momento in cui l'azione è esperibile e
cioè una volta che siano stati esperiti mezzi ordinari di impugnazione e comunque non sia
più possibile la modifica o la revoca del provvedimento fonte del danno. Convenuto in
giudizio è lo Stato in persona del presidente del Consiglio dei Ministri, mentre il magistrato
non può essere chiamato in causa ma può intervenire. Lo Stato in persona del Presidente
del Consiglio una volta risarcito il danno deve esercitare entro due annl, l'azione di rivalsa
nei confronti del magistrato non dissenziente. Se il fatto costituisce reato l'azione civile
può essere esperita nei confronti sia dello Stato che del magistrato. L'ingiusta
carcerazione e l'errore giudiziario costituiscono poi atti illeciti dannosi, con equa
riparazione.
RISARCIMENTO DEL DANNO: se il fatto dannoso è imputabile a più soggetti,
tutti sono obbligati in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha
regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva
colpa.
Il codice prevede, come regola, il risarcimento del danno potrimoniale ex
ART.2043C.C. e, come eccezione prevista di volta in volta dalla legge, il risarcimento
del danno non potrimoniale ex ART.2059C.C..
DANNO PATRIMONIALE: riguarda la lesione di un bene (es. occupazione abusiva) o se il
danno alla persona riguarda la diminuzione dei vantaggi e delle utilità che la persona trae
da se stessa, purchè siano suscettibili di valutazione economica, nonché la diminuzione
della sua capacità lavorativa riferita al reddito effettivamente prodotto.
DANNO NON PATRIMONIALE: è quello determinato dalla lesione di interessi inerenti
alla persona, non connotati da rilevanza economica. Questo danno è unitario, nel senso
che è ricomprensivo di una pluralità di pregiudizi che la legge prevede, quale ad esempio il
c.d. danno morale e il c.d. danno biologico, che non sono sottocategorie autonome di
danno non patrimoniale, ma pregiudizi diversi del danno stesso.
DANNO MORALE DA REATO: Con la formula "danno morale" (ART.185C.P.) si
intende la sofferenza, non necessariamente protratta nel tempo che subisce la vittima, in
presenza di un reato che offende la persona (es. violenza sessuale, omicidio, lesioni
ecc...). La sofferenza è la conseguenza soggettiva della lesione del bene protetto che, in
termini oggettivi, è la dignità umana. Il risarcimento è dovuto anche quando ìl reato è
plurioffensivo come nel caso di disturbo della quiete pubblica o del turbamento psichico
per la paura di aver contratto una malattia, a seguito di disastro ambientale, con
immissioni tossiche.
In caso di violenza sessuale, lesioni o uccisione, legittimato ad agire per il risarcimento in
proprio, oltre alla vittima e ai prossimi congiunti, è anche il titolare di una situazione di
contatto con la vittima al di la dunque dei rapporti familiari, occorrendo verificare in che
cosa sia consistito il legame affettivo e se esso sia meritevole di tutela e in quale misura
sia stato inciso (es. stabile rapporto amoroso). Il risarcimento ex ART.185C.P., sia
patrimoniale che non patrimoniale, è dunque diverso da quello ex ART.2043C.C., perché
nel primo non si richiede l'ingiustizia del danno, né la colpa o il dolo (la colpa è presunta
infatti), essendo sufficiente la sussistenza di un reato.
Altre ipotesi tipiche: la legge prevede altre ipotesi di danno non patrimoniale risarcibile, ad
es. in caso di lesione del diritto al nome o all'immagine, all'onore, al decoro, di
diffamazione a mezzo stampa.

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DANNO BIOLOGICO: seguendo la ratio dell'ART.185C.P., in presenza di lesioni personali


a seguito di reato, il danneggiato ha diritto solo al risarcimento (non patrimoniale) al
danno morale (essendo previsto il danno morale da reato), mentre avrà diritto al
risarcimento patrimoniale solo se risulta essere produttore di reddito. Tuttavia, tale
lesione mina anche la salute, cioè l'integrità psico-fisica di una persona, pur se non
produttore di reddito. La lesione, infatti, riguarda il "valore uomo", e incide sulle sue
attività quotidiane e si ripercuote negativamente nell'ambito dinamico-relazionale della
vita del danneggiato. Dunque, il danno alla salute, detto anche biologico, colpendo la
persona e non il suo patrimonio, dovrebbe essere risarcito ex ART.2059C.C., solo se la
legge lo prevede (danno da atti di terrorismo ecc..). Il danno biologico è dunque l'esito di
una lesione fisica, cui si accompagna un più o meno accentuato disagio per il danno
riguarda proprio e solo la salute psichica, la cui lesione coincide, ad esempio, con una
malattia depressiva che presume accertamenti specialistici (es. lavoratore sottoposto a
mobbing). In caso di uccisione di un familiare (iure successionis), poi, ai congiunti
superstiti spetta il risarcimento del danno patrimoniale e di quello reale, essendoci stata
l'uccisione e quindi un reato (ART.185C.P.). Spetta loro, iure successionis, anche il danno
biologico terminale, che spettava al morto, purché la morte sia intervenuta al termine di
un'agonia e non sia stata istantanea o quasi istantanea, non essendo configurabile un
danno da morte, o anche detto tanatologico; questo perché il danno biologico è danno alla
vita che continua per un tempo significativo, non quindi riferibile all'evento "morte". Di
conseguenza, se la morte è istantanea, non vi è un soggetto che possa acquisire il diritto
al risarcimento, trasferibile agli eredi. Rileva però, in caso di lesioni fisiche seguite da
morte dopo breve tempo, la consapevolezza di chi sa di stare per morire, che rileva come
sofferenza psichica risarcibile nell'ambito del danno morale da reato ( c.d. danno
catastrofale). Per il danno noi, patrimoniale subito iure proprio dal familiare, la
liquidazione è esclusa solo se già ricompresa in quella del danno morale nell'ambito
dinamico relazionale, salvo poi la prova di uno sconvolgimento esistenziale, con radicali
cambiamenti nello stile di vita o addirittura un danno biologico psichico. In ogni caso è
necessario dimostrare l'esistenza in concreto di un legame affettivo con il leso o il defunto
e la misura in cui esso sia stato inciso dalla lesione o uccisione; non è dunque sufficiente
in astratto il grado di parentela o affinità o la convivenza.
LESIONE DEI DIRITTI INVIOLABILI: al di fuori dei casi dei casi previsti dalla legge
ordinaria, si ritiene che la tutela vada estesa ai casi di lesione del diritti inviolabili della
persona. In tal modo per la riserva di legge di cui all'ART.2059C.C. non è più osservata,
considerando che l'ART.2COST. non individua i diritti cui fa richiamo l'ART.2059C.C.
stesso. La riprova è nel fatto che spetterebbe al giudice di rinvenire indici idonei a valutare
se nuovi interessi emersi nella realtà sociale attengono a posizioni inviolabili, ma in esito
al loro ampliamento ,ogni diritto dovrà bilanciarsi con gli altri, secondo criteri di
ragionevolezza e proporzionalità. E’ palese allora che la tipicità legislativa di cui
all'ART.2059C.C. è sostituita, all'occorenza, dalla volontà del giudice, mascherata da
sentire sociale costituzionalistico. La certezza del diritto è cosi sostituita dall’ incertezza
della sentenza, esito delle pulsioni interpretative del giudice. Per ottenere il risarcimento
sarà sufficente invocare una norma costituzionale collegota al sentire sociale.
DANNO ESISTENZIALE: la sofferenza per il peggioramento della qualità della vita,
anche a causa delle attività non reddituali realizzatrici di sé impedite o ostacolate
dall'altrui comportamento. Il fatto è che la società occidentale considera diritto quello al
non essere infelici con conseguente ingiustizia del danno se ciò è impedito da terzi. Si
tenta tuttavia di limitare il danno esistenziale a ipotesi tipiche, quale quellaa del rapporto
di lavoro (mobblng), del reato o della perdita del rapporto parentale per uccisione del
congiunto ecc... Questa però è un'operazione molto complessa perché tale danno risulta

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avere un carattere indefinito e atipico che viene giustificato con "l'essere la dimensione
della sofferenza umana a sua volta indefinita e atipica. I veri limiti sono quelli volti ad
impedire le liti bagatellari in cui 'interesse esistenziale o è futile o non è inciso oltre la
soglia minima della tolleranza che la convivenza impone. In conclusione, considerato che,
salvo le ipotesi di cui all'ART.2087C.C., le ipotesi di lesioni di diritti inviolabili coincidono
con quelle di reato, il danno non patrimoniale va risarcito solo quando la legge lo prevede
senza nessuna apertura alla realtà sociale, fonte inevitabile di atipicità e confusione.
Il risarcimento del danno non patrimoniale avviene secondo equità con pagamento di una
somma di denaro non in grado di annullare le sofferenze; pertanto, si tratta di ura fictio
idonea a restituire o a compensare Per il quantum debeatur dovrà aversi riguardo dunque
alle circostanze del caso e all’intensità del dolo o della colpa, alla gravità della condona
illecita e alle modalità secondo le quali si è consumata la lesione, nonché alla condizione
della vittima valutata in termini oggettivi ad esempio l'età o la sua notorietà. Ciò spiega
perché, dovendosi aver riguardo non alla soggettiva sofferenza ma a dati oggettivi, il
danno all’incapace o a chi è in coma vegetativo o è interdetto, il quale non può avvertire
l’offesa e quindi soffrire, va risarcito comunque. Si può quindi ammettere che il
risarcimento del danno non patrimoniale ha funzione compensativa, in relazione alla
diminuzione personale e non patrimoniale del valore uomo, per come egli si realizza. Se
non che potrebbe ricorrersi alle presunzioni, spettando al danneggiato solo di allegare gli
elementi o a fornire la serie concatenata di fatti noti per risalire a quello ignoto, cioè i
esistenza del danno. Secondo altra teoria, essendoci un collegamento con l'ART.1223C.C.,
la prova dovrebbe essere accertata mediante CTU in chiave compensativa, dovrebbe
applicarsi quindi una compensazione lucri cum damno con danno biologico o morale.
La tipicità dell'ART.2059C.C. si può quindi spiegare con detta funzione sanzionatone in
perfetta analogia con l'ART.25 secondo cui nullum crimen sine lege dal momento che il
risarcimento del danno non patrimoniale è intrinsecamente incerto a differenza di quello
patrimoniale. Il primo è l’esito dell'antigiuridicità e il secondo dell'ingiustizia del danno. La
funzione compensativa e ipotizzabile per il solo pregiudizio alla salute, laddove l'an
debeatur è accertato mediante perizie mediche e il quantum è liquidato avendo riguardo
alle tabe e elaborate dal radunale di Milano. In chiave compensativa si dovrebbero evitare
duplicazioni risarcitone, poiché l'esito del danno non patrimoniale è sempre quello della
sofferenza interiore. Così in caso di diffamazione sarà risarcite il pregiudizio morale, ma se
la sofferenza degenera in depressione sarà risarcito, con eventuale e personalizzazione, il
solo danno alla salute, più grave. Il danno può essere risarcito anche in forma
specifica qualora sia in tutto o in parte possibile e purché il giudice non ritenga che la
reintegrazione sia eccessivamente onerosa per il debitore. I due rimedi risarcitori forma
specifica e per equivalente, se del caso, possono concorrere. La prescrizione dell'azione
risarcitoria è quinquiennale.
DANNO DA DURATA IRRAGIONEVOLE DEL PROCESSO: ci può essere
un equa riparazione del pregiudizio, anche non patrimoniale, causata dalla durata del
processo. La parte, purché abbia esperito i rimedi preventivi, deve agire entro sei mesi e il
pregiudizio non patrimoniale è in re ipsa, salvo prova contraria, mentre quello
patrimoniale va provato.

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Parte Generale Contratto (Gazzoni) - Prof. Procida

Diritto civile (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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PARTE GENERALE: CONTRATTO


CONTRATTO E NEGOZIO GIURIDICO
ART.1321C.C.: “il contratto è l’accordo con cui due o più parti costituiscono, regolano
(quindi anche modificano) o estinguono tra loro un rapporto giuridico a contenuto
patrimoniale.”
Questa definizione risente (non positivamente) dello stretto collegamento con l’ART.1173C.C.
secondo cui il contratto è fonte dell’obbligazione. Questo collegamento induce a non
considerare quei contratti che (invece di costruire, modificare o estinguere rapporti giuridici)
determinano invece l’immediato trasferimento di diritti (contratti ad effetti reali o traslativi).
Puntuale (corretto) è invece il richiamo alla patrimonialità del rapporto, che esclude
dall’ambito contrattuale il matrimonio, che non a caso il legislatore ha regolato con una
specifica regolamentazione autonoma.
Il codice civile prevede una disciplina generale all’ART.1323C.C. comune a tutti i contratti,
tipici e atipici, ed una disciplina specifica per alcuni singoli contratti.
ART.1324C.C. estende la disciplina generale del contratto anche agli atti unilaterali tra vivi
aventi contenuto patrimoniale, salvo per le norme che presuppongono la struttura bilaterale
del negozio.
TEORIA DEL NEGOZIO: nasce come parte della teoria del soggetto di diritto: il NEGOZIO
era un’unica categoria che abbracciava molteplici manifestazioni (atti inter vivos, atti mortis
causa, atti unilaterali e bilaterali) basata sull’unico denominatore comune costituito dall’ATTO
inteso come manifestazione di volontà privata. L’evoluzione della teoria del negozio cominciò
quando si ipotizzò la rilevanza del dichiarato prima ancora del voluto. La DICHIARAZIONE
acquistava così una propria autonoma funzione a fianco della VOLONTÀ, prevalendo su di
essa in caso di contrasto. Tale evoluzione terminò quando nel 1942 il legislatore ignorò la
categoria del negozio giuridico, ponendo piuttosto il CONTRATTO al centro del sistema del
diritto privato, svincolandolo dalla proprietà e collegandolo alla situazione di scambio, come
motore della imprenditorialità. Il contratto è dunque al centro del sistema ed in nessuna
norma il legislatore fa riferimento, diretto o indiretto, al negozio giuridico. Tale scelta operata
dal legislatore è il frutto della intenzione di porre l’accento, più che sul potere della volontà
del singolo, sullo strumento di scambio. Il concetto di negozio giuridico era infatti nato come
potere della volontà del singolo.
Tale scelta è anche però frutto della riunificazione tra codice di commercio e codice civile del
1942. Infatti l’aver ricondotto ad unità il sistema ha imposto di tener conto delle necessità
del commercio (che sono una più facile e veloce circolazione dei beni) a cui è di ostacolo una
eccessiva rilevanza del volere dei soggetti.
Espressione di tale scelta è la tutela della buona fede dei terzi i cui acquisti sono fatti salvi
anche quando il consenso non è ravvisabile come nel caso di simulazioni. Qui infatti non si va
a la ricerca della effettiva volontà, ma si tutelano i terzi in buona fede proprio per tutelare il
commercio.
TEORIA CONTRATTUALE: Nel Codice Civile del 1942, al centro del sistema del diritto
privato, non vi è più la teoria del negozio, bensì il CONTRATTO, che non può riguardare più
qualsivoglia manifestazione di autonomia privata (testamento, matrimonio, contratto,
negozio unilaterale e plurilaterale) ma solo a quelle intrinsecamente omogenee. In tal senso
importante è l’ART.1324C.C. che estende, con il criterio della compatibilità, la disciplina del
contratto al negozio unilaterale inter vivos a contenuto patrimoniale, escludendo i negozi di
diritto familiare ed il testamento. Tale disposizione parla di ATTO e non di negozio, ma deve
ritenersi che il legislatore abbia utilizzato questa terminologia al solo fine di non prendere

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posizione in merito alla possibilità di dar vita alla categoria negoziale. Atto è pertanto
sinonimo di negozio unilaterale.
La disciplina del contratto ha una forza espansiva che va al di là dell’Art. 1324 c.c.:
-la P.A. può scegliere il modello convenzionale per realizzare i propri interessi pubblici: può
concludere con l’interessato accordi al fine di determinare il contenuto discrezionale del
provvedimento amministrativo o, nei casi previsti dalla legge, di sostituirlo.
-la forza espansiva della disciplina contrattuale si manifesta anche sul patteggiamento della
pena, in particolare con riferimento all’applicazione dei principi sulla conclusione del
contratto (la revoca unilaterale è impossibile dunque una volta raggiunto l’accordo e anche
sulla natura di actus legitimus che non tollera l’apposizione di condizioni una volta.
DISCIPLINA DEL NEGOZIO UNILATERALE:
Il codice civile disciplina il negozio unilaterale in alcune norme di carattere generale:
l’ART.1334C.C. stabilisce che gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui
giungono a conoscenza del destinatario (negozi recettizi).
La recezione da parte del terzo destinatario secondo la dottrina è essenziale:
1) secondo alcuni per la stessa perfezione della dichiarazione
2) secondo altri (è solo un coelemento) è necessaria per la mera efficacia dell’atto.
Quest’ultima(2) è la concezione più corretta poiché il negozio unilaterale, sul piano del
perfezionamento della fattispecie, dipende in ogni caso dall’emissione della dichiarazione,
mentre la RECEZIONE da parte del terzo si pone sul piano degli effetti costituendone la
condizione essenziale (per far produrre effetti).
La dichiarazione solo se recettizia può essere revocata, purché la revoca giunga (pervenga)
al destinatario prima della dichiarazione stessa.
La conoscenza della dichiarazione, costituisce un mero fatto giuridico, per cui sarà del tutto
irrilevante che essa sia acquisita in seguito a violenza o frode esercitata dal dichiarante, così
come non potrà dirsi conosciuta, una dichiarazione ricevuta da un soggetto che dimostri di
essere stato in quel momento incapace di intendere e di volere.
ART.1335C.C.: fissa una presunzione relativa di conoscenza per il fatto che la
dichiarazione pervenga all’indirizzo del destinatario, salvo che questi provi di essere stato,
senza sua colpa, nell’impossibilità di averne notizia.
ART.1414C.C.: estende la disciplina della simulazione anche agli atti unilaterali recettizi
destinati a persona determinata, che siano simulati per accordo tra dichiarante e
destinatario.
ART.428C.C: che disciplina l’incapacità naturale con riguardo ad i negozi unilaterali,
stabilendo l’invalidità solo in caso di grave pregiudizio.
NORMATIVA SPECIALE: poiché però la normativa speciale che disciplina il negozio
unilaterale è tendenzialmente lacunosa, si ricorre all’applicazione diretta, e non analogica o
estensiva, della disciplina generale del contratto, tale applicazione diretta è però temperata
dal criterio di compatibilità stabilito all’ART.1324C.C. (la compatibilità si riferisce alla
diversa struttura e al fatto che il contratto sia il risultato di un incontro di consensi)
(compatibilità strutturale). Si discute, inoltre, sulla necessità della FORMA SCRITTA del
negozio unilaterale, nel caso in cui il negozio unilaterale sia collegato ad una vicenda che
rientri nella previsione dell’ART.1350C.C. (atti che debbono farsi per iscritto). Qui il dubbio
sussiste e, nel silenzio della legge, può essere sciolto solo guardando al negozio unilaterale
sul piano funzionale.
ES: il negozio unilaterale che convalida un contratto annullabile, non richiederebbe la forma
scritta:
1)se la sua funzione è quella di rinunciare all’azione di annullamento.
2)se ha una funzione integrativa della fattispecie cioè sostituisce quella parte del contenuto
viziata dovrebbe avere la forma scritta.

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FONTI DEL REGOLAMENTO CONTRATTUALE

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1. AUTONOMIA CONTRATTUALE:
Autonomia significa facoltà di autoregolamentare i propri interessi. In termini giuridici, il
problema è quello di verificare il rapporto che sussiste tra autonomia ed ordinamento, cioè a
dire tra volontà del privato e volontà della legge (nel senso di accertare come ed a quali
condizioni i privati possono giuridicizzare una data operazione economica e far si che essa
assuma rilevanza sul piano giuridico). Bisogna inoltre individuare se gli effetti giuridici sono
effetto della volontà delle parti o si producono soltanto in seguito al comando normativo.
TESI RISALENTE DOTTRINA: non c’è dialettica tra volontà della legge e la volontà del
privato, è la volontà privata a dar vita agli effetti giuridici. Il ruolo svolto dall’ordinamento è
unicamente quello di porre dei limiti esterni all’autonomia contrattuale, limiti costituiti dalla
contrarietà a norme imperative, ordine pubblico o buon costume. All’interno del perimetro
delineato dall’ordinamento, la volontà del privato può spaziare, dando vita, essa stessa, ad
effetti pienamente vincolanti, che l’ordinamento si incarica di proteggere e tutelare.
Tale impostazione confonde, però, un’idea naturalistica di volontà con il concetto giuridico
dell’autonomia contrattuale. La volontà è la causa psichica dell’atto ma in tal modo non si
dimostra che essa sia anche la causa giuridica dell’effetto. Tale dottrina proposta nel secondo
dopoguerra risente dell’impostazione liberista che propendeva per una netta separazione tra
pubblico e privato. Secondo tale impostazione l’economia era riservata esclusivamente
all’iniziativa dei privati, mentre invece lo stato aveva il compito di perseguire e regolare le
vicende di interesse collettivo.
ALTRE DOTTRINE: hanno tentato di dimostrare la medesima tesi ricorrendo ad una più
complessa costruzione che investe gli stessi rapporti esistenti tra l’area del diritto privato e la
posizione ed il ruolo assunto dallo Stato:
A) TEORIA DELLA PLURALITA’ DEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI: costruisce il
contratto come un ordinamento a sé stante, disciplinato dalla regola posta dai contraenti.
Tale ordinamento è caratterizzato da elementi propri ed autonomi, ma cede all’ordinamento
statuale attraverso la potestà giurisdizionale e sanzionatorie di pertinenza esclusiva di
quest’ultima. Tutto ciò implica che l’esistenza dell’ordinamento costituito dal contratto e
l’efficacia della regola privata possono essere affermate solo prescindendo dal momento
autoritativo, proprio dell’ordinamento statuale. All’ordinamento statuale è quindi affidato il
compito precipuo di tutelare l’accordo e finisce così per dettare, esso stesso, le condizioni
alle quali una data operazione economica può divenire giuridica.
B) TEORIA DELLA COSTRUZIONE PER GRADI: l’ordinamento risulterebbe la risultante di
una sorta di scala costruita in ordine decrescente dalla Costituzione, dalle leggi, dalla
giurisdizione etc. con il contratto, le parti pongono norme concrete per regolare il
comportamento reciproco in attuazione delle regole statuali con attuazione del diritto di
grado superiore e creazione di una nuova regola atta, però, a disciplinare il solo rapporto
intersoggettivo. Il giudice dovrà accertare l’osservanza o l’infrazione ed in tal caso c’è
l’esecuzione forzata. Tale concezione risente di una impostazione filosofica pessimistica
(Kelsen) in quanto vede la coazione un male necessario per indurre l’uomo ad un
comportamento corretto e dunque considerare il diritto soggettivo come diritto di azione in
giudizio, al fine di mettere in moto la sanzione.
C) ALTRE TEORIE: invece, attribuiscono all’ordinamento giuridico in via esclusiva il potere
di fissare gli effetti negoziali. L’iniziativa privata viene è ridotta ad un mero schema di fatto.
Il contatto apparterrebbe al privato solo per il tempo della sua realizzazione, ma una volta
raggiunto il necessario sviluppo, esso rientrerebbe nel dominio della legge a cui spetterebbe
di fissare, in via esclusiva, gli effetti giuridici.
Tra queste teorie la più accreditata è la TEORIA PRECETTIVA(Betti): secondo cui è
l’ordinamento che fissa gli effetti del contratto ma all’autonomia privata spetta il ruolo di
fissare il regolamento vincolante. Si assiste, così, ad una netta separazione tra i due

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momenti sociale e giuridico. Il primo è caratterizzato dal fatto che il vincolo tra i privati già
nasce ed è riconosciuto come rilevante ed è l’ordinamento statale a divenire ordinamento
giuridico, in quanto conforme al dettato della socialità. Si ribalta cioè l’ottica della precedente
teoria.
L’autoregolamento dei privati è in grado di dar vita ad un precetto, cioè ad un ordine, il
quale, però sarebbe originario ed indipendente rispetto alla statualità, non si porrebbe in
alternativa ai poteri ed alle funzioni statali, né darebbe vita ad un ordinamento in senso
tecnico. È dato un valore sociale all’autoregolamento. Solo l’ordinamento stabilisce quali
effetti, nel campo giuridico, possono essere prodotti dall’autoregolamento.
2. CONTENUTO ED EFFETTI
ART.1374C.C.: ” Il contratto obbliga le parti, non a quanto nel medesimo è espresso, ma
anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, gli usi e l’equità. “
La tesi tradizionale ritiene che dal contratto non possono derivare conseguenze che non si
riallacciano alla volontà delle parti, salvo che sia presente nella pattuizione privata una
lacuna che la legge, gli usi e l’equità hanno la funzione di colmare con un intervento,
dunque, di carattere esclusivamente suppletivo; tipico il caso di mancata previsione del
luogo o del tempo dell’adempimento (ART.1182-1183C.C.), ovvero di attribuzione ad un
terzo del potere di determinare l’oggetto del contratto (ART.1349C.C.).
Si riafferma così il principio secondo cui il contenuto del contratto non potrebbe che essere
frutto della volontà dei privati, mentre la legge e le altre fonti di integrazione, operando solo
in presenza di pattuizioni lacunose, non potrebbero giammai porsi in contrasto con
l’autoregolamento, fissato in base al solo consenso .Si spiega così perché la norma sarebbe
destinata ,in questa visione ad operare solo sugli effetti del contratto.
E’ però errato relegare l’intervento della legge e degli usi nella zona degli effetti, infatti molte
norme positive dimostrano che spesso il contenuto del contratto è frutto anche
dell’intervento normativo. (Es. contratto di locazione e contratti agrari).
Da questo punto di vista l’ART.1374C.C. assume un diverso significato: quello di indicare
quali sono nel nostro ordinamento le fonti che disciplinano il regolamento contrattuale,
intendendo con tale espressione l’insieme dei precetti che vincolano i contraenti, non solo in
base a ciò che essi hanno pattuito, ma anche in base a ciò che detta la legge o, se del caso,
l’usi o l’equità. Accanto alla fonte autonoma si pongono dunque le fonti eteronome. Da ciò
consegue che è stato sottratto alla volontà dei privati il monopolio nella costruzione della
regola contrattuale. Il fatto che il contratto non esprime più l’esclusiva volontà privata non
significa che il contratto non sia più un atto di autonomia. Significa infatti che il contratto ha
più funzioni, dunque non solo di autonomia privata e di autoregolamentazione ma anche la
funzione di mezzo per perseguire interessi superindividuali.
3. LA LEGGE E I LIMITI DELL’AUTONOMIA CONTRATTUALE:
Sul piano concreto, l’autonomia contrattuale ha modo di esplicarsi pienamente da più punti
di vista:
a) libertà di concludere o meno il contratto;
b) libertà di fissarne il contenuto;
c) libertà di scegliere la persona del contraente;
d) libertà di dar vita a contratti atipici.
A fronte di queste libertà, il legislatore ha posto delle limitazioni:
a) LIBERTA’ DI CONCLUDERE O MENO IL CONTRATTO: talvolta il soggetto è
OBBLIGATO A CONTRARRE o per legge o per stessa volontà privata.
In caso di inadempimento all’obbligo di contrarre per volontà privata (es. contratto
preliminare) consegue non il mero obbligo di risarcire il danno, ma la possibilità per la parte
adempiente di ottenere una sentenza costitutiva che sostituisca il contratto non concluso.

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Mentre in caso di inadempimento dell’obbligo di contrarre per legge, la questione è più


complicata:
1) ES: nell’ipotesi di obbligo posto a carico di chi esercita un’impresa in condizione di
monopolio legale, l’imprenditore è obbligato a contrarre con chiunque richieda le prestazioni
tipiche della sua impresa, esercitando la parità di trattamento. La ratio della limitazione
normativa è quella di garantire e tutelare il consumatore di fronte al monopolista.
2) ES: possono essere i pubblici servizi di linea come Alitalia.
3) ES: è l’assicurazione obbligatoria per gli autoveicoli e natanti a motore
4) ES: obbligato a contrarre è anche il proprietario di un immobile locato per uso diverso da
quello abitativo dopo che è scaduto il primo periodo di 6 anni di locazione. Qui il diniego di
rinnovo è consentito solo nei casi stabiliti dalla legge.
5) ES: quando per legge il proprietario di un fondo ha diritto di ottenere da parte del
proprietario di un altro fondo la costituzione di una servitù (ES.passaggio), questa servitù in
mancanza di contratto è costituita con sentenza. Qui forse non sussiste obbligo ma quanto
meno un onere, inadempiuto il quale c’è la sentenza costitutiva.
b) LIBERTA’ DEL CONTENUTO: L’ART.1322C.C stabilisce che le parti possono liberamente
determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge. I contraenti possono
utilizzare uno schema tipico, recependo i contenuti normativi, ma nel contempo,
ampliandone la portata, ovvero, se la disciplina è derogabile, stringendone la portata. Così in
caso di fideiussione i contraenti possono fissare condizioni o termini o clausole sulle modalità
con cui il pagamento deve essere richiesto ed effettuato o altre pattuizioni che non fanno
parte della disciplina tipica del contratto detta dall’ART.1936SSC.C..
La libertà di determinare il contenuto è tutelata a tal punto che la legge permette anche di
attribuire a terzi il potere di determinare la prestazione prevista nel contratto.
La libertà di modellare il contenuto da parte dei privati si rileva particolarmente nei c.d.
contratti misti, atipici ed anche collegati.
CONTRATTI MISTI: Il contratto misto si caratterizza per la presenza di clausole riferibili
ad un determinato tipo contrattuale e di clausole riferibili ad un altro e si distingue dalla
diversa fattispecie del collegamento negoziale che si caratterizza, invece, per la
combinazione di più contratti dotati di autonoma causa funzionalizzati al perseguimento di un
interesse unitario .La differenza tra contratto misto e collegamento negoziale risiede,
dunque, nella sussistenza di un'unica causa complessa nel contratto misto e di una
pluralità di autonome cause nel collegamento negoziale.
CONTRATTI ATIPICI: libertà massima di contenuto. Infatti per contratti atipici (detti
anche contratti innominati) si intendono quei contratti non espressamente disciplinati dal
codice civile ma creati ad hoc dalle parti, in base alle loro specifiche esigenze di negoiazione.
LIMITAZIONI: GIUDIZIO DI LICEITA’: L’autonomia contrattuale può anche scontrarsi
con l’ordinamento giuridico, quando i privati travalichino i limiti di confine posti a tutela degli
interessi collettivi, limiti costituiti dalla contrarietà a norme imperative, ordine pubblico e
buon costume. In tal caso non c’è garanzia giurisdizionale in caso di inadempimento cioè c’è
la nullità. Nei casi previsti dall’ART.1339C.C. a favore dei privati è prevista la sostituzione di
clausole difformi inserite dalle parti, con quelle previste dalla legge. Ciò consente di
mantenere in vita il contratto evitando la sua nullità.
Ulteriori ipotesi di ampliamento del contenuto del contratto a prescindere dall’accordo sono
le CLAUSOLE D’USO le quali, ex ART.1340C.C. si intendono inserite nel contratto se non
risulta che sono state non volute dalle parti.

CONDIZIONI GENERALI DI CONTRATTO E MODULI E FORMULARI:


Le condizioni generali di contratto sono clausole previste unilateralmente da una parte
contrattuale e generalmente dirette a regolare uniformemente i suoi rapporti contrattuali.

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Trovano disciplina nell'ART.1341C.C., il quale dispone che esse hanno efficacia nei confronti
dell'altra parte contrattuale se questi, nel momento della conclusione del contratto, le
conosceva o avrebbe dovuto conoscerle usando la normale diligenza.
L’ART.1342C.C. prevede i contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o
formulari, predisposti per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali.
In tal caso dunque viene meno la fase delle trattative che è garanzia di autodeterminazione.
Ciò fa comprendere perché a tutela del consumatore sia prevista una particolare disciplina,
qualora le condizioni generali o i moduli e formulari predisposti dall’imprenditore contengano
clausole vessatorie.
c) LIBERTA’ DI SCELTA DEL CONTRAENTE:
La legge, talvolta, interviene, non già obbligando il soggetto a contrarre, ma obbligandolo
qualora intenda addivenire al contratto, a stipulare con una data persona.
 ES: prelazione legale: il coerede che vuole alienare la sua quota di eredità è tenuto
prima a notificare la proposta nei confronti degl’altri coeredi e poi eventualmente può
alienare a terzi.
 ES: assicurazione obbligatoria: la legge indica una serie di soggetti con cui il
proprietario del veicolo può contrarre, ma questi dovrà scegliere una sola delle compagnie
con cui concludere il contratto.
d) LIBERTA’ DI CONTRARRE PER SCHEMI ATIPICI:
Le limitazioni a tale libertà non derivano da norme puntuali, ma da ricostruzioni dell’intero
sistema ad opera della giurisprudenza e dottrina.
4. COSTITUZIONE ED AUTONOMIA CONTRATTUALE
L’autonomia contrattuale è tutelata, rispetto ai limiti posti dalla legge, dalla Costituzione. In
tale ottica consideriamo gli ART.41-42COST., infatti l’autonomia privata è uno strumento
dell’iniziativa economica e da ciò consegue che ogni limite imposto dal legislatore
all’autonomia contrattuale determina anche un limite alla iniziativa economica e quest’ultimo
limite è legittimo solo se in armonia con quanto previsto dall’ART.41CO.2-3COST.. I limiti
imposti dalla legge devono rispondere a ben precise esigenze di carattere contingente e non
arbitrario e devono essere finalizzati al raggiungimento degli scopi costituzionali in
particolare l’utilità sociale. L’interesse individuale (autonomia contrattuale) dunque può
essere limitata per tutelare e garantire interessi più vasti e rendere possibile l’adempimento
di quella funzione sociale da cui non ci si può discostare nell’esercizio di ogni attività
produttiva, sempre che la limitazione risponda al principio di ragionevolezza cioè sia congrua
e proporzionata allo scopo e sia posta con legge (principio riserva di legge).
La lettura dell’ART.41COST., nel punto in cui prevede tale riserva di legge per perseguire i
fini sociali, si è modificata con il passaggio da uno Stato imprenditore interventista ad uno
Stato regolatore del mercato più liberale. Questa riserva di legge resta però attuale in
materia contrattuale, anche se spetta al giudice stabilire quando l’autonomia contrattuale sia
in contrasto con l’utilità sociale. La riserva di legge si impone nel caso di obbligo a
concludere il contratto o se ne modifica il contenuto o la causa. Come è stato osservato in
dottrina non coincidendo l’iniziativa privata con l’autonomia contrattuale, ci sono numerose
limitazioni poste dal codice o da leggi speciali che non sono suscettibili di controllo
costituzionale. Infatti anche se sono elastiche le disposizioni degli ART.41-42COST.,
l’autonomia contrattuale può esprimersi anche in via non strumentale rispetto alla iniziativa
economica privata.
Es: sarebbe costituzionale ex ART.41COST. una legge che abolisse la libertà di stipulare
contratti atipici, non incidendo tale divieto in modo irreversibile sulla iniziativa economica,
ma sarebbe incostituzionale per violazione dell’ART.42COST.
5. USI NORMATIVI ED USI NEGOZIALI:

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ART.1374C.C.: INTEGRAZIONE DEL CONTRATTO: “il contratto obbliga le parti non solo a
quanto e nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo
la legge o in mancanza, secondo gli usi e l'equità.”
L’ART.1374C.C. espressamente richiama gli USI e potrebbe apparire come una inutile
ripetizione dell’ART.8DISP.PREL.C.C. il quale afferma che gli usi hanno efficacia nelle materie
regolate da leggi e regolamenti solo in quanto da essi richiamati.
Scindiamo due aspetti del problema:
1. EFFICACIA DELL’USO NORMATIVO: non è l’ART.1374C.C. che attribuisce agli usi un
valore vincolante, che gli deriva dall’essere previsti tra le fonti del diritto (ex
ART.1DISP.PREL.C.C.).
2. AMBITO DI TALE EFFICACIA: se si prescindesse dall’ART.1374C.C, si dovrebbe
affermare che l’efficacia degli usi in materia contrattuale sarebbe limitata ai singoli richiami
agli usi operati da singole clausole. La parola in “mancanza” dimostra invece che il
legislatore ha voluto attribuire all’uso un ruolo di fonte generale di regolamentazione del
contratto ma conforme all’ART.8DISP.PREL.C.C., il quale subordina l’efficacia dell’uso ad un
espresso richiamo della legge. Un richiamo è proprio l’ART.1374C.C., pertanto se
l’ART.1374C.C. non avesse richiamato gli usi, l’integrazione del contratto sarebbe potuta
avvenire solo:
- secondo legge o equità, in presenza del richiamo è invece possibile anche una integrazione
-secondo gli usi pur in difetto di una legge puntuale che ad essi rinvii.
L’ART.1374C.C assolve anche ad un'altra funzione, quella di affiancare all’uso negoziale
(ART.1340C.C.) e a quello interpretativo (ART.1368C.C.), l’uso normativo
(ART.1374C.C.)
USI NEGOZIALI: ART.1340C.C: si intendono inseriti in modo automatico nel contratto “se
non risulta che non sono stati voluti dalle parti”. L’uso negoziale ha una funzione integrativa
dell’accordo e dovrebbe prevalere sulle disposizioni legali suppletive e derogare alle norme di
legge dispositive, nonostante la giurisprudenza sia contraria. La differenza rispetto agli usi
normativi è che essi non hanno carattere generale ed obbligatorio, di conseguenza integrano
il contenuto del contratto solo quando siano esplicitamente o implicitamente richiamati dalle
parti.
È possibile dunque l’applicazione di usi normativi anche là dove la legge non dispone il rinvio,
purché non siano contra legem. I singoli usi possono non essere applicati dalla volontà dei
privati in concreto perché gli usi sono regole sociali di comportamento non scritte, anche se
in astratto l’ART.1374C.C., che è una norma imperativa inderogabile, prevede tra le fonti di
integrazione del contratto anche gli usi normativi.
Nel contratto concluso tra professionisti e consumatori la clausola che recepisce usi vessatori
è inefficacie salvo trattativa individuale.
6.L’EQUITA’
Il richiamo all’equità, secondo alcuni sarebbe possibile solo in funzione suppletiva, cioè come
ausilio dell’autonomia privata allo scopo di ricercare la volontà dei contraenti. Per questo
motivo l’intervento del giudice sembra avere una funzione del tutto marginale ed eventuale.
Quindi il problema è comprendere se e come può intervenire il giudice. Ci sono casi in cui il
giudice è autorizzato espressamente dalla legge pensiamo, ad esempio, all’ART.1384C.C. che
impone al giudice di ridurre ad equità la clausola penale manifestamente eccessiva.
Altre volte, invece, non è previsto dalla legge, indi per cui bisogna procedere con cautela
visto che si tratta di ampliare il potere giudiziale al di là del mero intervento di tipo residuale
o suppletivo. È possibile tale apertura, ad esempio, nel caso in cui il giudice debba
intervenire al fine di determinare l’oggetto della prestazione, sempre che le parti abbiano
indicato i criteri per la determinazione o sussistano dei criteri obiettivi di mercato.

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La definizione dei criteri è necessaria perché non può esserci un intervento del giudice
autonomo così come il giudice non potrà prevedere un assetto regolamentare diverso da
quello delle parti, sostituendo clausole che appaiono inique con clausole eque allo scopo di
garantire la parità nello scambio, in quanto il contratto giusto è quello frutto della libertà
delle parti. In realtà, l’intervento del giudice di questo tipo è ammesso in alcuni casi dalla
legge solo quando si tratta di eliminare le condizioni più svantaggiose per una parte, dovute
a discriminazioni razziali, religiose, etniche.
Gazzoni, esponente di una dottrina isolata, ha da tempo posto il problema del se il giudice
possa comminare la nullità ex ART.1374C.C. di una singola clausola o dell’interno contratto
quando una singola operazione economica appaia contraria al principio d’equità. Qui è
evidente la differenza con la precedente ipotesi, infatti in caso di nullità i privati, invece di
dover adempiere un regolamento contrattuale frutto anche della volontà del giudice (ipotesi
da escludere), non devono adempiere il contratto iniquo.
Se così fosse, l’equità si porrebbe al pari del buon costume e dell’ordine pubblico e delle
norme imperative a presidio di principi superindividuali anche se, non opererebbe a priori,
cioè in ogni caso ma, a posteriori solo quando il giudice, anche d’ufficio, ritenga esserci in
concreto un grave squilibrio regolamentare a danno di una parte.
Quindi mentre l’illiceità consegue a violazioni di regole predeterminate ed opera in astratto,
l’iniquità dipenderebbe dal regolamento contrattuale e da come questo regolamento, seppure
di per sé lecito, è costruito ed opera in concreto. Di conseguenza, l’iniquità non può
considerarsi come clausola generale.
Quindi, sia l’illiceità che l’iniquità comportano la caducazione dell’elemento illecito o iniquo
ma, la differenza è proprio nella concretezza della iniquità e astrattezza dell’illiceità. Questa
tecnica cioè la nullità come conseguenza della iniquità è prevista nel caso di clausole abusive
che determinano uno squilibrio significativo a danno del consumatore, il cd. contraente
debole. Anche in questo caso, però, la loro nullità non è comminata in astratto cioè con
riguardo a qualsiasi contratto ma, in concreto dipendendo dalle condizioni esistenti al
momento della conclusione del contratto o delle altre clausole del contratto.
In realtà secondo la giurisprudenza e dottrina maggioritaria la violazione della equità ex
ART.1375C.C. comporta la risoluzione del contratto o il risarcimento del danno e non
l’invalidità (nullità).
L’equità ex ART.1374C.C. deve essere intesa comunque non come richiamo a norme
extragiuridiche su cui basare un giudizio libero ed alternativo al giudizio di stretto diritti
(stricti iuris), ma come criterio da applicare in un giudizio di diritto. La decisione va dunque
motivata nel rispetto dei principi costituzionali e comunitari in special modo.
7. LA BUONA FEDE ESECUTIVA:
Secondo la dottrina tedesca, la buona fede esecutiva sarebbe un’ulteriore fonte di
integrazione del contratto occupando il posto dell’equità. Invece, secondo il diritto romano,
che la distacca dall’equità, la buona fede esecutiva è un criterio di valutazione del
comportamento tenuto dalle parti al momento dell’adempimento.
La differenza tra equità e buona fede esiste ed è anche netta:
- EQUITA’: attiene al profilo regolamentare e obbiettivo e si rivolge alla regola come tale;
- BUONA FEDE: attiene al profilo attuativo e comportamentale, e si rivolge ai soggetti che
hanno concorso a porre in essere tale regola, in modo esclusivo o determinato.
Di sicuro però è necessario un nesso tra attuazione del rapporto obbligatorio e principio di
buona fede dal momento che nel dare attuazione al rapporto obbligatorio bisogna rispettare
il principio di buona fede, il quale è essenziale per adeguare, in sede esecutiva, il rapporto
obbligatorio alle circostanze mutevoli dell’attuazione, nel rispetto di ciò che è stato pattuito.
ES: l’abuso del diritto è collegato alla buona fede dal momento che è sanzionata con
l’inammissibilità la domanda del creditore di una somma di denaro da parte del debitore, nel

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caso in cui sia stato egli stesso con il proprio comportamento a determinare indirettamente
l’insolvenza del debitore.
Non è però, contrario a buona fede l’ipotesi in cui il soggetto decida di stipulare rapporti di
lavoro con trattamento retributivo migliore rispetto ad altri all’interno di un’impresa perché
l’ART.1375C.C. opera nell’ambito dei rapporto singoli e non in relazione a comportamenti
esterni.
In base all’ART.1375C.C. si teorizza l’exceptio doli generalis che, oggi si ritiene essere
consistente in un comportamento malizioso e scorretto. Tale exceptio paralizza l’efficacia
dell’atto o giustifica il rigetto della domanda di escussione.
Si ricollega alla buona fede anche il principio secondo cui non si può esercitare il diritto in
contrasto con un precedente comportamento affidante.
La buona fede è dunque un criterio di controllo dell’attività dei contraenti e quindi anche del
creditore, distinguendosi così dalla diligenza che è il criterio per valutare il comportamento
del solo debitore in sede di adempimento.
Dalla buona fede esecutiva nascono doveri ed obblighi di protezione, i quali non sono
integrativi della regola contrattuale perché non la arrochiscono ma, servono solo ad attuarla
correttamente e a preservare la sfera giuridica dei contraenti da fatti lesivi. Spesso, tali
doveri sono previsti dalla legge ma, possono anche considerarsi inseriti di volta in volta a
seconda delle circostanze nei singoli contratti tipici. (ES: obblighi di informazione e di avviso
etc…)
8. ILLICEITA’: ORDINE PUBBLICO E BUON COSTUME:
Secondo quanto disposto dall’ART.1343C.C. la regola contrattuale è illecita se contraria a
norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. L’ordine pubblico ed il buon
costume sono contenuti oggettivamente desumibili, a differenza di quanto accade con
riguardo ad equità e buona fede, dove, invece il margine discrezionale del giudice è piuttosto
ampio. Nel caso in cui il giudice ritenga che una determinata norma sia contraria all’ordine
pubblico ed al buon costume, il giudice seppure sempre obbligato a motivare, non dovrà
esprimere opinioni ma dovrà limitarsi semplicemente ad applicare i principi e le clausole al
riguardo.
Un’altra differenza che esiste tra ordine pubblico, buon costume ed equità è che l’ordine
pubblico e buon costume prescindono dal giudizio concreto, invece l’equità lo presuppone.
- ORDINE PUBBLICO:
La nozione di ordine pubblico compare la prima volta, nel codice Napoleonico. Inizialmente,
esso si configurava come manifestazione della volontà della classe dirigente di assicurare la
stabilità del regime contro ogni attività condotta sul piano giuridico e diretta a porre in
discussione le fondamenta su cui la società si basa. L’ordine pubblico opera come ultima
ratio quando una determinata operazione non è vietata di per sé da specifiche norme
imperativa, ma si presenta in opposizione o è reputata eversiva rispetto alle strutture sociali.
Il pericolo, però, insito in questa definizione tendente a legittimare ogni soluzione politica, ha
condotto la dottrina a ridimensionare l’ampiezza di tale nozione fino ad identificarla
direttamente con le norme imperative o con i principi da essa deducibili. Ma questa soluzione
non è apparsa convincente ed è per questo che si è optato per una soluzione del problema
alla luce dell’ingresso nel nostro ordinamento di una costituzione che indicasse in modo
chiaro le direttive, i principi, i valori da seguire e da difendere. Infatti, la funzione attuale
dell’ordine pubblico non è più politica ma è quella di impedire che i privati possano darsi un
assetto di interessi non conforme a quelle direttive e a veri principi costituzionali.
ES: patto di buona entrata, al pagamento cioè di una somma di denaro, al fine di poter
concludere un contratto di locazione o di lavoro dipendente, patti questi in contrasto con il
diritto all’abitazione costituzionalmente tutelato e con il diritto al lavoro tutelato ex ART.3-
4COST.. Ovviamente è necessario che il contratto non risulti già nullo per violazione di

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norme imperative. Infatti anche se l’ART.1343C.C. nell’ enunciare la triade (norma


imperative, ordine pubblico e buon costume) non detta una gerarchia, è ovvio che laddove
intervenga la legge in modo espresso è escluso un intervento del giudice diverso dalla
applicazione della singola regola.
Il campo di applicazione dell’ordine pubblico riguarda le libertà personali e collettive, ma
anche il settore economico.
Si può anche utilizzare lo strumento dell’ordine pubblico per sancire la nullità di quelle
pattuizioni che mirano a discriminare alcuni soggetti rispetto ad altri nel campo dell’iniziativa
economica o anche al di fuori dell’attività di impresa.
- BUON COSTUME:
La nozione di buon costume appare per la prima volta nel diritto romano come boni
mores.
Il buon costume, a differenza dell’ordine pubblico è un criterio di giudizio che si pone dalla
parte della realtà sociale e non dell’ordinamento giuridico. Quindi, la sua nozione non può
essere desunta da una analisi della legislazione positiva seppure solo lo Stato, tramite le
norme giuridiche, potrebbe dettare regole di buon costume valide per tutti.
Infatti, se da una parte è impossibile prescindere dalla natura sociale del criterio, per
identificare le pratiche immorali, al tempo stesso, non può negarsi un ruolo negativo
dell’ordinamento, nel senso che non potrà essere accolta quella nozione che risultasse essere
contraria a precise statuizioni normative. Quindi, il giudice è legittimato ad applicare il
criterio del buon costume solo in assenza di una contraria disposizione di legge. E sempre più
spesso l’immoralità ha ceduto il passo all’illegalità, nel senso che quelli che prima erano dei
precetti di ordine morale sono poi stati positivizzati ed entrati a far parte dell’ordine pubblico.
Si pensi ai contratti di maternità e a quelli per il commercio di organi e sangue ora vietati
dalla legge. Ciò vuol dire che più si amplia l’interesse dello stato più si restringe quello dei
boni mores che, ad oggi ricomprendono quasi esclusivamente le prestazioni sessuali dove c’è
corrispettività ed il gioco. Proprio a causa di questa tendenziale osmosi tra ordine pubblico e
buon costume, ci si è chiesti in alcuni casi se alcune pratiche debbano configurarsi come
immorali o come illegali per violazione dell’ordine pubblico. Pensiamo, ad esempio, alle
convenzioni elettorali, con cui alcuni candidati alle elezioni politiche si impegnano a far
convergere i voti dea lori espressi, su un altro candidato della stessa lista in cambio di
denaro. Risulta immorale il contratto di claque se, ha ad soggetto la programmata
denigrazione di un artista (es. fischi su commissione organizzati da un artista nei confronti di
un concorrente).
La differente configurazione di una pratica come illegale o immorale è però importantissima
perché comporta una diversa disciplina da applicare.
Infatti secondo l’ART.2035C.C. chi ha eseguito una prestazione per uno scopo che costituisce
una offesa al buon costume non può ripetere quanto ha pagato.
ES.: se A paga B, C, D per fischiare E alla fine del suo spettacolo se questi non fischiano, A
non potrà pretendere la restituzione del denaro.
Tale norma, che sancisce il principio che in “PARI CAUSA TURPITUDINIS MELIOR EST
CONDICIO POSSIDENTIS”, è dunque un’eccezione all’ART.2033C.C. cioè alla regola generale
della ripetibilità dell’indebito oggettivo, costituisce dunque un invito specialmente per la
giurisprudenza ad inquadrare una fattispecie nell’illegalità o nell’immoralità a seconda che si
voglia tutelare il solvens o l’accipiens .

LA CAUSA DEL CONTRATTO


1. EVOLUZIONE CONCETTUALE:

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ART.1325C.C.: i requisiti del contratto (elementi essenziali del contratto) sono l’accordo
delle parti, la causa, l’oggetto, la forma (quando risulta che è prescritta dalla legge sotto
pena di nullità).
Storicamente, la CAUSA fu inizialmente riferita all’obbligazione, secondo quanto era stabilito
dal Codice Napoleone nel quale il contratto era concepito esclusivamente come fonte
dell’obbligazione: secondo questa concezione era inammissibile concepire una causa del
contratto che non fosse causa dell’obbligazione. La possibilità di stipulare contratti che
avessero come effetto esclusivo l’immediato trasferimento del diritto, senza la nascita di una
obbligazione, era in tal prospettiva (ed è ancora oggi) inconcepibile così, la causa del
contratto finiva sempre per identificarsi solo con lo scopo perseguito dal contraente nel
momento in cui assumeva un certo obbligo: per cui la causa si riferiva non al contratto ma
alla volontà del contraente, assumendo una connotazione soggettiva data dall’utilità
perseguita dal singolo individuo.
Gradualmente si iniziò a superare la concezione soggettiva della causa a favore del dato
oggettivo: si cominciò a sostituire all’obbligazione, la PRESTAZIONE (di derivazione
tedesca), che si prestava maggiormente ad indicare e ricomprendere vicende non
necessariamente obbligatorie, ma immediatamente traslative. L’abbandono del riferimento
all’obbligazione favorì l’abbandono dell’idea soggettivistica della causa a vantaggio della
prospettiva oggettiva della causa incentrata sull’unità del contratto: la causa si
identificava quindi con la funzione stessa cui assolve il contratto dal punto di vista
economico–sociale ed era legata anche ad un’analisi della socialità e del ruolo svolto
dall’autonomia contrattuale. Secondo questa impostazione, la causa sarebbe l’astratta
tipica ragione economico-giuridica del contratto, intesa come strumento di controllo
dell’operare dei singoli soggetti all’interno dell’ordinamento giuridico. Secondo un’altra
prospettiva oggettiva, invece, la causa sarebbe la sintesi degli effetti giuridici essenziali del
contratto.
Il Codice del 1942 ha utilizzato il termine causa come sinonimo di tipo contrattuale, ma
ciò ha determinato notevoli equivoci, al punto che la dottrina del dopoguerra è giunta a
negare la rilevanza della causa come elemento autonomo, sostenendo alcuni autori che
questa finirebbe per confondersi con lo stesso atto di autonomia.
Più fondato è invece il tentativo di recuperare l’impostazione soggettivistica della causa, non
più identificando la causa con lo scopo soggettivo perseguito dai singoli contraenti, bensì
evidenziando la funzione economico–individuale, e quindi l’identificazione tra causa e
tipo. Questa impostazione, pertanto, è l’unica che consente di intendere la causa come
ragione dell’affare(Bianca), ossia come giustificazione dei movimenti dei beni da un
soggetto ad un altro.
2. CAUSA E TIPO:
Il legislatore si è preoccupato di predisporre una regolamentazione uniforme dei contratti,
che nel suo contenuto disciplinare può essere derogabile o inderogabile, a seconda che
l’ordinamento ritenga necessario tutelare taluni aspetti anche contro la volontà dei privati, o
in caso contrario ammetta la possibilità che i contraenti dettino una regola difforme.
I tipi contrattuali sono la continuazione dei tipi di diritto romano, cui si sono aggiunti nuovi
tipi nati dalla pratica commerciale. Il tipo legale, quindi, corrisponde all’id quod plerumque
accidit, ossia ciò che di regola accade. Alla tipicità legale si giunge attraverso la tipicità
sociale, rappresentata dalla tipicità giurisprudenziale, perché è a livello giudiziario che si
manifestano le reali esigenze dei traffici e i reali problemi che il legislatore è tenuto a
risolvere con una disciplina uniforma. Il tipo giurisprudenziale per diventare tipo legale è
necessario che sia reiterato.
Il tipo legale è uno schema regolamentare astratto che rappresenta una operazione
economica ricorrente nella pratica commerciale. Tale norma delinea dunque la nozione

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di contratto, ossia descrive il tipo contrattuale: ciò al fine di verificare se l’operazione privata
rientra o meno in quel tipo contrattuale, o se debba essere ricompresa nell’ambito
dell’atipicità.
Questa attività di confronto tra l’operazione concreta dei contraenti ed il tipo astratto
elaborato dal legislatore, è detta qualificazione, e va condotta oggettivamente e a
prescindere dalla volontà privata: ad esempio, i contraenti non possono pretendere di dar
vita ad una compravendita che non corrisponda allo schema definito dal legislatore.
Definito l’ambito di rilevanza del tipo legale, può dirsi che la causa va identificata con la
funzione economico–sociale del contratto e quindi con il tipo?
Il legislatore sembra aver confuso causa con tipo nel momento in cui, ad esempio, stabilisce
la nullità del contratto per assenza di causa (attraverso il rinvio da parte dell’ART.1418C.C. e
all’ART.1325C.C.): in realtà, in tal caso si tratterebbe non di assenza di causa, quanto
piuttosto di assenza di tipo. Infatti, gli esempi che comunemente vengono fatti per l’assenza
di causa, costituiscono ipotesi di inconfigurabilità del tipo e quindi di impossibilità di
qualificare l’operazione dei contraenti: ES. consenso a titolo oneroso alla cancellazione
dell’ipoteca dopo l’integrale pagamento, qui non si configura il tipo del contratto a prestazioni
corrispettive perchè una parte riceve nulla in più di quanto le spetterebbe per legge, non è
ipotizzabile dunque lo scambio.
I problemi posti dal tipo legale:
- bisogna verificare se la pattuizione risponde in astratto ai requisiti posti da uno degli
schemi tipici, per stabilire la normativa da applicare;
- si dovrà, quindi, verificare se quello schema tipico esiste in concreto
- infine, occorre verificare la presenza o l’assenza dell’accordo: ad esempio, nel caso del
dissenso circa il contenuto tipico del contratto (ES. proposta di acquisto di 3 maiali,
accettazione di vendita di 3 vitelli), il quale riguarda proprio l’inesistenza dello schema
vincolante, nonostante sia astrattamente chiaro quale tipo contrattuale le parti volessero
utilizzare, cioè la compravendita.
Questi problemi, nulla hanno a che vedere con la causa del contratto, che invece riguarda i
concreti interessi dei contraenti.
Quindi causa e tipo non possono identificarsi, in quanto:
- con riguardo al tipo contrattuale rileva lo schema astratto delineato dal legislatore:
l’indagine è essenzialmente astratta e statica; si pone il problema di configurabilità
dell’operazione, per cui si opera un raffronto statico tra lo schema costruito dai privati e
quello disciplinato dal legislatore;
- mentre riguardo alla causa l’indagine è concreta e sempre dinamica, e un problema di
liceità degli interessi perseguiti, quindi si opera un raffronto dinamico tra gli interessi
perseguiti dai privati e gli interessi ritenuti leciti e protetti dall’ordinamento; con la causa si
deve quindi indagare sui concreti risvolti dell’operazione economica nel suo complesso,
comprendendo sia gli aspetti soggettivi che oggettivi, che non rilevano invece ai fini
dell’indagine condotta per schemi o tipi.
3. ILLEICITA’:
Oggi, trova un seguito sempre maggiore sia in Dottrina che in Giurisprudenza la teoria della
causa in concreto, secondo la quale la causa del contratto non coincide con la funzione
economico–sociale che il contratto è astrattamente in grado di perseguire, bensì si identifica
con la funzione pratica che le parti concretamente perseguono attraverso l’accordo
contrattuale.
Coloro che invece identificano la causa con la funzione economico–sociale, cioè con il tipo,
devono negare che si possa porre un problema di liceità della causa in presenza di contratti
tipici (ponendosi riguardo al tipo contrattuale solo un problema di configurabilità) poiché non

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si più concepire un tipo legale contram legem: così si limiterebbe l’applicazione


dell’ART.1343C.C. (illiceità della causa) ai soli contratti atipici.
 ad esempio, seguendo tale impostazione, è stato dichiarato nullo ma non illecito, un
contratto di lavoro che tendeva all’assunzione di forza lavoro nonostante il divieto di nuove
assunzioni, posto da una delibera regionale: tale contratto non è illecito perché lo scopo
era quello di assicurare il corretto funzionamento sul piano amministrativo dell’ente locale,
e quindi era applicabile l’ART.2126C.C. configurandosi un contratto di lavoro nullo ma non
per illiceità della causa.
L’ART2126C.C. stabilisce che la nullità o l’annullabilità del contratto di lavoro non produce
effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi
dall’illiceità dell’oggetto o della causa. Da tale norma si può desumere che la causa non
può identificarsi con il tipo, perché altrimenti il legislatore non avrebbe potuto ipotizzare
l’illiceità della causa di un contratto tipico, come quello di lavoro.
4. IL CONTRATTO ATIPICO:
L’ART.1322C.C. prevede il potere dei privati di determinare il contenuto del contratto,
all’interno del tipo contrattuale:
- o arricchendo il regolamento rispetto a quanto già fissato dalla legge;
- o restringendone la portata attraverso l’eliminazione di statuizioni dettate da norme
derogabili.
L’assetto di interessi di un contratto tipico può quindi non essere identico allo schema
prefissato dal legislatore, ma anzi spesso i problemi di liceità si pongono proprio perché
l’interesse perseguito si articola in strutture troppo distanti dallo schema astratto.
L’ ART.1322CO.2 prevede la possibilità che tale facoltà di determinazione del contenuto
possa essere esercitata anche all’interno di schemi atipici, creati dai contraenti, che meglio
si adattano all’interesse perseguito. In tali ipotesi, il contratto atipico è soggetto alle norme
generali sul contratto, a condizione che l’interesse perseguito sia meritevole di tutela.
Secondo alcuni autori, tra cui Sacco, tale disposizione avrebbe la funzione di permettere ai
privati di costruire contratti atipici: si tratterebbe di una norma meramente
autorizzatoria e sostanzialmente garantista. Tuttavia, una norma di tal genere non
avrebbe senso nel nostro ordinamento: solo una norma con previsione opposta, che vietasse
esplicitamente i privati di regolare i propri rapporti attraverso contratti atipici, sarebbe in
grado di limitare i poteri dei contraenti in tal senso.
 È il caso dell’ART.1173C.C., il quale ha posto fine alla rigidità del sistema delle fonti
delle obbligazioni, riconoscendo tra le fonti anche il contratto atipico ad effetti
obbligatori.
In realtà poi la atipicità assoluta in materia contrattuale non esiste, in quanto gli assetti
privati richiamano sempre i tipi legali, anche per necessità di mercato; è il caso dei contratti
socialmente tipici, come:
- contratto di portierato: presenta i caratteri del lavoro subordinato e della locazione.
- contratto di convenzionamento: per cui la banca eroga finanziamenti per l’acquisto di beni
ai clienti di un imprenditore, il quale istruisce la pratica ricevendone un compenso: è un
contratto analogo alla mediazione.
- il contratto di ormeggio assimilato alla locazione.
- il contratto di autolavaggio che è l’insieme tra prestazione d’opera e obbligo di custodia.
Secondo la Dottrina che individua nella causa la funzione economico–sociale del contratto,
l’ART.1322CO.2C.C. va interpretato nel senso che l’interesse perseguito dai contraenti
è meritevole di tutela se socialmente utile. In questo modo, però, si determina una
sorta di funzionalizzazione degli interessi privati, che verrebbero protetti solo se coincidenti
con gli interessi dell’intera collettività, ossia con gli interessi pubblici.

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Leggendo la Relazione al Re del Guardasigilli, si osserva che seguendo questa


impostazione, non potrà essere protetto l’interesse individuale sporadico, in quanto solo
le pretese sociali costanti che hanno già ricevuto una tipizzazione in chiave sociale, meritano
una tutela giuridica, essendo suscettibili di essere ordinate in modo regolare e pertanto di
evitare uno stato di insicurezza giuridica.
 La Relazione ha, dunque, introdotto il concetto di utilità sociale, individuando tra i
criteri di giudizio della meritevolezza, oltre a quelli propri della liceità, anche la coscienza
civile e politica ed i principi ispiratori dell’economia nazionale, ossia del corporativismo. In
questa visione, l’interesse privato si dissolve in interesse pubblico, ed il contraente diviene
funzionario dello Stato.
Tale impostazione, tuttavia, se dal punto di vista teorico stravolge la visione dell’autonomia
privata, dal punto di vista pratico non ha alcuna rilevanza, in quanto dimostra che il
contratto atipico in senso assoluto non esiste. È stato infatti osservato che qualsiasi interesse
economicamente rilevante non può essere sporadico o individuale, proprio perché, per il
fatto stesso che nasce e si sviluppa, esso è per forza di cose comune ad una molteplicità di
soggetti, che costituiscono la base della collettività sociale. Per questo motivo è inevitabile
che l’interesse privato finisca per raccordarsi ad uno dei tipi legali che tali generali
interessi tutelano.
Con riguardo, invece, all’utilità sociale come ulteriore strumento di controllo del contenuto
disciplinare, accanto alla liceità, è alquanto impossibile ipotizzare contratti socialmente
dannosi che non siano anche illeciti. Per quanto riguarda, poi, i contratti socialmente futili
(es. accordo sull’orario in cui suonare il violino), il problema che si pone rileva solo ai fini
della giuridicità del vincolo contrattuale, o della patrimonialità della prestazione.
La verità è che l’ART.1322C.C. non può essere uno strumento per funzionalizzare gli interessi
privati a quelli pubblici.
5. GIUDIZIO DI MERITEVOLEZZA:
L’ART.1322CO.2C.C., inoltre, stabilisce la libertà di concludere contratti atipici, purché
siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico
prevede accanto al giudizio di liceità anche un giudizio di meritevolezza circa gli interessi dei
contraenti:
- il giudizio di liceità ha la funzione di salvaguardare l’ordinamento giuridico dalla presenza
di accordi i cui contenuti contrastino con i propri canoni regolamentari;
- il giudizio di meritevolezza, invece, riguarda la valutazione dell’idoneità dello strumento
contrattuale utilizzato dai contraenti ad assurgere a modello giuridico di regolamentazione
degli interessi, vista l’assenza di un preventiva opera di tipizzazione legislativa.
La meritevolezza, quindi, opera a livello di tipo contrattuale e non di causa, perché bisogna
valutare solo se lo schema astratto è accettabile o meno sul piano giuridico: logicamente tale
indagine non va compiuta in caso di contratti tipici, essendo già inquadrati in schemi
prefissati dal legislatore.
Il giudice deve dunque osservare lo schema astratto ideato dai contraenti e verificare se esso
abbia un significato economico–sociale, in termini di scambio di utilità nel senso che sia
idoneo ad essere considerato schema normativo, adottabile dalla collettività, e quindi
socialmente utile. La meritavolezza c’è dunque in caso di tipicità sociale del contratto,
sempre che non sia una vicende di cui l’ordinamento si disinteressi. È, ad esempio,
immeritevole di tutela lo schema del contratto con un mago/cartomante, per farsi predire il
futuro, perché nonostante sia socialmente uno schema tipico, secondo il nostro ordinamento
è considerato alla pari della scommessa pura.
In presenza di uno schema individuale e non sociale, quindi atipico in senso assoluto,
acquista rilevanza l’accertamento dell’effettiva intenzione dei contraenti di dar vita al vincolo
giuridico, in termini di coercibilità. L’indagine sulla volontà di giuridicizzare l’operazione va

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compiuta in termini soggettivi ed oggettivi, considerando il concreto regolamento


contrattuale, i rapporti intercorrenti tra i soggetti sia a livello personale che patrimoniale, le
circostanze obbiettive in cui è nato l’accordo ecc.. Pertanto, uno schema contrattuale atipico,
benché socialmente inutile, può essere meritevole di tutela se sia accertata una indiscussa
volontà dei contraenti di autovincolarsi secondo le regole giuridiche, a condizione che
l’ordinamento non si disinteressi di quella materia.
 Dunque, lo schema ideato dai privati, relativamente ad una operazione atipica in senso
assoluto ed economicamente futile, sarà inidonea non perché asociale, ma perché la
futilità è di per sé sintomo dell’assenza di una reale volontà giuridica delle parti.
6. IL CONTRATTO MISTO:
Talvolta, lo schema contrattuale realizzato dai privati presenta alcuni elementi di un tipo e
altri elementi di un altro tipo contrattuale: in tal caso, dottrina e giurisprudenza non parlano
di schemi atipici, bensì di contratti misti, i quali (a differenza di quelli atipici che sono
autonomi ed hanno dunque una disciplina autonoma) non avendo una propria fisionomia non
hanno neanche una propria autonomia. Sul piano ricostruttivo, il contratto misto di configura
come la risultante di una combinazione di una pluralità di elementi di schemi tipici che si
fondono in un’unica causa e si condizionano a vicenda.
Il contratto misto non ha una disciplina tipica, cosi come il contratto atipico (di cui in
sostanza il contratto misto è una variante, o meglio è una via di mezzo tra tipicità ed
atipicità) e quindi si pone il problema di individuare i punti di riferimento normativi, accanto
alla previsione generale dell’ART.1323C.C., il quale nulla statuisce circa il contenuto, ma
regola solo la struttura. A riguardo si contrappongono due teorie:
- teoria dell’assorbimento: si applica la disciplina del tipo contrattuale prevalente
- teoria della combinazione: si applica ai vari elementi la disciplina del tipo cui
appartengono; è dunque necessario utilizzando tale sistema per evitare eventuali conflitti tra
le diverse norme, è necessario operare sempre sulla base della compatibilità e
dell’integrazione tra le varie discipline.
7. IL COLLEGAMENTO NEGOZIALE:
L’operazione economica dei privati può essere realizzata anche attraverso una pluralità di
negozi strutturalmente autonomi ma collegati tra loro, nel senso che le sorti dell’uno
influenzano le sorti dell’altro in ordine alla validità ed efficacia: essendo l’interesse
perseguito unico, perché pur avendo la pluralità dei contratti cause diverse, sono
comunque preordinati ad uno scopo pratico unitario. Il collegamento negoziale rileva a livello
funzionale, in quanto pone in relazione e influenza i rapporti giuridici che nascono dai singoli
contratti, i quali sono e restano tipologicamente e causalmente autonomi e diversi. Mentre il
contratto misto rileva nell’individuazione del tipo. Il collegamento si distingue anche dal
contratto complesso, in cui vi è una pluralità di elementi ma la causa è unica (es. promessa
di vendita con immediata locazione).
Oltre alla pluralità il collegamento presuppone anche un legame tra i negozi, che sia
giuridicamente rilevante e non occasionale né puramente formale. Il collegamento può
essere unilaterale o bilaterale, a seconda che la dipendenza sia o meno reciproca.
La Dottrina distingue tra:
- collegamento necessario: se è insito nella stessa funzione assolta dal contratto; è il caso
dei negozi preparatori. Il negozio di procura è presupposto per la conclusione del contratto
tramite rappresentante (oppure dei negozi modificativi o revocatori se il collegamento opera
sul piano del contenuto, o dei negozi accessori, es. conferma del testamento, il cui
collegamento è tipicamente funzionale).
- collegamento volontario: se è instaurato dai contraenti tra negozi di per sé
perfettamente autonomi. In queste ipotesi l’indagine sull’esistenza e sulla portata del
collegamento va condotta caso per caso, considerando la volontà di tutti i contraenti. Una

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volta accertato il collegamento, va valutato l’interesse sotteso all’operazione nel suo


complesso, e non ai singoli negozi.
Il collegamento negoziale è frequente soprattutto nella pratica commerciale, come nel caso
di alienazione dell’immobile e cessione dell’azienda in esso gestita, o di leasing con patto di
riscatto, o in caso di contratti reciproci (quando gli stessi soggetti sono parti di due contratti
con posizioni contrattuali invertite: es. due compravendite in cui i soggetti sono in una
venditore e nell’altra acquirente).
8. IL NEGOZIO INDIRETTO:
I contraenti possono adoperare un tipo negoziale anche per raggiungere uno scopo
ulteriore o diverso da quello proprio del tipo in questione, come nel caso del mandato
irrevocabile e senza rendiconto ad alienare un bene: in tal caso, infatti il contratto non
produce effetti reali ma consegue lo stesso risultato economico della compravendita. Si può
dire, quindi, che le conseguenze giuridiche del negozio indiretto sono di per sé quelle
proprie dei negozi posti in essere, ma il raggiungimento dello scopo ulteriore si attua sul
piano del motivo individuale che rimane estraneo al profilo causale del negozio stesso.
Pertanto, il negozio indiretto non viene considerato come una categoria giuridica autonoma,
e viene in rilievo per l’ordinamento solo nel caso in cui lo scopo ulteriore sia illecito, per cui è
prevista la nullità.
Il negozio indiretto si distingue dalla simulazione, in quanto è effettivamente voluto dalle
parti, e dal negozio fiduciario, perché non si ravvisa una riduzione o limitazione dell’effetto
tipico del negozio.
9. IL CONTRATTO IN FRODE ALLA LEGGE:
ART.1344C.C: “si reputa illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere
l’applicazione di una norma imperativa.”
Il contratto in frode alla legge è un negozio in cui i contraenti utilizzano un dato schema
contrattuale per raggiungere un risultato economico vietato dalle legge e difforme da quello
tipico del contratto concluso. Tale operazione mira quindi a frodare la legge attraverso
l’elusione di una norma imperativa che vieta il conseguimento di quel risultato. È un
contratto in fraudem legis, e non contra legem, perché la legge non è violata direttamente
ma indirettamente.
ES: è il caso del debitore che alieni al creditore un bene, il cui trasferimento della proprietà
consegue all’inadempimento dell’obbligazione, aggirando in tal modo l’ART.2744C.C. che
vieta il patto commissorio: tale contratto sarà nullo.
ART.2744C.C.: Divieto dei patto commissorio: "è nullo il patto col quale si conviene che, in
mancanza dei pagamento dei credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o
data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione
dell'ipoteca e dei pegno". La ratio di tale norma è quella di tutelare l'interesse dei contraente
più debole ed in particolare di impedire che quest'ultimo, spinto dal bisogno, conferisca al
creditore la facoltà di fare propria la cosa data in pegno, anticresi o ipoteca, sperando di
riscattarla in tempo mediante estinzione del debito.
Si ritiene che ai fini della nullità del contratto, oltre all’elemento oggettivo dell’aggiramento
del divieto di legge e realizzazione dello scopo vietato, è necessario anche un intento
fraudolento, inteso come illiceità del motivo, che si presume comune alle parti.
Secondo la dottrina più moderna il discorso va impostato in chiave oggettiva e di
interpretazione dell’ART.1344C.C. al fine di stabilire l’avvenuta elusione: per l’illiceità della
causa. Il legislatore, nel dettare questa disposizione ha seguito l’impostazione della causa
come funzione economico–sociale del contratto, ossia come tipo: quindi se il tipo legale non
può mai essere contra legem, non essendo ipotizzabile l’illiceità di un contratto tipico, è
evidente però la necessità di trovare una valvola che permetta di comminare la nullità del
contratto nel caso in cui il concreto risultato perseguito e raggiunto sia vietato dalla legge ,

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nonostante la liceità astratta del mezzo prescelto. Per cui, non potendosi ammettere che la
causa è illecita, si dirà che la causa si reputa illecita.
Secondo un’altra impostazione, invece, ciò che rileva ai fini della nullità è proprio lo scopo
della complessiva operazione economica, e quindi è ammissibile che un contratto tipico sia
illecito sul piano causale. In questo modo l’ipotesi di frode alla legge rientrerebbe nell’illiceità
della causa, con la quale ha in comune la sanzione della nullità predisposta dell’ordinamento.
10. IL PRINCIPIO DELLA CAUSALITA’ NEGOZIALE. IL PAGAMENTO
TRASLATIVO:
Ai sensi dell’ART.1325C.C., la causa è uno degli elementi essenziali del contratto e come
tale non può mai mancare. Fa eccezione l’ipotesi singolare dei titoli di credito astratti,
dove l’astrattezza è legata alla circolazione del documento o della consegna: si può parlare in
tal caso non di astrazione materiale intesa come irrilevanza della giustificazione causale del
negozio, bensì di astrazione processuale, che opera nel senso di invertire l’onere della
prova in ordine all’esistenza del rapporto sottostante, che giustifica la promessa di
pagamento o la ricognizione del debito.
Il principio di causalità rileva in modo più o meno incisivo a seconda che si tratti di :
- si parla di causa dichiarata, quando le parti stipulano un contratto ad effetti reali avente
ad oggetto un bene immobile: non solo è richiesta la forma scritta, ma si ritiene che il
contratto sia nullo se dal suo contesto non sia desumibile la giustificazione causale
dell’operazione;
- in materia di obbligazioni, invece, si parla di causa presunta: ad esempio si presume la
causa solvendi negli atti esecutivi, in ordine ai quali spetta al solvens la prova contraria in
sede di ripetizione dell’indebito.
- causa simulata: il principio di causalità può facilmente essere aggirato con un accordo
simulatorio che faccia apparire esistente una causa in realtà inesistente. È il caso del
contratto di transazione con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad
una lite già iniziata o prevengono una lite che può sorgere: le reciproche concessioni
possono consistere anche nel trasferimento della proprietà, che trova la sua giustificazione
causale nella composizione della lite; se però, in realtà, la lite non esiste, il trasferimento
risulta senza causa, quindi si parla di causa simulata .Tale transazione potrebbe essere
impugnata in ogni momento da ciascuna delle parti.
La giustificazione della causa si atteggia in modo particolare quando non è desumibile dal
contesto dell’atto ma da elementi esterni: si parla in tal caso di negozio astratto, in cui
appunto la causa esiste ed è rilevante anche se esterna. In realtà piuttosto che astrattezza si
dovrebbe parlare di neutralità della causa, nel senso che l’atto di per sé potrebbe essere
giustificato da una o da altra causa, in specie solvendi o donandi. Ciò accade nell’ipotesi di
pagamento traslativo, che si configura quando il trasferimento di proprietà avviene
solvendi causa, cioè in adempimento di un obbligo preesistente. L’obbligo di dare si risolve
nell’obbligo di porre in essere un atto consensuale e non reale, idoneo a trasferire la
proprietà inter partes: ecco perché tale atto è traslativo è concluso solvendi causa del
precedente obbligo. Si utilizza l’espressione pagamento traslativo in riferimento ad un
adempimento diretto a trasferire il diritto di proprietà di un bene.
In generale, i contraenti possono scindere la fase obbligatoria da quella traslativa, derogando
all’ART.1376C.C. (contratto con effetti reali), quando il trasferimento è senza corrispettivo,
più precisamente quando è esso stesso corrispettivo di una prestazione già ricevuta: Tizio si
obbliga a trasferire gratuitamente la proprietà di un bene a Caio, il quale aveva acquistato un
bene dalla moglie di Tizio pagando un prezzo più alto del suo valore commerciale. In questi
casi vi è scissione tra fase obbligatoria e fase traslativa: dall’atto di trasferimento, infatti,
non si desume la causa in quanto non è interna bensì esterna (causa solvendi). Quindi è

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necessario che dalla dichiarazione attributiva del solvens sia desumibile lo scopo per il quale
si adempie.
Allora è importante distinguere tra negozi fondamentali e negozi di attribuzione
patrimoniale, perché a seconda che la causa sia interna o esterna, c’è un diverso modo di
reagire dei vizi e dell’assenza della causa stessa:
- nei negozi fondamentali, la conseguenza dell’assenza di causa è la nullità dell’atto
(essendo colpita la struttura stessa che è qualificata dalla causa) in quanto interna.
- nei negozi di attribuzione patrimoniale, invece, l’atto di per sé non è strutturalmente
inidoneo a produrre effetti in quanto la causa esiste, anche se esterna ad esso; la validità
dell’atto è subordinata alla presenza dello scopo, (momento soggettivo), il quale è
necessario per individuare la giustificazione causale dell’operazione. La mancata
individuazione dello scopo determina la nullità perché il negozio sarebbe astratto. L’assenza
o l’invalidità o il venir meno del rapporto esterno (c.d. fondamento) incide sul momento della
conservazione degli effetti. In altre parole l’attribuzione sarà indebita e il solvens potrà agire
con l’azione di ripetizione ma non con quella di rivendicazione. Sull’argomento ci sono
opinioni discordanti in dottrina, anche se tale conclusione sembra da accogliere in quanto,
nel caso delle prestazioni isolate, ciò che può difettare non è la causa interna del contratto,
bensì quella esterna dell’attribuzione patrimoniale, la cui mancanza costituisce il presupposto
per l’azione di ripetizione per il pagamento indebito.
La conseguenza di tale impostazione è che l’azione di ripetizione in quanto azione personale
non è esperibile nei confronti dei terzi, che comunque fanno salvo il proprio acquisto.
Nel caso invece del contratto di compravendita, l’illiceità della causa (essendo interna)
comporta invece la nullità, cosicchè il venditore una volta che la nullità viene dichiarata in
giudizio potrà agire con l’azione di ripetizione , ma anche con l’azione reale di rivendica
(esperibile erga omnes).
Talvolta, anche i negozi fondamentali (con causa interna) presentano un collegamento con
un rapporto pregresso, ad essi esterno: si tratta però di un collegamento complesso e non
semplice, nel senso che il rapporto pregresso fa parte della causa del negozio successivo,
che è quindi la risultante delle due operazioni. Ciò avviene ad esempio nelle ipotesi di negozi
estintivi, modificati e risolutivi (novazione). L’assenza del rapporto pregresso o la sua nullità
si ripercuoterà di conseguenza sulla validità del negozio successivo, e non determina la
semplice ripetibilità della prestazione. In questi casi, non si è in presenza di negozi di
attribuzione meramente esecutivi, quanto piuttosto di ipotesi di collegamento negoziale per
volontà di legge.
11. I MOTIVI:
La causa costituisce lo scopo oggettivo concreto e immediato che le parti perseguono
stipulando il contratto; mentre il motivo è l’elemento soggettivo che induce le parti a
concludere il contratto, ossia costituisce uno scopo ulteriore irrilevante.
 Es.: lo scopo immediato del mutuo concesso dal casinò al giocatore che perde, è quello
di permettere che questi continui a giocare, mentre il motivo ulteriore è quello, per il
giocatore di recuperare la perdita pregressa, e per il casinò di guadagnare ancora: in tal
caso il contratto avrà una causa illecita, per contrarietà al buon costume, ma il motivo del
gioco è di per sé lecito.
Per la Dottrina che identifica la causa con il tipo contrattuale, è facile distinguere la
causa dal motivo, in quanto tutto ciò che non rientra nella funzione economico – sociale del
contratto è causalmente irrilevante. Quindi si tratterà solo di verificare se il motivo si sia
risolto in una clausola accessoria del contratto, e come tale rilevante, o se sia rimasto del
tutto estraneo allo schema contrattuale, non rilevando ai fini della nullità del contratto, salvo
in caso di illiceità.

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Per coloro che, invece, sostengono la tesi della causa in concreto, i motivi possono
penetrare all’interno dello schema causale, proprio perché la causa va dedotta dalla concreta
operazione economica realizzata dai privati, e caratterizzata sia da circostanze oggettive che
soggettive. Così, il mutuo al giocatore sarebbe lecito se concesso, anziché dal casinò, da un
terzo non giocatore, pur conoscendo questi quale sarà il suo impiego: infatti l’immoralità
deriva dalla posizione soggettiva del mutuante, in quanto interessato alla continuazione del
gioco; quindi l’interesse del casinò, inteso come motivo, rientra nello schema contrattuale
qualificando la causa del contratto.
Diverso discorso si pone nel caso di motivo illecito, il quale rileva ai fini della nullità del
contratto, anche se non entra a far parte della struttura negoziale. È però necessario che il
motivo illecito sia esclusivo, ossia determinante ai fini della contrattazione, comune alle
parti, nel senso che lo stesso abbia spinto entrambe a contrarre, e infine sia attuale e
oggettivamente realizzabile, in quanto l’ordinamento non colpisce il mero intento, per cui
il negozio non sarà nullo in caso di motivo illecito ma non attuale e oggettivamente
irrealizzabile. Inoltre, il motivo illecito è irrilevante ai fini della nullità, quando il contratto sia
in contrasto diretto con una norma imperativa e la legge preveda una sanzione diversa.
12. TIPOLOGIA DEI CONTRATTI:
Nell’ambito del tipo contrattuale, si può fare una classificazione accanto alla distinzione
classica tra contratti tipici e atipici.
1) In relazione al modo in cui le prestazioni si intrecciano, si distingue tra:
- contratti a prestazioni corrispettive: il contratto svolge la funzione di scambio, in
quanto una prestazione è in funzione dell’altra, e il vizio o difetto che colpisce una, ricade di
conseguenza anche sull’altra; si parla in tal caso di prestazioni sinallagmatiche, per cui il
vizio del sinallagma comporta la rescissione o risoluzione del contratto.
- contratti unilaterali: in cui le prestazioni sono a carico di una sola parte, quindi non
sussistendo scambio non si parla di sinallagma; il contratto unilaterale segue una disciplina
speciale non solo riguardo alla conclusione (ART.1333C.C.: proposta irrevocabile una volta
giunta a conoscenza del destinatario; conclusione del contratto in mancanza di rifiuto della
proposta), ma anche relativamente ai vizi funzionali, in particolare per la risoluzione per
eccessiva onerosità (ART.1468C.C.).
- lo scambio non sussiste nemmeno nei contratti associativi o di collaborazione, in cui le
prestazioni non si incrociano bensì mirano a perseguire lo stesso scopo comune ai
contraenti, come nel caso del contratto con cui si costituisce una società o associazione.
Nell’ambito dei contratti a prestazioni corrispettive, si distingue tra:
- contratti commutativi: sono caratterizzati da un nesso di corrispettività non solo tra le
prestazioni, ma anche tra il loro valore economico, ed hanno la funzione di attuare uno
scambio tra prestazioni economicamente equivalenti (entrambe le parti conoscono l’entità
del vantaggio o svantaggio che riceverà dal contratto).
- contratti aleatori: in cui alla prestazione certa di una parte corrisponde la prestazione
incerta dell’altra (l’incertezza può riguardare sia la prestazione sia la parte contraente); le
parti quindi non sono in grado di prevedere il vantaggio/svantaggio che deriverà dal
contratto. L’elemento del rischio qualifica la stessa operazione economica sul piano della
giustificazione causale. I contratti possono essere aleatori per loro natura (es:
assicurazione) o per volontà delle parti, che possono rendere aleatorio un contratto che tale
non è (es. il caso dell’acquirente che paga un prezzo fisso per la vendita dell’intero futuro
raccolto, che potrà essere più o meno ricco). Qui proprio perché lo scambio non è basato su
un equilibrio predeterminato non sono rilevanti gli squilibri tra le prestazioni sono irrilevanti
pertanto non sarà applicabile la risoluzione per eccessiva onerosità.
2) Sul piano dei vantaggi che si ricavano dalla contrattazione, si distingue tra:

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- contratto a titolo oneroso: in cui i vantaggi sono reciproci al pari dei benefici; non sono
necessariamente a prestazioni corrispettive, nel senso che non sempre sussiste un
sinallagma (es. il caso del mandato in cui la prestazione del mandatario è collegata alla
fiducia, che è alla base del rapporto, e non al compenso: infatti il mandato può anche essere
gratuito).
- contratto a titolo gratuito: in cui il sacrificio è supportato da un solo contraente a
vantaggio dell’altro; in realtà, tale contratto non è privo di utilità per chi sopporta il
sacrificio, in quanto è sorretto da un interesse economico che non si esprime né consegue ad
una prestazione dell’altro contraente. Pertanto occorre distinguere tra gratuità (negozio
gratuito) e liberalità (donazione).
13. NEGOZIO GRATUITO:
Il legislatore ha tipizzato alcuni contratti ad effetti obbligatori gratuiti come il comodato, o
che si presumono gratuiti come il deposito, o contratti che le parti possono configurare
gratuiti come il mutuo, ma sono possibili anche contratti gratuiti atipici. E’ vero poi che tutti
gli atti di liberalità sono gratuiti, non è vero il contrario.
E’ pertanto necessario distinguere il contratto di donazione dal negozio gratuito, il quale è
sempre caratterizzato da un interesse patrimoniale anche mediato di chi si obbliga o
trasferisce, che sia giuridicamente rilevante (es. il caso di un giovane pianista che si
obbliga ad esibirsi gratuitamente per farsi conoscere dal pubblico, qui il ritorno pubblicitario
non costituisce certo una controprestazione idonea a qualificare il contratto come oneroso,
ma esclude certamente il carattere liberale).
Il negozio gratuito può essere, come la donazione, ad effetti reali o ad effetti
obbligatori. In quest’ultimo caso, si tratta di promessa unilaterale interessata, che si
conclude con un negozio unilaterale rifiutabile (ART.1333C.C.), qui è necessario il contratto
solo ove ,nell’esempio del pianista , quest’ultimo voglia vincolare l’impresario ad organizzare
il concerto; mentre nel caso sia ad effetti reali, è necessario il contratto ad esempio nel caso
in cui l’università conceda gratuitamente alla diocesi un diritto di superficie su un terreno,
vincolando il superficiario a costruire la cappella dell’università.
- la donazione, invece, eccetto quella obnuziale, è sempre un contratto, in cui il donatario
accettando espressamente l’attribuzione, ne condivide il carattere liberale e quindi si
sottopone alla disciplina della donazione (es. revoca per indegnità);
- il negozio gratuito si distingue anche dal rapporto di cortesia, in quanto non è ravvisabile
un interesse né patrimoniale né non patrimoniale giuridicamente rilevante di colui che opera
l’attribuzione. Il comportamento di cortesia trova la sua motivazione e giustificazione in
considerazioni di carattere sociale, di per sé irrilevanti.
Non è sempre facile distinguere la gratuità dalla liberalità o dalla cortesia, soprattutto in
presenza di un contratto gratuito tipico. Ad esempio, il comodato può essere:
- di cortesia, nel caso di prestito di un libro ad un amico;
- a titolo gratuito, quando si dà in godimento un bene per risparmiare i costi di
manutenzione, che saranno a carico del comodatario;
- può configurarsi come una donazione indiretta, se il proprietario di una villa al mare,
anziché locarla, la dà in comodato per un’estate al parente.
La qualificazione del negozio come liberalità o gratuità, e la stessa giuridicità del vincolo,
risulta da una valutazione dell’interesse sotteso all’operazione economica, così come
emerge dall’entità dell’attribuzione, dalla durata del rapporto, dalla qualità dei soggetti, dalla
prospettiva di subire un depauperamento collegato o meno ad un guadagno o risparmio di
spesa, sia pure indiretto.
Il negozio gratuito è a forma libera, salvo quando produce gli effetti previsti
all’ART.1350C.C, per i quali è prevista la forma scritta, come nel caso di costituzione di un

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diritto di superficie.
14. ATTI DI DESTINAZIONE:
Con l’atto di destinazione, un soggetto (definito “conferente”) può sottrarre uno o più beni
immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri appartenenti al suo patrimonio alla garanzia
patrimoniale di cui all’ART.2740C.C., imprimendo su di essi un vincolo di destinazione
funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela riguardanti beneficiari
determinati, a favore dei quali sia tali beni che i loro frutti devono essere impiegati. Il
vincolo non può avere durata superiore a novanta anni. Esso deve risultare da atto avente
forma pubblica e può essere trascritto ai fini dell’opponibilità nei confronti dei terzi. Per la
realizzazione dello scopo può agire, oltre al disponente, anche qualsiasi altro interessato.
La conseguenza dell’apposizione del vincolo è che i beni destinati alla finalità ed i loro frutti
possono essere oggetto di esecuzione per i soli debiti contratti per tale scopo.
- secondo un orientamento minoritario la norma introduce nel nostro ordinamento solo
un particolare tipo di effetto negoziale (quello di destinazione) e non una nuova figura
negoziale
- secondo la dottrina assolutamente prevalente (Bianca), l’ART.2645TERC.C. ha invece
sdoganato nel nostro sistema giuridico la figura generale del negozio di destinazione.
Punto centrale dell’atto di destinazione è il suo scopo, che deve essere volto alla
realizzazione di interessi meritevoli di tutela ex ART.1322C.C..
La norma evidenzia gli interessi riferibili a persone con disabilità, a Pubbliche
Amministrazioni, ed infine genericamente ad altri enti o persone fisiche.
Lo scopo deve essere indicato nell’atto, in quanto inerisce alla causa negoziale. Il
requisito della meritevolezza è richiesto come contropartita del fatto che il vincolo
imposto priva il conferente – per un periodo anche molto lungo – della pienezza delle
facoltà insite nel diritto di proprietà nonché del fatto che i beni in oggetto sono sottratti
alla garanzia generica rappresentata per i creditori del disponente dal suo intero
patrimonio. La meritevolezza degli interessi condiziona la separazione del patrimonio
destinato.
Il requisito della meritevolezza è stato valutato diversamente dalla dottrina che se ne è
occupata:
- secondo la tesi di Gazzoni, che è abbastanza restrittiva, il vincolo si giustifica solo se
viene perseguito un fine di utilità sociale, a carattere superindividuale e socialmente utile,
come per le fondazioni.
Secondo questa ricostruzione, se non viene perseguito un fine di pubblica utilità l’atto è nullo
e non può essere “salvato” dalla trascrizione, i cui effetti si producono solo se il titolo è
valido.
- secondo la tesi opposta, che vanta attualmente il maggior numero di sostenitori, il
requisito della meritevolezza è soddisfatto ogniqualvolta lo scopo perseguito sia lecito,
ovvero non contrario a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.
- secondo la tesi di De Nova, Gambaro, non è richiesto il perseguimento di fini di utilità
sociale, ma correlativamente – a fronte del sacrificio dei creditori derivante dalla
separazione patrimoniale – non è sufficiente prevedere uno scopo lecito bensì futile: nel
controllo sulla meritevolezza bisogna valutare comparativamente gli interessi che vengono
sacrificati (in primis quelli dei creditori del disponente) e la finalità perseguita.
Gli effetti sull’atto di destinazione del difetto di meritevolezza degli interessi perseguiti,
determina per dottrina dominante la nullità dello stesso per mancanza o insufficienza della
causa.
FORMA: L’ART.2645TERC.C. richiede la redazione in forma pubblica ad substantiam
dell’atto di destinazione non solo per la trascrizione poiché viene omessa la forma della
scrittura privata autenticata, che costituisce altra forma idonea alla trascrizione.
STRUTTURA: L’atto di destinazione richiede:
- un disponente;
–uno o più soggetti beneficiari determinati o determinabili;
–uno o più beni che ne costituiscono l’oggetto;
–una finalità;

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–una durata;
–eventualmente e preferibilmente un soggetto attuatore della finalità (fiduciario).
–è necessario che il beneficiario accetti.
I beni destinati sono gestiti a seconda di quel che le parti prevedano nell’atto, dal
disponente, dal beneficiario o da un terzo mandatario. Si è dunque fuori dallo schema del
trust dove al trustee è trasferita la proprietà da disponente poi da ritrasferire al beneficiario
o ad un terzo, mentre nella destinazione la proprietà resta del disponente. I beni destinati
ovviamente rispondono solo dei debiti funzionali, sorti cioè per la realizzazione della
destinazione.

LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO

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1. SOGGETTO E PARTE:
L’ART.1321C.C.: stabilisce che “il contratto è l’accordo tra due o più parti per costituire,
modificare o estinguere un rapporto giuridico”.
PARTI DEL CONTRATTO: autori del regolamento negoziale ed anche i destinatari delle
conseguenze che ne derivano, di regola in via esclusiva. Infatti il contratto, ex ART.1372C.C.
ha forza di legge tra le parti e non produce effetti rispetto ai terzi se non nei casi previsti
dalla legge. Si distingue tra:
- parte in senso formale: autore dell’atto.
- parte in senso sostanziale: destinatario degli effetti.
La parte può inoltre essere: monosoggettiva o plurisoggettiva, cioè formata da più
soggetti ciò che rileva infatti non è l’unicità del soggetto, ma l’unicità dell’interesse. Parte
plurisoggettiva è dunque un centro di interessi.
E’ possibile che la parte sostanziale non coincida con quella formale. La parte formale deve
essere determinata al momento della conclusione dell’accordo, mentre quella sostanziale può
anche essere determinata in un momento successivo alla conclusione dell’accordo.
(ES: rappresentanza in incertam personam cioè quando si compiono atti di gestione di
un patrimonio allo stato privo di titolare come in caso di eredità giacente, o conclusione di
un contratto per conto di chi spetta cioè in favore di un soggetto ancora indeterminato
come nel contratto di assicurazione).
L’identificazione della parte è sempre necessaria nei contratti intuitu personae, là dove la
persona del contraente rileva sotto il profilo delle qualità personali (es. il contratto di
mandato). L’importanza della personalità della prestazione si ravvisa soprattutto nella
intrasmissibilità del rapporto salvo diversa disposizione di legge. Altra caratteristica della
personalità della prestazione è la possibilità di agire per l’annullamento in caso di error in
persona.
Il nome falso con cui si contrae non rileva in nessun caso quindi non impedisce la
conclusione del contratto, perché le parti sono determinate nella loro identità fisica, non
essendo ravvisabile nè divergenza tra voluto e dichiarato, né error in persona che non
riguarda il nome ma le qualità o le capacità del contraente in base alla prestazione dovuta.
Se c’è autorizzazione ad usare il nome altrui, gli effetti si produrranno regolarmente, se
invece c’è l’utilizzo del nome altrui, senza autorizzazione, il contratto non produce effetti per
il soggetto il cui nome è stato usurpato, salvo sua tolleranza, mentre si discute se esso
produca effetti per l’usurpatore.
2.PROPOSTA E ACCETTAZIONE:
L’ART.1321C.C. pone in primo piano l’accordo. Per accordo si intende il c.d. consensus
idem placitum, cioè l’incontro di due atti di volontà, proposta e accettazione. All’accordo
si perviene tramite: trattativa, oppure senza nessuna discussione, perché il contenuto del
contratto è già prefissato. La formazione del consenso può inoltre essere istantanea o
progressiva, a seconda che le parti si impegnino in via preliminare, prima del raggiungimento
di un accordo.
PROPOSTA: La proposta è la predisposizione di un programma negoziale destinato ad un
altro soggetto, l’oblato, il quale può:
- accettare: conclusione del contratto.
- rifiutare: la conclusione del contratto è impedita.
- controproporre: si ha una nuova proposta, fatta pervenire dall’oblato al proponente e si
invertono le loro posizioni.
La proposta e l’accettazione sono manifestate di regola attraverso dichiarazione, scritta o
orale. Solo eccezionalmente la volontà può essere manifestata mediante comportamento
esecutivo. Proposta ed accettazione non sono negozi unilaterali con propria autonomia, ma

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atti prenegoziali, che si fondono dando vita al contratto. Essi da soli non producono effetto
alcuno.
Lo schema tipico è quello della proposta ed accettazione ed è previsto dall’ART.1326C.C.
ma ci sono anche ipotesi di conclusione del contratto ad iniziativa dei terzi.
La proposta è una dichiarazione recettizia e sul piano oggettivo deve essere completa
cioè contenere tutti gli elementi del contratto che si vuole concludere. Sul piano
soggettivo, poi, dal contesto della dichiarazione deve desumersi l’intenzione di volersi
vincolare incondizionatamente a quel dato assetto di interessi. La forma della proposta è
per relationem, ovvero quella del contratto che si andrà a concludere. La posizione del
proponente è più vantaggiosa, potendo revocare la proposta; ovvero, imporre oneri
temporali (es. puoi accettare entro 30 giorni) e formali all’oblato per l’accettazione. Non si
può imporre però all’oblato di non pronunciarsi prima di un certo termine. Un termine iniziale
può dunque essere apposto al contratto ma non alla proposta.
ACCETTAZIONE: L’accettazione è l’atto di adesione al programma e deve essere conforme
alla proposta sul piano sostanziale e non formale, un’accettazione non conforme equivale
come una nuova proposta (ART.1326C.C.). L’accetazione deve essere anche definitiva. Tale
non è ad esempio se l’oblato accetta per telegrafo con la clausola segue lettera perché la
lettera può contenere anche riserve o condizioni limitative.
Ove nella proposta sia richiesta una particolare forma dell'accettazione ad substantiam,
questa non ha effetto se è fatta in una forma diversa. Sempre sotto il profilo formale, ove il
contratto richieda una determinata forma, proposta e accettazione dovranno rivestire la
medesima forma.
La forma della accettazione può anche essere libera, esempio nella vendita mobiliare può
anche accettarsi oralmente una proposta per iscritto.
Si discute se il silenzio di una parte di fronte ad una proposta abbia valore positivo o
negativo. Generalmente il silenzio non ha nessun valore giuridico. Si ritiene, però, che il
silenzio valga come accettazione della proposta, quando sia accompagnato da particolari
circostanze, oggettive e soggettive, che portino ad escludere una volontà diversa
dall’accettazione della proposta (c.d. silenzio circostanziato). La dottrina sostiene che il
silenzio esprime una positiva volontà negoziale quando la legge, il contratto o la
consuetudine impone alla parte il dovere di parlare nel caso in cui voglia esprimere una
volontà diversa da quella dell’accettazione della proposta.
L’accettazione deve giungere al proponente, entro il termine da lui stabilito, altrimenti entro
il termine normalmente necessario in base alla natura dell’affare o secondo gli usi perché
non è lecito vincolarsi a tempo indeterminato.
L’accettazione se tempestiva cioè se giunge entro il termine determina la conclusione del
contratto.
Nel caso il proponente riceva una accettazione tardiva potrà ritenerla irrilevante, ma potrà
anche ritenerla efficace, in entrambi i casi però deve darne immediato avviso all’accettante,
anche se per motivi diversi.
Se accetta perché lo impone la legge, questo è un onere il cui mancato adempimento
impedisce la conclusione del contratto, tale onere si considera adempiuto con la semplice
spedizione dell’avviso a prescindere dalla ricezione
Se invece non accetta perché sussiste un obbligo di informazione derivante dall’obbligo di
buona fede.
La dichiarazione di rifiuto da parte dell’oblato impedisce una successiva accettazione facendo
venire meno l’efficacia della proposta pur a prescindere da una sua revoca.
Proposta e accettazione si caducano nel caso in cui il proponente o l’oblato muoiano o
diventino legalmente incapaci prima della conclusione del contratto, salvo che esse siano
state fatte dall’imprenditore nell’esercizio della sua impresa e purché non si tratti di piccoli

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imprenditori o che diversamente non risulti dalla natura dell’affare o da altre circostanze
(ART.1330C.C.).
Di regola, i contratti si perfezionano nel momento in cui si forma l’accordo tra le parti
(principio consensualistico: sono dichiarazioni recettizie proposta ed accettazione),
cioè quando chi ha fatto la proposta viene a conoscenza della accettazione dell’altra parte.
Dunque quando le parti non si trovano nello stesso luogo, l’accordo si raggiunge nel
momento in cui la parte che ha fatto la proposta viene a conoscenza dell’accettazione.
L’ART1335C.C., in considerazione della difficoltà di provare l’effettiva conoscenza, il
legislatore ha previsto una presunzione legale di conoscenza, in base alla quale,
l’accettazione si reputa conosciuta nel momento in cui perviene all’indirizzo del destinatario,
a meno che quest’ultimo non dimostri di essere stato, senza sua colpa, nell’impossibilità di
averne notizia (superamento della presunzione iuris tantum). Tale presunzione vige anche
per la proposta, per la sua revoca e per ogni altra dichiarazione recettizia.
Vige dunque il principio della cognizione. Ma la conoscenza non può essere valutata in
termini soggettivi cioè con riguardo alle condizione del destinatario altrimenti ad esempio il
fatto che sia in vacanza all’estero impedirebbe alla dichiarazione di produrre i propri effetti.
In realtà la dichiarazione è efficace quando entra in termini oggettivi nella sfera di
conoscibilità del destinatario, quando cioè egli è posto nelle condizioni di conoscerla, cosicché
la presunzione è vinta solo da un evento eccezionale ed estraneo alla sua volontà come la
dichiarazione pervenuta in modo irregolare ad esempio consegnata dal postino al figlio di 5
anni in un giorno festivo.
In realtà una attenta dottrina (Sacco) ha messo in evidenza come sia la teoria della
ricezione personale sia la teoria oggettiva non hanno molto senso quando il contratto si
conclude tra persone presenti:
- ES.1: se il destinatario della dichiarazione è sordo non sembra di certo sostenibile che tale
circostanza è irrilevante inquinato è una sua condizione soggettiva.
- ES.2: non può di certo ritenersi concluso un contratto solo perché chi intende accettare
una proposta entra nell’ufficio del proponente in sua assenza e manifesta la volontà parlando
con il muro.
In effetti la regola dell’ART.1335C.C. vale solo per le dichiarazioni incorporate in un
documento, e solo se le dichiarazioni sono scambiate tra persone lontane. Resta comunque il
dubbio di quale sia la sorte delle dichiarazioni se le parti stanno al telefono (in tal caso
l’annullamento della distanza è solo dal punto di vista temporale e non spaziale). Ma
soprattutto se non opera la presunzione ex ART.1335C.C. sarebbe inefficace la dichiarazione
fatta a chi allontana un attimo dall’orecchio il telefono o comunque è distratto.
Si è concluso dunque che la presunzione legale, secondo tale dottrina, con cui Gazzoni
concorda, opera ogni qual volta deve essere tutelata l’aspettativa del dichiarante. Tale
aspettativa non c’è e dunque non opera la presunzione quindi quando il dichiarante sia a
conoscenza del fatto che la dichiarazione sebbene pervenuta non sia stata conosciuta dal
destinatario per circostanze incolpevoli. Al contrario c’è l’aspettativa dunque opera tale
presunzione nel caso in qui il destinatario rifiuti di ricevere la dichiarazione.
Il luogo della conclusione del contratto è quello in cui si trova il proponente. Da questo
punto di vista assume importanza decisiva il c.d. indirizzo del destinatario, che è il luogo in
cui inviare la dichiarazione da parte del proponente (ART.1335C.C.). Tale luogo può essere
concordato tra le parti, fissato dallo stesso proponente, oppure in mancanza può essere
scelto dal dichiarante purchè in modo non arbitrario. Pertanto può valere come indirizzo ad
es. il domicilio o la residenza della persona fisica.
REVOCA: ART1328C.C.:

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La revoca è un atto non formale e nemmeno per relationem, cioè non deve rivestire la
forma della proposta e della accettazione. L’ART1328C.C. pone regole diverse tra proposta
ed accettazione:
- la proposta può essere revocata fino a che il contratto non sia concluso, cioè deve essere
inviata la revoca prima che l’accettazione giunga al proponente. La revoca è un atto
indirizzato ma non recettizio.
- la revoca della accettazione deve giungere al proponente prima della accettazione
stessa. La revoca parziale dell’accettazione vale come controproposta. La revocda deve
essere espressa.
È previsto in ogni caso che, sebbene la revoca della proposta avvenga prima della
conclusione del contratto, qualora l’accettante abbia intrapreso l’esecuzione del contratto
prima che la revoca gli venga trasmessa e non ne sia venuto altrimenti a conoscenza (buona
fede), il proponente sarà tenuto a rimborsarlo delle spese e delle perdite subite per l’iniziata
esecuzione. Questa è una responsabilità per atto lecito, ed infatti il legislatore parla di
indennità e non di risarcimento del danno. Sono risarcibili sole le spese e le perdite
verificatesi dopo il momento in cui l’accettante poteva ragionevolmente ritenere concluso il
contratto.
La proposta può essere revocata in corso di trattative e in presenza di un affidamento, il
revocante deve però rispondere di responsabilità precontrattuale quando cioè l’oblato, pur
non avendo ancora intrapreso l’esecuzione del contratto, aveva ragionevolmente fatto
affidamento sulla conclusione dello stesso. Eccezioni alla revocabilità della proposta sono: la
proposta irrevocabile, l’opzione, la proposta con obbligazioni del solo proponente.
Parte della dottrina a cui si accoda anche Gazzoni sostiene che la revoca della proposta non
ha carattere recettizio, per cui si applica la regola della spedizione, in base alla quale si
reputa sufficiente che la revoca della proposta venga inviata all’accettante (e non
necessariamente ricevuta) prima della conclusione del contratto. In ogni caso, il proponente
ha l’onere di comunicare direttamente la revoca all’oblato, cioè di curare, con diligenza, la
spedizione di una dichiarazione. La diligenza andrà misurata in relazione ai mezzi idonei
secondo le consuetudini.
La revoca della revoca è ammessa nel casi di accettazione, trattandosi di un atto
recettizio.
Mentre nel caso della proposta dipende dalla soluzione che si sceglie: se la revoca si
considera un atto indirizzato non recettizio, essa produce effetti immediati, a prescindere
dall’effettiva recezione, quindi non potrà essere revocata, nel caso contrario sarà possibile.
3.PROPOSTA IRREVOCABILE:
L’ART.1329C.C. prevede che se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta
per un certo tempo, la revoca è senza effetto, cioè il proponente perde il potere di revoca. In
caso di proposta irrevocabile la morte o la sopravvenuta incapacità del proponente non toglie
efficacia alla proposta, salvo altre circostanze non escludano tale efficacia.
In DOTTRINA sono stata elaborate due teorie riguardanti la struttura della proposta
irrevocabile:
- Teoria dualistica o atomistica: secondo tale teoria la figura di cui all’ART.1329C.C. può
essere sezionata, perché fusione di due atti, proposta semplice e dichiarazione di rinuncia al
potere di revoca da parte del proponente.
- Teoria unitaria: un negozio unitario dalle caratteristiche peculiari che lo distinguono dalla
proposta semplice, al punto tale che, mentre la proposta semplice è atto prenegoziale, la
proposta irrevocabile sarebbe negozio giuridico unilaterale di per sé capace di produrre
effetti.
Gazzoni preferisce la teoria unitaria perché l’altra ha difficoltà a spiegare come mai alla
morte o sopravvenuta incapacità non consegue il decadimento della proposta irrevocabile,

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poichè la proposta ex ART.1326C.C. non può sopravvivere alla morte o alla incapacità
sopravvenuta del proponente.
Il nodo centrale della disciplina della proposta irrevocabile riguarda il termine. Ci si chiede
infatti che cosa accade se il proponente non lo fissa:
- un tempo la giurisprudenza riteneva potesse essere applicato l’ART.1183C.C. (che
riguarda il termine di adempimento), ma il richiamo è erroneo perché questa norma intende
risolvere un problema di esecuzione della prestazione che presuppone una obbligazione già
in vita da eseguire, che ovviamente nella proposta irrevocabile una obbligazione da adempire
non è ancora venuta in vita.
- secondo altra impostazione non sarebbe invece mai necessario il termine, poiché dovrebbe
direttamente applicarsi l’ART.1326C.C., cioè in mancanza di determinazione del termine da
parte del proponente, questo viene fissato in base alla natura dell’affare o dagli usi. In tal
modo si confonde però il termine di efficacia e termine di irrevocabilità della proposta. Che
anche se di regola il proponente non li distingue, non per questo sono la stessa cosa.
Il termine di irrevocabilità: entro tale termine la proposta non può essere revocata .
Il termine di efficacia: alla scadenza di tale termine viene meno la proposta.
Il termine previsto dall’ART.1329C.C. è il termine di irrevocabilità che deve essere
necessariamente fissato dal proponente, mentre quello di efficacia in mancanza è fissato
dall’ART.1326C.C.
Cosa accade se le parti non hanno stabilito un termine?
- per la teoria unitaria, se il proponente non fissa un termine, il negozio unilaterale
dovrebbe considerarsi nullo, poiché manca uno dei suoi elementi essenziali, salvo convertirsi
in proposta semplice con fissazione del termine semplice (ex ART.1326C.C.)
- Per la teoria dualistica (della doppia dichiarazione) si ritiene che il termine di
irrevocabilità riguarda la dichiarazione di rinunzia al potere di revoca, quindi se il proponente
non fissa il termine la rinunzia è nulla e la proposta potrà essere revocata.
Cosa accede se scade il termine? Ipotizziamo una proposta di vendita della villa a Capri e
decido di mantenere ferma la proposta fino al 31/12/2009, l’accettazione arriva il 1/1/2010:
il contratto è concluso?
- secondo la teoria unitaria l’unico termine sarà sia termine di efficacia che di irrevocabilità
e quindi, scaduto tale termine, la proposta perderà effetto.
- secondo la teoria dualistica non è detto, poiché sarebbe astrattamente possibile
ipotizzare due diversi termini: termine di efficacia, termine entro il quale la proposta può
essere accettata e termine di irrevocabilità, termine entro il quale il proponente si
impegna a non revocare.
4. OFFERTA AL PUBBLICO:
È una proposta contrattuale che si caratterizza per il fatto di essere rivolta ad una
generalità di destinatari. Ovviamente l’offerta la pubblico deve contenere tutti gli elementi
essenziali del contratto a cui la proposta si riferisce.
Questa non va confusa con la promessa al pubblico, con la quale ha in comune solo
l’indeterminatezza del destinatario:
- offerta: si ha riguardo a comportamenti negoziabili, cioè a prestazioni in senso tecnico; in
più il vincolo è successivo ad un atto di accettazione.
- promessa: è un negozio unilaterale, quindi l’obbligazione nasce ed è vincolante non
appena è portata a conoscenza del pubblico (ART.1989C.C.).
L’offerta deve anche essere distinta dall’invito ad offrire (ART.1336C.C.), il quale è
contenuto nei prezzari, nei listini ed in generale nei materiali pubblicitari; questo non è un
atto giuridico rilevante, ma solo un atto lecito, nei limiti in cui non divenga un atto di
concorrenza sleale o non violi i diritti della personalità, soprattutto il diritto di immagine o di
reputazione. Si tratta di notizie portate all’attenzione del pubblico senza vincolo per le parti e

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senza possibilità di un’accettazione. Chi risponde all’invito, non accetta, bensì propone la
conclusione di un contratto.
L’offerta, a differenza dell’invito, deve contenere gli elementi necessari per la conclusione del
contratto (deve essere completa).
Si ritiene che il bando di concorso per l’assunzione di lavoro sia offerta e non promessa,
però. Se chi bandisce si riserva insindacabilmente l’assunzione si ha invito.
È invito, secondo un giurista, l’esposizione di merci in vetrina, perché il negoziante è libero di
decidere a chi vendere. In realtà questo è un classico caso di offerta al pubblico, perché il
rilascio della licenza si accompagna all’obbligo a contrarre.
In caso di offerta al pubblico, qualora sopravvenga un numero esuberante di accettazioni,
si applica il criterio temporale. Se c’è contemporaneità, se non c’è una riserva in sede di
offerta, non è possibile attribuire all’offerente il potere di scelta, quindi, o ci si orienta verso
l’attribuzione pro-quota, in ipotesi di divisibilità (es. titoli di Stato), o si ipotizza la
costruzione di un diritto comune.
La stessa forma di pubblicità prevista per l’offerta è richiesta per la sua revoca, la quale, ove
è assolto quest’onere di pubblicità, è efficace anche nei confronti di chi non ne abbia avuto
notizia (è una forma per relationem).
Secondo una parte della giurisprudenza, la prenotazione di una stanza d’albergo vale come
accettazione di un’offerta al pubblico e concluderebbe il contratto alberghiero. In realtà, la
prenotazione, se accordata, crea un vincolo unilaterale per l’albergatore, contrattuale
(opzione o preliminare unilaterale) o precontrattuale (proposta irrevocabile) a seconda dei
punti di vista. Se il cliente paga la somma al momento della prenotazione questa può valere
come:
- caparra, confirmatoria o penitenziale, se consideriamo la prenotazione come vincolo
unilaterale precontrattule .
- corrispettivo dell’opzione, eventualmente da imputare a prezzo o come parziale
anticipazione del prezzo, se consideriamo la prenotazione come vincolo precontrattuale.
5.CONTRATTO PLURILATERALE:
Qualora le parti del contratto siano più di due, il contratto si qualifica plurilaterale e si
conclude con l’incontro dei consensi di tutte le parti interessate (ART.1420C.C.). Qualora
l’interesse sia riferibile a due soli contraenti, che prevedano che terzi si aggiungano a uno di
essi, non si avrà contratto plurilaterale, perché l’intervento del terzo varrà come
cooperazione all’adempimento. Esso si configura quando è ravvisabile una pluralità di
interessi diversi e contrapposti che confluiscono verso il conseguimento di uno scopo comune
(es. contratti associativi. Esempio tipo contratto di costituzione di una società).
Altri ritengono che questo contratto sussiste anche quando non sia ravvisabile uno scopo
comune, come nel caso di un contratto di divisione, al quale non si può applicare
l’ART.1332C.C., o quando è la legge a fissare il numero dei contraenti, come nel caso di
cessione del contratto (ART.1406C.C.).
Il problema è di stabilire quali regole del bilaterale si applicano al plurilaterale. Non si può
ritenere che il contratto si perfezioni solo quando tutte le parti hanno manifestato la loro
volontà, perché talvolta solo la loro partecipazione è condizionante per la nascita del
contratto.
Quando si tratta di contratti in cui non c’è uno scopo comune è indispensabile la
partecipazione di tutti gli interessati, i quali devono manifestare la conforme volontà (Es. nel
contratto di divisione, qui per procedere alla divisione convenzionale è necessaria la
partecipazione di tutti i comunisti).
Nei contratti con unicità di scopo, invece, è possibile che si pervenga alla conclusione
anche se una di esse resti esclusa, anche avendo partecipato alle trattative. (Es. nei contratti

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associativi è possibile che si pervenga alla conclusione pur se ne resta esclusa una parte che
aveva partecipato alle trattative.).
Bisogna stabilire:
- se l’accettazione di ogni parte deve essere portata a conoscenza delle altre
- se chi ha accettato è in qualche modo già vincolato ed eventualmente entro quali limiti,
prima che il contratto si perfezioni con l’accettazione di tutte le altre parti, la cui
partecipazione è essenziale.
La revoca è possibile se perviene al proponente prima dell’accettazione ex ART.1328C.C.
, ma il punto è accertare se la revoca può pervenire al proponente fino al momento della
conclusione del contratto (che si verifica quando gli oblati la cui partecipazione è essenziale
hanno a loro volta comunicato al proponente la loro accettazione). La risposta è negativa
perchè il potere di revoca non può dilatarsi temporalmente fino ad occupare lo spazio
deliberandi degli altri oblati, una volta consumato il proprio con la spedizione e recezione
della accettazione.
La proposta deve essere indirizzata agli interessati con la precisa indicazione di tutti gli
oblati e ciascuno di essi, a loro volta, deve indirizzare l’accettazione non solo al proponente,
ma anche agli altri oblati.
L’unico dubbio riguarda la possibilità che l’accettazione non sia notificata personalmente
dall’interessato, ma sia portata a conoscenza degli altri oblati da uno di questi, a cui è stata
indirizzata l’accettazione. Secondo la dottrina, in questo caso, il contratto ugualmente si
perfeziona, perché si deve distinguere tra indirizzamento e recezione.
L’irrevocabilità dell’accettazione, anche prima della conclusione del contratto, vale anche
per la proposta, con la conseguenza che proponente ed oblato, che hanno accettato,
potrebbero revocare solo raggiungendo un accordo tra di loro per poi notificarlo agli altri
oblati.
Se, invece, si ritiene che la proposta sia revocabile fino a quando non giunga l’ultima
accettazione, la revoca impedirà la conclusione del contratto, se è fatta da una parte la cui
partecipazione era essenziale. Se la proposta è revocata solo nei confronti di un oblato, la cui
partecipazione era essenziale, il contratto non si concluderà, ma se la sua partecipazione non
era essenziale, la revoca non impedisca la conclusione del contratto. Ai sensi
dell’ART.1328C.C., il proponente dovrà indennizzare gli oblati che hanno già iniziato
l’esecuzione, per le spese sostenute e le perdite subite.
Queste regole valgono anche in caso di dichiarazioni plurisoggettive, qualora esse
provengano dai singoli soggetti che formano la stessa parte. Per la proposta e l’accettazione,
tutti i soggetti devono esprimere una volontà conforme, perché la partecipazione di ognuno è
essenziale. Anche la revoca opererà solo se tutti i soggetti manifestano una volontà
conforme in tal senso.
6. IL CONTRATTO APERTO:
Se ad un contratto possono aderire altre parti e non sono determinate le modalità
dell’adesione, l’adesione deve essere diretta all’organo che è stato costituito per l’attuazione
del contratto o, in mancanza, a tutti i contraenti originari (Art. 1332C.C.).Questi sono i c.d.
contratti aperti a cui appartengono i contratti associativi. Non è possibile concludere in tal
modo i contratti di scambio, perché il contratto aperto riguarda i contratti plurilaterali in cui
le parti perseguono uno scopo comune.
Con l’adesione, una nuova parte aderisce ad un contratto già nato. La clausola di adesione è
dunque apposta ad un contratto già plurilaterale o inizialmente bilaterale ma che diviene
plurilaterale inseguito alla adesione senza la necessità di formare un nuovo contratto.
La clausola di adesione è tipica dei contratti con comunione di scopo, dove le parti del
contratto perseguono un interesse comune.

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Secondo parte della dottrina se la clausola è contenuta nel contratto, ed è prevista la


possibilità per i contraenti originari di rifiutare l’adesione, allora quest’ultima è una proposta,
altrimenti si parla di accettazione di un’offerta al pubblico.
Secondo altri, tra cui Gazzoni, invece si tratta di un negozio unilaterale a se stante, con il
quale chi aderisce rende efficace nei propri confronti un contratto già concluso tra le parti
originarie. A conferma della bontà di tale orientamento c’è il fatto che la clausola di adesione
inserita nel contratto non diviene inefficace in caso di morte o sopravvenuta incapacità di
uno dei contraenti originari.
La clausola non ha natura recettizia. È sempre possibile revocare l’adesione, nei limiti in cui
la revoca pervenga all’organo o all’ultimo dei contraenti originari, prima dell’adesione stessa.
7.CONCLUSIONE MEDIANTE INIZIO DELL’ESECUZIONE:
L’ART.1327C.C. detta una regola che si discosta da quella generale secondo cui il contratto
è concluso nel momento in cui, chi ha fatto la proposta giunge a conoscenza dell’accettazione
dell’altra parte; infatti, nei soli casi in cui la prestazione deve eseguirsi prima della risposta
per richiesta del proponente o per la natura dell’affare o secondo gli usi, il contratto si
considera concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione purchè
successiva e conforme alla proposta e con pronto avviso al proponente dell’inizio di
esecuzione altrimenti si risponderà dei danni arrecati al proponente.
Questo modo di conclusione del contratto è giustificato dalla necessità, spesso avvertita dallo
stesso proponente, di una pronta ed immediata esecuzione. Il proponente può dunque
rinunciare alla preventiva notifica della accettazione al fine di ottenere un più celere
adempimento della prestazione da parte dell’oblato. Attraverso ad esempio l’inserimento
nella proposta di clausole come “pronta consegna” o “consegna urgente”. In difetto valgono
la natura dell’affare e gli usi.
In relazione alla natura giuridica:
- una parte della dottrina ritiene che si tratti di un negozio di attuazione,
- altra parte osserva che la “mera esecuzione” non può da sola integrare gli estremi della
fattispecie negoziale, e sottolinea che si è in presenza di un’accettazione per
comportamento concludente o tacita e, dunque, eccezionalmente non recettizia;
- altra dottrina parla di operazione partecipativa;
- altri ancora teorizzano l’esistenza di un comportamento legalmente tipico.
L’ART.1327C.C. è applicabile solo ai contratti che non richiedono la forma scritta ad
substantiam, perché non si può equiparare l’esecuzione con la dichiarazione.
Sacco ritiene che i contratti, che di regola si concludono mediante l’inizio di esecuzione, sono
quelli che presuppongono un ordine, un incarico.
La domanda che ci si pone è però perché l’inizio di esecuzione è considerato dalla legge già
di per se vincolante e quindi che deve essere eseguito dall’oblato pena inadempimento e
conseguente risarcimento del danno.
In realtà chi esegue prima di accettare finisce per ingerire nella sfera giuridica altrui e deve
quindi condurre a termine l’opera perché l’interruzione può determinare un danno. Dunque
l’ART.1327C.C. non si applica nei casi in cui tale ingerenza non sia possibile.
L’inizio dell’esecuzione deve avere rilevanza esterna, quindi un significato concludente nel
senso di dare luogo ad un comportamento non equivoco. Perciò fino a quando l’esecuzione
resta nella sfera di disponibilità dell’oblato, non si potrà dire che il contratto si è concluso,
perché è dubbio se il suo atteggiamento sia destinato a produrre effetti per sé o per il
proponente o per un terzo.
Ci si domanda se sia possibile una protestatio, cioè una dichiarazione con cui l’oblato
manifesta di non voler ricollegare a quel dato comportamento, che si configura
oggettivamente come inizio dell’esecuzione, il valore di conclusione del contratto. La risposta
è positiva per chi considera la conclusine mediante inizio esecuzione come un negozio di

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attuazione o come manifestazione di volontà negoziale. E’ però preferibile secondo Gazzoni


la concezione di sacco che invita a distinguere a seconda che vi sia o non vi sia una
ingerenza dannosa nella sfera giuridica altrui.
La tutela del proponente è prevista dall’ ART.1327CO.2C.C., che prevede l’obbligo di
avviso a carico dell’accettante; infatti quest’ultimo dovrà dare prontamente avviso all’altra
parte dell’iniziata esecuzione, altrimenti potrebbe rispondere dei danni arrecati al
proponente.
Dunque il proponente è in una situazione di tutela perché il contratto si conclude quando
viene a conoscenza dell’accettazione, mentre il rischio grava sull’accettante che inizia
l’esecuzione prima che l’accettazione giunga a conoscenza del proponente, se il proponente
ha inviato la revoca della proposta prima dell’arrivo dell’accettazione e tale revoca giunge
all’accettante dopo che l’esecuzione è iniziata.
La tutela del proponente deriva anche dal fatto che nel caso in cui l’accettante inizia
l’esecuzione prima che l’accettazione giunga al proponente, se non ne fa immediata
esecuzione l’accettante sarà tenuto al risarcimento del danno e non ad un’indennità, perché
si tratta di un caso di responsabilità contrattuale, si tratta di un obbligo di legge che si
riallaccia al principio di correttezza e buona fede. Saranno risarcibili tutti i danni in base al
c.d. interesse positivo.
Per il principio di conservazione se l’oblato inizia l’esecuzione ritenendo erroneamente che
ricorrano gli estremi dell’ART.1327C.C. e poi invii l’avviso, questo secondo la giurisprudenza
vale come accettazione della proposta in virtù del principio di conservazione (ex
ART.1367C.C.).
8. RAPPORTI CONTRATTUALI DI FATTO:
Talvolta si assiste ad una prestazione eseguita da un soggetto in favore di un altro senza che
vi sia stata una preventiva proposta. In tal caso si parla di rapporti contrattuali di fatto e
non contratti di fatto poichè sono rapporti la cui fonte non è il contratto come scambio di
consensi, ma un comportamento di fatto.
La dottrina tedesca ha tipizzato tre possibili circostanze in cui questa vicenda di fatto
potrebbe realizzarsi:
- rapporti derivanti da un contratto sociale: che pone in relazione due consociati. Quindi
all’ingerenza nell’altri sfera giuridica fa riscontro la nascita di un vincolo che va al di là di un
semplice dovere neminem ledere, perché si deve collaborare per realizzare le aspettative
ingenerate nella controparte dall’avvenuta ingerenza (c.d. responsabilità di affidamento). C’è
comunque l’obbligo di comportamento in buona fede ex ART.1337C.C., che nasce proprio
dalla situazione di contratto sociale che si è creata e pertanto dovrebbe secondo alcuni dar
vita in caso di violazione ad una responsabilità contrattuale e non extracontrattuale. La dove
c’è contratto sociale non c’è contratto ma c’è responsabilità contrattuale. Nasce dunque una
obbligazione che si collega però al dovere di diligenza nell’osservare le regole dell’arte che si
professa. L’obbligo è dunque quello di tenere comportamenti a protezione della sfera
giuridica di coloro con i quali si entra in contratto.
- rapporti derivanti dall’inserzione in un’organizzazione comunitaria: esempio classico della
società nulla (Art. 2332), e la prestazione in esecuzione di un contratto di lavoro nullo
oppure l’impresa familiare. La nascita del rapporto è giustificata dalla solidarietà che deve
unire gli appartenenti ad una stessa famiglia.
- rapporti derivanti da obblighi(sociali) di prestazione: ricollegati all’esistenza di un’offerta a
tutti i cittadini, di servizi di interesse generale. Es: il trasporto ferroviario.
I presupposti politici di tale dottrina si riallacciano alla ideologia nazionalsocialista che voleva
sostituire all’individuo (e quindi al consenso individuale) la comunità. L’interesse della
comunità cioè era considerato superiore a quello degli individui e per tal motivo capace di
giustificare la nascita di vincoli anche a carico di chi non manifesta alcuna intenzione al

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riguardo. Si sostiene così la nascita di obblighi ricollegati al contratto sociale e dunque non
condizionati dal consenso.
Non si comprende però come un soggetto potrebbe essere maggiormente garantito da un
obbligo che nasce da un comportamento socialmente tipizzato piuttosto che da un accordo.
La verità è che la rilevanza dell’intuizione del contratto sociale si è apprezzato nel momento
in cui si è liberata dai condizionamenti ideologici e si e collegata a quei rapporti che
quotidianamente si instaurano seguendo uno schema spersonalizzato che non è quello
tradizionale di proposta ed accettazione precedute da trattative. (Es. distributore automatico
di sigarette o bibite)
- contratto nullo di lavoro: in base all’ART.2126C.C., la nullità del contratto non produce
effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi da
illiceità dell’oggetto o della causa.
-società di persone invalida: qui si può palare di parziale fattispecie societaria, ove sia stata
fatta realmente l’attività societaria.
In queste ipotesi si è in presenza di uno scambio di dichiarazioni (giuridicamente invalido)
ma socialmente rilevante. Può anche però crearsi un rapporto che determina effetti
corrispondenti a quelli contrattuali, pur in assenza di un accordo, con conseguente
svalutazione dello strumento contrattuale.
Pure chi segue la dottrina contrattualistica, avverte che, rispetto alla disciplina generale,
ci sono delle eccezioni in relazione ai rapporti contrattuali di fatto. Ad es. il requisito della
capacità di agire non è ritenuto indispensabile e quello della volontarietà è sostituito
dall’effettiva e consapevole esecuzione.
Secondo un’altra dottrina definita da Gazzoni stravagante, l’accordo è solo l’esito di un
dialogo linguistico, quindi di trattative, quindi, nelle vendite ad es. nei grandi magazzini
l’accordo è costituito da una coppia di atti unilaterali distinti e distanti, che non si fondono,
ma si trovano nell’identità della merce, che li combina e ne fa una decisione di scambio.
Quindi sarà necessaria solo la capacità naturale.
9.CONTRATTO CON OBBLIGAZIONI DEL SOLO PROPONENTE:
Il contratto con obbligazioni a carico del solo proponente è disciplinato
dall'ART.1333C.C. che stabilisce che:
"la proposta diretta a concludere un contratto da cui derivino obbligazioni solo per il
proponente è irrevocabile appena giunge a conoscenza della parte alla quale è destinata. Il
destinatario può rifiutare la proposta nel termine richiesto dalla natura dell'affare o dagli usi.
In mancanza di tale rifiuto il contratto è concluso".
L’accettazione si identifica qui con un mero comportamento di astensione ciò è una
eccezione alla regola secondo cui l’accettazione si ricollega sempre ad un comportamento
positivo.
Si discute se sia un negozio unilaterale o un contratto a formazione atipica. Il contrasto di
opinioni riguarda soprattutto un elemento cioè se sia necessario il consenso ogni volta che si
modifica l’altrui sfera giuridica.
Da questo punto di vista va tenuto conto del fatto che esistono negozi unilaterali che
producono una modifica dell’altrui sfera a prescindere dal consenso. (es. donazione obnuziale
che si perfeziona senza la necessità di accettazione o l’abbandono del fondo servente). Più in
generale è il contratto a favore di terzo che dimostra tale possibilità. Ciò dimostra che il
principio della relatività e del valore inter partes della regola negoziale è dunque un principio
non assoluto ma relativo, nel senso che il legislatore può derogarvi.
Questa fattispecie si situa a metà strada tra il contratto bilaterale ed il negozio giuridico
unilaterale; infatti esso è definito negozio unilaterale a rilievo bilaterale.
L’ART.1333C.C. prevede un potere di rifiutare la proposta per il destinatario, che tuttavia non
avrebbe alcun senso se la proposta fosse una comune proposta contrattuale perché nessun

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effetto si sarebbe ancora prodotto. Si può infatti rifiutare solo una situazione che ha già
prodotto i suoi effetti. In tale ottica bisogna distinguere tra:
- rinunzia: è un negozio unilaterale che produce effetto abdicativo. La rinunzia di un diritto
reale su cosa altrui non incrementa l’altrui patrimonio, ma solo depaupera quello del
rinunziante.
Ad es. se si rinunzia ad un bene mobile cioè vi è una (derelictio) ossia bene abbandonato il
terzo lo acquista a titolo originario invece se è un bene immobile questo viene acquisito ex
lege dallo Stato.
- rifiuto: non consuma il diritto, che ritorna nel patrimonio del dichiarante o perviene nel
patrimonio di un terzo. In ogni caso, deve distinguersi tra due tipi di rifiuto:
impeditivo: il soggetto impedisce un acquisto al proprio patrimonio (es. rinuncia
all’eredità);
eliminativo :il soggetto rimuove con effetto retroattivo effetti che si sono già prodotti, ma
non si sono ancora stabilizzati (es. rinunzia al legato).
L’effetto tipico del rifiuto è quello eliminativo, che presuppone una situazione già operante.
In tale ottica, secondo alcuni tra cui Gazzoni, nel contratto con obbligazioni a carico del solo
proponente, gli effetti della proposta si sono già prodotti altrimenti non potrebbe esserci
rifiuto e dunque la proposta è un negozio unilaterale recettizio e perciò pienamente efficace
non appena giunto a conoscenza dell’oblato e per questo irrevocabile .
Secondo altri, il mancato rifiuto è un’accettazione presunta o tacita. E che lo schema
proposta accettazione non è l’unico possibile ed in tal caso si sarebbe in presenza di un
contratto a formazione unilaterale, cioè frutto della volontà di un solo soggetto, tesi
discutibile, perché, in questo modo (con formazione unilaterale), si approda al negozio
unilaterale.
Secondo altra tesi, il comportamento omissivo non è dichiarazione tacita, ma un
comportamento con valore e un significato legalmente tipico, cioè è la legge ad attribuirgli
valore di accettazione. Ciò però errato poichè non ci sono norme che lo prevedono.
Da queste contrapposte posizioni derivano conseguenze diverse relative al momento in cui si
producono gli effetti della proposta:
- negozio unilaterale: si avranno nel momento in cui l’oblato ne viene a conoscenza.
- contratto: dopo che è decorso il tempo utile all’esercizio del potere di rifiuto.
Altra conseguenza riguarda il comportamento omissivo, bisogna fare una distinzione:
- se viene valutato come un’accettazione, allora saranno applicabili le regole sulla capacità,
sui vizi del consenso, sulla rilevanza dell’intento, con possibile protestatio.
- se si considera come negozio unilaterale, la non intenzionalità del contegno(silenzio) da
parte dell’oblato non si sostanzia in un mancato rifiuto, ma non vale nemmeno come
accettazione, esso non ha nessun valore, restando irrilevante la volontarietà o meno di
tale. Senonchè è corretto ritenere che in caso di violenza o dolo ai danni dell’oblato, il
termine per rifiutare decorre dal momento in cui la violenza è cessata o i raggiri sono stati
scoperti. Naturalmente i vizi della volontà sono sempre rilevanti.
Altra conseguenza è sul piano della forma.
La ricostruzione della fattispecie di cui all'ART1333C.C. in termini di contratto o in termini di
negozio unilaterale ha conseguenze anche in ordine ai requisiti formali in quanto, ove il
contratto richieda particolari requisiti di forma, nessun problema sussiste ove si ricostruisca
la fattispecie in termini di negozio unilaterale a rilievo bilaterale mentre più problematica
risulta l'ammissibilità di questa forma di perfezionamento del contratto ove il
contegno(silenzio) dell'oblato sia interpretato come un'accettazione presunta o implicita.
10. CONTRATTI CONSENSUALI E REALI:
Il contratto è di regola consensuale cioè il mero accordo è atto a produrre gli effetti voluti
dalle parti.

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Nel nostro ordinamento vige in materia di trasferimento di diritti reali il principio


consensualistico o del consenso traslativo ex ART.1376C.C.: "basta il consenso
legittimamente manifestato".
A tale regola si è giunti dopo un lungo processo. Infatti il diritto romano prevedeva per il
trasferimento della proprietà la necessaria consegna della cosa, distinguendo tra:
- titulus adquirendi (accordo tra le parti fonte dell’obbligo di consegna).
- modus adquirendi (consegna della cosa ovvero traditio).
Questo formalismo si mantenne anche nel diritto comune, tuttavia la pratica commerciale
incominciò a sostituire la consegna del bene con una clausola in base alla quale l’alienante
diveniva da proprietario-possessore, detentore della cosa con obbligo di consegna. Questa
clausola con il passare del tempo divenne una clausola di stile (come ancora oggi). Così si
arriva al principio del consenso traslativo.
Negli ordinamenti germanici è sopravvissuto il formalismo, infatti, al contratto obbligatorio
si accompagna in caso di cose mobili, la consegna, in caso di diritti immobiliari, la iscrizione
nei libri fondiari.
Tuttavia Gazzoni sottolinea che nel nostro ordinamento il principio del consenso traslativo
non vige integralmente, soprattutto in materia di acquisto di diritti reali a titolo derivativo
per l’opponibilità a terzi. In caso ad esempio di conflitto tra più aventi causa dello stesso
autore, non vale il principio del “prior in tempo, potior in iure”, ma il principio della priorità
del possesso in buona fede del bene se mobile, e della priorità della trascrizione del titolo in
caso di trasferimenti immobiliari.
CONTRATTO CONSENSUALE: è quello si perfeziona col semplice consenso, cioè con una
manifestazione di volontà delle parti coinvolte nella stipulazione, la consegna vale solo ad
effetti possessori.
CONTRATTO REALE: è quel contratto che si perfeziona oltre che col consenso anche con la
consegna materiale della cosa (il bene oggetto del contratto) (traditio rei). Siffatti contratti
costituiscono una deroga al principio generale secondo cui il contratto si perfeziona con il
solo consenso (ART.1376C.C.). Se non avviene la "traditio", la consegna, il contratto non è
concluso. La consegna non è però effetto obbligatorio del contratto, ma un elemento
strutturale sul piano della formazione e non solo dell’esecuzione del contratto.

Il contratto reale può essere sia ad effetti obbligatori (il comodato, il deposito) sia ad
effetti reali (il pegno, il contratto di riporto, il mutuo).
Il senso della consegna in tale fattispecie si ritrova nella particolare rilevanza sul piano
sociale della datio con conseguente spossessamento, nonché nella particolare funzione che
ad essa può ricollegarsi.
EFFICACIA REALE E OBBLIGATORIA:
- CONTRATTI A EFFETTI REALI (CONTRATTI A EFFICACIA REALE)(CONTRATTI
TRASLATIVI): sono i contratti aventi per oggetto la costituzione o la trasmissione di un diritto
reale (es. compravendita, riporto)
- CONTRATTI A EFFETTI OBBLIGATORI: sono i contratti che pongono a carico delle parti
l’obbligo di eseguire una prestazione (es. mandato).
11. AUTONOMIA PRIVATA:
I contraenti non possono configurare come reale un contratto consensuale. In tal caso si
violerebbe il principio della sufficienza del consenso, principio derogabile solo da norme di
legge. Dunque l’effetto traslativo che consegue al semplice accordo nella compravendita, non
può essere ricollegato dai contraenti alla consegna della cosa.
Viceversa non si basa su norma inderogabile il principio del consenso traslativo
(ART.1376C.C.). In tal caso c’è la possibilità di far precedere il trasferimento da un accordo,
ritornando alla scissione romana tra titolus e modus adquirendi.

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Taluni ritengono che i privati abbiano il potere di raggiungere un accordo sul modo in cui
dovrebbero concludersi tra di loro, gli eventuali futuri contratti, fermo restando la libertà di
contrarre. Si parla al riguardo di contratti o accordi configurativi.
12. CONTRATTO A DISTANZA:
Molto spesso il procedimento di conclusione del contratto tra un professionista ed un
consumatore può iniziare con tecniche di comunicazione a distanza. Gli
ART.50SS.D.LGS.05/2006 hanno disciplinato la materia con norme inderogabili,
attribuendo al consumatore alcuni diritti, tra i quali:
- il diritto di ricevere dal fornitore in tempo utile e per iscritto complete informazioni sui
termini soggettivi ed oggettivi del contratto prima della sua conclusione.
- diritto di recesso con comunicazione scritta entro 10 giorni, variamente decorrenti e salvo
talune eccezioni.
- esecuzione del contratto entro 30 giorni successivi a quello in cui il consumatore ha
trasmesso l’ordine al fornitore, salvo indisponibilità del bene o servizi richiesto,
tempestivamente comunicata.
- divieto di fornitura di beni o servizi al consumatore in mancanza di sua previa ordinazione,
qualora la fornitura comporti un pagamento.
Questa disciplina non si applica ad alcuni contratti quali ad es.:
- quelli relativi a servizi finanziari
- quelli conclusi tramite distributori automatici
- quelli conclusi con operatori delle telecomunicazioni, impiegando telefoni pubblici
- quelli relativi alla costituzione o alla vendita o altri diritti relativi a beni immobili, con
esclusione della locazione
- quelli conclusi in occasione di vendita all’asta.
Il consumatore può liberamente recedere, secondo modalità speciali, garanzie, in caso di
vendita tramite televisione o altri mezzi audiovisivi. Per il commercio elettronico, salvo per i
contratti conclusi solo mediante lo scambio di messaggi di posta elettronica, il prestatore del
servizio deve fornire alcune informazioni e mettere a disposizione le clausole e le condizioni
generali del contratto proposte, in modo che sia consentita la loro memorizzazione e la
riproduzione dal parte del destinatario, il quale inoltra il proprio ordine per via telematica e il
prestatore deve accusarne ricevuta, riepilogando i termini del contratto.

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FORMAZIONE PROGRESSIVA DEL CONSENSO


1. LE TRATTATIVE: LA RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE:
Le parti possono raggiungere un accordo al termine di una trattativa che è rilevante se
riguarda gli elementi essenziali del contratto chi si sta stipulando. La trattativa deve svolgersi
secondo buona fede, pena il risarcimento del danno da illecito precontrattuale.
La legge impone alle parti l’obbligo giuridico di comportarsi secondo buona
fede(ART.1337C.C.), quindi, con correttezza e lealtà. Ipotesi contrarie alla buona fede sono
ad esempio:
- trattative non serie: cioè iniziare a trattare senza avere intenzione di concludere il
contratto ma solo ad esempio al fine di disturbare la trattativa altrui. Questo comportamento
è sanzionato a prescindere se si sia in fase avanzata o meno delle trattative.
- recesso ingiustificato: cioè, costituisce comportamento in violazione del principio di
buona fede, e si ha quando si crei nella controparte un legittimo affidamento in ordine alla
conclusione del contratto e si receda dalle trattative senza un valido motivo. In realtà
dobbiamo dire che la trattativa di per se non obbliga alla conclusione del contratto, ma
obbliga a non creare affidamenti legittimi nella controparte altrimenti c’è responsabilità
precontrattuale per condotta contraria alla buona fede e correttezza. Bisogna dire però che
di regola non può crearsi l’affidamento se le trattative riguardano elementi non essenziali del
contratto.
- conoscenza di cause d’invalidità: ART.1338C.C.: cioè, quando una parte, conoscendo o
dovendo conoscere l’esistenza di una causa d’invalidità del contratto, non ne ha dato notizia
all’altra, che confidava nella sua validità, salvo che costei potesse conoscerla usando
l’ordinaria diligenza. Per invalidità secondo la giurisprudenza significa nullità e annullabilità
ma non inesistenza o inefficacia del contratto.
- reticenza su obblighi di informazione: si può agire contrariamente alla buona fede,
anche quando una parte abbia causato ritardo nella conclusione o sia stato reticente tacendo
all’altro informazioni rilevanti ai fini della contrattazione. (es. agente di viaggio che sia
consapevole che la controparte intenda contrarre indotta da motivo erroneo).
La violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede comporta una responsabilità
(cioè il dovere di risarcire il danno) che prende il nome di RESPONSABILITÀ
PRECONTRATTUALE, secondo cui il danno risarcibile comprende sia il vantaggio che la
parte avrebbe potuto procurarsi con altre contrattazioni, c.d. lucro cessante, sia le spese
strettamente connesse con le trattative, c.d. danno emergente.
Per quanto attiene alla natura della responsabilità, si esclude che si tratti di un tertium
genus; taluni la ricomprendono in quella contrattuale, altri in quella extracontrattuale.
- RESPOINSABILITA’ CONTRATTUALE: l’obbligo di buona fede violato è lo stesso di
quello di cui all’ART.1375C.C. (secondo cui il contratto deve essere eseguito in buona fede),
perché con l’inizio delle trattative nasce un contratto sociale.
- RESPONSABILITA’ EXTRACONTRATTUALE: che è condivisa dall’orientamento
prevalente, si tratta di responsabilità extracontrattuale ex ART.2043C.C., perché trova il
suo fondamento nella violazione di un dovere generale di condotta.
L’adesione all’ una o all’altra delle due tesi ha conseguenze sul piano della disciplina:
onere della prova, prescrizione, della azione, messa in mora, rilevanza della colpa e della
incapacità naturale, danno risarcibile.
Non è facile stabilire quando le trattative possono ritenersi concluse positivamente, poiché le
trattative possono svolgersi anche attraverso complessi e successivi accordi anche scritti
cosicché si parla di formazione progressiva del consenso. Se l’accordo riguarda l’insieme
degli elementi essenziali, può darsi che sia nato un contratto, ma si dovrà stabilire se sia
preliminare o definitivo.

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Quindi si devono distinguere due ipotesi:


- le parti hanno raggiunto l’accordo sugli elementi essenziali del contratto ed inoltre hanno
ritenuto esaurite le trattative, quindi concluso il contratto, senza regolare alcuni punti non
essenziali. In questo caso interverranno le fonti eteronome, cioè disposizioni suppletive, in
mancanza di espressa previsione delle parti.
- le parti si sono riservate di decidere su quei punti non essenziali in un altro momento. In
questo caso il contratto non può dirsi concluso, nemmeno considerandolo sottoposto a
condizione sospensiva. Questa riserva di ulteriori trattative determina l’essenzialità in
concreto di quelle pattuizioni (sono essenziali in concreto perché condizionano la conclusione
del contratto in concreto).
Bisogna quindi distinguere completezza da perfezionamento perché un documento completo
sia nelle clausole essenziale che accessorie, si presume che sia perfezionato ma si può dare
prova contraria.
2. CONTRATTO PRELIMINARE:
Le trattative possono terminare con la nascita di un contratto definitivo ma anche con la
stipulazione di un contratto preliminare, cioè un accordo che obbliga le parti a concludere in
un secondo momento un contratto necessariamente definitivo, il cui contenuto è già fissato
dal preliminare stesso.
Dal contratto preliminare nasce dunque l’obbligo di prestare il consenso per la conclusione di
un successivo contratto. Il contratto preliminare produce allora effetti obbligatori è dunque
un contratto con effetti obbligatori, mentre quello definitivo può avere sia effetti reali
(es. compravendita) sia effetti obbligatori (es. locazione).
Secondo la dottrina più avveduta l’unico limite al contratto preliminare, è la donazione,
perché l’assunzione di un vincolo preliminare sarebbe in contrasto con la necessaria
spontaneità che caratterizza la donazione quale atto di liberalità. Infatti se la donazione è
stipulata in esecuzione di un precedente vincolo obbligatorio, non si potrebbe più parlare di
liberalità ma di doverosità.
E necessario fissare un termine entro il quale stipulare il contratto definitivo. In difetto
poiché è un termine di adempimento dell’obbligo di contrarre, le parti potranno rivolgersi al
giudice ex ART.1183C.C. (entro il periodo decennale di prescrizione ordinaria).
FORMA: ART.1351C.C.:” è nullo il contratto preliminare se non è fatto nella stessa forma
che la legge prescrive per il contratto definitivo (forma per relationem).
Ovviamente quest’obbligo attiene solo alla forma richiesta ad substantiam e non a quella ad
probationem (ciò in ossequio al principio della tendenziale libertà della forma e dei mezzi di
prova).
- se si sottolinea che il preliminare produce solo effetti obbligatori, il negozio che li risolve o il
recesso avrà sempre forma libera, anche se questo pretendesse la forma scritta.
- al contrario, se si sottolinea l’incidenza che il preliminare ha sugli effetti finali, allora la
forma scritta sarà necessaria ove questo la pretenda.
Se uno dei due contraenti non adempie al preliminare, in alternativa alla risoluzione, all’altra
parte è concessa la facoltà di ottenere, qualora sia possibile, una sentenza costitutiva che
realizzi gli effetti che avrebbe dovuto produrre il contratto definitivo non concluso.
L’affermazione qualora sia possibile, è da ricondurre soprattutto a due casi:
- inutilità: ART.2932C.C. non è sempre utilmente applicabile, infatti, per i contratti con
prestazioni di fare non ha molto senso sostituire all’obbligo preliminare quello definitivo, che
resterebbe comunque inadempiuto.
- impossibilità: ad es. nei contratti reali non può concepirsi una consegna coattiva, perché
in questi contratti la consegna è un coelemento della conclusione. La sentenza, quindi, non
sarebbe sufficiente; inoltre non potrebbe, ad es., essere pronunciata in presenza di un
preliminare di vendita di un immobile abusivo o insuscettibile di trasferimento inter vivos.

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In questi casi sembra, dunque, preferibile, più che richiedere la pronuncia di una sentenza
costitutiva, chiedere la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento, con la
condanna dell’inadempiente al risarcimento del danno.
Precedentemente si sosteneva che la sentenza non potesse modificare il preliminare,
recentemente c’è stata un’inversione dell’orientamento. Si ritiene ad es. che il preliminare
di vendita con riserva di usufrutto se, nelle more della stipula del definitivo, il promittente
venditore muore, il promittente acquirente della nuda proprietà, se gli eredi si rifiutino di
concludere il definitivo di vendita della piena proprietà, può ottenere una sentenza costitutiva
con automatica variante, rispetto al preliminare, che comporti la riunione dell’usufrutto e
della nuda proprietà.
La morte, però, deve intervenire dopo la scadenza del termine, perché solo così potrà
operare la perpetuatio obligationis che giustifica la fictio della riunione. Se la morte
interviene prima, la soluzione sarà quella della risoluzione per impossibilità
sopravvenuta.
Nel caso in cui ci siano vizi o difformità della cosa o di oneri, il promittente acquirente può
ottenere una sentenza che diminuisca il prezzo pattuito nel preliminare o che condanni il
promittente alienante ad eliminare i vizi o le difformità. Il regime dei vizi del preliminare è
quello ordinario, ma possono sorgere dei problemi nei rapporti con il contratto definitivo. Si
deve ritenere che il preliminare può fornire elementi, non solo per identificare la natura e
l’oggetto del contratto definitivo, ma anche per la ricerca del contenuto dei singoli patti e
quindi per l’interpretazione dell’intero assetto di interessi emergente dal contratto definitivo.
Senonchè è dubbio se tale funzione possa essere svolta da un contratto preliminare invalido.
Allora importante è stabilire se, l’eventuale invalidità del preliminare, possa considerarsi
superata nel caso in cui il contratto definitivo nasca, di per sé, validamente.
Gazzoni propone due teorie:
- il contratto definitivo ha causa interna, quindi la sua giustificazione causale va
ravvisata avendo riguardo della produzione dei suoi effetti tipici. Di conseguenza, i vizi del
preliminare saranno irrilevanti per il definitivo, qualora questo sia validamente concluso. C’è
autonomia tra i due contratti.
- il contratto definitivo trova la sua giustificazione causale nell’adempimento dell’obbligo
di contrarre sorto con il preliminare, quindi ha causa esterna. Di conseguenza, se il
preliminare è invalido, viene meno la giustificazione esterna dello spostamento patrimoniale
operato con il contratto definitivo, l’invalidità dunque legittimerà la ripetizione di quanto
prestato, perché oggettivamente indebito.
Es.: preliminare di vendita, la causa della vendita sarebbe già nel contratto preliminare. Il
definitivo è, quindi, un atto solutorio sorto dal preliminare. Questo si ricollega al
pagamento traslativo, che si ha quando la proprietà di un bene viene trasferita a titolo
solutorio, cioè in adempimento di un obbligo preesistente. Il trasferimento della proprietà è
quindi un atto di adempimento.
Nel caso di contratto definitivo, il trasferimento della proprietà sarebbe posto in essere non
venditoris causa, ma solutionis causa, cioè a titolo solutorio.
Il collegamento tra pagamento traslativo ed i negozi che generano l’obbligazione, è dato
dall’expressio causae. La causa del contratto definitivo non è una compravendita, ma la
causa solutoria, poiché, con il definitivo, viene trasferita la proprietà del bene a titolo di
adempimento di un obbligo che sorge con il preliminare.
Ciò crea un legame tra preliminare e definitivo, in quanto entrambi realizzano un’operazione
economica unitaria, con la conseguenza che, aderendo a questa teoria, i vizi, che
eventualmente inficiano il preliminare, si riverseranno sul definitivo.
Bisogna però fare alcune considerazioni:

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Nullità: se il preliminare di vendita immobiliare è nullo perché orale, ma le parti


concludono il definitivo con atto scritto, dobbiamo distinguere:
- se le parti sapevano della nullità, quindi sapevano di non essere obbligate a contrarre,
e concludono lo stesso il definitivo, quest’ultimo sarà comunque valido, perché è come se le
parti abbiano voluto recidere il rapporto tra preliminare e definitivo.
- se le parti ignorano la nullità, e concludono il definitivo:
a)per la teoria della causa interna, il definitivo sarà valido ed efficace, al massimo
annullabile per errore sull’esistenza dell’obbligo di concludere.
b)per la teoria della causa esterna, in difetto di causa solvendi, per insussistenza
dell’obbligo di contrarre, il definitivo sarà nullo e legittimerà l’azione di ripetizione.
Annullabilità: il preliminare era annullabile per errore, l’errante lo scopre e
conclude lo stesso il definitivo:
- per la teoria della causa interna, il definitivo non nasce viziato, perché l’errore è stato
scoperto.
- per la teoria della causa esterna, la conclusione del definitivo, essendo atto di
esecuzione dell’obbligo di contrarre, vale come convalida del preliminare, perché si era a
conoscenza del motivo di annullabilità.
RESCISSIONE PER LESIONE:
Secondo l’ART.1449C.C., l’azione di rescissione si prescrive decorso un anno dalla
conclusione del contratto. Il problema è quello di stabilire da quando decorre l’anno. Per la
teoria della causa interna, questa è la teoria del doppio contratto che ipotizza una doppia
azione.
Tale teoria sostiene che la lesione si concretizza al momento della stipula del definitivo;
quindi, qualora tra preliminare e definitivo intercorra più di un anno, si pone nel nulla il
termine annuale di prescrizione, perché l’azione, ove prescritta per il preliminare, sarà
riproponibile entro un ulteriore anno dal definitivo.
Per la teoria della causa esterna, (Gazzoni), i presupposti vanno guardati con riferimento
al momento in cui è stato stipulato il preliminare, quindi è da tale termine che inizia a
decorrere il termine di prescrizione.
RISOLUZIONE:
Il preliminare può risolversi per inadempimento o per risoluzione consensuale oppure
per eccessiva onerosità e impossibilità sopravvenute.
L’ eccessiva onerosità e l’impossibilità sopravvenute rispetto a quanto pattuito con il
preliminare, vanno valutate al tempo in cui il definitivo andrebbe concluso.
REVOCA:
- se si aderisce alla teoria della causa interna, sarà revocato solo il definitivo, oppure
verranno revocati insieme, a condizione che il preliminare sia un atto di adempimento e sia
fraudolento.
- se si aderisca alla teoria della esterna, verranno revocati insieme.
VIZI DELLA SENTENZA:
Dobbiamo distinguere la sentenza-atto dal rapporto giuridico che ne deriva.
La prima si può impugnare con i rimedi giurisdizionali (appello, cassazione, revocazione) e
non con quelli negoziali (nullità, annullabilità, rescissione). Contro gli squilibri del rapporto si
utilizza la risoluzione per inadempimento, per eccessiva onerosità ed impossibilità
sopravvenuta.
In caso di fraudolenza, i creditori potrebbero agire ex ART.2901C.C. (azione revocatoria),
esistendo contro la sentenza il rimedio dell’opposizione di terzo revocatoria.
L’eventuale invalidità o rescindibilità del preliminare dovrebbe essere eccepita in giudizio. In
difetto, la questione sarebbe coperta dal giudizio (giudicato) pur se l’errore o il dolo fossero
scoperti solo dopo che l’eccezione è preclusa.

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TIPI DI PRELIMINARE:
- unilaterale: è quel preliminare che comporta l’obbligo di addivenire alla stipula di un
contratto definitivo per una sola delle parti;
- bilaterale;
- ad effetti anticipati: le parti, non solo determinano l’obbligo del definitivo, ma iniziano ad
anticiparne gli effetti. Nel senso che ad es. l’acquirente paga una parte del prezzo e
l’alienante ad es. per qualche periodo da le chiavi di casa per esempio per prendere le
misure.
PRELIMINARE DI VENDITA DI COSA ALTRUI:
Si ha quando il promittente venditore stipula un preliminare di vendita avente ad oggetto un
bene altrui. Tale preliminare determina, in capo al promettente non l’obbligo di concludere il
contratto definitivo di vendita di cosa altrui ma un obbligo di dare, ovvero quello di procurare
al promittente acquirente l’acquisto della proprietà della cosa:
- sia acquistando a sua volta, previamente, il bene dal terzo proprietario per poi rivenderlo
alla controparte;
- sia inducendo il proprietario a dare il proprio consenso alla vendita in sede di stipula del
definitivo;
- sia inducendo il proprietario a vendere direttamente al promittente acquirente, così che
non si procederà alla stipula del definitivo.
Nella terza ipotesi, il promittente alienante risponde per l’evizione, per i vizi e gli oneri che
dovessero gravare sul bene, perché il promittente acquirente non può rifiutarsi di acquistare
direttamente dal terzo.
Ciò vale anche se il promittente acquirente ignorava l’altruità del bene perché l’ART.1479C.C.
che prevede la risoluzione del contratto si applica solo in caso di vendita quando l’effetto
traslativo deve prodursi immediatamente, mentre nel preliminare tale effetto è differito
(quindi nel frattempo il promettente alienante può far acquistare al promettente acquirente il
bene).
Questo tipo di preliminare non genera l’obbligo di prestare il consenso, bensì genera l’obbligo
di dare, con scissione del titulus (preliminare) dal modus acquirendi (definitivo).
Secondo Gazzoni, il preliminare di vendita di cosa altrui è una vendita obbligatoria, in cui
l’obbligo è quello di far acquistare al promittente acquirente la proprietà. La stipula del
definitivo costituisce solo adempimento delle obbligazioni assunte con il preliminare, con la
conseguenza che esso, e non il definitivo, è l’unica fonte degli obblighi e dei diritti tra le
parti.
TRASCRIZIONE DEL PRELIMINARE: ART.2645BISC.C.:
ART.2645BISN.1C.C.: “I contratti preliminari aventi ad oggetto la conclusione di taluno dei
contratti di cui ai numeri 1), 2), 3) 4) dell'articolo 2643, anche se sottoposti a condizione o
relativi a edifici da costruire o in corso di costruzione, possono essere trascritti se risultano
da atto pubblico o da scrittura privata con sottoscrizione autentica o accertata
giudizialmente”.
ART.2645BISN.2C.C.: “La trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca
comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che
accoglie la domanda diretta ad ottenere l'esecuzione in forma specifica dei contratti
preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente
alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare”.
ART.2645BISN.3C.C.: “Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si
considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la
conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta,
non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca
comunque esecuzione del contratto preliminare o della domanda giudiziale di cui all'articolo
2652, primo comma, numero 2)”.

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Quindi i preliminari di contratti risultanti da atto pubblico o scrittura privata autenticata o


accertata giudizialmente, anche se condizionati o aventi ad oggetto fabbricati da costruire o
in costruzione, possono essere trascritti. L’efficacia della trascrizione è, però, limitata nel
tempo, fino ad un anno dalla data convenuta per la conclusione del definitivo o comunque
non oltre 3 anni.
Se in uno di questi termini interviene la trascrizione del definitivo o di un altro contratto ad
effetti reali, questa prevale sulle trascrizioni o iscrizioni curate contro il promittente alienante
dopo che il preliminare è stato trascritto.
Secondo l’opinione dominate, la trascrizione avrebbe funzione di prenotazione, quindi,
l’opponibilità deriverebbe dalla successiva trascrizione del definitivo, atto esecutivo o
domanda giudiziale seguita da sentenza ex ART.2932C.C., i cui effetti retroagirebbero alla
data della trascrizione del preliminare.
Gazzoni invece ritiene che questa trascrizione assicura autonoma opponibilità sia pure
limitata temporalmente. Pertanto la trascrizione del definitivo non retroagisce ma risolverà i
conflitti con chi ha diritti incompatibili acquistati con atto trascritto successivamente, mentre
i conflitti precedenti sono risolti dal preliminare.
Il promittente acquirente è tutelato dunque senza soluzione di continuità, prima dalla
trascrizione del preliminare e poi dalla trascrizione del definitivo.
In caso di mancata esecuzione del preliminare, la relativa trascrizione attribuisce il privilegio
sull’immobile per i crediti del promittente acquirente (pagamento anticipato del prezzo,
caparra confirmatoria, clausola penale), purché non sia scaduto il termine di opponibilità.
IPOTESI PARTICOLARE TRASCRIZIONE: EDIFICI DA COSTRUIRE: D.L.122/2005: ha
previsto una specifica tutela in favore delle persone fisiche che intendano
acquistare edifici da costruire; prevede che:
- il contratto preliminare deve avere il contenuto tipizzato dalla legge.
- a pena di nullità, che può essere fatta valere solo dall’acquirente, il costruttore è obbligato
a consegnargli fideiussione bancaria o assicurativa.
- la fideiussione può essere escussa, a richiesta scritta, se, prima della conclusione del
definitivo, sia iniziata, contro il costruttore, una procedura esecutiva individuale, con
pignoramento dell’immobile oggetto del contratto, o concorsuale. L’acquirente sarà
soddisfatto, salvo l’indennizzo del fondo della società.
- in caso di pignoramento, ove il preliminare abbia avuto esecuzione anticipata e l’immobile
consegnato sia stato destinato ad abitazione per sé o un proprio parente, all’acquirente pur
se abbia escusso la fideiussione è riconosciuto il diritto di prelazione nell’acquisto
dell’immobile, al prezzo d’incanto. Se il prezzo è inferiore, la differenza dovrà essere
restituita al fideiussore.
- il costruttore, al momento della conclusione del definitivo, deve consegnare all’acquirente
la polizza assicurativa indennitaria decennale a copertura dei danni.
- non può essere soggetto a revocatoria fallimentare il contratto posto in essere al giusto
prezzo, da valutarsi alla data della stipula del preliminare.
3. OPZIONE:
ART.1331C.C.: “quando le parti convengono che una di esse rimanga vincolata alla propria
dichiarazione e l’altra abbia facoltà di accettarle o meno, la dichiarazione della prima si
considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall’Art. 1329”.
Se per l’accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice;
pertanto, quando le parti convengono che una di loro, CONCEDENTE, rimanga vincolata alla
propria dichiarazione e l’altra, OPZIONARIO, abbia la facoltà di accettarla o meno, la
dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile.

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L’opzione determina la nascita, in capo all’opzionario, di un diritto che, se esercitato,


determina l’immediata conclusione del contratto. Tale diritto è potestativo, in quanto
prevede una situazione passiva di soggezione del concedente, dovendo egli subire la
conclusione del contratto.
È necessario che venga fissato un termine di efficacia, alla scadenza del quale, l’opzione
decade.
Non si segue un tal caso lo schema della proposta-accettazione, ma quello del contratto
preparatorio di opzione, seguito dall’esercizio di tale diritto attraverso dichiarazione
unilaterale recettizia entro il termine fissato dal contratto o, in difetto, dal giudice.
DIFFERENZA TRA OPZIONE E PROPOSTA IRREVOCABILE:
- ART.1331C.C.: OPZIONE: si ha quando contrattualmente due soggetti stabiliscono che
una di queste, concedente, mantenga ferma la sua proposta relativamente ad un contratto e
l’altra parte, opzionario, ha diritto di pensarci, per cui, laddove l’opzionario decida di
esercitare l’opzione e concludere il contratto, questo sarà concluso e il concedente subirà la
conclusione.
- ART.1329C.C: PROPOSTA IRREVOCABILE: si ha quando il proponente si è obbligato a
mantenere ferma la proposta per un certo tempo.
Le differenze si riscontrano nella STRUTTURA:
- l’opzione ha una struttura bilaterale, è frutto dell’accordo delle parti. La proposta
irrevocabile non è un contratto, ma il segmento di un contratto. La proposta non è un
negozio giuridico unilaterale, ma è un atto prenegoziale.
- l’opzione può essere onerosa, con pagamento da parte dell’opzionario al concedente, di
una somma (premio), quale corrispettivo per la concessione del diritto e conseguente
soggezione. La proposta irrevocabile per la sua unilateralità è gratuita.
- l’opzionario può dichiarare di non voler esercitare il diritto e poi farlo, purché il termine
non sia scaduto o vi sia stato accordo tra le parti di estinguere l’opzione. In caso di
proposta irrevocabile al rifiuto consegue la revocabilità della proposta o, per la tesi del
negozio unilaterale, la sua caducazione.
L’opzione può essere gratuita, cioè senza corrispettivo, ma ugualmente non si avrà
proposta irrevocabile, per la sua struttura contrattuale.
Ulteriori differenze vi sono con riguardo agli EFFETTI:
- nella proposta irrevocabile vi sarebbe solo un diritto soggettivo e il corrispondente
obbligo di accettare da parte dell’oblato.
- nell’opzione la situazione è più forte, in quanto l’opzionario sarebbe titolare di un diritto
potestativo e quindi, il concedente è portatore di una situazione giuridica passiva molto
afflittiva, cioè la soggezione, che consiste nel dover accettare che nella propria sfera
giuridica altri compiano modificazioni attraverso l’esercizio del diritto.
Quindi:
- proposta irrevocabile → diritto soggettivo → obbligo.
- opzione → diritto potestativo → soggezione.
DIFFERENZA TRA OPZIONE E CONTRATTO PRELIMINARE:
Sono entrambi contratti preparatori, ma mentre nell’opzione la produzione degli effetti
definitivi è incerta in quanto dipende dalla volontà dell’opzionario (che ha libertà di scelta),
mentre nel preliminare la produzione degli effetti è certa.
- OPZIONE: l’accettazione determina la conclusione del contratto, senza collaborazione del
concedente quindi il contratto si perfeziona con il semplice esercizio del diritto potestativo.
- PRELIMINARE: per determinare l’effetto finale, le parti devono incontrarsi nuovamente e
concludere un altro contratto. La parte può rendersi inadempiente e quindi vi sarà una
sentenza ex ART.2932C.C. che prevede l’esecuzione forzata in forma specifica.

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È più difficile distinguere l’opzione dal preliminare unilaterale, in quanto entrambe le


figure prevedono il vincolo per una sola parte. La differenza attiene alle modalità di
conclusione dell’effetto finale; poiché, nel caso in cui ho concluso un opzione di vendita,
l’accettazione dell’opzionario conclude il contratto e quindi comporta il trasferimento della
proprietà, nel caso in cui, invece, sia stato stipulato un contratto preliminare unilaterale,
cioè un contratto nel quale uno solo dei soggetti si obbliga a concludere, l’accettazione della
controparte (libera di accettare o meno) non determina la conclusione del contratto e quindi
il trasferimento della proprietà; infatti, bisognerà comunque concludere il definitivo.
La differenza, quindi, sta nelle modalità di formazione.
- OPZIONE: conclude il contratto
- PRELIMINARE UNILATERALE: se l’altra parte non è obbligata a decidere di concludere, il
contratto non è già concluso, per cui le parti dovranno rincontrarsi.
Tutto ciò vale quando si raffronta il preliminare unilaterale con l’opzione di definitivo.
Si discute se sia ammissibile un contratto preliminare di opzione o un’opzione di
preliminare.
IDEA D’ORIGINE: è ammissibile un preliminare di opzione, mentre non è ammissibile un
opzione di preliminare in quanto:
- nel preliminare di opzione si passa da un preliminare ad un contratto di opzione; quindi,
si passa da un vincolo più labile ad uno più forte, quale l’opzione. Infatti, l’opzione è già un
segmento di un contratto definitivo (anche se però bisogna considerare che attualmente il
preliminare si trascrive).
- l’opzione di preliminare non sarebbe ammissibile perché non rappresenta una
progressione nella formazione del consenso, bensì una regressione. Cioè si passa da un
vincolo unilaterale con soggezione ad un altro vincolo unilaterale ma con obbligo.
Gazzoni ritiene che bisogna effettuare una distinzione, in quanto, se è vero che l’opzione di
preliminare unilaterale rappresenta una regressione, sarebbe ammissibile un’ipotesi di
opzione di preliminare bilaterale, perché, nel passaggio da un opzione ad un contratto
preliminare bilaterale, è vero che passiamo da una fonte più forte ad una più debole, però, si
avrà un vincolo che riguarda entrambi i soggetti.
FORMA OPZIONE: La forma dell’opzione è la stessa di quella pretesa dalla legge per il
contratto che si intende concludere (forma per relationem).
RIMEDI RICONOSCIUTI ALL’OPZIONARIO:
Se il concedente aliena il bene a terzi, l’opzionario, esercitato il suo diritto, potrà agire solo
per il risarcimento del danno. In caso di alienazione a terzi, il concedente risponde ex
ART.1337C.C. nei confronti dell’opzionario soccombente. La responsabilità non è
contrattuale, perché, a differenza del preliminare bilaterale, dove è applicabile
l’ART.1218C.C. (responsabilità del debitore al risarcimento del danno), il contratto è solo
eventuale.
L’opzionario è libero di esercitare o meno il diritto di opzione, ma se il suo comportamento
ingenera nel concedente l’affidamento incolpevole sull’esercizio e poi non lo esercita,
risponderà per culpa in contraendo.
4. PRELAZIONE VOLONTARIA:
La prelazione è il diritto di essere preferiti, a parità di condizioni, nella stipulazione di un
contratto.
Si ha quando un soggetto, promittente o concedente, promette ad un altro,
prelazionario, di preferirlo, quando e se deciderà di stipulare il contratto. Il concedente
non è, quindi, obbligato a concludere il contratto, come invece accade nel preliminare e in
parte nell’opzione.
La libertà di contrarre caratterizza la posizione, non solo del prelazionario, ma anche del
promittente; il vincolo attiene solo alla scelta del contraente a parità di condizioni. Dunque,

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in ogni caso, è garantita la libertà in ordine all’an e al quomodo del contratto, perché nel
patto di prelazione non viene fissato il contenuto del futuro (eventuale) contratto; infatti
concedente è libero di trattare come meglio crederà.
L’assoluta libertà di cui gode chi concede la prelazione, induce a ritenere possibile
qualsivoglia comportamento da cui derivi l’impossibilità di addivenire alla conclusione del
contratto, come la trasformazione o la distruzione del bene. Così, ad esempio,
l’appartamento oggetto della vendita, potrebbe essere diviso in due o il suolo edificatorio
edificato, con conseguente libera vendita a terzi degli appartamenti.
Dal patto di prelazione non nasce, dunque, per il promittente un obbligo a contrarre, ma
nascono due obblighi diversi:
- di carattere positivo (facere), di rendere nota al prelazionario l’intenzione di concludere
il contratto a certe condizioni, c.d. DENUNTIATIO.
- di carattere negativo (non facere), di non stipulare il contratto stesso con terzi, prima o
in pendenza della denuntiatio.
Secondo altra, meno attendibile, impostazione, il patto di prelazione, ad esempio di
vendita, sarebbe un contratto preliminare unilaterale purché il promittente decida di vendere
e quindi se c’è tale volontà (si volam).
DISCIPLINA:
Il concedente, quando decide di concludere il contratto, dovrà notificarlo al prelazionario
informandolo sul contenuto dell’accordo eventualmente raggiunto con il terzo. Qualora il
prelazionario possa offrire la stessa condizione del terzo, il concedente dovrà concludere con
il prelazionario.
DENUNTIATIO: è quell’atto con il quale il concedente mette a conoscenza il prelazionario
della propria volontà di contrarre.
Si discute sulla natura giuridica della denuntiatio:
- secondo alcuni, che ricostruiscono la prelazione con un preliminare unilaterale
sottoposto a condizione sospensiva potestativa si volam (se vorrà). Tale teoria che
non ha avuto seguito, considera la DENUNTIATIO come elemento che fa avverare la
condizione sospensiva in quanto rappresenta la comunicazione dell’intenzione di vendere,
ma nel contempo la considera come proposta irrevocabile di concludere il contratto di
compravendita, proposta che il prelazionario può accettare o rifiutare.
Sul piano formale ove si segue tale impostazione cioè si ritiene la prelazione come un
contratto preliminare deve applicarsi l’ART.1351C.C. (secondo cui il contratto preliminare, a
pena di nullità, deve rivestire la stessa forma richiesta per il contratto definitivo) ed è
l’offerta da parte di un terzo che fissa il contenuto del contratto.
- secondo altri ancora, è un invito ad offrire, cioè un atto di adempimento dell’obbligo di
comunicazione delle condizioni per la vendita offerte dai terzi o comunque fissate dallo stesso
concedente e contiene anche l’indicazione di un congruo termine.
Se il prelazionario risponde positivamente, non per questo il contratto è già concluso
automaticamente. La volontà del prelazionario non sarà accettazione, ma proposta, per cui,
per la conclusione, è necessaria l’accettazione del concedente.
Se il prelazionario risponde negativamente, il concedente potrà vendere a terzi a quella
condizioni.
In caso di vendita senza denuntiatio il prelazionario avrà diritto al risarcimento dei danni da
inadempimento.
In tale ottica dunque si nega l’esistenza di un obbligo a contrarre, la forma del patto è
dunque libera cosi come libero è il contenuto del contratto che può essere fissato
direttamente dal promettente anche in assenza di offerte di terzi. (teoria dominante).

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TERMINE DI EFFICACIA:
Il rifiuto di contrarre da parte del prelazionario non consuma il diritto di essere preferito ove
alla denuntiatio non segua la vendita al terzo, ovvero se la vendita si verifica dopo un certo
lasso di tempo che fa sì che le condizioni di vendita risultino sostanzialmente modificate.
L’estinzione del diritto, invece, consegue alla scadenza del termine fissato
convenzionalmente dalle parti nel patto di prelazione, dovendosi quindi distinguere tra il
termine di efficacia del patto e termine per l’adesione alla denuntiatio.
La differenza tra i due termini sta nel fatto che, se il termine per la risposta del
prelazionario non è stato fissato dal promittente, esso sarà fissato avendo riguardo alla
natura dell’affare o agli usi; al contrario il termine di efficacia può essere omesso, senza
necessità di interventi giudiziali, dal momento che con il patto di prelazione non si limita, ma
semplicemente si disciplina la libera disposizione del diritto, quindi non si viola la regola
posta dall’ART.1379C.C.. Il promittente, infatti, resta libero di disporre e di fissare le
condizioni dell’alienazione, con l’unico limite della scelta non libera della persona del
contraente, che si verifica, però, solo se vi è parità di condizioni.
DIFFERENZA TRA PRELAZIONE E PRELIMINARE: sta nel fatto che:
- PRELAZIONE: devo scegliere, se vendo devo vendere a te a parità di condizioni.
- PRELIMINARE: sono obbligato a vendere a te.
5. CONTRATTO NORMATIVO:
Il contratto normativo si ha quando due soggetti raggiungono un accordo nel senso di
fissare il contenuto dei futuri contratti che essi saranno poi liberi di concludere tra loro. Si
dovrebbe dunque parlare di accordo normativo. L’accordo può riguardare:
- singole clausole;
- l’intero contratto, es. contratto-tipo, quando tra le parti si instaurano rapporti contrattuali
sempre identici (es. impresa e fornitori abituali).
Qualora una delle parti non rispetti l’accordo, non si potrà agire ex ART.2932C.C., ma solo
per il risarcimento del danno precontrattuale, perché non vi è l’obbligo di contrarre.
L’accordo, infatti, è un pactum de modo contrahendi, e non un pactum de contraendo.
L’accordo normativo fa, dunque, venir meno, non la libertà di contrarre, ma in tutto o in
parte, le trattative per i successivi contratti (salvo che mutino le condizioni di mercato,
essendo in tal caso contrario alla buona fede pretendere l’esecuzione dell’accordo stesso
senza rinegoziare i contenuti , oppure quando le parti d’intesa inseriscono nel contratto
clausole difformi).
6.LE IMPOSIZIONI LEGISLATIVE:
La legge interviene i diversi modi nel procedimento di formazione del consenso, la forma più
evidente è l’obbligo a contrarre, ad esempio in materia di monopolio legale. Il
monopolista legale deve osservare la parità di trattamento, contraendo alle stesse condizioni
nell’ambito della stessa categoria. In caso di rifiuto a contrarre, il richiedente ha come
rimedio il risarcimento del danno exART.1218C.C. e non ex ART.2043C.C.; inoltre, in
caso di situazioni abnormi, la P.A. potrebbe revocare la concessione all’imprenditore
inadempiente.
Secondo la giurisprudenza, l’ENEL potrebbe rifiutarsi di contrarre nel caso in cui i costi da
sopportare nel singolo caso siano eccessivi, dovendo tale ente operare secondo criteri di
economicità. Il rifiuto potrebbe anche conseguire al fatto che l’utente occupa abusivamente
l’immobile sul quale l’ENEL è chiamato ad operare.
In caso di inadempimento da parte dell’utente, per esempio mancato pagamento del canone
o manomissione del contatore, l’ENEL non può chiedere la risoluzione del contratto, perché
successivamente potrebbe essere obbligato a contrarre di nuovo, ma può sospendere

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l’erogazione dell’energia avvalendosi dell’ART.1460C.C. (eccezione di inadempimento), fermo


restando la richiesta di risarcimento del danno.
In caso di rifiuto a contrarre in ipotesi diverse da quella monopolistica il problema è
ancora più delicato:
In alcune ipotesi è illecito es. se c’è dipendenza economica e se ne abusa, quando si mira a
boicottare un concorrente, oppure quando il rifiuto è motivato da discriminazioni razziali o
politiche , oppure dall’intento di cagionare un danno al richiedente. (molti di questi sono
violazioni di principi costituzionali).
La legge poi interviene nel procedimento di formazione contrattuale anche in altri
modi, prevedendo:
- ad esempio forme di opzione, come nel caso di emissioni di nuove azioni da parte della
società, che devono essere offerte ai soci in proporzione al numero delle azioni già
possedute.
- ad esempio forme di prelazione legale come nel caso di prelazione agraria in favore dei
coltivatori diretti affittuari del fondo, tale diritto di prelazione deve essere esercitato entro 30
giorni dalla denuntiatio ed urbana in favore dei conduttori di immobili destinati ad uso non
abitativo in caso di vendita dell’immobile da parte del proprietario.Tale diritto di prelazione
deve essere esercitato entro 60 giorni dalla denuntiatio.
Tra bene venduto e bene oggetto della prelazione deve esservi identità e non semplice
complementarietà.
La prelazione legale ha efficacia reale ed è opponibile all’acquirente. Pertanto in caso di
omessa denuniatio, costui acquisterà il bene perché il contratto è valido ed efficace, ma tale
acquisto viene meno nel caso di esercizio del diritto potestativo di riscatto da parte del
titolare del diritto di prelazione, con pagamento del prezzo dichiarato nell’atto all’acquirente.
C’è cioè la sostituzione ex tunc di costui all’acquirente, in virtù della sua dichiarazione
unilaterale recettizia subordinata al pagamento del prezzo. Il termine per esercitare il diritto
di riscatto è 6 mesi per la prelazione agraria e un anno per quella urbana, termine che
decorre dalla trascrizione del contratto.
Il prelazionario ha diritto al risarcimento del danno ex ART.2043C.C. ove non abbia
esercitato tempestivamente il diritto di riscatto, se il comportamento del venditore lo ha
indotta a ritenere che non vi fosse stata vendita.
La denuntiatio nella prelazione urbana non proposta contrattuale ma un atto dovuto di
interpello, vincolato nella forma e nel contenuto, e volto a mettere il locatore nelle condizioni
di esercitare il diritto di prelazione.
Anche nella prelazione agricola la denuntiatio è proposta ma non contrattuale quindi
dovrebbe avere la forma libera.
La denuntiatio deve indicare il prezzo e il terzo acquirente.
Il diritto di prelazione nasce de iure quindi può essere rinunziato dal prelazionario che sia
conoscenza delle condizioni di alienazione al terzo. In difetto è nulla per indeterminatezza
dell’oggetto, la forma della rinunzia è libera, anche se per la giurisprudenza no.
- Sui beni di interesse storico – artistico vi è una prelazione legale dello Stato.
DIFFERENZA TRA PRELAZIONE LEGALE E PRELAZIONE VOLONTARIA:
La differenza sta nella:
- fonte: la prima è imposta dalla legge, la seconda è una libera scelta dei contraenti.
- tutela: se è volontaria, il prelazionario non potrà far altro che richiedere il risarcimento
del danno ex ART.1453C.C. per inadempimento contrattuale. La prelazione volontaria infatti
non è opponibile ai terzi e non può dunque essere trascritta.
Se è legale, il prelazionario gode di una tutela reale, quindi, potrà inseguire il bene anche
nei confronti del terzo acquirente e godrà del diritto potestativo di riscatto.

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Esempio: qualora uno dei coeredi vende una quota ereditaria ad un terzo, senza prima
averla offerta agli altri coeredi, questi ultimi potranno rimborsare il terzo della somma che ha
speso per riprendersi la quota. In questo caso si avrà una tutela molto forte.
- efficacia: nella volontaria è obbligatoria, nella legale ha efficacia reale.

IL REGOLAMENTO CONTRATTUALE
1. OGGETTO:
La dottrina ha elaborato la più ampia nozione di CONTENUTO CONTRATTUALE, che
assorbe in sé quella di oggetto. L’ART.1346C.C. stabilisce che “l’oggetto del contratto
deve essere possibile, lecito, determinato o determinabile”.

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- POSSIBILITA’: l’impossibilità può essere:


1)fisica: va valutata sul piano materiale.(es.vendita di beni inesistenti)
2)giuridica: dipende da una valutazione normativa (non conseguente alla violazione di
divieti posti dall’ordinamento giuridico o dai principi del buon costume, ricadendo altrimenti
nell’illiceità). E’ così quando il bene non è suscettibile di essere dedotto in contratto (es.
vendita del possesso) o quando l’oggetto è inidoneo a realizzare lo scopo perseguito. (es.
cessione di ramo d’azienda privo di sufficiente autonomia).
La possibilità dell’oggetto va riferita al momento della produzione degli effetti, cosicchè il
contratto sottoposto a condizione sospensiva o a termine è valido, se la prestazione
inizialmente impossibile diviene possibile prima dell’avveramento della condizione o della
scadenza del termine. (ART.1347C.C.)
- LICEITA’: l’illiceità dell’oggetto va invece valutata al momento in cui il contratto è
stipulato ed in base alla legge in quel momento vigente. L’oggetto del contratto è illecito
quando contrasta con norme imperative, con l’ordine pubblico o con il buon costume.
- DETERMINATEZZA: si ha determinatezza anche quando esso non sia indicato con
assoluta precisione, purché sia chiara la volontà delle parti. Si ha determinabilità quando
l’oggetto è individuabile in base a criteri oggettivi (es. calcoli matematici) o comunque
quando le parti abbiano previsto il procedimento mediante il quale pervenire alla
determinazione.
Le parti possono stabilire in un contratto che uno degli elementi debba essere determinato
d’accordo fra loro in un momento successivo, tale elemento è determinabile ed in tal caso
per la determinazione di questo i contraenti si rimettono al criterio dell’equo apprezzamento
(del giudice) purché dal contratto emergano i criteri per la determinazione. L’oggetto si
ritiene, inoltre, determinato anche nel caso in cui le parti lo abbiano indicato per relationem,
abbiano cioè operato il rinvio ad una fonte esterna, es. altri contratti tra le parti, listini
ufficiali etc.
ART.1348C.C.: stabilisce che la prestazione di cosa futura può essere dedotta in contratto
salvo particolari divieti della legga. Es. ART.458C.C. (divieto di patti successori: taluno
dispone di diritti che gli possono derivare da una futura successione) e ART.771C.C. (divieto
di donazione di cosa futura: la donazione può comprendere solo beni presenti). Il contratto
di cosa futura è perfetto ab initio, essendo presenti tutti gli elementi essenziali, ivi compreso
l’oggetto, che va identificato nella res sperata o in fieri. La non attualità del bene comporta
solamente la nascita di un obbligo a carico della parte volto a rendere possibile il venir ad
esistenza del bene.
2. DETERMINAZIONE AD OPERA DEL TERZO:
La prestazione dedotta nel contratto (oltre che per relationem) può, inoltre, essere
determinata da un terzo (arbitratore), al quale le parti, congiuntamente, deferiscano tale
compito.
L’arbitratore è un prestatore di opera intellettuale e non un mandatario, il cui incarico
sarebbe una procura, che pretenderebbe la stessa forma scritta del contratto, perché egli
svolge un’attività non solo nell’interesse, ma anche nei confronti delle parti e non già di terzi,
e ciò è incompatibile con lo schema del mandato.
L’atto di determinazione è un atto non negoziale, non c’è dunque né problema di forma
n’è di capacità di agire.
Il terzo deve procedere alla determinazione con equo apprezzamento, avuto riguardo a tutte
le circostanze obiettive e prescindendo da considerazioni in ordine alla posizione soggettiva
delle parti. Non si tratta dunque di un giudizio di equità in senso stretto, nonostante la
terminologia, ma è un giudizio di carattere tecnico la decisione dell’arbitratore non è
discrezionale.

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Una valutazione discrezionale è invece possibile se le parti si sono rimesse concordemente al


mero arbitrio del terzo, fermo restando che anche costui deve operare diligentemente e
imparzialmente ,sia pur con libertà di giudizio.
Sul piano della verifica, il giudice può intervenire, con sentenza determinativa, ogni qualvolta
la determinazione sia manifestamente iniqua o erronea, in caso di equo apprezzamento
ovvero, in caso di mero arbitrio, se la decisione del terzo sia viziata da mala fede, per aver
egli intenzionalmente agito in danno di una parte.
L’intervento del giudice è anche previsto qualora il terzo non proceda alla determinazione,
nel caso di equo apprezzamento.
Se il terzo procede in maniera arbitraria le parti possono sostituirlo, ma se non c’è accordo il
contratto è nullo.
L’arbitraggio non va confuso con l’arbitrato rituale ed irrituale che termina con un lodo
che è una decisione analoga ad una sentenza. Gli arbitri risolvono una controversia insorta
tra le parti in ordine all’interpretazione o esecuzione di un contratto già definito in ogni
aspetto.
3.LE CONDIZIONI DEL CONTRATTO:
L’ART.1341C.C. stabilisce che le condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente
da uno dei due contraenti sono efficaci nei confronti dell’altro se al momento della
conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle, usando
l’ordinaria diligenza.
Per condizioni generali si intendono quelle clausole che un soggetto predispone al fine di
regolare in modo uniforme una serie indefinita di rapporti di cui egli diverrà parte. In altre
parole, se un soggetto, per l’attività svolta, ha necessità di contrarre reiteratamente con
riguardo alla stessa materia, potrà predisporre unilateralmente una serie più o meno ampia
di clausole contrattuali che si considereranno inserite nei futuri contratti, se gli altri
contraenti le hanno conosciute o avrebbero dovuto conoscerle usando l’ordinaria diligenza
(es. imprese bancarie, assicurative).
Questa è una palese eccezione alla regola dettata dall’ART.1322C.C. in materia di libertà di
fissare il contenuto del contratto. La dottrina ha provato a spiegare il perché con diverse
teorie:
1)Teoria Normativa: secondo la quale ,le condizioni generali del contratto hanno natura
legale. Proprio per la situazione di supremazia del predisponente sul non predisponente, le
condizioni generali del contratto vengono considerate come una sorta di comando giuridico
che si esprime in una consuetudine e vengono considerate in tale ottica come fonti extra
ordinem del diritto.
2)Teoria Negoziale: secondo la quale le condizioni generali del contratto hanno natura
negoziale, sono frutto cioè di un accordo tra le parti. In tale ottica è facile giustificare la
vincolatività delle clausole riportate o richiamate nel contratto (qui c’è accordo tacito e le
parti sono responsabili di quanto sottoscrivono).
Più difficile è giustificare la vincolatività delle clausole non richiamate.
La dottrina meno recente spiega la vincolatività come conseguenza di una
interpretazione-integrativa della volontà in base alla buona fede che spinge a ritenere
inserito nel contenuto del contratto tutto ciò che il non predisponente avrebbe potuto
conoscere usando l’ordinaria diligenza. L’errore è che un contratto può essere interpretato
solo se completo.
La dottrina più moderna ritiene che il comportamento del non predisponente ha valore di
dichiarazione tipizzata, nel senso che la legge considera accettazione delle clausole la sua
dichiarazione contrattuale in virtù dell’onere di diligenza che la legge prevede per lui.
Non è possibile capovolgere il dettato normativo e ritenere che lo sforzo di diligenza sia a
carico del predisponente il quale dovrebbe rendere conoscibili le clausole alla controparte. E’

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vero che il predisponente ha questo onere deve cioè esternare il contenuto delle clausole
(ad esempio con cartelli affissi nei locali frequentati dai clienti). Ma tra questo onere di
pubblicità e l’onere di diligenza c’è differenza. Il primo onere non ha nulla a che vedere con
la diligenza, ma è necessario tale onere per far assumere rilevanza alla clausola la quale se
non è esternata è irrilevante.
Lo stesso incontro dei consensi è discutibile in caso di condizioni generali del contratto poiché
la determinazione del regolamento è in parte realizzata al di fuori dell’accordo, dunque
’accordo in relazione alle clausole non menzionate esplicitamente ha la solo funzione di
sancire la nascita del vincolo. Di conseguenza la concezione negoziale non può essere
accettata se non con questa precisazione. Quindi non sempre c’è armonia tra voluto e
realizzato come sostiene la dottrina tradizionale che considera la corrispondenza tra voluto e
realizzato come motore della negozialità.
In caso di dubbio nella interpretazione della condizione generale del contratto ,questa deve
essere interpretata in maniera favorevole al non predisponente.
4.CONTRATTO CONCLUSO MEDIANTE MODULI O FORMULARI:
In caso di condizioni generali, parte del contratto è predeterminata unilateralmente. Quando
a contrarre sono imprese che stipulano contratti sempre identici con una massa di clienti, il
contenuto del contratto è predisposto, sempre unilateralmente, mediante moduli o formulari
prestampati, come nel caso di contratti bancari o assicurativi. Il contratto si conclude, in ogni
caso, con la sottoscrizione da parte dell’aderente.
5.CLAUSOLE VESSATORIE:
Un pericolo comune alle condizioni generali del contratto e ai contratti per adesione è che, in
assenza di trattative, al non predisponente potrebbero essere imposte clausole vessatorie.
Bisogna distinguere tra:
Professionista: persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che contrae esercitando la sua
attività professionale o imprenditoriale.
Consumatore: che contrae per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale
svolta.
Distinguiamo in tale ottica :
A)Contratti tra professionisti o tra consumatori: cioè tra soggetti che si presumono di
pari forza, le clausole vessatorie contenute in condizioni generali o moduli o formulari,
devono essere approvate per iscritto. Sono vessatorie, e tale elencazione è tassativa,
quelle clausole che:
1)stabiliscono a favore di colui che le ha predisposte limitazioni di responsabilità ovvero
facoltà di recedere dal contratto o di sospendere l’esecuzione.
2)sanciscono a carico del non predisponente ,decadenze ,limitazioni , alla facoltà di opporre
eccezioni ovvero restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.
(es. patto di non concorrenza o divieto di alienazione).
3)stabiliscono la proroga tacita o la rinnovazione del contratto.
4)deferiscono ad arbitri rituali la risoluzione delle controversie oppure stabiliscono deroghe
alla competenza territoriale dell’autorità giudiziaria che è sempre quella del foro del
consumatore.
L’approvazione scritta del contraente non predisponente è richiesta ad substantiam, deve
essere specifica, ma può essere anche cumulativa. Nell’ipotesi in cui la clausola vessatoria
non sia approvata per iscritto dal contraente cioè non venga rispettato tale requisito, ci
sono due pareri:
1)secondo una tesi, la clausola vessatoria non approvata se conoscibile, sarebbe nulla per
difetto di forma ad substantiam e si applicherebbe l’ART.1419C.C.. Tale articolo afferma
che a nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i
contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla

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nullità. La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole
nulle sono sostituite di diritto da norme imperative.
2)secondo altra tesi vi è soltanto l’inefficacia della clausola che non va ad inficiare la
validità del contratto.
L’approvazione scritta non è pretesa se la clausola vessatoria è prevista da un decreto
ministeriale o riproduce un uso normativo, o se il contratto ha la forma dell’atto pubblico in
tal caso è il notaio che accerta che essa sia frutto della volontà di entrambi i contraenti.
B)Contratto tra professionista e consumatore:
Se costoro concludono un contratto è fortemente tutelata la posizione del consumatore
considerato soggetto debole; infatti, si ritengono vessatorie tutte quelle clausole che pur non
contrarie a buona fede, in quanto giustificate da apprezzabili interessi del professionista,
determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio tra diritti e degli obblighi
derivanti dal contratto.
Il giudizio di vessatorietà va fatto in relazione al singolo contratto. Infatti la vessatorietà
va valutata tenuto conto:
1)della natura del bene o del servizio.
2)dalle circostanze esistenti al momento della conclusione.
3)dall’insieme delle clausole del contratto.
La valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione
dell'oggetto del contratto, ne all'adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purche'
tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile.
Non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che siano
riproduttive di disposizioni o attuative di principi contenuti in convenzioni internazionali delle
quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell'Unione europea o l'Unione europea.
Non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa
individuale.
Nel contratto concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari predisposti per
disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti contrattuali, incombe sul professionista
l'onere di provare che le clausole, o gli elementi di clausola, malgrado siano dal medesimo
unilateralmente predisposti, siano stati oggetto di specifica trattativa con il consumatore.
D.LGS.206/2005ART.33: elenca 20 clausole che si presumono vessatorie salvo
assenza di significativi squilibri o talune deroghe, esse prevedono :
A)in favore del professionista:
1)escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danni alla
persona del consumatore.
2)riconoscere al solo professionista e non anche al consumatore la facoltà di recedere dal
contratto, nonche' consentire al professionista di trattenere anche solo in parte la somma
versata dal consumatore a titolo di corrispettivo per prestazioni non ancora adempiute,
quando sia il professionista a recedere dal contratto.
3)consentire al professionista di modificare unilateralmente le clausole del contratto, ovvero
le caratteristiche del prodotto o del servizio da fornire, senza un giustificato motivo indicato
nel contratto stesso.
4)consentire al professionista di aumentare il prezzo del bene o del servizio senza che il
consumatore possa recedere se il prezzo finale è eccessivamente elevato rispetto a quello
originariamente convenuto.
5)riservare al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del
servizio prestato a quello previsto nel contratto o conferirgli il diritto esclusivo d'interpretare
una clausola qualsiasi del contratto.

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6)consentire al professionista di sostituire a se' un terzo nei rapporti derivanti dal contratto,
anche nel caso di preventivo consenso del consumatore, qualora risulti diminuita la tutela dei
diritti di quest'ultimo.
B)a danno del consumatore:
1)escludere o limitare le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista o di
un'altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte
del professionista.
2)escludere o limitare l'opportunità da parte del consumatore della compensazione di un
debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest'ultimo.
3)restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti con i terzi.
4)stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di
residenza o domicilio elettivo del consumatore.
5)imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell'adempimento, il
pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo
equivalente d'importo manifestamente eccessivo.
6)prevedere l'estensione dell'adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la
possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto.
7)stabilire un termine eccessivamente anticipato rispetto alla scadenza del contratto per
comunicare la disdetta al fine di evitare la tacita proroga o rinnovazione.
NULLITA’ DI PROTEZIONE:
- Le clausole considerate vessatorie sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto.
Non si applica l’ART.1419C.C.
- La nullità opera soltanto a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d'ufficio dal
giudice.
- Il venditore ha diritto di regresso nei confronti del fornitore (ex ART.2043C.C.) per i danni
che ha subito in conseguenza della declaratoria di nullità delle clausole dichiarate abusive.

AZIONE INIBITORIA: Le associazioni rappresentative dei consumatori, le associazioni


rappresentative dei professionisti e le camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, possono convenire in giudizio il professionista o l'associazione di professionisti
che utilizzano, o che raccomandano l'utilizzo di condizioni generali di contratto e richiedere al
giudice competente che inibisca l'uso delle condizioni di cui sia dichiarata la vessatorietà.
L'inibitoria può essere concessa, quando ricorrono giusti motivi di urgenza.
L’urgenza si configura non in relazione al pregiudizio irreparabile del singolo consumatore,
ma, più in generale, all’idoneità della clausola abusiva ad incidere, in termini qualitativi, su
diritti soggettivi fondamentali della persona o su beni primari.
Il giudice può ordinare che il provvedimento sia pubblicato in uno o più giornali, di cui uno
almeno a diffusione nazionale.
Le clausole proposte al consumatore per iscritto devono essere redatte in modo chiaro e
comprensibile e si interpretano a suo favore. In difetto di chiarezza la clausola vessatoria è
valida ed efficace ma consente al giudice di estendere la valutazione della vessatorietà alla
determinazione dell’oggetto e alla adeguatezza del corrispettivo.
SOSTITUZIONE AUTOMATICA DI CLAUSOLE: le clausole, i prezzi dei beni o di servizi,
imposti dalla legge, sono di diritto inseriti nel contratto, anche in sostituzione delle clausole
difformi apposte dalle parti. La norma dà al legislatore il potere di limitare l’autonomia
privata per favorire il contraente più debole. L’ART.1339C.C. non opera solo in chiave
sostitutiva, infatti la clausola legale è inserita de iure nel contratto anche quando le parti non
abbiano pattuito una clausola difforme. Ciò significa che non sempre si avrà una duplice
operazione:
-nullità della clausola pattuita per illiceità derivante da contrarietà a norme imperative.

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-sostituzione della clausola nulla con quella legale.


Non si può parlare di conversione, perché è del tutto assente un qualsiasi tipo di indagine
sulla volontà dei contraenti di mantenere in vita o meno il contratto così modificato.
La tecnica normativa è quella della conservazione affidata all’ART.1419C.C., secondo cui
la nullità di singole clausole non comporta la nullità dell’intero contratto, quando queste
vengono sostituite di diritto da norme imperative. La moderna dottrina spiega, invece, la
norma o come volta a perseguire il presumibile interesse delle parti o in chiave di pluralità
delle fonti di regolamentazione del contratto, ovvero più correttamente in chiave di esistenza
di obblighi di comportamento imposti dai privati già prima della conclusione del contratto e
che se inadempiuti, comportano la modifica dell’assetto pattizio, o in caso di rifiuto di
contrarre alle condizioni di legge, è prevista una responsabilità analoga a quella
precontrattuale prevista per l’ingiustificato recesso dalle trattative.
Per legge deve intendersi qualunque norma avente valore di legge in senso sostanziale,
quindi anche i regolamenti; inoltre la legge può rinviare anche ad un atto amministrativo.
CLAUSOLE D’USO: si intendono inserite nel contratto se non risulta che non sono state
volute dalle parti. L’ART.1340C.C. fa riferimento agli usi negoziali, che si distinguono da
quelli interpretativi previsti dall’ART.1368C.C., da quelli individuali e da quelli normativi
previsti dall’ART.1374C.C.. Essi costituiscono delle pratiche comunemente e costantemente
osservate nelle operazioni contrattuali in un dato luogo o ramo del commercio. C’è chi
ritiene che abbiano carattere contrattuale. Altra dottrina invece ritiene che anche gli usi
previsti dall’ART.1340C.C. siano fonti del diritto perché volti a precostruire un regolamento
contrattuale.
Se l’uso ha carattere contrattuale allora potrà derogare norme di legge e prevale sulle norme
suppletive, mentre se si ritiene che l’uso abbia carattere normativo la legge prevarrebbe
sempre sull’uso.
A sostegno della tesi contrattuale c’è l’osservazione che solo in tale ottica l’ART.1340C.C.
si distingue dall’ART.1374C.C., altrimenti sarebbe un doppione.
A metà strada tra l’uso individuale e quello contrattuale, vi è l’uso aziendale, che può
formarsi all’interno di un’azienda a seguito di un reiterato comportamento del datore di
lavoro, purché spontaneo. Esso si inserisce automaticamente nei singoli contratti individuali
di lavoro, con attitudine ad integrare o derogare, solo in senso più favorevole per il
dipendente, la disciplina fissata dalla contrattazione collettiva.

LA FORMA
La forma è il modo con cui la volontà negoziale è manifestata. La forma è quindi il modo con
cui la volontà negoziale si esteriorizza, è, infatti, giuridicamente rilevante soltanto la volontà
che viene portata all’esterno attraverso o la dichiarazione o comportamenti concludenti. Non
ha infatti valore la riserva mentale.
Secondo altri invece è la rappresentazione (aspetto) esteriore dell’atto.

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Talvolta la forma svolge funzione diversa non riconducibile sempre e solo ad un problema di
esteriorizzazione dell’atto, come nel caso della forma vincolata dove c’è la necessità di
adottare la forma scritta (e può avere la forma della scrittura privata o dell’atto pubblico).
La forma assolve esigenze particolari dell’ordinamento:
- Certezza: richiama l’attenzione dell’autore dell’atto sulla portata giuridica e sulle
conseguenze economiche che da esso discendono.
- Pubblicità: offre l’opportunità di rendere pubblici certi atti a causa degli effetti prodotti,
specie ad es. quando si tratta di diritti reali immobiliari. Pertanto, attraverso la pubblicità
l’atto, che ha efficacia tra le parti, può essere opponibile anche ai terzi. Talvolta è lo stesso
legislatore che riferisce la necessità della forma alla pubblicità e non alla conclusione del
contratto. Es. in caso di trasferimenti di autoveicoli il contratto si perfeziona anche
oralmente, ma è pretesa una dichiarazione scritta del venditore con firma autenticata ai fini
della trascrizione al PRA, anche le società di persone nascono da un accordo orale, ma l’atto
costitutivo deve avere la forma dell’atto pubblico per poter essere inserito nel registro delle
imprese.
- Certificazione: la forma è in questi casi collegata all’attività di certificazione di un fatto
storico già accaduto. Es. verbalizzazioni di assemblea.
- Opponibilità: rendere opponibile al terzo gli effetti dell’atto concluso dalle parti come ad
es. per la vendita di beni.
- Notificazione: dirime le controversie tra i terzi, come nel caso di pluralità di cessione del
credito, là dove prevale il creditore che per primo ha notificato al debitore la propria cessione
nelle forme e nei modi previsti dalla legge.
2. FORMA AD SUBSTANTIAM:
La legge talvolta prevede la forma scritta a pena di invalidità dell’atto, forma scritta ad
substantiam.
La forma ad substantiam è imposta dalla legge al fine di giuridicizzare l’operazione
sottraendo così ai privati la libertà di scelta in materia. In tal caso la forma assurge, quindi,
ad elemento essenziale del contratto, ex ART.1418CO.2C.C. si avrà nullità dell’atto in
caso di mancata osservanza di tale forma, proprio perché assurge ad elemento essenziale
del contratto previsto dall’ART.1325C.C..
La conseguenza è che i privati non potranno convalidare l’atto carente di forma perché, in
base all’ART.1423C.C., l’atto nullo non può essere convalidato. Si potrà avere rinnovazione
dell’atto con efficacia ex nunc.
Il documento dovrà, però, contenere l’estrinsecazione formale e diretta della volontà delle
parti di concludere quel determinato negozio. Non è possibile, pur osservando la forma
dovuta, un accertamento, una confessione, una ricognizione, una ripetizione, perché il
negozio da riconoscere, accertare, ripetere non è viziato, ma inesistente.
- Secondo una parte della dottrina, dal contratto nullo per vizio formale nasce
un’obbligazione naturale con un’eccezione in base alla quale non si può pretendere
l’adempimento, ma neppure si deve restituire ciò che si è ricevuto a titolo di pagamento.
- Secondo Gazzoni tale obbligazione risulterebbe contra legem, quindi non protetta
dall’ordinamento, onde è sempre prevista l’azione di ripetizione nei limiti fissati dalla legge.
- La giurisprudenza tende comunque ad attenuare il rigore formale (ridurre il formalismo),
infatti è ammessa la conferma della donazione orale e pertanto anche in questo caso la
nullità della donazione non può essere fatta valere dagli eredi o aventi causa del donante
che, conoscendo la causa della nullità, hanno, dopo la morte di lui, confermato la donazione
o vi hanno dato volontariamente esecuzione.
Si ha, invece, un’accentuazione del rigore formale (formalismo) se si segue l’orientamento
favorevole all’estensione delle norme dettate in materia di forma ad substantiam ad ipotesi
non espressamente previste in virtù dell’espressione “la forma è elemento essenziale del

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contratto, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità”. In particolare
per quei negozi che risolvono, revocano o comunque vengono ad incidere sui diritti nati da
un precedente contratto con forma scritta ad substantiam, oppure che ad esso si collegano
come nella cessione del contratto o in caso convalida espressa.
- Perlingieri dice invece che bisogna procedere caso per caso, e che non si può fare
coincidere le norme sulla forma vincolata con quelle inderogabili e di ordine pubblico.
Bisogna però sempre tener conto che il principio che permea la disciplina della forma è quello
della libertà della forma. L’eccezionalità della forma ad substantiam non può non condurre
ad una interpretazione restrittiva delle singole norme, anche perché il limite formale si
atteggia, a ben vedere, come un vero limite all’autonomia delle parti.
- Secondo Natalino Irti, non è valido il principio della libertà delle forme e quindi
dall’ART.1325C.C. si desumerebbe l’esistenza di due categorie di contratti:
1) a struttura debole, in cui la forma sarebbe assorbita dall’accordo.
2) a struttura forte, dove la forma sarebbe pretesa dalla legge.
Non è, quindi, possibile stabilire qual è la regola e qual è l’eccezione. Secondo Grasso,
invece, si può osservare che l’ART.1325C.C. contempla due ipotesi:
1) prevede quale requisito del contratto la forma quando essa è prevista a pena di nullità.
2) non prevede tale requisito, implicitamente lo esclude in tutti gli altri casi, essendo così la
regola laddove l’altra è l’eccezione.
Bisogna sicuramente sottolineare che quando si fa riferimento alla forma non si intende
esclusivamente la forma scritta, in quanto anche l’oralità, il comportamento omissivo o
commissivo rilevano sul piano della forma. Può invece sostenersi che la forma scritta ha
carattere eccezionale.
Stranamente liberale è la giurisprudenza quando afferma che il consenso relativamente ad
un certo contenuto racchiuso nella scrittura potrebbe essere manifestato con una
dichiarazione non esplicita.
La scrittura è forma della dichiarazione espressa, ma non può esserlo nel contempo forma
della dichiarazione tacita o indiretta. Quando è richiesta la forma scritta è necessario che vi
sia tra volontà e scritto una corrispondenza immediata e diretta, se non altro per esigenze di
certezza. È necessario che lo scritto esprima la volontà negoziale. Es. volontà di disporre.
Bisogna inoltre distinguere:
- Contenuto minimo del contratto: è connesso agli effetti tipici che le parti intendono
produrre ed è quel atto da cui rivela l’intento di conseguire il risultato corrispondente a quel
tipo di effetto e quindi allo schema tipico dell’atto. Es. in caso di compravendita immobiliare
dall’atto scritto deve risultare chiaramente l’intento dispositivo e l’oggetto. Non è ad es.
necessaria l’indicazione delle clausole accessorie di carattere esecutivo, quali quelle che
fissano il tempo o il luogo dell’adempimento, in quanto non sono rilevanti per l’individuazione
del tipo contrattuale.
- Contenuto effettivo del contratto: l’insieme delle pattuizioni concluse concretamente, di
volta in volta dai privati, in base al potere di autonomia riconosciuto alle parti mediante
l’aggiunta di clausole allo schema tipico previsto dalla legge cioè il contenuto minimo.
Ovviamente tale distinzione rileva solo sul piano della forma, poiché ad es. sul piano
sostanziale una clausola accidentale può risultare essenziale in concreto. Tale distinzione ha
una sua rilevanza quando si tratta di risolvere il problema dei limiti della relatio nei negozi
formali. La relatio è quel richiamo, nel corpo del contratto, ad un dato esterno già esistente
in rerum natura, dunque è una integrazione ab extra del contenuto del contratto.
In dottrina si ammette (seppur entro certi limiti), la relatio, perché solo il contenuto minimo
deve risultare dal documento, cosicché quello ulteriore può anche essere fissato con riguardo
ad una fonte esterna.
Bisogna distinguere:

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- quando la fonte esterna consiste in un accordo formale già raggiunto dalle parti, nulla
quaestio.
- quando si tratta di un contratto stipulato da terzi in un giornale o modulo, la dottrina
risolve questo problema in chiave probatoria osservando che, ferma restando la validità della
relatio, se il contenuto de relato si è inserito automaticamente, in virtù della relatio, nel
contenuto documentale, valendo anche come pattizio, dovrà sottostare alle limitazioni
probatorie (prevista dall’ART.2725C.C. pure se proveniente da fonte esterna alle parti) che
prevedono l’esclusione della prova per testi e quella presuntiva al fine di garantire l’esigenza
di certezza che è alla base della prescrizione sulla forma.
Per quanto riguarda le modalità dell’atto scritto, esso può anche non essere redatto dalle
parti, che devono però in ogni caso sottoscriverlo, es. contratto concluso mediante moduli o
formulari, contratto redatto dal notaio. Un’ipotesi particolare è quella del bianco segno.
Se le parti controvertono su di una determinata questione ed intendono raggiungere un
accordo di carattere transattivo, possono deferire ad arbitri irrituali il compito di comporre la
lite. Essi fisseranno il contenuto dell’accordo che sarà riprodotto in un foglio consegnatogli
previamente sottoscritto dalle parti stesse. È questa un’eccezionalità poiché non è
ammissibile una dichiarazione in bianco non sorretta da un’adeguata volontà, non potendosi
ritenere tale quella di accettare previamente ogni regolamento degli interessi disposto da
terzi.
Il Telegramma: non ha l’efficacia probatoria della scrittura privata se non è stato
sottoscritto in originale, salvo che sia stato consegnato o fatto consegnare dal mittente.
Il Telefax: è mezzo idoneo per la conclusione di contratti formali; infatti è idoneo per la
trasmissione di copia della dichiarazione sottoscritta in originale. Le parti possono prevedere
che l’efficacia del contratto sia condizionata dallo scambio, sempre mediante fax, degli
originali. Sul piano probatorio, il fax potrebbe essere disconosciuto trattandosi di copia
fotografica di scrittura.
3.FORMA AD PROBATIONEM:
La legge può prevedere che la forma scritta non vada a rilevare sulla validità del contratto,
ma a fini probatori. Es. transazione, patto di non concorrenza. Non è pertanto ammessa la
prova per testi, salvo che il documento sia smarrito senza colpa poiché in questo caso la
prova per testimoni è ammessa in ogni caso, né di conseguenza quella per presunzioni,
cosicché residua solamente la possibilità della confessione e del giuramento.
La dottrina sostiene che il legislatore, richiamandosi alla forma ad probationem, in realtà ha
voluto introdurre taluni limiti probatori e nulla ha, dunque, a che fare tale forma con la forma
vincolata che mira ad esteriorizzare la volontà. Bisogna quindi sottolineare:
- che al pari della forma ad substantiam è una forma vincolata.
- che opera esclusivamente sul piano processuale.
Essa è una forma della prova, non forma dell’atto; si tratta di un ulteriore funzione della
forma che non può dirsi sempre e solo necessaria ai fini dell’esteriorizzazione; pertanto, al di
fuori del piano processuale, il contratto sarà efficace in qualsiasi forma realizzato, non
andando ad incidere la forma ad probationem sul piano sostanziale.
4.LA SOTTOSCRIZIONE:
Quando si stipula per iscritto un contratto, assume carattere essenziale la sottoscrizione ad
opera dei contraenti. Ha una duplice funzione:
1)individuare gli autori della scrittura.
2)attesta circa l’assunzione degli impegni risultanti dal testo scritto.
Pertanto, la sottoscrizione deve essere autografa e idonea ad individuare
inequivocabilmente il soggetto, può essere apposta anche con uno pseudonimo etc., purché
non generi incertezza circa il sottoscrittore (il crocesegno non è ammesso). La sottoscrizione
(si trova in calce o a margine dell’atto) è il momento finale della sequenza di

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perfezionamento del contratto formale e la sua mancanza impedisce che l’accordo possa
ritenersi raggiunto se la forma scritta è richiesta ad substantiam, ovvero possa essere
provato se la forma scritta è richiesta ad probationem. Essendo un elemento a sé stante, non
facente parte del contenuto del contratto, si discute in dottrina se essa debba osservare le
forme pretese dalla legge per gli atti rigidamente formali. Ciò va tenuto presente per stabilire
se alla mancata sottoscrizione di una scrittura privata può sostituirsi la produzione in giudizio
della scrittura stessa ad opera della parte che non l’ha sottoscritta, la quale voglia concludere
il contratto per avvalersene.
L’assenza di sottoscrizione impedisce la conclusione del contratto, pertanto un soggetto, sia
per ottenere la conclusione del contratto, sia per dimostrare che esso è stato concluso, non
può produrre in giudizio una copia del contratto non sottoscritta da tutte le parti, in quanto
esibisce una proposta contrattuale ancora non accettata.
Il problema sta nello stabilire se l’accettazione può derivare dell’esibizione in giudizio anziché
della sottoscrizione.
Non si ammettono equipollenti in caso di forma ad substantiam cosicché l’esibizione in
giudizio, collegata alla domanda di esecuzione, potrà avere solo valore confessorio con
riguardo all’esistenza ed al contenuto del contratto, ma non può costituire titolo per
l’esecuzione del contratto.
L’equipollenza è ammessa dalla giurisprudenza in caso di forma ad probationem se la parte
che non ha sottoscritto chiede l’esecuzione. Ciò è possibile poiché:
- le sottoscrizioni non devono essere contestuali;
- equivarrebbe a sottoscrizione manifestazione di volontà l’inequivocabile di avvalersi del
negozio documentato dalla scrittura incompleta, anche perché varrebbe la sottoscrizione
della procura rilasciata al difensore, essendo la domanda giudiziale inscindibilmente legata e
dipendente dalla scrittura prodotta. Allora il contratto si dovrebbe concludere al momento
della notifica e non dell’esibizione.
Esistono dei limiti a tale equipollenza, infatti l’esibizione deve avvenire nei confronti di chi ha
sottoscritto ad opera del legale della parte che non ha sottoscritto e non di un terzo, anche
se erede. Infatti, poiché qui si ha accettazione, la morte della parte fa venir meno la facoltà
di accettare la proposta.
La produzione non vale accettazione quando la controparte che ha sottoscritto abbia nel
frattempo manifestato in modo non equivoco la volontà di non eseguire il contratto,
revocando il proprio consenso, o vi sia stata morte della parte o incapacità sopravvenuta
dello stesso.
La giurisprudenza ammette anche un’accettazione stragiudiziale che può essere operata dalla
parte che non ha sottoscritto il contratto, qualora costei manifesti anche implicitamente il
consenso, purché tale manifestazione risulta da uno scritto indirizzato alla controparte che
ha sottoscritto, quale, ad esempio, una lettera con cui si sollecita l’adempimento degli
obblighi previsti nella scrittura , anche in tal caso, opera il limite della revoca, della morte e
della sopravvenuta incapacità della controparte. Tale limite non opera se la seconda
sottoscrizione è espressa in un documento separato, ma coevo, purché inscindibilmente
collegato al primo. Es. preliminare sottoscritto dal solo promittente venditore, ma con
dichiarazione che il promittente compratore ha consegnato un assegno in conto del prezzo;
l’assegno infatti racchiude in sé la seconda sottoscrizione atta ad integrare l’accordo formale.
Gazzoni non concorda con questi orientamenti giurisprudenziali, in quanto l’accettazione
deve sempre giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente
necessario, secondo la natura degli affari o degli usi, sicché la produzione in giudizio
risulterebbe sempre tardiva. Sembra, quindi, più corretto fissare la conclusione del contratto,
non al momento dell’esibizione, ma della stipulazione, cioè non già ex nunc, ma ex tunc, pur
mancando agli atti del giudizio la prova documentale dell’intervenuta conclusione.

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5.DOCUMENTO INFORMATICO:
Il documento informatico è la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente
rilevanti.
La firma elettronica è l'insieme dei dati in forma elettronica utilizzati come metodo di
identificazione informatica. E’ quindi la forma più debole di firma in ambito informatico, in
quanto non prevede meccanismi di autenticazione del firmatario o di integrità del dato
firmato.
Una firma elettronica qualificata è definita come "la firma elettronica ottenuta attraverso
una procedura informatica che garantisce la connessione univoca al firmatario, creata con
mezzi sui quali il firmatario può conservare un controllo esclusivo e collegata ai dati ai quali
si riferisce in modo da consentire di rilevare se i dati stessi siano stati successivamente
modificati, è quindi una forma di firma sicura, che esaudisce le richieste della Direttiva
Europea 1999/93/CE.
In ultimo, ma più importante di tutte, almeno nell'ordinamento italiano, c'è la firma digitale
definita come "un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di
chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare
tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di
rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o
di un insieme di documenti informatici": la norma introduce quindi l'uso di algoritmi di
crittografia a chiave pubblica.
Il documento informatico, cui è apposta una firma elettronica, sul piano probatorio è
liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità e
sicurezza. Il documento informatico sottoscritto con firma digitale o con un altro tipo di firma
elettronica qualificata ha valore di scrittura privata se autenticata.
6.FORMA VOLONTARIA:
L’ART.1352C.C. stabilisce che se le parti hanno convenuto per iscritto di adottare una
determinata forma per la futura conclusione di un contratto, si presume che la forma sia
stata voluta per la validità di questo. La forma è quindi richiesta ad substantiam. La norma
è estendibile anche agli atti unilaterali che seguono alla conclusione di un contratto, es.
recesso dal rapporto di lavoro.
In dottrina si discute se questa norma pone:
- una vera e propria presunzione iuris tantum di invalidità;
- detta una regola di interpretazione oggettiva da utilizzarsi subordinatamente alle regole di
interpretazione soggettiva.
Il patto ha carattere configurativo e non dispositivo poiché con esso le parti fissano le regole
che esse stesse dovranno osservare sulla forma nella futura contrattazione. È solo poi con la
contrattazione che dispongono dei loro interessi, si ha quindi tra le parti un accordo, non un
contratto. Il vincolo, comportando un limite all’autonomia privata ed alla libertà formale,
nasce solo se il patto riveste la forma scritta.
Se vi è inosservanza della forma volontaria: secondo la dottrina dominante la nullità è
rilevabile ex officio, altri parlano di inefficacia.
Gazzoni afferma che in questo caso pur trattandosi di nullità, non si ha violazione di norme
inderogabili, infatti la fissazione della forma ad substantiam è frutto di un accordo privato.
Pertanto la nullità secondo Gazzoni potrebbe essere fatta valere sola dalla parte interessata,
la quale potrebbe anche rinunciarvi mediante esecuzione spontanea o altrimenti rinunciarvi
(senza la necessita la forma scritta).
E’ invalido il contratto che al momento della sua conclusione, presenta uno o più difetti
“gravi” che riguardano la struttura del contratto, il quale non potrà produrre gli effetti che le
parti intendevano raggiungere (un contratto invalido è anche inefficacie).
Le cause di invalidità di un contratto sono:

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- la nullità;
- l’annullabilità;
- la rescissione.
E’ inefficace quel contratto che, anche se perfettamente valido, non può ancora produrre i
suoi effetti per via della mancanza di un elemento, che deve attuarsi in un momento
successivo (es. un contratto di compravendita sottoposto a condizione sospensiva o a
termine iniziale; finché la condizione o il termine non si avvereranno, il contratto non
produrrà effetti).
7.LA RIPETIZIONE DEL CONTRATTO:
La ripetizione si ha quando le parti si vincolano alla futura ripetizione in altra forma del
contratto già concluso, come nel "caso di un contratto orale di compravendita di bene mobile
registrato (ad es. autoveicolo), che debba essere ripetuto per atto pubblico ai fini della
trascrizione". Si ha, dunque, un contratto già concluso in forma invalida, da ripetere perché i
medesimi effetti pattuiti siano validi.
Da questa si deve distinguere la riproduzione, con la quale le parti riproducono
integralmente il testo di un contratto già concluso per sostituire il documento andato
smarrito o per disporre altre copie originali da poter utilizzare, per esempio, per la
registrazione del contratto o per depositarlo presso una banca.
Altra cosa ancora è la ricognizione, con la quale le parti operano un mero accertamento
dell’esistenza e del contenuto di un contratto, come nel caso di ricognizione operata dal
concedente enfiteutico nei confronti di chi si trova nel possesso del fondo, per evitare il
maturarsi dell’usucapione. L’atto di ricognizione ha una funzione meramente probatoria, così
come la riproduzione, però, mentre quest’ultimo non fa sorgere problemi di difformità poiché
l’atto sarà identico a quello riprodotto, questo problema sorge, invece, per la ricognizione,
risolto, però, dall’ART.2720C.C. in chiave di errore, con la produzione dell’originale.
L’ART.2720C.C. accomuna, sul piano disciplinare, l’atto di ricognizione a quello di
rinnovazione. In realtà sono diversi:
- La rinnovazione si verifica quando le parti hanno posto in essere un contratto nullo ed
intendono rinnovarlo.
In tal caso non ci sono problemi probatori o di possibile divergenza dovuta ad errore, perchè
il contratto successivo sostituisce ad ogni effetto quello precedente rinnovato.
- Al contrario l’atto di ricognizione non sostituisce l’atto originario qualora esso sia stato fin
dall’origine invalido.
Di rinnovazione si parla anche nel caso in cui il primo contratto sia valido, ma venga
sostituito, con efficacia ex nunc, da altro contratto di contenuto identico, in tal caso si più
vicini alla ripetizione.
La ripetizione si distingue dalla ricognizione, perché non ha funzione meramente
probatoria, si distingue dalla rinnovazione perché il contratto ripetuto è di se per se valido
ed efficace.
Quanto alla natura giuridica, il negozio successivo non ha valore di esecuzione del
precedente, né è una mera integrazione formale, quindi si nega l’esistenza di un’autonoma
volontà e di un’autonoma causa; il negozio successivo è identico al primo, quindi non si può
manifestare di nuovo un identico consenso.
Secondo altri, il negozio successivo costituirebbe un ulteriore fonte del rapporto. La
ripetizione dimostrerebbe la possibilità di ipotizzare la pluralità di fonti contrattuali
equivalenti, con la conseguenza che uno steso rapporto potrebbe anche avere titolo in più
manifestazioni di consenso.
Se i privati possono dar vita ad una pluralità di documenti che rappresentano lo stesso titolo
(riproduzione) non si comprende perché essi dovrebbero dar vita ad una pluralità di fonti

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equivalenti. Bisogna distinguere pero caso per caso a volte infatti ipotesi di ripetizione
apparente racchiudono in se una giustificazione diversa. Così i contraenti possono ripetere
per rimuovere dubbi o incertezze, avendosi così un negozio di accertamento, oppure per
interpretare o per superare un vizio che avrebbe comportato annullabilità del primo
contratto, essendo così in presenza di convalida.
Al di fuori di questi casi, i contraenti potrebbero operare una rinnovazione per rinnovare il
rapporto o mantenerlo in vita, o per rendere il contratto opponibile a terzi:
1)Il primo caso si verifica, ad esempio, quando essi, per evitare ogni discussione sul potere
di rappresentanza e sulla procura, stipulano di nuovo, ma questa volta personalmente, un
contratto già precedentemente concluso tramite i propri rappresentanti. Il secondo contratto
estinguerà il primo e si sostituirà con effetto ex nunc.
2)Il secondo caso si verifica quando le parti hanno concluso per scrittura privata un
contratto soggetto a trascrizione ai sensi dell’ART.2643C.C., obbligandosi a ripeterlo per atto
pubblico al fine di renderlo opponibile ai terzi. Il successivo contratto notarile varrà come
autenticazione della precedente scrittura privata. Se una delle parti si rifiuta di stipulare il
successivo atto pubblico ripetitivo, la parte adempiente non potrà invocare l’ART.2932C.C.,
come se l’obbligo venisse da un preliminare. La parte dovrà agire in giudizio per
l’accertamento dell’autenticità delle sottoscrizioni, e questa domanda è trascrivibile, se la
scrittura privata contiene uno degli atti di cui all’ART.2643C.C..
L’azione è imprescrittibile (nel caso in cui si tratti di vendita) perché è di accertamento e non
perché è un atto di esercizio di una facoltà del diritto di proprietà già acquisito per scrittura
privata, come ritiene la giurisprudenza. L’obbligo che le parti assumono con la scrittura
privata di presentarsi alla ripetizione notarile, non si prescrive, nemmeno in 10 anni. È un
obbligo che non attiene al profilo dispositivo del contratto, ma accertativo dell’autenticità
delle sottoscrizioni.

GLI ELEMENTI ACCIDENTALI


Mentre gli elementi essenziali (ART.1325C.C.) sono richiesti dal legislatore, a pena di nullità,
per l’esistenza e la validità del negozio giuridico, gli elementi accidentali sono rimessi alla
volontà delle parti, ma una volta inseriti costituiscono parte integrante del regolamento
negoziale e incidono sugli effetti del negozio giuridico. In sostanza gli elementi accidentali
sono clausole, mediante le quali i privati danno rilevanza giuridica ai motivi individuali,
inserendoli espressamente nel contenuto del contratto. Tali elementi sono: la condizione, il
termine ed il modus. Quando parliamo di elementi accidentali, l’accidentalità è in astratto
cioè nei confronti del tipo legale ma non in concreto cioè se riferita alla effettiva volontà delle
parti. Per questo un elemento accidentale in astratto può essere in concreto essenziale per le
parti.

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2. CONDIZIONE:
La condizione incide sull’an (se contrarre o meno) non può essere apposta ai negozi puri
(detti anche actus legitimi) es. matrimonio, adozione riconoscimento figlio naturale. La
condizione, così come il termine, sono clausole accidentali solo in astratto nel senso che
possono o no essere inserite nel contratto, ma una volta apposti sono elementi essenziali,
sempre che siano poste nell’interesse di entrambe le parti. Altrimenti se poste nell’interesse
di una solo, solo costui se ne potrà avvalere.
In base all’ART.1353C.C., le parti possono subordinare l’efficacia o la risoluzione del
contratto ad un avvenimento futuro ed incerto.
CONDIZIONE SOSPENSIVA: la condizione alla quale le parti subordinano l’efficacia del
negozio; finché l’evento dedotto in condizione non si verifica c’è pendenza della condizione,
ed il negozio giuridico non produce effetti. Quando l’evento si avvera, gli effetti si
considerano prodotti ex tunc, cioè dal momento della formazione del negozio e non da
quello del verificarsi della condizione, cioè il contratto si considera come se fosse nato
incondizionato. C’è retroattività a carattere reale perché opponibile erga omnes e non solo
inter partes. Se l’evento non si verifica, il negozio resta privo di effetti.
CONDIZIONE RISOLUTIVA: la condizione alla quale le parti subordinano la risoluzione del
negozio; finché l’evento dedotto in condizione non si verifica, il negozio produce effetti.
Quando l’evento si avvera, cessano gli effetti negoziali ex tunc, cioè dal momento della
formazione del negozio, cioè il diritto si considera come se non fosse mai sorto. C’è
retroattività a carattere reale perché opponibile erga omnes e non solo inter partes. Se
l’evento non si verifica gli effetti diventano definitivi.
La retroattività manca se è esclusa dalle parti o dalla natura del rapporto. Nei contratti ad
esecuzione continuata o periodica sottoposti a condizione risolutiva, per le prestazioni già
eseguite. Ad es. in un contratto di lavoro sottoposto a condizione risolutiva del ritorno di un
dipendente malato, l’avveramento di questa condizione, non fa cadere gli effetti delle
prestazioni di lavoro già eseguite, per cui il lavoratore “supplente” avrà diritto alla
retribuzione di queste.
L’avvenimento previsto dalla condizione deve essere futuro ed incerto. Proprio l’incertezza
distingue la condizione dal termine, che invece è collegato ad un evento certo (es. morte)
anche se è incerto il momento di verificazione del evento.
L’avvenimento previsto dalla condizione oltre a dover essere incerto e futuro, deve essere
anche:
- lecito: cioè conforme alle norma imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume. Se la
condizione è illecita, il contratto sul quale è apposta si considera nullo, questo però se ci si
riferisce agli atti tra vivi, mentre nel caso di atti di ultima volontà la condizione illecita è
nulla, ma l’atto resta valido, purchè la condizione non sia stata l’unico motivo che ha indotto
il testatore a disporre.
- possibile: l’impossibilità può essere: fisica (es. toccare il cielo con un dito),o
giuridica (es. vendita di un bene demaniale). La condizione impossibile rende nullo il
contratto se è sospensiva, invece se è risolutiva si considera come non apposta.
Il contratto sottoposto a condizione sospensiva è valido, se la prestazione inizialmente
impossibile diviene possibile prima dell'avveramento della condizione, mentre l’impossibilità
sopravvenuta alla conclusione si risolve in un mancato avveramento della condizione.
Dal punto di vista del fatto dedotto in condizione si distingue a seconda che l’evento dipenda
o non dipenda dalla volontà del contraente:
- Condizione causale: se il suo avveramento dipende dal caso o dalla volontà di terzi, ad
es. se scoppierà la guerra.
- Condizione potestativa: se il suo verificarsi dipende dalla volontà di una delle parti che
ha un apprezzabile interesse al suo compimento. (es. contratto di locazione di una casa al

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mare è condizionata al fatto che il locatario decida di annullare la vacanza per impegni di
lavoro)
- Condizione mista: se il suo verificarsi dipende in parte dalla volontà di un terzo o dal caso
ed in parte dalla volontà di una delle parti. (es. donazione condizionata dal superamento di
un concorso).
- Condizione meramente potestativa: ART.1355C.C.: in base a questa norma, è nulla la
alienazione di un diritto che è subordinato alla mera scelta del soggetto che trasferisce il
diritto, così come è nulla l’assunzione di un obbligo subordinato alla mera scelta del debitore.
La ratio della norma è evidente: non si può ritenere seriamente vincolante un contratto la cui
efficacia dipende dal mero arbitrio di una parte, per carenza di animus obligandi, che è
irreversibile e definitivo. Nella condizione potestativa invece l’avveramento dipende da un
comportamento della parte, la quale è però spinta ad agire sulla base di motivi oggettivi e
non per mero capriccio.
E’ valida invece la condizione meramente potestativa risolutiva, in quanto l’ART1355C.C. si
riferisce solo alla condizione sospensiva. A favore di ciò taluno dice che in sostanza si tratta
di recesso oppure di mutuo dissenso. In contrasto con tale ottica si sottolinea che la
condizione è retroattiva mentre il recesso si può esercitare finchè il contratto non abbia
avuto un principio di esecuzione.
Con il muto dissenso è evidente la differenza poiché c’è l’accordo che deve essere raggiunto
successivamente alla stipulazione del contratto, mentre la condizione è parte del contratto.
- Condizione unilaterale: cioè apposta nell’interesse di una sola parte, senza necessità di
una espressa pattuizione, potendosi l’unilateralità desumersi anche in via interpretativa
dall’assetto contrattuale. La condizione secondo l’orientamento dominante sarebbe
rinunziabile dall’interessato in ogni momento senza formalità, producendo cosi il contratto
divenuto puro i propri effetti ex tunc.
Tuttavia afferma Gazzoni non si può ipotizzare una rinunzia successiva al non avverarsi
della condizione sospensiva o all’avverarsi della condizione risolutiva, perché la volontà non
può disporre di fatti giuridici che causano l’inefficacia definitiva del contratto. Semmai qui la
c.d. rinuncia potrebbe operare come rinnovazione unilaterale del contratto con efficacia ex
nunc.
Durante invece la pendenza la rinuncia invece opera come fatto potestativo che fa avverare
la condizione sospensiva o impedisce che si avveri quella risolutiva, in entrambi i casi con
efficacia ex tunc.
- Condizione volontaria: se apposta dalle parti.
- Condizione legale: che è prevista dal legislatore ed è un requisito necessario di efficacia
del negozio. Es. la donazione fatta in riguardo di un futuro matrimonio (c.d. donazione
obnunziale) non produrrà effetto finché non ci sarà il matrimonio, quest’ultimo è la
condizione legale del negozio. Non è condicio iuris ogni evento da cui dipende non l’efficacia
dell’atto ma il suo perfezionarsi. Si ritiene che la condicio iuris abbia efficacia retroattiva e
che sia soggetta alle norme che riguardano la condizione volontaria ove compatibili.
PENDENZA DELLA CONDIZIONE: è l’intervallo di tempo che decorre dalla formazione del
contratto sino al momento in cui si verificherà o non si verificherà l’evento dedotto in
condizione. Durante tale fase, anche se gli effetti tipici non si sono ancora prodotti o possono
essere posti nel nulla, dal contratto condizionato scaturiscono alcuni effetti preliminari. Le
parti si trovano in una condizione di aspettativa, in forza della quale hanno diritto a che la
situazione non venga modificata durante la pendenza della condizione. Dunque:
1)chi ha acquistato un diritto sotto condizione sospensiva può compiere atti conservativi
(diretti alla conservazione materiale e giuridica del diritto, ma anche la conservazione delle
condizioni che rendono possibile l’adempimento);

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2)in caso di condizione risolutiva lo stesso potere di compiere atti conservativi spetta
all’alienante, mentre l’acquirente ha il diritto di esercitare il diritto sottoposto a condizione
risolutiva.
Entrambe le parti devono comportarsi secondo le regole della buona fede, ossia osservare un
comportamento corretto, tale da non danneggiare e conservare integre le ragioni dell’altra
parte (se ovviamente è una condizione potestativa semplice). Se non c’è buona fede ci sarà
risarcimento del danno ex contractu, ove la condizione non si sia avverata per circostanze
obbiettive e comunque non imputabili alla parte inadempiente .
E’ prevista ex ART.1359C.C la sanzione specifica della finzione di avveramento della
condizione, se la condizione sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva
interesse contrario al suo avveramento e che ha quindi impedito che si realizzasse, in tal
caso dunque la condizione si considera verificata lo stesso.
Gazzoni ritiene che la condizione riguarda fatti esterni e quindi estranei al contratto, quindi
l’adempimento delle prestazioni (es.pagamento del prezzo nella vendia) non potrebbe essere
dedotto come evento che condiziona l’efficacia del contratto, c.d. condizione di
adempimento. Una parte della dottrina ritiene che sia ammissibile.
Se il contratto è soggetto a trascrizione,l’esistenza della condizione va menzionata nella
relativa nota di trascrizione.
Si ritiene che in difetto il terzo subacquirente può opporre il proprio acquisto all’alienante,
ove non si verificasse quella sospensiva o si verificasse la condizione risolutiva. In poche
parole la menzione svolgerebbe la stessa funzione della trascrizione.
Più correttamene altri ritengono invece che il subacquirente ha solo il titolo per chiedere
risarcimento dei danni, in quanto non si può applicare l’ART.2644C.C. al di fuori delle ipotesi
tassativamente previste.
3.PRESUPPOSIZIONE:
In diritto civile si parla di presupposizione quando le parti, nel concludere un negozio
giuridico, fanno riferimento ad una circostanza esterna, attuale o futura, che, senza essere
espressamente menzionata nel negozio, ne costituisce il presupposto oggettivo.
Si differenzia dalla condizione, perché quest'ultima è un avvenimento futuro ed incerto dal
quale dipendono l'inizio (condizione sospensiva) o la cessazione (condizione risolutiva) del
contratto e dev'essere menzionata espressamente nel negozio, mentre la presupposizione
è una circostanza esterna che non dev'essere espressa. L’esempio tradizionale è quello di chi
prende in locazione un balcone che affaccia sulla strada dove si verificherà una
manifestazione per assistervi. Anche se le parti non hanno esplicitamente pattuito al
riguardo, lo spettacolo si presenta come evento condizionante la pattuizione, avendo esse
concluso il contratto in vista di quel evento, che dunque costituisce il presupposto della
pattuizione. Nel caso la manifestazione viene annullata, viene dunque meno il presupposto
contrattuale e dunque il contratto stesso.
Lo strumento normativo per dare rilevanza alla presupposizione sono:
- ART.1374C.C.: il contratto obbliga le parti non solo a quanto e nel medesimo espresso,
ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o, in mancanza, secondo
gli usi e l'equità.
- ART.1467C.C.: la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta è accordata per il
verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili, dovendosi così ritenere presente in
ogni programma contrattuale la clausola rebus sic stanti bus, in base alla quale l’efficacia del
contratto per il futuro è subordinata al fatto che le posizioni contrattuali di partenza non si
modifichino.
Il venir meno o il non verificarsi del fatto presupposto, sposta gli equilibri contrattuali e
determina una distribuzione del rischio contrattuale, difforme da quella prevista e voluta
dalle parti con la conseguente possibilità di risolvere il rapporto.

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4.TERMINE:
Incide sul quando si producono gli effetti contrattuali. È un evento futuro e certo a partire
dal quale (dies a quo)(termine iniziale) o fino al quale (termine finale) il negozio produrrà
effetti. Mentre è sempre certo che l’evento si verificherà, può essere incerto il momento del
suo verificarsi.Possiamo così distinguere:
- dies certus et certus quando (es. il 1° gennaio 2010)
- dies certus te incertus quando (es. il giorno della morte di Tizio).
A differenza della condizione, il termine esplica la sua efficacia ex nunc, per cui, una volta
verificatosi l’evento, restano salvi gli effetti prodotti prima della scadenza del termine finale.
Il termine come elemento accidentale del contratto si distingue dal termine di adempimento
che riguarda il momento in cui va esaurita la prestazione o altro adempimento.
Se il contratto è soggetto a trascrizione, il termine deve essere menzionato nella nota. Il
termine va cancellato se il termine iniziale è scaduto.
5.MODUS O ONERE:
Per il modus il legislatore non ha dettato una disciplina organica. Il modus o onere è una
clausola accessoria che la legge prevede espressamente possa apporsi a tutti i negozi a titolo
gratuito, inter vivos o mortis causa, allo scopo di limitarli. È un elemento accidentale e
rappresenta un peso o una limitazione dell’attribuzione a titolo gratuito: es. ti dono un
immobile con l’onere di costruire un ospedale.
L’onere quindi può definirsi come un peso gravante sulla cosa, avente la forma dell’obbligo,
ma non del corrispettivo, e si costituisce mediante un atto volitivo realizzando una vera e
propria obbligazione accessoria; tuttavia, almeno in materia di donazioni, il beneficiario è
tenuto all’adempimento solo entro i limiti del valore della cosa donata.
Mentre la condizione sospende l’efficacia ma non obbliga, l’onere obbliga ma non sospende
l’efficacia.
Il modus impossibile o illecito si considera come non apposto, salvo che sia stato l’unico
motivo determinante, in tal caso il contratto è nullo. L’inadempimento del modus è causa di
risarcimento del danno ed anche di risoluzione del contratto, ove espressamente prevista.

IL CONTRATTO E I TERZI
1.GLI EFFETTI INTER PARTES. EFFETTI REALI E OBBLIGATORI:
Secondo l’ART.1372C.C. il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto se
non per mutuo consenso (nuovo contratto a carattere risolutorio) o per cause ammesse
dalla legge. Per forza di legge si intende l’immodificabilità e l’irrevocabilità unilaterale
salvo i casi previsti dalla legge o dall’autonomia privata. L’effetto immediato e
imprescindibile che scaturisce dall’accordo è la nascita di un vincolo, cioè di un rapporto
obbligatorio.
L’effetto di irretrattabilità (o irrevocabilità) è sempre presente, così come lo è, sul piano
sostanziale, la nascita di una nuova situazione giuridica atta a modificare il patrimonio dei
contraenti, costituendo, modificando o estinguendo rapporti giuridici patrimoniali.

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Tale affermazione non è però pacifica con riguardo alla categoria del contratto ad effetti
reali ex ART.1376C.C., il cui ambito coincide con quello dei contratti traslativi.
- parte della dottrina sostiene che poiché il trasferimento del diritto è effetto immediato
del consenso, non sarebbe ravvisabile l’intermediazione di un effetto obbligatorio.
- altra parte invece sostiene che anche in caso di contratto traslativo nasce tra alienante ed
acquirente un rapporto obbligatorio avente ad oggetto l’obbligo per l’alienante di far
acquistare il diritto all’acquirente, sia nelle ipotesi in cui ciò non è effetto immediato del
contratto, sia nel senso di assicurare all’acquirente stesso la titolarità del diritto rispetto alla
rivendicazione altrui. Di qui la disciplina della garanzia per l’evizione in caso di trasferimento
della proprietà, e l’obbligo della garanzia ex ART.1266C.C. in caso di cessione del credito.
Resta però vero che, in ogni caso, nei contratti traslativi l’effetto finale, quello perseguito
dalle parti, non è di carattere obbligatorio ma di carattere reale, identificandosi esso non
tanto in una prestazione a carico del debitore, ma nel trasferimento di un diritto che si
ricollega al mero consenso legittimamente manifestato.
L’obbligo di far acquistare il diritto si configura come mero obbligo strumentale.
In caso di contratto ad effetti reali l’obbligo di far acquistare il bene all’acquirente si presenta
particolarmente articolato quando, l’effetto traslativo non si produce immediatamente,
perché presuppone l’adempimento di una prestazione di volta in volta mutevole a seconda
della fattispecie concreta, come nel caso di vendita di cosa altrui, di cosa futura e di cosa
generica. In questi casi l’effetto reale non può mai prodursi immediatamente per inesistenza
del bene, in assoluto, perché futuro o nel patrimonio dell’alienante, perché altrui, ovvero per
indeterminatezza. Altre volte invece sono le parti che impediscono il prodursi immediato
dell’effetto apponendo una condizione sospensiva o un termine di differimento.
Ai fini della disciplina dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione ex. ART.1465C.C. è
essenziale stabilire il momento in cui si produce l’effetto reale:
- se la cosa trasferita è determinata e perisce per una causa non imputabile all’alienante,
l’acquirente non è liberato dall’obbligo della controprestazione anche se la cosa non gli è
stata consegnata, perché l’effetto reale si è immediatamente prodotto e sul proprietario
grava il rischio del perimento del bene.
- se invece la cosa trasferita è generica l’acquirente non è liberato dall’obbligo di eseguire la
controprestazione solo se l’alienante ha eseguito la consegna o se la cose è stata
individuata.
Il passaggio del rischio è un evento fondamentale, poiché esso è collegato al prodursi
dell’effetto reale per il principio res perit domino, si determinano complicazioni in caso di
vendita internazionale di cose mobili, attesa la diversa rilevanza che assume a tal fine il
consenso nei vari ordinamenti, essendo esso talvolta, come in quello italiano, sufficiente a
trasferire il diritto mentre altre volte è meramente prodromico, perché collegato alla
successiva fase della consegna.
La convenzione di Vienna del 1980 ha fissato il momento del passaggio del rischio con
riguardo alla consegna del bene che può avvenire o nei confronti dell’acquirente o del
vettore. Inoltre il rischio è a carico dell’acquirente anche quando l’alienante gli abbia messo a
disposizione il bene e egli non l’abbia ritirato.
CONTRATTO DERIVATIVO-COSTITUTIVO: la categoria del contratto ad effetti reali
non prevede solo l’ipotesi del trasferimento di diritti, ma anche quella della costituzione di un
diritto reale, si parla di contratto derivativo costitutivo atteso che non sussiste un rapporto di
perfetta derivatività non esistendo nel patrimonio dell’alienante il diritto trasferito ma un
diritto più ampio. E il caso di diritti reali di godimento sul cosa altrui. Si pensi ad esempio
all’usufrutto che può essere costituito dal proprietario del fondo ma può anche essere
trasferito dall’usufruttuario.

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2.GLI EFFETTI PER I TERZI:


L’ART.1372CO.2C.C. enuncia la regola della relatività degli effetti, nel senso che il
contratto è di fronte ai terzi, inefficace salvo nei casi previsti dalla legge. Questa regola è la
logica conseguenza del principio di libertà su cui poggia l’autonomia privata. Il concetto di
terzo può delinearsi in termini negativi: in tal senso sono terzi tutti coloro che non sono
parte del contratto. Il terzo è un non contraente, nei confronti del quale non può valere la
regola della vincolatività dell’accordo e quindi degli effetti che a tale accordo si
ricollegano.
Gli effetti che il contratto non può di regola produrre nei confronti del terzo sono solo gli
effetti diretti, cioè quelli che trovano la loro causa produttiva direttamente del contratto.
Vi sono invece effetti ricollegabili al contratto soltanto indirettamente, i quali possono
ripercuotersi sui terzi, si parla tal proposito di efficacia indiretta o riflessa. Pertanto anche
terzi possono essere coinvolti nella vicenda contrattuale, così accade ogni qualvolta il
contratto assume rilevanza e quindi efficacia esterna.
A volte poi il contratto legittima il terzo ad esercitare un diritto potestativo o di credito, che
nasce rispettivamente dalla legge o da un altro contratto. È il caso della prelazione, laddove
il titolare di tale diritto può esercitare in caso di mancata notifica della denuntiatio e
successiva conclusione del contratto con il terzo, il diritto potestativo di riscatto se la
prelazione è legale, ovvero il diritto di credito al risarcimento del danno se essa è volontaria.
3.L’OPPONIBILITA’:
L’opponibilità si distingue dall’efficacia del contratto: mentre infatti l’efficacia per i terzi è
sempre solo riflessa ed indiretta, l’opponibilità, se sussiste ,è nei confronti dei terzi sempre e
solo diretta:
- l’efficacia è la situazione che riguarda in via diretta la posizione dei contraenti.
- l’opponibilità riguarda i conflitti che in seguito alla conclusione del contratto possono
nascere tra contraente e i terzi, ogni qualvolta l’acquisto di un diritto in base ad un contratto
è contestato da un terzo che pretende di potersi avvalere (eventualmente anche in base ad
un atto contratto) di un titolo incompatibile.
Il conflitto che si determina è un conflitto tra titoli, da cui diritti derivano. Tale conflitto si
situa all’interno di una vicenda circolatoria del diritto, presuppone che il contratto sia
traslativo.
È dubbio se un problema di opponibilità possa sussistere per i contratti ad effetti obbligatori:
infatti non si vede come la funzione di un’obbligazione possa dar luogo a conflitti.
Si può immaginare che un soggetto assuma contemporaneamente più obbligazioni sapendo
di non poterle adempiere entrambe, come nel caso di chi accetti un mandato a gestire un
affare in America ed uno in Asia per lo stesso periodo di tempo. Uno dei mandanti su come
soccomberà a rispetto all’altro ma non può dirsi che tra di essi vi sia un conflitto giuridico di
titoli. Il problema si risolverà puramente e semplicemente in un fatto di risarcimento dei
danni da inadempimento.
Un problema di diritti incompatibili potrebbe invece prospettarsi qualora il proprietario
stipulasse due contratti di opzione o due contratti preliminari per il trasferimento di diritti
reali incompatibili relativi allo stesso bene (ad esempio la vendita della piena proprietà e una
costituzione di usufrutto di servitù) ovvero stipulasse prima un contratto di opzione o un
contratto preliminare e poi alienasse il bene ad un terzo.
Se il bene è immobile o mobile registrato:
- nel caso di duplicità di opzioni non prevale chi per primo accetta ma chi per primo trascrive
l’acquisto conseguente all’accettazione. Se l’opzione è stata concessa per atto pubblico o
scrittura privata autenticata e l’accettazione riveste questa forma, l’opzionario accettante
potrà trascrivere immediatamente l’atto. Se viceversa la forma osservata è stata quella della
scrittura privata non autenticata è necessario ai fini della trascrizione ripetere il negozio per

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atto pubblico ovvero iniziare il giudizio di accertamento della sottoscrizione della scrittura
privata, trascrivendo la relativa domanda ex ART.2652N.3C.C.. Lo stesso dicasi se con
l’opzione il concedente trasferisce ad un terzo il bene questo prevarrà purché trascriva prima
della trascrizione dell’eventuale acquisto dell’opzionario conseguente all’accettazione.
- in caso di duplicità di contratti preliminari prevarrà chi trascriverà per primo il preliminare,
o in difetto, o venuta meno l’opponibilità, il contratto definitivo ovvero la domanda ART.2652
N.3C.C..
Se il bene è mobile: in base all’ART.1155C.C. prevarrà l’acquirente che in buona fede avrà
conseguito per primo il possesso, pur se si sarà avvalso per secondo del diritto di opzione o
per secondo avrà stipulato il contratto definitivo o ottenuto la sentenza ex ART.2932C.C..
Peraltro il primo acquirente potrà agire finché l’alienante mantiene il possesso ex
ART.2930C.C.. Il comune autore e il terzo, se di malafede, deve comunque risarcire il danno
contrattuale, se pretermesso è un promettente acquirente, precontrattuale, se pretermesso
è un opzionario (pretermesso=omesso, tralasciato). È inoltre esperibile l’azione revocatoria
se ne ricorrono gli estremi. Al riguardo la giurisprudenza ha statuito che in caso di duplicità
di preliminari non può ravvisarsi consilium fraudis ex Art.2901N.2C.C. del secondo
promittente acquirente che stipula il contratto definitivo ignorando l’esistenza del precedente
preliminare ovvero essendone venuti a conoscenza nelle more della stipula del definitivo
(cioè dopo aver concluso il preliminare), perché tale stipula si configura come atto dovuto a
cui il promittente acquirente non può sottrarsi. Il consilium fraudis va dunque valutato con
riferimento al momento della conclusione del contratto preliminare e non del contratto
definitivo (Gazzoni).
Per quanto riguarda il quadro dei potenziali conflitti tutelati dalla legge avente ad oggetto i
contratti traslativi, può essere così sintetizzato:
- acquisto a non domino: in questo caso il conflitto è tra chi acquista mediante un
contratto a non domino e il dominus. L’acquirente acquista il diritto da chi non è proprietario
e che dunque non può vantare nemmeno un titolo di proprietà inefficace o invalido, come nel
caso di alienazione ad opera di un ladro o di un omonimo del proprietario. Il conflitto è
risolto:
a)in caso di trasferimento di diritti reali mobiliari mediante applicazione del principio
possesso vale titolo (ART.1153C.C.).
b)in caso di d trasferimento di diritti reali immobiliari, l’acquirente potrà solo opporre
eventualmente l’avvenuta usucapione magari decennale .
In ipotesi di trasferimento di diritto di credito, invece l’acquisto da chi non è creditore non è
mai opponibile né al vero creditore né al debitore.
- il conflitto tra un avente causa dell’acquirente e l’alienante: l’avente causa è in
sostanza un successore a titolo particolare nella posizione giuridica del dante causa, il quale
opera il trasferimento. Es. subacquirente.
a)in base al principio resoluto iure dantis resolvintur et ius accipientis, l’invalidità o la
inefficacia del primo contratto si ripercuote necessariamente sull’efficacia del secondo: in
sostanza se il primo contratto di trasferimento cade, l’acquirente verrà a trovarsi nella
condizione di aver acquistato da chi era o appariva, ma ora non è più titolare del diritto
trasferito, si avrà un acquisto a non domino, con la particolarità che il non dominus, al
momento del trasferimento, era o appariva dominus. In caso di bene mobile c’è quindi il
principio possesso vale titolo, mentre per i beni immobili è salvo l’acquisto del sub acquirente
nei confronti dell’alienante se ricorrono le condizioni previste dall’ART.2652C.C.
b)nel caso invece di trasferimento di diritti di credito -in particolare in caso di cessione-, vale
la disciplina generale, ad esempio per quanto riguarda la salvezza dei diritti dei terzi materia
di annullamento, rescissione e risoluzione.

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- il conflitto tra più aventi causa dello stesso autore: se il diritto si collega uno degli
atti menzionati dall’ART.2643C.C. vale il principio fissato dall’ART.2644C.C.. In caso di
doppia o plurima alienazione mobiliare vale invece la regola fissata dall’ART.1155C.C..
a)in caso di conflitto tra più diritti personali di godimento prevale chi per prima abbia
conseguito il godimento stesso e non chi al momento in cui il conflitto nasce godrà della
cosa non essendo necessaria l’attualità del godimento.
b)in caso di conflitto tra cessionari dello stesso diritto di credito prevale chi per primo ha
notificato la cessione al debitore ovvero ha conseguito l’accettazione, con atto di data certa
(ART.1265CO.1C.C.).
- il conflitto tra l’acquirente o i suoi aventi causa e i creditori dell’alienante: i quali
hanno interesse a salvaguardare la propria garanzia patrimoniale in funzione dell’azione
esecutiva da esperire in ipotesi di inadempimento. In tal caso si applicano le regole dettate
per l’azione revocatoria dagli ART.2901SS.C.C.. In particolare acquirente farà salvo il proprio
acquisto, se in caso di alienazioni mobiliari, potrà invocare l’ART.1153C.C., mentre in caso di
alienazione immobiliari potrà invocare l’ART.2652N.5C.C. valendo da questo punto di vista
quanto osservato con riguardo al conflitto tra il subacquirente e l’alienante.
Se invece l’azione esecutiva è già iniziata varranno, in caso di alienazione mobiliare, le
regole in materia di trascrizione del pignoramento, mentre in caso di alienazione mobiliare il
possesso vale titolo. La stessa regola vale in caso di cessione dei beni ai creditori.
4.CONTRATTO A FAVORE DI TERZO:
Le parti possono concludere un contratto, anche preliminare o di opzione, inserendo una
clausola (c.d. stipulazione) in virtù della quale gli effetti si producono in via diretta ed
immediata nel patrimonio di un terzo, che è estraneo non parte del contratto .
Il contratto a favore di terzo non è pertanto un contratto tipico a sé stante, ma un modo
d’essere del contratto di volta in volta concluso. La disciplina del contratto a favore di terzo
risulta dalla fusione della normativa di cui agli ART.1411SS.C.C. con quella dettata per il
singolo contratto concluso.
Le parti contraenti sono:
- il promittente, che si obbliga alla prestazione in favore del terzo.
- lo stipulante, che designa la persona del terzo e nel cui patrimonio (stipulante) di regola si
sarebbero dovuti produrre gli effetti ove non fosse stata conclusa la c.d. stipulazione, con
conseguente deviazione degli effetti stessi verso il patrimonio del terzo designato.
Non è sufficiente che il terzo riceva un vantaggio economico, essendo necessario che la
prestazione in suo favore sia stata prevista dai contraenti come elemento del sinallagma. Il
terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della sola stipulazione conclusa tra
promittente e stipulante (ART.1411CO.2C.C.).
È errato, allora, affermare che l’adesione del terzo si configurerebbe come condicio iuris
sospensiva dell’acquisto del diritto, quando essa sarebbe un autonomo negozio acquisitivo,
esercizio del potere di consolidare gli effetti instabili. L’effetto acquisitivo è infatti immediato,
pur se può venire meno ex tunc in caso di revoca o di rifiuto, che opera quindi alla stregua di
una condicio iuris risolutiva. Per questo motivo il terzo deve esistere è possedere i requisiti di
legge ab initio, anche se può essere solo determinabile in un secondo momento in base a
criteri fissati o anche a discrezione dello stipulante.
Il terzo può dichiarare di voler profittare della stipulazione in proprio favore ma tale
dichiarazione non è un’accettazione in senso tecnico (cioè di una proposta contrattuale non
avendo il contratto a favore del terzo una struttura trilaterale e può risultare anche per facta
concludentia), ed ha una duplice la funzione:
1)di impedire la modifica o la revoca della stipulazione stessa da parte dello stipulante
(ART.1411CO.2);

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2)di consumare il potere di rifiutare in capo al terzo che può essere esercitato solo fino al
momento in cui egli ha aderito o prima della revoca dello stipulante.
In caso di revoca della stipulazione o rifiuto del terzo di voler profittare, la prestazione
(operando rifiuto e revoca ex tunc ) rimane a beneficio dello stipulante, con effetto fin dalla
conclusione del contratto , salvo che non risulti diversamente dalla volontà delle porti o dalla
natura del contratto.
La vicenda che origina dal contratto a favore di terzo si sviluppa attraverso fasi successive:
innanzitutto le parti devono comunicare al terzo la stipulazione al fine di permettergli
l’esercizio eventuale del potere di rifiuto. La comunicazione - che non richiede particolari
formalità – è di regola successiva alla conclusione del contratto. Ciò accade necessariamente
quando l’individuazione del terzo dipende da un evento successivo o quando lo stipulante si
sia riservato di indicarlo.
E’ addirittura possibile che la stipulazione sia in via alternativa e solo eventuale a favore del
terzo non ancora designato. In tal caso la vicenda sembra analoga a quella del contratto per
persona da nominare ma in realtà non è così.
Per parte sua, il terzo deve comunicare l’adesione o il rifiuto ad entrambi i contraenti. Si
tratta di negozi unilaterali recettizi.
Il rifiuto come quello ex ART.1333C.C. ha carattere eliminativo ex tunc di diritti già acquisiti
a momento della conclusione del contratto. Se la prestazione non resta a beneficio dello
stipulante, per accordo delle parti o per la natura del contratto, il contratto si scioglie per
impossibilità sopravvenuta dell’adempimento.
L’adesione alla stipulazione attribuisce al terzo definitivamente la titolarità del diritto ma
non del rapporto contrattuale che fa sempre capo ai contraenti (stipulante e promittente) a
differenza del caso di riserva di nomina laddove il nominato diviene parte del contratto.
Pertanto i contraenti non potranno disporre del diritto stesso mediante novazione, mutuo
dissenso o cessione a terzi, ma potranno far valere l’invalidità e la risoluzione che invece è
preclusa al terzo.
Il terzo in quanto titolare di diritto, ma non del rapporto, potrà agire contro il promittente
per l’adempimento della prestazione e per il risarcimento danni. Di comportamenti illeciti del
terzo non può invece rispondere lo stipulante.
In sede di adempimento il promittente può opporre al terzo le eccezioni fondate sul contratto
dal quale il terzo deriva il proprio diritto (es. invalidità) ma non quelle fondate su altri
rapporti con lo stipulante (ad esempio compensazione) (ART.1413C.C.).
Giurisprudenza e dottrina dominanti affermano che non esistono limiti riguardanti la qualità e
il contenuto dell’attribuzione al terzo ,pertanto è anche concepibile un contratto traslativo
a favore di terzo al riguardo si è però obiettato che il contratto a favore di terzo non tollera
oneri e obblighi a carico del terzo, cosicché non è possibile a prescindere da una espressa
accettazione, trasferire nel suo patrimonio diritti reali quali quelli di proprietà e di usufrutto
che comportano oneri di gestione e di custodia.
TRASCRIZIONE: se il trasferimento ha ad oggetto beni immobili o mobili registrati, il
contratto sarà suscettibile di trascrizione, con eventuale annotazione o della revoca o di
rifiuto.
L’adesione non è invece suscettibile di trascrizione perché non viene incidere sulla
produzione degli effetti reali ma solo sulla possibilità di revoca da parte dello stipulante o di
rifiuto da parte del terzo, non più possibile dopo l’adesione, per consumazione del relativo
potere (Gazzoni).
FORMA: ovviamente in caso di trasferimento immobiliare il contratto, la revoca, il rifiuto (ma
non l’adesione) dovranno rivestire la forma scritta in particolare ai fini della trascrizione.
Le obiezioni all’efficacia reale riguardano le attribuzioni di beni immobili, infatti a differenza di
questi, i beni mobili non solo non comportano obblighi e costi di gestione, custodia e

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manutenzione, ma il loro acquisto può essere senza formalità e comunque la loro proprietà
può essere dimessa con semplice abbandono.
Dal contratto in favore di terzo originano due diversi spostamenti patrimoniali che pongono il
problema della giustificazione causale:
1)da un lato deve giustificarsi il fatto che beneficiario della prestazione sia un terzo
che non è parte del contratto: l’ART.1411C.C. stabilisce che intanto la stipulazione è
valida in quanto lo stipulante vi abbia un interesse, anche di natura esclusivamente morale o
affettivo. L’interesse non può mai mancare, la sua assenza determina la nullità della
stipulazione in favore del terzo.
L’interesse dello stipulante si spiega con il fatto che tramite il contratto in favore di terzo,
egli può estinguere una preesistente obbligazione nei confronti del terzo stesso ovvero può
eseguire una controprestazione a fronte di una prestazione che il terzo compie nei suoi
confronti sulla base di un altro contratto. Infine lo stipulante può operare una liberalità in
questo caso il contratto a favore di terzo non deve rivestire la forma della donazione ma
quella propria del contratto concluso in quanto con esso si realizza una donazione indiretta
ex ART.809C.C., quindi per accertare l’esistenza della portata dell’interesse dello stipulante
deve dunque aversi riguardo al cosiddetto rapporto di valuta che intercorre con il terzo.
Anche il terzo deve avere un interesse in termini oggettivi all’attribuzione in proprio favore,
quindi interesse dello stipulante e interesse del terzo finiscono per coincidere sul piano
funzionale nel senso che entrambi sono soddisfatti dalla prestazione eseguita dal
promittente, infatti entrambi possono agire contro il promittente per l’esecuzione della
prestazione.
2)dall’altro si deve giustificare il rapporto che nasce tra promittente e stipulante cioè
i contraenti: deve sussistere un interesse del promittente con riguardo all’eventuale rapporto
di provvista che lo lega allo stipulante. Il promittente con la stipulazione può infatti
estinguere un’obbligazione che preesisteva nei confronti dello stipulante assumere
obbligazione dietro corrispettivo, ma può anche compiere un atto di liberalità.
In tal caso si discute circa la necessità o meno della forma dell’atto pubblico, tipica della
donazione:
- la dottrina è generalmente favorevole perché la forma forte sostituirebbe la causa debole
garantendo l’attribuzione contro il rischio dell’astrattezza causale che renderebbe nullo il
contratto.
- in senso contrario va sottolineato che non ricorre nella fattispecie una delle caratteristiche
tipiche della donazione e cioè l’arricchimento in senso tecnico del donatario dal momento che
il contratto a favore di terzo non arricchisce il patrimonio dello stipulante ma di un terzo
estraneo al rapporto. In tale ottica anche in tal caso c’è donazione indiretta che non prevede
l’osservanza di una forma solenne.
Se la prestazione deve essere fatta al terzo post mortem dello stipulante - tipico il caso
dell’assicurazione sulla vita - questi può revocare il beneficio anche con una disposizione
testamentaria pure se il terzo abbia dichiarato di volerne profittare ,salvo che in quest’ultimo
caso lo stipulante abbia rinunziato per iscritto al potere di revoca, con atto unilaterale che
deve essere comunicato al promittente o, secondo un’altra impostazione, con un accordo
bilaterale con il terzo non necessariamente a titolo gratuito e comunque esterno ed
autonomo rispetto al contratto. La prestazione deve essere eseguita a favore degli eredi del
terzo se questi pre muore allo stipulante, salvo che sia diversamente disposto dallo
stipulante.
Il contratto a favore di terzo presenta un meccanismo analogo a quello di alcune fattispecie
legali tra cui l’accollo esterno, in cui l’adesione del creditore determina l’irrevocabilità della
stipulazione in suo favore. Ci sono però non lievi diversità infatti l’accollo nasce come interno
e solo eventualmente è portato a conoscenza del creditore, là dove il contratto a favore di

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terzo produce immediatamente effetti per costui, e solo in caso di revoca o di rifiuto può
avere efficacia interna.
Diverso dal contratto a favore di terzo è il contratto con prestazioni da eseguire ad un
terzo, che non produce effetti immediati nel patrimonio di questo e non gli attribuisce la
qualità di creditore. E’ il caso della delegatio solvendi con divieto per il delegato di adempiere
obbligandosi verso il creditore.
Va infine segnalato che il contratto può avere ad oggetto una pluralità di prestazioni, in cui
accanto ed oltre al diritto alla prestazione principale è garantito rimane esigibili un ulteriore
diritto, di carattere accessorio e derivante dai doveri di protezione, a che non siano arrecati
danni ai terzi estranei al contratto. Si parla in tal caso di contratti con effetti protettivi a
favore di terzi, nell’ambito dei quali, in caso di inadempimento della prestazione accessoria,
può agire non solo la controparte, nella quale permanga un interesse attuale, ma anche
soprattutto il soggetto a protezione del quale è posta quella regola pattizia, ad esempio i
familiari di fatto conviventi con il portiere hanno azione contrattuale di danni contro il
condominio che aveva fornito al portiere stesso un alloggio umido e malsano.
5.LA PROMESSA DEL FATTO AL TERZO:
ART.1381C.C.: “colui che ha promesso l’obbligazione o il fatto del terzo è tenuto ad
indennizzare l’altro contraente se il terzo si rifiuta di obbligarsi o non compie il fatto
promesso”. Questa è in sostanza un’ipotesi esattamente opposta a quella del contratto a
favore di terzo. In questo caso, infatti il terzo non è destinatario di vantaggi ma
dovrebbe assumere obbligazioni o tenere comunque un dato comportamento.
E’ evidente che il terzo non è vincolato dalla promessa (che è res inter alio acta).
La promessa essendo contenuta in un contratto si distingue dalla promessa unilaterale, che
attiene ad una prestazione che deve essere compiuta dallo stesso promittente e non da un
terzo.
Si è quindi in presenza di un fenomeno analogo a quello che la dottrina ha individuato con
l’espressione contratto sul patrimonio del terzo, tra cui vi rientra tipicamente la vendita
di cosa altrui e la concessione di ipoteca su beni altrui, in entrambi i casi infatti il contratto
produce effetti solo se il terzo liberamente decide di alienare il bene o di ipotecarlo.
La dottrina inquadra in chiave oggettivistica la fattispecie nell’ambito dei contratti di
garanzia. L’obbligazione del promettente-garante sarebbe condizionata al mancato
comportamento del terzo, ponendosi in primo piano la prestazione di indennità piuttosto che
la prestazione del terzo. E’ evidente la differenza rispetto alla fideiussione, dove
l’obbligazione del terzo debitore quella assunta dal fideiussore hanno identico contenuto e la
prima preesiste alla seconda.
Secondo altra impostazione, si è in presenza di una autonoma obbligazione-non di garanzia
vista l’assoluta estraneità del terzo avente ad oggetto un facere, più precisamente il
comportamento volto a favorire l’assunzione dell’obbligazione o il compimento del fatto da
parte del terzo. Si tratterebbe di un’obbligazione di mezzi e non di risultato, in realtà
la responsabilità del promittente sorge per il semplice rifiuto del terzo, a prescindere dallo
sforzo di diligenza, pertanto l’obbligazione del promittente deve configurarsi quale
obbligazione di risultato.
La tesi che spiega perché la promessa si estingue in caso di impossibilità sopravvenuta della
prestazione del terzo, distingue tra risarcimento e indennità:
- il promittente risponde per inadempimento dell’obbligo di fare, cioè di adoperarsi affinché il
terzo non rifiuti, e quindi deve risarcire il danno, se l’inesecuzione da parte del terzo sia lui
imputabile secondo i criteri comuni, compreso un nesso di causalità.
- gli dovrà solo corrispondere l’indennizzo, se l’inesecuzione non è a lui imputabile.
La promessa può essere isolata, configurandosi quindi come promessa unilaterale ex
ART.1333C.C, ed è giustificata solo se risponde all’interesse patrimoniale del promittente

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dovendo altrimenti rivestire la forma donativa. Può anche essere contrattuale se è previsto
un corrispettivo o se essa si inserisce nel contenuto di un altro contratto a prestazioni
corrispettive. La forma, se non donativa, è sempre libera.
Il fatto del terzo, contenuto nella promessa può essere vario, può infatti consistere
nell’assunzione di una qualsivoglia obbligazione, nella stipulazione di un negozio, in un
comportamento materiale che ha in sé la propria giustificazione causale. Inoltre se la
promessa ha ad oggetto l’adempimento di un’obbligazione già assunta dal terzo nei confronti
del promissario non rientra nell’ipotesi ex ART.1381C.C, potrà configurarsi una fideiussione,
se è ravvisabile una funzione di garanzia.
L’indennità che il promittente deve al promissario in caso di rifiuto del terzo consiste nel
pagamento di una somma pari al valore dell’utilità non conseguita dal promissario
stesso ed è liquidata equitativamente. Si esclude che il promittente debba adempiere la
prestazione luogo del terzo. L’indennità può essere fissata pattiziamente senza possibilità di
ridurla ex ART.1384C.C..
Se la promessa si inserisce nel contesto di un contratto a prestazioni corrispettive,
condizionandolo funzionalmente, l’autonomia dei negozi viene meno, cosicché eventuale
inadempimento del terzo è inadempimento del promittente con risarcimento del dovuto.
La promessa non è valida, per vizio della causa, se il terzo non è identificato o se essa ha
ad oggetto la funzione di un’obbligazione invalida per illiceità, impossibilità o
indeterminatezza. Se il terzo è incapace, la promessa è valida se questa incapacità era nota
alle parti, altrimenti sarà impugnabile per errore. Se invece l’incapacità del terzo sopravviene
non potrà assumere rilievo il rifiuto e quindi la promessa sarà caducata.

VIZI DELLA VOLONTA’


La volontà di un soggetto a concludere un contratto deve formarsi in modo libero e
consapevole. Talvolta, intervengono sul processo di formazione della volontà dei vizi, errore,
dolo o violenza, i quali determinano la annullabilità del contratto. L’ART.1427C.C.
dispone che l’errante, ossia colui che subisce il dolo o la violenza, può in ogni caso chiedere
l’annullamento del contratto, ma secondo modalità e sulla base di presupposti diversi.
Può accadere che in alcuni casi vi sia divergenza tra voluto e dichiarato, nel senso che c’è la
dichiarazione ma non la volontà: è l’ipotesi di contratto concluso da un infante che ignora il
significato delle parole, di violenza fisica, di dichiarazione ioci o docenti causa, di riserva
mentale, e di errore ostativo (che cade sulla dichiarazione o trasmissione). In particolare
l’errore ostativo è stato assimilato dal legislatore all’errore vizio sottoponendolo alla
medesima disciplina (annullabilità), ART.1433C.C., proprio perché il legislatore ha dato
rilevanza alla dichiarazione più che alla volontà, per una maggiore tutela dell’affidamento del
non errante (perciò non c’è nullità).

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La dichiarazione emessa da un infante o per coazione fisica non è imputabile giuridicamente


al soggetto, mentre quella ioci o docenti causa è irrilevante: in questi casi il contratto è nullo
per difetto di accordo o di causa.
Diversa è invece l’ipotesi della simulazione, perché non vi è discordanza tra voluto e
dichiarato, ma l’intera vicenda fa capo alla volontà dei contraenti sia riguardo il contratto
simulato che quello dissimulato.
La disciplina dei vizi della volontà riguarda solo le ipotesi in cui la volontà sussiste e non è
ravvisabile alcuna divergenza rispetto alla dichiarazione, ma tale volontà non si è formata
correttamente per l’intervento di fatti ed azioni che hanno influito sulla determinazione finale
del contraente: la volontà dichiarata e la volontà ipotetica non coincidono.
1.L’ERRORE:
L’errore rende il contratto annullabile su istanza della parte che lo impugna.
L’errore può essere di due tipi:
1)errore vizio (o errore motivo): corrisponde ad una falsa rappresentazione della realtà che
ha sviato il soggetto e lo ha indotto a contrarre sulla base di una volontà non corrispondente
alle sue effettive intenzioni (es. chi acquista un oggetto di bronzo reputandolo d’oro); la
dichiarazione è voluta, sia pure in base ad una volontà viziata da un errore.
2)errore ostativo: cade sulla dichiarazione o trasmissione da parte della persona o ufficio
che ne è stato incaricato (es. errore di trasmissione telegrafica dovuto al fatto che
l’impiegato trascrive male il testo); la dichiarazione è del tutto divergente dalla volontà del
soggetto.
Dall’errore ostativo si distingue la falsa demonstratio, che consiste nell’indicazione erronea
di una persona o di un bene quando, tra l’altro, non vi è incertezza in ordine alla sua
identificazione: tale certezza rende l’erronea indicazione del tutto irrilevante.
La legge tutela l’errante quando l’errore sia:
- RICONOSCIBILE: quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto o alla
qualità dei contraenti, un soggetto di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo, in quanto
palese (ART.1431C.C.);
La ratio dell’ART.1431C.C., è quella di tutelare l’affidamento del terzo ed è per questo che la
giurisprudenza ritiene irrilevante il requisito della riconoscibilità quando l’errore sia comune
alle parti, ovvero quando l’errore abbia inciso sulla formazione della volontà del terzo cui le
parti avevano deferito il compito di determinare un elemento contrattuale.
- ESSENZIALE: quando ha influito in modo determinante sulla formazione della volontà del
soggetto, il legislatore ha fissato ipotesi tipiche, ma non tassative:
a)la natura o oggetto del contratto.
b)l’identità o qualità dell’oggetto della prestazione.
c)l’identità o qualità dell’altra parte contraente.
ERRORE DI DIRITTO: è rilevante quando sia stato la ragione unica o principale del
consenso cioè quando è determinante: la rilevanza dell’errore di diritto non viola il principio
dell’ignorantia legis non excusat, in quanto sul piano della corretta formazione della volontà,
la legge va riguardata come un fatto giuridico ogniqualvolta un soggetto si è indotto a
contrarre ignorando una certa situazione esterna, configurata da una norma che abbia avuto
incidenza diretta ed immediata, in tal caso non si perviene ad una disapplicazione normativa,
bensì si evitano attraverso l’annullamento le conseguenze ulteriori che deriverebbero dalla
norma stessa, per il fatto che ha inciso negativamente sul processo volitivo.
È necessario, tuttavia, circoscrivere l’ambito di rilevanza dell’errore di diritto: l’errore sulla
denominazione o qualificazione giuridica del contratto è irrilevante, salvo che si risolva in
errore di fatto sulla natura del contratto. (Es. non può essere annullato un contratto
qualificabile come abitazione, solo perché denominato usufrutto). Inoltre, non si può

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attribuire all’errore di diritto un ambito di operatività maggiore rispetto all’errore di fatto:


l’errore di diritto non solo dovrà essere determinante del consenso, ma dovrà essere
essenziale per la natura del contratto o per il profilo soggettivo o oggettivo, per cui trova
ingresso il motivo individuale che è di per sé irrilevante.
Es. Acquisto di un area per costruire l’abitazione familiare, quindi il bene è stato acquistato
proprio per l’intrinseca qualità giuridica del bene stesso, che ha rilievo di per se, di
conseguenza il contratto sarà annullabile per errore sulla qualità del bene nel caso in cui se
l’aria risulterà in edificabile in base al piano regolatore. Il motivo e quindi l’errore di diritto
deve non solo essere riconoscibile, ma anche inscindibilmente legato al contenuto del
contratto che si conclude. Così l’inedificabilità del terreno non incide sulla validità del
contratto con cui sono stati acquistati i materiali per la costruzione.
Al di fuori del collegamento con l’oggetto o il soggetto del contratto, l’errore di diritto è
sempre irrilevante.
ERRORE DI CALCOLO: ART.1430C.C.: dà luogo solo a rettifica, e non anche
all’annullamento, in quanto secondo la giurisprudenza, rileva solo come errore nelle
operazioni aritmetiche ripercotendosi sul risultato finale. L’errore di calcolo non deve essere
determinante, perché altrimenti costituirebbe errore sulla quantità e come tale
comporterebbe l’annullabilità del contratto; ma ad ogni modo deve essere riconoscibile,
cosicché sarà irrilevante nel caso in cui il prezzo sia stato offerto senza alcuna specificazione
dell’operazione matematica.
RETTIFICA: è un rimedio di cui può avvalersi solo l’errante e non anche la controparte.
L’ART.1432C.C. stabilisce che la parte caduta in errore non può domandare l’annullamento
del contratto se prima la controparte non ha provveduto a modificarlo rendendolo conforme
al contenuto programmato. La rettifica costituisce applicazione del principio di conservazione
del contratto e del principio di buona fede: la parte caduta in errore può rifiutare la rettifica
solo nel caso in cui, a causa di eventi sopravvenuti, possa riceverne un pregiudizio.
2.DOLO:
Il dolo è ogni artifizio o raggiro con cui un soggetto induce un altro soggetto in errore,
determinandolo a porre in essere un negozio che altrimenti non sarebbe stato concluso o lo
sarebbe stato a condizioni diverse: si parla più precisamente di dolo contrattuale o
negoziale, per distinguerlo dal dolo, quale elemento psicologico che può caratterizzare il
comportamento di un soggetto.
Il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati dal deceptor sono stati
tali che senza di essi il deceptus non avrebbe concluso il contratto.
Tra raggiri e conclusione del contratto deve sussistere uno stretto nesso di causalità,
mentre è irrilevante lo scopo ulteriore che si prefigge il deceptor e l’eventuale mancanza di
danno.
I raggiri devono comunque essere tali da indurre a contrarre un uomo medio.
Si distingue tra dolus bonus e dolus malus:
- il dolus malus è propriamente quello che vizia il contratto e consiste nel raggirare un
soggetto;
- il dolus bonus, invece, consiste in quei comportamenti di regola tenuti nella fase delle
trattative per invogliare la controparte a concludere il contratto nella semplice esaltazione
pubblicitaria, che di regola in ambito commerciale si fa della propria merce; e poiché tutti
possono valutare opportunamente tale pubblicità, il dolus bonus non è considerato dolo in
senso stretto e non comporta l’annullamento del contratto.
Il dolo può essere commissivo o omissivo, determinante o incidente:
- dolo commissivo: ricorre quando l’induzione in errore è conseguente ad un
comportamento attivo della controparte o di terzi;

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- dolo omissivo: consiste nella menzogna, ossia l’induzione in errore attraverso una falsa
affermazione, o nella reticenza, cioè la omissione della comunicazione di una cosa vera;
infatti costituisce dolo, sempre che si accompagni ai raggiri, la reticenza, che consiste nel
tacere circostanze che avrebbero indotto la controparte a non contrattare e che dovevano
essere chiarite in base al dovere di agire secondo buona fede.
- dolo determinante: è quello senza il quale il negozio non si sarebbe concluso e determina
l’annullabilità del contratto con annessa la responsabilità precontrattuale dell’autore del dolo
a risarcire il danno;
- dolo incidente: è quello senza il quale il negozio sarebbe stato ugualmente concluso ma a
condizioni diverse, per cui il contratto resta valido ma il contraente in mala fede è tenuto a
risarcire il danno (responsabilità precontrattuale).
Nel caso del dolo, rilevano anche i motivi, che invece non portano all’annullamento in casi di
errore perché non determinanti: i motivi costituiscono nel dolo la spinta alla contrattazione,
su cui incide il raggiro, con nesso di causalità. Pertanto, la tutela del deceptus è più intensa
rispetto all’errante, tant’è vero che alcuni negozi sono impugnabili per dolo e non anche per
errore: il comportamento del deceptor è di per sé un illecito che obbliga a risarcire il danno,
a prescindere dall’azione di annullamento.
Ai fini del risarcimento rileva anche il dolo del terzo, che usi raggiri per indurre una parte a
contrarre con un altro soggetto, ma l’annullamento può essere chiesto solo se i raggiri erano
noti all’altro contraente.
3.VIOLENZA:
La violenza, intesa come violenza morale, consiste nella minaccia di un male ingiusto e
notevole, posta in essere per indurre un soggetto a stipulare un contratto. Il male
minacciato deve essere:
- notevole: nel senso che la gravità del male deve essere valutata in astratto con
riferimento ad una persona sensata, allo scopo di evitare che un soggetto ragionevolmente
equilibrato determinare un vizio del consenso anche sotto minaccia irrisoria;
- ingiusto: nel senso che generalmente l’ingiustizia attiene al mezzo utilizzato per la
minaccia e può essere determinata secondo i criteri generali sull’individuazione dell’illecito;
ma deve anche essere diretto alla persona o ai beni dello stesso contraente.
La violenza come vizio del volere si identifica nella coazione psicologica: si parla di vis
compulsiva, di violenza morale, per distinguerla dalla violenza fisica, che impedisce la
stessa imputabilità dell’atto al suo apparente autore, determinandone la nullità.
La violenza è causa di annullamento anche se esercitata da un terzo: in tal caso, a
differenza del dolo del terzo, è irrilevante se il contraente ne sia stato informato, mentre ciò
che conta è esclusivamente il nesso di causalità che deve sussistere tra violenza e
conclusione del contratto.
Secondo l’ART.1436C.C. la violenza è causa di annullamento anche quando il male
minacciato riguarda la persona o i beni del coniuge del contraente, di un suo discendente o
ascendente; se invece, il male minacciato riguarda altre persone, l’annullamento del
contratto è rimesso alla prudente valutazione delle circostanze da parte del giudice.
Non costituisce causa di annullamento il solo timore reverenziale, ossia quello che incute
una persona a causa della sua età, fama o per particolari rapporti personali.
L’ART.1438C.C. prevede l’annullamento del contratto anche nel caso in cui un soggetto
minaccia di far valere un proprio diritto, mirando a conseguire un vantaggio
ingiusto, che si configura quando il fine ultimo perseguito consiste nella realizzazione di un
risultato diverso da quello conseguibile con l’esercizio del diritto: l’ordinamento intende
colpire la strumentalizzazione dell’esercizio del diritto, e non l’esercizio in sé. Es. per
recuperare somma data a mutuo il creditore può minacciando il fallimento del debitore
imprenditore, stipulare un contratto di datio in solutum.

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LA SIMULAZIONE
1.GLI EFFETTI TRA LE PARTI:
La simulazione del contratto è la fattispecie giuridica caratterizzata dal contrasto tra un
contratto apparente e l’effettiva volontà delle parti. Con la simulazione del contratto, cioè, le
parti ostentano un negozio giuridico al quale, con accordo simulatorio contestuale, decidono
di non attribuire effetto alcuno (simulazione assoluta) o di attribuire effetti diversi rispetto
a quelli tipici del contratto apparente (simulazione relativa).
La dottrina ha elaborato varie ricostruzioni sulla simulazione:
- secondo una prima impostazione, il fenomeno simulatorio consisterebbe in una
divergenza tra volontà e dichiarazione: le parti non vogliono produrre alcun effetto,
oppure vogliono produrre effetti diversi rispetto a quelli derivanti dalla dichiarazione.
- in senso opposto, invece, si è sottolineato che la volontà delle parti mira a porre in essere
l’intero congegno simulatorio: non può dirsi che il negozio simulato non sia voluto, avendo la
funzione di creare l’apparenza, sussistono due volontà, distinte ma collegate, per cui gli
effetti interni ed esterni del regolamento contrattuale, essendo difformi sono disciplinati
separatamente.

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- secondo Pugliatti, altra dottrina, la simulazione va spiegata sotto il profilo causale: il


negozio simulato, infatti è privo di causa, perché sul piano del concreto interesse perseguito,
le parti hanno escluso la produzione di ogni effetto, mentre il contratto effettivamente voluto
(simulazione relativa) avendo una propria causa, è valido ed efficace.
Base della simulazione è l’accordo simulatorio cioè l’intesa raggiunta dalle parti per dar
vita ad un negozio simulato in modo assoluto o relativo. L’accordo è dunque, non una mera
attività preparatoria ma una sorta di preliminare di fatto del negozio simulato pur se si deve
raggiungere tale accordo prima o contestualmente alla stipula del negozio simulato. Anche
se l’accordo è estraneo al negozio simulato non facendone parte, allo stesso tempo collegato
a tale negozio. Proprio per il fatto che la volontà di non dar luogo al negozio simulato è frutto
dell’accordo, cioè di volontà esternata, questa vicenda ha rilevanza, altrimenti sarebbe
semplice riserva mentale.
Si è discusso riguardo alla natura negoziale o non negoziale dell’accordo. A sostegno
della non negozialità può dirsi che l’accordo non è idoneo di per se a creare, modificare o
estinguere un rapporto giuridico. In tale ottica l’accordo è una mera dichiarazione di scienza.
In tal modo però si sottovaluta il collegamento esistente tra accordo e negozio simulato,
dove il primo mira ad eliminare o modificare gli effetti che il secondo produce sul piano
strutturale, si parla infatti di clausola accessoria del negozio.
Deve essere perciò riconosciuta la natura negoziale dell’accordo. In tal modo però l’accordo
può essere invalido o a sua volta simulato ed anche risolto per mutuo dissenso senza oneri
formali.
Le parti dell’accordo devono essere le stesse del negozio simulato.
Vi sono due forme di simulazione:
- simulazione assoluta: ha luogo quando le parti pongono in essere un dato contratto, ma
in realtà non vogliono alcun tipo di contratto (es. simulazione della vendita di beni per
sottrarli all’esecuzione forzata).
- simulazione relativa: ricorre quando le parti stipulano un contratto simulato, ma in realtà
ne vogliono uno diverso, che copre il primo, detto contratto dissimulato, contenuto nelle
contro dichiarazioni.
In caso di simulazione assoluta, il contratto simulato non produce effetti. Secondo la
dottrina prevalente, il negozio simulato sarebbe nullo nei rapporti tra le parti, in realtà
non può parlarsi di nullità, perché uno stesso negozio non può essere nullo tra le parti ed
efficace per i terzi che non ne subiscano pregiudizio: si parla allora di inefficacia originaria
del negozio, per cui il negozio non produce effetti non solo tra le parti ma anche nei confronti
dei terzi, qualora la vicenda simulatoria arrechi loro pregiudizio. L’unica eccezione è
costituita dall’ipotesi di terzi in buona fede non danneggiati dall’accordo simulatorio, per cui il
negozio avrà un’efficacia relativa nei loro confronti. (principio dell’affidamento).
In caso di simulazione relativa, invece, il contratto simulato non produce effetti, mentre il
contratto dissimulato, in quanto voluto, produce effetti purchè sussistano i requisiti di
sostanza e di forma, non potendosi produrre effetti se il contratto se il negozio non osserva
le norme imperative che lo disciplinano. Il negozio dissimulato non ha una propria
autonomia, essendo legato al negozio simulato da un nesso di compenetrazione: pertanto, i
requisiti di sostanza e forma del negozio dissimulato, ai fini della sua efficacia, devono essere
rispettati anche dal negozio simulato.
ES.le parti non potranno concludere una compravendita di cosa futura che dissimula una
donazione, perché se è vero che in tal caso la vendita simulata sarebbe valida è anche vero
che la donazione dissimulata sarebbe nulla, potendo avere la donazione ad oggetto solo beni
presenti.

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Se il negozio dissimulato è nullo, è esclusa la possibilità di convertirlo in quello simulato, che


non può in alcun caso produrre effetti nei rapporti tra le parti; così come è esclusa l’ipotesi di
convalida o di esecuzione volontaria.
La simulazione relativa, inoltre, può essere:
- oggettiva: quando riguarda la natura del negozio (es. si simula la vendita di un bene
oggetto di donazione), o anche un suo elemento, come l’oggetto, il prezzo, un elemento
accidentale.
- soggettiva: in tal caso si parla anche di interposizione fittizia, che si verifica quando la
parte sostanziale del contratto è diversa da quella che appare e che invece presta solo il
nome; l’adesione del terzo è necessaria, dovendo questi essere consapevole della funzione
meramente figurativa del contraente interposto, e manifestare quindi la volontà di contrarre
con l’interponente.
Es. Tizio vuole acquistare un bene da Caio ma non vuole apparire come acquirente, può
allora accordarsi con Caio per far apparire che l’acquisto è stato realizzato da Sempronio.
Talvolta, l’interposizione fittizia è presunta dalla legge, come nel caso delle disposizioni
testamentarie in favore di genitori, coniuge, discendenti di persona incapace a ricevere.
L’interposizione fittizia si distingue dall’interposizione reale, che si verifica quando
l’accordo è sempre e solo bilaterale tra interposto ed interponente, con assoluta e totale
estraneità del terzo contraente, infatti tale figura negoziale è analoga al mandato senza
rappresentanza, che obbliga il mandatario al ritrasferimento in caso di acquisti immobiliari e
fa acquistare immediatamente la proprietà al mandante in caso di beni mobili.
2.EFFETTI RISPETTO AI TERZI:
ART.1415C.C.: La simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli
aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno
acquistato diritti dal titolare apparente, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di
simulazione.
I terzi possono far valere la simulazione in confronto delle parti, quando essa pregiudica i
loro diritti.
Distinguiamo quindi i terzi non danneggiati dai terzi danneggiati:
- se non è pregiudizievole per i terzi vale il negozio simulato, per il principio di apparenza.
Cosi ad esempio se Tizio aliena simulatamene a Caio un bene immobile per sottrarsi a
possibili esecuzioni forzate e poi Caio aliena il bene a Sempronio, se costui (ignorava che
l’alienazione era simulata ed ha trascritto il proprio acquisto prima della trascrizione della
domanda di simulazione) prevarrà nei confronti sia nei confronti delle parti dell’atto Tizio e
Caio) sia di un eventuale avente causa di Tizio (es. acquirente del bene) sia di un creditore di
Tizio che vuole far dichiarare che il bene non è mai uscito dalla patrimonio del proprio
debitore.
- i terzi possono far valere la simulazione anche nei confronti delle parti, quando essa
pregiudica i loro diritti nel senso di impedire o rendere più difficile la realizzazione del diritto.
In tal caso terzi sono innanzitutto gli aventi causa del simulato alienante che potranno far
valere la simulazione nei confronti del titolare apparente a prescindere dalla trascrizione.
Poi sono terzi, i legittimari del simulato alienante che agiscono dopo la sua morte con l’azione
di riduzione per aggredire donazioni dissimulate, lesive della quota di riserva.
3.RAPPORTI CON I CREDITORI:
I creditori del simulato alienante possono far valere il proprio diritto di credito nei confronti
degli aventi causa del titolare apparente se costoro sono in mala fede, oppure se hanno
trascritto il proprio acquisto dopo la trascrizione della domanda di simulazione da parte dei
creditori.

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ART.1426C.C.: la simulazione non può essere opposta dalle parti del contratto ai creditori
del titolare apparente che in buona fede hanno compiuto atti di esecuzione sui beni che sono
stati oggetto del negozio simulato.
I creditori del simulato alienante possono far valere la simulazione che pregiudica i loro
diritti, e, nel conflitto con i creditori chirografari del simulato acquirente, sono preferiti a
questi, se il loro credito è anteriore all'atto simulato.
Infatti in caso di conflitto tra due creditori chirografari, un creditore del simulato alienante,
ed un creditore del simulato acquirente, prevarrà il creditore del simulato alienante se il
credito è precedente all’atto simulato perché questi, al momento della nascita del rapporto
obbligatorio, poteva far affidamento sull’esistenza del bene nel patrimonio del debitore. Fa
eccezione il caso dei beni immobili e beni registrati, per i quali si segue il criterio della
trascrizione (ART.2652C.C.). In tal caso infatti il creditore del simulato alienante prevarrà sul
creditore del simulato acquirente (anche se il credito è nato dopo l’alienazione simulata del
bene), se la trascrizione della domanda di simulazione ad opera del creditore del simulato
alienante precede la trascrizione del pignoramento da parte del creditore del simulato
acquirente.
Se il creditore del simulato acquirente ha un privilegio speciale, prevarrà sempre nei
confronti del creditore chirografario del simulato alienante, avendo acquistato un diritto
specifico sul bene, salvo il caso in cui ricorrano gli estremi dell’ART.1415C.C. (es. ipoteca
costituita in favore di creditore in mala fede).
Si discute, invece, sul caso del creditore avente privilegio generale, che nasce ex lege in
favore di certe categorie di creditori sull’insieme del patrimonio mobiliare del debitore,
quando uno di tali beni sia stato acquisito al patrimonio del debitore stesso simulatamente,
in tal caso infatti il creditore del simulato acquirente non è né chirografario, né è titolare di
un diritto su uno specifico bene.
4.AMBITO DI APPLICAZIONE:
La simulazione può essere applicata nei contratti e nei negozi unilaterali, ma
limitatamente agli atti unilaterali recettizi destinati ad una determinata persona (ART.
1414CO.3C.C.) e che siano simulati per accordo tra dichiarante e destinatario. In dottrina si
sostiene che la norma si riferisca anche ai negozi non recettizi, qualora esista un
controinteressato ben individuato, potendo tra questi e l’autore del negozio intercorrere un
accordo simulatorio.
Altri, invece, restringono l’ambito di applicazione della norma ai soli negozi unilaterali
recettizi, in cui l’interessato (cioè colui nel cui patrimonio incidono gli effetti finali del
negozio) sia non l’autore del negozio bensì il destinatario.
Non è configurabile la simulazione della cambiale, per irrilevanza del rapporto sottostante
per i terzi, né di una società di capitali, in quanto si dà vita ad una autonoma persona
giuridica, attraverso la quale conseguire determinati risultati voluti.
Anche per quanto riguarda gli atti giuridici in senso stretto, deve escludersi la possibilità
della simulazione, perché in tal caso gli effetti sono ricollegati dalla legge automaticamente e
immediatamente al verificarsi dell’atto. Tuttavia, in alcuni casi la portata dell’atto, pur
essendo non negoziale, dipende dall’autore e quindi si ammette la simulazione (es. quietanza
e confessione).
5.AZIONE DI SIMULAZIONE:
L’azione di simulazione ha natura di accertamento (negativo) dell’inefficacia assoluta
del contratto simulato:
- in caso di simulazione assoluta: è imprescrittibile;
- in caso di simulazione relativa, occorre distinguere:
a)se c’è interposizione fittizia, poiché si mira ad accertare il vero contraente l’azione è
imprescrittibile;

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b)se mira all’accertamento dell’eventuale nullità del negozio dissimulato è imprescrittibile;


c)se invece mira a far valere il negozio dissimulato di per sé valido la giurisprudenza ritiene
che l’azione di simulazione sia soggetta alla prescrizione ordinaria, decennale.
La domanda di simulazione va trascritta, se ha ad oggetto uno degli atti indicati
dall’Aart.2643C.C..
PROVA TRA LE PARTI: la prova della simulazione tra le parti è libera solo quando in
caso di simulazione relativa, il contratto dissimulato è illecito (ART.1417C.C.). Altrimenti,
quando si configura l’accordo simulatorio come patto contrario al contenuto del
contratto si applicheranno gli ART.2722-2724C.C. ma varranno anche la confessione, il
giuramento e l’interrogatorio formale.
ART.2722C.C.: la prova per testimoni non è ammessa se ha per oggetto patti aggiunti o
contrari al contenuto di un documento, per i quali si alleghi che la stipulazione è stata
anteriore o contemporanea.
ART.2724C.C.: la prova per testimoni è ammessa in ogni caso:
- quando vi è un principio di prova per iscritto: questo è costituito da qualsiasi scritto,
proveniente dalla persona contro la quale è diretta la domanda o dal suo rappresentante, che
faccia apparire verosimile il fatto allegato;
- quando il contraente è stato nell'impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova
scritta;
- quando il contraente ha senza sua colpa perduto il documento che gli forniva la prova.
Questa regola vale anche in caso di simulazione assoluta di contratto formale, perché la
prova riguarda l’inesistenza del contratto simulato e non l’esistenza di quello simulato.
In caso di simulazione relativa di contratto formale invece, se le parti chiedono
l’esecuzione del negozio dissimulato formale (non illecito altrimenti la prova è libera) dovrà
darsi la prova della sua esistenza , esibendo lo scritto che lo racchiude. Pertanto la prova per
testimoni sarà ammessa solo quando il documento è stato senza colpa smarrito.
L’occultamento parziale del prezzo, violando le norme tributare non configura l’illiceità ma
l’illegalità. Pertanto la prova non è libera.
PROVA PER I TERZI E I CREDITORI: per i creditori e i terzi invece la prova è sempre
libera, essendo nei loro confronti la vicenda simulatoria nei loro confronti un mero fatto, per
cui potrà essere fatta con testimoni o presunzioni anche semplici.
6.IL NEGOZIO FIDUCIARIO:
Nel negozio fiduciario il fiduciante si accorda con il fiduciario (c.d. pactum fiduciae) nel
senso che il primo trasferirà al secondo la piena proprietà di un bene che costui dovrà però
amministrare, per poi ritrasferirlo come atto dovuto irrevocabile (ex ART.2901C.C.) al
fiduciante o ad un terzo da lui designato. La proprietà sarà dunque limitata da un vincolo a
carattere giuridico e non solo sociale o morale.
Il pactum fiduciae può stabilire una amministrazione:
- Statica: cioè il bene da amministrare e ritrasferire è lo stesso di quello ricevuto.
- Dinamica: cioè il fiduciario ha il potere di alienare e reinvestire, trasferendo nel termine
fissato dalle parti il capitale che risulterà come frutto dell’amministrazione.
La fiducia è diversa dalla simulazione assoluta, non producendosi l’effetto traslativo. I due
istituti presentano affinità pur in caso di simulazione assoluta il titolare apparente può
alienare il bene a terzi, i quali se in buona fede faranno salvo il proprio acquisto, come
avviene anche per i terzi acquirenti dal fiduciario. In tal caso, però la buona fede non rileva
perché il fiduciario è proprietario e la limitazione derivante dal pactum fiduciae è inopponibile
ai terzi. Il terzo in mala fede dovrà però risarcire pur se è salvo l’acquisto del fiduciario è
però tenuto al risarcimento ex ART.2043C.C. avendo cooperato all’inadempimento del
pactum fiduciae.

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Il fiduciante, in caso di inadempimento, può agire per l’esecuzione specifica della


prestazione, se ne ricorrono gli estremi trascrivendo la domanda, per ottenere il
trasferimento coattivo del bene immobile e prevalere in tal modo su coloro che hanno
trascritto successivamente.
L’atto traslativo del fiduciante al fiduciario ha lo scopo di permettere a questi di amministrare
il bene per poi ritrasferirlo, analogamente all’atto con cui il mandante fornisce al mandatario
la provvista per gestire l’affare, fermo restando che il fiduciario acquista la proprietà. L’atto
traslativo dal fiduciante al fiduciario è un atto unilaterale e il fiduciario non ha potere di
rifiuto ex ART.1333C.C., perché il fiduciario si è obbligato con il pactum fiduciae ad
acquistare. Non c’è, però, trasferimento nella fiducia statica, che si distingue dalla fiducia
dinamica perché il fiduciario è già titolare di una situazione attiva, che con il pactum fiduciae,
si obbliga a modificare.
La fiducia romanistica è quella accolta nel nostro ordinamento e si basa sul trasferimento
della proprietà secondo Gazzoni, invece, la fiducia germanistica non determinerebbe mai un
effetto traslativo, bensì esclusivamente l’attribuzione della mera legittimazione all’esercizio
del diritto che, quindi, rimane in capo al fiduciante.
7. IL TRUST:
Il trust è sconosciuto al nostro diritto in quanto contrastante con i principi generali in materia
di proprietà ma con la ratifica da parte dell’Italia della Convenzione dell’Aja, si sono
introdotte nel nostro ordinamento le disposizioni sulla legge applicabile dal giudice italiano
chiamato a risolvere conflitti nel caso in cui beni del trust creato da uno straniero in base
alla propria legge siano situati in Italia.
Il trust è un particolare tipo di contratto con cui il settlor (costituente) trasferisce, con atto
inter vivos o mortis causa, la proprietà di un bene ad un soggetto fiduciario, il trustee, il
quale tuttavia non ne ha la piena disponibilità, in quanto è vincolato da un rapporto di natura
fiduciaria che gli impone di esercitare il suo diritto reale a beneficio di un altro soggetto,
detto appunto beneficiary al quale saranno trasferiti in piena proprietà i beni alla fine del
trust. I beni del trust sono intestati a nome del trustee ma sono separati dal resto del suo
patrimonio.
Il trust non ha valore solo tra le parti come accade nel nostro ordinamento con il negozio
fiduciario, ma è opponibile ai terzi.
Sono ormai numerose le sentenze di tribunali italiani di vario grado che riconoscono gli effetti
del trust, con particolare riguardo al c.d. trust interno, che presenta quale unico elemento
di estraneità rispetto all’ordinamento italiano la legge regolatrice, che deve essere
necessariamente straniera (generalmente inglese), stante la mancanza nell’ordinamento
italiano di norme specifiche in materia.
Esempio
Tizio prepara una disposizione testamentaria che prevede le seguenti clausole:
- nomina trustee il proprio avvocato Caio;
- dispone che il figlio Sempronio riceva i beni al raggiungimento del 18° anno di età.
All’apertura della successione si crea quindi un trust: l’avvocato Caio diviene trustee, mentre
Sempronio diviene beneficiary. Tutti i rapporti giuridici vengono intestati a Caio, il quale
diviene pertanto proprietario degli immobili, intestatario dei conti bancari, e così via, mentre
Sempronio ha, secondo le regole del trust del modello inglese, la "equitable ownership";
secondo le regole giuridiche italiane, un diritto di credito nei confronti di Caio, cioè il diritto di
ricevere i beni in trust al compimento del 18° anno di età.
Sempronio può godere dell’utilizzo dei beni e percepirne i frutti, mentre Caio -pur essendone
proprietario- non può disporne in alcun modo. Al raggiungimento del 18° anno da parte di
Sempronio, Caio gli cederà i beni, e Sempronio ne diverrà pieno proprietario.

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Ovviamente le disposizioni testamentarie prevedranno che Caio, professionista di fiducia del


de cuius, venga adeguatamente retribuito per l’amministrazione dei beni. Può essere
previsto che i diritti di godimento da parte di Sempronio siano adeguatamente limitati: ad
esempio egli potrebbe poter ricevere solo un assegno di importo prefissato, mentre i frutti
eventualmente eccedenti dovrebbero essere reinvestiti da Caio.

INVALIDITA’
INVALIDITA’ E INEFFICACIA:
Il codice disciplina due ipotesi di invalidità: nullità ed annullabilità.
Il negozio nullo è del tutto inefficacie, mentre il negozio annullabile produce effetti
che possono essere rimossi con sentenza costitutiva avente tra le parti efficacia ex
tunc. Può dunque dirsi che l’invalidità è collegata alla inefficacia in senso lato, se si
considera che la sanzione che colpisce il negozio invalido è la mancata produzione di effetti o
la possibilità di rimuoverli. L’inefficacia in senso lato non è però autonoma categoria, è
cioè un modo di essere del contratto quando non si producono effetti negoziali.
E’ invece autonoma la categoria dell’inefficacia in senso stretto, che deve essere distinta
dalla invalidità. Infatti il negozio inefficace è pur sempre un negozio valido e dotato di una
propria rilevanza di fronte al diritto. L’inefficacia per questo non può identificarsi nemmeno
con l’irrilevanza.
Dunque l’inefficacia del contratto è distinta in due categorie:

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1)inefficacia in senso ampio: riguarda tutti i casi in cui la mancanza di effetti deriva da un
fattore intrinseco come un vizio, che a sua volta può derivare dal fatto che il negozio pur
essendo giuridicamente esistente, è manchevole o viziato nei suoi elementi o requisiti
essenziali: in tal caso si ha la figura dell’invalidità.
2)inefficacia in senso stretto: che comprende tutte le ipotesi in cui la mancanza degli
effetti derivi da un fattore estrinseco, ovvero quando si verifica un’inettitudine transitoria del
contratto a produrre i suoi effetti (es. un contratto valido non produce i suoi effetti giacché è
sottoposto a condizione sospensiva non ancora verificatasi), il negozio è valido ma per un
fatto esterno non produce i suoi effetti.
Il collegamento tra la fattispecie ed il fatto ulteriore che determina l’inefficacia, può essere:
-collegamento strutturale: qui il fatto ulteriore è meramente impeditivo, si parla in tal
caso di inefficacia originaria del negozio, essendo gli effetti impediti fin dall’inizio. Il
collegamento può essere:
a)necessario: quando la fattispecie non è intrinsecamente idonea alla produzione degli
effetti (esempio è oggetto determinabile o indicato genericamente o rimesso all’arbitrio del
terzo)
b)accidentale: quando la fattispecie è intrinsecamente idonea alla produzione degli effetti,
come nel caso del negozio condizionato sospensivamente.
-collegamento funzionale: quando il fatto è sopravvenuto e non è meramente impeditivo
perché trae con sé conseguenze giuridiche proprie, che eliminano quelle già prodotte dalla
fattispecie (non si tratta di un fatto meramente impeditivo), in tal caso l’inefficacia è
successiva. Anche il collegamento funzionale può essere necessario (es. risoluzione,
rescissione, revoca dell’atto di disposizione) o accidentale (es. condizione risolutiva o
termine finale).
Diversa è l’inesigibilità che si configura quando il creditore non può efficacemente
pretendere l’adempimento di un’obbligazione anche se nata da un contratto valido ed
efficace. L’inesigibilità si atteggia alla stessa stregua della prescrizione.
1.NULLITA’:
Nel codice civile manca una definizione ma il libro 4 prevede il regime ad essa applicabile.
L’atto nullo è improduttivo di effetti per un vizio strutturale. Si discute se questa
regola tolleri eccezioni.
In caso di risposta positiva si parla di qualificazione negativa, in caso di risposta
negativa si parla di inqualificazione perché non c’è nulla di giuridicamente rilevante:
1)l’ espressione qualificazione negativa è contraddittoria perché il termine qualificazione
rimanda alla recezione dell’atto dal piano sociale al piano giuridico (perciò espressione di
qualificazione positiva). Avendo il negozio giuridico rilevanza sociale nel momento in cui è
dichiarato nullo, quindi in realtà il negozio non perde la sua rilevanza ma si nega la sua
realizzazione.
2)In realtà un negozio nullo, secondo Gazzoni, è inqualificato e dunque irrilevante sul
piano giuridico, mentre nessuna importanza può essere attribuita al fatto che tale negozio
possieda una rilevanza sociale.
Tali caratteristiche di irrilevanza e di inqualificazione sono attribuite dalla dottrina che
considera la nullità come qualificazione negativa al negozio inesistente. Si ha inesistenza
quando il negozio non ha nemmeno rilevanza sociale ed quindi è inidoneo a produrre effetti.
L’inesistenza dunque è categoria sociale e non giuridica.
CAUSE DI NULLITA’: ART.1418C.C.: dispone che il contratto è nullo quando:
1)sia contrario a norme imperative ,salvo che la legge disponga diversamente.
2)se presenti un difetto strutturale o funzionale (producono nullità del contratto la mancanza
di uno dei requisiti indicati dall'ART.1325C.C., l'illiceità della causa ART.1343C.C., l'illiceità

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dei motivi nel caso indicato dall'ART.1345C.C. e la mancanza nell'oggetto dei requisiti
stabiliti dall'ART.1346C.C..
3)il contratto è nullo anche in altri casi espressamente previsti dalla legge
ART.1418CO.3C.C..
Nel caso di difetto strutturale, ART.1418CO.2C.C., i contraenti non osservano il disposto
dell’ART.1325C.C. cosicchè non è ravvisabile un accordo (es. violenza fisica) oppure una
causa che giustifichi lo spostamento patrimoniale ovvero un oggetto possibile, determinato,
determinabile o la forma ad substantiam, se richiesta dalla legge.
Per quanto riguarda il difetto causale, ciò che può far difetto non è la causa ma il tipo
contrattuale.
L’illiceità discende da un giudizio di disfavore normativo: ossia se un operazione privata è in
contrasto con una norma imperativa, l’ordine pubblico o il buon costume.
L’ipotesi di illiceità va distinta dalla generica illegalità, che si ha quando il contratto viola
norme imperative secondo quanto previsto dall’ART.1418CO.1C.C. (nullità virtuale). In effetti
vige una distinzione tra nullità testuale, quella prevista dalla norma, e nullità virtuale,
appunto quella che si ricava dalla ratio della norma imperativa violata pur non essendoci
espressa previsione.
Tale distinzione porta alla contrapposizione tra generica illegalità e specifica illiceità.
L’illiceità porta sempre alla nullità, al contrario della illegalità.
L’ART.1418CO.1C.C. va interpretato però in maniera non restrittiva, perché la nullità va
esclusa in caso di espressa disposizione di legge, ma anche se implicitamente espressa tale
esclusione della nullità dalla ratio legis. Dalla violazione di una norma imperativa deriva
dunque la nullità quando la norma tutela interessi generali e non settoriali oppure quando è
inderogabile in senso assoluto per tutti i soggetti di diritto.
Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto nullo, a tutela della salute, il contratto di vendita
di caffè, senza indicazione della scadenza, ed al contrario valido, il contratto con cui si
pongono in commercio uova da cova senza i dati indicati dalla L.356/1966 (tale norma
benché imperativa non è volta alla tutela generale della salute pubblica, ma solamente al
razionale e controllato svolgimento della produzione e del commercio delle uova).
Non si ricorre alla nullità quando la legge assicura l’effettività della norma imperativa con la
previsione di rimedi diversi di natura tributaria o penale.
Le clausole contrattuali nulle per contrarietà a norme imperative, in caso di successiva
abrogazione delle norme stesse, non sono suscettibili di reviviscenza, salvo che la legge
non operi retroattivamente incidendo sulla qualificazione degli atti compiuti.
Si ritiene, invece, possibile la nullità sopravvenuta che consegue ad una mutata
valutazione normativa, relativa ai negozi ad effetti differiti o sospesi da una parte e di durata
dall’altra, operando ex nunc, e dunque sugli effetti futuri. Nel primo caso perché gli effetti
non si sono ancora prodotti, nel secondo caso per via analogica. Però parlare di nullità
sopravvenuta è una contraddizione perché la nullità, riguardando l’atto, non può che essere
originaria.
La disciplina della nullità mira ad assicurare l’effettiva tutela agli interessi generali.
L’ART.1421C.C. prevede che, salvo diversa disposizione di legge, può far valere la nullità
chiunque vi abbia interesse (legittimazione assoluta), essendo tutelati interessi
superindividuali, e il giudice al quale i privati si siano rivolti per far valere quanto pattuito. Il
giudice può rilevarla d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, anche contro la volontà delle
parti.
Ciò deve avvenire nella controversia promossa per far valere i diritti che presuppongono la
validità del contratto, nel rispetto di quel potere-dovere del giudice di verificare la
sussistenza delle condizioni dell’azione. Il giudice dovrà decidere nei limiti della domanda
delle parti e sulla base dei fatti dalle stesse allegate. Il giudice può rilevarla di ufficio in via

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incidentale anche quando la parte chiede l’annullamento, la risoluzione o la rescissione del


contratto perché non vi sono i presupposti per richiedere la nullità.
L’azione per far valere la nullità di un atto è imprescrittibile (ART.1422C.C.). Chiunque,
legittimato ad agire, data la natura degli interessi tutelati, può far valere la nullità in ogni
momento, con un’azione di accertamento che porti il giudice a pronunciare una sentenza
dichiarativa di nullità.
La norma fa salvi gli effetti dell’usucapione e della prescrizione delle azioni di ripetizione, ciò
che presuppone che il contratto, anche se nullo, sia stato eseguito.
-quanto all’usucapione, matura quell’ordinaria ma non quella abbreviata. Per la prima basta
il possesso protratto nel tempo e il titolo nullo seguito da consegna per determinare
l’impossessamento. Per la seconda è necessario che vi sia un titolo valido ed efficace.
-le azioni di ripetizione sono previste dall’ART.2033C.C., che stabilisce che in caso di
contratto nullo, se sia stato ugualmente eseguito, ciascuna delle parti deve restituire quanto
indebitamente ricevuto (solutio indebiti). La prescrizione è decennale e si discute se essa
inizia a decorrere dalla sentenza o dal pagamento. Secondo la giurisprudenza però l’azione di
ripetizione della prestazione eseguita sulla base di un contratto nullo, non potrebbe essere
iniziata qualora non sia possibile una restituzione di ciò che è stato prestato e ne
conseguirebbe che dovrebbe restare ferma anche la controprestazione. Un limite alla
ripetibilità è previsto dall’ART.2035C.C. in caso di nullità del contratto per contrarietà a buon
costume.
La disciplina della nullità sancisce l’insanabilità del contratto nullo, ossia non consente
che il contratto che nasce nullo possa diventare valido, o si possa procedere ad una
convalida mediante esecuzione, salvo diversa disposizione di legge (ART.1423C.C). Secondo
parte della dottrina la più importante eccezione è prevista dall’ART.799C.C., che disciplina la
conferma della donazione nulla: tale impostazione è da respingere in quanto si parla di
conferma e non di convalida. La convalida presuppone infatti l’identità soggettiva tra autore
della convalida e la parte del contratto convalidato, invece in caso di donazione nulla la
legittimità a confermare spetta non al donante ma ai suoi eredi o aventi causa dopo la
morte.
Neanche il matrimonio putativo può essere considerata eccezione sul piano della pretesa
efficacia dell’atto nullo perché innanzitutto non può essere considerato un contratto, e poi
perché gli effetti sono ricollegati non all’atto matrimoniale nullo ma alla più complessa
fattispecie formata dall’atto nullo, dalla esecuzione e dalla buona fede.
Si parla di sanatoria anche nell’ipotesi di trascrizione della domanda di nullità
(ART.2652N.6-2690N.3C.C.) nel contesto della pubblicità sanante, dunque diverso da quello
della convalida. Tali norme infatti regolano i conflitti con i terzi e non i rapporti tra le parti e
riguardano la circolazione di beni immobili e mobili registrati. Per cui in nessun modo il
contratto che è nullo tra le parti, può produrre di per sé effetti.
Nei confronti dei terzi, al fine di tutelare e garantire la certezza dei traffici, qualora un
soggetto abbia acquistato con contratto valido un bene immobile o mobile registrato da un
altro soggetto, che precedentemente lo abbia acquistato con contratto nullo, l’originario
venditore non può esperire l’azione di nullità nei confronti del sub acquirente:
-se questi avrà agito in buona fede ignorando cioè la nullità del primo contratto;
-se avrà, altresì, trascritto il proprio acquisto prima della trascrizione della domanda di
nullità, purchè siano trascorsi 5 anni in casi di acquisto di beni immobili, o 3 per beni mobili
registrati, tra la trascrizione della domanda e la trascrizione dell’atto nullo impugnato che ha
valore costitutivo. Ma se la trascrizione sia stata successiva, allora il terzo subacquirente
potrà opporre l’usucapione anche abbreviata se ne ricorrono gli estremi. Ovviamente si
tratta di una norma a carattere eccezionale, per cui la trascrizione della domanda non
ammette equipollenti.

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NULLITA’ PROTETTIVE: lo sforzo che ha accomunato dottrina e giurisprudenza è stato


quello di sistematizzare le regole della nullità in modo da riconoscere unità logica alla figura
e permettere una corretta ed uniforme applicazione della disciplina. I principi della nullità nel
codice sono più volte stati derogati da leggi speciali che sono aumentate prevedendo non più
solo la tutela di interessi superindividuali ma anche la tutela di interessi particolari. Tra tali
interessi meritevoli di tutela vi sono quelli dei consumatori cioè contraenti che per la loro
condizione di strutturale debolezza sul mercato subiscono l’abuso contrattuale degli altri
contraenti più forti. Nonostante i dubbi della dottrina la nullità va dunque qualificata come
relativa, anche quando la legittimazione (imprescrittibile ed insanabile) del solo consumatore
non è prevista dalla legge (con esclusione dell’intervento ex officio del giudice). Alla base di
questa tendenza vi è innanzitutto l’esigenza di creare condizioni di parità contrattuali tra le
parti. Esempi di legittimazione relativa espressa si ritrovano in materia di intermediazione
finanziaria, di contratto di vendita di immobile in costruzione, di contratto di assicurazione.
La tutela però è comunque predisposta nell’interesse collettivo (vedi codice consumo, ecc..).
NULLITA’ PARZIALE: ART.1419C.C.: la nullità parziale di un contratto o la nullità di
singole clausole determina la nullità dell’intero contratto se risulta che i contraenti non lo
avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità.
Tale disciplina è applicata anche in caso di contratti collegati per stabilire se la nullità dell’uno
fa cadere anche l’altro. Perciò bisogna soffermarsi sul momento della conclusione del
contratto e osservarlo in maniera oggettiva, valutando se ha carattere essenziale la clausola
nulla, e qualora la clausola nulla non sia stata decisiva per la conclusione del contratto, non
si potrà avere la nullità dell’intero negozio, e senza di essa, il contratto potrà produrre
comunque i suoi effetti.
Qualora si intenda dimostrare che vi sia un condizionamento reciproco delle pattuizioni è
necessario darne la prova libera che spetta a tutti i contraenti o agli interessati, previa
comunicazioni agli altri. Nel dubbio il giudice dovrà optare per la nullità parziale. Ai sensi
dell’ART.1419CO.2C.C. la nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto,
quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative. Si tratta di una norma
di carattere tecnico-ricostruttivo che permette la sostituzione a prescindere dall’indagine sul
intento. Questa norma si affianca alla norma prevista dall’ART.1339C.C. che determina
anch’essa la sostituzione, ma attiene alla costruzione del regolamento contrattuale. Per
l’ART. 1420C.C. in caso di contratti con più di 2 parti, qualora vi sia una nullità che colpisce
una sola delle parti, non si avrà la nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa
sia stata essenziale alla conclusione del contratto.
La legge consente, ART.1424C.C., la conversione del contratto nullo, cioè il contratto
nullo produce gli effetti di un contratto diverso del quale deve avere i requisiti di sostanza e
di forma, qualora, tenuto in considerazione lo scopo oggettivo perseguito dalle parti, si deve
ritenere che esse lo avrebbero concluso perché atto a realizzare lo stesso scopo, se avessero
conosciuto la nullità. Ciò quindi è possibile qualora la nuova fattispecie permetta comunque
di raggiungere lo scopo perseguito dalle parti e non vi sia una volontà contraria dei
contraenti. Il contratto nullo che viene convertito deve avere gli stessi requisiti di sostanza e
di forma di quello diverso, per requisiti di sostanza si intende quelli che riguardano l’oggetto
e i soggetti.
Si parla di conversione sostanziale che opera in riferimento al contenuto in
contrapposizione a quella formale riferita ai casi in cui un atto possa rivestire più forme. La
conversione opera automaticamente, non è necessario che le parti diano il loro assenso. La
c.d. volontà ipotetica delle parti deve essere però valutata sulla base di criteri oggettivi,
sempre che non risulti in maniera inequivocabile che le parti hanno escluso un contratto
diverso. Unico presupposto implicito è l’ignoranza delle parti circa la nullità del contratto al
momento della conclusione.

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Sia la conversione che la sostituzione trovano la loro ragion d’essere nel principio di
conservazione del contratto secondo il quale occorre sempre cercare di bilanciare l’invalidità
del contratto con regole che, per quanto possibile, assicurino la stabilità delle situazioni
giuridiche che si sono create e sulle quale i terzi abbiano fatto affidamento.
La giurisprudenza non pone limiti alla conversione sulla base dei tipi negoziali ma solo sulla
base della struttura, escludendo la possibilità di una conversione di un contratto in un
negozio unilaterale.
2. ANNULLABILITA’:
Il contratto può nascere privo di vizi strutturali ma nel contempo presentare diversi vizi che
attengono alla consapevolezza e volontarietà dell’atto. L’annullabilità è prevista in ipotesi
tassative:
-per mancanza della capacità di agire delle parti;
-per presenza di vizi della volontà (dolo, errore e violenza);
-in altre ipotesi previste dalla legge (es: conflitto di interessi nella rappresentanza, la
contrattazione del rappresentato con se stesso).
L’ annullabilità presuppone l’inconsapevolezza rispetto ai vizi dell’atto al momento della
conclusione.
Al contrario della nullità, l’annullabilità è prevista al fine di tutelare interessi
individuali.NRisponde a tale ratio l’ART.1426C.C. che afferma che il contratto non è
annullabile qualora il minore abbia con raggiro occultato la propria età. Infatti se
l’ART.1425C.C. (che prevede l’annullabilità del contratto nel caso in cui una delle parti sia
incapace legalmente di contrarre) fosse posta a tutela di interessi superindividuali non
sarebbe ammissibile nessuna eccezione tantomeno l’ART.1426C.C..
L’annullabilità può essere domandata solo dalla parte interessata all’eliminazione
degli effetti del contratto prodottisi (legittimazione relativa che è la regola). Il giudice non
può intervenire ex officio.
Vi sono ipotesi normative di legittimazione assoluta con l’attribuzione del potere di
impugnare l’atto a chiunque abbia interesse. Ad esempio l’interdizione legale (ART.1441
CO.2C.C.), che non è un istituto posto a tutela dell’incapace ma è una sanzione prevista
dall’ordinamento che perciò allarga la legittimazione parlando così di annullabilità assoluta.

Può il destinatario di una dichiarazione annullabile respingerla per impedire che si producano
i suoi effetti?
Es. Si pensi alla situazione i cui si trova il proponente che è venuto a conoscenza che l’oblato
ha subito violenza da parte di un terzo, e non ha avuto il tempo di revocare la proposta
prima dell’arrivo della accettazione:
1)chi propende per la soluzione positiva ritiene sia inevitabile, perché se non rifiuta il
destinatario dovrà subire l’attesa dell’azione di annullamento.
2)chi invece propende per la soluzione negativa ritiene che, essendo il giudice ad
esercitare il potere di annullamento con sentenza costitutiva, il destinatario non può
eliminare la dichiarazione. Il destinatario non può neanche ridurre il periodo di incertezza
con una interpellatio al dichiarante, ossia con la richiesta all’oblato consapevole
dell’annullabilità dell’atto, e considerando il suo silenzio come causa della perdita dell’azione
di annullamento ,perché la perdita dell’azione può derivare solo da convalida (che può essere
espressa o per fatti concludenti ma mai con silenzio) .Tuttavia taluni ritengono che il potere
di interpello potrebbe creare una situazione di apparenza e di affidamento che legittima, in
caso di esercizio successivo dell’azione, una eccezione basata sull’abuso del diritto.
PRESCRIZIONE: ART.1442C.C.: l'azione di annullamento si prescrive in cinque anni.
Quando l'annullabilità dipende da vizio del consenso o da incapacità legale il termine decorre

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dal giorno in cui è cessata la violenza, è stato scoperto l'errore o il dolo, è cessato lo stato
d'interdizione o d'inabilitazione ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età. Negli altri casi
il termine decorre dal giorno della conclusione del contratto. L'annullabilità può essere
opposta dalla parte convenuta per l'esecuzione del contratto, anche se è prescritta l'azione
per farla valere.
Altro elemento di differenziazione tra la nullità e l’annullabilità è rappresentato dalla
prescrizione, infatti mentre l’azione di nullità è imprescrittibile, l’azione di annullamento si
prescrive in 5 anni che decorrono, di regola, dalla conclusione del contratto. In caso di vizio
della volontà o di incapacità legale il termine risulta più lungo perché inizia a decorrere dal
giorno in cui viene scoperto l’errore o il dolo, è cessata la violenza o è cessato lo stato di
interdizione o di inabilitazione o il minore ha raggiunto la maggiore età.
La giurisprudenza riconosce effetto interruttivo solo alla domanda giudiziale e non a qualsiasi
atto stragiudiziale di messa in mora perché il diritto all’annullamento è un diritto potestativo,
con conseguente inesistenza dal lato passivo di un obbligato cui possa richiedersi
l’adempimento di una prestazione. Qualora il contratto non abbia ricevuto esecuzione oltre 5
anni dalla sua conclusione l’annullabilità può essere opposta dalla parte convenuta per
l’esecuzione del contratto anche quando è prescritta l’azione per farla valere.
SENTENZA DI ANNULLAMENTO: la sentenza di annullamento è costitutiva perché
elimina ex tunc gli effetti del contratto prodottisi a differenza della nullità che è meramente
dichiarativa. Data la retroattività della sentenza vi è identità funzionale almeno inter partes
tra il contratto nullo e il contratto annullato. Se il contratto annullato ha avuto esecuzione
viene riconosciuta l’azione di ripetizione poiché viene meno ex tunc la giustificazione degli
spostamenti patrimoniali verificatisi.
L’azione di ripetizione incontra un limite nei confronti del contraente incapace di agire, questi
non è tenuto a restituire la prestazione ricevuta salvo che la prestazione sia a proprio
vantaggio.
L’annullamento, che non dipende da incapacità legale, non pregiudica i diritti dei terzi di
buona fede acquistati a titolo oneroso, salvi gli effetti di trascrizione della domanda di
annullamento (ART.1445C.C.). Il regime della trascrizione della domanda di annullamento è
in linea generale quello della trascrizione della domanda di nullità. L’unica differenza sta nel
caso in cui l’acquisto del terzo è avvenuto a titolo oneroso e il motivo dell’annullabilità non
sia l’incapacità legale. In questo caso il terzo di buona fede fa salvo il proprio diritto se
trascrive l’atto di acquisto prima della trascrizione della domanda di annullamento.
CONVALIDA: ART.1444C.C.: la parte cui spetta l’azione di annullamento potrebbe
preferire la conservazione del contratto. Il legislatore ha perciò previsto la convalida. La
convalida può essere espressa o tacita. La convalida espressa è un negozio giuridico,
unilaterale e non recettizio, a carattere accessorio con contenuto tipico. La legge prevede
che esso deve contenere la menzione del contratto, l’indicazione del motivo di annullabilità e
la dichiarazione che si intende convalidarlo. La convalida presuppone che il negozio viziato
sia già venuto ad esistenza.
Si discute sulla recettizietà dell’atto. L’atto è una rinunzia all’azione perché non si
producono nuovi effetti, ma si stabilizzano quelli già prodottisi e la rinunzia ha carattere
abdicativo.
Per quanto riguarda la forma vi è una contrapposizione tra chi ritiene sia la stessa del
contratto da convalidare, per relationem (Gazzoni), altri (Bianca) ritengono sia libera, altri
ancora sempre scritta (Santoro – Passarelli). Bisogna perciò distinguere se l’atto è
integrativo, volto a sostituire l’elemento viziato del contratto dovrà avere la forma di
questo. Se invece l’atto è in realtà una rinunzia all’azione di annullamento allora la forma
sarà libera. Se invece si fa attenzione alla dizione normativa secondo cui la convalida dovrà

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contenere la menzione del contratto, del vizio e la dichiarazione di convalidare, si potrebbe


sostenere la necessità di una forma scritta.
La convalida tacita si ha quando il contraente, al quale spetta l’azione di annullamento, ha
dato volontaria esecuzione al contratto conoscendo il motivo di annullabilità. Per quanto
riguarda la sua natura si parla di negozio di attuazione o di atto reale (operazione). Per
esecuzione del contratto si intende l’adempimento dello stesso. La giurisprudenza amplia tale
concetto e vi fa rientrare anche l’accettazione dell’altrui prestazione e l’aver compiuto un
negozio incompatibile con l’intenzione di esperire l’azione di annullamento.
RETTIFICA: ART.1432C.C.: il codice attribuisce al contraente nei confronti del quale è
stata proposta l’azione di annullamento per errore la possibilità di inibirne gli effetti
ricorrendo alla rettifica. La rettifica è un negozio unilaterale a carattere accessorio e
recettizio. La parte in errore non può domandare l’annullamento del contratto se l’altra offre
di eseguirlo in modo conforme al contenuto e alle modalità contrattuali con cui l’altra
intendeva concludere. Questo però se l’attore non abbia subito un pregiudizio dall’errore
determinata dall’esercizio dell’azione. La rettifica non dà luogo ad un nuovo contratto, ma ad
un mutamento in fase esecutiva della prestazione da eseguire, che è quella che l’errante
avrebbe dedotto al fine di perseguire il proprio fine se non fosse caduto in errore, e non
quella dedotta in contratto.
Viene così meno la possibilità di esperire l’azione di annullamento perché non c’è più danno
per l’errante e non è possibile la convalida essendo stato eliminato il vizio. Si tratterà di una
gara contro il tempo, l’errante così avrà la possibilità di eliminare il contratto in radice ovvero
di convalidarlo consolidando i suoi effetti e l’altra parte potrà bloccare entrambe le iniziative,
notificando tempestivamente la rettifica. La rettifica non è applicabile nei casi di dolo e
violenza.
In caso di contratto plurilaterale si applica la stessa disciplina della nullità. Si discute se si
possa parlare di annullabilità parziale. La dottrina favorevole, che ravvisa un’identità
funzionale tra il contratto nullo e annullabile, pone come limite unico la divisibilità
dell’oggetto del contratto.

RESCISSIONE
La natura del rimedio rescissorio è controversa in dottrina. Ci si chiede se il contratto
rescindibile sia invalido, quindi se la rescissione sia una forma di invalidità, analoga
all’annullabilità per vizio del consenso (come la violenza morale).
Gazzoni sostiene che la disciplina della rescissione è diversa dall’annullabilità, la base
comune si riscontra solo un due caratteristiche di fondo:
-prescrittibilità, peraltro con termini diversi.
-legittimazione relativa.
Inoltre è da notare che la rescissione è un rimedio eccezionale, infatti come principio
generale l’ordinamento non si preoccupa del contenuto squilibrato di un contratto, se non c’è
vizio della volontà.
Inoltre la rescissione riguarda solo i contratti sinallagmatici. Il rimedio della rescissione si
applica, inoltre, a due sole ipotesi: stato di pericolo e stato di bisogno:
1)STATO DI PERICOLO:
L’ART.1447C.C. stabilisce che: “il contratto con cui una parte ha assunto obbligazioni a
condizioni inique, per la necessità, nota alla controparte, di salvare sé o altri dal
pericolo attuale di un danno grave alla persona può essere rescisso su domanda della
parte che si è obbligata”.
Il rimedio della rescissione è posto a tutela dell’equilibrio della contrattazione, attesa la
condizione di menomazione in cui si trova un contraente. I requisiti richiesti sono:

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-conoscenza dello stato di pericolo da parte dell’altro contraente.


-condizioni inique.
Possiamo prendere come esempio il contratto di salvataggio concluso da chi deve salvare un
proprio familiare rimasto bloccato in un rifugio alpino. Tale contratto in sé per sé
considerato, è voluto dal contraente in stato di pericolo, perché è lo strumento per uscire da
tale condizione, ma ciò che può essere non voluto è il contenuto del contratto. Il vizio,
infatti, attiene al profilo dell’iniquità, che rileva in relazione all’assenza di libertà di trattativa.
Lo stato di pericolo coincide in buona sostanza con lo stato di necessità. Esso deve essere:
-attuale, già verificatosi.
-deve riguardare persone e non cose o beni.
Stato di pericolo e di necessità si differenziano sul piano funzionale:
-lo stato di necessità è causa di esclusione dell’antigiuridicità dell’atto illecito, quindi
esonera l’autore dell’atto dall’obbligo risarcitorio, dovendo corrispondere solo un’indennità.
-lo stato di pericolo spinge il soggetto a contrattare a condizioni inique, a tutto vantaggio
del terzo.
L’ART.1447C.C. non chiede che il pericolo sia inevitabile, ne che esso non dipenda dal
contraente che lo subisce, né che vi sia proporzionalità tra il comportamento di costui e il
pericolo.
Il pericolo però deve essere:
-grave.
-causa efficiente della contrattazione: nel senso che la parte deve essere convinta di trovarsi
di fronte all’alternatività tra subire il danno o stipulare il contratto. In dottrina c’è chi ritiene
che anche il convincimento solo supposto (c.d. putativo) in ordine all’esistenza del pericolo
conduca alla rescissione, soprattutto quando l’altro contraente conosce la putatività. Altra
parte della dottrina ritiene che in questo caso si dovrebbe applicare l’ART.1337C.C. o
considerare il contratto nullo per inutilità della prestazione.
Altro presupposto, che si richiede è che la parte abbia assunto obbligazioni a condizioni
inique. In ordine all’individuazione dell’iniquità si rilevano due teorie contrastanti:
-Teoria dominante: l’iniquità va identificata con la sproporzione tra le prestazioni, quindi,
in termini oggettivi e tecnici.
-Altra teoria: va valutata sul piano sociale ed etico, senza avere riguardo del valore
economico dell’azione di salvataggio, la quale, di per sé, non sembra suscettibile di una
valutazione economica, soprattutto se si pensa che essa può coincidere con una scalata di
una montagna da parte di una guida che deve soccorrere un alpinista bloccato su di un
ghiacciaio.
In ogni caso il giudice, nel pronunciare la rescissione, può, secondo le circostanze, assegnare
un equo compenso all’altra parte per l’opera prestata. Si tratta di una valutazione
discrezionale che ha ad oggetto il valore economico della prestazione.
L’ART.1447C.C. si applica a qualsivoglia contratto. Anche se una dottrina isolata limita tale
articolo ai soli contratti di prestazioni d’opera.
2)STATO DI BISOGNO:
L’ART.1448C.C. fa riferimento ad un’altra ipotesi di contratto rescindibile e stabilisce che “se
vi è sproporzione tra le prestazioni di una parte e quelle dell’altra e la sproporzione è dipesa
dallo stato di bisogno di una delle due, della quale l’altra ha approfittato per trarne
vantaggio, la parte danneggiata può domandare la rescissione del contratto”.
In ogni caso la rescissione non è ammessa se la lesione non è ultra dimidium. Il vizio va
ravvisato nello squilibrio creatosi nel sinallagma, frutto dell’approfittamento di un contraente
nei confronti dell’altro.

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Non è ammessa la rescissione nei contratti aleatori, essendo connaturata a tali contratti la
possibilità, legata alla sorte, che nasca un vantaggio sproporzionato a favore di una parte.
I presupposti per l’azione di rescissione sono:
-la lesione ultra dimidium, cioè il valore della prestazione deve essere oltre il doppio del
valore della controprestazione.
-lo stato di bisogno della parte danneggiata, che va inteso non come assoluta indigenza o
incapacità patrimoniale, ma come situazione di difficoltà economica, anche transitoria.
-l’approfittamento dello stato di bisogno, che non consiste necessariamente in un
comportamento attivo, ovvero in un’iniziativa fraudolenta della parte, infatti, è sufficiente la
consapevolezza del vantaggio patrimoniale che si trae dalla situazione di bisogno della
controparte.
Esempio: Tizio, trovandosi in gravi difficoltà economiche, svende i propri beni per realizzare
denaro e Caio, consapevole della condizione di bisogno di Tizio, ne approfitta offrendo un
prezzo irrisorio (inferiore di oltre la metà rispetto al valore di mercato:
“ultra dimidium”).
Nonostante sia l’ART.1447C.C. e l’ART.1448C.C. menzionino solo la persona del contraente,
lo stato di bisogno e lo stato di pericolo possono riguardare anche i familiari o altre persone.
Contraente può anche essere una società o l’eredità giacente, perché è rilevante, nello stato
di bisogno, non lo stato psicologico del curatore, ma l’assenza di liquidità patrimoniale.
Lo stato di bisogno può consistere anche in una semplice difficoltà economica o nella
carenza di liquidità transitoria e può essere stato causato dallo stesso contraente, purché sia
effettivo o non soltanto putativo, infine deve essere stato determinante per la
contrattazione, nel senso dell’esistenza di un nesso di causalità psicologica tra stato di
bisogno e decisione di contrarre, che a sua volta deve presentarsi come necessaria.
Lo stato di bisogno e quello di pericolo si distinguono in base alla natura degli interessi, il
primo riguarda interessi patrimoniali, il secondo attiene ad interessi personali. In merito al
concetto di approfittamento:
-Alcuni ritengono che sia sufficiente la conoscenza dello stato di bisogno.
-Altri sostengono che sia necessaria l’intenzione specifica di avvantaggiarsi a spese dell’altro
contraente.
-La giurisprudenza ritiene che sufficiente il contegno passivo di chi si limita a mantenere
ferma un’offerta lesiva.
Lo squilibrio tra le prestazioni va verificato sulla base di accertamenti oggettivi, facendo
riferimento al valore delle prestazioni al momento della conclusione del contratto e riguarda
sia la prestazione principale che quelle accessorie e le varie modalità. I valori presi in
considerazione saranno quelli di mercato, escludendo qualsiasi rilevanza del valore personale
ed affettivo.
La lesione ultra dimidium deve perdurare fino a quando la domanda di rescissione è
proposta, quindi, potrebbe venire meno successivamente alla conclusione del contratto in
seguito ad un incremento del valore del bene ricevuto dal leso o da un decremento del valore
di quello ceduto, in termini reali e non per sopravvenuta svalutazione monetaria.
DISCIPLINA DELLA RESCISSIONE: la disciplina della rescissione è del tutto peculiare,
anche se per alcuni versi è analoga a quella dell’annullabilità. Il contratto rescindibile produce
effetti provvisori, i quali, però, si consolidano a seguito della prescrizione dell’azione,
essendo inammissibile un atto di convalida, al contrario dell’annullamento.
Il divieto di convalida è importante per distinguere le due figure. La differenza trova il suo
fondamento nel fatto che la rescissione è un mezzo di tutela dell’equilibrio oggettivo del
contratto sotto il profilo dell’equità. A differenza della annullablità che è indirizzata alla tutela

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della libertà del volere del contraente leso. L’inammissibilità della convalida comporta anche
l’inammissibilità della rinunzia all’azione di rescissione.
Si discute invece sulla possibilità di transazione che è:
-secondo la dottrina vietata, perché comporterebbe comunque una rinuncia.
-secondo la giurisprudenza è ammissibile, perchè questa comporta un contratto del tutto
autonomo rispetto a quello rescindibile.
Gli opposti punti di vista sembrano comporsi se si considera che il contratto rescindibile può
essere modificato dal contraente non leso con una sua offerta, finalizzata a ricondurre il
contratto ad equità. Pertanto la transazione non in senso tecnico ma considerata come
riconduzione convenzionale del contratto ad equità, sembra ammissibile.
Mentre la rescissione si prescrive in 1 anno dalla conclusione del contratto o in caso di
vendita dalla determinazione del prezzo se successiva, l’annullamento si prescrive in 5 anni.
La brevità del termine di prescrizione della rescissione può essere superato quando il
comportamento dell’altro contraente integra gli estremi del reato, ciò accade con riferimento
all’usura. La rescissione e l’usura differiscono in base ai presupposti, infatti, l’usura si
configura a prescindere dallo stato di bisogno e dell’approfittamento, che costituisce solo
un’aggravante quando, in presenza di condizioni di difficoltà economica e finanziaria, c’è,
sotto qualsiasi forma, uno scambio di danaro o altra utilità con interessi o altri vantaggi
usurai.
Il contraente contro cui è domandata la rescissione la può evitare offrendo una
modificazione, non necessariamente pecuniaria, del contratto che sia sufficiente a
riequilibrare il sinallagma, senza che sia rilevante la volontà dell’altro contraente
(recondutio ad equitatem).
L’offerta di riduzione ad equità è, infatti, un atto unilaterale recettizio che, però, ha
dubbia natura:
-Processuale: eccezione in senso sostanziale, con cui il convenuto blocca l’azione dell’attore
(offerta di modificazione proposta solo nel processo).
-Sostanziale: la proposta può essere fatta sia nel processo sia in sede stragiudiziale.
L’offerta deve essere puntuale, l’offerente deve indicare esattamente le clausole da
modificare ed in quali termini. Il giudice dovrà solo accertare se l’offerta ha ristabilito
l’equità, cioè l’equilibrio oggettivo tra le prestazioni senza nessuna discrezionalità.
La sentenza che pronuncia la rescissione del contratto è una sentenza ad iniziativa del
solo contraente leso che si trovava in stato di bisogno o di pericolo ed ha carattere
costitutivo ed elimina gli effetti ex tunc. Le parti dovranno procedere alle indebite
restituzioni, garantite sul piano processuale dalla condictio indebiti, o, se la restituzione è
impossibile, dovranno procedere al pagamento del valore di stima del bene.
La rescissione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi, anche se l’acquisto è
avvenuto in mala fede, e sia che siano a titolo oneroso o gratuito (anche in mala fede e
gratuito a differenza della annulabilità).
Quando la domanda di rescissione è soggetta a trascrizione, l’acquisto dei terzi è fatto salvo
a condizione che sia stato trascritto prima della trascrizione della domanda giudiziale di
rescissione, in caso contrario, la sentenza di rescissione farà stato anche nei confronti dei
terzi, che perderanno il loro diritto acquisito.

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RISOLUZIONE
1. FONDAMENTO:
La validità del contratto attiene al momento della conclusione, però un contratto concluso
validamente può anche non produrre effetti per circostanze sopravvenute e in quest’ ultimo
caso abbiamo la risoluzione. La risoluzione si verifica quando il contratto non assicura più il
soddisfacimento degli interessi dei contraenti e tale inidoneità può essere causata dal
comportamento delle parti ma può anche dipendere da eventi non prevedibili e non
imputabili.
Sia nel caso della rescissione come della risoluzione, ad essere colpito è il sinallagma, cioè
l’equilibrio delle prestazioni però mentre nella rescissione il difetto è genetico ossia
originario, in caso di risoluzione è funzionale, cioè sopravvenuto; in entrambi i casi il vizio
del sinallagma può colpire i contratti a prestazioni corrispettive, dove le prestazioni sono
legate da un nesso di interdipendenza funzionale.
La risoluzione mira a riequilibrare la posizione economico-patrimoniale dei contraenti
eliminando con efficacia ex tunc gli effetti del contratto e dunque essa incide sul rapporto e
non sull’atto. Vi sono una pluralità di fattispecie della risoluzione che però non sono
ricondotte ad unità sul piano disciplinare.
2. L’INADEMPIMENTO:
Di fronte all’inadempimento di una delle parti, l’altra ha la possibilità di fare 2 scelte:
1)se non ha ancora adempiuto può opporre l’eccezione di inadempimento e così rifiutarsi di
adempiere a sua volta;

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2)se invece la parte ha adempiuto può costituire in mora la controparte debitrice in vista di
un adempimento tardivo o per iniziare un giudizio volto ad ottenere la condanna ed agire, in
caso di inosservanza della condanna, con l’esecuzione forzata; nel caso in cui però la parte
possiede titolo esecutivo, come una cambiale, allora può agire senza aspettare la previa
condanna.
Nel caso in cui la parte adempiente non abbia interesse all’adempimento tardivo o alla
realizzazione coattiva del proprio credito potrà scegliere la strada della risoluzione del
contratto.
Le due strade hanno in comune: l’obbligo risarcitorio che grava sulla parte inadempiente
per l’illecito contrattuale commesso (a tale proposito la dottrina ritiene che la domanda di
risarcimento possa essere chiesta anche autonomamente rispetto alla domanda di
adempimento o di risoluzione. Pertanto la condanna a risarcire il danno può essere
pronunciata a che se la domanda di risoluzione è stata respinta).
Per quanto riguarda l’onere della prova: il creditore deve provare la fonte del suo diritto,
al debitore spetta provare il fatto estintivo del diritto stesso.
Il danno risarcibile è quello derivante dal c.d. interesse positivo, però nel caso di
pronuncia di risoluzione per quantificare il danno risarcibile si dovrà tenere conto di ciò che il
creditore lucra per non dover più adempiere la propria prestazione e della utilità che ha
ricavato dall’operazione economica effettuata prima della risoluzione.
L’ART.1453C.C. detta delle regole di tutela sia per la parte adempiente che per quella
inadempiente in relazione sia all’adempimento che alla risoluzione:
1)l’azione di adempimento interrompe la prescrizione dell’azione di risoluzione, essendo
entrambe rivolte a tutelare il diritto alla prestazione.
La risoluzione può essere chiesta anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere
l’adempimento, questo succede perché l’interesse del creditore all’adempimento può sempre
venir meno con il tempo e dunque egli deve sempre poter avvalersi della risoluzione.
La giurisprudenza ammette questo mutamento di domanda in corso di giudizio che
sopravvive anche alla sentenza di condanna ad adempiere (ovviamente fino al momento
precedente all’adempimento).
2)non è possibile chiedere l’adempimento quando è stata domandata la risoluzione perché la
parte inadempiente può trovarsi nella condizione di non poter più adempiere alla propria
obbligazione nemmeno volendo a causa della scelta della risoluzione. (Per questo è esclusa
la preclusione ove il creditore dimostra che il debitore non ha interessi ad opporsi alla
domanda di adempimento. E’ esclusa la preclusione, secondo la giurisprudenza maggioritaria
se viene meno, successivamente alla domanda ,l’interesse del creditore alla risoluzione. In
tal modo però il debitore non può ritenersi libero dall’adempimento, pur se il creditore inizi il
giudizio di risoluzione, ma ciò contraddice la ratio della norma).
3)si disciplina l’ipotesi di adempimento successivo alla domanda di risoluzione; in linea di
massima il debitore non può più adempiere, una volta iniziato il giudizio di risoluzione,
perché il creditore ha manifestato di non aver interesse ad un adempimento tardivo.
Prima di iniziare l’azione di risoluzione, il creditore deve mettere in mora il debitore?
La dottrina ritiene che il creditore non debba costituire in mora il debitore nell’ipotesi di
inadempimento grave e definitivo, mentre diversa è la situazione nel caso in cui
l’inadempimento è grave ma la prestazione è ancora possibile. Perché in tal caso la
costituzione in mora prima del inizio del giudizio di risoluzione deriverebbe dal fatto che il
mancato adempimento potrebbe generare nel debitore l’affidamento circa la tolleranza del
ritardo. La messa in mora però non è dovuta perché la tolleranza presuppone circostanze
ulteriori rispetto alla semplice inerzia, perché anche se il debitore offrisse l’adempimento, il
debitore potrebbe comunque rifiutarlo se è venuto meno il suo interesse e agire per

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risoluzione. Ecco perché la messa in mora è necessaria solo se la prestazione va eseguita la


domicilio del debitore.
ART.1455C.C.: il contratto non si può risolvere se l’inadempimento di una delle parti ha
scarsa importanza avuto riguardo all’interesse dell’altra parte. La dottrina è divisa per
quanto riguarda l’individuazione dell’importanza dell’inadempimento:
-interpretazione oggettiva: secondo la quale la norma ha riguardo alle prestazioni così
come dedotte in contratto e dunque si tiene presente il profilo funzionale.
-interpretazione soggettiva: secondo la quale si deve risalire alle volontà delle parti per
valutare fino a che punto un certo inadempimento è da valutare importante.
-la giurisprudenza ricerca una via intermedia: può rilevare anche l’inadempimento ad
una prestazione accessoria se far venir meno l’utilità di quella principale e non sia dunque di
scarsa importanza. Viceversa di scarsa importanza può essere un inadempimento parziale
della prestazione principale.
Molto discusso è il fondamento giuridico della risoluzione per inadempimento e
probabilmente è nel vero quella dottrina che non concede rilevanza al problema perché dice
che è nella logica delle cose eliminare gli effetti di un contratto restato lettera morta; quindi
oggetto di discussione invece resta il modo con cui si perviene a tale risultato.
Al contrario la giurisprudenza si è posto il problema della qualificazione soggettiva
dell’inadempimento, infatti ci si chiede se sia sufficiente un inadempimento come oggettivo
comportamento del debitore o sia necessario un inadempimento colposo. La giurisprudenza
risolve il problema in chiave soggettiva perché l’illecito è escluso se l’inadempimento è
provocato da motivi apprezzabili oggettivi e dunque in questo modo la risoluzione diventa
rimedio sanzionatorio, satisfattorio per il creditore e afflittivo per il debitore inadempiente.
Si giunge alla risoluzione per inadempimento o per iniziativa della parte adempiente o
perché l’inadempimento era stato già previsto in sede di stipula del contratto e vi era stato
ricollegato la risoluzione, o infine per pronuncia del giudice. Sul piano procedimentale quindi i
modi in cui si attua la risoluzione sono 2, a seconda che vi sia o non vi sia una sentenza, e si
parla allora di risoluzione di diritto e di risoluzione giudiziale.
Si giunge alla risoluzione di diritto in 3 casi disciplinati distintamente nel codice e che
sono:
1)diffida ad adempiere: la parte adempiente anziché chiedere la risoluzione, fissa al
debitore un termine per adempiere trascorso il quale il contratto si intenderà risolto.
La dichiarazione di diffida ad adempiere è un negozio unilaterale recettizio che pretende
la forma scritta; deve contenere la fissazione di un termine per l’adempimento che sia
di almeno 15 giorni, a meno che per la natura del contratto risulti congruo un tempo
inferiore; il termine decorre dal momento della recezione della diffida. Inoltre la parte
adempiente deve intimare l’adempimento e per questo motivo la legge vuole che la diffida
contenga l’avvertenza espressa che, in caso di mancato adempimento entro il termine, il
contratto si intenderà risolto.
In pendenza del termine di adempimento, il creditore non può chiedere né l’adempimento,
né la risoluzione, né può procedere ad esecuzione forzata a meno che il debitore dichiari per
iscritto di non voler adempiere.
2)clausola risolutiva espressa: i contraenti possono stabilire espressamente che il
contratto si risolva qualora una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le
modalità stabilite; questa clausola risolutiva è parte del contratto, ma può anche essere
pattuita con atto autonomo che però dovrà avere la stessa forma del contratto a cui si
riferisce.
Le parti devono indicare quali obbligazioni devono essere adempiute a pena di risoluzione,
ma se l’indicazione è generica allora il riferimento si riferisce al complesso delle pattuizioni e
la clausola non avrà nessun valore; l’inadempimento deve essere imputabile sul piano della

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colpa al debitore ma non deve essere necessariamente grave, per cui in questo caso non
trova applicazione l’ART.1455C.C. circa l’importanza dell’inadempimento, ove appunto ci sia
una clausola risolutiva espressa.
La risoluzione non è automatica, cioè non consegue de iure al mancato adempimento
dell’obbligazione perché la parte interessata deve dichiarare all’altra parte che intende
avvalersi della clausola risolutiva; infatti rispetto al momento in cui la clausola è stata
pattuita potrebbe sopravvenire un interesse del creditore all’adempimento tardivo e questo
interesse verrebbe frustrato se la risoluzione fosse automatica.
La dichiarazione di volersi avvalere della clausola risolutiva ha natura negoziale, cioè si
tratta di un negozio unilaterale recettizio non formale che può essere contenuto in un
atto di citazione con cui si chiede la condanna del debitore a restituire quanto ricevuto. E’
possibile che il creditore rinunzi alla facoltà di avvalersi della clausola e questa rinunzia può
essere espressa ma anche conseguente ad un comportamento in equivoco incompatibile con
la volontà di risolvere il contratto.
3)termine essenziale: se si considera essenziale il termine fissato per la prestazione di una
delle parti, questa se vuole esigerne l’esecuzione nonostante la scadenza del termine deve
darne notizia all’altra parte entro 3 giorni, in caso contrario il contratto si intende risolto di
diritto anche se non è stata espressamente pattuita la risoluzione (salvo patto o uso
contrario).
Questa terza ipotesi di risoluzione di diritto presenta analogie ma anche diversità con quella
della clausola risolutiva espressa; in entrambi i casi la risoluzione consegue al modo con cui
è stato fissato il regolamento contrattuale o perché c’è una clausola espressa o perché c’è un
termine essenziale, ne consegue che anche nel caso del termine essenziale non si applica
l’ART.1455C.C. cioè l’indagine sull’importanza dell’inadempimento purchè sia imputabile al
debitore.
Il termine essenziale, a differenza della clausola, opera automaticamente ma l’effetto
risolutorio può essere evitato da una espressa dichiarazione del creditore, che deve avere
carattere negoziale e forma libera, con la quale il creditore dichiara, entro 3 giorni, di avere
interesse ad un adempimento tardivo.
Circa il momento in cui il contratto deve ritenersi risolto ci sono 2 teorie:
1)secondo taluni allo scadere dei tre giorni successivi all’inadempimento.
2)secondo altri al momento dell’inadempimento.
Secondo la dottrina l’essenzialità del termine potrebbe desumersi dalla volontà dei
contraenti (in questo caso si parla di essenzialità soggettiva che risulta da una
dichiarazione espressa o tacita dei contraenti), o dalla natura del contratto o dalle modalità
della prestazione (in questo caso si parla di essenzialità oggettiva .Es. torta matrimoniale
per il giorno del matrimonio).
Nell’essenzialità soggettiva il termine deve essere indicato in modo preciso e rigoroso e le
dichiarazioni sulla inderogabilità devono essere inequivoche. Anche in tal caso il termine
essenziale può essere rinnovato dalla parte interessata.
RISOLUZIONE GIUDIZIALE: se il creditore vuole risolvere il contratto ma non ha pattuito
una clausola risolutiva espressa o un termine essenziale oppure non vuole assegnare un
termine per l’adempimento al debitore, deve agire giudizialmente e la sentenza che
concluderà il procedimento ha carattere costitutivo.
Il giudice può anche essere chiamato a risolvere una controversia in ordine all’avvenuta
risoluzione di diritto del contratto la sua sentenza sarà di mero accertamento dell’intervenuta
risoluzione, esempio il debitore che contesta l’essenzialità del termine oppure la validità della
clausola risolutiva.
Nel contratto con prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere
la prestazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la

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propria, a meno che le parti abbiano stabilito termini diversi per l’adempimento. Il contrasto
tra i contraenti può essere risolto con una sentenza che condanni il convenuto ad adempiere,
subordinatamente all’adempimento dell’attore.
Si tratta di una forma di autotutela definita eccezione di inadempimento, però può anche
accadere che entrambe le parti oppongano l’eccezione sostenendo di non aver adempiuto in
quanto la controparte a sua volta non ha adempiuto, in tal caso spetterà al giudice accertare
quale dei due inadempimenti sia più grave e tale da legittimare l’eccezione.
L’eccezione di inadempimento può anche paralizzare una domanda di risoluzione, che può
essere giudiziale o stragiudiziale, tuttavia il contraente non può rifiutare l’esecuzione se il
rifiuto è contrario alla buona fede, e questa impone che la fondatezza dell’eccezione vada
valutata secondo un criterio di equivalenza e di proporzionalità tra l’adempimento che viene
richiesto e quello che non è stato eseguito.
ART.1461C.C.: prevede inoltre la possibilità che il contraente sospenda l’esecuzione della
propria prestazione se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in
evidente pericolo il conseguimento della controprestazione a meno che non sia presentata
idonea garanzia. La sospensione può invocarsi quando la controparte deve eseguire la
propria prestazione in un secondo momento mentre l’eccezione di inadempimento può
opporsi quando le prestazioni devono essere eseguite meno contro mano. Questa diversità
non impedisce l’opponibilità dell’eccezione di inadempimento anche quando la prestazione va
eseguita in un secondo momento.
La sospensione può essere invocata se le prestazioni devono essere eseguite mano contro
mano ma non possono essere contemporanee da un punto di vista concreto.
Le parti possono stabilire l’inopponibilità di eccezioni per evitare o ritardare la prestazione
dovuta; questa clausola, detta solve et repete, non ha effetto per le eccezioni di nullità, di
annullabilità e di rescissione del contratto come sancito dall’ART.1462C.C. che, al CO.2,
stabilisce anche che se concorrono gravi motivi il giudice può decidere di sospendere la
condanna all’adempimento imponendo, se del caso, una cauzione.
La giurisprudenza limita notevolmente la portata della clausola, negando che possa bloccare
l’eccezione di inadempimento.
3.IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA:
E’ un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento.
L’obbligazione si estingue quando la prestazione diventa oggettivamente impossibile per
causa non imputabile al debitore; lo scioglimento del contratto opera di diritto. Nel caso di
impossibilità totale la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione
non imputabile non può chiedere la controprestazione e deve restituire quella che abbia già
ricevuto; però si ha estinzione anche nel caso di impossibilità temporanea quando il creditore
non ha più interesse a ricevere la prestazione.
Al contrario nell’impossibilità parziale, l’obbligazione non si estingue e il debitore è liberato
se esegue la prestazione per la parte che è rimasta possibile.
In caso di contratto a prestazioni corrispettive non si può applicare questa disciplina perché
creerebbe un grave squilibrio del sinallagma e quindi l’ART.1464C.C. introduce un correttivo
legittimando la controparte o a pretendere una riduzione della propria prestazione o a
recedere dal contratto se non ha interesse all’adempimento parziale.
In caso di impossibilità totale della prestazione di una delle parti di un contratto plurilaterale
non si ha scioglimento del contratto a meno che la prestazione mancata sia da considerarsi
essenziale (ART.1466C.C.).
L’ART.1465C.C. detta una disciplina particolare per l’impossibilità sopravvenuta nei contratti
che trasferiscono o costituiscono diritti reali (contratto traslativo)(è una norma derogabile):
1)se l’impossibilità sopravviene al trasferimento l’acquirente non è liberato dall’obbligo di
eseguire la controprestazione anche se la cosa non gli è stata consegnata (questo vuol dire

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dunque che la custodia della cosa non costituisce una controprestazione e non fa parte del
sinallagma);
2)La stessa disposizione si applica nel caso in cui l'effetto traslativo o costitutivo sia differito
fino allo scadere di un termine;
3)se il trasferimento ha ad oggetto una cosa generica l’acquirente non è liberato dall’obbligo
di eseguire la controprestazione se l’alienante ha operato la consegna o la cosa è stata
individuata (applicazione del principio res perit domino);
4)comunque l’acquirente è liberato dalla propria obbligazione se il trasferimento era
sottoposto a condizione sospensiva e l’impossibilità è sopravvenuta prima che si verifichi la
condizione”.
4.ECCESSIVA ONEROSITA’ SOPRAVVENUTA: ART.1467C.C.:
Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica se la prestazione di una delle parti è
divenuta eccessivamente onerosa, e sempre che questa onerosità non rientri nell’alea del
contratto, per il verificarsi di avvenimenti straordinari o imprevedibili la parte che deve tale
prestazione può chiedere la risoluzione del contratto (e questo succede perché si crea uno
squilibrio patrimoniale che comporta un’alterazione del rapporto di valore tra le due
prestazioni). In questo modo il legislatore ha voluto porre rimedio ad una situazione non
prevista al momento della conclusione del contratto e appunto per ciò il rimedio si applica ai
contratti corrispettivi la cui esecuzione non sia immediata ma protratta nel tempo, mentre
non si applica ai contratti aleatori per loro natura o per volontà delle parti.
Questo rimedio dunque serve per tutelare l’equilibrio delle prestazioni e dunque il sinallagma
e può essere applicato quando la prestazione è differita nel tempo, cioè anche in caso di
contratto ad esecuzione immediata dove però le parti hanno rinviato l’adempimento della
prestazione con accordo tacito o quando la prestazione è divenuta temporaneamente
impossibile e l’obbligazione non si estingue.
Secondo la dottrina tale norma si applica anche al contratto preliminare e questo perché le
conseguenze negative che comporta la stipula del contratto definitivo divenuto
eccessivamente oneroso sono già insite nelle conseguenze negative del preliminare, per lo
stesso motivo è impugnabile per eccessiva onerosità sopravvenuta anche il contratto di
opzione.
La norma però non si applica nei casi in cui esiste una speciale disciplina normativa (come
per l’appalto) o pattizia per porre rimedio alle conseguenze negative derivanti da variazione
di valore sopravvenute alla conclusione del contratto; tuttavia la giurisprudenza ritiene che
anche in questi casi si possa applicare la norma dell’ART.1467C.C. se gli eventi imprevedibili
e straordinari sono stati tali da porre nel nulla i rimedi previsti dalla legge o dai privati.
Il debitore obbligato ad una prestazione eccessivamente onerosa non può liberarsi con una
dichiarazione stragiudiziale, ma deve agire in giudizio, senza potersi limitare ove convenuto
in giudizio a proporre una mera eccezione (per l’eccessiva onerosità). L’eccessiva
onerosità deve essere dedotta e accertata giudizialmente.
La parte alla quale è chiesta la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le
condizioni del contratto. In tal modo il contratto va ricondotto a quell’ equilibrio
sinallagmatico sussistente al momento della stipula.
In caso di contratto con obbligazioni a carico di una sola parte questa può chiedere una
riduzione della sua prestazione sufficiente per ricondurre il contratto ad equità (la norma non
si applica alle obbligazioni che nascono da atto mortis causa). In quest’ ultimo caso la
riconduzione ad equità del contratto è opera del giudice che userà un criterio discrezionale e
non oggettivo in quanto manca l’offerta della parte contro interessata perché stiamo
parlando di un contratto unilaterale.

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5.GLI EFFETTI:
L’ART.1458C.C. oltre che all’ipotesi dell’inadempimento è applicabile anche nel caso di
impossibilità sopravvenuta e di eccessiva onerosità sopravvenuta.
La risoluzione del contratto ha effetto retroattivo tra le parti, (tranne per i contratti ad
esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende
alle prestazioni già eseguite, si parla in tal caso di risoluzione parziale); essa non pregiudica i
diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione.
Questo vuol dire che il terzo sarà salvo solo se avrà trascritto il proprio acquisto prima della
trascrizione della domanda di risoluzione o della domanda che mira ad accertare l’avvenuta
risoluzione di diritto.
La risoluzione deve essere annotata ai fini della continuità a margine della trascrizione del
contratto risolto anche quando è il frutto di un atto che accerti il fatto risolutorio (come nel
caso della clausola risolutiva espressa).
Come conseguenza della risoluzione, i contraenti hanno l’obbligo di restituire quanto hanno
ricevuto secondo le regole fissate per la ripetizione dell’indebito, salvo i contratti di durata.
6.LO SCIOGLIMENTO VOLONTARIO:
I privati possono sciogliere il contratto per mutuo consenso o per meglio dire per mutuo
dissenso. Se il contratto traslativo o costitutivo non ha ancora prodotto i suoi effetti è
possibile scioglierlo con mutuo dissenso, in caso contrario si dovrà stipulare un contratto
uguale e contrario a quello che si intende eliminare. In caso di contratti ad effetti obbligatori
il mutuo dissenso ha efficacia ex nunc perché opera sulle prestazioni non ancora eseguite,
però la dottrina sostiene anche la tesi dell’efficacia ex tunc del mutuo dissenso come negozio
eliminativo.
Secondo la giurisprudenza il contratto risolutorio deve avere la stessa forma del contratto
che viene sciolto, mentre se la forma si considera libera lo scioglimento può anche
conseguire ad un comportamento concludente.
L’ART.1373C.C. prevede la possibilità che il contratto sia sciolto ad iniziativa di una delle
parti; il recesso unilaterale è possibile se questo potere è stato attribuito in sede di
contratto con fissazione di un termine e può essere esercitato solo se il contratto non ha
avuto un principio di esecuzione e comunque deve intervenire dopo la conclusione del
contratto.
La dottrina ritiene che il recesso non è possibile in caso di contratti traslativi quando l’effetto
reale si sia prodotto, perché in questo caso non vale nemmeno il patto contrario che è
ammissibile solo per i contratti obbligatori.
Nel caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, il recesso può essere esercitato
anche dopo l’inizio dell’esecuzione, però sono fatte salve le prestazioni già eseguite o in
corso di esecuzione: in questo caso il recesso opera ex nunc.
I contraenti possono stabilire un corrispettivo per il recesso che se viene versato
anticipatamente si chiama caparra penitenziale mentre se viene versato al momento del
recesso prende il nome di multa penitenziale: entrambi non hanno nulla a che vedere con la
clausola penale perché sono corrispettivi del recesso, mentre la clausola penale presuppone
un inadempimento (il quale in questo caso è da escludere perché recedendo si esercita un
diritto potestativo).
La legge a volte attribuisce il recesso ad entrambi i contraenti mentre in altri casi lo
attribuisce ad uno solo dei contraenti. La legge inoltre tutela la posizione dell’altro contraente
e quindi prevede un preavviso, il cui difetto può condizionare l’efficacia stessa del recesso,
cioè può obbligare al pagamento di un’indennità o ad un risarcimento.
Chi recede infatti per il principio di buona fede deve preavvisare l’altro contraente con un
congruo anticipo di tempo, e il più delle volte la legge collega il recesso alla presenza di una

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giusta causa ovvero un grave motivo, il cui difetto è insuperabile e non sostituibile con il
pagamento di un’indennità.
Per il contratto a tempo indeterminato ex ART.1375C.C. si può recedere sempre con
preavviso, a causa della necessaria temporaneità dei vincoli obbligatori.
7.DIRITTO DI PENTIMENTO PER I CONTRATTI CONCLUSI FUORI DEI LOCALI
COMMERCIALI:
La legge detta una disciplina particolare del diritto di recesso nel caso in cui tra un
consumatore ed un operatore commerciale sia stato concluso, fuori dai locali commerciali di
costui, un contratto di fornitura di beni o di prestazione di servizi; la negoziazione del
contratto può anche avvenire sulla base di offerte effettuate al pubblico o mediante mezzi
televisivi. La tutela del consumatore consiste nel fatto che l’operatore deve informare per
iscritto del suo diritto a recedere dal contratto indicando termini, modalità ed eventuali
condizioni per il relativo esercizio, nonché l’indirizzo del soggetto contro cui va esercitato il
recesso. La dichiarazione di recesso deve essere spedita nel termine non inferiore di 10
giorni per lettera raccomandata con avviso di ricevimento. In caso di vendita di beni,
condizione essenziale per l’esercizio del diritto di recesso è l’integrità della merce da
restituire entro il termine minimo di 10 giorni e quindi anche del diritto di riavere entro i
successivi 30 giorni il rimborso delle somme pagate comprese quelle versate a titolo di
caparra. Il diritto di recesso è irrinunciabile e il foro competente per le controversie civili
insorte tra le parti è quello del giudice del luogo di residenza del consumatore. Secondo
Gazzoni questo recesso è avveramento di condizione risolutiva o mancato avveramento di
condizione sospensiva.

LA CESSIONE
1. STRUTTURA:
Si ha cessione del contratto quando un soggetto, cessionario, si sostituisce ad un altro,
cedente, in tutti i rapporti nascenti da un contratto a prestazioni corrispettive non ancora
eseguite purché l’altro contraente, ceduto, vi consenta. La dottrina e la giurisprudenza
ritengono che la cessione del contratto sia un contratto trilaterale e che si concluda con
l’incontro dei consensi del cedente, del cessionario e del ceduto e questa trilateralità si
spiega se si considera che mediante la cessione si viene a modificare la persona del debitore
cosicché non potrà prescindere dal creditore ceduto. Secondo una dottrina minoritaria è un
contratto bilaterale tra cedente e cessionario, ed il consenso del ceduto invece è una mera
condicio iuris.
Trattandosi di contratto trilaterale il perfezionamento del contratto coincide allora con la
conoscenza da parte del contraente proponente, che può essere anche il cessionario,
dell’ultima accettazione e fino a quel momento la proposta è revocabile.
Il consenso del contraente ceduto può essere anche tacito, però deve essere provato da chi
vuole avvalersi della cessione; il consenso deve però risultare da atto scritto se il contratto di
cessione pretende la forma scritta; infatti la dottrina ritiene che la cessione del contratto
pretenda la stessa forma del contratto ceduto in base alla regola secondo cui i negozi
modificativi devono rivestire la stessa forma del negozio a cui si ricollegano (forma per
relationem).
Il consenso può essere manifestato dal contraente ceduto anche prima della cessione
mediante una clausola inserita nel contratto e in questo caso la sostituzione è efficace dal
momento in cui essa viene notificata al ceduto o dal momento in cui egli la ha accettata;

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l’accettazione della sostituzione non ha nulla a che vedere con il consenso che deve
manifestare di regola il contraente ceduto: questo dunque vuol dire che non siamo in
presenza di un atto prenegoziale ma siamo in presenza di una mera dichiarazione di scienza.
La notifica non è necessaria se tutti gli elementi del contratto risultano da un documento nel
quale è inserita la clausola all’ordine perché in queste ipotesi la girata del documento
produce la sostituzione del giratario nella posizione del girante.
La legge prevede spesso casi di cessione del contratto, però se si prescinde dal consenso del
contraente ceduto dovrà parlarsi di successione ex lege che è un fenomeno diverso dalla
cessione volontaria. Esempio di successione ex lege è quella prevista in caso di trasferimento
di azienda.
2.AMBITO:
Con la cessione si attua la successione inter vivos a titolo particolare di un soggetto
nella stessa posizione contrattuale di un altro soggetto, questo vuol dire che tale posizione
ricomprende non solo i meri diritti ed obblighi, ma anche tutti i diritti potestativi, le
aspettative e le azioni che competono ad un soggetto in quanto parte di un contratto.
Contratto a prestazioni corrispettive significa contratto oneroso, e questo vuol dire che non
sono cedibili i contratti gratuiti.
Possono essere ceduti anche i contratti eseguiti da una sola parte ed in particolare i
contratti traslativi, infatti anche se in tal caso il trasferimento del diritto si attua
automaticamente alla conclusione del contratto, è anche vero però che la posizione
contrattuale di chi si rende cessionario è ben diversa dalla posizione di colui il quale si limita
ad acquistare il bene. Per esempio il cessionario di un contratto di compravendita dovrà
pagare il prezzo all’alienante ceduto da cui dovrà essere (fatto salvo) tutelato per tutte le
garanzie dovute per legge (come garanzia dall’evizione).
Limitazioni alla cedibilità possono derivare invece dalla natura stessa del contratto, come nel
caso in cui i contraenti debbano rivestire particolari qualità (cessione contratto di lavoro
sportivo tra una società ed un’altra).
Non sembra logica l’incedibilità dei contratti intuitus personae perché la valutazione di
convenienza deve essere fatta dal contraente ceduto che può anche accordarsi in tal senso
con il cedente che deve eseguire la prestazione e con il cessionario.
La cessione fa subentrare il cessionario nella stessa posizione del cedente e questo significa
che non è possibile una cessione parziale e che il cedente e il cessionario non potranno
modificare in nessun modo il contenuto del contratto oggetto di cessione: si può solo
ipotizzare un accordo novativo tra ceduto e cessionario dopo la cessione.
Si può avere la cessione della proposta contrattuale semplice o irrevocabile e anche la
cessione del diritto di opzione, però la cessione deve essere sempre autorizzata, dal
proponente o dal concedente, e il contratto da concludere deve rientrare tra i contratti
suscettibili di cessione.
3.EFFETTI:
Gli effetti della cessione si inquadrano nell’ambito delle vicende circolatorie; infatti il
contratto di cessione non ha una propria causa e sotto questo aspetto può definirsi come un
contratto di alienazione, così parleremo di vendita se il cessionario corrisponde al cedente un
corrispettivo, mentre parleremo di donazione se oltre al fatto che non vi sia un corrispettivo
il contratto arricchisce il cessionario e per finire parleremo di transazione se la cessione si
inserisce nel contesto di una lite.
L’effetto della cessione è quello di operare una successione a titolo particolare nella qualità di
parte contraente e questo effetto produce delle conseguenze tra le parti.
1)RAPPORTI TRA CEDENTE E CEDUTO: l’ART.1408C.C. regola i rapporti tra cedente e
ceduto e stabilisce che il cedente è liberato dalle sue obbligazioni nel momento in cui la
sostituzione diventa efficace nei confronti del ceduto. Tuttavia il ceduto può evitare questo

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effetto naturale dichiarando di non liberare il cedente, con la conseguenza che in caso di
inadempimento del cessionario potrà poi agire nei suoi confronti: questa disciplina è inversa
a quella dell’espromissione e dell’accollo perché là la regola era la solidarietà e non la
liberazione.
La dottrina ritiene inoltre che quando il ceduto non liberi il cedente, quest’ultimo non
risponde solidalmente, né può essere usato il beneficio di escussione, ma si verifica una
responsabilità del cedente che è subordinata a quella del cessionario.
In caso di mancata liberazione dunque il ceduto dà notizia al cedente dell’inadempimento del
cessionario entro 15 giorni da quando esso si è verificato, però all’omessa comunicazione
non consegue la liberazione del cedente ma solo l’obbligo di risarcire il danno.
2)RAPPORTI TRA CEDUTO E CESSIONARIO: questi rapporti sono disciplinati
dall’ART.1409C.C. in base al quale il ceduto può opporre al cessionario tutte le eccezioni
derivanti dal contratto, ma non quelle fondate su altri rapporti con il cedente.
3)RAPPORTI TRA CEDENTE E CESSIONARIO: l’ART.1410C.C. disciplina i rapporti tra
cedente e cessionario.
E’ possibile l’inserimento di obbligazioni aggiuntive purchè non alterino il sinallagma. Il
cedente deve garantire la validità del contratto, ed è irrilevante che egli fosse o non fosse a
conoscenza di eventuali cause di invalidità.
Se il cedente si assume la garanzia dell’adempimento del contratto risponde, come un
fideiussore, per le obbligazioni del contraente ceduto. L’assunzione di garanzia in mancanza
di scrittura può essere provata in qualsiasi modo, anche tramite presunzione.
4.IL SUBCONTRATTO:
Il subcontratto è distinto dal fenomeno della cessione del contratto ed è il contratto stipulato
da un soggetto, che a sua volta è parte di un altro contratto, con un terzo e questo
subcontratto è dello stesso tipo e ha ad oggetto lo stesso oggetto del contratto precedente.
La legge prevede diversi tipi di subcontratto come la sublocazione, la subenfiteusi, il sub
mandato, subappalto, ecc.
Il subcontratto è legato al contratto base da un rapporto di derivatività e di
subordinazione e quindi non può vivere se il contratto base fosse invalido o risolto: questo
dato lo differenzia dalla cessione che determina solo successione nel rapporto.
Nel nostro codice civile l’unica regola desumibile è l’azione diretta che il titolare della
posizione attiva ha nei confronti del titolare della posizione passiva del subcontratto e che si
ricava dall’ART.1595C.C.. In pratica nel caso della sublocazione il locatore ha azione diretta
contro il sub conduttore per esigere il pagamento del prezzo della sublocazione e per
costringerlo ad adempiere a tutte le altre obbligazioni derivanti dal contratto di sublocazione.

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LA RAPPRESENTANZA
Non sempre un soggetto è in grado di manifestare la propria volontà o perché impedito da
malattia o perché assente.
In queste ipotesi si determina la sostituzione di fronte ai terzi di un soggetto,
rappresentante, nell’attività giuridica di un altro soggetto, rappresentato o dominus.
ART.1388C.C.: il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell'interesse del
rappresentato, nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti
del rappresentato.
Il rappresentante agisce in nome e per conto del rappresentato, ed in tal modo rimane
estraneo all’affare nei rapporti con il terzo e non assume la qualità di parte. Gli effetti
dell’atto si producono direttamente nella sfera giuridica del rappresentato. Ciò che conta per
la qualifica dell’istituto è l’altruità dell’interesse. La rappresentanza è dunque caratterizzata
da un incarico attribuito dal rappresentato al rappresentante per la gestione degli interessi
del rappresentato.
Diversa è la rappresentanza indiretta. Essa si ha quando un soggetto agisce per conto
ma non in nome del rappresentato per cui l’altruità dell’interesse non appare all’esterno. In
questo caso gli effetti degli atti conclusi dal rappresentante indiretto si producono nella sfera
giuridico-patrimoniale del rappresentante il quale avrà l’obbligo di ritrasferirli
successivamente in favore del rappresentato. Si avrà modificazione patrimoniale non
immediata, ma mediata e indiretta.
Una parte della dottrina tende ad unificare i due fenomeni, ma secondo Gazzoni ciò non è
possibile, perché nel caso di rappresentanza indiretta non si può propriamente parlare di
rappresentanza in senso stretto, in quanto alla base del rapporto vi è un incarico che nasce
da un mandato. Questo è un accordo contrattuale autonomo rispetto alla rappresentanza,
caratterizzato dall’agire nell’interesse di altri, ma a differenza della rappresentanza senza
spendita del nome.

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Per esserci la rappresentanza è necessario che il rappresentato affidi l’incarico al


rappresentante attraverso autorizzazione. Questa consistente nell’attribuzione di potere di
spendere il nome altrui con i terzi.
Per il terzo l’autorizzazione costituisce la legittimazione del rappresentante a sostituire il
rappresentato.
Il potere rappresentativo può essere conferito dall’interessato (rappresentanza volontaria)
o dalla legge (rappresentanza legale). La rappresentanza legale, regolata da
un’autonoma disciplina, consiste nel conferire ad un soggetto idoneo la rappresentanza di
soggetti incapaci legalmente, non in grado di gestire i propri interessi (minore di età per cui
rappresentati dai genitori; interdizione legale, rappresentanza attribuita ad un tutore) ed è
un istituto posto a tutela di interessi generali e superindividuali.
La rappresentanza organica invece è il potere di compiere atti giuridici in nome di un ente
giuridico, e spetta a colui che ricopre l’ufficio rappresentativo dell’ente. Bisogna però
distinguere a seconda che, in base all’organizzazione normativa interna dell’ente, il soggetto
che manifesta la volontà dell’ente sia anche colui che la forma (es: amministratore unico di
una società a responsabilità limitata, che assommi in sé i poteri di amministrazione ordinaria
e straordinaria) o vi sia una distinzione tra organo deliberante e organo che dichiara la
volontà dell’ente all’esterno (es: società per azioni in cui la volontà dell’ente è formata dal
consiglio di amministrazione, mentre è il presidente a manifestarla all’esterno). In
quest’ultimo caso più che di rappresentante dovremmo parlare di nuncius in quando,
essendovi una dissociazione tra potere di rappresentanza e potere di gestione, chi manifesta
la volontà all’esterno si limita a trasmetterla, essendosi già formata precedentemente.
La rappresentanza è sempre ammessa salvo che per gli atti personalissimi quali il
testamento, il matrimonio e più in generale gli atti di diritto familiare. Alcuni ritengono che
un’eventuale esclusione dell’agire rappresentativo debba essere prevista e accettata
espressamente.
Si discute se l’istituto della rappresentanza debba essere limitato ai soli atti negoziali. Una
parte della dottrina propende per una soluzione negativa perché, essendo la rappresentanza
preordinata alla realizzazione della volontà altrui, con conseguente produzioni di effetti, non
può che limitarsi ad atti negoziali. Mentre chi propende per la soluzione positiva ritiene che il
rappresentante possa porre in essere qualsiasi atto negoziale e non, basta che ci sia la
spendita del nome.
Invece per gli atti non dichiarativi, cioè materiali o reali, (trasformazione, invenzione, perdita
del possesso ecc), la rappresentanza è ammessa ma piuttosto che parlare di rappresentanza
in senso tecnico, poiché manca la possibilità di spendere il nome altrui, si può parlare di
generica sostituzione o di gestione sostitutiva.
Per quanto riguarda la rappresentanza passiva, ossia la possibilità di ricevere atti o
prestazioni in nome del rappresentato,si può dire che in generale la rappresentanza attiva
contempla anche quella passiva.
Sul piano processuale si distingue la rappresentanza sostanziale nel processo alla
rappresentanza processuale.
La prima attribuisce il potere di convenire o di essere convenuti in giudizio fa riferimento alla
possibilità per un soggetto di scegliere di stare in giudizio tramite rappresentante il quale
potrà compiere tutti gli atti a contenuto sostanziale necessari nel processo.
Mentre la rappresentanza processuale è affidata al procuratore legale che dovrà compiere
tutti gli atti di natura processuale e dovrà difendere il rappresentato.
2.POTERE RAPPRESENTATIVO:
La rappresentanza presuppone il potere di spendere il nome (contemplatio domini)
essendo tale solo quella diretta. Il rappresentante ha la facoltà di dichiarare che il negozio

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rappresentativo è compiuto in nome del rappresentato e di formare la volontà negoziale,


attenendosi alle eventuali direttive ricevute dall’interessato.
Il rappresentante ha la facoltà di spendere il nome altrui ma non né è obbligato. Egli infatti è
titolare di una potestà che è una situazione soggettiva attiva e non già passiva. E’ però vero
che accanto alla potestà c’è anche un dovere che attiene alle modalità di esercizio dello
stesso potere, che non è libero perché è altrui l’interesse gestito.
Il rappresentante esercita un potere di secondo grado che gli deriva dal rappresentato.
Proprio per questo il rappresentante con la spendita del nome esercita l’altrui autonomia
privata senza però privare il rappresentato del suo potere di agire. In effetti, egli non
assorbe il potere dell’interessato che in ogni momento può agire in virtù della propria
legittimazione primaria, revocando così tacitamente la procura.
Il rappresentante liberamente non può cedere il proprio potere perché si tratta di un incarico
attribuito intuitus personae, ma il rappresentato può autorizzare il rappresentante a delegare
a terzi il proprio potere, determinando così una subprocura.
Da distinguere dal rappresentante è il nuncius che pur agendo in nome altrui si limita a
trasmettere la volontà altrui mediante semplice comunicazione, senza assumere alcuna
iniziativa. Esso non partecipa alla formazione della volontà e, poiché si limita a trasmettere
la volontà altrui, incontra meno limiti. A volte il rappresentante può assumere sia la veste di
rappresentante che di nuncius.
3.LA PROCURA:
Il potere rappresentativo viene conferito mediante procura che è un negozio unilaterale a
carattere autorizzatorio. La procura non ha effetto se non è conferita con le forme
prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere (forma per relationem). Se
la forma è libera la procura può essere anche rilasciata in base a comportamenti concludenti,
purchè imputabili ed effettivamente tenuti.
Differente è la procura apparente, che si configura quando il rappresentato apparente
ingeneri nei terzi, mediante un comportamento colpevole, la convinzione (derivante da
errore scusabile) che un soggetto lo rappresenti.
In tal caso gli effetti dell’azione del rappresentante apparente si produrranno nel patrimonio
del rappresentato apparente, che perciò sarà responsabile dell’operato del
rappresentante per l’affidamento ingenerato nei terzi.
Ovviamente a condizione che la procura non pretenda la forma scritta, in tal caso cioè in
assenza della forma scritta prevista, è irrilevante qualsivoglia affidamento ingenerato nei
terzi.
La tesi maggioritaria ritiene che la procura sia un atto unilaterale recettizio: cioè che deve
essere portato a conoscenza dell'oblato (destinatario) perché il negozio possa produrre i suoi
effetti.
Mentre una parte della dottrina (Bianca) ritiene che la procura non sia recettizia, e quindi che
la conoscenza della procura non è indispensabile per la produzione dell’effetto.
La procura può essere generale o speciale. È speciale quando conferisce al rappresentante
l’incarico di compiere un determinato atto. È generale quando al rappresentante viene
affidato il compito di gestire qualsiasi atto al di fuori di quelli personalissimi e degli atti che
richiedono una specifica autorizzazione. Nel campo della straordinaria amministrazione il
procuratore generale può compiere solo gli atti indicati dalla procura (ART.1708C.C.). Non si
ritiene implicita nella procura la rappresentanza in giudizio.
Qualora il rappresentato neghi di aver rilasciato procura spetta al terzo offrirne la prova e in
caso di forma libera la prova potrà essere raggiunta per presunzioni. Anche se il terzo può
sempre chiedere che il rappresentante dia prova o meglio giustifichi i suoi poteri, e se la
rappresentanza risulta da atto scritto , che gliene dia una copia firmata della procura
conferitagli.

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Come abbiamo più volte detto, il rappresentante non ha l’obbligo di gestire l’affare in nome e
per conto del rappresentato. Per cui quest’ultimo, per obbligare il rappresentante ad eseguire
il compito affidatogli con procura, potrà stipulare un contratto con il rappresentante. Questo
contratto solitamente è il mandato con il quale una parte, mandatario, si obbliga a compiere
uno o più atti giuridici per conto dell’altra parte, mandante. Quindi ad un rapporto esterno
che è la procura, con cui si attribuisce il potere di spendere il nome, si somma un rapporto
interno, con cui si obbliga il rappresentante a gestire l’affare. Il mandato può essere con
rappresentanza se accompagnato da procura che autorizzi la spendita del nome del
mandante da parte del mandatario, ovvero senza rappresentanza se non è accompagnato da
procura.
In caso di modificazioni o di revoca della procura, queste dovranno essere portate a
conoscenza dei terzi con mezzi idonei. In caso contrario non sono opponibili ai terzi, salvo
prova della loro conoscenza da parte degli stessi al momento della conclusione del contratto
(ART.1396C.C.). Però piuttosto che di revoca in senso tecnico, dovremo parlare di recesso
unilaterale perché mentre la revoca agisce retroattivamente, in questo caso gli atti compiuti
dal rappresentante prima della revoca sono efficaci. La modificazione invece è una revoca
parziale distinta dalla integrazione con cui il dominus amplia o specifica i termini della
procura. L’atto di revoca o di modificazione è recettizio nei confronti del rappresentante ma
non dei terzi che sono di regola indeterminati che devono comunque poter conoscere tale
atto, che deve essere dunque idoneamente pubblicizzato.
Per la pubblicità si ravvisa un onere a carico del dominus di curare la pubblicità cui
corrisponde un onere di diligenza dei terzi nel venirne a conoscenza. La prova della
conoscibilità spetta al rappresentato.
Per quanto riguarda la forma della revoca e della modificazione, non richiedono la stessa
forma della procura per cui è possibile revocare tacitamente una procura scritta, salvo
diversa pattuizione, anche designando un nuovo rappresentante per lo stesso affare o
concludendolo direttamente.
Il potere di rappresentanza si può estinguere oltre che per revoca della procura, per rinuncia
da parte del rappresentante, per incapacità sopravvenuta del rappresentante o del
rappresentato, per il fallimento del rappresentato, per la scadenza del termine o per il
verificarsi della condizione risolutiva e per l’estinzione del rapporto di gestione. Queste cause
ad esclusione della revoca, non sono opponibili ai terzi che in buona fede, senza colpa, le
hanno ignorate.
Quando i poteri del rappresentante sono cessati egli dovrà consegnare il documento che
attesti l’attribuzione degli stessi. Cosi in caso di procura speciale con forma ad substantiam,
il rappresentato ha un mezzo sicuro per evitare che il rappresentante possa proseguire nella
gestione dei suoi affari, nonostante l’estinzione della procura. Ma il semplice ritiro non fa
salva la responsabilità del rappresentato nei confronti dei terzi e i terzi hanno la facoltà di
prendere visione del documento.
CAPACITA’: il rappresentato deve avere la capacità di agire sia per attribuire la spendita del
nome, sia per l’attività gestoria posta in essere dal rappresentante.
Il rappresentante, parte formale del contratto, non deve necessariamente essere capace di
agire, perché gli effetti dell’atto si produrranno nella sfera patrimoniale del rappresentato,
ma deve essere capace di intendere e di volere. L’incapacità naturale del rappresentante
comporterà pertanto l’annullabilità del negozio, in applicazione dell’ART.428C.C.. L’
incapacità naturale sopravvenuta del rappresentato al momento della conclusione del
contratto sarà irrilevante.
La scissione tra parte formale e sostanziale dell’atto rileva ai fini dei vizi della volontà e degli
stati soggettivi rilevanti. In linea di principio ciò che attiene al momento psicologico dell’atto

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va valutato facendo riferimento al rappresentante, mentre ciò che riguarda il profilo


dell’interesse sostanziale va valutato facendo riferimento al rappresentato.
Infatti il negozio rappresentativo è annullabile se è viziata la volontà del rappresentante.
Invece qualora il vizio riguardi elementi predeterminati dal rappresentato, l’atto è annullabile
solo se era viziata la volontà del rappresentato.
In tal modo si distingue correttamente la posizione del rappresentante da quella del nuncius.
Il nuncius infatti, poiché si limita a trasmettere la volontà altrui, è a quest’ultima che si
valuta in caso di vizi della volontà.
Nel rispetto di tale ratio quando è rilevante lo stato di buona fede o di mala fede, di scienza o
di ignoranza di determinate circostanze, si guarda sempre alla persona del rappresentante
salvo il caso che riguardi elementi predeterminati dal rappresentato.
In caso di vizi della volontà o in caso di incapacità naturale del rappresentato al momento
dell’attribuzione della procura al rappresentante, il primo non può ottenere l’annullamento
della procura e ricorrere la disciplina del falsus procurator. Ma quando è intervenuta la
spendita del nome, il rappresentato può revocare la procura, venuto meno lo stato di
incapacità o il vizio. Si impugnerà il negozio rappresentativo e avrà effetti nei confronti del
terzo, il cui affidamento è tutelato secondo le regole ordinarie.
4.ABUSO DI POTERE:
Il potere rappresentativo va esercitato nel rispetto dell’interesse del rappresentato. Qualora il
rappresentante persegua un interesse proprio o di un terzo, in violazione dell’obbligo di
rispetto dell’interesse del dominus, si ha abuso di potere rappresentativo.
Per aversi abuso di potere è necessario che il rappresentante persegua l’interesse proprio o
di un terzo in via esclusiva, potendo invece concorrere o converegere l’interesse proprio o di
un terzo con quello del dominus.
L’abuso di potere sussiste se c’è un conflitto di interessi (ART.1394C.C.). La situazione
conflittuale la si ha quando l’interesse del rappresentato non coincide con l’interesse del
rappresentante. Il rappresentato in questo caso può chiedere l’annullamento se il conflitto
era conosciuto o riconoscibile dal terzo, a prescindere dalla prova di un vantaggio personale
del rappresentante o del terzo, purchè sia dimostrato il danno.
Per quanto riguarda la natura del vizio che colpisce l’atto compiuto abusando del potere,
bisogna guardare non al rapporto di gestione ma al potere di spendita del nome. Il vizio è
legato alla legittimazione all’esercizio del potere del rappresentante di fronte ai terzi
incidendo inevitabilmente sull’atto.
Tipici casi di conflitto di interessi si riscontrano quando il rappresentante è colluso con il terzo
contraente, e in caso di contratto con se stesso (ART.1395C.C.).
In caso di collusione tra rappresentante e terzo contraente, quest’ultimo secondo
parte della dottrina potrebbe essere chiamato a risarcire il danno da illecito extracontrattuale
ex ART.2043C.C. mentre altra parte della dottrina obbietta che è sufficiente tutela per il
rappresentato la sanzione di annullabilità.
Il rappresentato comunque può sempre agire per il risarcimento del danno contrattuale in
base al rapporto interno che di regola le parti stipulano parallelamente al negozio di procura,
oppure in caso questo manchi costui può agire ex ART.2043C.C. per violazione del dovere
che accompagna l’esercizio della potestà conferita con procura.
La prescrizione dell’azione di annullamento decorre secondo alcuni dal momento in cui il
rappresentato viene a conoscenza della conclusione del contratto, in analogia con
l’ART.1442CO.2C.C., in realtà non c’è identità di ratio dunque sarà applicabile la regola
generale dell’ART.1442CO.3C.C..
ART.1442C.C.: l'azione di annullamento si prescrive in cinque anni. Quando l'annullabilità
dipende dal vizio del consenso o da incapacità legale il termine decorre dal giorno in cui è
cessata la violenza, è stato scoperto l'errore o il dolo, è cessato lo stato d'interdizione o

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d'inabilitazione, ovvero il minore ha raggiunto la maggiore età.Negli altri casi il termine


decorre dal giorno della conclusione del contratto. L'annullabilità può essere opposta dalla
parte convenuta per l'esecuzione del contratto, anche se è prescritta l'azione per farla valere.
In caso di contratto con se stesso il rappresentante assume la posizione di parte
sostanziale, contrapposta al rappresentato, ovvero stipula in rappresentanza delle parti
contrapposte (doppia rappresentanza). La disciplina sul contratto con se stesso prevede
l’annullabilità del contratto. Sono fatti salvi i casi in cui vi è stata una specifica autorizzazione
del dominus, con l’esatta indicazione dei termini del contratto e nelle ipotesi in cui il
contenuto del contratto sia stato predisposto in modo da escludere un conflitto.
L’ autorizzazione nel primo caso si configura come un negozio autorizzatorio e volto ad
ampliare i poteri della procura.
5.DIFETTO DI POTERE:
L’ipotesi di eccesso o difetto del potere rappresentativo si ha nei casi in cui il
rappresentante appare tale, ma nella realtà opera senza conferimento di potere gestorio o
perché non lo abbia ab initio o perché eccede i limiti della procura (falsus procurator).
Una parte della dottrina ritiene che in questi casi il contratto è invalido o meglio nullo.
Anche perchè la legge non prevede la possibilità per il falso rappresentato di esperire alcuna
azione, ma si ha solo la possibilità di agire per ottenere la nullità.
Secondo Gazzoni il contratto non è nullo, anzi è perfetto ma inefficace nei confronti del
falso rappresentato. Il vizio è esterno, incide sulla legittimazione che non c’è al momento
della conclusione, ma potrebbe sopravvenire in seguito, con la ratifica del falso
rappresentato, operando come condicio iuris.
Secondo la giurisprudenza non è invalido né efficace, ma solo in formazione cioè in attesa
della ratifica del falso rappresentato.
La ratifica è un negozio unilaterale (diretto non al falso rappresentante, ma al terzo) con
il quale il falso rappresentato accetta l’operato del falso rappresentante facendo propri gli
effetti dell’atto da lui concluso, è cioè un negozio di legittimazione successiva, che opera
come una sorta di procura a posteriori, tanto è vero che come la procura deve rivestire la
stessa forma (per relationem) del contratto ratificato, sia ad substantiam che ad
probationem.
Quanto alla forma ad sustantiam, la giurisprudenza ritiene che la dichiarazione di ratifica può
avvenire anche mediante dichiarazione scritta, quanto alla forma ad probationem è valida
anche la ratifica per fatti concludenti.
Nella prospettiva della nullità, secondo parte della dottrina la ratifica sarà un negozio
autonomo con cui il rappresentato fa propri gli effetti del contratto, anche se non si capisce
come ci si possa appropriare di effetti non prodottisi in concreto ma non producibili neanche
in astratto perché il contratto è considerato nullo.
In realtà l’ART.1399CO.3-4C.C. afferma che il terzo ed il falsus procurator possono d'accordo
sciogliere il contratto prima della ratifica e che il terzo contraente può invitare l'interessato a
pronunziarsi sulla ratifica assegnandogli un termine, scaduto il quale, nel silenzio, la ratifica
s'intende negata.
Ciò significa che il contratto non è irrilevante del tutto se il suo scioglimento consegue
all’accordo tra falsus procurator e terzo o alla mancata ratifica.
La ratifica ha effetto retroattivo fatti salvi i diritti acquistati dai terzi.
Problemi sorgono per coordinare il principio di salvezza dei diritti acquistati dai terzi e i
principi che regolano la circolazione dei beni immobili, visto che comunque per i beni mobili
opera il possesso vale titolo.
In caso di circolazione di beni immobili, infatti se riteniamo che il contratto concluso dal
falsus procurator sia nullo o in via di formazione, non si può applicare la disciplina della
trascrizione (poiché la priorità non può dipendere dalla trascrizioni di un atto nullo o

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incompleto) si dovrebbe parlare di una sorta di prenotazione. Prevista ai fini della continuità
ART.2650C.C. e non ai fini dell’ART.2644C.C..
Conclusione condivisibile anche se accettiamo l’idea che il contratto è strutturalmente
perfetto, e la ratifica successiva opera come procura a posteriori o come condicio iuris. In
caso di alienazione dello stesso bene da parte del falsus procurator e del falso rappresentato,
chi acquista da quest’ultimo prevale se ha trascritto prima della ratifica, anche se dopo la
trascrizione dell’acquisto dal falsus procurator.
Se il contratto non è ratificato il terzo nulla potrà pretendere dal falso rappresentato, salvo
fraudolenza di costui ed in tal caso c’è responsabilità extracontrattuale, potrà però chiedere
al falsus procurator che è responsabile ex ART.2043C.C., il risarcimento del danno cagionato
al terzo contraente che ha fatto affidamento, senza sua colpa nella validità, del contratto
(ART.1398C.C.).
Il falsus procurator risponde anche in caso di avvenuta ratifica qualora il danno si sia già
verificato a causa del ritardo nel perfezionamento del contratto. Anche in tal caso il terzo
potrà chiedere anche il risarcimento del danno.
La responsabilità del falsus procurator ha natura precontrattuale (o secondo la
giurisprudenza extracontrattuale) , cosicché il danno risarcibile sarà limitato all’ interesse
negativo.
6.IL CONTRATTO PER CONTO DI CHI SPETTA:
Si tratta di un contratto concluso da un soggetto nell’interesse di un altro soggetto di cui si
ignora l’identità c.d. rappresentanza in incertam personam. L’identità sarà manifestata
al contraente soltanto in un momento successivo. Diverso è il contratto per persona da
nominare, poiché nel contratto per persona da nominare l’individuazione della persona
dipende da una scelta soggettiva dello stipulante e non da un fatto oggettivo come nel
contratto per conto di chi spetta.
ART.1690C.C.: se il destinatario irreperibile ovvero rifiuta o ritarda a chiedere la riconsegna
delle cose trasportate, il vettore deve domandare immediatamente istruzioni al mittente. Se
sorge controversia tra i destinatari o circa il diritto del destinatario alla riconsegna ovvero se
il destinatario ritarda a ricevere le cose trasportate, il vettore se sono soggette a rapido
deterioramento, può farle vendere per conto dell’avente diritto.
Chi agisce per conto di chi spetta resta dunque estraneo all’atto, egli non è mai parte in
senso sostanziale.
7.CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE:
ART.1401C.C.: al momento della conclusione del contratto una parte, detta stipulante,
può riservarsi la facoltà di nominare successivamente la persona che deve acquistare diritti e
assumere gli obblighi nascenti dal contratto stipulato con altra parte, detta promittente.
In difetto di nomina gli effetti si producono tra i contraenti originari, ART.1405C.C., cioè tra
promittente e stipulante.
La formula della riserva può essere indifferentemente quella " per persona da nominare" o "
per sé o per persona da nominare".
La nomina è sempre libera per lo stipulante, mentre il terzo designato può trovarsi in
condizione di non poterla rifiutare, ciò avviene in particolare quando egli abbia
preventivamente autorizzato lo stipulante a nominarlo. La legge parla a riguardo di procura,
ART.1402CO.2C.C., ma si è al di fuori dell’ipotesi di rappresentanza.
Dal punto di vista storico l’istituto nasce come risposta ad una precisa esigenza pratica: le
persone di un certo rango sociale non desideravano apparire acquirenti nelle vendite all’asta
ma ben presto questo strumento si rivelò ottimo mezzo di evasione fiscale (doppio
trasferimento pagando un'unica imposta). Per questo motivo la legislazione impose la
fissazione di un termine brevissimo per sciogliere la riserva, trascorso il quale un’eventuale
nomina equivaleva ad un nuovo trasferimento.

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Il codice del 1942 ha disciplinato l’istituto ma la norma che lascia ai privati la facoltà di
fissare un termine convenzionale derogando ai tre giorni di legge, ART.1402C.C. è
marginale, perché a fronte dei vantaggi di un termine di nomina anche lungo, stanno gli
svantaggi di vedersi tassare doppiamente l’atto, trascorsi solo tre giorni.
Secondo Gazzoni, non è un caso che l’indagine giurisprudenziale dimostra che, in concreto,
questo meccanismo è applicato ai contratti ad effetti obbligatori, in particolare al contratto
preliminare che sfugge facilmente alla registrazione e dunque all’imposizione fiscale. Es (A)
promette di acquistare un bene per se o per persona da nominare a (B), in al modo lucra
sulla differenza tra prezzo pattuito con il promittente alienante e il prezzo pattuito con il
terzo da nominare (C), che si vincola nei suoi confronti ad acquistare con altro preliminare di
vendita di cosa altrui.
In sede di contratto definitivo infatti il terzo, una volta nominato, si troverà a contrarre
direttamente con il promittente proprietario e a dar esecuzione ad entrambi i contratti
preliminari. Lo stipulante, dunque, finisce per svolgere una funzione di semplice
intermediario, in realtà è una vera e propria vendita dell’affare. In ogni caso, quando non è
ravvisabile un intento speculativo dello stipulante, l’istituto mira a tutelare il promittente al
quale garantisce la vincolatività dell’accordo, a prescindere dal vizio o dai difetti di procura
che possono renderlo inefficace qualora la controparte agisca a mezzo di rappresentante.
NATURA GIURIDICA: Il contratto per persona nominare non è un tipo contrattuale a sé
stante, ma presenta uno speciale modo di individuazione di una delle parti: nasce ambiguo
sul piano soggettivo, perché fino alla scadenza del termine utile per la nomina, non si sa chi
acquisterà il diritto e assumerà gli obblighi derivanti dal contratto. Il potere dello
stipulante di procedere alla nomina o di autodesignarsi è effetto immediato e caratteristico
del contratto per persona da nominare.
Il problema centrale resta quello di spiegare l’ambiguità soggettiva: al riguardo sono state
elaborate varie teorie.Gazzoni non condivide né la teoria:
-di surrogazione legale secondo cui lo stipulante con la designiazione, opera un recesso
unilaterale e il terzo subentra per effetto di legge. Due sono gli ostacoli a tale concezione:
1)l’efficacia ex tunc della dichiarazione.
2)il terzo subentra per atto di nomina e non per legge.
-né della fattispecie complessa o a formazione progressiva, secondo cui il contratto
verrebbe ad esistenza con la nomina, ma allora come mai l’ART.1405C.C. afferma che se la
dichiarazione di nomina non è fatta validamente nel termine stabilito dalla legge o dalle
parti, il contratto produce i suoi effetti tra i contraenti originari.
-né la teoria condizionale secondo cui l’atto di designazione fungerebbe da condizione
risolutiva dell’acquisto dello stipulante e da condizione sospensiva dell’acquisto del terzo.
-secondo Gazzoni, la teoria più accreditata è quella secondo cui lo stipulante sarebbe un
rappresentante in incertam personam del designando, il quale in caso di difetto di
preventiva procura, opererà con l’accettazione una vera e propria ratifica.
In senso contrario si può però osservare che lo stipulante è, all’origine, parte del rapporto, a
differenza del rappresentante. Infatti la retroattività è la chiave di volta dell’istituto, infatti
permette di considerare il nominato non terzo ma parte del contratto fin dalla conclusione.
E’ diverso dal contratto per conto di chi spetta: in questo contratto, infatti, l’individuazione
del soggetto, che sarà parte sostanziale del rapporto, non dipende dall’esercizio del potere di
nomina ma da circostanze oggettive.
Un avvicinamento verso la spiegazione del fenomeno è invece operato dalla teoria della
cosiddetta concentrazione soggettiva: la peculiarità del contratto per persona da
nominare sta nella designazione alternativa che spetta allo stipulante la quale costituisce la
fonte stessa dell’imputazione, dal momento che essa fa sì che un terzo diventi destinatario
della situazione effettuale.

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Alcuni per spiegare tale fenomeno richiamano le obbligazioni alternative. In realtà tale teoria
può spiegare l’alternatività per quanto riguarda l’oggetto ma non il soggetto. E’ infatti
pacifico che il contraente deve essere individuato al momento della nascita del vincolo, se il
vincolo è frutto dell’accordo di volontà cioè dell’incontro dei consensi.
Per comprendere appieno tale fenomeno bisogna ricordarsi che il contratto per persona da
nominare produce immediatamente l’effetto di attribuire allo stipulante il potere di nomina,
pertanto non si può scindere la titolarità del diritto di scelta dalla titolarità del contratto: il
primo in capo allo stipulante, il secondo invece in capo alternativamente allo stipulante o al
terzo (che comunque accetta un regolamento già predisposto ed immodificabile). Consegue,
da ciò, che il contratto nasce sempre solo tra promittente e stipulante ed è esclusa ogni
forma di alternatività, e dunque di concentrazione soggettiva.
Per Gazzoni, se non vi è alternatività vi è però facoltà di sostituzione alternativa nel
rapporto, infatti nel campo delle obbligazioni si è soliti distinguere tra obbligazione
alternativa e obbligazione con facoltà alternativa (che si ha quando al debitore è, concessa la
facoltà di liberarsi dell’obbligazione eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta e
dedotta nell’obbligazione.), la clausola di riserva autorizza dunque lo stipulante a modificare
il profilo soggettivo del rapporto, mediante la sostituzione del terzo designato a sé: gli
attribuisce cioè un ius variandi.
8.GLI EFFETTI:
Per lo stipulante, in pendenza del termine di nomina, non si producono effetti per lo
stipulante a prescindere da un suo comportamento che possa valere rinuncia alla nomina, e
quindi autodesignazione, come sostengono i fautori della tesi della rappresentanza. La tesi
opposta ritiene invece che gli effetti si producono immediatamente, ma si risolvano in caso
della nomina, per esigenze di certezza.
Per il promittente non può parlarsi di un semplice vincolo obbligatorio di indisponibilità ma
di una vera e propria opponibilità dell’accordo. Non a caso del resto il contratto per persona
da nominare è suscettibile di immediata trascrizione sempre che produca uno degli effetti
previsti dall’ART.2643C.C. (Gazzoni).
Si discute circa la legittimazione alle azioni giudiziali volte ad impugnare il contratto.
I sostenitori della teoria della condizione risolutiva che ritengono che il contratto produce
effetti immediati anche per lo stipulante, attribuiscono anche in capo allo stipulante tale
legittimazione.
Coloro che, invece, sottolineano che gli effetti sono sospesi per lo stipulante ma non per il
promittente, sostengono che quest’ultimo potrà iniziare immediatamente ogni azione,
avendo come legittimato passivo lo stipulante, il quale viceversa se agisse in giudizio prima
della nomina decadrebbe dal relativo potere, per avere formulato un giudizio di convenienza
che presuppone la titolarità del diritto.
L’ART.2935C.C. stabilisce che la prescrizione non decorre prima della nomina o
dell’autodesignazione né per lo stipulante né per il designato, il quale è legittimato sia
attivamente che passivamente solo dopo la nomina o l’accettazione.
9.POTERE DI NOMINA:
La situazione giuridica soggettiva, di cui è titolare lo stipulante, deve essere valutata in
relazione ai rapporti esterni con il promittente e non già ai rapporti interni che possono
preesistere con il designato nel caso di preventiva autorizzazione
I rapporti interni, invece, rilevano solo in un secondo momento, quando lo stipulante ha
operato una scelta, nei limiti in cui essa non si risolve un’auto designazione o nella
designazione di un terzo diverso da colui che aveva rilasciato l’autorizzazione. In questi casi,
quest’ultimo non ha alcuna possibilità di agire in forma specifica per ottenere la nomina,
avendo solamente il rimedio del risarcimento del danno(Gazzoni).

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La causa donandi (al pari della causa solvendi e di quella di scambio) è invece pienamente
configurabile quando la nomina non è preceduta da autorizzazione ,ma seguita da
accettazione.
La scelta può configurarsi, a seconda delle varie tesi propugnate, come adempimento
dell’obbligo assunto in sede contrattuale o anche come adempimento di un onere. Per
Gazzoni la scelta è esercizio di un diritto potestativo.
Il potere di nomina è trasmissibile mortis causa; mentre la trasmissione inter vivos è
concepibile solo a seguito di cessione del contratto, infatti la cessione del solo potere di
nomina si configurerebbe come una delega, e gli effetti del mancato esercizio ricadrebbero
comunque nella sfera dello stipulante.
Si discute se i creditori dello stipulante possono agire in surrogatoria o revocatoria contro
l’inerzia o contro l’esercizio positivo della scelta. I dubbi nascono dal fatto che:
-nel caso di azione surrogatoria, non sembra possibile parlarsi di mancato esercizio del
diritto verso terzi ai sensi dell’ART.2900C.C., trattandosi piuttosto di un atto di esercizio di
un potere di godimento della propria situazione soggettiva.
-nel caso di revocatoria, invece, può discutersi se si tratti di un atto di disposizione o non
piuttosto come preferibile di una omissio adquirendi, come tale non suscettibile di revoca ai
sensi dell’ART.2901C.C., in quanto prima della autodesignazione non si producono effetti nel
patrimonio dello stipulante.
10.IL PROCEDIMENTO DI NOMINA:
La dichiarazione di nomina è atto unilaterale dello stipulante, non surrogabile da un
accordo con il terzo, fonte di diritti e obblighi autonomi. La dichiarazione di nomina è un
presupposto di legittimazione necessario per poi poter accettare, sembra avere pertanto
natura negoziale, se non altro perché l’electio implica una valutazione di interessi, ed è frutto
di una precisa volontà del soggetto.
Per la validità della nomina, si richiede la piena capacità di agire, tuttavia secondo i fautori
della teoria della rappresentanza sarebbe sufficiente la capacità di intendere e di volere.
La dichiarazione di nomina sarà impugnabile in caso di violenza, errore e dolo. In particolare,
rileverà l’errore ostativo (cioè errore nella dichiarazione o nella sua trasmissione), mentre vi
sono dubbi riguardo l’errore in persona, perchè interessato all’identità o alle qualità del
designato è il promittente e non lo stipulante. Allo stesso modo il dolo, rileverà in termini di
induzione alla nomina, più che di scelta di un dato soggetto (Gazzoni).
Nel caso di invalidità della dichiarazione, gli effetti si produrranno in capo allo stipulante,
sempre che il termine stabilito dalla legge o dalle parti sia scaduto, altrimenti lo stipulante
potrà procedere ad un’altra nomina.
Il predetto termine convenzionale deve essere certo e non può essere rinnovato prima della
sua scadenza e va osservato a pena di decadenza infatti una eventuale dichiarazione di
scadenza, accettata dal promittente non avrà effetto.
La dichiarazione di nomina deve avere la forma prevista dal contratto e deve essere
comunicata al promittente.
La sequenza perfezionativa del meccanismo di nomina non si realizza sempre
istantaneamente ma può anche proiettarsi nel tempo, purché entro il termine fissato dalla
legge o dal contratto. Ciò accade quando lo stipulante non riceve una preventiva
autorizzazione alla nomina e quindi si assiste a una duplice dichiarazione: da un lato la
nomina, dall’altro l’accettazione del designato. Entrambe le dichiarazioni dovranno essere
comunicate al promettente. Senza la accettazione, la dichiarazione di nomina è inefficace.
Non si discute la natura negoziale dell’accettazione. Il terzo designato può anche venire
a conoscenza della nomina mediante meccanismi della pubblicità di fatto. A differenza della
dichiarazione di nomina, l’accettazione va costruita come negozio recettizio (la nomina,
invece, non è recettizia). Si tratta infatti di un atto non meramente strumentale, come è

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l’atto di nomina, ma di un atto in sé compiuto, che svolge una funzione finale nella
sequenza. Da ciò deriva che lo stipulante potrà sempre revocare la dichiarazione di nomina
prima della notifica dell’accettazione.
Il criterio della priorità della notifica dell’accettazione allo stipulante, vale anche a risolvere il
conflitto tra più nominati.
In realtà l’RT.1403CO.2C.C. richiede la trascrizione anche della dichiarazione di nomina,
con l’indicazione dell’atto di accettazione, ma tale onere deve essere assolto a soli fine di
poter opporre ai terzi aventi causa del promettente l’acquisto dei diritti. Tale possibilità
presuppone che sia stata curata tempestivamente la trascrizione del contratto, senza la
quale non varrebbe a nulla una trascrizione della mera dichiarazione di nomina pure se
precedente a quella dell’acquisto da parte dei terzi. Questa formalità non può valere a
dirimere le controversie tra più nominati.

L’INTERPRETAZIONE
L’interpretazione è un’operazione volta ad accertare il contenuto sostanziale del
contratto, cioè ciò che le parti hanno stabilito in ordine alla vicenda patrimoniale.
Le norme che regolano l’interpretazione si distinguono in due gruppi:
1)quelle che attengono all’interpretazione soggettiva
2)quelle che attengono all’interpretazione oggettiva
In realtà l’interpretazione secondo Gazzoni è sempre oggettiva perché ha come punto di
riferimento l’accordo ma anche perché è condotta con criteri fissati dalla legge. E’ però
corretto distinguere invece i criteri soggettivi di interpretazione (che mirano ad
accertare il senso e la portata dell’accordo e quindi l’intenzione delle parti sulla base delle
loro dichiarazioni e comportamenti) dai criteri oggettivi di interpretazione (che sono
sempre diretti a stabilire il significato del contratto, ma alla luce delle sole norme).
Per quanto riguarda i criteri di interpretazione soggettiva in base all’ART.1362C.C.,
nell’interpretazione del contratto il giudice deve valutare la comune volontà delle parti;
quindi, l’interprete non dovrà limitarsi al senso letterale che emerge dalle parole
adoperate, ma deve valutare anche il comportamento complessivo delle parti, guardando
quello anteriore alla stipulazione, quello al momento della stipulazione e quello successivo
alla stessa. L’interpretazione della volontà contrattuale deve risultare da una valutazione
complessiva delle disposizioni contenute nel contratto, quindi, anche se il testo di una
clausola appare chiaro, questo dovrà essere interpretato alla luce del significato che emerge
dalla lettura coordinata di tutte le altre clausole, sia valide che invalide (interpretazione
sistematica).
Sempre in tema di interpretazione soggettiva, si deve ricordare che, per quanto siano
generali le espressioni usate nel contratto, non bisogna perdere di vista gli interessi che le
parti intendono realizzare con il contratto.
Se nel contratto sono presenti clausole contrattuali che contengono esempi esplicativi, la loro
portata sarà estesa a tutti i casi che, pur se non espressi, rientrano nel patto stesso
(interpretazione estensiva).

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Secondo l’opinione comune, i criteri oggettivi sono sussidiari rispetto a quelli soggettivi. Tra
questi rientra l’interpretazione secondo buona fede, intesa come generale dovere di
correttezza e di reciproca lealtà di condotta nei rapporti tra le parti. Questa regola
interpretativa esprime l’esigenza di tutelare l’affidamento di ciascuna parte sul significato
dell’accordo, quindi si dovranno escludere quelle interpretazioni cavillose e formalistiche che
ogni parte effettua nel proprio interesse, ma contrarie allo spirito dell’intesa.
Quando il senso del contratto resta oscuro, nonostante l’applicazione delle regole
interpretative menzionate, la legge stabilisce che si dovrà preferire il senso che produce
effetti giuridici. Questa regola oggettiva è espressione del principio generale di
conservazione degli effetti degli atti giuridici, che si applica anche ai contratti invalidi
(ART.1419-1420-1446C.C.).
Sempre in tema di clausole ambigue, l’ART.1368C.C. prevede la possibilità di ricorrere agli
usi interpretativi, cioè quei comportamenti dai quali è possibile ricavare il significato che
gli individui di un certo luogo danno nella pratica a clausole di per sé ambigue, questo perché
normalmente il contratto si adegua al significato che gli viene riconosciuto in un dato
ambiente socio-economico.
In base all’ART.1369C.C., le espressioni polisensi vanno interpretate adeguandole alla
funzione economico-sociale di quel tipo di contratto (interpretazione funzionale). Le
clausole inserite in condizioni generali o moduli o formulari predisposti da uno dei contraenti,
nel dubbio, si interpretano a favore dell’altro contraente, perché si tutela sempre la parte più
debole.
Se nonostante l’applicazione di queste regole interpretative, il contratto resta oscuro, questo
dovrà essere inteso in senso meno gravoso per l’obbligato. Nei contratti a titolo gratuito si
favorisce l’obbligato, poiché questi non riceve alcuna ricompensa per il suo sacrificio. Nei
contratti a titolo oneroso, invece, si utilizzerà l’interpretazione equitativa, cioè gli interessi
delle parti si considereranno alla stessa stregua, poiché al -vantaggio economico di ognuna
corrisponde un sacrificio economico.

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Scaricato da Valeria Sacco (valeriasacco@ymail.com)

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